Il Regno delle Due Sicilie fu uno stato sovrano dell'Europa meridionale esistito tra il 1816 ed il 1861. Il regno venne istituito dal re Ferdinando di Borbone, allorché, dopo il Congresso di Vienna e il Trattato di Casalanza, soppresse il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia e la relativa costituzione che li teneva separati. Al momento dell'istituzione del Regno delle Due Sicilie, la capitale fu fissata in Palermo, ma, l'anno successivo, fu spostata a Napoli; Palermo, però, almeno formalmente, continuò a mantenere dignità di capitale, essendo considerata, appunto, "città capitale" dell'isola di Sicilia[1].
Territorio Il Regno comprendeva le attuali regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia, oltre a gran parte dell'odierno Lazio meridionale (distretti di Sora e Gaeta) e all'area orientale dell'attuale provincia di Rieti (distretto di Cittaducale). Al Reame, inoltre, apparteneva, incluso amministrativamente nella provincia di Capitanata, l'arcipelago di Pelagosa, oggi parte della Croazia. Le città di Benevento (oggi in Campania) e Pontecorvo (oggi nel Lazio) erano, invece, delle enclave pontificie.
è tempo di riforme Alla morte di Francesco I, l'8 novembre 1830, il Regno passò al figlio Ferdinando II, allora solo ventenne. Il giovane sovrano dimostrò subito idee progressiste ed un atteggiamento affabile verso il popolo [15]. Il suo governo, infatti, almeno fino al 1848, fu caratterizzato da riforme volte a migliorare l' economia e l'amministrazione dello Stato. In particolare, in campo finanziario fu attuata una notevole diminuzione della fiscalità, resa possibile, tra l'altro, da un'oculata spesa pubblica e dalla diminuzione delle spese di corte .
Ferdinando provvide a richiamare in patria e a reinserire negli incarichi numerosi esuli e reintegrare nelle loro funzioni i più meritevoli. In campo sociale intervenne per diminuire le pene per i condannati politici e si spinse verso nuovi metodi di amministrazione delle carceri, cercando di migliorarne le condizioni dei detenuti e applicando, per la prima volta, i principi della scuola positiva penale per il recupero dei malviventi. In politica estera Ferdinando cercò di mantenere il Regno fuori dalle sfere di influenza delle potenze dell'epoca: "la sua parola d'ordine era «Indipendenza»". Tale indirizzo era concretamente perseguito pur favorendo l'iniziativa straniera nel Regno, ma sempre in un'ottica di acquisizione di conoscenze tecnologiche che consentissero, in tempi relativamente brevi, l'affrancamento da Francia ed Inghilterra; il che rese il sovrano (ed il Regno) inviso a queste grandi potenze europee e politicamente isolato. Nel campo economico, infine, bisogna sottolineare il notevole sforzo industriale sostenuto con Ferdinando II, che permise di pareggiare il confronto con gli altri stati europei. Svariati furono anche i primati registrati sotto il suo regno: la prima ferrovia (Napoli-Portici, inaugurata nel 1839), il primo faro lenticolare d'Italia, la prima illuminazione a gas in Italia (1839) il primo esperimento di illuminazione elettrica delle strade. Sotto il Regno di Ferdinando II fu istituito inoltre il primo osservatorio vulcanico e sismologico del mondo, l'Osservatorio Vesuviano (1841), di cui fu direttore dal 1854 il fisico Luigi Palmieri, inventore tra l'altro del sismografo elettromagnetico. Va bensì esplicitato che nel 1816 il Governo britannico si era fatto concedere da Ferdinando I il monopolio dello sfruttamento dello zolfo siciliano[21] (il 90% della produzione mondiale[22]) dietro un pagamento quasi irrisorio. Va ricordato che lo zolfo era una materia d'importanza strategica, con la quale si produceva la polvere da
