“Improvvisamente il fondo dell’armadio emise uno schiocco e si staccò. I ragazzi, che non si aspettavano il cedimento caddero nella voragine che si era aperta precipitando nel vuoto.” Fantasmi, scarpette, microfoni e riflettori. «Voglio liberarle,» disse lei. «Si ma il provino? Non sarebbe meglio cercare una via di fuga?» «Niente è più importante di questo.» Simona, grintosa e combattiva ma leale e sincera. Ida, timida e introversa ma forte e decisa quando serve. All’accademia di danza che frequentano, le audizioni per le parti principali nello spettacolo di fine anno incombono, ma qualcosa accade prima della prova. Qualcosa a cui è impossibile sottrarsi, perché qualcuno brama una pace che solo un sogno realizzato può dare e quindi non resta che fare di tutto per realizzarlo.
Questo racconto lo dedico a Simona e Ida con l’augurio sincero che rimaniate cosÏ, belle, genuine e sincere ma soprattutto amiche per sempre
Abito nel cielo dall’altra parte della luna Dove volano i sogni in cerca di fortuna Accendere le stelle è questo il mio mestiere Io di notte faccio lo stelliere. Come immaginerete le stelle sono tante E faccio una grande fatica per accenderle tutte quante Su e giù per l’Universo ininterrottamente Perché le stelle son sogni e non posso lasciarle spente. (da “Lo Stelliere” 45° zecchino d’oro)
FANNY GOLDROSE
MAGIC GIRLS IL TEATRO PERDUTO
I
sogni sembrano fatti di zucchero filato. Soffici, dolci e meravigliosamente invitanti. Te li gusti pezzo dopo pezzo e anche se alla fine non resta che un bastoncino di legno, il sapore che ti lasciano ti accompagnerà per sempre. Quando Ida entrò nell’aula in quella fredda mattina del 14 febbraio venti paia di occhi attenti presero a fissarla con fare curioso e indagatore. Occhi azzurri, castani, verdi e neri. Occhi curiosi che cercavano i suoi ostinatamente puntati verso il pavimento pervinca. La bidella la esortò a procedere premendole il palmo sulla schiena coperta da un maglioncino di cachemere rosa confetto, poi salutò a mezza voce e scomparve oltre l’uscio. Una vampa di calore le salì fino al volto e le guance rosee si tinsero di un rosso vivace. Calma, calma Ida o tutti ti prenderanno per un pomodoro. La dolce ragazzina dai folti capelli castani e dal nasino all’insù, sopra il quale poggiavano graziosi occhialetti dalla montatura color ciliegia, cercò di convincersi. La verità era che sarebbe voluta scomparire e per magia ritrovarsi nella sua vecchia scuola con tutti i suoi amici e 9
nella sua aula della quale conosceva ogni angolo. In preda all’imbarazzo prese a giocherellare con le dita, intrecciandole e sfregandole. Il trasferimento deciso da suo padre in vista di una nuova opportunità di lavoro al principio era stata triste ma allettante, la promessa di una nuova avventura, ma adesso che era lì, la fifa aveva preso il sopravvento. Deglutì aspettando la presentazione ufficiale. La professoressa si alzò dalla sedia e le andò incontro. Un tipo giovanile, capelli corti e scuri, occhietti castani vispi e allegri e un sorrisetto accattivante che le restituì un po’ di serenità. «Io sono la professoressa di italiano e grammatica: mi chiamo Adele Ricciardi» esordì, ma non fece in tempo a raggiungere Ida che la fissava a una decina di passi, ancora in prossimità dell’uscio semichiuso. Adele allungò la mano ma improvvisamente incespicò nell’attaccatura della pedana in legno che teneva la cattedra sollevata rispetto ai banchi. Saltellò in una specie di corsetta e per poco non si spiaccicò contro l’armadio a muro color verde mela. La sua sfortuna fu quel balzello di troppo proprio verso la porta che, essendo chiusa male, ad un solo tocco si spalancò lasciandola cadere fuori dall’aula. Una risata chiassosa partì e si rovesciò come un’onda che s’infranse alle spalle dell’insegnante inghiottita dal corridoio. Ida si volse verso l’uscio aperto cercando di trattenersi ma non ci riuscì. Si 10
coprì le labbra con il palmo e rise di gusto, sfogando in realtà, tutta la tensione dell’esordio. Fuori dalle finestre s’intravedeva il cielo. Era grigiastro di smog e pioggia, interrotto qua e la da nuvole cariche, nere come pece. Ci mancava solo un bell’acquazzone. Non aveva nemmeno l’ombrellino pieghevole che sua madre si premurava sempre di infilarle in cartella. Adele riapparve con un’espressione ridicola dipinta sul volto gioviale. Teneva la bocca distorta in una smorfia a metà tra la faccia di un clown e quella di un killer in un film horror. Si rassettò velocemente i jeans chiari che le fasciavano le gambe snelle e le porse di nuovo la mano. «Perdonami, sono inciampata. Dicevamo…» Ida abbassò lo sguardo per poi rialzarlo di nuovo piena d’imbarazzo. Dalla classe si sollevò un mormorio sommesso, certamente una serie di commenti che lei si augurò fossero benevoli. «Bene, Ida», proseguì l’insegnante, «Ti do il benvenuto nella nostra accademia», poi sorrise stringendole finalmente la mano. «Ragazzi Ida viene da Roma, la nostra meravigliosa capitale. Ha frequentato il primo anno della scuola secondaria della sua città, ma poi la sua famiglia si è trasferita qui a Milano e lei ha sostenuto un provino per entrare in accademia», spiegò ai ragazzi. 11
Ida sorrise tirata. Si sentiva al centro dell’attenzione e quella raffica di informazioni che la riguardava non migliorava il suo stato d’animo. «Come ben sai», proseguì Adele questa volta rivolgendosi a lei. «Avendo scelto una scuola di danza e studio il tuo rendimento scolastico inciderà sui tuoi successi artistici. Solo con una media del sette in tutte le materie potrai accedere alle esibizioni e alle selezioni per interpretare “Belle” nel musical “La bella e la bestia” durante lo spettacolo di fine anno al Teatro Nuovo. Beh! Nel tuo caso, essendo appena arrivata, terremo conto della media dei voti che ci ha comunicato la tua vecchia scuola. A quanto ho sentito sia i voti che il talento sono ottimi, quindi non solo parteciperai alle audizioni, ma sarai anche una delle favorite.» All’udire quelle parole Ida arrossì violentemente mentre la sua immaginazione prese a viaggiare senza alcuna possibilità di tenerla ancorata alla realtà. Si vide sul palco con indosso il famoso tutù giallo. I suoi piedi volavano senza toccare nemmeno il pavimento in legno lucido, sfiorando appena le mani leggere del suo principe mostro mentre si alzava sicura sulle punte e il tulle rimbalzava leggero, carezzando l’aria illuminato dalle scie bianche dei riflettori. «Ida? Mi stai ascoltando?» 12
Un tuffo al cuore la fece trasalire. «Si, mi scusi.» Un’altra risata partì ma più simile a una sorta di brusio. «Bene, puoi accomodarti accanto a Gianluca, lì in seconda fila.» Gli occhi di Ida si sollevarono fino ad incontrare lo sguardo del nuovo compagno di banco, che la fissava sorridendo. Era il principe, cioè il ragazzino più bello che avesse mai visto. Una nuova vampa le investì il volto che sembrò incendiarsi divenendo paonazzo. Dal gruppetto delle ragazze in fondo partì un mormorio seguito da sguardacci appuntiti come spine di rosa. Gianluca le scostò la sedia sorridendole di nuovo e porgendole il palmo. Gli occhi sembravano rapiti, mentre guardava nei suoi, come se avessero appena visto una farfalla rara e meravigliosa. La Ricciardi si era risistemata senza altri danni alla cattedra e aveva cominciato a spiegare “A Zacinto” di Ugo Foscolo. «Così vieni da Roma?» Ida trasalì mentre sistemava il materiale scolastico sul banco. Non osava sollevare lo sguardo sugli altri compagni e cercava di prestare attenzione alla lezione anche se la consapevolezza di trovarsi in un’accademia per ballerini professionisti le faceva 13
