NOTIZIARIO DEL GRUPPO DI MAGISTRATURA INDIPENDENTE
ANNO XXI - n. 1 - MAGGIO-GIUGNO 2011
www.magistraturaindipendente.it IN QUESTO NUMERO:
2 3 3 4
PERCHÈ SFOGLIARE MI Intervista a STEFANO SCHIRO’
LA CARICA DEI 300 GIOVANI TOGATI di DANILO MAFFA
RITORNO AL REALE di DOMENICO AIROMA
IL PROGETTO NAZIONALE: “DIFFUSIONE DI BEST PRACTICES NEGLI UFFICI GIUDIZIARI ITALIANI di LOREDANA MICCICHÈ
5 6 7 8 9 10 11 12 13 14
RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO CIVILE. UNA PROPOSTA di ANNA MARIA GIORGETTI
L’INDIPENDENZA INTERNA DELLA MAGISTRATURA E ANM di ANDREA REALE
FONDAMENTI DEL POTERE GIUDIZIARIO: AUTONOMIA E APOLITICITA’ di EDOARDO CILENTI
IL SISTEMA GIUDIZIARIO ITALIANO: QUALCHE CONFRONTO di PIERCAMILLO DAVIGO
NON (SOLO) UNA QUESTIONE ECONOMICA di ALDO MORGIGNI
INGROIA, CASCINI E IL TRAMBUSTO CHE NON AIUTA I MAGISTRATI di GIUSEPPE PAVICH
LA GIUSTIZIA TRICOLORE HA BISOGNO DI REALISMO di ANGELANTONIO RACANELLI
SUPERIAMO LA GIUSTIZIA DEI SAVOIA di ALESSANDRO PEPE
A PROPOSITO DI SEZIONE DISCIPLINARE E PRATICHE A TUTELA di TOMMASO VIRGA
RESPONSABILITA’ DISCIPLINARE DA RITARDO: PERICOLOSA DERIVA COLPEVOLISTA di GIUSEPPE MARRA
15 16 16
LABORATORIO SALERNO di MARIO PAGANO
I MAGISTRATI DI FRONTE ALLA RIFORMA di LORENZO PONTECORVO
WWW di GIUSEPPE CORASANITI
Magistratura indipendente – testata registrata in tribunale. Aut. Tribunale di Roma, n.50 del 31.01.1989. Direttore responsabile: Mario Cicala Vice direttore: Domenico Airoma Poste italiane spa – spedizione in abbonamento postale – d.l. 353/2003 convertito in legge 27.02.2004, n.46 art. 1 comma 2 – dcb Roma.
INDIPENDENTI
e aperti
di COSIMO MARIA FERRI Segretario generale Magistratura indipendente Sento il peso e la responsabilità di aver assunto magistrati. Per questo motivo questa nostra questo incarico di segretario di Magistratura pubblicazione sarà aperta a tutti coloro Indipendente in un momento così delicato. che hanno un’opinione da esprimere Delicato per i riflettori costantemente accesi o un’idea da proporre a prescindere dal fatsulla magistratura a causa del particolare mo- to che siano iscritti o meno, perché siamo mento politico, sociale ed economico in cui profondamente convinti dell’importanza del ci troviamo; delicato per le ormai imminenti dialogo e del confronto, ancora più oggi, in consultazioni elettorali che si svolgeranno a un momento in cui per queste due parole novembre. Credo, però, che proprio per que- sembra non esservi più spazio. Dobbiamo sto sia più che fondamentale affermare arrivare al rinnovo del Cdc dell’Anm e diffondere i valori per i quali M.I. è trasmettendo l’idea di una magistratura nata e si è radicata nel tempo. Sono del re- che riacquisti fiducia in se stessa. In vista sto gli stessi valori che hanno caratterizzato di questo appuntamento occorre rilanciare la nostra azione, la nostra idea di magistratura, alcuni temi forti in cui crediamo conrispetto a quella delle altre correnti.Valori per vintamente e che ci hanno consentito di i quali abbiamo lottato anche scontrandoci essere a nostra volta credibili nella proposta in modo fermo ma corretto con la politica e verso tanti colleghi. Penso alle riforme che con la Giunta dell’Anm, tanto da essere mes- realmente possono migliorare il sistema giusi in ombra. I successi elettorali che abbiamo stizia e penso anche alle questioni econocostantemente conseguito negli ultimi anni miche legate al funzionamento degli uffici hanno però indubbiamente dimostrato che oltre che alla professionalità del magistraquesta coerenza è apprezzata. Oggi più che to. La nostra posizione è ben nota, essendo mai non dobbiamo perderci, dobbiamo stata manifestata in più di un’occasione, ma continuare a veicolare le nostre idee sull’auto- auspichiamo di poter contare anche sul connomia e sull’indipendenza della magistratura tributo di idee che potranno, attraverso quecome garanzia della libertà e dei diritti dei ste colonne, arricchire un confronto che deve cittadini. Per questo con fermezza abbiamo rimanere aperto. Vogliamo far camminare la espresso in tutte le sedi la nostra contrarietà giustizia? Magistratura indipendente chiedeagli ultimi progetti di riforma costituzionale rà alla politica ma anche al Csm, secondo le della giustizia che non solo colpiscono la ma- rispettive competenze, di difendere la dignità gistratura ma che non risolvono i problemi professionale del magistrato, la sua indipennodali del servizio giustizia. Per rafforza- denza esterna ed interna, di individuare carire questa forte volontà abbiamo dato chi di lavoro sostenibili e che consentano di alle stampe questo primo numero di dare al cittadino in tempi rapidi una risposta “Magistratura indipendente” del 2011: di qualità, di rivedere gli organici in relazione con la speranza che sia un ulteriore vei- alle effettive esigenze e di potenziare l’efficolo di contatto fra di noi, ma anche un cienza degli uffici giudiziari. A queste buone mezzo per far conoscere le nostre idee idee potranno aggiungersene altre, di nuovi all’esterno, soprattutto ai giovani colleghi e colleghi che intendano offrire il proprio punai tanti magistrati delusi, ogni giorno di to di vista nel segno del rinnovamento. Già più, dalla conduzione dell’associazione ma- in questa edizione della rivista ospigistrati e delle singole correnti. Noi siamo tiamo l’intervento di colleghi che, pur anzitutto Magistrati Indipendenti. In- non appartenendo a M.I., condividono dipendenti dai partiti, dagli “umori” le nostre preoccupazioni e speranze per della stessa pubblica opinione, oltre che il futuro del sistema giustizia, ma è solo dalle logiche che, per le degenerazioni l’inizio perché le porte di Magistratura del correntismo, portano alla limita- indipendente sono e devono rimanere zione della libera espressione di essere sempre aperte!
Perché “sfogliare” Mi Intervista di STEFANO SCHIRO’ Presidente di Magistratura Indipendente
Presidente schirò, perché sfogliare la rivista di magistratura indipendente? Perché Magistratura indipendente ha da tempo intrapreso una linea associativa diversa dalle altre, fuori dal coro delle proteste meramente ideologiche, concentrata sulla difesa dei valori costituzionali e dello status professionale dei magistrati. Ovvero? Ovvero sulla difesa dell’assetto e delle funzioni della magistratura, spostando il baricentro del confronto sui problemi concreti della giustizia. Vogliamo in pratica una politica di riforme processuali e strutturali capaci di porre i colleghi nelle condizioni di operare al meglio e di poter essere valutati come meritano dall’opinione pubblica. Siamo arrivati al paradosso per il quale i magistrati italiani lavorano di più e meglio di altri colleghi europei ma proprio nel nostro Paese non godono della fiducia dei cittadini!
miglioramenti al sistema giustizia ma servono soltanto a regolare una partita che si svolge al loro interno, prendendo in prestito il campo da gioco della giustizia. Deve essere chiaro a tutti che sulla testa dei cittadini, sulle spalle della magistratura e del foro, si consuma in maniera inammissibile uno scontro i cui veri obiettivi sono totalmente estranei all’interesse di una giustizia giusta. Naturalmente anche l’Anm ha le sue responsabilità.