sparo e l'acido solforico; detenere il suo monopolio significava dominare una fonte essenziale per la guerra e l'industria del tempo. Ferdinando II, deciso a ridurre la tassazione attraverso l'abolizione della tassa sul macinato, gabella invisa alle classi disagiate, decise di affidare il monopolio ad una società francese che concedeva un pagamento più che doppio rispetto all'Inghilterra: questa misura innescò la cosiddetta "questione degli zolfi". Parlmerston (Palmerston, infatti, avrebbe appoggiato la conquista delle Due Sicilie dopo aver perso il monopolio gestionale del zolfo di Sicilia, di proprietà del Regno borbonico dal 1816. Benché patrimonio dello stato, lo zolfo era gestito dal governo inglese ma i Borboni decisero di affidare la funzione ad una ditta francese, dato che i francesi offrirono almeno il doppio per acquistare la risorsa rispetto agli inglesi, i quali lo compravano a basso costo per rivenderlo a prezzi elevati. Il rischio della perdita del controllo dello zolfo siciliano portò all'incrinazione dei rapporti commerciali tra inglesi e borbonici, arrivando ad inasprire i rapporti, al termine dello scontro diplomatico gli inglesi riebbero il monopolio del commercio dello zolfo siciliano ed il regno borbonico ebbe l'obbligo di rifondere agli inglesi le perdite che sostenevano di aver avuto causa la rescissione del contratto, e di rimborsare ai francesi il mancato guadagno derivante dall'annullamento del nuovo accordo) Secondo gli storici filo borbonici il governo Palmerston finanziò la spedizione dei Mille di Garibaldi con 3 milioni di franchi francesi[36], gli stessi enfatizzano che lo stesso Garibaldi, in un incontro pubblico a Londra, dichiarò che senza l'aiuto del governo inglese, non avrebbe mai potuto passare lo stretto di Messina.[37]
mandò subito una flotta militare davanti al Golfo di Napoli, minacciando di bombardare la città. Ferdinando II tenne duro, preparando flotta (all'epoca assai potente) ed esercito alla guerra. La guerra fu sfiorata con l'intervento di Luigi Filippo Re dei Francesi: il Re dovette rimborsare sia gli inglesi che i francesi per il presunto danno arrecato. «
Frugale, laborioso, sollecito, niente a giuoco, niente a
cacce, nè a corse o a feste avea pensiero; tutto al governo. Niuno negherà essere splendido il suo primo decennio. Pace profonda, quiete e sicurezza, libertà civile, prosperità molta. Brevemente si costruirono lazzaretti, case di bagni minerali, prigioni
col
sistema
penitenziario,
scuole
per
sordomuti,
ospizii ed asili per indigenti e orfanelli e reietti e folli, porti a Catania, a Marsala, a Mazzara, e moli a Terranova e a Girgenti; s'istituirono consigli edilizii, monti pecuniarii e
frumentarii,
compagnie
di
Pompieri,
opificii,
nuove
accademie, nuove cattedre all'università, nuovi collegi, nuovi licei. Si bonificavan terre paludose, si davano alla coltura terre boscose, si facevan ponti di ferro e di fabbrica su' fiumi, fanali a gas, ed ogni novella invenzione qui primamente in Italia era attuata. Si stipulavan trattati di commercio, si creavan
guardie
civiche
per
Napoli
e
per
le
provincie,
e
guardie d'onore a cavallo. Que' dieci anni fur benedetti anche ne' campi. Ubertose messi, mercati grassi, miti prezzi, comune l'agiatezza; un movimento d'industria, un crescer di popolazione, un incremento di tutte cose buone; sicché non credo il reame avesse tempi più gai e lieti di quelli. » (Giacinto De Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861 )
