Lyna Ring
Ombra di Velluto
Sei cosÏ sicura che ti proteggerò dai pericoli della notte?
2011 n. 9
a cena col vampiro
Mammaeditori
ISBN 978-88-87303-50-6 1° edizione aprile 2011 Copyright © 2011 Mamma Editori Casa Bonaparte 43024 Neviano degli Arduini - Parma telefono 0521.84.63.25 mamma@mammaeditori.it www.mammaeditori.it
Collana
a cena col vampiro In fatto di vampiri ed esseri soprannaturali vari la magia dell’epica sembra più che mai rinnovarsi. Nella koinè letteraria, migliaia di fans di ogni paese, continuano a immaginarne e a leggerne le avventure. Per questi tipi, la collana A cena col vampiro intende dar conto del fenomeno, con l’avvertenza, che non tutte le storie mantengono il profilo adolescenziale e romantico, alcune autrici hanno voluto narrare in modo più crudo le passioni, altre più attratte dal titanismo dei signori della notte, ne hanno descritto dettagliatamente la violenza. Altre ancora tornano al momento magico in cui sboccia l’amore impossibile.
Vai alla collana “A cena col Vampiro” http://www.mammaeditori.it/pages/ACenaColVampiro.htm Chatta con l’autrice http://docks.forumcommunity.net/ Vai nel sito Bloody Roses Secret Society http://www.myspace.com/bloodysocietyofficial
Immagine di copertina di Valda FINITO DI STAMPARE e rilegato NEL MESE DI aprile 2011 presso MAMMA EDITORI
Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto piÚ spesso e piÚ a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. (Immanuel Kant)
A Gianni che divide con me i momenti tristi e i momenti felici. A Mariagiovanna e Antonella che sono la nostra ragione di esistere.
Non era come assaggiare la dolcezza del miele. Era perdersi in un mare di freschezza, senza aver paura di affogare, in una distesa di neve soffice, senza avere freddo.
α Steso a terra, sentì il sangue fluirgli dentro come un ruscello assordante. Nel fragore che gli riempiva le orecchie, si chiese perché lo avesse fatto. Avrebbe dovuto fuggire, pensare a se stesso, invece si era avvicinato all’uomo, per provare a liberarlo dalle catene. Lo aveva fatto d’istinto, senza uno strumento e consapevole che non avrebbe mai potuto aprire a mani nude i grossi bracciali ai polsi e alle caviglie dell’uomo, e quello lo aveva ripagato colpendolo con una potenza sovrumana. Mentre volava via senza peso, come un ramoscello secco, i pensieri di morte si aggrovigliarono dentro di lui. È la fine... Ma tu cosa sei? Non esiste un uomo così forte... L’urto contro il muro fu violento e lacerante. Aveva sentito un crack ed era ricaduto come una bambola di pezza sul pavimento umido del sotterraneo. Ritornò bambino felice, mentre spiava i fratelli che corteggiavano le fanciulle da marito. Rivide le mani grandi e forti che cercavano piccole mani bianche, le labbra ruvide che sfioravano labbra acerbe. Per lui invece, ultimo di quattro figli, un destino segnato: il convento e poi quella fuga verso la libertà, desiderata per troppo tempo e troppo presto interrotta. Steso a terra ansimò, con la mente che si annebbiava. Maledì la sorte che lo aveva portato fin lì e si abbandonò
5
al dolore che gli pulsava dentro e lo trascinava verso l’oblio della morte. Anche questa è libertà. Nella penombra nebulosa, l’uomo che lo aveva colpito trascinò le lunghe catene, si avvicinò e fissò gli occhi infuocati nei suoi ormai spenti. Raccolse una pietra. In un gesto riflesso, Hermes cercò di allontanarsi, ma non riuscì a spostarsi neppure di un centimetro, ormai troppo debole. L’uomo continuò a fissarlo con un ghigno spietato. – Finiscimi – lo implorò con un filo di voce. Quello non rispose. Negli occhi un’espressione improvvisa di pietà. Affondò la parte affilata della pietra sul polso, si fece un’incisione profonda accanto al bracciale metallico a cui era attaccata la catena che lo teneva prigioniero al muro e con la mano non ferita gli afferrò il volto. Lo costrinse ad aprire la bocca e accostò il polso sanguinante. – Bevi – gli ordinò rauco mentre il sangue gli colava sulle labbra. – Bevi, se non vuoi morire. Hermes sentì il liquido caldo e acido cadergli in bocca. Una repulsione istintiva gli risalì dallo stomaco e graffiò la lingua sui denti per sputarlo via. – Stupido umano, bevi! – gli gridò l’altro, rabbioso. – Dannazione! Ormai senza energie, Hermes non oppose più resistenza e sentì il sangue riempirgli la bocca, copioso e denso. Un conato gli scosse il petto. Poi un colpo di tosse, un gorgoglìo in gola e il ribrezzo per quell’ultima sensazione prima di morire, affogò nella disperazione mentre inghiottiva, nauseato. Il cambiamento fu repentino. 6
Avvertì una forza immediata sfrigolare nei muscoli, il corpo rinvigorirsi, come se qualcosa dentro glielo stesse riparando, ma allo stesso tempo lo stesse distruggendo, perché un dolore infinito prese a scorrergli nelle vene, a bruciargli le terminazioni nervose, a pulsare nello stomaco. Le viscere si contorsero. Si aggrovigliarono e risalirono verso l’esofago, quasi volessero essere vomitate. Si contrasse e si raggomitolò su se stesso, torcendosi dal dolore. Nella penombra colse lo sguardo di fuoco dell’uomo che gli penetrava le carni e assisteva soddisfatto ai suoi spasimi. – Cosa mi hai fatto? – gli ringhiò contro con la voce strozzata e lo stomaco che si contraeva e gli risaliva fino in gola.