L’Anm? E che c’entra l’Anm? C’entra eccome! In primo luogo l’ANM non ha creato le condizioni per un coinvolgimento di tutti i colleghi associati nell’individuazione di un programma di riforme possibili e nella formulazione di una strategia idonea a denunciare la situazione di crisi del sistema giustizia e di sordità del sistema politico. Così facendo la maggioranza dell’Anm continua a mantenere un ruolo che è proprio invece di un soggetto politico, compromettendo agli occhi dell’opinione pubblica la fondamentale caratteristica Quindi? Quindi, visto che da tempo si propone di terzietà della magistratura e di sua con insistenza la riforma della giustizia, estraneità alle contrapposizioni politiqualunque tentativo di modificare gli che. Intendiamoci: la denuncia degli assetti esistenti dovrà passare necessa- errori contenuti nelle proposte di riamente attraverso un coinvolgimento riforma che il governo intende pieno della magistratura e un rilancio portare avanti deve essere ferma. del suo complessivo status professionale. Ma bisogna sottrarsi alla tentazioContestiamo alla politica l’incapa- ne, che sembra ancora affascinare cità di comprendere le vere ragioni qualche esponente dell’ANM, di dell’inefficienza del sistema giudi- alimentare con atteggiamenti ziario, legate a inadeguatezze pro- oltranzisti il dannoso clima di cessuali e a insufficienti condizioni scontro e confusione che si sta strutturali, a regole organizzative vivendo e che si ritorce sulla non adeguate alle esigenze di una credibilità stessa dell’azione società moderna. Le forze politiche della magistratura. Dunque dedicano tutta la loro attenzione ad una denuncia ferma e difesa convindialettica sterile, quando non ad una ta del ruolo della magistratura contrapposizione inusitata, e finiscono nell’attuale assetto costituzionale poi coll’assumere iniziative legislative sì, ma senza invasioni di caminefficaci, che non portano comunque po o ingerenze. Rispettare la
2
dialettica che il Parlamento ha il diritto di poter sviluppare, significa anche attribuire a tale organo costituzionale le necessarie e dovute responsabilità delle proprie scelte di fronte all’opinione pubblica.
E le condizioni di lavoro che spazio hanno in questa posizione? Siamo convinti che la difesa dei principi di indipendenza e autonomia della magistratura passi anche per la tutela dello status professionale, in quanto indipendenza e autonomia della magistratura e dignità dello status professionale sono valori complementari, che la magistratura associata deve perseguire contestualmente, riacquistando necessariamente nei confronti dell’opinione pubblica quelle caratteristiche di terzietà e di credibilità che discendono anche dal doveroso rispetto delle regole di bilanciamento tra i diversi poteri dello Stato. Sfogliando Magistratura indipendente si trovano le risposte agli interrogativi che da troppi anni si sovrappongono sul tema dell’efficiente funzionamento della giustizia italiana.
ANNO XXI - n. 1 - MAGGIO-GIUGNO 2011
La carica dei 300 giovani togati di DANILO MAFFA Giudice Tribunale Barcellona Pozzo di Gotto E così alla fine il fatidico momento è quasi arrivato. Lo abbiamo atteso per un anno e mezzo, con l’ansia di chi non vede l’ora di dare il suo contributo concreto alla società, ma anche con la giusta dose di timore di chi è ben consapevole del delicato ruolo che si appresta a svolgere, soprattutto in un periodo storico-istituzionale come quello attuale in cui lo scontro politico si sovrappone alla bagarre mediatica, e alla fine il magistrato è quello che ha (quasi) sempre torto. Tra aspettative finalmente soddisfatte e speranze frustrate, tra chi immaginava il Paese dei balocchi e chi ben conosceva la dura realtà che avrebbe affrontato, tra inattese abbreviazioni del tirocinio e notti trascorse a sfogliare fascicoli, dopo anni di studi e sacrifici la carica dei 300 (circa) si appresta a prendere possesso delle sedi di destinazione, distribuite su
tutto il territorio ed in trepidante attesa del nostro arrivo, nella consapevolezza che non siamo certo noi la soluzione agli annosi ed ormai cronici problemi della giustizia, ma almeno potremo dire di aver fatto il nostro dovere fornendo il contributo che ci si aspettava da noi. Senza alcun trionfalismo, ma senza neppure sottovalutare l’importanza del nostro apporto, facciamo ingresso nei tribunali e nelle procure ben sapendo quello che ci aspetta: pile di fascicoli, termini in scadenza (se non già scaduti), cancellerie semideserte, dotazioni informatiche insufficienti, scontri dialettici coi rappresentanti del Foro locale, intere giornate lontani dalle nostre famiglie… ma anche la certezza di poter finalmente assumere 300 ruoli da umili protagonisti delle vite altrui, pronti ad incidere sulla libertà e sulla vita quotidiana delle persone,
sui loro patrimoni e sui loro affetti, sempre guidati in ogni nostro provvedimento e comportamento dal senso di responsabilità che abbiamo via via sempre più acquisito e fatto nostro nel corso del tirocinio, indipendentemente da una legge che pretenda di mettere nero su bianco i limiti e le condizioni del nostro diritto-dovere di accusare, giudicare e – se del caso – condannare “in scienza e coscienza”. In definitiva: fare giustizia e garantire l’ordinato svolgimento della convivenza civile, consentendo agli “onesti” di vivere serenamente ed in condizioni di sicurezza, lavorare e guadagnarsi il pane quotidiano senza doversi abbandonare all’idea che la strada più facile è quella dell’illegalità, perché sono i “disonesti”, alla fine, a farla sempre franca. Non è per questo che lo Stato ci ha nominati magistrati.
RITORNO AL REALE di DOMENICO AIROMA Vice Direttore di Magistratura Indipendente i è un prezioso saggio di un autore francese del secolo scorso, Gustave Thibon, che –dinanzi al perdurare degli effetti delle ubriacature ideologiche- invitava a ritornare al reale, alla necessità di incarnare gli ideali misurandoli con la concretezza dei problemi che da sempre agitano gli uomini nel loro vivere sociale. Il comunicato con il quale Magistratura Indipendente ha invitato il Ministro della Giustizia a riproporre soluzioni normative che hanno dato buona prova nel fronteggiare le emergenze delle sedi giudiziarie disagiate, ha il sapore di un ritorno al reale. Dinanzi a chi si appella a riforme epocali della giustizia, a chi teme l’ennesimo colpo mortale alla giurisdizione, a chi denuncia la mancanza di legittimazione morale nel legislatore, il buon senso imponeva un salutare ritorno al reale. L’ideologica fiducia nella capacità taumaturgica di leggi scolpite senza preoccuparsi delle conseguenze (quasi che queste potessero contaminare la purezza dei principi) e senza tener conto degli uomini chiamate ad applicarle, ha creato, a voler tacer d’altro, magistrati inadatti, per statuto, a svolgere determinate funzioni, in particolare quelle monocratiche e requirenti; confidando in frotte di magistrati pronti a precipitarsi ad occupare i posti lasciati vuoti, per puro spirito di sacrificio. Il day after, il panorama giudiziario che si presentava per ef-
V
fetto di leggi e principi disincarnati, era ( e per certi aspetti, lo è tuttora) assai desolante, popolato di uffici semivuoti e dal respiro asfittico. Qualcuno ha aperto gli occhi e ha provato a porre rimedio. Per calcolo politico? Può darsi. In un’epoca di certezze relativistiche, qual è la nostra, non può che far bene coltivare il dubbio. Fatto è che quegli interventi correttivi prendevano atto della realtà: e cioè che bisognava in qualche modo incentivare la permanenza ed il trasferimento verso le sedi più disagiate di magistrati di esperienza e, nel contempo, non far mancare a quegli uffici l’apporto di energia delle giovani toghe. E gli effetti positivi si sono visti; sempre agli occhi di chi non ha rinunciato a vedere, poiché non accecato da ideologie e pregiudizi. Ora vi è qualcuno che, senza timore di passare per contaminatore delle battaglie di principio, richiama alla concretezza del reale, propone di non abbandonare una strada che ha posto di nuovo in comunicazione giudici e consociati, soprattutto laddove giustizia e consorzio sociale faticano a parlarsi. Vi è qualcuno che chiama, dunque. Vi è qualcuno che, si spera, risponda quanto prima all’appello. E vi è qualcun altro, in Associazione Magistrati, che tace.
