NOVEMBRE 2019
LA RIVISTA DIMANAGERITALIA
Precongressi
A TU PER TU CON I NOSTRI ASSOCIATI
IL FUTURO DEL LAVORO Mettiamoci la testa
NE PARLIAMO CON MARCO BENTIVOGLI E SILVIA ZANELLA MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA DEI DIRIGENTI, QUADRI ED EXECUTIVE PROFESSIONAL DEL TERZIARIO Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - Decreto Legge 353/03 (convertito in Legge 27/2/04, n. 46) art.1, comma 1 - DCB/MI - 2,20 (abbonamento annuo 16,50)
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Editoriale a cura del presidente Manageritalia
LE SFIDE DI UNA NUOVA ROTTA
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ccoci giunti al nostro quinto Congresso. Insieme vogliamo tratteggiare, con il più ampio contributo di idee, le linee strategiche sulle quali impegnare Manageritalia per i prossimi quattro anni. Ci stiamo preparando per nuove sfide, nel nostro consueto modo, con lo studio, l’approfondimento e il confronto per cogliere i segnali delle continue trasformazioni nei diversi contesti, individuare trend e opportunità. Non possono esserci alternative, o si seguono, anzi si anticipano, le mutate esigenze oppure si decide di consumare il proprio presente finché si può. Dobbiamo costantemente cercare di capire i bisogni e le difficoltà dei nostri associati per trovare soluzioni possibili e aiutarli a cogliere le opportunità. Ascoltare anche le critich, certo, e farle diventare occasione per migliorarsi. La scelta dei temi congressuali è la prima sfida che Manageritalia ha accolto per trovare risposte alle trasformazioni che il cambiamento, non solo tecnologico ma anche sociale, impone al mondo delle imprese, del lavoro, del welfare pubblico e privato, dei modelli di rappresentanza sociale e politica. La cultura manageriale è centrale nella gestione della tempesta di cambiamenti che stanno modificando i flussi del mondo del lavoro e forse la natura stessa delle imprese: dagli impatti della digitalizzazione alle questioni etiche verso l’ambiente e la sostenibilità responsabile, al bisogno fondamentale di crescere attraverso una maggiore produttività. Tutto ciò salvaguardando la sicurezza sul lavoro, i diritti
umani e di genere, favorendo il valore della multiculturalità, delle diversità, dell’esperienza, del merito, per finire alla dicotomia tra globalizzazione e salvaguardia della territorialità. Lo sguardo da apripista della parte più avanzata del management deve aiutare il sistema nella decodifica dei nuovi flussi, educare alla gestione delle transizioni e favorire la necessaria rivoluzione economica, etica e sociale delle imprese e della politica. La stessa necessità di confronto, disponibilità all’ascolto e all’approfondimento la dobbiamo pretendere per il Paese dalla politica. Auspichiamo un’inversione di rotta. Occorrono soluzioni, ma le decisioni scottano, nessuno fa autocritica, mentre è più facile dare la caccia alle responsabilità altrui. Spesso è successo che la situazione sia sfuggita di mano per difetto di decisioni e di chiarezza, come sta avvenendo nella vertenza dell’ex Ilva. Vogliamo una politica economica di discontinuità, siamo sempre più insofferenti per le scelte fatte per mediare, per rinviare, per respingere pericoli più grandi. Non ci possiamo adeguare a una società rassegnata e a una stagnazione culturale votata alla decrescita. Dobbiamo tornare a salire sul treno di una crescita che chiede impegno, competenze, sostenibilità e solidarietà. La nostra economia e la nostra società hanno oggi più che mai bisogno di figure preparate per gestire i cambiamenti e per raggiungere una nuova efficienza nel nome della competitività non solo delle imprese ma dell’intero sistema Paese. Per questo dobbiamo farci trovare pronti. Guido Carella guido.carella@manageritalia.it
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Sommario
Speciale Il futuro del lavoro 6 Siamo pronti? Intervista a Marco Bentivogli 10 Gestiamo il cambiamento 14 Le nuove regole del gioco
Associazioni territoriali
16 Precongressi: a tu per tu con i nostri associati
Trend
48 Bikeconomy: il futuro è su due ruote
InfoMANAGER Manageritalia
Associazioni territoriali 67 Lombardia: accordo con stati Sudamericani e Caraibici
Cfmt
52 Esercizi di futuro Uno di noi Giuseppe Ciccimarra 56 Il manager della revisione
Quadri 68 Il rapporto di lavoro a tempo determinato
Innovazione
Fasdac
20 Il futuro è esponenziale
70 L’assistenza sanitaria dei familiari
38 Robot, dateci un po’ di tempo!
RUBRICHE 28 Osservatorio legislativo
Azienda 24 Le persone con autismo nel mondo del lavoro
58 Pillole di benessere
Management
60 Libri
30 5 consigli per non uccidere con le slide
59 Arte
Assidir 74 Inverno in arrivo? Cfmt 76 Scuola di management
61 Letture per manager
77 I Learning Path di Cfmt: dai “corsi” ai “percorsi”
62 Lettere
Intervista Lucio Insinga 34 La nuova finanza d’impresa
Economia
è online su
42 Restartup: verso la pmi dinamica
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LA RIVISTA DIMANAGERITALIA
Digital marketing
46 Gestire la fiducia dei clienti
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IL FUTURO DEL LAVORO Mettiamoci la testa
MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA DI MANAGERITALIA Federazione nazionale dei dirigenti, quadri e professional del commercio, trasporti, turismo, servizi, terziario avanzato Fondo assistenza sanitaria dirigenti aziende commerciali
Fondo di previdenza Mario Negri
CFMT Centro di formazione management del terziario
Precongressi
A TU PER TU CON I NOSTRI ASSOCIATI
Associazione Antonio Pastore
NE PARLIAMO CON MARCO BENTIVOGLI E SILVIA ZANELLA MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA DEI DIRIGENTI, QUADRI ED EXECUTIVE PROFESSIONAL DEL TERZIARIO Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - Decreto Legge 353/03 (convertito in Legge 27/2/04, n. 46) art.1, comma 1 - DCB/MI - 2,20 (abbonamento annuo 16,50)
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Il futuro del lavoro
SIAMO
Con questo articolo Manageritalia vuole aprire una discussione tra chi si occupa a vario titolo di lavoro, dando vita a un luogo di confronto ed elaborazione di idee. Gli spunti sono tratti dal libro Il lavoro ha un futuro, anzi tre (Guerini Next) del nostro vicepresidente Mario Mantovani, uscito in libreria ai primi di
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EL PRIMO QUARTO DEL NOSTRO SECOLO il lavoro, concetto che racchiude significati sociali, economici e tecnologici difficilmente districabili, è un candidato eccellente all’innesco di una trasformazione irreversibile della società. Una trasformazione che potrebbe chiudere un’era, quella in cui il concetto ancora contemporaneo di lavoro si è strutturato e ha preso un ruolo centrale nel modello economico che è corretto definire capital-lavoristico. La forza dominante si chiama trasformazione tecnologica digitale: dopo aver colonizzato e integrato quasi tutti gli ambiti di sviluppo delle tecnologie precedenti il cerchio si stringe e ha ormai raggiunto l’ambito del lavoro umano. Prevale l’idea che il cambiamento guidato dalla tecnologia sia ineluttabile e si sviluppi in modo lineare, dividendo il mondo tra sostenitori entusiasti, strenui resistenti e fautori dell’adattamento. La storia, invece, non è già scritta. Se guardiamo l’evoluzione organizzativa degli ultimi decenni scopriamo che la specializzazione – consentendo la diffusione dei processi in outsourcing – e lo sviluppo degli ecosistemi organizzativi – rendendo marginale l’analisi della singola
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PRONTI?
ottobre. Il volume sviluppa analisi originali e riflessioni innovative basate sull’esperienza dell’autore, sull’osservazione dei cambiamenti in atto e sulle competenze della nostra Organizzazione. I vostri contributi saranno valorizzati, raccolti e sviluppati in una serie di iniziative che seguiranno il lancio del libro.
entità legale – hanno impatti sulla natura del lavoro umano almeno paragonabili a quelli delle tecnologie. Le modalità d’apprendimento si stanno rapidamente trasformando, ma i cambiamenti più profondi non avvengono nelle business school, nelle aziende e tanto meno nelle scuole; l’apprendimento esperienziale passa attraverso lo smartphone e si alimenta con i videogame. Dove invece il quadro concettuale appare bloccato è l’assetto normativo, anche a livello globale. Si profila una grande divergenza tra lavoro e società, una pericolosa segmentazione degli ambiti che rischia di renderli non più comu-
nicanti; le organizzazioni più sviluppate non hanno interesse all’evoluzione normativa, sono più attratte dall’idea di rendere le norme irrilevanti. Il rischio è un futuro d’irrilevanza del ruolo sociale del lavoro. Quando movimenti politici che si qualificano come innovatori derubricano l’occupazione a mera necessità di apporto economico e sognano di liberarsene, percepiamo la distanza già profonda tra le rive del canyon. Il futuro del lavoro umano, invece, è tutto da scrivere. Per coglierne gli sviluppi profondi e individuare nuove strategie è necessario abbandonare la visione lineare e cogliere la struttura concentrica
del tempo, legando passato e futuro più prossimi e recenti, per poi allargare lo sguardo ai cambiamenti strutturali, fortemente condizionati dalla demografia, dall’economia e dalla geopolitica.
Futuro immediato Nell’orizzonte più vicino (3-5 anni) è urgente operare una trasformazione normativa e organizzativa centrata sul concetto di “lavoro organizzato”, superando la distinzione tra lavoro dipendente e autonomo. La sfida concettuale e pratica consiste nell’estendere le tutele, oggi tipiche del lavoro dipendente, a molte professioni e attività oggi definite come auto-
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Il futuro del lavoro nome, preservandone gli aspetti di flessibilità e di decentralizzazione organizzativa, di cui beneficerebbero le aziende e anche i lavoratori oggi definiti come dipendenti. Nel medesimo orizzonte temporale occorre uno sforzo straordinario per preservare, rendendolo più efficiente, il sistema di welfare di tipo europeo, fonte di stabilità e
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coesione sociale, specialmente nelle sue declinazioni sussidiarie, premessa fondamentale per evitare che le discontinuità indotte dalle trasformazioni tecnologiche abbiano ricadute troppo pesanti sulle persone. Ma l’impegno più rilevante e urgente è quello di sviluppo delle competenze e delle capacità umane basato su modelli d’apprendimento continuo, teorico ed
esperienziale, integrato e coerente dagli anni della scuola fino al termine del periodo lavorativo.
Futuro contemporaneo Nell’orizzonte del futuro contemporaneo (i prossimi 50-60 anni) inizierà molto probabilmente l’Era Robotica, portatrice di grandi aspettative e grandi rischi: si potrebbe infatti materializzare una
crisi strutturale del lavoro e della società (la Grande segregazione). Da un lato un mondo cibernetico, guidato dalle intelligenze artificiali, dall’altro un livello direzionale, riservato a pochi talenti, al quale tuttavia non si accede più dal basso. Il blocco dell’ascensore sociale potrebbe condurre a situazioni di segregazione sociale, accentuati da squilibri territoriali già oggi emergenti. Il dibattito sulle politiche economiche atte a scongiurare questi rischi è acceso: le varie forme di “reddito di cittadinanza”, specialmente quelle che compensano le persone per il non-lavoro, diminuiscono o aumentano i rischi? Oggi sono viste da molti come l’inevitabile soluzione, ma nel tempo potrebbero rivelarsi generatrici di conflitti ingestibili. Occorre quindi prepararsi a un percorso lungo, complesso, oggi scarsamente prevedibile, con rallentamenti e accelerazioni, tra difficoltà che parranno insormontabili e soluzioni che oggi non esistono. La Grande segregazione si potrà evitare, ma occorre preparare rapidamente gli antidoti: la riflessione sul lavoro deve rimanere al centro dell’attenzione politica ed economica, attirando le forze intellettuali e operative migliori, combattendo l’ideologia che vede il lavoro umano marginalizzato, reso inutile dallo sviluppo tecnologico;
la struttura di remunerazione del lavoro deve continuare a evolversi, eliminando del tutto gli elementi penalizzanti, ma soprattutto iniziando ad allentare la rilevanza dell’aspetto monetario rispetto a quello d’accesso a beni e servizi. Lo scambio di lavoro contro denaro genera inoltre una serie di inefficienze alle quali la finanza fornisce solo risposte parziali, insieme a notevoli distorsioni; il lavoro deve incorporare una serie di diritti che diano sostanza a un vero e proprio contratto sociale: sicurezza, salute, conoscenza, inclusione sociale, accesso a beni e servizi non monetari, welfare, mobilità territoriale, cura dei bambini e dei deboli, non discriminazione;
attraverso lo sviluppo delle organizzazioni del terzo settore il peso dello stato nel welfare, nella gestione di servizi pubblici, nelle attività di protezione ambientale e sociale, deve ridursi, parallelamente al fabbisogno fiscale oggi destinato al suo finanziamento.
Futuro oltre Nel futuro ancora più lontano potrebbe emergere un nuovo paradigma economico basato sull’accesso a beni e servizi, non più sullo scambio. Una trasformazione epocale, indotta da evoluzioni tecnologiche e umane al cui centro sta sempre il lavoro. Una suggestione che oggi ci appare confusa, relegata in un futuro indefinito. Ma a volte il tempo, che sbagliando consideriamo lineare, gioca qualche scherzo e ci proietta in modo rapidissimo in una diversa dimensione.
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Il futuro del lavoro
GESTIAMO IL CAMBIAMENTO L’opinione di Marco Bentivogli, segretario generale della Fim Cisl
Le nuove tecnologie impongono un forte ripensamento del lavoro? «Le persone saranno sempre più “ibridate” in un rapporto virtuoso e progettuale, e non più fordista, con la macchina, ma ogni innovazione trasformatrice è all’inizio una devianza dagli schemi di partenza. Il pericolo è che la nostra percezione della realtà sia invece filtrata attraverso le lenti con cui abbiamo letto il Novecento. Non è detto, infatti, che le 8 ore di lavoro classiche suddivise in 40 settimanali e in 1.760 annue saranno ancora il modello dell’industria tecnologica dei prossimi anni. Nuovi tempi e spazi di lavoro consentiranno una maggiore conciliazione con la vita di ciascuno». Come vede, anche a questo riguardo, il mondo del lavoro oggi in Italia? «L’Italia è un paese anti-industriale affetto da iperideologizzazione, giustizialismo e sindrome
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del no, con effetti molto pesanti sul lavoro e sulle nostre politiche economiche e sociali. Il decreto anti-delocalizzazioni non è servito. Si delocalizza non perché abbiamo un costo del lavoro elevato – i nostri metalmeccanici sono i migliori al mondo – ma perché ci sono costi legati, carenza di infrastrutture, una burocrazia asfissiante e una politica schizofrenica a livello locale quanto nazionale (un caso su tutti l’ex Ilva di Taranto, oggi ArcelorMittal) e un sistema giudiziario lento e inefficiente. L’Italia avrebbe bisogno di una classe politica capace di immaginare il Paese tra 30, 50 anni e non alle prossime elezioni. Personalmente penso che ce la possiamo fare, conosco centinaia di aziende che nonostante “l’ecosistema paese” lottano e ce la fanno. Le nuove tecnologie, a partire dall’AI, possono dare un contributo determinante». Cosa dobbiamo cambiare? «Investire in formazione e tecno-
logia, contrastando la resistenza all’innovazione, con politiche che guardino il cambiamento. I governi italiani degli ultimi vent’anni sono stati molto carenti in questo senso, tranne qualche rara eccezione come il Piano Industria 4.0 promosso dall’ex ministro Calenda e dei provvedimenti sull’alternanza scuola-lavoro. Mi sono occupato di innumerevoli vertenze negli anni della crisi. Solo nel mio settore sono stati persi oltre 600mila posti di lavoro. I fattori sono innumerevoli ma è stata determinante l’assenza di investimenti nelle nuove tecnologie. Per invertire la rotta servono investimenti, ma soprattutto un cambio di mentalità. In questo senso la formazione e l’educazione saranno fondamentali». Ha ancora senso avere una netta distinzione tra lavoro dipendente e autonomo? Non avrebbe più senso ragionare sul concetto di lavoro organizzato e dare a tutti un welfare minimo
pur mantenendo flessibilità e decentralizzazione organizzativa? «Bisogna guardare a contratti smart e ibridi che siano capaci di tutelare le persone e garantire al contempo la funzionalità dell’impresa. Pensiamo, ad esempio, alla logica delle learning organization, uno strumento che consente di passare dal lavoro subordinato, in cui contano luoghi e orari, alla formula dell’apprendimento organizzativo che pone al centro la persona con i suoi risultati e le sue competenze, pienamente in linea con l’evoluzione in senso digitale. A livello di contrattazione possiamo fare ancora molto attraverso gli accordi aziendali. Negli ultimi anni abbiamo lavorato a fondo e realizzato importanti contratti che guardano al futuro del lavoro, dallo smart working ai big data». Come adeguare il welfare, quello europeo pubblico e privato, ai cambiamenti in atto?
«Siamo abituati a pensare al lavoro diviso in due macro categorie, o autonomo o dipendente, ma bisogna guardare oltre, a contratti smart e ibridi in grado di tutelare le persone e garantire, al contempo, la funzionalità dell’impresa»
«Sicuramente la chiave di volta per non lasciare nessuno dietro e per ritrovare una dimensione alta del lavoro è quella della conoscenza e della partecipazione a ogni livello. Bisogna lavorare in questa direzione a livello nazionale ed europeo e avere più attenzione a un welfare integrale e intelligente, puntare sul lifelong learning e valorizzare il potenziale delle persone anche attraverso sistemi di inquadramento professionale avanzati».
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Il futuro del lavoro
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«Il ruolo del sindacato diventa determinante, non solo come protettore del posto di lavoro, ma anche come promotore delle competenze del lavoratore del futuro: da job protector a skill developer, deve cioè occuparsi dello sviluppo della professionalità del lavoratore»
minuti al giorno) con app dedicate, laboratori esperienziali e simulazioni, coaching, eventi. Insieme a Skilla di Franco Amicucci abbiamo lavorato su questo fronte e inserito delle proposte anche nella piattaforma del nuovo contratto. Ne abbiamo parlato nella due giorni (6-7 novembre) a Roma nell’ambito degli Stati generali della Formazione che abbiamo organizzato come Fim Cisl insieme ad esperti del settore, esponenti del mondo imprenditoriale e politico».
