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Giuseppe Salvioni Quando si comunica un territorio
QUANDO SI COMUNICA UN TERRITORIO
Parafrasando un celebre detto, potremmo affermare che “azienda che vai, marketing che trovi”. Ma come funziona il marketing di un consorzio, ovvero di una rete di imprese che vuole promuovere una denominazione piuttosto che le singole aziende? Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Salvioni, amministratore delegato del Consorzio Franciacorta. Con 17,5 milioni di bottiglie vendute nel 2018, la Franciacorta è la denominazione più importante nella produzione di metodo classico d’Italia e le sue 114 cantine hanno raggiunto livelli di qualità tali da farle competere direttamente con le più note e blasonate case spumantistiche mondiali.
Come cambia il marketing di un consorzio rispetto a quello di un’azienda? «Una decina di anni fa abbiamo cambiato il nostro approccio e cominciato la trasformazione del nome della denominazione in quello che è definito un marchio ombrello. Tutte le nostre attività di comunicazione sono state focalizzate a costruire il brand Franciacorta e a dargli un corretto posizionamento sul mercato italiano ed estero, svincolato dai marchi delle singole aziende». Nelle degustazioni però vengono presentati i vini di alcune cantine con i loro brand. «Questo è vero solo parzialmente. Noi facciamo, al di là della pubblicità vera e propria, due macro-classi di eventi. La prima categoria è costituita dai classici walk-around tasting per i quali la comunicazione è fatta utilizzando il marchio registrato “Festival Franciacorta”. Poi, con minore evidenza, vengono indicati i nomi delle aziende partecipanti senza logo e in caratteri identici per Giuseppe Salvioni, amministratore delegato del Consorzio Franciacorta.
Paolo Valente giornalista enogastronomico
tutti. All’interno dell’evento, poi, solo per il tempo riservato agli operatori commerciali, ogni cantina ha una postazione dedicata nella quale presentare i propri vini. La cartellonistica riporta in evidenza il logo Franciacorta e il nome dell’azienda senza logo. Poi, quando la degustazione si apre al pubblico, i nomi delle cantine spariscono e si creano delle isole nelle quali vengono degustati i Franciacorta per tipologia. Al consumatore viene veicolato soprattutto il nome Franciacorta. La seconda classe di eventi è quella dedicata alla stampa e all’accoglienza sul territorio di giornalisti. Nell’organizzazione delle visite il focus è l’intera Franciacorta e le cantine visitate variano di volta in volta, non sempre le più belle o le più note. Inoltre, nel programma della visita, è sempre prevista una componente territoriale, dalle bellezze paesaggistiche alle attrattive storicoculturali. In occasione di pranzi o cene organizzate dal Consorzio, il titolo del menu è Franciacorta e viene riportata solo la tipologia del vino senza indicarne il produttore. In passato abbiamo anche vestito un aereo Alitalia con la livrea Franciacorta; sia in quella occasione che per la partnership con la Mille Miglia abbiamo creato un’etichetta apposita senza alcun riferimento all’azienda produttrice il vino. Anche i nostri
Wine Bar riportano solo il logo e le aziende in degustazione ruotano nel corso dell’anno in modo da dare visibilità a tutte».
Come è percepito dagli associati questo metodo di comunicazione? «In primo luogo occorre specificare che questa è stata un’evoluzione che si è realizzata con l’accordo dei soci. La stragrande maggioranza di loro è estremamente entusiasta, solo alcuni preferirebbero che si valorizzassero maggiormente le cantine. Nel corso degli anni comunque il posizionamento e la notorietà del nostro brand si sono talmente incrementati rispetto a quelli delle
singole cantine che molti associati si sono resi conto che in realtà loro vendono innanzitutto Franciacorta e poi il vino della loro cantina».
Ogni cantina ha comunque le sue politiche di marketing. «Sì, giusto, ma tutte le azioni devono essere coerenti perché noi abbiamo il dovere di intervenire e di coordinare in modo che il posizionamento e l’uniformità del messaggio non si discostino da quelli definiti dal Consorzio».
Altro discorso è il posizionamento prezzi… «Per legge è vietato intervenire su questo argomento ma il dialogo e il convincimento aiutano».
Se volessimo riassumere in una frase l’obiettivo marketing del Consorzio? «Potremmo dire: creazione di un percepito del Franciacorta come un’eccellenza italiana sia dal punto di vista qualitativo che da quello dello stile di vita».