7
w
1.
Gli occhi di ghiaccio fissarono attenti il camion che accostò al marciapiede, lungo la strada. Seguirono vigili gli operai nelle tute da lavoro mentre scaricavano mobili e scatoloni e percorrevano avanti e indietro il vialetto selciato. Per ore osservarono assi, sedie, tavoli e scatole, materassi e cuscini colorati sparire all’interno della villetta. Le orecchie tese, il gatto non si mosse dal muretto di cinta che separava i due giardini, accoccolato e attento, come se il viavai inaspettato lo preoccupasse. Controllò ogni spostamento e solo quando intuì che tutto si stava per concludere, si alzò, stiracchiò le zampe e incurvò la schiena, arcuò la coda e sbadigliò. Annoiato si raggomitolò ancora sui mattoni sgretolati. La macchina rombò all’improvviso lungo la strada tranquilla, a velocità sostenuta. Le gomme stridettero nella sterzata e con una frenata brusca, l’auto parcheggiò sull’erba del giardino, proprio accanto a lui. Scesero un uomo e una donna. L’uomo controllò l’interno del cassone. La donna si diresse verso la casa e scambiò qualche parola con uno degli operai. La coda inquieta e ondeggiante, il gatto li osservò con sospetto. Subito dopo, dalla portiera posteriore uscì a razzo un bambino. – Voglio vedere la casa nuova! – gridò zigzagando lungo il vialetto, fra gli operai, e passò accanto alla madre che si era fermata di colpo per non essere travolta. Le orecchie del gatto si tesero all’indietro, diffidenti. Scattò sulle zampe per saltare giù dal muro; esitò solo un attimo per un ultimo sguardo alla porta che aveva inghiot9
tito il moccioso, e dalla portiera ancora aperta, emersero due gambe affusolate che calzavano un paio di stivali neri. Con un sorriso luminoso che mostrò i denti ben fatti, la ragazza si voltò subito verso il muro. Il gatto si smarrì nelle fossette sulle guance lentigginose. – Micio, micio – gli mormorò accostandosi. – Micio – ripeté e allungò la mano per accarezzargli la schiena. Lui si arcuò e lasciò che le dita sottili corressero sul lungo pelo lucido e nero, avanti e indietro. – Che bel micio che sei – disse ancora. Lo sollevò e lo strinse fra le braccia, lo accostò al petto e si avviò verso la casa. – Mamma guarda cos’ho trovato? La donna si voltò, gli occhi sgomenti. – Mariasole, dove hai preso quel gatto? – Qui fuori. – Gli strofinò la faccia sul muso peloso. – Posso tenerlo? – Nemmeno per sogno. Lo sai che non sopporto gli animali. – Il gatto guizzò fra le braccia profumate. – E poi avrà già un padrone: non vedi che ha il collarino? Lascialo andare – le ordinò indicando il giardino. La ragazza mollò la stretta. L’animale atterrò sul parquet dell’ingresso con un tonfo sordo, le lanciò uno sguardo di ghiaccio, poi si allontanò svelto e sparì al di là della porta. Mariasole osservò gli scatoloni accatastati contro la parete della camera. I mobili erano già stati montati e disposti nella giusta posizione. Rimanevano da sistemare gli oggetti sulle mensole, i maglioni nei cassetti e i vestiti nell’armadio. La finestra era ancora priva di tende e dalle imposte accostate, filtrava la luce del pomeriggio. Un albero mosso dal vento spostava le ombre dentro la stanza creando giochi sinuosi di chiaroscuri. Il desiderio di scoprire cosa si vedesse, la spinse ad accostarsi al vetro. Spalancò la persiana, strinse le palpebre e guardò in basso. 10