frizzare la lingua e friggere lo stomaco. Non poteva crederci. Era un sogno che si realizzava. Si sistemò i capelli dietro le orecchie e si girò per rispondere a Gianluca, pregando di non arrossire di nuovo. «Si, vengo da Roma. E tu? Sei di qui?» «Si, però i miei sono liguri, nati e cresciuti ad Albenga.» «Ho sentito parlare di Albenga. Di fronte c’è l’isola Gallinara quella a forma di tartaruga.» «Sei informata.» Ida sorrise, orgogliosa di aver saputo cosa dire. «È bella, sai? Ci sono andato in barca con mio padre.» «Hai una barca?» Gianluca sorrise entusiasta. «Sì, la vecchia Penelope. È una barca da pesca mezza sgangherata, però io e mio padre ci divertiamo un sacco a visitarci i dintorni.» Ida annuì, sorridendo. «Ci vai spesso, dico in Liguria?» «Tutte le estati. Vado da mia nonna. Passo con lei tre mesi e i miei vengono nel week end. Appena arrivano io e mio padre saltiamo in barca e via! A volte metto maschera e pinne e guardo sott’acqua. È bellissimo. Ci sono un sacco di pesci colorati.» 14
Ida provò a immaginarli. Gianluca fece per riprendere il racconto ma proprio in quel preciso istante la campanella suonò segnando la fine dell’ora d’italiano. Evvai, la prima è andata. Tutto sommato tra l’entrata, il volo della prof., il superamento mal riuscito dell’imbarazzo e i racconti di Gianluca era durata poco. Ida prese di nuovo a sistemare le proprie cose nell’astuccio, tanto per tenere impegnate le mani e la tensione, mentre i denti tormentavano una pellicina sulle labbra. «Ehilà!» Una voce femminile e squillante le trapanò l’orecchio sinistro. Sollevando lo sguardo trovò un viso fresco, bello e simpatico che le sorrideva amichevole. «Ciao, io sono Simona.» Le bella ragazzina dai capelli biondo oro e dagli occhi color dei turchesi, le allungò la mano destra e Ida si affrettò a stringerla. «Ben arrivata! Ti va dopo le lezioni di venire a prendere un cappuccino?» Gianluca le lanciò un’occhiataccia. «Sgomma Simo, c’avevo già pensato io.» «Mi spiace, bello, le femmine stanno con le femmine. Anzi…» Con un’irruenza che strappò un sorriso alla protagonista della contesa, Simona acchiappò la cartella di Ida, astuccio e antologia e lì trasferì senza troppe 15
cerimonie sopra il banco accanto al suo. Poi ammiccò ed elargì un sorriso di vittoria a Gianluca che ricambiò con una fiammata che, se fosse stata vera, le avrebbe incenerito la cascata di capelli biondi. «Il posto accanto al mio è LIBERO, quindi…» Ida sorrise. Un po’ le dispiaceva lasciare il banco vicino a quello di Gianluca, ma sedere con a un’altra ragazza le avrebbe alleviato un po’ di imbarazzo. «Così vieni da Roma, è? E sei qui per danza classica? Si ma da quanto balli? Ida, è così che ti chiami, vero?» Simona prese fiato, forse una scorta, visto che ricominciò il suo discorso a senso unico a una velocità stratosferica. «Sai, Ida questa scuola è pazzesca! Sì, ti devi impegnare, eh, mica ti regalano niente, ma se hai una buona media e riesci a vincere la selezione puoi essere la protagonista del musical, capisci? Il musical e ci si esibisce in un teatro vero, gente! Qua la competizione è altissima, sai? Però di me non ti devi preoccupare perché tu sei qua per ballare, no? Io noooo… Io canto, capisci, canto perché cantare è la mia V I T A, la mia vita. Non voglio fare altro, non mi interessa altro, io canto. Canto sempre, da quando mi sveglio, a quando vado a letto, cantare… È tutto per me. Quest’anno il musical sarà “La bella e la bestia”. Io aspiro a cantare il brano principale e…» 16
«Sì, sì dacci un taglio usignolo!» Una voce aveva interrotto il mono discorso di Simona e un altro palmo si era allungato verso quello di Ida. «Ciao, carina. Così tu sei quella nuova? Io mi chiamo Ilaria, Ilaria Schiavone. Illy per gli amici.» Simona scoppiò a ridere. «Scusa per che amici? Per le tue leccapiedi decaffeinate vorrai dire, perché altra gente che ti trovi simpatica non credo ce ne sia.» «Chiudi il becco, tu!» Simona scattò in piedi pronta a reagire, ma proprio in quell’istante entro il professor Bianchi e le lezioni ripresero placando gli animi. Il match con Ilaria era stato solo un assaggio. C’era ben altro dietro quegli occhi nocciola piccoli e cattivi, nascosto con cura oltre il suo sorrisetto compiaciuto. Il resto delle ore passò senza intoppi. Altri compagni si erano fatti avanti per presentarsi incuriositi da “quella nuova”. Sembravano tutti contenti di avere acquisito una compagna, tutti tranne Ilaria Schiavone che aveva seguitato a puntarla con occhi astiosi per il resto della mattinata. La campanella che annunciava il termine delle lezioni trillò acuta ma decisamente apprezzata dagli studenti che, quasi all’istante, presero a rumoreggiare spostando sedie, chiudendo astucci e raccoglien17
do gli zaini, scalpicciando fuori dall’aula. Ida se la prese con comodo. Si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e prese a raccogliere le proprie cose. Prima di uscire dall’aula Ilaria sfilò davanti al suo banco: «Sentimi bene! Sarò io Belle, carina. Ti consiglio di non provarci nemmeno», sibilò velenosa mentre con un gesto veloce fece cadere libri e quaderni dal banco. Simona scattò come una molla e balzò come per saltarle addosso, ma due braccia l’acchiapparono al volo: «Ehi! Frena terremoto!» Gianluca la teneva, mentre lei si agitava tentando di liberarsi dalla stretta senza riuscirci, mentre Ilaria si chinava verso l’orecchio di Ida. «A proposito, stai lontana anche da Gianluca, o te la faccio pagare.», disse in un soffiò prima di scomparire oltre l’uscio. «Io a quella gli strappo tutti quei capelli schifosi che ha sulla testa!» «Sì, sì, ma adesso piantala!» Simona grugnì stringendo le labbra e chiudendo gli occhi fino a farli diventare due fessure. Poi alzò di nuovo lo sguardo su Ida. «Lasciale perdere, ok? Lei e le sue amiche sono solo delle galline senza cervello. Stanne alla larga, se vuoi il mio consiglio.» 18
Ida annuì senza aggiungere un fiato. Quella timidezza che combatteva con tutte le sue forze cominciava a fare capolino dentro di lei minacciando di prendere il sopravvento. Scosse il capo e, finalmente pronta, si avviò nel corridoio con Simona sottobraccio e Gianluca dietro a far quasi da scorta. Nell’aria aleggiavano odori diversi. Fragranze di profumi, qualcuno piacevole, altri troppo forti, fastidiosi e c’era odore di cibo e caffè. Dal bar si udiva un forte vociare e tintinnii di cucchiaini posati sui piattini di ceramica. «Ti va di venire a pranzo a casa mia? Così chiacchieriamo un po’.» Ida tergiversò. A sua mamma non avrebbe sorriso l’idea. In fondo erano appena arrivati e non conoscevano nessuno quindi, seppur sforzandosi, capiva i suoi che erano ancora sulla difensiva. Suo padre lavorava per una multi nazionale, un’azienda farmaceutica mentre sua madre faceva la casalinga in attesa di trovare qualche cosa da fare. Non sapeva star ferma e Ida era sicura che a breve si sarebbe creata un giro di lavoretti: pulizie, rammendi o cose del genere. «Non so, mia mamma non mi lascia molto libera. Sai, non conosciamo nessuno qui e…» «Tranquilla, tanto ci vediamo tra due ore, ci sono le prove per le selezioni. A quelle ti manda, no?»