3
IL PROGETTO NAZIONALE
“Diffusione di best practices negli uffici giudiziari italiani” di LOREDANA MICCICHÈ Direttore Ufficio I del Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria – Ministero della Giustizia Il Progetto nasce nel 2008 dall’idea di diffondere ad altri uffici giudiziari la positiva esperienza della Procura di Bolzano, che con la programmazione del Fondo Sociale 2000-2006 aveva realizzato un importante intervento di riorganizzazione dei processi lavorativi e di ottimizzazione delle risorse umane, finanziare e strumentali. Il Ministero della Giustizia, il Dipartimento per la Funzione Pubblica, le Regioni e le Province Autonome siglarono un Protocollo d’intesa per dare attuazione al progetto denominato “Diffusione di best practices negli uffici giudiziari italiani”, con l’obiettivo di migliorare la qualità dei servizi resi, l’efficienza nella gestione delle risorse e la trasparenza dell’azione degli uffici. Il Fondo sociale europeo ha messo a disposizione le risorse economiche necessarie, con uno stanziamento pari a 23 milioni di euro, distribuiti tra tutte le Regioni e le Province autonome. Il Progetto prevede la realizzazione di sette linee d’intervento, che vanno dall’analisi dell’organizzazione degli uffici e dell’utilizzo delle tecnologie esistenti, alla Costruzione di una Carta dei servizi e di un Bi-
4
lancio sociale, alla realizzazione di un sito web interattivo, fino all’accompagnamento alla Certificazione di qualità, secondo gli standard ISO 9001:2000. A partire dal novembre 2008 mano a mano che le Regioni mettevano a disposizione le risorse finanziarie, il Dipartimento ha invitato gli uffici ad inviare la propria candidatura. Attualmente sono 97 gli uffici inseriti nel progetto. Tutte le tipologie di uffici giudiziari sono presenti, con maggiore incidenza per i Tribunali e le Procure che rappresentano rispettivamente il 36 e il 32 per cento degli uffici coinvolti. Le Regioni hanno bandito finora 23 gare per l’affidamento della consulenza organizzativa prevista dai progetti. Di queste, 17 sono già aggiudicate e 6 sono nella fase di valutazione delle offerte. La durata di realizzazione dei progetti è in media di 24 mesi e molti progetti sono già avviati da almeno un anno. In tutti è prevista la partecipazione dell’intero personale presente nell’ufficio e sono coinvolti sia i magistrati che i dirigenti amministrativi. Il Ministero svolge un ruolo fondamenp la buona riuscita di questa q p tale per espe-
rienza di innovazione, che rappresenta un importante tentativo di introdurre all’interno del mondo giudiziario la cultura dell’organizzazione, come scienza. Nella fase di start up dei progetti il Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria ha organizzato una ampia azione formativa per facilitare i capi degli uffici e i dirigenti amministrativi nel dialogo con le società di consulenza che sarebbero entrate negli uffici introducendo concetti, linguaggi, strumenti estranei ad una cultura prevalentemente tecnico-giuridica. Nella seconda fase, con i progetti avviati, il Dipartimento sta cercando di favorire il confronto tra le diverse esperienze locali, organizzando incontri con i rappresentati degli uffici e delle società aggiudicatarie e potenziando l’utilizzo del sito internet e della intranet. L’obiettivo è di mettere in rete e diffondere le migliori proposte di innovazione, di attuare lo spirito più profondo del progetto che è disseminare le migliori esperienze di organizzazione per renderle un diverso modo di amministrare le risorse e di dialogare con la società civile.
ANNO XXI - n. 1 - MAGGIO-GIUGNO 2011
Ragionevole
DURATA del processo civile. di ANNA MARIA GIORGETTI Giudice del Tribunale di Varese L’irragionevole durata dei processi civili determina un intollerabile pregiudizio economico per lo Stato Italiano e danneggia ogni utente della giustizia. I procedimenti civili instaurati per ottenere l’indennizzo previsto dalla Legge cd. Pinto (legge 89/2001) sono in costante aumento: dai 1622 del 2001 ai 7299 nel 2008. Il Dipartimento degli affari di giustizia, con nota n. 10804 del 23 gennaio 2009, indirizzata al Gabinetto del Ministero della giustizia, ha quantificato i debiti a tale titolo in circa 64 milioni di euro. La lentezza dei processi produce effetti negativi anche sul sistema economico e, in particolare, nell’ambito delle transazioni commerciali. L’Italia, al riguardo, ha tempo sino al 2013 per la trasposizione della nuova Direttiva 6 marzo 2011, relativa alla lotta contro i ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali. Nella nuova Direttiva, il Legislatore comunitario osserva che nelle transazioni commerciali tra operatori economici o tra operatori economici e amministrazioni pubbliche molti pagamenti sono effettuati più tardi rispetto a quanto concordato nel contratto o stabilito nelle condizioni generali che regolano gli scambi. Sebbene le merci siano fornite e i servizi prestati, molte delle relative fatture sono pagate ben oltre il termine stabilito. Tali ritardi di pagamento influiscono negativamente sulla liquidità e complicano la gestione finanziaria delle imprese e compromettono la competitività e redditività quando il creditore deve ricorrere ad un finanziamento esterno a causa di ritardi nell’adempimento dei crediti di cui è titolare. Il rischio di tali effetti negativi aumenta considerevolmente nei periodi di recessione economica quando l’accesso al fi-
UNA PROPOSTA nanziamento può diventare più difficile. Da qui l’importanza di una semplificazione razionale dei procedimenti civili di supporto per il recupero del credito, in particolare per quanto riguarda l’ingiunzione di pagamento. A tal proposito qualche risultato utile potrebbe essere perseguito introducendo alcune modifiche iniziando con un “nuovo
art.642 bis c.p.c.”, senza alcun impegno finanziario per lo Stato, che potrebbe avere il seguente tenore: Art. 642-bis Esecuzione Provvisoria automatica: comma 1: Il creditore, in caso di urgenza, prima di depositare il ricorso in cancelleria, può notificarlo al debitore, concedendogli termine non inferiore a 15 giorni per l’adempimento spontaneo, avvisandolo delle conseguenze contenute nei commi che seguono.comma 2: Alla scadenza del termine concesso al debitore e in difetto di spontaneo pagamento, se il creditore, contestualmente al deposito del ricorso, allega prova della intervenuta previa notifica, il giudice deve concedere l’esecuzione provvisoria su mera richiesta. comma 3 In caso di spontaneo pagamento, le spese di recupero del credito restano a carico del creditore. comma 4: Il creditore che faccia istanza di esecuzione provvisoria automatica, nonostante l’intervenuto pagamento spontaneo, anche parziale, è condannato d’ufficio per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. Per conseguenza potrebbero essere aggiunti alle norme qui di seguito indicate ulteriori commi per riportare ad omogeneità il sistema: un ultimo comma in seno all’art. 648 c.p.c. per contrarre i tempi di pronuncia sull’esecuzione del titolo in corso di processo (ed evitare che il debitore possa trarre vantaggio dal proprio inadempimento): “Il giudice pronuncia sulla provvisoria esecuzione alla prima udienza, prima di ogni altro provvedimento”ed un ultimo comma in seno all’art. 653 c.p.c. per scoraggiare le opposizioni con finalità meramente dilatorie: “salve le disposizioni ex art. 96 c.p.c., se il giudice rigetta l’opposizione perché manifestamente infondata, condanna l’opponente ad una somma in favore della Cassa delle Ammende, pari al valore del credito oggetto della controversia”(o magari ad una somma in percentuale al valore del credito).