L’astigmatismo all’occhio sinistro da qualche tempo era diventato un problema. Avrebbe dovuto usare più spesso gli occhiali, ma quando si guardava allo specchio, non si piaceva e allora, se poteva, preferiva lasciarli riposti nella custodia. Osservò il muretto sgretolato che divideva il giardino della loro villetta da quello dei vicini. La pianta artefice dei giochi d’ombra cresceva al di là del muro. Cercò fra le finestre della casa di fronte un segno di vita. C’è un gatto, ci deve essere per forza un padrone. L’animale infatti, dormiva rannicchiato sullo zerbino, sotto il portico. Ma pareva proprio che nella casa non ci fosse nessuno. Le persiane erano quasi tutte chiuse. E quelle aperte mostravano pesanti tende che non permettevano di sbirciare. Il giardino era spoglio, però l’erba era tagliata. Non c’erano fiori, non c’erano vasi e ornamenti, ma pur con la forte sensazione di silenzio e solitudine che le giungeva, l’edificio non le rimandava l’idea di una casa abbandonata, anche se, in mezzo a tutte quelle villette del viale, con i giardini curati e pieni di aiuole fiorite, creava un grigio contrasto che le suscitò un’angoscia inquietante. Aveva una struttura diversa e rispetto alle altre abitazioni era molto più antica. Era stata rimodernata: si capiva che il portico che correva sul lato della strada e su quello dirimpetto alla loro villetta, era stato aggiunto sicuramente di recente, perché il legno che sosteneva la tettoia non era ancora annerito dal tempo, ma la pietra scura della facciata era corrosa, e tutta la costruzione nell’insieme, appariva tozza, semplice e funzionale, come un piccolo maniero. Mariasole scosse la testa e tornò con lo sguardo al gatto addormentato sullo zerbino. Corrugò la fronte e arricciò le labbra contrariata. Se c’è un gatto, c’è un padrone. 11
Chiuse il vetro con decisione e raggiunse il primo scatolone. Strappò il nastro adesivo e iniziò a sistemare gli oggetti sulle mensole. Il loro arrivo è un problema. Sono rumorosi, e sono troppi. Poi c’è un bambino. Preferivo i proprietari precedenti: non ne avevano. I bambini non mi piacciono, sono troppo curiosi. Infilai gli artigli delle zampe anteriori nel tessuto soffice dello zerbino. Lei però è profumata. Sentii il pelo sulla schiena che si gonfiava e mossi la coda. Come l’ha chiamata la madre? Ah, sì: Mariasole... Chiusi gli occhi sulle pupille sottili e cercai di ignorare il fremito che mi correva lungo la spina dorsale. Il rumore della finestra richiamò la mia attenzione. È lei. La osservai senza che si accorgesse che la stavo fissando, interessata com’era alle finestre della casa. È bella. E poi ha un buon odore.
q
2. <La nuova casa> mariasole.moretti@libero.it
a: francesca.lucidi@libero.it Ciao Francy :-D Da quando sono arrivata, non ho avuto neppure un minuto per accendere il computer e non sono riuscita a scriverti prima 12
di oggi. Papà ha ripreso subito a lavorare, Alessandro si è limitato alle sue cose e a dare fastidio, come al solito. Così è toccato a me e alla mamma sistemare tutto. La casa è bella, però il paese è triste e silenzioso. Mi manca il caos della città, ma soprattutto già mi manchi tu e le nostre lunghe chiacchierate. I chilometri che ci dividono sono molti, ma troveremo il modo per vederci. Domani mattina affronterò il primo giorno di scuola. Sono un po’ preoccupata per questo: spostarsi quasi a fine quadrimestre, nell’ultimo anno di liceo, con gli esami che si avvicinano, non è proprio la situazione ideale. Cercherò di fare del mio meglio. Comunque ti racconterò tutto. Bacio bacio. Sole P.S. Mi sono dimenticata di dirti che i nostri vicini hanno un gatto bellissimo: è nero, morbido e... caldo.
– Mamma, scusa, ma non ci abita nessuno nella villetta accanto alla nostra? – chiese Mariasole prendendo una fetta di ciambellone da intingere nel latte. – Cosa te lo fa credere? – La madre rovistò con energia nel frigorifero. – Hai perso qualcosa? – chiese il marito bevendo il caffè e tagliandosi una fetta di dolce. – No, cercavo gli avanzi di ieri sera. – Sollevò la testa verso la finestra sopra il lavello. – Mi inquieta vedere quel gatto nero sul nostro davanzale – osservò, – e allora volevo dargli qualcosa da mangiare, così poi magari si decide ad andarsene via. – Se gli dai da mangiare, otterrai l’effetto contrario – obiettò Filippo. 13