Il regno, però, fu nuovamente scosso da una rivoluzione indipendentista siciliana nel 1848 Il Re cercò di arginare le richieste liberali concedendo la Costituzione, per primo in Italia, con regio decreto del 29 gennaio, Concessa la Costituzione Ferdinando II, avallando le richieste del nuovo governo, si fece inoltre promotore di grandi riforme di stampo schiettamente liberale, destinate purtroppo a rimanere solo sulla carta in seguito al precipitare degli eventi. Tra le molte riforme progettate dal governo costituzionale si ricorda ad esempio quella della Pubblica Istruzione, che venne affidata dal Re a Francesco De Sanctis. A seguito dei moti in Sicilia, il 25 marzo del 1848, si riunì il Parlamento Generale di Sicilia, con un governo rivoluzionario presieduto da Ruggero Settimo e composto da ministri eletti dallo stesso presidente che proclamò l'indipendenza dell'isola. All'ottimismo tuttavia seguì ben presto la disillusione; le forze politiche in coalizione apparvero infatti assai in contrasto: vi era nutrita presenza di liberali moderati, contrapposta a democratici e a qualche mazziniano. I campi che accesero la miccia delle rivalità furono soprattutto l'istituzione di una Guardia Nazionale e del suffragio universale, entrambe sostenute soprattutto da Pasquale Calvi, membro democratico del governo. Scarse prese di posizione vi erano soprattutto su che linea di comportamento intraprendere verso il governo di Napoli e la
possibilità di prendere o meno parte alla formazione dello Stato Italiano, quest'ultima sostenuta solo dalla minoranza mazziniana. Intanto, nonostante l'appoggio concreto delle città siciliane al governo provvisorio di Settimo, le aree rurali divennero scarsamente controllate, e agitazioni contadine misero in serie difficoltà le amministrazioni locali. Le elezioni nel Regno delle Due Sicilie costituzionale si tennero nel mese di aprile, ma il superamento di questa grave fase non pose termine a una disputa fra il Sovrano, che considerava la Costituzione appena concessa come base del nuovo ordinamento rappresentativo, e la parte più radicale dei neoeletti che, al contrario, intendeva "svolgerla" - come si diceva con terminologia apparentemente neutra - ovvero il primo atto del Parlamento sarebbe dovuto essere la modifica della Costituzione appena promulgata. Il 15 maggio 1848, il giorno successivo all'apertura della Camera, ci furono clamorose manifestazioni da parte dei deputati costituzionali (ed in particolare di quelli repubblicani). Fu quello il giorno decisivo per le sorti della Costituzione delle Due Sicilie: si ebbero a Napoli sbarramenti delle vie cittadine (in specie quelle prossime alla Reggia) con barricate da cui partirono fucilate in direzione dei reparti schierati. Questi disordini determinarono l'inevitabile reazione regia e quindi il fatale scioglimento della Camera da parte di Ferdinando II. Un mese dopo, il 15 giugno, si tennero nuove elezioni ma gli eletti furono in gran parte quelli della passata elezione. Dopo la prima seduta, la riapertura della Camera fu rinviata diverse volte di mese in mese fino al 12 marzo 1849, quando fu riaggiornata "a tempo indeterminato". La dura repressione borbonica dell'estate del 1849, contro un governo provvisorio ormai instabile, decretava la fine dell'esperienza del 1848-1849 e la creazione di una frattura quasi insanabile tra la classe politica siciliana e quella napoletana. Anche se non vi fu una formale revoca della Costituzione, ma una sua "sospensione" a tempo indeterminato, dopo la ribellione siciliana Ferdinando II non intraprese più una riforma costituzionale del Regno. Anche in questo caso vi fu un seguito di processi e condanne, tra cui quelle di Luigi Settembrini illustre figura di filosofo ed educatore, già autore dalla Protesta del popolo delle Due Sicilie, Filippo Agresti e Silvio Spaventa. Al ristabilimento dell'assolutismo