5
indipendenza INTERNA della magistratura L’
ANM
e l’
di ANDREA REALE Giudice Tribunale di Ragusa L’esplosione di una questione morale e le vicende legate ai rapporti tra politica e magistratura hanno indotto il Cdc all’adozione di alcune modifiche al codice deontologico. Tra di esse merita particolare attenzione il riferimento alla tutela dell’indipendenza interna dei magistrati nell’esercizio delle loro funzioni, nello svolgimento degli incarichi di autogoverno ed in ogni comportamento professionale. Le modifiche suggeriscono alcune riflessioni sul principio dell’indipendenza interna della Magistratura, che trova fondamento costituzionale negli articoli 101 e 107 della Costituzione, ma ha diversi riconoscimenti internazionali. Basti pensare allo Statuto universale del Giudice, redatto dall’Unione Internazionale Giudici nel ‘99, secondo il quale il giudice deve potere esercitare le sue funzioni in piena indipendenza rispetto a tutte le forze sociali, economiche e politiche, agli altri giudici e all’amministrazione giudiziaria (art. 2), e che statuisce che nessuno può dare o tentare di dare ad un giudice ordini o istruzioni di qualsiasi tipo (art. 4). Più di recente atti internazionali che hanno incoronato detto principio tra i fondamenti dell’esercizio dell’attività giurisdizionale sono: la cosiddetta Magna Charta dei Giudici e la Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa n. 12 del 2010. Il primo ribadisce il carattere ordinamentale, funzionale e finanziario dell’indipendenza della magi-
6
stratura (par. 3). Il secondo dedica un intero capitolo (il III) all’indipendenza interna. Il tema è di scottante attualità specialmente per l’Anm, perché la riforma dell’ordinamento giudiziario, compiuta nel 2007, se, da un lato, ha contribuito a responsabilizzare e svecchiare certi logori meccanismi di progressione nella carriera, ha, dall’altro, evidenziato alcuni rischi per la indipendenza interna del nostro Ordine. Il nuovo sistema di valutazioni della professionalità (basato anche su pareri dei capi degli uffici giudiziari), la gerarchizzazione delle Procure della Repubblica, il nuovo procedimento disciplinare - caratterizzato dall’obbligatorietà dell’azione e dai forti poteri di intervento governativi - hanno immediati riverberi sull’indipendenza interna. A ciò si aggiunga il settore delle nomine ad incarichi direttivi e semidirettivi ed i nuovi criteri di scelta dei predetti, introdotti dalla riforma. I deprecati e ripetuti episodi di preferenze fondate su criteri di appartenenza correntizia, prima che su quelli del merito e della trasparenza, hanno costituito - e costituiscono ancora oggi - banchi di prova fondamentali per la tenuta e per il rispetto del fondamentale principio sopra ricordato. Ecco perché oggi è necessaria una forte rivitalizzazione del ruolo meramente sindacale dell’Associazione, a garanzia e tutela intransigente dei diritti e degli interessi legittimi dei singoli magistrati e della loro autonomia organizzativa nello svolgimento delle
loro funzioni. In particolare appare fondamentale riacquisire un rapporto dialettico tra ANM ed organi di autogoverno, troppo spesso offuscato da vincoli di appartenenza correntizia, da un uso, talora improprio, del procedimento disciplinare, da una pericolosa connivenza con condotte di inottemperanza a decisioni giurisdizionali amministrative. Gli attacchi all’indipendenza interna della Magistratura in questi ultimi anni sono stati numerosi e gravissimi, a volte mascherati da interventi di natura istituzionale piegati al perseguimento di interessi del tutto contrapposti a quelli della trasparenza, della meritocrazia, dell’autonomia decisionale e dell’indipendenza del singolo magistrato. L’ANM deve riprendere questo ruolo. Per farlo è importante recidere il “cordone ombelicale” che troppo spesso lega l’associazione all’autogoverno. Uno dei modi migliori sarebbe la previsione di rigide forme di incompatibilità/ineleggibilità tra incarichi di diversa natura nei suddetti organismi. Esse garantirebbero l’assenza di qualsivoglia interessenza personale nello svolgimento di dette attività e ridarebbero autorevolezza ai nostri rappresentanti associativi per difendere, nec vi nec spe, l’indipendenza, anche interna, dei colleghi davanti ai malcelati attacchi ai quali troppo spesso essi sono esposti.
ANNO XXI - n. 1 - MAGGIO-GIUGNO 2011
Fondamenti del potere GIUDIZIARIO:
autonomia eapoliticità
di EDOARDO CILENTI Consigliere Corte di appello Napoli - sezione lavoro Magistratura e politica sono termini antitetici. Il magistrato come cittadino può ben avere idee politiche, come magistrato deve dimenticare di averle. Non ci devono essere magistrati di destra, di sinistra o di centro e se ce ne sono essi sono cattivi magistrati. Così concludeva il convegno di Terracina dell’Unione magistrati italiani (Umi) Stella Richter, predestinato presidente della Cassazione e componente di diritto del Csm nella consiliatura 197276. All’avvio della Costituente l’idea era di un Csm che assicurasse la prevalenza dei magistrati di Cassazione. Al Congresso di Napoli del 1957 si manifestò il dissenso della maggioranza verso il gruppo dirigente composto da cassazionisti e fu approvata la mozione di una rappresentanza paritaria al Csm. La Cassazione si dissociò dal principio di pariteticità. Il 5% eleggeva 6 componenti su 14; questi 6 consiglieri guidati dal primo presidente e dal procuratore generale potevano prevalere sugli 8 rappresentanti dei giudici di merito, divisi fra 4 di appello e 4 di tribunale, eletti in collegi uninominali e non coordinati fra di loro: fu la prima clamorosa manifestazione di una frattura interna. I cassazionisti crearono nel 1960 la corrente Unione delle Corti e nel 1961, con una scissione dall’Anm, l’Umi, che propugnava
la apoliticità della magistratura. Sulla scissione Giovanni Leone si disse convinto che presupposto ineliminabile per la riunificazione fosse l’abbandono da parte di entrambe le associazioni di ogni ipoteca o pregiudiziale politica. Il problema però è come mantenere la giustizia lontana dalla politica. Nel 1998 fu il Ministro della Giustizia del governo D’Alema, Diliberto, nella inusuale lettera a tutti i magistrati, ad invitare a comportamenti improntati alla sobrietà, al rigoroso rispetto dei diversi compiti istituzionali senza interventi nel dibattito politico. Il magistrato ha diritto di partecipare in quanto cittadino, non come magistrato. Un’iniziativa senza precedenti, un secco memento costituzionale: «Gentile dottore», le leggi le fa il Parlamento, i magistrati hanno da lavorare nelle aule dei tribunali e con le sentenze. Un incipit che voleva scavare un solco profondo tra poteri dello Stato, la cui separazione sarebbe stata tanto più efficace, limpida e condivisa se la magistratura avesse rifiutato la tentazione di ingigantire il suo ruolo e la sua funzione. Non a caso destano scompiglio le dichiarazioni del segretario dell’Anm Cascini, che accusa la maggioranza di non possedere la legittimazione storica, politica, culturale e anche morale per affrontare la riforma
della giustizia. Frasi inaccettabili sul piano dei rapporti istituzionali. A tacer d’altro è fallace parlare di legittimazione morale. La magistratura deve fuggire dalla tentazione di farsi interprete di una parte moralmente più degna o più accreditata della società. I magistrati attuano la legge, non moralizzano le società. Il pensiero è stato poi chiarito, ma la radicalizzazione dello scontro è di questi giorni e così di autoriforma vera della magistratura, annunciata come un obbligo nell’ultimo congresso Anm, non se ne vede ancora nemmeno l’ombra. Va eliminata ogni interferenza. Al magistrato va garantita una posizione economica e una autorità della funzione tale che sia fiero del suo status e riluttante a diminuirlo legandosi a circuiti politici o parapolitici. Va eliminata la servitù di carriera. L’organizzazione gerarchica sta trasformando il magistrato in un burocrate, con al vertice Ministro e Csm. Se l’indicazione superiore proviene dall’Esecutivo, l’inquinamento politico della giustizia è immediato. Se la carriera è dominata allo stesso tempo dal Csm secondo conformismo, allora viene meno ogni sollecitazione, ogni impulso, quasi ogni possibilità per il giudice “inferiore” di interrogare la sua coscienza.