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Ida sorrise. Ovvio. Improvvisamente da dietro arrivò una ventata che li investì. Un ragazzo con i capelli biondo ora, poco più basso di Gianluca piombò loro addosso, travolgendoli. «Giorno!» Simona lo guardò un secondo poi si scaraventò contro di lui coprendogli il braccio di pugni. «Dico, ma sei scemo? Mi hai fatto prendere un colpo.» L’uragano dagli occhi verdi alzò le mani in segno di resa. «Ok, ok, scusa. Vi ho visti e…» si difese poi si rivolse all’amico. «Dico, ma tu non mi aiuti? Mi lasci pestare da questa qui?» Lei sgranò gli occhi. «Questa qui? Come questa qui? Adesso vedi!», minacciò prima che una nuova ondata di cazzotti investisse ancora il braccio del poveretto. «Eh! Basta, no!» Gianluca intervenne trascinandola via. «Ma sei tremenda! Se ti piace dovresti dargli un bacio non picchiarlo.» A quelle parole Simona avvampò in volto e prese a picchiare lui. «Ah, ma allora è un vizio!»
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Ida osservava la scena ridendo divertita. Simona era fantastica e l’idea di averla come amica le riempì il cuore. «Beh! La finiamo? Non mi presentate la nuova compagna?» Simona e Gianluca si fermarono. «Si, amico lei è Ida. Viene da Roma. Ida, lui è Lorenzo.» Ida sorrise presentandosi. «Oh! Ma ci pensate? Domani ci sarà il primo step, quello in cui la giuria sceglierà i quarantacinque studenti che parteciperanno alle selezioni successive.» Ida trasalì. «Come hai detto, scusa? Domani? Ma non sapevo niente. Non ho preparato nulla.» Simona le strinse la mano sulla spalla. «Tranquilla, andrà benissimo una coreografia che hai già provato mille volte. Lasciano scegliere a noi. Avrai un cavallo di battaglia, no?» Da dietro gli occhiali color ciliegia due lacrime sfuggirono superando la barriera delle ciglia e rigando le guance di Ida che fissò un istante Simona prima di correre via. «Ehi! Ida. Dove vai? Aspetta!» Simona accennò una corsa ma la ragazzina era già sparita inghiottita dal lungo corridoio che portava all’uscita dell’accademia. 21
I tre rimasti si scambiarono occhiate senza aggiungere un fiato. Due colpi echeggiarono sulla porta dell’ufficio della preside. «Avanti!» La voce bassa e perentoria, pronunciò l’invito senza nemmeno tentare di nascondere il disappunto. «Spero sia importante», precisò senza nemmeno sollevare lo sguardo dai fogli sparsi sulla scrivania. «Signora Martelli sono io, Ilaria.» All’udire quelle parole la donna dai capelli sale e pepe freschi di parrucchiere, sollevò gli occhietti piccoli e neri spalancati dietro le lenti degli occhiali dalla montatura antiquata. Un sorriso le incurvò le labbra sottili accentuando le rughe d’espressione. «Vieni pure, cara. Avevi bisogno di qualcosa?» Ilaria si avvicinò senza accomodarsi e picchiando i palmi sulla scrivania di legno lucido e odoroso di cera d’api. Fissò la preside che non si scompose ma che non riuscì a nascondere una punta di preoccupazione. «Oggi è arrivata una certa Ida. Chi è? Perché ha accettato una nuova studentessa?» «Ilaria, io…» «Non può stare qui! Già abbiamo quella… Simona fra i piedi. Adesso anche questa.» 22
«Sì, Ilaria. Lo so ma non ho avuto scelta. Alle selezioni c’era anche il professor Miceli, conosce molto bene il padre e poi meritava di entrare. È molto dotata e…» «Mi ascolti bene!», sibilò Ilaria, «il ruolo di Belle deve essere mio e il brano principale deve cantarlo Alessia Russo la mia migliore amica altrimenti credo che mia madre eviterà di sovvenzionare la scuola quest’anno e questo sarà un groooooosso problema per lei.» La preside prese ad agitarsi sulla sedia come se una manciata di spine le fosse comparsa sotto le natiche. Le minacce della ragazzina, se si fossero avverate, avrebbero causato gravi danni al bilancio fino a mettere a repentaglio la possibilità di continuare a tenere aperta l’accademia. «Non si preoccupi Ilaria, i ruoli saranno vostri.» Sul viso della giovane prepotente si dipinse un sorriso di vittoria. «Ovviamente Gianluca e Lorenzo saranno rispettivamente il principe e la voce maschile del pezzo principale!» La preside si agitò di nuovo stringendo i pungi fino ad imbiancare le nocche, vistosamente messa all’angolo dalle minacce dell’astuta ragazzina. Ma cosa le faceva a fare le selezioni, allora se comunque i giochi erano già decisi? A cosa sarebbe servito illudere gli altri ragazzi se la famiglia Schiavone la 23
teneva in scacco e non lasciava spazio a nessun’altro se non a quell’incapace della figlia? I nervi si tesero e la pressione le salì alle stelle. Fece un respiro profondo cercando di calmarsi e abbassando lo sguardo confermò: «Come vuole lei, signorina.» «Non lo voglio solo io, ma anche la mia cara madre. E se io dovessi rimanere scontenta lei ne soffrirebbe a tal punto da ritirami per iscrivermi altrove.» La donna deglutì annuendo. «Non si preoccupi, Ilaria sarà come desiderate.» Soddisfatta la ragazza lasciò l’ufficio senza nemmeno salutare. Non appena l’uscio si serrò e fu di nuovo sola la donna picchiò un pugno sul tavolo di legno di pino, che tremò. Si sollevò dalla sedia spingendola indietro con fatica, quasi le mancasse la forza e s’infilo una pastiglia tra le labbra, voltandosi verso la finestra aperta. Un aereo disegnava un scia bianca nel cielo, sempre più nero e minaccioso. Era tutto così grigio la fuori, mesto e malinconico come quello che sentiva aleggiare dentro di sé e fra quelle mura tenute in piedi dal ricatto e dall’ipocrisia. La rabbia le fece digrignare i denti. Odiava le ingiustizie, odiava i figli di papà che ottengono tutto con minacce ed estorsioni perché sono incapaci di vincere con le proprie forze e odiava sé stessa per la propria debolezza. Ma 24
la scuola avrebbe chiuso senza le sovvenzioni della famiglia Schiavone, quindi non aveva scelta: doveva tenere lontane le due ragazzine dalle selezioni come le aveva intimato la piccola vipera, a qualunque costo. Non sapeva ancora come avrebbe fatto, ma non aveva dubbi: Simona e Ida non avrebbero partecipato all’audizione. L’uscio di casa sbatté forte e lo zaino compì un mezzo arco atterrando sul divano. «Tutto bene a scuola?» Dalla porta della cucina la madre di Simona si affacciò inarcando la schiena. Oltre lo stipite compariva solo il collo e la testa bionda con i capelli raccolti in una coda alta di ricci morbidi. Simona non rispose. Nervosa si passò una mano dentro il ciuffo spostandolo dalla parte opposta del viso imbronciato. A quel punto il resto della figura di sua madre comparve dalla cucina. Parte della camicia bianca e dei jeans erano nascosti dietro un grembiule sul quale spiccava il muso di un maialino. Fra le mani stringeva un’insalatiera e un cucchiaio con cui rimestava una sorta di pastone multicolore: certamente il ripieno di qualcosa. «La stronza di Ilaria ha fatto piangere quella nuova. Le spaccherei la faccia!»