Come sviluppare un modello di apprendimento continuo che accompagni i lavoratori lungo tutto l’arco della loro vita professionale? «Nel Piano Industria 4.0, per fare un esempio, si parlava di formazione 4.0, cioè caratterizzata da evolute metodologie che integrino aule, formazione continua digitale a piccole dosi (da due a 5
Qual è in questo contesto il ruolo dei sindacati di lavoratori e imprese? «Imprese, sindacato, scuola: ognuno deve fare la sua parte. Tra qualche anno molti dei lavori che oggi conosciamo non esisteranno più, altri saranno creati. La sfida è quindi traghettare il lavoro organizzato dentro le nuove realtà. Senza nascondere che oggi le
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grandi piattaforme tecnologiche come Google, Apple e Facebook sono “union free” e che in molte delle imprese più avanzate il ruolo del sindacato è marginale. Abbiamo ancora qualche anno di tempo per evitare di essere messi all’angolo. In queste trasformazioni il ruolo del sindacato diventa determinante, non solo come protettore del posto di lavoro, ma anche come promotore delle competenze del lavoratore del futuro: da job protector a skill developer, deve cioè occuparsi dello sviluppo della professionalità del lavoratore facendo diventare la competenza moneta intellettuale al pari del salario. A mio avviso le aziende che non fanno formazione generano esternalità negative e dovrebbero essere tassate». Qual è il ruolo dei manager? «Purtroppo nel nostro paese il ruolo dei manager sconta in parte un’idea di mercato legata troppo all’assistenzialismo statalista tipico degli anni passati. Le nuove catene globali del lavoro impongono invece una visione più ampia e aperta del proprio ruolo. Fortunatamente non mancano esempi virtuosi. Sarà per questo fondamentale, anche qui, un grande investimento in termini di formazione di una classe dirigente capace di leggere e interpretare il cambiamento in atto, in questo università e scuole possono dare un grande contributo».
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LE NUOVE REGOLE DEL GIOCO Iniziamo a osservare il presente: i cambiamenti sono già in atto. Eppure, c’è chi si ostina a guardare dall’altra parte. Carriere, sviluppo professionale e modelli organizzativi. Un patto tra aziende, istituzioni e persone Silvia Zanella direttore comunicazione e digital hr
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E NUOVE tecnologie impongono un forte ripensamento del lavoro e della formazione: il digitale ha ridefinito tempi, luoghi, relazioni e identità del lavorare e allo stesso tempo non si può più pensare che quanto è stato acquisito nei primi 20 anni di scolarità possa bastare per i 50 successivi di vita lavorativa. Quali competenze andranno valorizzate maggiormente per i nativi digitali? La tecnologia non deve far paura, ma bisogna essere preparati.
Il mondo del lavoro oggi in Italia I vasti cambiamenti che ci attendono non sono ancora nell’agenda politica e questo è profondamente sbagliato, per il tipo di conseguenze su individui, famiglie, industria. Credo che il mondo dell’imprenditoria e del management sia già più pronto, ma deve essere supportato. È giunto il momento di smettere di parlare di futuro del lavoro. È stato il mio cavallo di battaglia per anni. Ho avuto un autentico innamoramento per tutto ciò che riguarda-
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va “il lavoro che verrà”. Ma ogni giorno che passa, ogni intervento che ascolto, ogni professionista che incontro, ogni ricerca che leggo, ogni questione che mi trovo ad affrontare nella mia quotidianità lavorativa mi mette davanti all’evidenza che quel lavoro è già qui. Se non cominciamo a realizzare che il futuro del lavoro è adesso, non supereremo mai i modelli novecenteschi che lo governano. Ciò che è peggio, non sapremo affrontare le sfide di oggi. Continuando a usare le regole vecchie del gioco, perderemo inevitabilmente ogni partita e saremo presto fuori dai tornei.
Cosa cambiare Dobbiamo cambiare il modo di considerare la performance, lo stile della nostra leadership, i fondamenti stessi del lavorare. È un cambiamento dalla portata immensa che avrà oltretutto una velocità massima di realizzazione. Il futuro del lavoro è già qui, in mezzo a noi: invece che limi-
tarsi a trattarlo come elemento esotico, dovremmo imparare a riconoscerlo per poterlo governare meglio. Iniziamo a guardare al presente del lavoro e a plasmarlo, perché da questo dipenderà come evolveranno la nostra vita e la nostra economia.
Un approccio da freelance La flessibilità sarà il tratto distintivo del lavoro del futuro e, in misura maggiore o minore, saremo tutti più freelance, nelle nostre relazioni e nel modo in cui organizzeremo il nostro lavoro. Si moltiplicano le forme di lavoro flessibile: con la gig economy aumentano freelance, contractor, partite Iva, quelli che si autodefiniscono “imprenditore presso me stesso”. Quasi sempre, senza tutele o paracaduti. C’è chi dice che il lavoro dipendente non esisterà più. Se è così, quale nuovo contratto sociale va messo in piedi?
Adeguare il welfare ai cambiamenti in atto Serve un patto tra aziende, istituzioni e persone per non lasciare indietro i più deboli. Serve maggiore concentrazione sul lavoro di qualità (non necessariamente full time, non necessariamente a tempo indeterminato) e su piani di formazione che durino tutta la vita. In questo possono avere un ruolo vitale sia i sindacati che le imprese.
L’apprendimento continuo sarà un must È fondamentale rivedere i modelli di apprendimento, le competenze richieste, le occasioni di alternanza scuola–lavoro. Serve la collaborazione di tutti gli attori in campo. Come riconoscere le nuove competenze necessarie? Che ruolo hanno le scuole e le famiglie? Quali le responsabilità di chi si occupa di orientamento?
La flessibilità sarà il tratto distintivo del lavoro del futuro e, in misura maggiore o minore, saremo tutti più freelance, nelle nostre relazioni e nel modo in cui organizzeremo il nostro lavoro
Sindacati e manager: quale ruolo? Con l’emergere di forme di impiego sempre più individualizzate e indipendenti, fortemente frammentate e destrutturate, è urgente una riflessione su come debbano evolvere le garanzie della protezione sociale dei lavoratori. Allo stesso tempo i manager devono prendere consapevolezza del cambiamento e accompagnare i propri collaboratori, rendendosi disponibile ad imparare anche da loro.
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Associazioni territoriali
PRECONGRESSI: A TU PER TU CON I NOSTRI ASSOCIATI Un migliaio di manager hanno partecipato in maniera attiva agli appuntamenti in tutta Italia delle nostre 13 associazioni territoriali. L’obiettivo? Tracciare il futuro della nostra Organizzazione in vista del Congresso nazionale del 15 e 16 novembre. Durante questi incontri abbiamo parlato con loro di persona, raccogliendo spunti, opinioni e suggerimenti. Ecco cosa ci hanno detto
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I PIACE INCONTRARE di persona i nostri associati, con cui abbiamo quotidianamente scambi telefonici, via email, feedback attraverso le nostre newsletter o sui nostri social network. È bello associare a un nome un volto, conoscere chi partecipa alle nostre numerose iniziative da nord a sud dedicando del tempo a Manageritalia e alla propria associazione territoriale. I Precongressi di Manageritalia sono stati un momento cruciale che ha avuto ampia eco sui mass media (radio, televisione, quotidiani regionali, web) e ha raccolto idee e proposte in vista del Congresso nazionale del 15 e il 16 novembre a Milano. Un migliaio di nostri associati hanno dato nei giorni scorsi il loro prezioso contributo su quattro dimensioni chiave per il futuro della nostra Organizzazione – Welfare, Sindacato km 0, Trasformazione del mondo del lavoro e Conoscenza – anche con una parte pubblica che ha visto coinvolti esperti e rappresentanti della politica e delle istituzioni locali. Condivisione e dialogo sui temi congressuali si sono raccolti anche su un’apposita piattaforma online.
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Associazioni territoriali
«Sono molto contento di come stanno procedendo i lavori, molto attuali. Oggi non si può essere chiusi nella torre d’avorio: i manager devono avere un ruolo di mentor nei confronti dei giovani ed essere visibili anche al di fuori delle aziende». Michele Silvestri
«Manageritalia oggi è in grado di realizzare progetti mirati alla diffusione di una cultura lavorativa e manageriale nei giovani, favorire lo sviluppo dell’intelligenza manageriale nelle nostre regioni e valorizzare la diversità generazionale». Luigi Cassatella
«Il Precongresso è stato un momento di confronto e scambio di esperienze che mi ha fatto sentire parte di un’Organizzazione che può smuovere le cose nel nostro Paese, valorizzando il ruolo dei manager nella crescita e nello sviluppo». Michele Lampugnani
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«Si tratta della mia prima Assemblea e del mio primo Precongresso. I temi trattati sono di assoluta attualità. Il mondo del lavoro in azienda sta subendo cambiamenti rapidi. Lo scambio tra giovani e manager è oggi fondamentale e Manageritalia è un tramite eccellente». Lucia Padoan
«Manageritalia, con la nuova associazione Manageritalia Executive Professional, è riuscita a creare una coesione tra tutti i professionisti del settore che stanno lavorando accanto ai vertici aziendali in un’altra veste. Sono certo che il Precongresso porterà contributi fondamentali per il Congresso nazionale e che il 2020 sarà un anno di forti cambiamenti». Stefano Benci
«A tre anni dall’iscrizione a Manageritalia, è stata la prima Assemblea e il mio primo Precongresso. Penso sia stato un momento utile di confronto e spero che la discussione al Congresso nazionale riprenda gli spunti emersi a Firenze. Dopo questa esperienza positiva cercherò di essere più partecipe in futuro. Giuseppe Forte
«La mia associazione può portare un contributo sul tema Conoscenza offrendo le proprie competenze per far crescere i giovani. Ho trovato il Precongresso interessante: sono iscritto a Manageritalia da poco e mi sono sentito subito molto coinvolto, sento che posso dare anch’io un contributo alle attività dell’associazione». Marcello Marzano
«Mi porto a casa un concetto fondamentale: da soli si è più veloci, ma insieme si va più lontani. Il Precongresso ci ha spinto ad agire in prima persona come manager nel territorio di appartenenza, a innestare cultura manageriale nel tessuto imprenditoriale locale». Patrizio Signoriello
«Manageritalia, a mio parere, dovrebbe aprirsi agli stakeholder del territorio, ad esempio le università e altre categorie produttive, per poter fare rete ed entrare a pieno titolo come rappresentante di quei territori. Ho trovato i temi del Precongresso interessanti e stimolanti. Mi sono portata a casa la volontà di mettermi in gioco per affrontare queste sfide con Manageritalia». Milena D’Imperio
«Manageritalia può e deve ritagliarsi nei suoi settori di riferimento – commercio, turismo e terziario – e nel dialogo con il settore pubblico, un ruolo di effettivo supporto nelle scelte della politica e nella gestione della cosa pubblica, migliorando il rapporto pubblico-privato». Gianluca Scarcelli
«Il ruolo del manager sta sempre più cambiando e Manageritalia lo ha capito da tempo. Il Precongresso ha senz’altro permesso di far confluire idee di attualità all’interno del Congresso nazionale e ha permesso a tutti gli associati di avere voce in tal senso per ridisegnare il nostro lavoro». Alessandro Bruno Bossio
«Il ruolo degli associati è quello di dare un contributo fattivo e operativo nei territori mediante il coinvolgimento di enti, scuole e amministrazioni pubbliche. Il Precongresso mi ha dato preziosi insight, scambio di opinioni e networking su tematiche oggi cruciali per un manager. Ritengo sia fondamentale oggi superare l’individualismo per creare sinergie». Tiberio Mantia
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Innovazione
IL FUTURO È ESPONENZIALE I principali insight emersi durante il SingularityU Italy Summit, l’8 e il 9 ottobre scorsi
Laura Zanfrini ceo di Zala Consulting
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ESIGN the future. Build the future. Be the future”: con un titolo così le aspettative erano alte e infatti la terza edizione del Summit ha offerto un interessante aggiornamento sulle tecnologie esponenziali e su come queste stanno e potranno rivoluzionare la nostra vita, come la conosciamo finora. Una due giorni nel futuro. La parola chiave è exponential, esponenziale, che è anche il punto attorno al quale è nata, nel 2008, la Singularity University (SU). Fondata da Peter Diamandis e Ray Kurzweil, la SU è un’organizzazione benefit corporation che si pone obiettivi ambiziosi: fare leva sulla convergenza delle tecnologie esponenziali per risolvere le nostre grandi sfide globali e passare da un’era di scarsità a una di abbondanza. Le sfide globali (GGC) sono 12 e riguardano la società e le risorse. In Bold: how to go big, create wealth and impact the world (Exponential Technology Series) Peter Diamandis e Steven Kotler spiegano anche cosa rende una tecnologia esponenziale. Il cambiamento accelera quando si innescano insieme le sei D (vedi infografica).
La comunità della SU è molto estesa e comprende imprenditori, multinazionali, enti statali, non profit e persone che vogliono affrontare le più grandi sfide del mondo e costruire un futuro migliore per tutti, utilizzando le leve dell’apprendimento e dell’innovazione. Questa è la missione di Singularity University che è anche nel nome: preparare tutti noi al momento in cui la tecnologia sarà più smart degli esseri umani (momento detto, appunto, Singularity), prepararci con un nuovo mindset, esponenziale, per capire e usare le tecnologie in crescita esponenziale (10X) come l’intelligenza artificiale, la robotica e la biologia digitale per sviluppare soluzioni “definitive” per le grandi sfide del mondo.
Perché sviluppare un exponential mindset? Il quale contesto stiamo vivendo e lavorando? Gli americani dell’US Army War College agli inizi del 2000 hanno incominciato a definire il mondo come Vuca, volatile, incerto, complesso, ambiguo. L’Oxford University, nel 2016, ha riformulato la situazione definendola Tuna, turbolenta, inaspettatamente
incerta, piena di cose nuove (mai viste prima) ma sempre ambigua. Una sorta di Vuca al quadrato. Altri esperti ci dicono che tutte le grandi forze trasformative stanno accelerando non solo la tecnologia ma anche la globalizzazione e i cambiamenti climatici (per chi fosse interessato suggerisco Grazie per essere arrivato tardi di Thomas Friedman). In ogni caso, anche se guardiamo in modo meno ampio e più focalizzato alla sola trasformazione digitale, parliamo della quarta rivoluzione industriale. Ma questa discontinuità come va affrontata? Pascal Finette, docente alla SU, ha aperto gli interventi del summit parlando dei “future thinkers”, cioè di come sia fondamentale oggi pensare in modo diverso per fare in modo diverso. In sintesi, ogni volta che pensiamo che quello che ha funzionato nel passato continuerà a funzio-
nare nel futuro, giochiamo d’azzardo.
Sostenibilità Jeffrey Rogers ha ricordato che 181 ceo membri di round table, tra cui Jeff Bezos (Amazon), Mary Barra (General Motors), Tom Cook (Apple) e Larry Fink (Black Rock), hanno deciso di ampliare la loro azione manageriale ridefinendo il loro impegno verso collaboratori e clienti. La decisione che hanno preso è di impegnarsi per ridistribuire valore non solo agli azionisti. Si chiama sostenibilità. Per le aziende, le comunità, le persone. Pensare che la sostenibilità (disuguaglianze sociali e salariali, prodotti pericolosi, condizioni lavorative precarie, impatto ambientale) riguardi anche le aziende porta ad agire in modo diverso o, almeno, a dichiarare di voler agire in modo diverso. Un primo passo nella direzione giusta. E le aziende più innovative in questo ambito cosa stanno facendo?
La missione di Singularity University è preparare tutti noi al momento in cui la tecnologia sarà più smart degli esseri umani (momento detto, appunto, Singularity), prepararci con un nuovo mindset, esponenziale, per capire e usare le tecnologie in crescita esponenziale per sviluppare soluzioni “definitive” per le grandi sfide del mondo
Pascal Finette ha analizzato i 7 ambiti – mercato, modello di business, modello operativo, modello organizzativo, cultura, missione e scopo e persone – che definiscono le priorità aziendali e, grazie a uno studio recente, ha presentato queste conclusioni:
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Innovazione
DIGITIZED
digitalizzata (suoni, immagini, testi, dna)
DECEPTIVE
letteralmente: ingannevole, difficile da individuare (la mente umana non è in grado di pensare esponenzialmente ma linearmente)
DISRUPTIVE
se puoi avere la tua musica sullo smartphone, perché comprare un cd?
6D
LE DELLA TECNOLOGIA ESPONENZIALE
Le tecnologie considerate esponenziali includono l’intelligenza artificiale (IA), la realtà aumentata e virtuale (AR, VR), la scienza dei dati (data science), la biologia digitale e la biotecnologia, la medicina, la nanotecnologia e la fabbricazione digitale, le reti e i sistemi informatici, la robotica e i veicoli autonomi, ma anche la stampa 3D, i droni ecc.
• Tutte le aziende tradizionali partono dall’analisi del mercato e si fermano al modello operativo. Per questo le aziende poi si ritrovano con l’87% dei collaboratori disingaggiati, l’85% che stanno cercando nuove opportunità e hanno il 58% dei manager senza formazione (secondo i dati Gallup). • Le aziende che in questo momento stanno ottenendo i migliori risultati partono dalle persone (occupandosi del loro engagement), chiariscono la missione e lo scopo (e normalmente hanno
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DEMONETIZED
accessibile economicamente: il costo sta quasi uscendo dalle variabili, visto che le tecnologie stanno costando sempre meno (pensate a tutte le app che possiamo scaricare quasi gratuitamente e a quali servizi ci consentono di accedere, solo come esempio)
DEMATERIALIZED
cioè sempre più miniaturizzata e slegata da singoli dispositivi
DEMOCRATIZED
democratizzata, accessibile a un’ampia fetta di popolazione grazie a Internet e interfacce user friendly
un Mtp, “Massive transformative purpose”, un’ambizione di fare veramente la differenza, come quella di SU “create a better future for the world”), si dotano di una cultura (ogni cultura è unica ma tutte hanno un tratto in comune, accettano il fallimento, secondo la regola “fail fast, fail often, fail forward”, per moltiplicare le occasioni di apprendimento) e arrivano al modello organizzativo (non gerarchico ma con l’accordo sui principi chiave, con il processo decisionale distribuito).
Discontinuità Tre spunti per cogliere quanto il mondo stia cambiando attorno a noi. Definitivamente. L’ispirazione è nata da Carlo Van de Weijer, Tommaso Gecchelin, Inma Martinez. • Se andate in https://n.pr/ 32dJC2Y scoprirete se il vostro lavoro sarà fatto da una macchina o da un algoritmo. Ovviamente potrete sempre sostenere che questo sia solo un gioco o che il modello possa essere sbagliato. Ma se iniziate a pensare che questo è la sintesi di quanto
si dice già da anni sul futuro di alcuni lavori… Per i più scettici suggerisco The Jobs Landscape, report del World Economic Forum. • Per la congestione del traffico, la soluzione non sono le macchine elettriche o quelle che si guidano da sole. Si deve re-immaginare il modo con cui ci muoviamo. In strada e nell’aria. Dall’Hyperloop ai droni passando per gli aerei elettrici che volano porta a porta ai futuri jet che volano a 25 volte la velocità del suono. Al Summit è stato presentato Next, un concetto di mobilità modulare, elettrica, autonoma: piccoli vagoncini che si uniscono quando serve efficienza e si separano per personalizzare le destinazioni dei passeggeri. Più dettagli su https://www.next-future-mobility.com • I big data richiedono big computer. Ma quanto grandi? Gli exascale computer sono sistemi capaci di almeno un exaFlops (floating point operation per second, misura della performance di un computer), cioè un miliardo di miliardi (un quintilione) di calcoli per secondo. Praticamente impossibile da immaginare e siamo ancora a crescita lineare. Questi computer si utilizzano per controllare le centrali nucleari e per la stampa 3D e 4D. Ma questa non è la frontiera. Quando parliamo di Quantum computer parlia-
mo di esponenziale. I computer a base di silicio eseguono calcoli utilizzando “bit” di informazioni, che possono esistere solo in due stati: 1 o 0. I computer quantistici usano bit quantistici, o “qubit”, che possono esistere contemporaneamente come 1 e 0. Semplificando, se una coppia di bit può memorizzare solo una delle quattro possibili combinazioni di stati (00, 01, 10 o 11) in un dato momento, una coppia di qubit può archiviare tutte e quattro le combinazioni contemporaneamente.