Stile di vita significa anche rispetto dell’ambiente? «Sì, noi stiamo investendo molto nel rispetto del territorio, siamo molto attenti al mantenimento di una natura per quanto possibile intatta. E siamo la Docg con la più alta percentuale (il 70% circa) di vigneto coltivato con metodo biologico. Abbiamo organizzato poi una serie di altre iniziative come, ad esempio, la creazione di percorsi per passeggiate a cavallo, un progetto per la mobilità elettrica oppure, primi in Italia, un progetto con la Regione Lombardia e i Comuni per la tutela del territorio. Con l’Università degli Studi di Milano sono in corso numerose ricerche per aumentare la biodiversità dei suoli e degli insetti che vivono nei vigneti e per evitare al massimo l’utilizzo di prodotti chimici, siano essi biologici o meno. Già sette anni fa abbiamo aderito al progetto Itaca che opera per contrastare l’immissione in atmosfera di anidride carbonica e, nel periodo, ne abbiamo evitato la produzione di
20mila tonnellate. Insomma, stiamo cercando di dare il nostro contributo alla sostenibilità ambientale».
Riceviamo e pubblichiamo la richiesta di rettifica di Assitol, l’Associazione italiana dell’Industria olearia, e dell’Unione italiana per l’Olio di Palma Sostenibile riguardo all’articolo “5 falsi miti e verità scomode della dieta sana”, a cura della nutrizionista Emanuela Caorsi, apparso nella rubrica Pillole di Benessere del n. 12-2019. In queste pagine riportiamo in realtà solo una sintesi delle osservazioni pervenute, che troverete integralmente sul nostro portale Manageritalia.it al link http://bit.ly/rettifica-benessere.
CONDIMENTI E SALUTE
LA PRECISAZIONE DI ASSITOL Le vecchie margarine non esistono più, rimpiazzate dai nuovi condimenti spalmabili, a base di oli vegetali e in linea con le raccomandazioni dei nutrizionisti. Dopo la pubblicazione dell’articolo di Emanuela Caorsi, abbiamo ritenuto necessario rimettere un po’ d’ordine sul tema degli oli e dei grassi da condimento. Gli italiani sono stati i primi a promuovere un codice di autoregolamentazione sui grassi alimentari in ambito europeo. A queste regole aderiscono le più importanti aziende operanti nel settore dei condimenti spalmabili, che producono esclusivamente prodotti funzionali, a ridottissimo contenuto di grassi trans e con un limitato impatto ambientale, in linea con le raccomandazioni delle associazioni mediche e degli esperti. Assitol ha condotto questa battaglia ben quarant’anni fa, sostenuta dalle aziende di settore che hanno investito ingenti risorse, dando inizio, già negli anni 90, a un progetto di riformulazione dei propri prodotti, basati esclusivamente su oli di origine vegetale e praticamente privi di acidi grassi trans. Siamo andati anche oltre: in base al Regolamento (Ue) 2019/649 sugli acidi grassi trans, il contenuto di tali grassi negli alimenti destinati al consumatore finale e al commercio al dettaglio non deve superare i 2 grammi per 100 grammi di grassi. Seguendo questa legislazione, le nostre aziende producono da tempo condimenti spalmabili a base vegetale, in cui i grassi trans sono ben al di sotto del limite di legge e prossimi allo 0%. Il progresso tecnologico ha permesso così di eliminare gli acidi grassi trans dai condimenti di nuova formulazione. Per questa ragione oggi è anacronistico parlare di margarine, che non esistono più sullo scaffale.
LA PRECISAZIONE DELL’UNIONE ITALIANA PER L’OLIO DI PALMA SOSTENIBILE L’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile rappresenta note aziende nazionali e internazionali e associazioni di categorie attive in vari settori merceologici che trasformano e impiegano olio di palma. Le affermazioni riportate in riferimento all’olio di palma nell’articolo di Emanuela Caorsi non sono corrette, in particolare quando si dice che “fa male perché altamente cancerogeno”. Né l’Efsa né la Commissione Ue, né tantomeno le Autorità italiane hanno mai, neppure in via precauzionale, ipotizzato il bando dell’olio di palma. L’Efsa non ha mai dichiarato che l’olio di palma in sé sia cancerogeno, bensì che in alcune fasi di lavorazione o raffinazione di tutti gli oli e grassi – non solo in quello di palma – possono svilupparsi dei contaminanti a seconda del processo utilizzato che, se assunti in dosi elevate, potrebbero essere nocivi per la salute. Il Crea nelle sue Linee guida per una sana alimentazione, appena pubblicate, ha chiarito nuovamente quanto lo stesso Istituto superiore di sanità (Iss) ha più volte sottolineato, ovvero che tali contaminanti “sono presenti in tutti gli oli vegetali lavorati ad alte temperature ed è quindi necessario e molto importante che il loro contenuto sia controllato e tenuto al disotto di determinati parametri” e che “quando scegliamo un prodotto che non ha olio di palma non significa che possiamo consumare quel prodotto senza alcuna limitazione”. Lungo tutta la filiera vengono da tempo adottate misure di mitigazione in grado di contenere il rischio entro i limiti di sicurezza, già fissati (o in via di pubblicazione) a livello Ue per tutti gli oli e i grassi.