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«Simo, le parole! Chi è quella nuova? Avete una nuova compagna?» «Mmh!», annuì. «E com’è? Simpatica?» «Timida, carina e scommetto che balla benissimo visto che le hanno permesso di entrare all’accademia a metà anno scolastico. Brava da far impallidire quella scema di Ilaria!» «Simo, basta! Piantala di parlare come un camionista. Cos’ha fatto stavolta?» «Molto carinamente le ha fatto volare tutto dal banco e le ha detto qualche cattiveria all’orecchio. Se non mi avessero tenuta questa volta le avrei dato quello che si meritava.» Sua madre sorrise guardandola, orgogliosa di avere una figlia tanto attiva nel difendere gli altri. «Alla fine domani ci saranno le selezioni, no? Avrete occasione di dimostrare chi siete.» Simona scoppiò a ridere. Di nuovo la mano passò nei capelli spostandoli nervosamente. In cucina l’acqua cominciò a bollire borbottando sotto il coperchio di metallo. In fondo sua madre aveva ragione: il modo migliore per zittire la simpaticona era brillare come stelle e far sembrare lei un rozzo meteorite. «Mamma, secondo te saranno imparziali le selezioni? Per me no. Scommetterei la lingua che Ilaria Schiavoni passerà il turno a prescindere.» 26
Sua madre sospirò. Sapeva che diceva la verità. Era nota l’influenza degli Schiavoni all’accademia di danza. Tutti erano a conoscenza delle somme che la famiglia di dottori elargiva alla scuola e di come questo incidesse sul rendimento della ragazza. Posò l’insalatiera sul pensile e si passò le mani sul grembiule prima di raggiungere la figlia. Con le dita prese il volto della ragazzina che partì stampandole un bacio sul naso. «So cosa vuoi dirmi, ma non mi rassegno. Non accetterò mai che quella abbia sempre tutto senza meritarlo.» La madre ricambiò il bacio, sorridendo. «Per questo sei la mia preferita!» Il cielo fuori aveva cominciato a vuotare le riserve, cacciando giù acqua a secchiate. Fuori dall’accademia di arte e spettacolo gli studenti cominciavano ad arrivare per i corsi pomeridiani. Simona scese dalla Lancia Y della madre salutando e partendo di corsa verso Gianluca e Lorenzo che avevano già quasi raggiunto l’atrio. Fece per chiamarli ma qualcosa la trattenne all’ultimo. Rimase qualche istante sotto la pioggia a guardare Lory. Stava sorridendo e lo trovò bellissimo. Com’erano strane queste sensazioni. Lui in fondo era solo un amico e allora perché sentiva le farfalle nello stomaco quando gli stava vicino? Sorrise pensando che qualcuno su Facebook aveva postato quella frase che diceva: “Se hai le farfalle nello stomaco prova a bere, magari annegano”. 27
Fece una smorfia schifata al pensiero e scosse il capo per scacciare l’immagine poco simpatica. Provò a riprendere la corsa ma una voce la fermò prima dello scatto. «Simo.» Ida era alle sue spalle e teneva gli occhi bassi. «Ehi! Eccoti, tutto bene?» Ida annuì senza fiatare. «Sei pronta per le prime prove con il corpo di ballo? Io frequento moderno. Il classico lo seguo solo per acquisire un po’ di elasticità, ma non mi si addice molto. Maddalena l’insegnante dice che sono un po’, rigida», rise mimando un robot. «Invece con il moderno mi… SCATENOOO!!!!» Simona partì in un balletto sfrenato sotto gli sguardi di un gruppo di studentesse che le raggiunse sorridendo. Era frizzante come un bicchiere di coca cola ed esplosiva come un fuoco d’artificio. L’adoravano tutti e l’ammiravano. Dietro quell’aria da pazzerella aveva un gran cervello. Tutti nove in pagella e, come se non bastasse, aveva una voce strepitosa. Appena le ragazze arrivarono lei terminò l’assolo con un inchino. «Grazie, grazie. Ciao ragazze.» «Ciao Simo. Ciao Ida.» Una moretta dal viso gentile salutò allegra rivolgendosi alla nuova arrivata. 28
«Noi siamo sicure che sarete voi Belle e la voce del brano principale nel musical. Sai, Ida tutti parlano di te.» Ida s’irrigidì smettendo di sorridere. «Di me? E perché?» «Tutti dicono che sei un asso della danza. A nessuno studente è concesso di entrare in accademia a metà anno a meno che non sia iper bravo. Solo a un’altra l’hanno concesso, vero Maria Callas?» Simona sorrise arrossendo leggermente, ma durò solo un batter di ciglia. Era l’esatto contrario di Ida. Niente timidezza, nemmeno il più misero impaccio. «Certo ce la metteremo tutta anche noi», continuò la moretta, «ma sappiamo già di non avere molte speranze.» Pronunciando quelle parole Rebecca smise di sorridere. «Anche perché tre posti sono già presi, no?» Simona digrignò i denti sapendo bene cosa intendesse dire. «Comunque», proseguì Rebecca «non vediamo l’ora di vederti ballare, Ida.» La ragazzina arrossì, per l’ennesima volta. «Non sono così brava…» Simona le assestò una pacca sulla spalla che la fece vacillare.
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«È solo modesta la ragazza, ma adesso non potrà che farci vedere di che cosa è capace.» Il volto di Ida divenne paonazzo tanto che superò il gruppetto lanciandosi verso l’ingresso con Simona alle calcagna. Nell’atrio i ragazzi erano tutti inaspettatamente riuniti. Sulla rampa di scale la preside attendeva di fare un annuncio. Solo quando tutti gli studenti furono entrati prese la parola schiarendosi la voce. «Prego, un po’ di silenzio.» La piccola folla ammutolì all’istante, se non per qualche brusio di sottofondo che comunque si spense dopo poco. «Purtroppo a causa di un problema personale, il dottor Franchetti, presidente della giuria per le selezioni, domani non potrà essere qui con noi.» Il vociare riprese forte fra i ragazzi che commentavano la notizia. «Silenzio!», imperò la preside prima di proseguire il discorso. «Pertanto le selezioni avranno luogo oggi!» Il brusio ripartì come il rumore di una sciame di vespe impazzite. «Mi dispiace non potervi dare un giorno in più per provare, ma non ho alcuna alternativa. Andate a prepararvi. La selezione avrà inizio tra quarantacinque minuti.» 30
Il panico serpeggiò fra gli studenti. Rumorose proteste si accesero ma morirono prima di arrivare alle scale. La Signora Martelli si avvicinò a Giacomo, il bidello. «Prepari le scrivanie e le sedie per la giuria. Sono in soffitta. Le daranno una mano gli studenti», ordinò mentre Simona, Ida, Gianluca e Lorenzo le passavano accanto per raggiungere l’aula di danza. «Voi! Per cortesia, date una mano a Giacomo.» «Ma, arriveremo in ritardo alle selezioni», obiettò Simona. «Niente ma. Fate presto!», imperò la Martelli senza lasciar loro ulteriori possibilità di repliche. I quattro ragazzi sbuffarono puntando le lancette del grande orologio sistemato sul mezzanino e che misurava il tempo scorrendo inesorabile. «Non faremo mai in tempo», si lamentò Simona. «Ma sì, dai se ci diamo una mossa…» Lorenzo le accarezzò il braccio e afferrandole la mano la trascinò in una corsa a perdifiato su per le scale. La soffitta era buia e umida, un vero e proprio magazzino pieno di oggetti di ogni sorta. La luce filtrava da un piccolo lucernaio senza corda. Simona guardandolo si domandò se fosse mai stato aperto 31