Apprendimento Come prepariamo le giovani generazioni a un futuro che non conosciamo? Maria Xanthoudaki, direttore of Education & Crei (Centro di ricerca per l’educazione informale) al Museo nazionale della scienza e della tecnica Leonardo da Vinci di Milano, ha ricordato a tutti alcuni dati fondamentali: il 65% degli studenti delle superiori farà un lavoro che oggi non esiste; l’era degli impieghi che durano fino alla pensione è finita. La durata media di un singolo lavoro oggi è 4,2 anni; entro il 2020 cambierà il 35% delle competenze necessarie per stare nel mercato del lavoro (indipendentemente dai settori); tutti noi dovremo diventare capaci di distinguere tra lavori che diventeranno obsoleti presto e quelli che dureranno.
Da una disruption nel modello “prima studio e poi lavoro e al limite mi aggiorno” che diventa “studio, lavoro, studio, lavoro...”, i musei stanno trovando un loro nuovo posizionamento, come strumenti per favorire lo sviluppo delle skill del ventunesimo secolo.
Il 65% degli studenti delle superiori farà un lavoro che oggi non esiste; l’era degli impieghi che durano fino alla pensione è finita. La durata media di un singolo lavoro oggi è 4,2 anni; entro il 2020 cambierà il 35% delle competenze necessarie per stare nel mercato del lavoro
... e quindi? Il cambiamento tecnologico in atto è esponenziale, contrariamente alla visione “intuitivamente lineare” a cui siamo abituati. Quindi nel XXI secolo non sperimenteremo 100 anni di progresso, ma bensì 20.000 anni. Difficile da comprendere senza una mentalità esponenziale! Per questo è fondamentale prepararci con un nuovo mindset, esponenziale appunto, per capire e usare le tecnologie che abbiamo e avremo a disposizione. Capirle bene per usarle bene.
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Azienda
LE PERSONE CON AUTISMO NEL MONDO DEL LAVORO Risorse e opportunità da cogliere per una vera inclusione, oltre i pregiudizi
Gianluigi Delucca executive professional associato a Manageritalia
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“A
UTISMO” è un’etichetta ampia che copre molte situazioni di “sviluppo non tipico”. Possiamo incontrare persone con autismo che presentano ipo-abilità e/o iper-abilità, sia fisiche sia psichiche. Le ipo-abilità sono in genere facili da sospettare (ad esempio, mutismo), mentre le iper-abilità sono difficili da immaginare (ad esempio, iperacusia), di conseguenza la nostra relazione con le persone con autismo è quasi sempre “orientata” verso le mancanze evidenti, anziché verso le capacità possibili. La grande varietà di combinazioni di queste abilità ha portato a utilizzare il termine più completo di “disturbi dello spettro autistico”. Questo “spettro” viene oggi esplorato più che in passato perché i bambini sono sempre meno internati in istituti e sempre più seguiti dalle famiglie nel loro sviluppo, con grande fatica e impegno. I bambini diventano ragazzi e adulti, sono più presenti e visibili nella società e dunque è maggiormente possibile scoprire di cosa sono capaci.
La grande varietà dei casi individuali rende difficile la gestione da parte delle strutture pubbliche, che si trovano più a proprio agio con situazioni conosciute, semplici, ripetitive e prevedibili e quindi si rende necessaria una reazione della società nel suo complesso.
Il cambiamento parte dalle imprese Le aziende che incontrano le persone con autismo e le loro famiglie come clienti possono essere tra i protagonisti di questa reazione. Non tramite un’azione compassionevole di “aiuto sociale”, ma con un approccio professionale al mercato che le renda in grado di gestire questo segmento di mercato così come vengono gestiti gli altri. Si tratta, infatti, di un segmento molto grande, interessante per le grandi multinazionali così come per le piccole aziende. Le persone con autismo sono circa l’1% della popolazione, ma la loro condizione le pone al centro di una rete di relazioni che parte dai loro familiari più stretti, prosegue con la famiglia allargata e si espande con
gli amici, i vicini ecc., moltiplicando il numero iniziale per 10.
Un percorso tutto da costruire Per le aziende medio-grandi che vogliono esplorare questa opportunità, il percorso è abbastanza impegnativo e deve necessariamente essere costruito sulle proprie specifiche caratteristiche organizzative. Si tratta di un percorso in genere pluriennale che, per ottenere il massimo risultato possibile, richiede la collaborazione di varie funzioni interne, dalla gestione del personale al marketing, per un progetto formativo all’accoglienza consapevole delle persone con autismo, che ha un impatto su procedure interne ed esterne non misurabile dal solo risultato economico.
Per il personale a contatto con il pubblico Nel caso del personale a contatto con il pubblico, si parla di una formazione di secondo livello perché porta a rivedere tutte le forme di comunicazione verbale e non verbale utili alla personalizzazione del servizio, ovvero alla creazione della relazione col cliente sia individuale (le persone con autismo autonome), sia di gruppo (le persone con autismo accompagnate). È facile dire, in fase di formazione di base, che il significato delle parole è meno di un decimo della comunicazione inter-personale: più difficile è farne applicare le conseguenze nell’attività di tutti i giorni. Le persone con autismo sono un’eccellente possibilità di verifica e crescita delle proprie competenze
“Autismo” è un’etichetta ampia che copre molte situazioni di “sviluppo non tipico”. Possiamo incontrare persone con autismo che presentano ipo-abilità e/o iper-abilità, sia fisiche sia psichiche. La grande varietà di combinazioni di queste abilità ha portato a utilizzare il termine più completo di “disturbi dello spettro autistico”
perché per comunicare con loro occorre coscientemente modificare le proprie strategie abituali, sia verbali sia non verbali.
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Azienda persone con autismo per lo sviluppo di software. E non si tratta della sola possibilità, perché la capacità di un alto livello di concentrazione e altre caratteristiche possono avere ambiti specifici dell’azienda all’interno dei quali venire valorizzati. A questo proposito, il paese che in assoluto ha l’esperienza più consolidata di inserimento lavorativo è la Svezia, con i più alti tassi mondiali di occupazione delle persone con autismo.
Punti vendita formati all’accoglienza consapevole
La Svezia è il paese che in assoluto ha l’esperienza più consolidata di inserimento lavorativo delle persone con autismo
Il coinvolgimento di tutto lo staff Tutto il personale aziendale dovrebbe essere coinvolto al fine di condividere le problematiche affrontate tutti i giorni dai colleghi a contatto con il pubblico. Questo favorisce la comprensione degli obiettivi comuni e avvicina le varie funzioni aziendali.
Csr Le aziende che hanno una politica di impegno sociale possono segnalare il proprio percorso alla
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clientela e mostrare come non si tratti di un orpello all’attività aziendale, ma di una conseguenza diretta del proprio modo di intendere l’impresa economica. Le aziende che hanno una politica di coinvolgimento dei collaboratori all’impegno sociale dell’azienda possono offrire, tramite un percorso di questo tipo, la possibilità di contribuire concretamente all’impegno aziendale per il miglioramento della società nel suo complesso.
L’inserimento in azienda delle persone con autismo Per le aziende più strutturate si apre anche la possibilità di valutare l’inserimento in azienda, temporaneo o permanente, di persone con autismo. L’esempio ormai storico è Aspiritech (https://aspiritech.org), un’azienda americana che ha costituito un team di sole
Una volta formato, il punto vendita (reale o virtuale) può diventare visibile sulla mappa che indica alle persone con autismo, e a tutti coloro che sono vicini a loro, i luoghi di riferimento presenti sul territorio. Punti vendita dove poter andare a fare acquisti e usufruire di servizi sapendo che non dovranno spiegare (come sono costretti a fare molte volte al giorno) che i loro comportamenti apparentemente “fuori contesto”, le loro sensibilità e le loro richieste hanno una solida motivazione. Punti vendita che saranno di conseguenza più efficaci in generale per tutti i clienti. Anche in Italia non mancano esperienze di successo, da grandi catene retail a singoli esercizi commerciali, e possiamo solo augurarci che diventino più numerose perché il risultato per tutti è essere protagonisti di un mondo migliore.
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OSSERVATORIO LEGISLATIVO a cura di Manageritalia
osservatorio
PENSIONI: LA CORTE DEI CONTI RICONOSCE LE CRITICITÀ COSTITUZIONALI AVANZATE NEL RICORSO CIDA
P
rima significativa vittoria della Cida nell’azione giudiziaria intrapresa a difesa dei diritti dei nostri rappresentati in materia previdenziale: la Corte dei conti, sez. giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia, con l’ordinanza 17 ottobre 2019, n. 6, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dei provvedimenti legislativi che hanno determinato l’ennesimo blocco della perequazione e il prelievo straordinario sulle pensioni di importo medio-alto. In 36 pagine la Corte dei conti ha rilevato che i provvedimenti legislativi in questione non rispettano i tre fondamentali principi posti dalla Corte costituzionale in tema di previdenza: ragionevolezza, adeguatezza, affidamento. L’aumento dei casi di incidenti sul lavoro dimostra purtroppo che permane una soglia che non appare scalfita dai ripetuti interventi legislativi. Ciò ha fatto sì che fosse presentata una proposta di legge con alcuni interventi per cercare di aggredire il fenomeno con un approccio nuovo, in base al quale la sicurezza non è da considerarsi un costo, bensì un vero e proprio investimento. In particolare, la durata quinquennale di fatto determina una decurtazione patrimoniale arbitrariamente duratura del trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del relativo gettito e costituisce un prelievo coattivo che grava soltanto “su specifiche categorie di pensionati e non su tutti i cittadini, con ciò risultando ingiustificatamente discriminatorio e non rispettoso dei canoni fondamentali di uguaglianza a parità di reddito e di universalità dell’imposizione”. Inoltre, questa modalità di prelievo non è neanche giustificata da “alcuna condizione di eccezionalità e/o di specifica crisi del settore previdenziale, cui si debba far fronte con il tributo de quo” e pertanto “il sacrifico imposto a una ristretta cerchia di soggetti si palesa del tutto
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ingiustificato e discriminatorio, impropriamente sostitutivo di un intervento di fiscalità generale nei confronti di tutti i cittadini”. Per il remittente, prosegue l’ordinanza, l’intervento sulla perequazione delle pensioni presenta “due significativi profili di criticità: non risulta sorretto da specifiche esigenze di contenimento della spesa pubblica”, insiste su un arco temporale “difficilmente riconducibile nell’alveo della nozione di transitorietà”. Nei mesi scorsi il consiglio dei presidenti della Cida aveva deciso di passare alle vie giudiziarie a sostegno delle pensioni medio-alte, dopo aver condotto per mesi un’intensa attività di comunicazione e di incontri con il mondo della politica per rivendicare le proprie ragioni. Certamente un’iniziativa di natura sindacale, un atto dovuto nei confronti dei pensionati iscritti alle Federazioni aderenti, ma anche un’azione politica, di carattere generale, per garantire la certezza del diritto, un valore al quale lo Stato deve necessariamente tendere per garantire la libertà dell’individuo, l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge e non intaccare la fiducia e la credibilità dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Cida, quindi, aveva dato mandato ai propri legali di proporre alcuni ricorsi “pilota” contro la riduzione dei trattamenti pensionistici e contro il blocco della perequazione. Auspichiamo quindi che anche gli altri ricorsi avviati possano produrre analoghi risultati, in particolare quelli sui quali saranno chiamati a pronunciarsi i Tribunali ordinari, in quanto riferiti a dirigenti del settore privato. Una pluralità di rinvii provenienti da sedi diverse, specialmente se corredati da motivazioni tra loro coerenti, potrà significativamente testimoniare la fondatezza delle tesi da noi sostenute.
RAPPORTO ASVIS 2019: OBIETTIVO SOSTENIBILITÀ
I
l Rapporto annuale dell’Asvis (Agenzia italiana per lo sviluppo sostenibile), che monitora l’andamento dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’Onu, mostra nel complesso più passi in avanti che indietro. Nonostante le tante azioni messe in campo negli ultimi anni, tuttavia il mondo non si trova su un sentiero di sviluppo sostenibile. A quattro anni dall’adozione dell’Agenda 2030, nonostante i progressi compiuti, le misure adottate dai singoli paesi, dal settore privato e dalle organizzazioni internazionali, non appaiono essere all’altezza della sfida che abbiamo di fronte. La nuova Commissione europea ha promesso un significativo cambio di passo, con un programma di azione per il prossimo quinquennio che ruota intorno a una visione in cui politiche economiche, sociali e ambientali appaiono coerentemente orientate all’obiettivo dello sviluppo sostenibile. Nel suo percorso, l’Italia migliora in 9 (salute, uguaglianza di genere, condizione economica e occupazionale, innovazione, disuguaglianze, condizioni delle città, modelli sostenibili di produzione e consumo, qualità della governance e cooperazione internazionale), peggiora in 6
(povertà, alimentazione e agricoltura sostenibili, acqua e strutture igienico-sanitarie, sistema energetico, condizione dei mari ed ecosistemi terrestri) ed è stabile per l’educazione e la lotta al cambiamento climatico. Evidenti sono i ritardi in settori cruciali per la transizione verso un modello che sia sostenibile sul piano economico, sociale e ambientale, e fortissime restano le diseguaglianze, comprese quelle territoriali. L’Italia resta quindi lontana dal sentiero scelto nel 2015, quando si è impegnata ad attuare l’Agenda 2030 e l’Accordo di Parigi per la lotta al cambiamento climatico. Tra le proposte presentate da Asvis, la principale è quella di una legge annuale per lo sviluppo sostenibile, politiche integrate e azioni concrete a partire dalla prossima legge di Bilancio, anche per poter beneficiare delle risorse che l’Unione europea investirà nella direzione della sostenibilità. Inoltre, Asvis raccomanda che il governo: trasformi il Cipe da Comitato interministeriale per la programmazione economica in Comitato interministeriale per lo sviluppo sostenibile; aggiorni la Strategia nazionale di sviluppo sostenibile e presenti un rapporto sul suo stato di attuazione; individui politiche per conseguire i
21 target in scadenza nel 2020; avvii, nell’ambito della Conferenza unificata, l’interlocuzione con Regioni, Province autonome e Comuni, per coordinare le azioni delle diverse istituzioni; realizzi un vasto piano di informazione e comunicazione sul tema dello sviluppo sostenibile diretto all’intera popolazione. È importante segnalare il crescente impegno della società civile, delle imprese e del mondo della finanza, anche in Italia. In particolare, lo sviluppo sostenibile si sta affermando sempre più come paradigma per guidare le imprese nel trasformare i rischi in opportunità. Da parte sua, la società italiana, anche grazie all’impegno dei giovani, ha ormai preso coscienza dei problemi che abbiamo di fronte e domanda interventi urgenti, che operino una giusta transizione ecologica, realizzata proteggendo i più deboli e riducendo le diseguaglianze. A settembre del 2019 le organizzazioni aderenti all’Asvis, tra cui Prioritalia, sono 227 (+15 rispetto all’anno scorso), mentre 111 sono associate (+61). http://bit.ly/AsvisVideoIstituzionale http://bit.ly/AsvisReport2019
ROBERTO SPERANZA SULLE LINEE STRATEGICHE DEL MINISTERO DELLA SALUTE
I
l 24 ottobre scorso si è svolta, in Parlamento, l’audizione del ministro della Salute Roberto Speranza in merito alle linee programmatiche del ministero. Il ministro ha ribadito l’impianto universalistico delle cure sanitarie e ha sottolineato le sfide più rilevanti per il dicastero, tra cui il problema demografico, l’aumento delle condizioni di cronicità, ma anche i nuovi strumenti dati dall’innovazione tecnologica e in particolare le nuove terapie oncologiche Car-T. Il disegno di legge di bilancio ha aumentato il finanziamento del Fondo sanitario nazionale per 2 miliardi di euro per il 2020 e ulteriori 1,5 miliardi nel 2021, e disposto la rimozione del superticket a partire da settembre 2020. Per superare la carenza del personale medico e risolvere le lacune nelle reti assistenziali il ministro ha annunciato di voler modificare i vincoli assunzionali in vigore e di prevedere una riforma dell’assistenza territoriale che faccia
fronte all’invecchiamento demografico e che riveda la figura del medico di medicina generale. Riguardo ai Lea, una commissione specifica sarà incaricata di predisporre una revisione sistematica delle tariffe delle prestazioni. Il ministro Speranza ha definito fondamentale l’attuazione del Piano nazionale per il contrasto alla resistenza anti-microbica, nonché misure per il monitoraggio del fenomeno del gioco d’azzardo e di quello dell’autismo e di contrasto al tabagismo. Infine, riguardo alla salute per la donna, ha annunciato un supporto al percorso riproduttivo, quello della nascita e un approccio life course. Resoconto stenografico dell’audizione del ministro Speranza: http://bit.ly/dir11-19
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Management
5 CONSIGLI PER NON UCCIDERE CON LE SLIDE Una presentazione di successo non si esaurisce solo nella realizzazione di un buon PowerPoint, ma è necessario anche saper esporre le proprie idee in modo brillante
Maurizio La Cava presentation strategist
C
ONDIVIDERE un’idea con altri rappresenta sempre di più un’arte: bisogna saper conquistare il proprio pubblico, catturare e mantenerne alta l’attenzione e, non ultimo, convincerli a fare qualcosa che non avrebbero altrimenti fatto. Una presentazione di successo non si esaurisce solo nella realizzazione di un buon PowerPoint, ma è necessario anche saper esporre le proprie idee in modo brillante per non essere visti come uno dei tanti relatori noiosi da dover ascoltare.
The Lean Process for Presentations
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1
Comprendi l’audience
2
Scrivi la storia
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Visualizza i messaggi
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Progetta l’esperienza
Crea la presentazione
1
– Conoscere la propria audience
Una presentazione è un momento in cui il relatore condivide le proprie idee allo scopo di innescare un cambiamento nell’audience. Le persone sono naturalmente resistenti al cambiamento, per cui, per convincerle è necessario comprendere quali sono le ragioni per le quali potrebbero resistere. È importante, infatti, strutturare la propria presentazione tenendo bene a mente quali potrebbero essere le resistenze dell’audience in modo che, alla fine, siano convinti e propensi ad accettare un punto di vista diverso.
