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Valtellina e Grigioni

Ponte in Valtellina, Cerere e il suo Astronomo Maximo

di Gian Enrico Ghilotti foto Archivio Geographica

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Non c’è Comune o paese, grande o piccolo che sia, che non abbia un monumento. Solitamente se ne sta lì, in una piazza o all’inizio di una via, per far onore ad un personaggio che in qualche modo, perché nato o perché solo transitato in quel luogo, a quel paese ed alla sua gente ne abbia dato lustro, oppure ne abbia salvato i destini. Proprio per questo Ponte in Valtellina non smentisce l’aspettativa dei suoi visitatori e, ovviamente, nemmeno quella dei suoi cittadini. Nella piccola piazza di questo aristocratico paese, culla di tante casate nobiliari e di altrettante dimore che ne testimoniano la storia, lateralmente alla quattrocentesca facciata della chiesa dedicata a S. Maurizio, una grande statua ritrae, nell’immobilità marmorea, un uomo. Se ne sta lì dal 1871, in statica posa con il suo abito lungo, clericale, tenendo un carteggio tra le mani. Il viso scruta il cielo, ma non è un Santo, come il luogo dove l’hanno collocato, la chiesa che gli sta a fianco e l’estasi celeste del suo sguardo farebbero pensare. Ovviamente di quell’immobile signore, i posteri ne hanno scritto l’identità, incidendola sul piedistallo, comprese le ragioni per cui lui se ne stia proprio lì. E allora si scopre che quel signore che ci sta ritto davanti, nell’acciottolata Piazza Luini di Ponte in Valtellina, si chiamava Giuseppe Piazzi, di professione astronomo. Per esser precisi e per non offenderne la memoria, sul suo piedistallo sta scritto: “Giuseppe Piazzi, scopritore di Cerere Ferdinadea, che aperte nuove vie alla speculazione dei cieli, descriveva in dotti volumi le stelle fisse. Fondatore dell’Osservatorio di Palermo e di Napoli, illustrava le nobili tradizioni della scienza italica. La dotta Europa acclama astronomo massimo e l’Italia, splendida gloria della nazione.” La distanza tra Ponte e Palermo, in linea d’aria è di 945 chilometri e nel 1700 non era certo meno. Allora come mai quel signore che ci sovrasta dal piedistallo, da qui è finito a Palermo? Giuseppe Piazzi a Ponte in Valtellina c’era nato l’11 luglio 1746. La sua famiglia aveva aristocratiche origini ed era una delle poche che in quel secolo governavano, grazie ai possedimenti terrieri, i paesi più soleggiati della valle dell’Adda. Giuseppe era il penultimo di dieci fratelli. Nascere allora, pur se nelle culle di facoltose casate, non era certo una garanzia di vita. Il piccolo Giuseppe era gracile, tanto che, registrandone il battesimo sui registri parrocchiali, il curato di allora ne apostrofò la nascita scrivendovi la dubitativa frase “ab imminens vitae periculum”. Forse anche per questa sua gracilità, suo padre Bernardo lo indirizzò alla carriera ecclesiastica. Era consuetudine a quel tempo per le nobili casate di affidare almeno un figlio al servizio della Chiesa. Un prelato o una figlia consacrata, in quei secoli, dove per farsi valere non si andava certo per il sottile, poteva far comodo per chiedere misericordia all’Onnipotente. Oltretutto il giovane Piazzi restò orfano della mamma a soli sette anni. Visto che il destino del piccolo Giuseppe era quello di indossare la tonaca, sale in carrozza e lascia Ponte nel 1757. Aveva solo undici anni e, dopo un primo veloce ingresso nel Seminario di Como, varca a Milano la soglia di un collegio retto dai Padri Teatini. Di quell’ordine diventerà chierico a diciotto anni. Tra preghiere, levatacce e penitenze, il giovane Piazzi frequenta in Brera la scuola dei Gesuiti. Come maestro ha un tale Gerolamo Tiraboschi, allora famoso autore di una poderosa “Storia della Letteratura Italiana”. Questo incontro non è che il primo di una fortunata serie. In verità l’approdo di Giuseppe tra le costellazioni era allora ancora di là da venire. Da Milano viene mandato a Torino a studiare filosofia. Ai suoi tempi le scienze matematiche e naturali rientravano tra le dottrine filosofiche. Probabilmente questo tipo di studi lo annoia e la sua mente matematica inizia a scalpitare. L’incontro con un padre della fisica come Giovan Battista Beccaria, gli indirizza sguardo e mente e, dalle domande filosofiche, il giovane chierico inizia a porsi quelle concrete