o pulito. Storse il naso infastidita dalla polvere. Ida era alle sue spalle mentre Gianluca e Lorenzo procedevano cauti dietro Giacomo che sembrava nel suo habitat naturale. Armadi vecchi e maltenuti riempivano le pareti. Ida immaginò fossero colmi di costumi di scena ormai in disuso. Cataste di libri impolverati sostavano accanto a lunghe assi consunte. C’erano sbarre da danza classica segnate da graffi profondi, pezzi di parquet e specchi rotti. Si poteva trovare di tutto lì dentro ma di scrivanie nemmeno l’ombra. Giacomo prese a borbottare sommessamente mentre girava come un zombie per la soffitta. «Ma dove le ha viste quella le scrivanie?» Girò ancora, perlustrando. Un paio di volte sparì. I ragazzi invece erano rapiti da tutti quegli oggetti che avevano certamente una storia da raccontare. «Ma ci pensate?», esordì Ida. Magari le sorelle Mirabello hanno sfiorato questa sbarra. Sognante passò un dito sopra un cilindro di legno incastrato tra una parete e la sponda di un armadio intarsiato intriso di polvere. «Le sorelle, chi?», gli fece eco Gianluca. «Le sorelle Mirabello. Come, siete di qui, frequentate l’accademia e non conoscete la loro storia?» Simona inarcò le sopracciglia studiandola mentre Gianluca e Lorenzo si avvicinarono incuriositi. 32
«Nina e Anna Mirabello erano le bellissime figlie del signor Pietro un operaio saldatore, orfane di madre e senza un soldo. Indossavano abiti che la gente gli donava e faticavano a trovare ogni giorno qualcosa da mangiare. Nonostante la condizione di miseria erano ammirate da tutti perché bellissime e perché Nina era una danzatrice impareggiabile mentre Anna aveva una voce cha faceva venire le lacrime agli occhi per l’emozione. Non potevano andare a scuola, così Anna cantava in giardino e Nina danzava sulle note della voce di sua sorella. Un giorno, ammirato, il fondatore di questa accademia, Oscar Buonaiuto, si affacciò oltre il muro che orlava il loro giardino ammirando la loro bravura e decidendo, per questo, di offrir loro la possibilità di frequentare l’accademia. Arrivarono a scuola e ben presto conquistarono compagni e professori con le loro innegabili doti. Finché, la sera prima dello spettacolo in teatro, Nina e Anna vennero a scuola di notte per fare un ultima prova prima del grande spettacolo. Andarono sul palco del piccolo teatro che oggi nessuno sa dove sia e cominciarono ad esibirsi davanti alle poltrone chiuse, ma nei loro sogni gremite di pubblico adorante. All’improvviso una delle aste che reggevano i riflettori cedette staccandosi dal soffitto e precipitando addosso a Nina. Anna, nel tentativo di proteggere la sorella si lanciò verso di lei. Morirono entrambe schiacciate dalle pesanti lampade. Si racconta che i loro fantasmi, rimasti 33
imprigionati tra la morte e il sogno spezzato, resero impossibile da allora qualunque esibizione nel teatro dell’accademia che venne sigillato per sempre, cos’ come gli accessi per raggiungerlo. Si racconta anche che per far cessare i loro lamenti, le scarpette gialle di Nina e il microfono di Anna vennero fatti sparire per sempre, chiusi in un baule. Loro però una notte apparvero in sogno al buon Signor Oscar e lo supplicarono di far danzare una ragazza con le scarpette di Nina e cantare un’altra con il microfono di Anna, due anime pure e buone, cosicché il loro sogno potesse considerarsi appagato e loro riposare in pace. Oscar fece cercare il baule dov’erano custodite le scarpette e il microfono senza successo. Anche il teatro sembrava essere stato inghiottito dal nulla. Nessuno riuscì più a trovarlo anche se si trovava nella scuola. Gli spiriti di Nina e Anna però, improvvisamente smisero di dar fastidio in ringraziamento per tutti gli sforzi atti a ridar loro la pace, ma si dice che siano ancora qui in attesa.» Istintivamente gli occhi degli altri ragazzi si sollevarono a scrutare lo spazio circostante, come se temessero di vedere i fantasmi aleggiare. Ida sorrise. «No, nessuno le ha mai viste a parte il signor Buonaiuto. Dopo quell’episodio però la scuola subì un declino. Nessuno studente voleva più frequentarla e si dice che non sia stata chiusa grazie alle sovvenzioni di una famiglia benestante.» «Gli Schiavoni!», pronunciarono gli altri in coro. 34
Giacomo comparve, mezzo impolverato. «Ragazzi io qua le scrivanie non le trovo. Vado a chiedere alla preside. Torno subito.» I ragazzi annuirono. «Sì però fai presto o non faremo in tempo a prepararci.» Il bidello scomparve oltre l’uscio aperto della soffitta. «Ok. E adesso che si fa?» Gianluca guardò Ida che distolse gli occhi. «Boh! Aspettiamo Giacomo. Se vediamo che non arriva tra un po’ ce ne andiamo o non faremo in tempo.» Simona non terminò quasi la frase che la porta della soffitta prese a scricchiolare fin quando si serrò chiudendoli dentro. Quattro paia di occhi scattarono verso l’uscio chiuso. Gianluca e Lorenzo corsero premendo la maniglia che si abbassò ma senza successo. La porta era chiusa, forse incastrata. «Ehi! Non si apre.» Simona scattò in piedi e così Ida. «Non fare il cretino, dai.» «Non faccio il cretino, Simo è chiusa.» Tutti provarono a turno ad aprire ma niente. Un brivido di paura serpeggiò dentro l’animo dei ragazzi che cominciarono a gridare e picchiare pugni sul legno chiamando Giacomo. 35
Fuori dalla porta un mazzo di chiavi venne inghiottito dal palmo di una mano ossuta con le unghie laccate di rosso. Simona si lasciò scivolare lungo l’uscio chiuso della fredda soffitta. Sui volti dei ragazzi un’espressione di sgomento e rassegnazione. «Tanto Giacomo tornerà, no? Ha detto che andava a chiedere alla preside delle scrivanie.» Lorenzo cercava di consolare sé stesso e gli altri. «Mmh! E se non torna?» «Cavolo, Simo, l’ottimismo non è proprio il tuo forte.» «No, Gianluca non è che non voglio essere ottimista, ma credo che dovremmo fare qualcosa. Stare qua ad aspettare che Giacomo arrivi mi fa diventare pazza. Sarà già passata mezz’ora da quando se n’è andato. Secondo me non tornerà. Non prima delle selezioni. Dobbiamo fare qualcosa», protestò Simona. «Sì, ma cosa?» Lorenzo si sollevò dal pavimento e prese a camminare in tondo puntando il lucernaio. La finestrella era a circa due metri e mezzo dal suolo e offriva uno scorcio di cielo quadrato di un grigio intenso. Il fatto che il bidello si fosse dileguato non era proprio confortante e, a dirla tutta, puzzava un po’ 36
di bruciato. Lorenzo si fermò grattandosi il mento, pensieroso. «Potremmo uscire da lì.» Simona inarcò le sopracciglia e lo guardò come se avesse detto la peggiore delle fesserie. «Sì, certo. A parte che non c’è la catenella per aprirlo, ma poi dimentichi che siamo sul tetto. Cosa facciamo? Ci buttiamo dal terzo piano?» «Ah, ah… Che spiritosa. Volevo solo vedere se c’era un cornicione, qualcosa…» «Ah, sì! Adesso è più sensato, obiettivamente! Possiamo issarci sul cornicione, lanciare una ragnatela dal polso, sfoderare la tuta rossa e blu e il gioco è fatto.» Lorenzo alzò gli occhi al cielo. Si volse e nascose un sorriso. Simona gli piaceva ma certe volte era davvero impossibile. Ida avanzò facendosi largo tra vecchi scatoloni, fermandosi davanti a un armadio semichiuso. La polvere aleggiava nell’aria luccicando come fosse fatta di cristalli fluttuanti. Chissà cosa c’era dietro le pesanti ante intarsiate. Quando spinse la porta il cardine scricchiolo lamentoso. Dovevano essere anni che nessuno lo apriva, anzi dovevano essere anni che nessuno saliva più li sopra. Appesi alla barra di metallo c’erano parecchi tutù e abiti di scena. Ida ne tirò uno verso di sé, sorridendo. Già la sua mente aveva preso il volo per atterrare su un 37