2
– Costruire la storia
Se il tempo a disposizione è di 60 minuti, non significa che si hanno 60 minuti di attenzione. Anzi, questa cala drasticamente dopo i primissimi minuti. Insomma, o si parte bene o si perde l’attenzione del pubblico da subito. Se si vuole catturare il pubblico bisogna quindi agire in maniera
Il calo dell’attenzione 5 minuti
Attenzione
strategica. Volete la loro attenzione? Date loro qualcosa in cambio (il principio della reciprocità di Robert Cialdini). Le persone sono interessate a sentir parlare di se stesse più che di ogni altro. Quindi è opportuno iniziare la presentazione concentrandosi sui loro problemi e comunicando nel loro linguaggio, mentre bisogna evitare ad ogni costo di iniziare dalla propria proposta/soluzione o parlando di se stessi e delle proprie qualifiche. Esiste uno strumento, chiamato Lean Presentation Strategy Canvas, che può essere d’aiuto per creare storytelling efficaci. Per aprire la presentazione in maniera memorabile e stupire la propria audience si può utilizzare una della 13 strategie di aggancio più utilizzate:
Conclusione
Tempo
1. raccontare una storia; 2. chiedere e interagire; 3. sorprendere con una statistica scioccante; 4. citare e sfruttare l’autorevolezza altrui; 5. sfatare una credenza comune; 6. portare in vita la propria idea; 7. far ridere; 8. sfruttare eventi storici;
9. innescare l’immaginazione; 10. andare dritto al problema; 11. gestire le aspettative; 12. sorprendere con una metafora; 13. combinare più tecniche insieme.
3
– Visualizzare
Una volta realizzata la struttura dei messaggi che portano attra-
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Management
Lean presentation strategy canvas Audience
Contest
Objective
Problem
Resistance
Solution
Evidence
verso le resistenze verso l’obiettivo finale, bisogna visualizzare i contenuti. Dimentichiamoci PowerPoint e prendiamo carta e penna. Se un disegno non funziona o il capo non lo approva si può stracciare e ricominciare senza perdere tempo, se si impiega invece una giornata a fare una presentazione su PowerPoint, che poi non viene approvata, sarà tempo sprecato inutilmente.
Una rapida occhiata
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– Progettare
l’esperienza
Una rapida occhiata
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– Creazione
Abbellire le slide è un’inutile perdita di tempo. Non servono animazioni, transizioni e decori vari, bisogna usare esclusivamente ciò che serve per comunicare il messaggio nella maniera più rapida e semplice possibile. Questo permette di essere efficace ed efficiente.
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Attenzione sul presentatore
SBAGLIATO
4
Visualizzare e creare
Il percorso degli occhi Attenzione sul presentatore
Call to action
Lavorare in maniera Lean e ridurre gli sprechi.
GIUSTO
Che percorso faranno gli occhi delle persone al click del cambio slide? Ogni volta che viene messo un oggetto sulle slide si influenza il percorso visivo delle persone. È bene quindi progettare l’esperienza in modo da facilitare la fruizione a colpo d’occhio, facendo in modo che le persone si focalizzino su ciò che dice il relatore anziché perdersi su quanto scritto nelle slide.
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Intervista
LA NUOVA FINANZA D’IMPRESA Una sfida tutta da giocare per manager e alte professionalità. Ne parliamo con Lucio Insinga, amministratore delegato di Management Capital Partner che ha da poco scritto un libro dal titolo Come finanziare l’impresa. Attori, strumenti e metodi per potenziare la crescita pubblicato da Primiceri Editore
Lucio Insinga, amministratore delegato di Management Capital Partner .
Massimiliano Cannata giornalista professionista
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O STUDIO di Lucio Insinga si caratterizza per la spiccata capacità di coniugare la concretezza di chi è abituato a misurarsi con la solidità dei numeri e l’attitudine alla visione che conduce a una reinterpretazione innovativa delle alte professionalità imprenditoriali e manageriali che governano i sistemi industriali e produttivi nella società complessa. Imprenditori, manager e investitori, per essere oggi in grado di intercettare i bisogni di mercati globali fluttuanti e molto spesso instabili, dovranno mettere in campo strategie di intervento e di approccio al business che nulla hanno a che vedere con i metodi tradizionali. La combustione delle certezze, gene-
rata dal salto di paradigma dall’industriale al digitale, ha modificato le tecniche e i metodi della produzione, ma anche il nostro sguardo sull’universo che ci circonda. Per parlare di finanza d’impresa bisognerà dunque muoversi dentro questa svolta epistemologica, che impone preparazione, consapevolezza, oltre che un’adeguata educazione finanziaria. Non crede che la finanza abbia bisogno di strumenti, ma anche di valori, per non avvitarsi su se stessa e ripercorrere gli errori del passato? «Il mio studio parte da questa con-
purtroppo non ho visto nessuna evoluzione. Intanto i mercati si trasformano, non aspettando certo la nostra lentezza».
vinzione di fondo. Proprio perché veniamo da anni segnati dalla crisi bisogna mettere in campo tutte le energie intellettuali, professionali e, sottolineo, morali per avviare una nuova stagione di crescita che possa vedere al centro le eccellenze di cui l’Italia dispone. Eccellenze che spesso rimangono sotto traccia, che invece dobbiamo impegnarci a far riemergere, per trovare un percorso di senso e dei punti di riferimento nel contesto variegato e sempre più contraddittorio della globalizzazione». La finanza d’impresa, un asset cruciale per gli equilibri del busi-
ness di cui spesso non si ha una piena padronanza. Qual è lo stato dell’arte? «Innanzitutto occorre precisare che il problema della cultura finanziaria non riguarda solo imprenditori e manager ma anche i professionisti. Ho sempre considerato la finanza d’impresa come un must imprescindibile, come dimostra una ricerca che ho promosso nel 2007. Già allora avevo messo in evidenza il livello inadeguato di conoscenza degli strumenti della finanza d’impresa delle nostre aziende e la scarsa attitudine ad assumere dirigenti in questo delicato settore. Sono passati 12 anni,
Che risposte oggi siamo in grado di dare a esigenze vitali per il destino dell’impresa? «C’è ancora una certa resistenza da parte di alcuni colleghi a occuparsi di finanza d’impresa. Le motivazioni sono essenzialmente tre: mancanza di volontà a voler presidiare segmenti di mercato diversi dal tradizionale governo della contabilità e degli adempimenti fiscali; limitata conoscenza di alcune operazioni; scarsa attitudine nelle attività di networking. Tutto questo è molto grave perché fa perdere a loro e alle aziende loro clienti la possibilità di sfruttare appieno le potenzialità che, ad esempio, il mercato del capitale non bancario offre oggi». Migliorare la conoscenza di tecniche e strumenti finanziari è dunque la parola d’ordine. Da dove bisogna cominciare? «La decisione di pubblicare questo manuale vuole, in particolare, rispondere all’esigenza di andare oltre la comunicazione immediata, tipica dei social, che impongono modalità espressive sintetiche e non danno spazio a nessuna argomentazione. Serviva un esame ragionato delle fonti che vanno dai Quaderni di finanza pubblica-
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Intervista ti dalla Banca d’Italia ai Regolamenti emanati dalla Consob, alle riviste di diritto bancario, ai testi specialistici. Per dare un’idea del perimetro di indagine basta ricordare che il manuale cataloga la totalità delle figure di finanziatori, le tipologie di operazioni possibili e gli scenari nei quali si può trovare un’impresa sia che decida di aprire il proprio capitale a terzi, sia che voglia effettuare un’operazione di debito puro. I dati sull’andamento delle operazioni condotte dai fondi di private equity, riscontrabili anche in un’interessante survey condotta da Iban e Liuc Business School, spiegano le potenzialità e il ruolo di supporto che possono offrire i business angel ancora poco conosciuti». Una parte che può certamente stuzzicare il lettore è quella del dizionario. Può spiegarci di che si tratta? «Volevo che gran parte dei termini di uso corrente nel mondo della finanza, o che sovente ascoltiamo
in radio o alla tv, trovassero nel libro il loro corretto significato». I cambiamenti tratteggiati nel suo lavoro imporranno una profonda trasformazione delle professioni finanziarie. Questo salto di paradigma deve preoccuparci? «Non credo se lavoriamo seriamente sulla formazione. Le semplificazioni fiscali chieste a gran voce, l’introduzione della flat tax e i continui sviluppi in materia di intelligenza artificiale sono destinati a modificare i comportamenti delle imprese e degli stessi professionisti e manager che si occupano di materia gestionale contabile. Siamo di fronte a una rivoluzione epocale anche per quel che concerne le tematiche della finanza d’impresa. I cambiamenti normativi, finalizzati a prevenire la crisi d’impresa e a governare l’indebitamento, prevedono l’istituzione di figure professionali che si caratterizzeranno per un portafoglio di competenze, ancora tutto da definire». Se i dirigenti riflettessero sull’efficacia degli strumenti che la tecnologia mette a disposizione l’atteggiamento potrebbe mutare. Qual è il suo parere? «La chiave è quella di soppesare il salto in avanti che in termini di trasparenza dei processi e di qualità della performance si potrà ottenere con una corretta governance dell’innovazione applicata al mondo finance. I vantaggi sono
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tanti, percepibili e socialmente diffusi. Per gli imprenditori che hanno una maggiore consapevolezza sull’importanza degli impegni che assumono prendono coscienza del fatto che per fare certe operazioni oggi è possibile sfruttare le potenzialità della rete, coinvolgere attori diversi dal sistema bancario, attuando modalità fino a pochi anni fa inimmaginabili, penso per esempio allo strumento del crowdfunding». Anche per i manager si apre dunque una pagina nuova, tutta da scrivere… «Si apre un orizzonte stimolante, perché grazie alla strumentazione di cui finalmente possiamo disporre è possibile tracciare rotte realmente percorribili per la crescita. Gli stessi professionisti che collaborano con i manager trarranno beneficio da questo cambiamento d’epoca perché potranno ampliare la gamma dei servizi, rafforzando le linee di business. Bisogna avere voglia di rimettersi in gioco, con quell’umiltà socratica che deve renderci consapevoli della “nostra ignoranza”, per trovare la forza di migliorarsi e di continuare la ricerca e la formazione, che devono accompagnarci per tutta la vita. Non esistono più soluzioni valide per tutti, dobbiamo dare il nostro contributo per creare boutique di servizi su misura, in cui il capitale intellettuale, la creatività e il coraggio della sfida devono fare la differenza».
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Innovazione
ROBOT, DATECI UN PO’ DI TEMPO! C’è bisogno di formazione, solo così possiamo dare una svolta alle competenze che servono per le nuove professioni che nasceranno e salvare posti di lavoro
Nicola Longo fondatore e managing partner di Skills Management
Federico Castelletti Cazzato partner di Skills Management
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IVIAMO in un momento storico di grandi e rapidi cambiamenti, uno dei quali è l’esponenziale crescita della tecnologia digitale e dell’automazione. Seguendo i dibattiti sui media o ascoltando i manager di molte aziende, sembra che si rimanga sempre ancorati allo stesso “modello di gioco”, che si usino sempre gli stessi riferimenti e lo stesso linguaggio, anche quando ci si riferisce alla digital transformation. Pensiamo alle architetture “a piattaforma” che stanno emergendo sulla spinta delle innovazioni digitali e alle altre evoluzioni come la blockchain, la machine economy, le Dao (Decentralized autonomous organization). Queste rappresentano un forte elemento di novità nel panorama economico contemporaneo che le aziende più tradizionali faticano a comprendere. La causa è dovuta, a nostro giudizio, a un ritardo di pensiero radicato in coloro che ricoprono ruoli manageriali.
Un cambio di paradigma per un mondo automatizzato All’orizzonte si profila un mondo automatizzato diverso da quello che l’umanità ha conosciuto nel corso della sua storia. Incapaci di cogliere questo cambiamento paradigmatico, continuiamo a guardare ai fenomeni digitali e dell’automazione attraverso categorie concettuali e modelli speculativi obsoleti. Universo digitale e automazione da leggere con lenti speculative e anche filosofiche nuove, come mette acutamente in evidenza Cosimo Accoto (filosofo di formazione e research affiliate al MIT di Boston): «È tempo di iniziare un percorso speculativo che sia in grado di raccontare e reimmaginare, con una certa radicalità di pensiero, l’automazione».
Interpretazioni e dibattito in corso Philip E. Auerswald, autore ed economista, cofondatore e coeditore americano di Innovations, nel suo libro più recente L’economia del codice: una storia di quarantami-
la anni spiega come il codice sia stato un fattore chiave dello sviluppo umano: «Il codice può essere compreso tacitamente, può essere scritto o ancora incorporato nell’hardware. Il codice può essere archiviato, trasmesso, ricevuto e modificato. Il codice cattura la natura algoritmica delle istruzioni tanto quanto il loro carattere evolutivo». Se pensiamo in termini di lungo periodo, ci rendiamo conto come l’evoluzione economica proceda per salti tecnologici che ridisegnano le forme e le dinamiche del codice. Auerswald ci invita a considerare questi salti storici ciclici come biforcazioni: «Gli umani sono potenziati a fare lavori per tipo e per tasso in precedenza non possibili da fare. Diecimila anni fa, le tecnologie agricole forzarono una biforcazione del lavoro. Quattrocento anni fa la biforcazione fu causata dalle tecnologie
del commercio. Un secolo fa le tecnologie manifatturiere forzarono un’altra biforcazione del lavoro e oggi le tecnologie dell’automazione e dell’intelligenza artificiale stanno facendo lo stesso». D’altra parte, Daniel Kahnemann, psicologo e autore del best seller Thinking fast and slow, nonché premio Nobel per l’economia, in una recente conferenza sull’intelligenza artificiale ha sostenuto che non ci sono capacità umane, cognitive ed emozionali che le macchine non saranno in grado di emulare. Michal Gurgul, nel suo testo Collaborative robots, mette in evidenza come la cooperazione tra umani e robot non sia solo una sfida tecnica ma anche sociale e psicologica: «I robot industriali classici devono essere veloci ed efficienti. Poiché sono separati dagli altri lavoratori da recinzioni di sicurezza, non rischiano di causare alcun proble-
All’orizzonte si profila un mondo automatizzato diverso da quello che l’umanità ha conosciuto nel corso della sua storia. Incapaci di cogliere questo cambiamento paradigmatico, continuiamo a guardare ai fenomeni digitali e dell’automazione attraverso categorie concettuali e modelli speculativi obsoleti
ma ai lavoratori umani nei dintorni. L’opposto è vero invece quando nulla ci separa dal robot, come nel caso dei dispositivi collaborativi. Basandosi sulle espressioni facciali, sul tono di voce e sulle reazioni dei lavoratori con i quali interagiscono, si può predire il reciproco futuro comportamento. Se
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Innovazione siduati nel passato, ma saremo istanziati dal futuro. Un futuro in cui una filosofia “artificiale” avrà proprio il compito di illuminare, con maggiore consapevolezza, il cammino di questo nuovo Homo Prospectus», ci suggerisce Cosimo Accoto. Una nuova filosofia che ci aiuti a pensare e a “mettere ordine” in tutte quelle questioni o vicende in cui non siamo in grado di raggiungere alcuna certezza. Perché la filosofia è una disciplina che non solo problematizza per vocazione, ma sa mettere in discussione tutto, compresa se stessa.
La saggezza del passato non sarà più applicabile. Dobbiamo pensare a una nuova saggezza che potremmo definire digitale
cercassimo di analizzare un braccio robotico per cercare di capire i suoi prossimi movimenti potremmo sorprenderci a scoprire che le sole cose di cui saremo sicuri sono il marchio del brand e il modello».
Verso una nuova saggezza digitale Al di là delle singole interpretazioni, si può comunque rilevare lo sforzo di elaborazione; il cercare nuove modalità di pensiero e nuovi linguaggi. «I mutamenti
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che la tecnologia ci propone sono molto più grandi di quanto qualsiasi persona possa immaginare. Il contesto è mutato e muta continuamente. Ciò significa che la saggezza del passato non sarà più applicabile. Dobbiamo pensare a una nuova saggezza che potremmo definire digitale», come ci suggerisce Marc Prensky, uno dei maggiori esperti mondiali del rapporto tra tecnologia e apprendimento.
Da Homo Habilis a Homo Prospectus «Siamo solo all’inizio embrionale di un nuovo sviluppo di cui riusciamo a intravedere, per ora, un primo orizzonte delle possibilità. L’Homo Habilis con cui ci siamo rappresentati finora potrebbe presto lasciare il posto all’Homo Prospectus. Non vivremo più re-
Formazione, un processo continuo per affrontare lo sviluppo tecnologico Tutto ciò implica che alla base ci sia un significativo “bisogno” di formazione per tutti noi, a partire dal sistema scolastico. Nasceranno nuovi lavori ma le persone devono essere adeguatamente preparate con nuove conoscenze, saperi e pratiche professionali. Non parliamo di competenze tecniche ma anche di psicologia e socializzazione con i colleghi robot collaborativi (detti cobot). C’è da augurarsi che si sviluppi una profonda consapevolezza da parte di chi governa le imprese e le istituzioni. Pena l’incapacità di affrontare in modo equo ed equilibrato uno sviluppo tecnologico che comunque procede e procederà a grandi passi.
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Economia
RESTARTUP: VERSO LA PMI DINAMICA Oltre la retorica e i falsi miti d’oltreoceano verso un modello di piccola media impresa italiana innovativa Andrea Arrigo Panato dottore commercialista e revisore legale
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UELLO delle startup è un tema su cui è urgente interrogarsi e con cui è necessario confrontarsi anche per chi opera in settori più tradizionali: l’innovazione infatti non può più – e non deve – restare confinata solo in determinati ambiti. Le startup molto spesso si sono rivelate strutture un po’ ingenue ed effimere all’interno di una bolla gonfiata da consulenti, incubatori e grandi imprese in cerca più che altro di migliorare la propria reputazione sul mercato. Spesso il racconto giornalistico ha confuso tra freelance e imprese innovative, tra incubatori e coworking. Politica e giornali hanno avuto, per ragioni diverse, interesse a enfatizzare il fenomeno startup fornendo dati e statistiche sbagliate che hanno creato solo confusione, ingannando il Paese. Studi più attenti fanno inoltre notare sempre più che le aziende che chiamiamo startup in realtà in molti casi altro non sono che pmi o, più probabilmente, microimprese.
Le startup italiane non crescono Secondo il report 2018 di Startup Europe Partnership, le startup italiane non crescono: sono solo 178 quelle che nel 2017 da startup sono passate alla fase di scaleup, riuscendo a crescere velocemente e a scalare il loro mercato. Le startup, insomma, non si comporterebbero da startup innovative semplicemente perché, nonostante rispondano ai requisiti laschi della normativa, in realtà sono per la gran parte microimprese. Se davvero per molti imprenditori tradizionali quella delle startup è solo una bolla tra moda e speculazione, occorre sottolineare come questo significhi perdere un’opportunità straordinaria per con-
tanti ma certamente più solidi, che si basano sul fare meglio ciò che sappiamo fare, sul valorizzare le nostre competenze e i punti di forza del sistema Italia. Sono segnali che portano finalmente un osservatore come il sottoscritto, attento ma critico verso il fenomeno startup, ad affermare che si sta entrando in una nuova fase potenzialmente molto interessante per le imprese che sapranno coglierne le potenzialità e per gli effetti che – mi auguro – tutto ciò potrà avere sulla ripresa economica del nostro Paese.