7
Il sistema giudiziario italiano:
qualche confronto. di PIERCAMILLO DAVIGO Consigliere Corte di Cassazione Il rapporto sullo stato della giustizia in Europa, curato dalla CEPEJ (Commission européenne pour l’efficacité de la justice del Consiglio d’Europa) pubblicato alla fine del 2010, come già quello del 2008, consente uno sguardo comparativo sulla situazione dell’amministrazione giudiziaria negli Stati membri del Consiglio d’Europa e quindi in un orizzonte ancora più vasto di quello dell’Unione Europea. L’esame dei dati contenuti nelle 390 pagine del rapporto consente di sfatare molti luoghi comuni. Anzitutto non è vero che il sistema giudiziario italiano abbia a disposizione risorse insufficienti: la spesa per la giustizia in Italia si colloca nella fascia alta degli Stati europei, circa agli stessi livelli della Gran Bretagna. Non vi è quindi un problema di aumento di risorse (anche perché è un’illusione pensare che possano essere incrementate stante i tagli alla spesa pubblica) ma, semmai, di razionalizzazione dell’impiego delle risorse stesse. In proposito sono sufficienti tre esempi: il problema, ormai antico, della revisione delle circoscrizioni giudiziarie, mai seriamente affrontato, che pur consentirebbe il recupero di ingenti mezzi finanziari e di personale di magistratura ed amministrativo: fino ad ora ogni tentativo di riduzione si è arenato contro le resistenze locali; solo una scelta drastica può consentire di superarle (ad esempio razionalizzando la geografia giudiziaria facendola coincidere con le altre circoscrizioni statali: una Corte d’appello per Regione ed un Tribunale per Provincia, eventualmente conservando in via transitoria come sezioni staccate le sedi da sopprimere e riducendole progressivamente);
8
il problema, più recente, della magistratura onoraria: in Gran Bretagna esistono circa 20.000 giudici di pace che svolgo il loro incarico gratuitamente, appunto per l’onore che ne deriva; in Italia la magistratura onoraria è invece retribuita, si è così dato vita ad un precariato che porrà inevitabilmente richieste di stabilizzazione; le ingenti spese per il patrocinio a carico dello Stato, che potrebbero essere ridotte se soltanto fossero eliminati i procedimenti a carico di irreperibili, sospendendoli (insieme alla prescrizione) fino a che non cessi l’irreperibilità. Non è poi vero che il numero dei giudici di professione in Italia sia insufficiente. Tale numero è in linea con quello di uno Stato per certi versi simile come la Francia: In Italia 6.109 (pari a 10,2 ogni 100.000 abitanti; in Francia 5.819 (pari a 9,1 ogni 100.000 abitanti). La strada percorribile per fronteggiare i tempi inaccettabili della durata dei procedimenti, non sembra quindi quella di aumentare il numero di giudici e quindi in generale dei magistrati, dovendo coerentemente in tale ipotesi incrementare il numero degli addetti al pubblico ministero. Le vere anomalie italiane sono rappresentate dalle dimensioni del contenzioso e dal numero degli avvocati. Quanto al primo aspetto, le sopravvenienze civili annue contenziose di primo grado per ogni giudice in Italia sono 438,06, in Francia 224,15, in Germania 54,86. Le sopravvenienze penali annue (reati gravi) per ogni giudice, in Italia sono 190,71, in Francia 80,92, in Germania 42,11 (dati CEPEJ 2008; per il 2010 non sono disponibili i dati relativi alla Germania). È necessario diminuire drasticamente il
numero dei procedimenti, causa principale della loro eccessiva durata. Tale diminuzione può essere ottenuta in sede civile sanzionando duramente chi agisce o resiste indebitamente in giudizio ed introducendo un tasso di interesse giudiziale decisamente più alto del tasso di interesse legale. Lo stesso risultato può essere ottenuto in sede penale riducendo drasticamente le fattispecie di reato con un’ampia depenalizzazione ed introducendo apprezzabili margini di rischio per chi propone impugnazioni infondate e dilatorie, oggi esclusi dal divieto di reformatio in pejus in caso di appello del solo imputato. Il nuovo procedimento penale è uno strumento sofisticato e costoso che non può essere impiegato per fatti bagatellari. Quanto al numero di avvocati per ogni giudice di professione, è descritto dalla seguente tabella, desunta dalla relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario 2010 del Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione: Italia
26,4
Francia
7,1
Germania
6,9
UK 3,2 La situazione è in costante peggioramento posto che, secondo i dati CEPEJ 2010 il numero di avvocati per ogni giudice di professione in Italia è salito a 32,4 ed è in costante aumento. Questo dato implica che oggi ogni giudice di professione, con il suo lavoro, deve consentire di vivere ad oltre 30 avvocati, altroché magistrati italiani lavorino poco!
ANNO XXI - n. 1 - MAGGIO-GIUGNO 2011
Non (solo) una questione economica LE RAGIONI “POLITICHE” DELLA RIDUZIONE DEGLI STIPENDI. di ALDO MORGIGNI Responsabile dell’Ufficio sindacale di Mi Il potere politico, a prescindere dalla maggioranza al governo, ha costantemente ridotto gli stipendi dei magistrati con il progredire dell’azione giudiziaria indipendente contro la diffusa corruzione politico-economica. Il mancato riconoscimento degli effetti economici della riforma dell’ordinamento giudiziario non è una scelta meramente “amministrativa”, ma è una decisione politica. La crisi economica internazionale è stata l’occasione per colpire ulteriormente i magistrati, che sono gli unici a subire congiuntamente il generale regime di taglio stipendiale, il blocco dell’adeguamento degli stipendi e perfino il taglio crescente della c.d. “indennità giudiziaria di rischio”, senza che il rischio sia diminuito. Con le maggiori risorse ricavate si sono finanziate numerose iniziative del settore privato, in palese violazione dei principi costituzionali di equità fiscale e dei divieti U.E. in materia di aiuti di Stato. È il caso del differimento del pagamento delle ingenti multe previste dall’U.E. per le c.d. “quote latte” o della defiscalizzazione degli straordinari pagati dalle imprese ai lavoratori privati.
a leggi lesive delle loro garanzie costituzionali è quella di agire in giudizio. L’ORGANIZZAZIONE DEL CONTENZIOSO Per difendere le nostre garanzie, accanto a numerose iniziative stragiudiziali attuate con la predisposizione di diffide o con la diretta assistenza per risolvere i problemi dei colleghi interessati, abbiamo organizzato un contenzioso “ragionato”.A fronte di molteplici iniziative giudiziarie “pilota”, ci siamo concentrati su due obiettivi immediati: il reinquadramento economico di tutti i magistrati in base alla riforma dell’ordinamento giudiziario (L. n. 111/2007) e la disapplicazione per contrasto con le norme U.E. o la dichiarazione di incostituzionalità della manovra economica 2010 (L. n. 122/2010). Al momento abbiamo una convenzione di assistenza legale a “costo zero” che agevola i colleghi ed abbiamo organizzato tutto in
modo da rendere semplici e costanti i contatti con l’Ufficio sindacale Magistrati o con il difensore. Maggiori dettagli sono contenuti nella scheda tecnica che distribuiamo insieme alla presentazione delle iniziative. L’11 maggio scorso si è tenuta la prima udienza presso il Tar del Lazio. L’OBIETTIVO DEL CONTENZIOSO Ciò che ci sta più a cuore è fare capire che non si tratta di mettere una firma sotto una procura nella speranza di ottenere un aumento. Se un magistrato ricorre al T.A.R. è un cittadino che fa causa. Ma se centinaia di magistrati ricorrono contro il potere politico in via incidentale alla Corte costituzionale o alla Corte di giustizia U.E. sono un “conflitto di attribuzioni”. Per difendere concretamente l’indipendenza della magistratura, nell’interesse di tutti i cittadini.