palco dove quel tutù ondeggiava dentro musiche antiche. Una ballerina dalle gambe lunghe e snelle e dalle caviglie affusolate eseguiva piroette perfette mentre il pubblico rapito seguiva ogni suo movimento, coinvolto e sognante. Le scarpette di raso si sollevavano a ritmo di una melodia inebriante, fino all’ultimo istante in cui il sipario si chiudeva pronto a una nuova scena. Uno ad uno Ida esaminò e ammirò tutti i costumi stipati nel guardaroba. C’erano gonnellini di tulle con body in tinta, nastri di raso impolverati e più in basso, impilate senza cura, decine di scarpette. Ne raccolse un paio azzurro. La punta era rovinata quindi qualcuno le aveva usate per danzare. Si rialzò tenendole strette tra le dita. Simona le arrivò alle spalle e le diede uno spintone amichevole. «Dai su, molla questa roba e vieni a darci una mano. Dobbiamo trovare qualcosa per far leva e rompere la porta.» Ida però perse l’equilibrio impreparata al colpo e vacillò rovinando contro il fondo dell’armadio che si spostò, inaspettatamente. Spaventata fece un balzo indietro. Gianluca accorse come un razzo. «Cos’è successo? Cos’hai visto?» «Niente, ma il fondo dell’armadio si è mosso.» Lui la guardò interrogativo, studiandola. Staccò gli abiti dall’asta e li posò sul pavimento polvero38
so. Con la mano destra cominciò a tastare il legno sottile del fondo, poi a bussare. Al suono dei colpi ritrasse la mano fulmineo, come se l’avesse punto un insetto. «Che c’è?» Lorenzo si mise accanto a lui. «Non so, è strano…» Con cautela Gianluca picchiò di nuovo. «Ascolta!», disse rivolto all’amico prima di bussare ancora con maggior vigore. «Senti? È vuoto. Dietro non c’è il muro.» «Ne sei sicuro?» «Sì, dai aiutami!» Gianluca prese a spingere con forza e così Lorenzo al suo fianco. «Forza, spingi! Dai!» I ragazzi premevano contro il legno che oscillava ma senza cedere. Simona e Ida si unirono facendo forza a loro volta. Improvvisamente il fondo dell’armadio emise uno schiocco e si staccò. I ragazzi, che non si aspettavano il cedimento caddero nella voragine che si era aperta precipitando nel vuoto. Le grida che scaturirono dalle loro gole esprimevano tutto il terrore che provavano. Un vento impetuoso li avvolse mentre scendevano ad una velocità impressionante. Dopo qualche metro qualcosa di duro e inclinato li accolse con un tonfo. Il vuoto 39
era terminato e al suo posto si era materializzato quello che sembrava un enorme scivolo tremendamente ripido che li portava verso il basso. Il buio era palpabile. Non si vedeva niente. Era come cadere dentro un abisso nero senza fine anche se presto scoprirono che quel baratro una fine ce l’aveva. Lo scivolo terminò in una nuova apertura che li lasciò cadere sopra un pavimento liscio. Ci volle qualche secondo prima che riuscissero a reagire alla paura che li paralizzava. «Ragazzi, dove siete?» Simona accennò timidamente la domanda, sussurrandola. Gli altri le risposerò sommessamente con il medesimo tono. «Dove cavolo siamo finiti?» «Non lo so», fece Gianluca con una nota di preoccupazione nella voce «ma non promette niente di buono.» Il buio era talmente fitto che sembrava si potesse tagliare con una lama. Ad una tratto una leggera luce azzurra comparve, spaventandoli. Si muoveva velocemente spostandosi nell’oscurità. Ondeggiava avvicinandosi. «Ragazzi, ho paura.» La voce di Ida tremò rompendo il silenzio. «Ma cos’è?» 40
Simona rispose dal buio. Erano vicine. «Non siamo morti, vero?» «No, ma siamo nei guai», replicò la voce di Lorenzo. «Che cavolo è quella luce azzurra?» Anche Gianluca diede segno di vita. «Non lo so, ma non credo di volerlo scoprire.» La strana figura si fece più vicina. I cuori dei ragazzi battevano così forte nel petto che sembrava minacciassero di bucarlo. Man mano che “la cosa” si avvicinava sembrava avere un aspetto vagamente umano, ma solo quando fu davvero vicina poterono distinguere con chiarezza il volto meraviglioso di una ragazzina dall’espressione triste. Aleggiava a mezz’aria e li fissava. Dal fondo della tenebra comparve un’altra figura che si avvicinò nel medesimo modo. I ragazzi trattenevano il respiro. Quando anche l’altra entità velata d’azzurro fu vicina poterono distinguere un altro volto del tutto somigliante al primo. «Nina e Anna», sussurrarono Ida e Simona in un filo di voce. Tremavano come foglie tanto da battere i denti. I due fantasmi rimasero immobili a fissarli. Nonostante tutto fosse nero intorno sembrava sapessero bene dove trovarli. Li guardavano, studiandoli, con un’espressione immobile ma attenta. Poi la pri41
ma fece un cenno con la mano, una sorta di invito ad andarle dietro. L’unica che si alzò fu Simona. «Ragazzi credo che voglia che la seguiamo.» I ragazzi cercarono la forza dentro di loro e si sollevarono lentamente dal fondo di quel nulla. Allungando le mani riuscirono a toccarsi e a stringersi i palmi. Quel contatto restituì a ognuno di loro un filo di coraggio. Era un tocco umano quello che avvertivano sulla pelle quindi ora almeno sapevano di essere vivi. Il fantasma ripeté il cenno e prese a indietreggiare mentre l’altro scivolò nel buio scomparendo. «Moriremo!» La voce di Ida tremò. Nessuno osò replicare. Un istinto inspiegabile però, li spingeva a mettere i piedi uno davanti all’altro seppur lentamente. I loro respiri erano corti, i battiti del cuore picchiavano ad un ritmo almeno il doppio del normale. Improvvisamente udirono uno scatto e il buio s’inondò di luce, accecandoli. Quando gli occhi si abituarono lo spettacolo che comparve loro davanti gli levò il fiato. Erano sopra il palco lucido di un piccolo teatro. Ai lati pendeva un pesante sipario di velluto color porpora. Le file di seggiole in velluto sembravano in attesa di un pubblico e dai loggioni brillanti e dorati pareva da un momento all’altro dovessero comparire signore strette in abiti di chiffon. Gli occhi dei
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ragazzi s’illuminarono e la paura si scansò lasciando un po’ di spazio all’emozione. «Dove siamo?», azzardò Gianluca. Ida fece un passo avanti, in un moto di coraggio, superando tutti. «Siamo nel teatro perduto dell’accademia. Il teatro di Nina e Anna.» Nel momento esatto in cui terminò di pronunciare quelle parole, una musica leggera partì in sottofondo. «Beaty and the Best…», sussurrarono all’unisono tutti e quattro mentre sui loro volti compariva un accenno di sorriso. «Loro vogliono che liberiamo la loro anima», sentenziò Ida, «dobbiamo realizzare il loro sogno.» Mentre parlava Simona chiuse gli occhi, rapita da quella consapevolezza. «Sì, ma non abbiamo le scarpette e il microfono.» La musica improvvisamente cessò e i riflettori si abbassarono tanto da far quasi tornare il buio nel teatro. Sulla destra del palco una tenue luce verde chiara si accese illuminando un baule. Nella sala prove due piani più sopra i ragazzi dell’accademia trepidavano in attesa del provino.