Digitale e innovazione
frontarsi con nuovi modi di competere sul mercato e, in alcuni casi, per riconfigurare il mercato stesso. Il rischio è soprattutto quello di sottovalutare l’impatto culturale del fenomeno startup. In un Paese come il nostro, in cui l’impresa è stata spesso vittima di ideologie politiche superate e di numerosi preconcetti, parlare di startup ha infatti consentito a molti di avere un alibi per ricredersi e affrontare in maniera propositiva il tema del fare impresa.
L’enfasi non funziona più La narrazione stessa sta pian piano abbandonando l’entusiasmo per gli effimeri emulatori del modello californiano per raccontare quei casi di successo, meno ecla-
Emil Abirascid in un suo articolo su Startup Business sviluppa alcune considerazioni provocatorie intorno a un concetto forte: «È finita l’era delle startup, almeno se consideriamo la definizione più classica di startup: azienda digitale che vuole diventare una global company e valere miliardi di euro, dollari o bitcoin. Abbiamo sempre detto, e ribadiamo, che le startup non sono solo quelle “pure digital” ma anche quelle che sviluppano innovazione, che creano nuove tecnologie, che usano al meglio le tecnologie esistenti per innovare i modelli di business in molti altri settori. E soprattutto abbiamo sempre detto, e confermiamo, che le startup sono innovative non solo perché fanno cose nuove ma anche e soprattutto perché fanno cose in
modo nuovo applicando nuovi paradigmi e una nuova filosofia dell’imprenditorialità. Detto questo però siamo di fronte a un fenomeno che inizia ad avere tratti piuttosto definiti: i giganti della tecnologia si mangiano le startup, o meglio si mangiano le opportunità per le startup di svilupparsi e crescere».
Pmi dinamiche Partendo da qui possiamo evidenziare alcune criticità del sistema startup che, in realtà, ci aiutano a delineare un nuovo tipo di pmi che mi piace chiamare “pmi dinamiche” per evitare di rientrare nella definizione normativa (più restrittiva) di pmi innovative. Sono le startup sopra descritte: pmi che non si accontentano del loro business e non crescono più, ma che accettano la sfida dimensionale e la vincono. Tale vittoria non significa smettere di essere pmi ma richiede di ridefinire i limiti dimensionali minimi necessari per competere sul mercato, affrontare con maggiore consapevolezza le trasformazioni del mercato e probabilmente anche rapportarsi in maniera differente con i propri consulenti che si troveranno a loro volta a dover innovare.
Accelerare per crescere insieme Il fenomeno startup avrà effetti dirompenti in Italia solo se riusci-
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Economia
Riorganizzare l’esistente: gli ultimi trend I fattori che stanno avviando il fenomeno startup verso una nuova fase di maturazione Un numero sempre maggiore (ancora insufficiente) di imprese tradizionali sopravvissute alla crisi sta comprendendo la necessità e l’urgenza del cambiamento
Il cambiamento trova espressione in una riorganizzazione interna dell’impresa dettata da nuove tecnologie, big data, cloud ecc. Cambiamento dunque come capacità di ridisegnare profondamente l’impresa e la sua catena del valore
rà a relazionarsi con le pmi. A questo scopo, gli strumenti normativi e agevolativi in parte già esistono, vanno meglio sfruttati e occorre che tutti gli attori del sistema imprenditoriale (imprenditori, investitori, consulenti, istituti di credito, legislatore ecc.) crescano culturalmente. Professionisti e pmi devono imparare a confrontarsi con player provenienti da altri settori e con le giovani startup. Riconfigurare intuizioni magari acerbe, per farle proprie e integrarle con l’esperienza maturata da chi fa impresa da anni.
Obiettivo contaminazione La cultura startup può – o meglio dovrebbe – essere innestata nelle imprese tradizionali contaminandole e in tal senso assistiamo a diversi tentativi
Le nuove tecnologie rendono sempre più indispensabile e urgente il passaggio generazionale nelle pmi
Si sta facendo sempre più spazio la convinzione che bisogna abbandonare il mito della startup nata nel garage per abbracciare una via che vede nell’innovazione dei processi e delle filiere tradizionali un obiettivo perseguibile
La crisi ha indebolito molte imprese rendendole scalabili
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In un’intervista rilasciata a Francesco Cancellato, Francesco Morace ci ricorda che il segreto per rimanere competitivi sul mercato è «contaminare e farsi contaminare. Essere interdisciplinari, permeabili alle esperienze e alle idee altrui. Se la scommessa sulla crescita passa dalla contaminazione, non ci sono settori e territori migliori di altri. Ognuno è della partita. È un’attitudine che si riscontra nelle università e nelle scuole, perlomeno tra alcuni docenti, nel nuovo artigianato, in alcune amministrazioni pubbliche. Io ho la sensazione che le nostre potenzialità siano sottotraccia, nonostante sulla superficie vi sia un’immagine decadente e stanca». È una tesi che purtroppo stride con quanto accade attualmen-
te nel mondo imprenditoriale italiano di oggi. L’incomunicabilità tra pmi e startup è una barriera da infrangere, culturale prima di tutto. Il mondo delle imprese in Italia è attraversato da importanti cambiamenti e sta affrontando più o meno consapevolmente passaggi importanti.
Pmi e startup: un dialogo proficuo In mancanza di grandi imprese, nel nostro Paese bisogna iniziare un percorso che faccia dialogare pmi e startup. Perché possono imparare molto le une dalle altre. Perché è importante che i concetti di open innovation, di metodo lean ecc. diventino bagaglio culturale di ogni imprenditore. Perché ormai è necessario per tutti (professionisti compresi) tornare a pensare come startup, ogni volta che lanciamo un nuovo prodotto o che affrontiamo un passaggio generazionale. Non possiamo dimenticare, tuttavia, che chi fa impresa deve avere la forza di trasformare i propri sogni in progetti concreti, rapportandosi al proprio territorio, creando un percorso di crescita sostenibile. E sia mai che proprio puntando su queste pmi più coraggiose finalmente si arrivi a creare un mercato più ampio anche per le nostre startup, legato all’open innovation e ai prodotti b2b. Non c’è altro modo di fare impresa.
Digital marketing
GESTIRE LA FIDUCIA DEI CLIENTI Trasparente, aperta, risolve i problemi e personalizza le esperienze: così deve essere l’azienda di cui i clienti si fidano, ci spiega l’esperta Martha Rogers
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NO dei cambiamenti a cui stiamo assistendo consiste nel passaggio da aziende prodottocentriche ad aziende clientocentriche. Se infatti un tempo le aziende dovevano raccontare di sé in modo da riuscire a raggiungere il maggior numero di persone, oggi quello che conta è ciò che viene detto dai clienti, i loro commenti, le loro recensioni. La customer experience, chiamata anche CX, ha preso il posto della pubblicità.
Martha Rogers è uno dei consulenti di marketing e strategie rivolte al consumatore più richiesti a livello mondiale. Ha partecipato a giugno come relatore al World Business Forum Milano organizzato da WOBI tra America, Europa e Oceania. Evento di due giornate che riunisce migliaia di menti instancabili accomunate dalla passione per il business.
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La tecnologia ha cambiato la concorrenza Questo è dovuto in parte all’avvento delle nuove tecnologie che sta a tutti gli effetti rivoluzionando il nostro modo di fare business. Qualsiasi errore che viene commesso rimane infatti in rete e non può essere in alcun modo cancellato. Permanenza e diffusione sono due aspetti con cui fare i conti oggi. Bisogna che ogni azienda sia assolutamente trasparente e aperta; il costo di tenere un segreto è diventato troppo alto. Allo stesso modo bisogna soddisfare i propri clienti con la giusta offerta e con un prodotto adeguato, eliminando tutto ciò che non va o che può rappresentare un ostacolo. Infatti, se l’esperienza andrà male, c’è il rischio che il cliente lo comunichi a tutti, utilizzando diversi canali. In questa situazione, l’unico modo che l’azienda ha per ritrovare
la fiducia del cliente è scusarsi in modo onesto.
Il cliente come punto di partenza Migliorare la customer experience è divenuto fondamentale per riuscire ad aumentare il valore dei clienti e la fiducia nei confronti dell’azienda. Solo in questo modo si può migliorare il proprio business. Infatti, nel momento in cui non esiste il valore dei clienti viene meno anche il valore dell’azienda. Per investire sulla customer experience oggi bisogna adottare un modello di business totalmente differente da quello utilizzato abitualmente. Se prima infatti le aziende concepivano la customer experience in modo orizzontale, pensavano cioè a un prodotto e solo dopo cercavano i clienti a cui questo potesse interessare (così da aumentare la pro-
pria quota di mercato) oggi questa viene intesa in senso verticale: si parte dall’identificazione dei clienti e poi si realizzano prodotti pensati apposta per questo determinato target. Il cliente è diventato il punto di partenza.
Come fidelizzare i clienti e creare maggiore fiducia Aumentare il valore dei clienti significa anche fare in modo che essi non si percepiscano come interscambiabili. Solo in questo modo si può creare fidelizzazione e raccogliere tutte le informazioni necessarie a garantire loro un servizio migliore e del tutto tailormade, basato sulle esigenze di chi lo ha richiesto, eliminando qualsiasi tipo di ostacolo. In questo modo si può fare davvero la differenza e fornire un servizio specifico per ogni cliente. Si può ottenere la fiducia dei
clienti nel momento in cui: si fanno le cose giuste; si fanno le cose nel modo giusto; si è proattivi sfruttando le nuove tecnologie e puntando sulla personalizzazione delle esperienze. Ma come deve essere una società di cui i clienti si fidano? È trasparente e aperta, elimina qualsiasi tipo di ostacolo possa esserci nella customer experience e soprattutto personalizza l’esperienza aiutando i clienti a scegliere determinati servizi e prodotti in base alle informazioni disponibili. Questa fiducia permette al business di essere solido e lo allontana dalle possibili oscillazioni della società.
La fiducia, una quantità misurabile Oltre a capire come fare per creare maggiore fiducia, è importante anche riuscire a misurarla attraverso un monitoraggio sia esterno, che riguarda quello che i clienti pensano, sia interno, che guarda invece a quello che i propri dipendenti pensano dell’azienda. Non si possono avere clienti felici senza dipendenti felici. A questo si aggiunge la necessità di formare i clienti in modo che sappiano riconoscere com’è un’azienda di cui si possono fidare. Questi due aspetti si combinano poi con quelli che sono gli indicatori chiave di performance (Kpi) che misurano il Net promoter score, il Lifetime value, la Customer equity e il ritorno sui clienti.
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Trend
BIKECONOMY: IL FUTURO È SU DUE RUOTE Indotto e trend del mercato delle bici, il mezzo di trasporto più green su cui tutte le smart city stanno scommettendo Gianluca Santilli presidente di Osservatorio Bikeconomy
Pierangelo Soldavini giornalista al Sole 24 Ore
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UAL È il mezzo di trasporto privilegiato per la mobilità urbana e in grado di generare ricchezza? Non ci sono dubbi: la bicicletta. Basta snocciolare qualche cifra per capire le sue potenzialità. L’Italia è ancora oggi il maggior produttore europeo di biciclette, con un fatturato complessivo di 1,3 miliardi di euro. Anche se la concorrenza cinese fatta di prodotti di largo consumo a qualità più bassa ha fatto male a tutto il comparto, il made in Italy di qualità resiste, con un export che vale oltre 600 milioni di euro. D’altra parte è evidente come l’au-
tomobile costi più della bici, sia per il singolo sia per la collettività: una ricerca del 2015 di Stefan Gossling calcola che la vettura costa all’individuo 0,50 euro a chilometro percorso, a fronte dei soli 8 centesimi della bicicletta. Ma se si considerano tutti i costi per la società, un chilometro percorso in auto costa 15 centesimi, mentre la bicicletta capovolge i termini e porta la collettività a guadagnare 16 centesimi al chilometro: un guadagno che è composto da quegli stessi elementi che abbiamo visto prima, effetti positivi sulla salute, sull’ambiente, sul cambiamento climatico e sulla maggiore efficienza dovuta al minor traffico.
Un volano per i consumi? Come a New York e Seattle, l’incentivazione della mobilità a due ruote rischia di avere effetti inattesi in termini di aumento della propensione alla spesa. Anche in questo caso diverse ricerche puntano nella stessa direzione. L’European ciclists' federation (Ecf) stima che i consumatori europei che fanno shopping in bicicletta – i quali già oggi spendono 111 miliardi di euro – di solito aprono più fa-
cilmente il portafoglio rispetto a chi usa l’auto: a dispetto di quello che spesso affermano i commercianti, è vero che gli automobilisti spendono mediamente di più nella singola visita, ma fanno shopping meno, molto meno di frequente. A Melbourne, in Australia, hanno fatto un esperimento: due posti auto sono stati sostituiti da sei rastrelliere con il risultato che, sulla base della spesa media per mezzo di trasporto, il ritorno per le attività economiche si è quadruplicato, da 156 a 565 dollari australiani l’ora. La stessa ricerca evidenzia come ogni metro quadrato destinato al parcheggio delle due ruote produca mediamente un ritorno più che quintuplo rispetto ai sei dollari dello stesso metro quadrato di parcheggio per auto.
Perché investire in infrastrutture A livello di infrastrutture, l'Ecf ha calcolato che il minore impatto delle infrastrutture ciclabili rispetto a quelle automobilistiche si traduce
in un valore di due miliardi di euro per il continente. Il che per l’Italia significa oltre 85 milioni di euro, con gli attuali livelli di ciclabilità. Anche una ricerca dello Studio Polinomia incentrata sul progetto Biciplan a Bologna conferma come gli investimenti in infrastrutture finiscano per produrre un ritorno positivo per la collettività. Il calcolo è presto fatto: con un costo fisso di 10 milioni di euro, cui si aggiungono 16 milioni l’anno per la manutenzione e i servizi, la ciclabile potrebbe comportare un ritorno nell’ordine di 32 milioni l’anno.
I vantaggi su base regionale Facendo una divisione su base regionale, l’utilizzo della bicicletta in Emilia Romagna crea per i cittadini un valore economico “teorico” pari a quasi 200 euro l’anno, seguiti dai 190 del Trentino e dai 180 del Veneto, scendendo fino ai meno di 10 di Lazio, Sicilia, Calabria e Molise. La società olandese di analisi Decisio stima che se 500 ciclisti pedalassero ogni giorno al
posto di andare in automobile, questo comporterebbe per una città come Napoli un risparmio di circa 2,6 milioni, per quasi la metà attribuibili a minori costi per il sistema sanitario, seguiti da risparmi diretti, da quasi un milione e mezzo di ore di traffico in meno, senza tralasciare gli effetti positivi in termini di inquinamento acustico e ambientale.
Verso una mobilità integrata Sono stati mattoncini come la ciclabile sulla 9a Avenue a porre le basi per una rivoluzione che negli ultimi decenni ha progressivamente trasformato il modo di concepire la bicicletta: da mezzo di trasporto alternativo a strumento di spostamento di base, nel quadro di una mobilità urbana fatta di più mezzi, integrati e coordinati all’interno di servizi “disegnati” attorno alle singole persone. Credo che il futuro sia fatto di un “portfolio” di mobilità all’interno del quale possiamo scegliere la soluzione più adatta a noi, profetizza Carlo Ratti, direttore del MIT Senseable City Lab di Boston. «Molto presto le nostre città potranno spo-
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Trend
IL MODELLO COPENAGHEN Nella capitale danese il viaggio della bicicletta è partito da lontano. La prima ciclabile riservata risale al 1892; quattro anni dopo una legge permette alle due ruote di utilizzare la parte esterna delle altre strade. Per il 2025 la capitale danese punta a diventare carbon neutral, ovvero produrrà energia pulita sufficiente a bilanciare le emissioni di CO2 generate. La città ha già tagliato le sue di oltre il 40% rispetto al 2005 ed è quindi sulla buona strada. Tra il 2005 e il 2015 Copenaghen ha investito oltre 130 milioni di euro per completare un’infrastruttura ciclabile già all’avanguardia: particolarmente rilevanti soprattutto la progressiva realizzazione di oltre 500 chilometri distribuiti in oltre 20 superhighways per le due ruote, che dalla regione circostante portano verso l’area urbana e la costruzione di una decina di ponti riservati per accorciare le distanze nei punti strategici. È stata inoltre completata una nuova linea di metropolitana che fa sì che quasi tutta la città sia a non più di 600700 metri da una stazione. Allo stesso tempo, il comune ha accelerato lo sviluppo del sistema Green Wave che, tra parcheggi e semafori intelligenti, permette a quel 62% di abitanti – gli automobilisti sono ormai una minoranza ridotta al 34% – che ogni giorno utilizzano la bicicletta di muoversi più agilmente.
starsi grazie a quello che potremmo definire come un moving web fatto di veicoli a guida autonoma, biciclette in sharing, autobus e altri sistemi. La libertà di scegliere tra le due ruote, andare a piedi, un’auto in sharing, un taxi on-demand, salire sulla metropolitana o sul treno, o condividere un passaggio, diventerà la versione del XXI secolo del sistema basato sull’automobile di proprietà».
E-bike inarrestabile I dati di Confindustria/Ancma (Associazione nazionale del ciclo e motociclo e acessori) sull’andamento del mercato delle bici in Italia, nel corso del 2018 confermano l’inarrestabile crescita del settore e-bike, che vola a doppia cifra e che
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si prevede farà la parte del leone entro quattro-cinque anni rispetto alla bicicletta tradizionale: 173.000 le e-bike vendute (+16,8%). Ancora nulla, però, se si guarda al milione di bici a pedalata assistita venduto in Germania. L’Italia ha quindi margini di crescita enormi. Il ritardo è legato a una rete di vendita che è stata incapace di innovarsi. Verosimilmente, gli spazi saranno occupati da chi oggi gestisce l’automotive, visto che le grandi case produttrici di auto e moto producono, e sempre più produrranno, e-bike; e i negozi e la rete commerciale oggi dedicati alla vendita di bici saranno destinati a subire una radicale modificazione, che spazzerà via molti attuali rivenditori se non sapranno adeguarsi cambian-
do pelle, basti pensare alle e-bike prodotte da Mercedes, Bmw, Audi, Ducati ecc. Non a caso il dato di produzione 2018 ha segnato un incremento del 290% rispetto all’anno precedente, raggiungendo il livello di 102mila pezzi e dimostrando di saper sfruttare al meglio anche l’introduzione dei dazi antidumping Ue sulla concorrenza sleale delle biciclette elettriche provenienti dalla Cina. Anche l’export ne ha beneficiato toccando il valore di 42 milioni di euro, +300% rispetto al 2017.
Cicloturismo: un settore promettente Il settore che promette le maggiori potenzialità è il cicloturismo: per l’Italia si tratta di un valore di poco superiore ai due miliardi di dollari che va messo a confronto con i 7 miliardi e mezzo della Francia e gli oltre 11 della Germania, stando ai dati dello European Cycle Route Network Eurovelo relativi al 2012. Un rapporto del 2019 di Legambiente fornisce un dato più che triplicato, stimando in 7,6 miliardi il valore economico generato in senso lato dal comparto cicloturistico. Questo dato farebbe lievitare a quasi 12 miliardi il valore attuale del Pib, il Prodotto interno bici, indicatore che calcola il giro d’affari complessivo a due ruote, comprendendo la produzione di bici e accessori, le ciclo-vacanze e l’insieme delle esternalità positive generate dai cittadini in bicicletta.