sul divenire dell’Universo. É la strada che poterà Giuseppe Piazzi a diventare uno scienziato. Dovrà però arrivare a Roma nel 1768 per confermare questa sua predisposizione verso le discipline matematiche, diventando allievo di Francois Jaquier, autore della prima opera commentata dei “Principia” di Newton. Se da un lato la fisica lo reclamava, dall’altro l’Ordine dei Teatini non voleva certo perdere i dotti servigi di docenza filosofica del loro confratello. Lo mandano a Genova ad insegnare filosofia e il caparbio Giuseppe, tra un calcolo e l’altro, riesce pure a farsi ordinare sacerdote. La mente dell’uomo è però figlia dell’intransigenza dei numeri e, trattando anche di filosofia, finisce con sostenere tesi che si scontrano con la dottrina Scolastica. I Domenicani non gradiscono e Piazzi rischia grosso, finendo quasi accusato di eresia. I padri dal bianco saio non sanno però che, per averla vinta su quel padre Teatino, irrobustitosi con i gesuitici studi, ben altre tesi ci vogliono e decidono di lasciarlo vagare nel numerico universo dei suoi studi. I numeri non spaventavano certo lo studioso padre Piazzi e, a dire il vero, nemmeno le miglia nautiche, tanto che, nel 1772, Giuseppe accetta l’incarico di titolare della cattedra di matematica presso l’Università di Malta. Ormai le montagne che lo hanno visto nascere sono lontane e l’aria ed i cieli del Mediterraneo lo reclamano. Sono per Piazzi anni con il bagaglio sempre pronto. Ai suoi tempi ogni spostamento ed ogni viaggio non erano certo facili. Si sapeva quando partire, ma l’arrivo non era una certezza. Non solo per i tempi di percorrenza ma, soprattutto, per riuscire ad arrivare a destinazione sani e salvi. Dopo Malta, va a Roma, poi a Ravenna, Cremona, Venezia e, tornato nella città dei Papi, come docente nel collegio del suo Ordine monastico, si ritrova al fianco di Barnaba Chiaramonti, che nel 1800 salirà al soglio di Pietro diventando Papa Pio VII. Nel 1781 finalmente approda a Palermo dove accetta l‘incarico dell’Accademia dei Regi Studi, come titolare della cattedra di calcolo sublime. Tuttavia per Piazzi i viaggi non erano certo finiti tra il profumo degli aranceti. Gli accademici palermitani, ben consci di avere tra loro un asso da giocare bene sulla scena dell’Europa di allora, sia scientifica che politica, nel febbraio 1787 lo mandano ad approfondire le scienze astronomiche, prima a Parigi e poi a Londra. Nella capitale francese e tra i corridoi di Versailles, Piazzi ci sta pochi mesi. Sufficienti per i suoi studi e per conoscere astronomi del calibro di Lagrange e Laplace. A settembre dello stesso anno varca la Manica e arriva a Londra. Nel suo bagaglio di viaggio porta l’incarico di determinare esattamente la differenza di longitudine tra i meridiani di Greenwich e Parigi. Passerà solo una anno e scriverà nelle pagine dei Philosophical Transactions un suo articolo sull’eclissi di Sole del 3 giugno 1788, osservata proprio a Greenwich insieme all’Astronomo Reale Sir Maskelyne, artefice della scoperta di Urano. Era in bella compagnia! Fu proprio a Londra che Piazzi strinse una relazione che risulterà determinante per la sua grande scoperta astronomica di qualche anno dopo. Non fu però con altri grandi studiosi, che di certo non mancavano, ma con un tecnico. Un tale Ramsden, un ottico, al quale Piazzi commissionò, pagando 1000 sterline, la costruzione di un grande cerchio verticale graduato, completo di tanto di telescopio acromatico. Il meglio sulla piazza per quei tempi. La lungimiranza di Piazzi non passò certo inosservata e i doganieri del londinese Ufficio delle Longitudini non ne volevano sapere che l’italiano si portasse a casa il prezioso strumento. Poco importava che l’avesse pagato di tasca propria. Ciò che era fatto sulle rive del Tamigi, su quelle reali sponde doveva restare. Ma ai burocrati forse sfuggiva che Piazzi era già allora assai stimato e per assecondarne i desideri ci si mise di mezzo anche la diplomazia e il prezioso strumento venne finalmente imballato e spedito alla volta di Napoli e poi di Palermo. Imbarcato il prezioso carico, Giuseppe se ne va a Parigi. É l’agosto del 1789 e sulle rive della Senna, più delle stelle cadenti, cadono le teste. L’astronomo se ne scappa, prima a Milano e poi, finalmente, arriva a Palermo. Il suo arrivo era atteso, tant’è che non passa