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Decine di occhi cercavano Ida, Simona, Gianluca e Lorenzo i favoriti ma nessuno riusciva a capire dove fossero. Dita veloci afferrarono una mano ossuta con le unghie laccate di rosso. «Dove sono Gianluca e Lorenzo? Mi auguro per lei che non li abbia rinchiusi insieme a quelle due gatte morte?» La preside deglutì. «Ilaria, io…» «Ma cos’è, una specie di idiota? Dico ma si rende conto? Io senza Gianluca non ballo? Lui dev’essere il mio compagno.» La voce della ragazzina uscì talmente stridula che tutti gli studenti intenti a prepararsi per l’audizione si voltarono a guardarla. «Quelle non valgono niente, capisce. Io e Monica saremo le protagoniste del musical o giuro che dico a mio padre di far chiudere questa ridicola accademia all’istante.» La preside tremò al pensiero di tutti i suoi sforzi e le umiliazioni subite tramutate in un fallimento. Anni di silenzi, minacce sotterfugi pur di accontentare quella ragazzina insolente e capricciosa e la sua famiglia che la teneva in scacco con la minaccia di interrompere le sovvenzioni. Le si accapponava la pelle al pensiero di quella streghetta viziata dentro 44
i panni di Belle e la sua amica con quella voce insignificante, cantare le strofe di quel brano unico. Abbassò lo sguardo mentre Ilaria Schiavoni rideva di lei puntando il dito. «Non m’importa di come farà, ma vada a cercare Gianluca e Lorenzo e li porti qui, adesso o gliela farò pagare.» La donna si ritirò senza replicare. Le chiavi della soffitta che stringeva nel palmo le bucavano la pelle dalla veemenza con la quale vi chiudeva attorno il pugno. La rabbia le rodeva dentro minacciando di farla esplodere e lacrime amare tracimarono vincendo la barriera delle ciglia e rovesciandosi sulle guance, disegnando solchi chiari nello strato generoso di fondotinta e cipria. Salì le scale faticando a stare in equilibrio sui tacchi dodici delle decollete blu notte in tinta con il tailleur stirato e inamidato. Le scarpe rumoreggiavano sul pavimento di marmo lucido mentre procedeva cercando il modo di recuperare i due studenti maschi lasciando le ragazze in soffitta. Forse doveva farsi aiutare da Giacomo, se solo avesse saputo dove si era cacciato. Salì l’ultima rampa di scale e la porta del solaio si materializzò davanti ai suoi occhi colpevoli. Dieci scalini la dividevano da un nuovo problema. Non sapeva come ma l’avrebbe risolto. Avrebbe inventato una scusa, mandato i ragazzi in sala prove e le due ragazze? Poteva attirarle nel suo 45
ufficio con un tranello e trattenerle fino alla fine del provino. Davanti all’uscio chiuso le immagini di Ida che danzava come una farfalla le balenò davanti agli occhi e nelle orecchie la voce meravigliosa di Simona la portò lontano per pochi, dolorosi istanti. Loro meritavano quelle parti, loro, meravigliose e uniche nonostante fossero così giovani. Girò la chiave nella toppa pronta al match per il bene della scuola, ma quando la porta si spalancò un tuffo al cuore le mozzò il respiro. La soffitta era vuota. Lorenzo procedette con cautela puntando dritto verso il baule. La luce che vi aleggiava intorno somigliava a una sorta di vapore leggero, impalpabile. Quando fu quasi arrivato istintivamente allungò le dita per prepararsi al contatto. Lentamente poggiò le mani e sollevò il coperchio. Gli altri ragazzi, rimasti in disparte fino a quel momento, si avvicinarono per vedere meglio. Lorenzo afferrò con delicatezza il primo oggetto che trovò, tirandolo fuori dal contenitore pesante e capiente. Un tutù giallo con la gonna ampia, lunga e morbida si stese andando quasi a sfiorare il pavimento. Ida rimase a bocca aperta. «È il tutù di Belle», sussurrò allungando le braccia per accogliervi il prezioso costume.
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Lorenzo riprese a frugare e questa volta pescò una giacca blu ornata con passamanerie dorate, una camicia con un generoso collo in pizzo, una calzamaglia grigio fumo e una maschera mostruosa: il costume della bestia. E ancora tirò fuori scarpette da ballo gialle, due abiti di scena e due meravigliosi microfoni dorati. I quattro ragazzi si scambiarono un’occhiata prima di volgere lo sguardo ai fantasmi che li osservavano da lontano. «E adesso? Cosa dobbiamo fare?», chiese Gianluca che reggeva tra le dita il suo costume. «Che domande», rispose Simona, «il musical.» Divisi gli abiti e microfoni Ida e Gianluca sparirono dietro le quinte. «Siamo sicuri di quello che stiamo facendo?» Gianluca era spaventato. «Dobbiamo interpretare la loro parte o il loro spirito rimarrà imprigionato qui, per sempre.» La ragazzina strinse le dita intorno al tulle giallo, morbido e fresco. Non sembrava un tessuto rimasto rinchiuso. Il tempo si era fermato dentro quel piccolo teatro. Ida si fermò un istante prima di entrare nei camerini. Teneva gli occhi bassi. Gianluca si mise di fronte a lei e le poggiò le mani morbide sulle spalle irrigidite. «Voglio liberarle», disse lei. 47
«Si ma il provino? Non sarebbe meglio cercare una via di fuga?» «Niente è più importante di questo.» Gianluca la guardò e sorridendo annuì. «Hai ragione. Sbrighiamoci, allora.» Ida sollevò il viso rigato di lacrime e sorrise. Senza replicare s’infilò come una furia nello spogliatoio. Fuori dall’aula di danza dove avrebbero avuto luogo le selezioni, gli studenti erano in fermento. Franchetti era comparso intorno alle quindici, scortato da quattro professori: la commissione di selezione. Erano rispettivamente: una docente di canto, molto giovane e piacente. Aspetto curato, tailleur cremisi e un’acconciatura da gran sera poco adatta al primo pomeriggio; una docente di musica, capelli corti, occhi intelligenti e sarcastica al punto giusto; un docente di danza moderna, in tenuta sportiva. Aveva jeans e una giacca nera sotto la quale spiccava una t-shirt a scollo rotondo, in perfetto stile Armani uomo. Anche il viso sbarbato e il profumo eccessivo si accompagnavano al resto. E per ultima la docente di danza classica. Anche lei sulla cinquantina, aspetto giovanile e abito da gran galà. Arrivavano tutti da altre scuole e accademie. Franchetti era un noto sceneggiatore, ex ballerino classico e cantante. La presidenza della giuria gli spettava di diritto. Ingessato in un completo color sabbia, portava seriosi mocas48
sini lucidi e una cravatta a righe. Distinto nei modi e nell’aspetto. Quando la commissione si accomodò nell’aula, scrivanie e sedie erano al loro posto. «Signora Martelli, gli studenti sono pronti?» La donna esitò un istante. Si tormentava le dita delle mani strofinandole di continuo. L’aria non era così pesante eppure le appariva irrespirabile. Quei ragazzi, prima chiusi nella soffitta e ora spariti. Fremeva per lanciare l’allarme ma la sua codardia le impediva di mollare tutto e andare a cercarli. La chiave nella tasca era come un tizzone ardente. Il battito cardiaco un martello pneumatico. «Qualcosa non va, preside?» Franchetti la incalzò e lei trasalì come se avesse appena visto uno zombie. «Oh, no! È tutto a posto. Possiamo iniziare.» Lui rimase a guardarla qualche istante, poi aprì la cartelletta con le schede degli alunni. «Perfetto, allora. Iniziamo!»
Quando Ida varcò l’ingresso spostando la porta scorrevole rimase senza fiato. Tre grandi specchi affissi alla parete le rimandarono la sua immagine riflessa. Contò le lampadine rotonde, accese ai fianchi delle superfici riflettenti. Ce n’erano ben sei per ogni lato. Trentasei sfere scin49
tillanti illuminavano a giorno il lungo tavolo laccato di bianco e le tre sedie con schienale e seduta trasparenti. Un nuovo groppo in gola chiamò lacrime di gioia e incredulità. Li dentro la paura non esisteva. Era in un camerino vero, di un teatro vero. Si asciugò gli occhi. Sei proprio una frignona Ida. «Wow!» Una voce squillò improvvisa alle sue spalle e lei trasalì. Simona era arrivata e stava ammirando a bocca aperta quella meraviglia. In una mano teneva il microfono, nell’altra un abito di paillettes bianche. «È incredibile, vero?» Simona si morse il labbro e diede un grido. Immediatamente i due ragazzi fecero capolino dal camerino degli uomini, bianchi come un cencio. «Che succede?» Lorenzo aveva gli occhi grandi e azzurri spalancati. Simona lo investì abbracciandolo, strapazzandolo e fremendo. «O mamma... Non è bellissimo! Pazzesco, pazzeschissimo. Non ci credo.» Gianluca e Ida scossero il capo. Lorenzo la guardò: era proprio matta, però fantastica. Senza replicare i ragazzi tornarono sui loro passi scomparendo oltre l’uscio che si chiuse ubbidiente.