Messaggio pubblicitario con finalità promozionale. Prima della sottoscrizione leggere attentamente il set informativo disponibile sul sito www.assidir.it e su www.europassistance.it, che ti verrà comunque inviato automaticamente al momento dell’elaborazione del preventivo.
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ESERCIZI DI FUTURO Nuovi strumenti di governance per i dirigenti Francesco Brunori responsabile marketing e vendite di -skopìa Anticipation Services
Antonio Furlanetto amministratore delegato di -skopìa Anticipation Services
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A COMPLESSITÀ del mondo contemporaneo e il corrispondente aumento dei livelli di incertezza richiedono nuovi strumenti strategici per i decisori all’interno delle organizzazioni siano esse aziende o amministrazioni pubbliche. Le vendite stanno avendo o avranno un cambiamento importante nelle modalità e nei processi. Lo studio dei futuri è un’attività complessa con molte dimensioni che ha bisogno di un costante allenamento: è come correre una maratona, nessuna persona di buon senso affronterebbe la gara senza prepararsi adeguatamente. Si tratta di acquisire nuove skill e potenziare abilità sopite che consentono prima di tutto di superare i condizionamenti cognitivi che ci ancorano al presente e ci impediscono di avere un’attitudine mentale aperta, disincantata e disponibile ai cambiamenti. Per svolgere meglio il proprio ruolo, i dirigenti devono ovviamente comprendere quali forme di pensiero manageriale meglio si attagliano all’attuale contesto economico e sociale. A questo scopo dovrebbero tuttavia essere anche
in grado di intuire quello che potrebbe accadere domani. Si tratta di competenze e abilità che consentono di cogliere le evoluzioni non solo in un’ottica di breve periodo, quella che solitamente è usata nella pianificazione di bilancio a uno o tre anni, bensì in un orizzonte temporale di medio e lungo periodo (10-30 anni), l’unico che possa rendere robuste le strategie e consistente la visione di un’impresa.
Vincere la sfida della novità e del cambiamento Sempre più le aziende e chi le guida stanno acquisendo la consapevolezza che è necessario superare una visione lineare nella pianificazione e adottare un pensiero che sappia riconoscere le novità e i cambiamenti. Per adottare poi le strategie più efficaci e promettenti, che possono
COSA SONO I MEGATREND? LA NOSTRA DEFINIZIONE Un megatrend è un complesso di cambiamenti attivo da molto tempo e che promette di durare ancora a lungo e che è attestato da numerosi e solidi indizi di carattere quantitativo e qualitativo. La possibilità di modificare un autentico megatrend è quasi nulla, riconoscere tempestivamente il cambiamento consente l’unica strategia possibile: quella di “adattarsi”.
essere di adattamento di fronte ai megatrend oppure di “anticipazione”, quando si cerca di influenzare oggi l’evoluzione della realtà verso quei futuri che sono considerati desiderabili ma realistici. Parliamo anche di pensiero prospettico, ovvero di quell’atteggiamento mentale che guarda a quello che verrà con un approccio multidisciplinare aperto anche al concetto di “sorprese”, ovvero all’idea della discontinuità, che è un elemento tipico del futuro e che non si può intercettare con i metodi previsivi tradizionali. Lavorare con il futuro, scrive Roberto Poli, autore dell’omonimo libro, non significa infatti “prevedere ciò che accadrà – per fortuna il mondo è sempre più ricco e sorprendente dei nostri modelli – quanto l’essere aperti, pronti alle sorprese e l’approntarsi a gestirle”.
Quali strumenti sono a disposizione dei manager per praticare l’approccio ai futuri in modo strutturato, cioè l’anticipazione? I nuovi tool e metodologie da aggiungere alla “cassetta degli attrezzi” del dirigente sono quelli che noi chiamiamo esercizi di futuro che forniscono visioni, indicazioni o suggerimenti per consentire ai manager, e più in generale ai decisori, di orientare strategicamente l’organizzazione sul medio e lungo periodo.
Perché si decide di lavorare con il futuro? I motivi per cui si decide di “lavorare con il futuro” all’interno di un’azienda possono essere diversi (vedi box sopra). Ognuno di questi scopi richiede la scelta di metodi e tool appropriati. Esistono esercizi di futuro semplici, che si possono eseguire all’in-
«Un’organizzazione incapace di riconoscere le novità è un organismo che si comporta in base a stimoli che appartengono a una precedente epoca» Roberto Poli, Lavorare con il futuro. Idee e strumenti per governare l’incertezza
terno di gruppi di lavoro, team, business unit e ovviamente a livello aziendale e che richiedono solo la conoscenza e l’allenamento su metodi e tool prescelti, ed esercizi di futuro complessi, che richiedono la presenza di facilitatori, nel nostro caso di futuristi esperti nell’implementazione di tali esercizi.
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Megatrend e il loro impatto sui business Cfmt porta in aula il concetto di anticipazione con un workshop che parla di demografia, di invecchiamento, di futuro del lavoro, inurbamento, energia, benessere, salute, media, mobilità e altro ancora, per supportare i decisori aziendali e i manager che pianificano strategie sul futuro dell’azienda. Durante il workshop presenteremo il concetto di megatrend, quei cambiamenti rilevanti che influenzano molti altri cambiamenti, impattando su diversi settori economici e modificando profondamente forme e meccanismi sociali. I megatrend hanno una caratteristica fondamentale: sono così profondamente radicati nel funzionamento complessivo del mondo che la sola idea di provare a cambiare un megatrend appare implausibile. Allora bisogna imparare a riconoscerli e a interpretarli perché uno dei più diffusi e cruciali errori quando si parla di futuro è confondere tendenze o addirittura mode con un megatrend, ovvero considerare qualcosa che in fondo si può ancora orientare come qualcosa che è sostanzialmente predeterminato e a cui ci si può solo adattare. Le tecniche dell’anticipazione aiutano a farne uno strumento per ottenere vantaggi competitivi. I prossimi appuntamenti: MILANO - 4 dicembre - orario 9-18
ROMA - 13 dicembre - orario 9-18
Per informazioni e iscrizioni: Milano: Roberta Corradini - roberta.corradini@cfmt.it - 02 5406311 Roma: Veronica Ciccarone - veronica.ciccarone@cfmt.it - 06 5043053
I metodi I metodi possono essere classificati secondo diversi punti di vista, si possono ad esempio suddividere in metodi quantitativi e qualitativi. I metodi quantitativi si basano su rappresentazioni numeriche e loro estrapolazione (serie temporali ecc.): sono tali, ad esempio, i tipici metodi/strumenti del forecast,
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ovvero delle previsioni quantitative statistiche. I metodi qualitativi vengono usati quando le informazioni non sono propriamente catturabili da indicatori numerici o i dati non ci sono o non sono disponibili: sono tali i metodi/gli strumenti del foresight, ovvero dell’esplorazione non previsiva ma “immersiva”
dei futuri, un tipico metodo qualitativo è ad esempio la costruzione di scenari strategici. I metodi si possono anche suddividere in: esplorativi, ossia iniziano dal presente e si muovono verso il futuro, cercando di vedere dove eventi e trend ci possono portare; normativi, iniziano selezionando un futuro considerato di particolare interesse (può essere negativo o positivo, ad esempio un futuro desiderabile) e lavorano a ritroso, per tappe.
Le fasi degli esercizi del futuro Le 4 fasi identificate da -skopìa che caratterizzano gli esercizi di futuro sono Impostazione, Documentazione, Visualizzazione e Azione. Nell’Impostazione si prendono le decisioni che inquadrano e regolano l’esercizio di futuro. Principalmente ci si deve accordare su: scopo, focus (ovvero sul tema che sarà oggetto delle tre successive fasi) e finestra temporale. Questi passaggi sono fondamentali e determinano in buona parte il livello qualitativo dei risultati dell’esercizio. Altrettanto importante in questa fase sono le decisioni su metodi e strumenti da utilizzare, la composizione del team che svolgerà l’esercizio, l’agenda degli incontri e le regole da osservare. Nella seconda fase, quella della Documentazione, si approfondisce il tema dell’esercizio, si acquisiscono le conoscenze rilevanti. Il
ruolo dei facilitatori sta nell’analisi di documenti e nella ricerca sul campo (data mining, analisi ambientali, conduzione di Delphi, stakeholder analysis ecc.) affiancata da attività distintive dell’anticipazione, cioè strumenti professionali del futurista, tra i quali le interviste strategiche, l’analisi dei megatrend e trend (fondamentale al giorno d’oggi, vedi box Megatrend), l’analisi delle wild cards, l’individuazione dei cosiddetti segnali deboli (i primi segnali di un possibile cambiamento). La Visualizzazione è il cuore di un esercizio di futuro, dove avviene la vera e propria immersione nei fu-
turi che vengono di fatto “visualizzati”, esplorati e poi descritti, raffigurati e raccontati attraverso documenti o altri “oggetti” più idonei alla comunicazione grafica o visiva. Gli output sono molto diversificati e vanno dalla descrizione di un piano di azione alle ipotesi quantitative degli impatti sul business. Alcuni dei più noti e usati esercizi di futuro sono: la costruzione di scenari strategici, il “Tre Orizzonti”, l’Analisi causale stratificata o Cla e altri. L’Azione è la fase peculiare dell’anticipazione. Dopo aver raccolto una grande quantità di informazioni e dati sui futuri oggetto di
indagine, si ritorna sul presente e si prendono decisioni in modo da influenzare il corso degli eventi verso i futuri desiderabili esplorati. Si possono ad esempio adattare tattiche e strategie ai risultati, iniziare conversazioni strategiche, rimodulare la cultura aziendale, sviluppare strumenti di business intelligence per monitorare l’evoluzione della realtà (mercati, trend, concorrenti, geopolitica ecc.), individuare i futuri preferiti. Gli esercizi di futuro sono dunque uno strumento per creare strategie e, in fondo, per rendere l’azienda o l’organizzazione più resiliente.
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Uno di noi
IL MANAGER DELLA REVISIONE A tu per tu con Giuseppe Ciccimarra, associato a Manageritalia Puglia, Calabria e Basilicata. Con lui parliamo del ruolo del manager della revisione contabile e il contributo e i must che deve mettere in campo per dare valore all’azienda e crescere professionalmente.
Giuseppe Ciccimarra è senior manager di Deloitte per l’ufficio di Bari.
Enrico Pedretti
Cosa vuol dire oggi essere manager della revisione contabile in un mercato sempre più mutevole e discontinuo? «Significa operare in un mercato dinamico dove la fanno da padrone da un lato le leggi e i regolamenti in continua evoluzione, dall’altro l’innovazione tecnologica che agevola e implementa i controlli rendendoli più efficienti». Quali sono i must da mettere in campo, indipendentemente da azienda e settore? «Direi senz’altro competenza e professionalità, che sono degli evergreen. Riuscire a gestire il team, cercare di motivarlo e fare della sana competizione lo strumento per il raggiungimento degli obiettivi, è quello che può renderlo vincente».
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Come può dare un manager contributo e valore all’azienda e alle aziende clienti? «Personalmente ritengo che il contributo migliore che un manager può offrire all’azienda è sicuramente sentirla propria. Tutti abbiamo cura in modo particolare di ciò che ci appartiene. Il valido contributo alle aziende clienti può riversarsi sulla trasparenza e sulla qualità del servizio offerto. In virtù di questo, ci si impegna fortemente anche alla formazione di un team che possa in ogni circostanza essere degno delegato, anche in assenza del manager, per far fronte alle richieste pervenute». Qual è il percorso vincente e cosa fare per crescere professionalmente?
MANAGERITALIA PUGLIA, CALABRIA E BASILICATA
L’associazione in numeri Dirigenti 177 Quadri 31 Executive professional 51 Pensionati 41 TOTALE 300
Lei è associato a Manageritalia Puglia, Calabria e Basilicata: che rapporto e quali vantaggi ha? Sono associato da meno di un anno e già posso dire di aver trovato un’associazione seria e ben organizzata, in cui la cura e l’as-
Maschi 267 Femmine 33 dati di ottobre 2019
«Sicuramente la crescita professionale affonda le sue radici nella formazione continua e nel tenersi costantemente aggiornati. Il confronto, poi, è quel valore aggiunto indispensabile per un percorso lavorativo proficuo e soddisfacente». Lei è sempre stato nella revisione contabile. Quali sono i punti di forza di business e manageriali che offre questo settore e che sono esportabili altrove? «Penso che una delle migliori esperienze che un laureato in economia possa fare è certamente lavorare in una società di revisione. In questo settore vengono infatti acquisiti non solo un metodo di lavoro, ma anche di studio continuo e ulteriori capacità, “rivendibili” e “spendibili” ovunque».
mento e arricchimento del proprio bagaglio conoscitivo e inoltre permette di farsi conoscere sul territorio e proporre alle aziende, soprattutto a quelle emergenti, nuovi servizi e creare nuovi legami e connessioni professionali».
Lei vive a Bari, che ambiente professionale c’è e come sfruttarlo? «Negli ultimi anni Bari, come tutta la Puglia, ha visto uno sviluppo del proprio tessuto imprenditoriale che ha permesso anche a noi professionisti di migliorare il nostro operato, dandoci occasione di offrire maggiori servizi e di confrontarci con realtà in continua evoluzione». Come fare networking con vantaggi per sé e l’azienda, magari anche divertendosi? «Si può fare networking organizzando conferenze e convegni sui principali temi e novità legislative, avvalendosi, ove possibile, anche del prezioso contributo di esperti e professionisti su scala nazionale. Tutto questo è in primis un’opportunità di amplia-
sistenza degli associati è una delle prerogative. Trovo anche molto interessanti gli eventi organizzati, in quanto stimolanti a livello cognitivo ed emotivo, e utili per un arricchimento personale e professionale».
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PILLOLE DI BENESSERE Beatrice Roviglio dottoressa in scienze del farmaco, specialista in alimentazione e nutrizione umana
benessere
non possiamo assolutamente mancare? Come nel calcio, bisogna “giocare d’anticipo”! Ecco alcuni suggerimenti da mettere in pratica il prima possibile:
PARTY NATALIZI ALL’ORIZZONTE: 10 TRUCCHI PER NON SOCCOMBERE!
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Per chi detiene una posizione di rilievo la silhouette e il benessere fisico sono importanti come l’abito fatto su misura o la cravatta giusta: il manager di successo è perennemente sotto i riflettori e i collaboratori quanto i clienti sono pronti ad apprezzare ma anche a criticare. Ma non si tratta solo di aspetto fisico: per avere prestazioni intellettuali all’altezza, occorre un’alimentazione corretta, senza carenze nutrizionali, non eccessiva. Dicembre è il mese più a rischio per la linea, tanto che ritrovarsi dopo l’Epifania con qualche chilo di troppo viene ormai considerato un imperativo a cui quasi nessuno crede di riuscire a sfuggire. Ma, prima ancora di arrivare alle cene in famiglia, come superare indenni i numerosi eventi natalizi aziendali a cui
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1 Organizzarsi è il metodo migliore per evitare le tentazioni e per affrontare la quotidianità: è necessario quindi pianificare gli impegni conviviali così da bilanciare al meglio la scelta del menu e la quantità delle portate.
2 Parola d’ordine: lentezza. Masticare accuratamente ogni boccone consente non solo di gustarsi appieno le prelibatezze nel piatto, ma anche di raggiungere prima il senso di sazietà. Ciò permette di porre un freno alla tentazione di abbuffarsi e di fermarsi prima di aver assaggiato tutto o fatto il bis.
3 Evitare i digiuni forzati: se si arriva a cena a stomaco vuoto si rischia di riempirsi senza curarsi delle porzioni e senza riuscire a selezionare i cibi sani rispetto a quelli ipercalorici. Con questa pratica c’è il rischio di sentirsi ancora più affamati; meglio un regime detox e leggero caratterizzato da cibi drenanti (carciofo, cardo mariano, rucola, cicoria), legumi, pesce bianco e cereali integrali, accompagnati da tisane al finocchio o al tarassaco.
4 Non esagerare durante gli aperitivi: scansare noccioline, patatine, salatini e cocktail per non fare il pieno di calorie. Preferire pinzimonio a base di sedano, finocchio e carote crude e analcolici.
5 Scegliere un posto a sedere strategico e cioè lontano dal buffet e riempirsi un piattino con i cibi più sani.
6 A tavola evitare porzioni abbondanti: fare in modo che la metà di quanto si mangia sia composta da verdure, crude e cotte, e da frutta di stagione, evitando le primizie.
7 Champagne (o spumante) sì, ma con parsimonia: gli alcolici contengono le cosiddette “calorie vuote” che non apportano nutrienti.
8 Tanta, tanta acqua: aiuta a non disidratarsi e a limitare il gonfiore. Inoltre, così facendo, avrete già introdotto liquidi in abbondanza nell’organismo e tenderete a schivare più facilmente bibite zuccherate e alcolici.
9 Sì al panettone o al pandoro, ma senza esagerare: in quanto a calorie, tra panettone e pandoro, non c’è molta differenza (il primo ne contiene 340 per 100 grammi, il secondo 390). L’importante è limitarsi alla canonica fetta (possibilmente “trasparente”) ed evitare l’aggiunta di creme, cioccolata e farciture varie.
10 Incrementare l’attività fisica: il movimento aiuta a non fare i conti a gennaio con i chili di troppo. Mantenete uno stile di vita attivo, spostatevi preferibilmente a piedi o in bicicletta e preferite le scale al posto dell’ascensore. Provare per credere!
ARTE Claudia Corti
Q Piazza della Signoria a Firenze, olio su tela, 1740, Szépmú́vészeti Múzeum Budapest.
QUANDO IL TALENTO È UN AFFARE DI FAMIGLIA: BERNARDO BELLOTTO
arte
DOVE Bernardo Bellotto 1740. Viaggio in Toscana. Lucca, Fondazione Ragghianti
Quando viene alla luce a Venezia, il 20 maggio 1722, Bernardo Bellotto ha già il destino professionale segnato: è nipote, infatti, di Antonio Canal, molto più noto con l’appellativo di Canaletto, il padre del vedutismo veneto. È ancora un bambino quando lo zio lo introduce nella sua bottega, avviandolo a un lungo e impegnativo apprendistato; ed è proprio in quest’ultimo termine, apprendistato, che si gioca la definizione del suo stile: come spiega infatti Giandomenico Tiepolo in anni non lontani dalla nostra storia, un buon apprendistato si concludeva quando la mano del giovane allievo arrivava a confondersi con quella del maestro. Evidentemente il ragazzo è promettente, se all’età di 16 anni è già iscritto alla “fraglia”, la corporazione dei pittori veneziani; inizia a ricevere le prime committenze, dipinge vedute di Venezia e si appoggia alla rete commerciale dello zio. Per Canaletto, d’altronde, questi sono anni d’oro: è sempre più conteso dalle grandi famiglie inglesi, al punto tale che di lì a poco si sposterà sempre più in pianta stabile in Gran Bretagna. Sembra quindi naturale che l’eredità del Canaletto, bottega compresa, passi al nipote. Eppure il giovane Bernardo sembra essere insofferente verso una tale responsabilità, forse non ama essere valutato solo perché nipote del mae-
stro; e così dal 1740 inizia a viaggiare, cercando di raggiungere una propria identità. La meta è Roma, ma la raggiungerà solo dopo tappe intermedie fondamentali: Lucca, dove lascia deliziose vedute della città, Firenze, dove trova l’ispirazione per un vero capolavoro, Piazza della Signoria. La piazza, teatro dei principali eventi politici e sociali della città, è vista dall’angolo sud occidentale. Gli edifici e i loro ornamenti plastici sono resi con stupefacente fedeltà, dalla statua di Cosimo de’ Medici al Nettuno, dal Davide all’Ercole e Caco. Dietro la facciata di Palazzo Uguccioni si intravede la torre del Bargello e a sinistra la chiesa di San Romolo, demolita pochi anni più tardi. Ci sono i cittadini a passeggio, i carri, le guardie e persino il ciarlatano che dall’alto di un palco cerca di vendere elisir miracolosi alla folla. Il suo stile adesso è distinguibile da quello dello zio, si caratterizza per cieli molto più freddi, per ombre decisamente più marcate e nere, per atmosfere meno dorate. Venezia è un ricordo lontano, vi farà ritorno per un breve periodo solo nel 1747; i suoi viaggi lo portano in Lombardia, in Piemonte e soprattutto alla corte di Sassonia e a Varsavia, dove morirà nel 1780, nella continua ricerca, pienamente soddisfatta, di un’affermazione della propria identità.