LA NECESSITÀ DEL CONTENZIOSO La “trattativa” tra il potere politico e l’associazione magistrati per ripristinare l’equità retributiva è sostanzialmente fallita. Recenti vicende dimostrano l’esistenza di un preciso e dichiarato disegno politico per “punire” i magistrati. Le riduzioni di stipendio ed il mancato pagamento da oltre quattro anni degli aumenti previsti, quindi, costituiscono una vera e propria sanzione pecuniaria “speciale”, applicata con la volontà di punire tutti per “educare” qualcuno. La più forte reazione consentita ai magistrati rispetto
9
Ingroia, Cascini
e ilTRAMBUSTO
che non
AIUTA
i magistrati di GIUSEPPE PAVICH Giudice del Tribunale di La Spezia
A distanza di poche ore dal discorso di Antonio Ingroia a Roma, che già aveva suscitato polemiche circa l’inopportunità di prese di posizione dei magistrati in occasione di manifestazioni politiche, anche il segretario ANM, Giuseppe Cascini, interviene a un convegno organizzato dal movimento di Nichi Vendola, e il suo discorso scatena un vespaio di polemiche. ”A mio avviso”, ha dichiarato Cascini a proposito delle riforme sulla giustizia elaborate dal PDL, “questa maggioranza non ha la legittimazione storica, politica, culturale e anche morale per affrontare questo tema”. E, criticando l’atteggiamento dell’opposizione di centrosinistra, rea a suo dire di subalternità al governo Berlusconi avendo trovato espressione a suo tempo nella bozza Boato, ha aggiunto: “mi aspetterei dalla sinistra una risposta reale di sinistra”. Apriti cielo. Ovvia, perfino scontata la reazione degli ambienti politici di
10
centrodestra, e in particolare del guardasigilli Alfano, il quale ha avuto buon gioco a dichiarare che le parole di Cascini – proprio perché provenienti da un magistrato che si esprime da politico – confermano la necessità delle riforme cantierate dal Governo. Seguono prese di distanza da alcuni ambienti della magistratura e dallo stesso Vicepresidente del CSM, Vietti. E il bello è che, mentre Cascini, parlando al CDC dell’ANM, corregge il tiro, dice di essere stato frainteso e ammette la legittimazione della maggioranza a fare le riforme, alcuni esponenti della sua area associativa di riferimento rivendicano la bontà delle tesi da lui espresse chez Vendola, e insistono per la mancanza di legittimazione morale del Governo e della maggioranza che lo esprime a realizzare le riforme in tema di giustizia. Siamo alle solite, insomma. Tutti, a cominciare dai magistrati, sanno perfettamente che la giustizia
è da riformare. Certo, le toghe non condividono praticamente nulla delle riforme proposte dal Governo, ma non per questo vogliono che tutto resti com’è; ed anzi, nel documento votato all’unanimità al CDC del 19 marzo scorso, l’ANM ha formulato proposte ben precise e sicuramente condivise dalle toghe di ogni schieramento. Però, se poi – come direbbe Totò – “la si butta in politica” e si esprimono concetti “di parte”, del tutto inadatti all’organo di rappresentanza del potere giudiziario (che come tale dovrebbe essere e mostrarsi al di sopra delle tenzoni di parte), non ci si può stupire se il dialogo sulla giustizia diventa difficile; in tal modo, anziché bloccare le riforme “sgradite”, si finisce per dare voce a chi le sostiene, e per impedire che la magistratura associata possa fare ascoltare le sue proposte, che pure meriterebbero molta attenzione.
ANNO XXI - n. 1 - MAGGIO-GIUGNO 2011
La giustizia tricolore ha bisogno di realismo di ANGELANTONIO RACANELLI Componente CSM Con una battuta si potrebbe dire che si è cercato di realizzare il “giusto processo” ma il problema è che per alcuni il “giusto processo” è il processo che non si deve mai fare e che se si celebra deve portare all’assoluzione dell’imputato o comunque alla prescrizione del reato. Ancora una volta sento parlare di proposte di modifica ordinamentale (tipo separazione delle carriere tra giudici e p.m., sdoppiamento del Consiglio Superiore etc…): l’inefficienza e la durata irragionevole del processo penale non dipendono certo dall’attuale assetto ordinamentale. Le soluzioni per il superamento dell’attuale crisi della giustizia e del processo penale (attualmente siamo alla paralisi, con il rischio di una vera e propria implosione) vanno cercate in interventi di più basso, ma non meno importante, profilo e cioè sul fronte di modifiche/integrazioni al codice di rito e alle norme sostanziali. Ma prima di affrontare in maniera più specifica proposte concrete di modifiche o integrazioni è necessario anche prendere
atto che la crisi del processo penale è ormai strutturale: vi è una differenza sempre più marcata tra domanda ed offerta di giustizia, tra il numero dei procedimenti e la capacità di risposta da parte dell’organizzazione giudiziaria. Bisogna prendere atto che l’attuale struttura, con le attuali normative sostanziali e processuali, non è assolutamente in grado di far fronte alla domanda di giustizia. Appare ovvio premettere che sono necessarie maggiori risorse finanziarie da destinare al settore giustizia (le riforme a costo zero sono una mera illusione, come le esperienze passate ci devono avere ormai insegnato) per interventi sul piano dei mezzi e delle strutture. Accenno brevemente ai numerosi casi nei quali le udienze vengono interrotte e non possono proseguire nelle ore pomeridiane per la mancanza di personale amministrativo. È inutile illudersi: un miglior funzionamento della giustizia penale richiede necessariamente maggiori stanziamenti. È necessario,inoltre, rendersi conto che finché il procedimento ordinario ha una durata irragionevole, con la quasi sicura prospettiva della prescrizione, non ci sarà
nessun reale interesse a preferire i procedimenti speciali che pur rappresentano dei modelli interessanti ed utili di definizione processuale. Continuare a parlare di separazione delle carriere, di riforma del C.S.M. e di altro in questa situazione di paralisi del sistema giustizia significa, di fatto, non voler affrontare e risolvere i veri problemi che determinano questa situazione. Mi piace concludere questo intervento con alcune parole di Carnelutti che, pur datate nel tempo, sono quanto mai attuali: “… gli uomini di governo danno atto periodicamente delle esigenze di una ‘giustizia rapida e sicura’ ma basterebbe che avessero conoscenza delle strettezze materiali, spesso inconcepibili, nelle quali il servizio si compie per rendersi conto che in pratica codeste declamazioni non hanno alcuna serietà. Se al servizio giudiziario si dedicassero le cure che si prodigano al servizio ferroviario o alla circolazione stradale, le cose comincerebbero ad andare diversamente; ma i valori economici contano ancora purtroppo assai più che i valori morali”.
11
Superiamo
la giustizia dei Savoia di ALESSANDRO PEPE Componente CSM Non è pensabile risolvere i problemi chiedendo semplicisticamente maggiore produttività degli uffici giudiziari e ai magistrati italiani, dal momento che la comparazione dei dati statistici nazionali con quelli degli altri Paesi (fonte CEPEJ 2010) attesta la notevole produttività media dei magistrati italiani, superiore a quella di quasi di tutti gli omologhi degli altri paesi europei. Ciononostante, l’arretrato sale. Questo significa che i problemi derivano innanzitutto da una domanda di giustizia di fatto ingestibile e da cause risalenti a disfunzioni dell’intero sistema giudiziario. Pensiamo alla nota questione della revisione delle circoscrizioni giudiziarie. L’attuale geografia giudiziaria italiana è storicamente superata non solo perché risalente all’impostazione dello stato sabaudo, ma essenzialmente perché, sul piano metodologico, la rideterminazione delle circoscrizioni giudiziarie va realizzata secondo modelli e criteri nuovi e più aderenti alle realtà delle diverse zone del Paese. La mera revisione delle piante organiche dei singoli uffici, nella componente magi-
12
stratuale e del personale delle cancellerie (discorso a parte va fatto per il personale informatico e statistico), è largamente insufficiente per la sua episodicità. La distribuzione delle risorse deve costituire il risultato dell’applicazione di moderne tecniche di scienza dell’organizzazione e dell’amministrazione in un’ottica di sapiente sinergia con l’informatizzazione dei servizi giudiziari. Rivedere le circoscrizio-
ni giudiziarie e, quindi, le piante organiche significa creare entità produttive di dimensioni ragionevoli (né eccessivamente piccole né eccessivamente grandi), più facilmente gestibili, individuate non solo in rapporto al numero di abitanti ma anche ai carichi di lavoro. Il riferimento ai carichi di lavoro appare necessario proprio perché qualsiasi distribuzione delle risorse umane,
oltre che materiali, non può prescindere dalla valutazione del carico di lavoro prevedibile per la singola entità produttiva. In questo senso si muove la risoluzione consiliare del 13 gennaio 2010, che ha istituito un Tavolo Tecnico in materia di piante organiche degli uffici giudiziari. Peraltro, in questo processo di razionale utilizzo delle risorse materiali ed umane si può e si deve intervenire anche sulle sezioni distaccate. Oggi, infatti, ci vuole la legge per sopprimere i tribunali, mentre basta un semplice decreto del Ministro della giustizia per sopprimere e/o accorpare le sezioni distaccate, le quali, è vero che sono un avamposto di “legalità” e garantiscono in astratto la “giustizia di prossimità”, ma è innegabile che, nell’attuale situazione, finiscono spesso per essere meri “luoghi simbolici”, costituendo sovente un “lusso” inutile ed improduttivo, perché vicinissime alla sede centrale e non concretamente funzionali, dando vita a vere e proprie “diseconomie”, superabili appunto con razionali eliminazioni o accorpamenti tra più distaccate.