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«Ma ti rendi conto, Ida? Tutto è rimasto sospeso, immutato.» La ragazzina annuì sorridendo. «Si, è incredibile», confermò, poi diede un’occhiata d’intesa all’amica. «Andiamo a prepararci, Simo. Abbiamo la nostra prima da mettere in scena.» Dagli altoparlanti affissi sulle pareti laterali dell’aula, una musica leggera prese a suonare. Franchetti, gli altri membri della commissione e la preside si scambiarono occhiate interrogative. La melodia si diffondeva a volume basso. «“Beauty and the beast”. Chi ha messo la musica?», domandò il presidente della giuria. «Non ne ho idea. Adesso vado ad informarmi.» La preside dissentì con il capo, esterrefatta. Franchetti si sollevò per primo e allungò un palmo facendole segno di aspettare. Lei rimase ferma, mezza in piedi. L’uomo si diresse verso lo stereo sistemato sopra un mobiletto color betulla. Lo sfiorò pensoso. Era spento. D’istinto sollevo lo sguardo verso le casse che seguitavano a diffondere il brano. Sospirò e deglutì, sussurrando un “non è possibile” che sentirono tutti, seppur a fatica. La preside rimase come sospesa a pensare pochi istanti e trasalì. Il respiro le mancò. Il volto assunse un’espressione tra l’esterrefatto, l’inorridito e l’incredulo. 51
Guardò Franchetti che ricambiò l’occhiata raggrinzendo le labbra prima di decidere. «Andiamo!»
Quando Simona e Ida arrivarono sul palco i ragazzi erano già pronti. Nel vederle così belle rimasero senza fiato. Ida era stretta nel lungo tutù giallo di Belle. I capelli davanti semi raccolti in una chignon sulla nuca, mentre quelli dietro le ricadevano sulle spalle. Un trucco leggero le impreziosiva il volto e il raso giallo delle scarpette sembrava appena stato cucito. Simona brillava dentro un tubino elasticizzato, interamente coperto di paillettes bianche e lilla che scintillarono sotto le luci dei riflettori puntati sui loro volti sereni e puliti. Sulla testa portava un meraviglioso copricapo a forma di teiera. Era mrs Bric. Gianluca era troppo bello per essere credibile come bestia. Meraviglioso dentro l’abito blu e la camicia bianca con il pizzo sul collo alto. La chioma della bestia gli incorniciava il bel viso. Simona notò che aveva tolto gli occhiali. Chissà se avrebbe visto bene, ma poi si rispose che dentro una magia tutto è decisamente perfetto. Lorenzo, in smoking bianco, con un piatto fatto di glitter dorati e sistemato sulla testa era un fantastico Lumière. «Si, va in scena?» 52
Ida allungò una mano e gli altri stesero le proprie stringendola. «Si va in scena.» «Merda, merda, merda!», gridarono all’unisono liberando la stretta all’ultimo augurio da palcoscenico. «Ma come faremo con la musica?», chiese Gianluca. «Non preoccuparti.» Ida strizzò l’occhio mentre un pubblico immaginario e silenzioso riempiva le seggiole di velluto rosso, le logge e le balconate. Il sipario si chiuse magicamente e i riflettori si abbassarono per lasciare posto alle luci di scena. Simona, Ida, Gianluca e Lorenzo presero posto. I loro cuori battevano tanto forte che si potevano quasi sentire, come tamburi lontani che annunciavano una festa. Quando il sipario si riaprì parti la melodia e Simona prese ad intonare la prima strofa: “È una storia sai, vera più che mai…”.
Le braccia esili e i piedi di Ida cominciarono a muoversi leggeri e la danza prese corpo. I due spiriti comparvero alle spalle delle loro eroine. Una danzò con Ida, l’altra cantò con Simona cui usciva una voce incredibile, quasi ultraterrena. 53
Il balletto si consumò, mentre l’emozione e la magia coloravano l’atmosfera. Era un sogno, era la realtà, era l’immaginazione che prendeva vita o una strana concretezza che diveniva fantasia. Una porta in fondo al teatro si aprì, ma loro non se ne accorsero. E il pubblico lentamente divenne reale. Gli studenti a bocca aperta presero posto distribuendosi nelle prime file. La preside, la commissione e Franchetti entrarono per ultimi con accanto Ilaria che tremava, pronta a rovinare lo spettacolo. Con un gesto veloce, la preside fece cenno a Giacomo che la zitti e la cacciò fuori serrando bene l’uscita. A nulla valsero i colpi con cui la ragazzina viziata tempestò le porte. La musica era troppo alta, l’euforia alle stelle. Simona e Lorenzo cantarono come angeli, Ida e Gianluca danzarono come cigni, mentre Nina e Anna riconquistavano la loro pace. Quando la musica sfumò sulle ultime note per poi spegnersi del tutto, il pubblico vero e quello immaginario esplosero in un’ovazione degna di una prima. I cuori dei quattro ragazzi tamburellavano impazziti ma allegri. Quando si portarono al centro piegandosi in un inchino di ringraziamento il sipario cominciò a chiudersi. Nell’istante esatto in cui i due enormi drappi di velluto si toccarono un’intensa luce azzurra esplose dietro le quinte seguita da un boato. I ragazzi si ritrovarono vestiti con i loro abiti. Il baule scomparve, i riflettori si spensero e uno strato di 54
polvere e ragnatele si distribuì sopra ogni cosa. I ragazzi e i docenti corsero fuori dal teatro che pareva stesse per crollare. Solo la Signora Martelli e Franchetti si precipitarono sul palco, ora consunto, in cerca dei quattro studenti. «Simona, Ida, Marco, Lorenzo: state bene?». La voce uscì stridula e preoccupata dalla gola della preside. I ragazzi si sollevarono e le andarono incontro. La mano di Simona era stretta in quella di Lorenzo e quella di Ida in quella di Gianluca. «Usciamo di qui!», gridò la donna non appena li scorse, «prima che crolli tutto.» Tutti si precipitarono oltre i tendoni verso le uscite. Il buio ormai era fitto. L’unica scia luminosa arrivava dalla porta tenuta aperta da Giacomo. Un attimo prima di lasciare quel luogo magico Simona e Ida si bloccarono all’unisono e diedero un’ultima occhiata al teatro. Due piccole luci brillarono un istante solo per loro e poi si spensero per sempre. Ida guardò l’amica: «Il tempo adesso è passato anche qui. Sono libere, finalmente.» «Si», rispose Simona «finalmente. E noi siamo amiche e lo saremo per sempre.» «No, non solo amiche», precisò Ida, «siamo la squadra delle ragazze magiche.» 55
«Magic Girls», gridarono insieme scoppiando a ridere e a piangere di gioia. Le audizioni ripresero due ore dopo, quando l’infermeria aveva confermato che tutti i ragazzi stavano benone. La preside chiamò in disparte i quattro ragazzi. «Ma cos’è successo? E cosa ci facevate la sotto? Chi ha acceso le luci del teatro e…» Il signor Franchetti si avvicinò e la prese sotto braccio. «Via signora, i ragazzi si sono solo esibiti e in maniera egregia direi». Poi girandosi verso di loro strizzò l’occhio e concluse: «Siete solo andati in sordina a fare una prova generale, no? Adesso andiamo però, abbiamo un’audizione da sostenere.» Dieci minuti dopo l’adrenalina era di nuovo alle stelle. I ragazzi avevano il cuore a mille. Si stavano giocando la loro parte e la competizione era alta, ma leale questa volta. L’unica che anziché panico da palcoscenico provava rabbia era Ilaria Schiavoni. Qualcuno aveva appena chiuso a chiave l’ufficio della preside dove era corsa per lamentarsi.
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A nulla valsero le sue grida sguaiate mentre una mano con le unghie laccate di rosso lasciava scivolare una chiave dentro la tasca di un abito stringato e troppo serioso. Simona e Ida si abbracciarono ridendo e scambiandosi occhiate d’intesa. Non sarebbe finita certo lì la battaglia contro le ingiustizie, ma loro erano le “Magic Girls”. Niente e nessuno l’avrebbe avuta vinta.
Fine
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