CURIOSITÀ Le vedute di Varsavia di Bellotto verranno studiate e addirittura prese a modello per la ricostruzione della città all’indomani delle devastazioni della seconda guerra mondiale.
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LIBRI Davide Mura
Il coraggio di ricominciare La sua storia ha commosso milioni di italiani. Sono trascorsi nove mesi dal terribile incidente che lo ha fatto finire in sedia a rotelle a causa di un errore durante un regolamento di conti: Manuel Bortuzzo, giovane promessa del nuoto in lizza per un posto alle Olimpiadi, racconta la sua storia in “Rinascere”. «Eccomi qui, a raccontare di me, sperando di poter essere d’aiuto a chi ha dovuto far cambiare rotta ai propri sogni» spiega il nuotatore. Oggi il sogno di Manuel non è più partecipare alle Olimpiadi, ma ricominciare a camminare. Sofferenza, sconforto e rabbia cedono il passo al coraggio. Rinascere, Manuel Bortuzzo, Rizzoli, pagg. 176, 17.
Smartphone: come mettere in guardia i bambini Il proibizionismo in questo caso non sortisce i frutti sperati, ma qualcosa bisogna fare quando si parla di bambini e smartphone. Dai selfie intimi diffusi su Instagram agli approcci neanche troppo velati su Whatsapp. Dai giochi violenti al cyberbullismo. Gli smartphone possono indubbiamente costituire un serio pericolo per i più piccoli. Se i social sembrano essere divenuti un ambiente irrinunciabile dove esprimere la propria vita quotidiana, è sempre più necessario prevenire i pericoli anziché guarire. Nunzia Ciardi, impegnata da anni contro il crimine informatico, ha raccolto in questo libro gli strumenti e i consigli che gli esperti della Polizia Postale forniscono online e nelle scuole. Con lo smartphone usa la testa, Nunzia Ciardi, Sperling & Kupfer, pagg. 182, 16,90.
La ricchezza degli italiani cresce ma va difesa
libri
Siamo un paese di formiche. A fronte di un debito pubblico gigantesco (e in costante crescita), c’è, infatti, un’enorme ricchezza privata. Gli italiani sono al secondo posto nel mondo tra i popoli con la maggiore propensione al risparmio. Non solo: stando alla recenti rilevazione di Banca d’Italia e Istat, nel 2017 la ricchezza finanziaria delle famiglie è ritornata a crescere dopo quasi un decennio di stabilità. Purtroppo, però, abbiamo anche un altro primato: quello di una cultura finanziaria non adeguata. Certamente inferiore rispetto a quella di altri paesi con un’economia paragonabile alla nostra in termini dimensionali. C’è dunque un grande bisogno di conoscenza. Se non altro per riuscire a distinguere, e a scegliere, tra le tantissime possibilità di investimento che vengono proposte da banche, assicurazioni e affini. Parte proprio da qui il libro di Giacomo Ferrari: Difendi i tuoi soldi. Capire prima di investire. Si tratta di una guida chiara nei contenuti e semplice nel linguaggio che “conduce per mano” il risparmiatore alla scoperta degli strumenti sui quali investire. Ferrari – per quasi un trentennio giornalista economico al Corriere della Sera e titolare della rubrica quotidiana di Borsa – analizza numerose alternative. Si va dal conto in banca ai titoli di stato, dalle azioni ai fondi comuni. Senza dimenticare quei “prodotti” dai nomi spesso altisonanti che promettono grandi (e in apparenza facili) guadagni. Per ognuno l’autore evidenzia i vantaggi e le criticità, così da aiutare il lettore a scegliere in maniera consapevole l’alternativa più giusta rispetto ai suoi obiettivi. Da questo punto di vista Difendi i tuoi soldi si pone come un utile testo di informazione finanziaria di servizio. Un supporto per tutti coloro che hanno un piccolo gruzzolo e si domandano “e ora che ne faccio?” Anna Zinola Difendi i tuoi soldi. Capire prima di investire, Giacomo Ferrari, Mind Edizioni, pagg. 140, 14,90.
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LETTURE per MANAGER
...permanager
Marco Lucarelli
FORTUNA E CARRIERA: IL CASO CONTA, ECCOME Aspettavate da anni quella promozione. Il momento era quello giusto, il vostro capo diretto ha ricevuto un’offerta di lavoro da un’azienda concorrente lasciando libera la sua casella nell’organigramma. Voi potevate ricoprire da subito quella posizione, gli unici con le competenze adatte al ruolo e ai rapporti consolidati con clienti e fornitori. Senza parlare poi dei corsi, delle certificazioni, del ruolo di esperto o esperta raggiunto lavorando per tutto quel tempo all’interno del vostro dipartimento. Eppure no. Viene scelta un’altra persona, uno che poco o nulla sa del vostro lavoro, un “esterno” per portare una ventata di novità, vi dicono, all’interno della direzione. Perché non siete stati scelti voi per quella promozione? Avevate il talento, l’intelligenza e l’abilità per ricoprire quel ruolo eppure non ce l’avete fatta. Cominciate a chiedervi quindi se c’è qualcosa di sbagliato in voi, nella vostra preparazione, nel vostro modo di lavorare o di rapportarvi con colleghi e clienti. L’errore non è vostro ma nel paradigma meritocratico che vi è stato inculcato fin dai tempi della scuola. Paradigma che ci fa credere che il successo nella vita sia dovuto solo ed esclusivamente al talento e a quanto impegno mettiamo nel fare le cose. Una convinzione, questa, che sottovaluta il ruolo determinante del caso e delle forze esterne nel tracciare il destino professionale di una persona. Perché spesso il successo è determinato solo dalla fortuna o dalla sfortuna. Questa la tesi del libro Talento e fortuna. Gli ingredienti del successo di Alessandro Pluchino, Alessio Emanuele Biondo e Andrea Rapisarda (edizioni Malcor D’, 2019).
Gli autori, tre studiosi dell’università di Catania, a supporto della loro tesi non utilizzano i soliti luoghi comuni sul tema ma, con dati statistici, arrivano a delineare un modello (Talento vs Fortuna) teso a spiegare il ruolo del caso all’interno delle carriere professionali di ognuno di noi. La conclusione è chiara, avere talento è una condizione indispensabile ma non sufficiente per raggiungere il successo. Anzi, le statistiche ci dicono che spesso le posizioni ai vertici sono ricoperte da persone meno dotate rispetto ad altri candidati che sono stati semplicemente meno fortunati. Conclusione, questa, che pone dei dubbi anche a chi si occupa di selezione del personale: è giusto assumere persone solo sulla base degli incarichi ricoperti in passato? E se quelle posizioni raggiunte fossero solo dovute a fortuna, al fatto di trovarsi “nel posto giusto al momento giusto” oppure a raccomandazioni, parentele o amicizie? In senso più ampio questo studio mette anche in dubbio il riconoscimento di status e le conseguenti diseguaglianze che attribuiscono maggior valore sociale ed economico a chi ha avuto successo rispetto agli altri. Nonostante l’approccio scientifico-matematico, questo non è però un libro che lascia senza speranze, trasmettendo la convinzione che talento e impegno sul lavoro alla fine contino poco. Contano eccome, ma non sono gli unici fattori a determinare la carriera di ognuno di noi. Il caso va sfruttato, come ci insegna questo libro, adottando strategie capaci di trasformare a nostro favore anche fattori non totalmente sotto il nostro controllo.
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LETTERE Daniela Fiorino daniela.fiorino@manageritalia.it
Il riscatto della laurea nella gestione separata
lettere
Sono un professionista iscritto alla gestione separata Inps da quando è stata costituita nel 1996. Vorrei sapere se è possibile riscattare il periodo universitario come avviene per i dipendenti iscritti all’Inps. S. R. - Roma
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Anche agli iscritti alla gestione separata Inps per i lavoratori parasubordinati possono richiedere il riscatto degli anni universitari che hanno portato al conseguimento della laurea. Tuttavia occorre verificare se tali periodi di studio si collocano prima o dopo il 31 marzo 1996, ovvero se sono precedenti o successivi all’introduzione dell’obbligo contributivo presso la gestione separata stessa, istituita con decorrenza primo gennaio 1996. Ciò in quanto non possono essere accreditati a una gestione previdenziale contributi che si riferiscono a un periodo storico in cui tale gestione non esisteva, questo anche se la laurea formalmente è stata conseguita successivamente alla sua istituzione. Sulla questione si è pronunciata di recente la Corte di cassazione, sezione Lavoro, con sentenza n. 16828 del 2019, riguardante la richiesta di riscatto del periodo del corso legale degli studi da parte di un iscritto alla gestione separata Inps, con riferimento ad anni accademici compresi tra il 1988 e il 1992, ribaltando la decisione del giudice di merito che aveva accolto la domanda. La motivazione, alla base della decisione della Cassazione, deriva dalla constatazione che, se pure l’interessato avesse potuto lavorare in quegli anni, anziché dedicarsi allo studio, non avrebbe comunque potuto avvalersi di tale periodo in quella gestione ai fini del futuro trattamento pensionistico, non essendo prevista la relativa tutela previdenziale.
In generale, il riscatto della laurea nella gestione separata può risultare più conveniente rispetto alla gestione lavoratori dipendenti, in quanto l’onere viene calcolato sul valore medio mensile dei compensi assoggettati a contribuzione obbligatoria negli ultimi 12 mesi precedenti la domanda (o periodo minore), a cui si applica l’aliquota di computo in vigore negli anni da riscattare. Per il resto, la normativa applicabile è la stessa in qualsiasi gestione previdenziale. Quindi anche nella gestione separata è possibile valorizzare ai fini pensionistici il periodo del proprio corso di studi, a condizione che l’interessato abbia conseguito il titolo di studio medesimo. Non è quindi possibile riscattare gli anni relativi ai corsi di studio non conclusi. Inoltre, si possono riscattare, oltre ai periodi utili per i diplomi universitari, anche quelli necessari per i diplomi di specializzazione, i dottorati di ricerca e vari altri diplomi indicati dalla legge, con vari limiti e modalità, purché non si tratti di periodi di iscrizione fuori corso o già coperti da contribuzione previdenziale.
L’ufficio sindacale di Manageritalia è di supporto alle associazioni territoriali per quesiti relativi al contratto collettivo nazionale di lavoro per i dirigenti e quadri associati e chiarimenti di natura fiscale e previdenziale in relazione al rapporto di lavoro dipendente. Per gli executive professional è un servizio di consulenza di carattere informativo e orientativo su aspetti legati al contratto di lavoro libero-professionale.
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Il futuro che non ti aspetti
Il Dirigibile è andato in fiamme e sta precipitando. Stiamo cercando di spegnere il fuoco per riprendere quota.
Ci vediamo nel prossimo numero con il cervello a tre emisferi di Amazon. Saluti dal comandante!
DIRIGIBILE Segnali di futuro visti dall’alto
INIZIATIVE MANAGERITALIA
Ancora posti disponibili per l’appuntamento sportivo di Manageritalia. Dall’8 al 15 marzo saremo ospiti del TH Madonna di Campiglio Golf Hotel, Località Campo Carlo Magno Per maggiori informazioni www.manageritalia.it tel. 02 29516028 email amministrazione.servizi@manageritalia.it
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Associazioni S ervizi S anità Contratto Previdenza Formazione
ASSOCIAZIONI TERRITORIALI MANAGERITALIA LOMBARDIA FIRMA UNA COLLABORAZIONE CON 18 STATI SUDAMERICANI E CARAIBICI
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anageritalia Lombardia firma un importante protocollo d’intesa con il Gruppo consolare dell’America Latina e dei Caraibi nel Nord Italia, il gruppo che rappresenta i consoli con giurisdizione nel Nord Italia di 18 paesi Sudamericani e caraibici: Argentina, Bahamas, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Haiti, Messico, Nicaragua, Panama, Perù, Repubblica Dominicana, Uruguay. Una collaborazione importante che dimostra ancora una volta il supporto dell’associazione lombarda ai suoi manager sotto differenti aspetti in un momento in cui sono sempre di più gli associati che per lavoro si spostano nel mondo, tanto quanto i cittadini di vari paesi come quelli dell’America latina e dei Caraibi che arrivano a Milano e in Lombardia rappresentando un importante motore per l’economia del territorio. La collaborazione si concretizzerà attraverso progetti, programmi e iniziative finalizzati a integrare, con gli elementi di esperienza dei manager, le attività istituzionali svolte dal Grupo Consular per promuovere la conoscenza, la cultura e le caratteristiche socio-economiche dei paesi aderenti al Grupo Consular e avranno inizio a partire dal prossimo gennaio. Il protocollo è stato firmato lo scorso 2 ottobre da Roberto Beccari, presidente di Manageritalia Lombardia, e Ricardo Duarte, console generale dell’Uruguay a Milano e presidente del Gruppo Consolare.
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IL RAPPORTO DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO
MANAGERITALIA QUADRI
Tutto quello che c’è da sapere sul contratto di lavoro che prevede una durata prestabilita
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Mariella Colavito
ufficio sindacale Manageritalia Lombardia
I
l rapporto di lavoro può essere a tempo indeterminato, come accade nella generalità dei casi, oppure può prevedere un termine, una scadenza. La disciplina del contratto a termine è contenuta nel decreto legislativo 81 del 2015, così come
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modificato dal decreto legge 87 del 2018. Una volta costituito il rapporto, i quadri assunti con contratto a tempo determinato sono totalmente equiparati a tutti gli altri lavoratori assunti a tempo indeterminato, con lo stesso tratta-
mento economico e normativo. Il principio di non discriminazione enunciato dal legislatore, infatti, riconosce loro ferie, permessi, mensilità supplementari e ogni trattamento in vigore nell’azienda, in proporzione al periodo di lavoro e compatibil-
mente con la natura del rapporto a termine.
Durata massima Prima del decreto 87/2018 era possibile stipulare contratti a termine per una durata massima di 36 mesi, senza apporre alcuna causale a giustificazione del ricorso a questa tipologia di contratto. Dal 1° novembre 2018 (concluso un periodo transitorio) la durata massima di un contratto a tempo determinato non può superare i 24 mesi. E questo limite vale anche in caso di una successione di contratti conclusi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso quadro. I contratti collettivi nazionali, stipulati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, possono derogare alla durata massima di 24 mesi. Se questo limite viene superato, il rapporto di lavoro si trasforma a tempo indeterminato dal momento del superamento del tetto. Sarà possibile stipulare un ulteriore contratto della durata massima di 12 mesi tra gli stessi soggetti solo presso l’Ispettorato territoriale del lavoro e sempre con l’apposizione di una causale.
Proroghe e rinnovi Le parti possono stipulare un contratto a termine senza apporre alcuna causale purché la durata del contratto non superi i 12 mesi, anche se a seguito di proroga di un contratto originariamente non eccedente i 12 mesi. In caso di durata superiore, la possibilità di apporre un
termine è legata a: esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività; sostituzione di altri lavoratori; esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria. Le proroghe del contratto a termine possono essere al massimo quattro. La proroga può avvenire liberamente, ossia senza specificare una causale, sempre entro il termine di 12 mesi. La causale diviene necessaria quando, a seguito di proroga, si superino 12 mesi complessivi di durata.
re, purché siano trascorsi almeno dieci giorni dalla scadenza del primo contratto (20 se la durata del contratto era superiore ai sei mesi). Qualora non venga rispettato questo intervallo minimo, il secondo contratto dovrà considerarsi a tempo indeterminato. I contratti collettivi e di prossimità, nei limiti consentiti dalla legge, possono derogare alcuni aspetti quali la durata massima del rapporto, il numero di proroghe ammissibili o le causali.
Brevi prosecuzioni
Sebbene il rapporto di lavoro abbia un termine, le parti possono recedere prima della scadenza. La risoluzione anticipata del contratto a tempo determinato può avvenire esclusivamente per giusta causa. Pertanto, sia il datore di lavoro che il quadro possono recedere dal contratto in qualsiasi momento solo nel caso in cui il rapporto fiduciario sia compromesso in modo irrimediabile, ossia per giusta causa. Al di fuori dell’ipotesi della giusta causa, il recesso anticipato del lavoratore comporta l’obbligo di risarcire il danno subito dall’imprenditore, il cui ammontare deve essere comunque provato dal datore di lavoro e stabilito dal giudice. Qualora sia l’imprenditore, invece, a risolvere senza giusta causa il rapporto, saranno dovute al quadro le retribuzioni cui avrebbe avuto diritto sino alla normale scadenza del termine.
Fermi restando i limiti posti dal decreto, può accadere che il rapporto di lavoro prosegua oltre il termine fissato inizialmente o già prorogato. Il superamento del termine è ammesso per 30 giorni, 50 se la durata iniziale del contratto era superiore a sei mesi. Durante questo lasso di tempo, il datore di lavoro dovrà corrispondere una maggiorazione del 20% per i primi dieci giorni, del 40% per i giorni successivi. Se il rapporto prosegue oltre il trentesimo giorno (il cinquantesimo per i contratti superiori ai sei mesi) il rapporto di lavoro si considererà a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.