un anno che Re Ferdinando di Borbone mette il denaro per la costruzione dell’Osservatorio Astronomico e, per collocarlo al meglio, concede niente meno che una torre del proprio palazzo. L’illuminato sovrano aveva capito che Palermo poteva diventare il punto astronomico più meridionale dell’Europa e quei suoi 38° di latitudine, uniti al clima stabile, erano una benedizione divina. Sta di fatto che Piazzi, coadiuvato dal fedelissimo aiutante Nicolò Cacciatore, inizia subito il lavoro che lo porterà a redigere il “Praecipuarum Stellare”. Un Catalogo Stellare che censirà ben 7646 stelle. Il 1700 con tutto il suo fardello rivoluzionario era ormai un ricordo e l’Ottocento si avviava a concludere il suo primo anno d’età. Tutti avevano festeggiato e brindato. Tutti, forse, ma non Piazzi, al quale tali frivolezze non interessavano di certo. Il primo giorno del primo anno del secolo si stava per chiudere, la serata palermitana era fresca. Come tutte le sere, Piazzi salì i gradini di una delle due rampe semicircolari che lo avrebbero portato in cima all’alta Torre Pisana del Palazzo dei Normanni, entrò nella grande sala circolare, ornata da otto colonne in marmo di Carrara, poste ad indicare le punte della rosa dei venti e vi trovò ad attenderlo l’amato strumento circolare, portato fin lassù dall’Inghilterra. Si posizionò al telescopio e iniziò la sua serale osservazione. Era una notte di Luna piena, quanto di peggiore possa capitare ad un astronomo che osserva il cielo e, pur se romantica e pallida, la sua luce disturbava ogni altra possibile osservazione. Altri avrebbero distolto lo sguardo dall’oculare del telescopio e sarebbero andati dritti e filati sotto le coperte. Piazzi no. Erano le 8.43 della sera del 1 gennaio 1801 e Giuseppe, scrutando il cielo, si accorse di una stellina di ottava magnitudine in moto lungo l’eclittica. Non se ne stava fissa nel cielo, accoccolata sulla spalla della costellazione del Toro, ma si muoveva. Giuseppe pensò subito ad una nuova cometa, ma guardando bene non vi era alcun strascico luminoso. Giuseppe se ne rese conto. Si commosse e gridò: Una scoperta! Una scoperta!. Aveva scoperto l’ottavo pianeta del sistema solare. Il primo asteroide mai osservato. Lo chiamò Cerere, come la dea romana dell’agricoltura e del raccolto e al latino nome aggiunse l’aggettivo di Ferdinadea, in onore al sovrano che in lui aveva creduto. Lo stesso Re gliene fu grato e fece subito coniare in suo onore una moneta, lo nominò direttore anche dell’Osservatorio Astronomico di Napoli, ed aggiunse una lauta pensione per il suo suddito-scienziato. La scoperta di Giuseppe Piazzi ebbe rinomanza internazionale e con tutte le ragioni. Già Keplero alla fine del 1500 non si dava pace nel dover accettare che non vi fosse alcun pia-neta tra le orbite di Marte e Giove. Piazzi, trecento anni dopo, primo fra tutti, gli aveva dato una ri-sposta. Fu così che l’allora mondo deIla scienza lo acclamò, seduta stante, Astronomo Maximo. Nella sua vita, tornò a Ponte in Valtellina una volta sola. Amava troppo la Sicilia, ma ahimè morì a Napoli il 22 luglio del 1826. Aveva da pochi giorni compiuto ottant’anni. Sulla piccola piazza di Ponte in Valtellina, alle spalle del monumento a Piazzi, in uno storico palazzo ha sede l’Associazione Astrofili Valtellinesi. Ai suoi entusiasti componenti è affidata la gestione dell’Osservatorio Astronomico di Ponte, naturalmente dedicato al loro illustre paesano. Vi organizzano serate di celesti osservazioni, gite scolastiche e perfino pernottamenti, ovviamente con il naso all’insù. Sono passati 222 anni da quella notte palermitana e Piazzi può stare tranquillo. La Nasa tiene la sua scoperta sotto stretta osservazione. Dal 2015 la sonda spaziale Dawn se ne sta lassù, in orbita fissa, proprio attorno a Cerere.

A sinistra, chiesa di S.Maurizio, lunetta di Bernardino Luini. On the left, church of San Maurizio, lunette by Bernardino Luini.

Nella pagina precedente, monumento a Giuseppe Piazzi (opera di Costantino Corti - 1871); in questa pagina, ritratto di Giuseppe Piazzi - Comune di Ponte in Valtellina - Sala del Sindaco

On the previous page, monument to Giuseppe Piazzi (by Costantino Corti - 1871); on this page, portrait of Giuseppe Piazzi - Municipality of Ponte in Valtellina - Mayor's room

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