ANNO XXI - n. 1 - MAGGIO-GIUGNO 2011
A PROPOSITO DI
sezione disciplinare e pratiche a tutela di TOMMASO VIRGA Componente CSM La mia recente esperienza di giudice disciplinare mi consente di affermare che non è vero che la sezione disciplinare sia portata per sua natura all’indulgenza. Al contrario, analisi statistiche condotte da organismi europei hanno confermato che il sistema disciplinare nel nostro Paese è rigoroso. Ma chi ha vissuto per decenni all’interno degli uffici giudiziari e ne ha conosciuto le difficoltà organizzative si interroga sul vigente sistema sanzionatorio e si chiede se lo stesso sia adeguato e se non possa esser migliorato. Il pensiero va, soprattutto, ai “ritardi” nel deposito dei provvedimenti, illecito disciplinare che spesso e sorprendentemente colpisce proprio i magistrati che si caratterizzano per maggiore produttività. Mi chiedo se in tali casi ciò che interessa al Paese è la punizione o non sia più rispondente all’interesse generale che si trovi una via diversa, che miri ad evitare che quei ritardi si verifichino. L’applicazione anche di una sanzione minima, ma grave, come la censura, è realmente adeguata? Contribuisce a rimuovere le cause dei ritardi? O, al contrario, potendo incidere negativamente sulla valutazione di professionalità, non finisce per demotivare? Perché allora non introdurre come sanzione minima la partecipazione del magistrato a corsi di formazione in tema di organizzazione, ovvero perché non prevedere che la positiva frequentazione di tali corsi possa consentire la riabilitazione del condannato? Va segnalata la troppo dettaglia-
ta, confusa e non sempre adeguata tipizzazione degli illeciti disciplinari, che talvolta non consente di perseguire adeguatamente condotte non agevolmente riconducibili agli illeciti tipizzati. Veniamo quindi all’annosa questione delle pratiche a tutela, l’istituto previsto dall’articolo 21 bis del regolamento consiliare e per il quale sono state sollevate da alcuni Consiglieri laici recenti proposte di modifica o di abrogazione. Per ovviare ad un uso eccessivo di tale istituto il Consiglio ha già modificato, pochi anni fa, il suo regolamento interno sulle pratiche a tutela, la cui legittimità è stata riconosciuta dal Capo dello Stato, il quale ha affermato che “l’intervento del Consiglio si giustifica quando è insostituibile per tutelare il prestigio e la credibilità dell’istituzione giudiziaria nel suo complesso ed è solo mirato a reagire ad attacchi e azioni
denigratorie chiaramente tendenti a mettere in dubbio l’imparzialità dei magistrati oppure ad insinuare la loro soggezione a condizionamenti politici o di altra natura”. Del resto la stessa Raccomandazione sui giudici, adottata in base allo statuto del Consiglio d’Europa dal Comitato dei Ministri degli Stati membri il 17 novembre 2010, stabilisce che, nel commentare le decisioni, occorre “evitare ogni critica che possa compromettere l’indipendenza della magistratura e minare la fiducia del pubblico nella stessa” e che anche “Il diritto all’informazione in materia deve … essere esercitato tenendo conto delle limitazioni imposte dall’indipendenza della magistratura”. È quindi da ribadire la legittimità delle pratiche a tutela, trattandosi di procedimenti attraverso i quali il Consiglio verifica se le critiche o gli attacchi rivolti ad una decisione superano quel confine, sempre più avanzato in una società libera che accetta che di tutto si discuta, al di là del quale si realizza la lesione della credibilità della funzione giudiziaria. La tutela di questo interesse non può esser lasciata ad iniziative individuali o collettive, ma deve esser assunta, sia pure con grande ponderazione e cautela, proprio dal Csm, in tutti i casi in cui ne ricorrano le condizioni, nei confronti di qualunque centro di potere ed a tutela di ogni magistrato. A tale attività il Consiglio è chiamato, proprio in applicazione dell’articolo 104 della Costituzione, quale presidio dell’Ordine della Magistratura, autonomo ed indipendente da ogni altro potere, non dunque quale attore “politico”, ma come interprete del suo ruolo costituzionale.
13
La responsabilità disciplinare
daunaritardo: pericolosa deriva colpevolista di GIUSEPPE MARRA Ufficio legislativo Ministero della Giustizia Queste brevi note traggono spunto dalla recente decisione della Cassazione, S.U. civ., 18 giugno 2010, n.14697, che ha annullato la sentenza di assoluzione n.137/2009, pronunciata dal C.S.M., la cui massima afferma: “Non configura illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni per reiterato, grave ed ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni, la condotta del magistrato che depositi fuori termine sentenze o altri provvedimenti giudiziari, quando i ritardi siano determinati da un carico di lavoro eccezionale ed il medesimo dia dimostrazione di estrema diligenza, non comune spirito di sacrificio, soddisfacente produttività ed eccellente capacità professionale, perché
tali circostanze impediscono di ritenere i ritardi frutto di neghittosità, e rendono gli stessi pienamente giustificati..”. Come è noto, a seguito della riforma del sistema disciplinare di cui al D.lgs. 109/2006, il ritardo nel deposito dei provvedimenti è disciplinato dall’art. 2, 1° co., lett. q), in cui è previsto come illecito disciplinare “il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni; si presume non grave, salvo che non sia diversamente dimostrato, il ritardo che non eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell’atto”. Il C.S.M. aveva ritenuto che i ritardi fossero comunque giustificati dall’eccezionale carico di lavoro e dal fatto che si trattasse di magistrati laboriosi e professionalmente capaci. Le Sezioni Unite hanno invece ritenuto, che tali circostanze “…possono anche valere da causa di giustificazione, ma, fermo restando che esse devono essere adeguatamente dimostrate dall’incolpato, la soglia di giustificazione deve ritenersi sempre superata in concreto, quando il tempo di ritardo leda il diritto delle parti alla durata ragionevole del processo, di cui alle norme costituzionali e sovranazionali vigenti, esponendo lo Stato italiano ad una possibile condanna per opera della C.E.D.U.”. Si afferma poi che “ …la scarsa laboriosità del magistrato, quale indice di non giustificabilità del ritardo,
non costituisce condicio sine qua non ai fini della configurabilità dell’illecito.”. In sostanza si sostiene che ai fini dell’integrazione dell’illecito non è necessario accertare la neghittosità del magistrato, e che in ogni caso non possono mai essere giustificati i ritardi che comportino lo sforamento della durata ragionevole dei processi. La sentenza della Cassazione rappresenta uno “ scivoloso” precedente, perché profila l’illecito da ritardo come una fattispecie formale, prescindendo di fatto dalla colpevolezza del magistrato; si introduce poi così una presunzione contra reum di ingiustificatezza del ritardo, ossia il superamento della durata ragionevole del processo, che il legislatore invece non ha previsto. Il consolidamento di questo orientamento porta con sé il pericolo che i magistrati assumano posizioni difensive per evitare di incorrere nel ritardo, ovvero che non si sovraccarichino di sentenze da scrivere, ciò evidentemente a discapito della durata ragionevole dei processi. Per evitare questo effetto paradossale appare improcrastinabile introdurre dei correttivi a livello di normazione primaria e secondaria, che offrano un quadro chiaro al singolo magistrato di quale è il limite di produttività e di laboriosità che l’ordinamento può ragionevolmente pretendere da ciascuno, limite superato il quale si deve presumere in favor rei, che i ritardi sono giustificati dall’inesigibile carico di lavoro.