seguì una dura repressione del movimento liberale ed il soffocamento dei tentativi insurrezionali . . Ferdinando II morì il 22 maggio 1859 a soli 49 anni in seguito ad una dolorosissima setticemia le cui cause sono tuttora controverse. Egli infatti fu colpito da un'infiammazione all'inguine durante il viaggio da Napoli a Bari per accogliere la giovane sposa del Duca di Calabria; questa infiammazione però non fu curata per tempo e gli ultimi tentativi di salvargli la vita avvennero ormai in fase avanzata di setticemia, dopo un travagliato viaggio per mare da Bari a Napoli. La reazione assolutistica, intrapresa da Ferdinando II per ristabilire l'ordine nel reame dopo i fatti del 1848, inaugurò nel Regno delle Due Sicilie quello che fu definito come un vero e proprio "decennio di immobilismo". Questo decennio fu caratterizzato da un crescente isolamento del reame da parte delle potenze straniere, specialmente quelle a cui faceva capo il Regno Unito, e da una "cristallizzazione" delle istituzioni borboniche su standard reazionari. Ferdinando II, convinto di dover conservare l'assolutismo, di fatto si rese responsabile dell'esodo di un'intera generazione di intellettuali e militari, a cui i campi di battaglia della prima guerra d'indipendenza, e le riforme intraviste nel 1848, avevano impresso un'indelebile volontà riformista ed innovatrice. Questa generazione, delusa dalla mancata svolta costituzionale del regno e dalla reazione ferdinandea, trovò un'accettabile valvola di sfogo nella capitale del Regno di Sardegna, Torino, stato che invece dopo il 1848 aveva conservato il proprio "Statuto Albertino". Il consolidamento di una sorta di monarchia costituzionale in Piemonte al contrario aveva inaugurato nel reame sabaudo un "decennio di preparazione", che vide il Regno dei Savoia come unico punto di riferimento in Italia per la generazione votata alla "causa nazionale". Il decennio 1849-1859 fu quindi decisivo per i successivi avvenimenti che portarono alla conquista delle Due Sicilie nel 1860: il regno borbonico, ormai isolato diplomaticamente e dotato di una classe dirigente invecchiata e conservatrice, doveva confrontarsi in Italia con il reame dei Savoia, diplomaticamente favorito e dotato
delle energie morali e politiche che avevano abbandonato il Regno delle Due Sicilie. Il nuovo sovrano delle Due Sicilie, Francesco II, era ben consapevole di dover imprimere una rapida svolta al regno per recuperare il tempo perduto, ma suo malgrado fu costretto a gestire una crisi imprevedibile.
Francesco II e la fine del Regno
Da "Scienze delle Finanze" di Francesco Saverio Nitti (Pierro, 1903)scopriamo che le monete degli antichi Stati Italiani al momento dell'annessione ammontavano a circa 669 milioni, di cui ben 443 milioni appartenevano al Regno delle Due Sicilie (il Banco di Napoli poteva vantare la più grande raccolta di denaro pubblico) e i restanti 226 milioni erano ripartiti fra: il regno di Sardegna, Lombardia, Ducato di Modena, Parma e Piacenza, Roma, Romagna Marche e Umbria, Toscana, Venezia. Come dire che nel Regno dei Borbone c'erano il doppio dei soldi che nel resto d'Italia.
Persino la Borsa di Parigi, allora la più grande del mondo, quotava la Rendita dello Stato napoletano al 120 per cento, ossia la più alta di tutta l'Europa. Camillo Benso Conte di Cavour sapeva che il Piemonte era alla bancarotta (bisognava pagare i debiti di guerra con la Francia) e non c'erano più soldi per pagare questa guerra; Al Piemonte interessava la conquista delle ricchezze del Sud, delle sue riserve auree (guarda caso custodite presso il Banco di Napoli, che oggi viene annesso al San Paolo IMI di Torino), delle sue fabbriche.
Il 13 febbraio 1861 è una data che ogni Meridionale dovrebbe memorizzare, perché è da allora che i vincitori spudoratamente scrivono e fanno studiare tutto il brutto possibile dei Meridionali: brigante, fannullone, codardo, infingardo, avvezzo al bacco, tabacco e venere, stupratore, traditore e quant'altro ancora oggi ci portiamo appiccicato addosso.
Dopo il 13 febbraio 1861 il civilissimo e laborioso Mezzogiorno d'Italia, patria di Pitagora, Archimede e Cicerone, di Tommaso
Campanella e Giordano Bruno, di Giovanni Caboto ed Ettore Fieramosca, di colpo, diventò primitivo e barbaro agli occhi del resto d'Italia e del Mondo.