ANNO XXI - n. 1 - MAGGIO-GIUGNO 2011
Laboratorio Salerno di MARIO PAGANO Segretario organizzativo MI Approfondimento delle tematiche culturali interne ed esterne alla magistratura, riaffermazione dell’indipendenza e autonomia dell’attività giudiziaria e costante attenzione alle esigenze che quotidianamente interessano il lavoro del giudice costituiscono quindi le tappe fondamentali di un nuovo percorso associativo. L’Assemblea Distrettuale tenutasi a Salerno il 3 novembre scorso ha segnato per il Gruppo salernitano di MI una svolta storica. Partiti dalla ferma convinzione che l’attività associativa deve essere concepita soprattutto come laboratorio di idee e come centro di riflessione e di stimolo per la magistratura, per le istituzioni e per la comunità, abbiamo deciso di non sottrarci a nessun confronto. Da un punto di vista organizzativo si è innanzitutto decisa la costituzione di un comitato di segreteria, al fine di conseguire una più ampia capacità di percezione ed elaborazione delle problematiche dei colleghi del distretto e di fornire supporto ed ausilio alla segreteria distrettuale L’istituzione di fatto di una segreteria collegiale, peraltro, è stata non solo espressione dell’esigenza di consentire una maggiore
condivisione di posizioni di responsabilità associativa, ma anche del forte e progressivo rinnovamento del gruppo sia a livello locale sia a livello nazionale, nella convinzione che soltanto attraverso il coinvolgimento consapevole e la partecipazione fattiva dei colleghi più giovani può trovare davvero reale “forza” e nuovo vigore l’associazionismo giudiziario. Il gruppo salernitano di MI si propone l’elaborazione di proposte concrete volte a fronteggiare le quotidiane emergenze nel Distretto, nella consapevolezza che il ruolo della magistratura associata deve estendersi alla programmazione di iniziative dirette a supportare l’ordinario svolgimento dell’attività giudiziaria. Nella disamina delle problematiche che maggiormente colpiscono le varie sedi del Distretto, Magistratura Indipendente intende prestare ascolto alle esigenze di tutti i colleghi, mettendo al centro del proprio raggio di azione la risoluzione di ogni situazione di criticità, sganciata da una prospettiva meramente utilitaristica e consociativa. Si è anche stabilito di riattivare il percorso
culturale. La capacità di dialogo fuori e dentro l’associazione, il confronto con le istituzioni, l’apertura al contesto sociale sono obiettivi che si perseguono proprio attraverso lo strumento privilegiato delle iniziative convegnistiche. Il gruppo salernitano si sta muovendo in una pluralità di direzioni, aprendosi progressivamente sia agli altri gruppi associativi, sia agli altri attori del mondo giudiziario, sia infine anche cosiddetta società civile. Al convegno del 14 gennaio, riservato a un tema molto caro a MI, quello relativo ai carichi di lavoro, ha fatto seguito l’incontro del 5 aprile su un tema squisitamente tecnico (quello relativo alla applicabilità dell’aggravante speciale di cui all’art.7 l.n.203/91): il primo aperto agli altri gruppi associativi del distretto, il secondo con il patrocinio del locale consiglio dell’Ordine degli Avvocati. Nel mese di maggio, infine, è previsto un convegno su tematiche particolarmente sensibili (“eutanasia e testamento biologico”), con il quale il Gruppo si propone di coinvolgere non solo il mondo forense, ma anche gli operatori sanitari, gli psicologi, gli uomini della Chiesa.
15
I magistrati di fronte alla
riforma
di LORENZO PONTECORVO Segretario ANM Roma Da troppo tempo i magistrati convivono con i disagi connessi al quotidiano esercizio delle funzioni giudiziarie trovandosi a dover supplire alle croniche carenze di un servizio giustizia non più in grado di soddisfare le esigenze di un paese moderno. In tale contesto è indubbio che nessuna riforma può essere efficace se non fornisce soluzioni finalizzate quantomeno ad eliminare l’enorme sproporzione tra procedimenti pendenti e numero di magistrati nonché a rivedere la geografia giudiziaria e le piante organiche che devono essere adeguate ai carichi di lavoro dei singoli Uffici. La Magistratura Associata è sostanzialmente concorde nel ritenere che sia stato varato un progetto di riforma che, non apportando alcuna concreta innovazione al servizio giustizia, incide unicamente sulla Magistratura, che quel servizio è chiamata a rendere, mediante un approccio punitivo finalizzato ad indebolire l’autonomia e la pienezza dell’esercizio della funzione giudiziaria.
Affrontando le questioni meno discusse ne è chiaro segno la limitazione perseguita attraverso la modifica dell’art.109 della Costituzione laddove, a fronte della previsione che “l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria”, è proposto il nuovo inciso “secondo le modalità stabilite dalla legge”. È indubbio che l’attuale formulazione dell’art.109 della Costituzione persegue la finalità di sottrarre la polizia giudiziaria alle influenze dell’Amministrazione ed a limitare le interferenze esterne sull’esercizio dell’azione penale ed è perciò strumentale alla garanzia dell’indipendenza della Magistratura. È quindi evidente che l’iniziativa finalizzata a degradare a legge ordinaria la disciplina concernente l’utilizzo della polizia giudiziaria incide direttamente sui principi costituzionali di obbligatorietà dell’azione penale, di legalità e di autonomia della
Magistratura. Ulteriore aspetto della riforma che suscita aspre e condivisibili critiche è la previsione di una responsabilità civile diretta dei magistrati. L’approccio punitivo di tale iniziativa è, infatti, ancora più evidente in quanto, con essa si viene ad intaccare la serenità di giudizio del magistrato esposto in prima persona anche alla più temeraria delle azioni di quella parte che non abbia da lui ottenuto piena soddisfazione. Non può, inoltre, essere sottaciuto l’enorme dispendio di energie professionali che il magistrato sarebbe costretto ad approntare al fine di predisporre (con i relativi costi) le proprie difese e ciò a totale discapito del servizio giustizia. In definitiva, una concreta risposta alla domanda di giustizia presuppone correttivi finalizzati ad un miglioramento del servizio e non si ottiene, quindi, riformando la Magistratura che quella domanda è tenuta ad esaudire.
Magistraturaindipendente.it di GIUSEPPE CORASANITI Responsabile area internet MI l sito internet di Magistratura indipendente è un altro modo per essere vicini ai colleghi, a portata di click: contiamo ancora di migliorare, perché in informatica non si può non migliorare continuamente, con l’aiuto di tutti, mettendoci a disposizione di tutti per fare sentire forte e chiara la nostra voce anche quando questo sembra un lusso, anche e soprattutto quando è percepita come scomoda, anche quando è sgradita. Vorremmo ancora potenziare la parte interattiva ed affrontare temi sempre centrali , come l’organizzazione degli uffici, il bilancio delle tante riforme finite nel nulla e peggio ancora penalizzanti per la nostra categoria, vorremmo tenere aperto e mantenere uno spazio di dibattito per tutti che ci serve per migliorare tutti, perché il dialogo nella sua forma e
16
nel suo metodo migliora chi lo coltiva. Su magistraturaindipendente.it troverete anche una versione digitale delle pubblicazioni, a partire da questa rivista, ed una ricca rassegna –aggiornata ora per ora – sui problemi della giustizia in Italia. Il sito non è una duplicazione della nostra rivista, ma il nostro modo di essere, e di essere in una posizione centrale sulla nuova frontiera della comunicazione digitale, aperta ai tanti colleghi “nativi” digitali come ai colleghi più anziani che ,mi auguro, ne apprezzeranno insieme le sue potenzialità. Perciò sentiamoci e restiamo in contatto su
www.magistraturaindipendente.it