Successione di contratti a termine È consentita la successione di contratti a termine, ossia la riassunzione a termine del lavorato-
Recesso dal contratto
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L’ASSISTENZA SANITARIA DEI FAMILIARI Ecco cosa prevede il nostro contratto collettivo sulla tutela della salute delle persone che ci sono affettivamente più vicine, in una logica fortemente solidaristica
F FASDAC
orse non tutti sono a conoscenza che il Fasdac, oltre al titolare dell’iscrizione (dirigente in servizio, prosecutore volontario, pensionato diretto e indiretto), assiste altri soggetti che appartengono al suo nucleo familiare. Cosa non di poco conto visto che tutti noi ci troviamo spesso a dover sostenere spese sanitarie per le persone che sono a noi più care e con cui conviviamo. Dalle spese meno impegnative (di norma sono quelle legate all’età del fami-
IMPOR
TANTE
liare) a quelle più importanti che possono mettere in seria difficoltà il bilancio di una famiglia. Vale la pena quindi approfondire questo argomento anche per apprezzare la rilevanza che il nostro contratto collettivo di lavoro dedica alla tutela della salute in logica fortemente solidaristica. Quella logica che porta a fornire ai familiari la stessa assistenza sanitaria dei dirigenti senza che ad essi sia richiesta alcuna contribuzione aggiuntiva.
ell ’asuale d n n a à agit ig li m i valid f d i o s i a p c N ei esem , g ecupat i à (ad c t i o l i s i b i d t i, de sis sa sca tudent s s e i t n s n a rio gior e cc.), l ecessa arico e n c è a i i u r c nit o me t. Per a tr as embr e c o i p d m 1 e 3 t ioil t if icaz r e per r e e c d o e t v u di a prov 020, odello nno 2 a m ’ l l i r e e r nte e la co nat o p r r e o t i t g e g pr om ne a ia. anit ar on com s n a a r d u ì t cos oper della c à t i u n ti
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Quali sono i familiari assistibili? L’estensione dell’assistenza sanitaria ad altri soggetti è una prerogativa esclusiva del titolare dell’iscrizione. Ne consegue che i familiari non possono autonomamente richiedere e vantare un diritto all’assistenza stessa. Oltre al titolare dell’iscrizione, possono beneficiare dei servizi Fasdac: a) il coniuge o convivente more uxorio;
b) i figli fino al compimento del 18° anno di età; c) i figli di età superiore ai 18 anni e fino al compimento del 26° anno di età qualora siano studenti o disoccupati iscritti al Centro per l’impiego; d) i figli senza alcun limite di età purché fiscalmente a carico, i quali si trovino per infermità fisica o mentale nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi a un proficuo lavoro; e) i genitori del dirigente fiscalmente a carico. È bene soffermarsi su due punti: La mancanza del requisito fiscale Fatta eccezione per i soggetti indicati ai punti d) ed e), per il Fondo non rileva che il familiare debba essere fiscalmente a proprio carico. Poter contare, ad esempio, su un’assistenza sanitaria anche per il coniuge che lavora costituisce certamente oggi un importante valore aggiunto per il dirigente. L’importanza dell’assistenza ai figli I figli sono assistiti sempre e comunque fino al 18° anno di età. Dal momento in cui diventano maggiorenni, i figli mantengono l’assistibilità a condizione che continuino gli studi, ovvero siano disoccupati. Anche qui vale la pena evidenziare che l’assistenza dei figli maggiorenni studenti prescinde dall’essere regolari con il corso di studi frequentato (di norma universitario).
Quando comunicare i nominativi dei propri familiari? Consigliamo di farlo subito, non
appena ricevuta la conferma dell’iscrizione da parte del Fasdac. Infatti, prima avviene la comunicazione e prima scatta l’assistenza del familiare, soprattutto se si ha necessità di ricorrere a una struttura sanitaria convenzionata.
Come comunicarli? L’estensione dell’assistenza al proprio nucleo familiare deve essere comunicata al Fondo con una semplice autocertificazione, utilizzando il modulo “IC/05” e allegando copia di un valido documento di identità del titolare dell’iscrizione. Per alcuni familiari è necessario produrre della documentazione integrativa (vedi tabella). Il modulo deve essere trasmesso all’associazione Manageritalia di appartenenza che provvede a registrare i dati e trasmetterli al Fondo. L’autocertificazione va presentata non solo al momento dell’iscrizione e della prima comunicazione dei familiari, ma anche ogniqualvolta il nucleo originariamente comunicato subisce delle variazioni che impattano sul diritto all’assistenza in “entrata” (ad esempio la nascita di un figlio). Per le variazioni in “uscita” (ad esempio la cessazione dello stato di disoccupazione) è sufficiente inviare, anche tramite email, una comunica-
zione alla propria associazione Manageritalia. Come avviene per la generalità delle dichiarazioni sostitutive di certificazioni, ciò che viene autocertificato dall’iscritto è soggetto a controlli amministrativi a campione da parte del Fondo.
Come verificare la posizione anagrafica del proprio nucleo? Utilizzando le credenziali ricevute, è possibile verificare i nominativi dei familiari assistibili accedendo all’area riservata Manageritalia > Servizi Fasdac > Gestione anagrafica familiari. Ogni variazione deve essere comunicata seguendo le modalità esposte sopra.
Quando inizia l’assistenza dei familiari? La copertura assistenziale dei familiari può avere decorrenze diverse a seconda del grado di parentela o della relazione esistente con il titolare dell’iscrizione. Nella tabella si riporta un prospetto riepilogativo dei principali aspetti da conoscere sull’assistibilità dei familiari. Il Fasdac ha diritto ad effettuare in ogni momento controlli di natura amministrativa e di richiedere all’iscritto la documentazione at-
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I PRINCIPALI ASPETTI DA CONOSCERE SULL’ASSISTIBILITÀ DEI FAMILIARI Documentazione
FASDAC
Validità
Autocertificazione (mod. IC/05)
Dall’iscrizione del dirigente ovvero dalla data di matrimonio
Fino alla perdita dello stato di coniuge
Convivente more uxorio
Autocertificazione (mod. IC/05) corredata dal certificato di Stato di famiglia
Dalla data dell’autocertificazione. N.B.: nel caso in cui vi sia una trasmissione non contestuale dei documenti IC/05 e stato di famiglia, la decorrenza parte dalla data del documento più recente
Fino alla cessazione della convivenza (dichiarata dal dirigente o attestata dallo Stato di famiglia)
Figli fino a 18 anni
Autocertificazione (mod. IC/05)
Dall’iscrizione del dirigente o dalla nascita. Se adottati, dalla data del provvedimento di adozione
Fino al compimento del 18° anno d’età
Se studenti: dalla data di inizio dell’anno accademico.
Annuale o fino alla scadenza del ciclo di studi
Figli > 18 anni
Se studenti: autocertificazione (mod. IC/05) da rinnovarsi annualmente. Se disoccupati: autocertificazione (mod. IC/05) da rinnovarsi annualmente. N.B.: solo per la prima comunicazione è necessario presentare anche l’attestazione al Centro per l’impiego
Se disoccupati: dalla data di iscrizione al Centro per l’impiego
Annuale o fino a nuova occupazione o revoca dell’iscrizione al Centro per l’impiego
Coniuge
Figli inabili secondo le vigenti leggi e solo se fiscalmente a carico
Autocertificazione (mod. IC/05) corredata da certificato della commissione Invalidità civile e idonea certificazione fiscale
Dalla data di certificazione dell’inabilità
Fino all’esistenza dello stato di inabilità e della condizione di essere fiscalmente a carico
Genitore (solo se fiscalmente a carico)
Autocertificazione (mod. IC/05) e certificazione fiscale da rinnovarsi annualmente
Dal 1° gennaio dell’anno in cui viene comunicata
Fino alla condizione che sia fiscalmente a carico
testante lo stato civile del familiare assistito, pena la decadenza dell’assistenza. L’assistibilità del Fasdac cessa comunque al momento in cui vengono meno i relativi presupposti (ad esempio, nuova occupazione del figlio disoccupato, interruzione o termine del ciclo di studi per il figlio studente, cessazione della coabitazione nel caso di more uxorio, perdita dei requisiti fiscali). È responsabilità dell’iscritto comunicare tempestivamente tali modifiche.
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Decorrenza
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Regole particolari n Per i figli maggiorenni studenti che frequentano corsi pluriennali di istruzione e di studio (corsi universitari, dottorati di ricerca, tirocini obbligatori, praticantati svolti a titolo gratuito, corsi di specializzazione universitaria non retribuiti e corsi di formazione professionale al termine dei quali si acquisisce una qualifica professionale) l’assistibilità del Fondo è convenzionalmente mantenuta anche nei periodi intercorrenti tra
un anno scolastico/accademico e il successivo, fino al conseguimento del titolo. n Per i figli maggiorenni studenti che frequentano corsi di istruzione, studio, specializzazione o formazione, della durata inferiore a un anno (per esempio master di apprendimento, corsi di specializzazione ecc.), l’assistibilità del Fondo è mantenuta per la sola durata del corso che dovrà essere comunicata al momento della richiesta di assistenza.
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INVERNO IN ARRIVO?
delle donne) e i giovani (il 50% avviene entro i 30 anni di età e i 2/3 entro i 40 anni).
Proteggiamoci con un’assicurazione prima di divertirci sulla neve. Sci Noproblem è la polizza sottoscrivibile direttamente dal sito di Assidir
La risposta di Assidir
C ASSIDIR
on l’inizio di dicembre inizia la stagione sciistica 2019-2020. Un fenomeno, quello della pratica amatoriale degli sport invernali, che nel nostro Paese coinvolge quasi tre milioni di persone di ogni età, tra sci e snowboard. Numeri che, purtroppo, hanno come diretta conseguenza una quantità rilevante di incidenti con tipologia ed esiti diversi da caso a caso.
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Gli organi di informazione trattano regolarmente questi incidenti, fornendo statistiche a cui ci siamo rivolti per poter meglio delineare il fenomeno e la reale dimensione del problema. Le persone che subiscono un incidente sulle piste sono almeno 30mila ogni anno e rappresentano, secondo Adnkronos, l’1,5% dei praticanti; gli incidenti interessano soprattutto i maschi (55,4% contro il 44,5%
Come è noto a tutti, un’assicurazione non può evitare un evento negativo, ma può attenuarne le conseguenze, se non altro sul piano economico. Assidir, proprio per aiutare gli associati Manageritalia e i loro familiari, ha da anni stretto un accordo con Europ Assistance per offrire le opportune coperture assicurative con la polizza Sci Noproblem, che può essere sottoscritta direttamente online a condizioni particolarmente vantaggiose (vedi “Come assicurarsi”). Sci Noproblem è l’assicurazione pensata per chi pratica lo sci, lo snowboard o il pattinaggio sul ghiaccio e offre una
QUANDO E COME CI SI INFORTUNA SULLA NEVE: NUMERI SU CUI RIFLETTERE Il maggior numero degli infortuni è a carico di chi pratica lo sci (79,2%) rispetto allo snowboard (16,7%) o altre attività (bob e slittino 4,1%). Sia nello sci che nello snowboard, la maggior parte degli incidenti avviene per caduta accidentale (77%), mentre le collisioni con persone o oggetti rappresentano meno dell’11% del numero totale degli infortuni. Inoltre, nello sci gli infortuni più comuni sono le distorsioni (36%), seguite dalle contusioni (25%), dalle fratture (12%), dalle ferite (8%), dalle lussazioni (7%). I traumi riguardano nella maggior parte dei casi gli arti inferiori (53,4%), mentre quelli superiori sono interessati nel 15,3% dei casi e la zona del cranio e della faccia nel 13,4%. Fonte: Adnkronos Salute
copertura che garantisce l’assistenza sanitaria immediata in caso di infortunio nella pratica non professionale di questi sport. La polizza comprende anche la consulenza medica, il rientro sanitario, il riconoscimento di un indennizzo per l’eventuale ingessatura. Inoltre, offre il rimborso di ski pass, lezioni di sci e noleggio sci pagati prima dell’infortunio e può essere sottoscritta con una formula a scelta tra settimanale e annuale,
per la settimana bianca o per tutta la stagione invernale. Sci Noproblem copre l’assicurato anche per quanto è tenuto a pagare (quale civilmente responsabile ai sensi di legge) a titolo di risarcimento per danni involontariamente cagionati a terzi in conseguenza di un fatto accidentale verificatosi durante l’esercizio della pratica, sempre non a titolo professionale, di sci, snowboard o pattinaggio sul ghiaccio.
Richiedi il tuo preventivo entrando nella sezione “e-commerce” del sito www.assidir.it Per saperne di più contatta ASSIDIR numero verde 800401345 email info@assidir.it
Come assicurarsi
Se stai organizzando la tua vacanza, sulla neve o in un luogo tropicale, nell’area ecommerce di Assidir, oltre all’assicurazione SciNoproblem, troverai anche Viaggi Nostop Vacanza: un’assicurazione che ti permette di
Il contratto di assicurazione si può stipulare recandosi presso gli uffici di Assidir oppure attraverso l’e-commerce. In quest’ultimo caso godendo del 10% di sconto riservato agli associati di Manageritalia.
viaggiare sereno in tutto il mondo.
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La partecipazione ai corsi è gratuita e riservata ai dirigenti associati in regola con il versamento dei contributi.
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I LEARNING PATH DI CFMT: DAI “CORSI” AI “PERCORSI”
P
assare dalla logica della singola attività formativa a quella dell’esperienza di apprendimento blended e facilitare la personalizzazione dei percorsi a vantaggio dell’efficacia formativa: questi i motivi che hanno spinto Cfmt a passare dal corso al percorso. I Learning Path di Cfmt sono dei percorsi che permettono ai nostri associati da un lato di orientarsi nella ricca offerta formativa proposta e dall’altro di personalizzare il proprio percorso di apprendimento mixando sia le modalità formative sia gli argomenti.
1. #visualizzo il mio percorso – ORIENTAMENTO I Learning Path, sentieri già tracciati per esplorazioni personalizzate. Un modo nuovo per leggere l’offerta formativa Cfmt e guidarti lungo direzioni consigliate e destinazioni di apprendimento.
2. #come quando dove voglio – BLENDED Nei Learning Path gli ingredienti sono strategicamente selezionati e dosati e la modalità blended ti permette di organizzarti come, quando e dove vuoi, online, dalla scrivania o in viaggio.
3. #su misura per me – PERSONALIZZAZIONE Il plus dei Leaning Path è la personalizzazione: una formula che ti permette di costruire il tuo percorso su misura, in base alle tue esigenze e necessità effettive, alle-
narti e migliorare dove e quanto occorre. Per raggiungere i tuoi obiettivi. Il Learning Path estende nel tempo e nello spazio il processo di apprendimento: l’aula diventa solo uno dei momenti di questo processo. PRE-AULA: assessment, webinar e pillole formative presenti nel Learning Path permettono di approcciare al tema, prima ancora di entrare in aula, per capire se gli argomenti trattati sono davvero in linea con le necessità formative. In questo modo ogni associato potrà delineare al meglio quali i gap da colmare e le competenze da acquisire. AULA: l’aula resta al centro del processo di apprendimento, sia che si tratti di un workshop in presenza sia che si tratti di un incontro in distance learning: il confronto con il docente e con gli altri partecipanti resta un momento fondamentale per la crescita formativa del singolo associato. POST AULA: a valle dell’incontro formativo, l’apprendimento
viene guidato e le competenze acquisite vengono consolidate attraverso l’approfondimento degli argomenti trattati con video, articoli o ebook scaricabili. Il Learning Path permette così di seguire il singolo associato nel suo percorso formativo e di incontrarlo nel momento e secondo le modalità che più gli sono utili. Oggi Cfmt presenta nella sua offerta 16 Learning Path, le attività formative che li compongono vengono costantemente aggiornate: l’obiettivo è mantenere alta l’employability dei nostri associati e i Learning Path sono uno strumento per farlo. Il formato blended e la personalizzazione sono i segni distintivi dei Learning Path di Cfmt.
Per maggiori informazioni Luigia Vendola luigia.vendola@cfmt.it 02 54063137
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Hanno collaborato a questo numero
Francesco Brunori, sales and marketing director di -skopìa, focalizza la sua attenzione professionale sui futuri della medicina e sull’invecchiamento della popolazione. Si occupa anche di formazione nelle scuole e in ambito aziendale. (52) Massimiliano Cannata è giornalista professionista, filosofo, esperto di social innovation, formazione e cultura manageriale. (34) Federico Castelletti Cazzato si occupa di marketing e comunicazione dal 1983; per 20 anni
MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA DI MANAGERITALIA FEDERAZIONE NAZIONALE DEI DIRIGENTI, QUADRI E PROFESSIONAL DEL COMMERCIO, TRASPORTI, TURISMO, SERVIZI, TERZIARIO AVANZATO
in Armando Testa, dal 2009 è responsabile, in Skills Management, del settore comunicazione d’impresa per lo sviluppo di applicazioni web e mobile e di piattaforme e-learning. (38)
Claudia Corti è guida turistica per le province di Milano, Pavia, Monza e Brianza. (59) Gianluigi Delucca è executive professional associato a Manageritalia e consigliere Assirem. (24) Antonio Furlanetto, amministratore delegato di -skopìa, futurista, risk manager, consulente senior sugli esercizi di futuro complessi con oltre vent’anni di esperienza professionale nel settore delle assicurazioni. (52)
Maurizio La Cava è presentation strategist e fondatore della metodologia Lean presentation
FEDERAZIONE NAZIONALE DEI DIRIGENTI, QUADRI E PROFESSIONAL DEL COMMERCIO, TRASPORTI, TURISMO, SERVIZI, TERZIARIO AVANZATO
design, è docente di Presentation & Pitching Strategies al Politecnico di Milano e founder di MLC Design Consulting, realtà che collabora con grandi multinazionali. (30)
FONDO ASSISTENZA SANITARIA DIRIGENTI AZIENDE COMMERCIALI
Nicola Longo è managing partner di Skills Management, da oltre 30 anni si occupa di consulenza direzionale e formazione manageriale nell’ambito del change management & performing people; è docente del Cfmt dal 1994 e autore di numerosi articoli e pubblicazioni sul tema del cambiamento organizzativo. (38)
FONDO DI PREVIDENZA MARIO NEGRI
Marco Lucarelli lavora nella direzione strategy di una multinazionale Tlc dove si occupa di operatori virtuali. (61) Andrea Arrigo Panato è dottore commercialista e revisore legale, ha maturato una particolare esperienza nella gestione ordinaria e straordinaria d’impresa. È docente presso le scuole di specialità in Procedure concorsuali e risanamento d’impresa e in Finanza aziendale presso la Scuola di Alta Formazione Luigi Martino dell’Ordine di Milano. Autore di Restartup. Le scelte imprenditoriali non più rimandabili (Egea) (42)
Beatrice Roviglio è dottoressa in scienze del farmaco, specialista in alimentazione e nutrizione umana (email: dietologiaroviglio@gmail.com). (58) Gianluca Santilli, avvocato d’affari, è inventore della Granfondo Campagnolo Roma e presidente di Osservatorio Bikeconomy. È autore, insieme a Pierangelo Soldavini, di un saggio sulle economie che nascono dalla bicicletta: Bikeconomy. Viaggio nel mondo che pedala (Egea). (48)
Pierangelo Soldavini è giornalista del Sole 24 Ore, dove si occupa di tecnologia e innovazione. Da sempre è innamorato della poesia del mondo legato alla bicicletta. È autore, insieme a Gianluca Santilli, di un saggio sulle economie che nascono dalla bicicletta: Bikeconomy. Viaggio nel mondo che pedala (Egea). (48)
Silvia Zanella è direttore comunicazione e digital HR, con un’esperienza di oltre 15 anni in multi-
nazionali operanti nei servizi. Si occupa e scrive di futuro del lavoro come public speaker, autrice, giornalista professionista, trainer. (14)
Laura Zanfrini è ceo di Zala Consulting, società di consulenza per la digital transformation. Ha
CFMT - CENTRO DI FORMAZIONE MANAGEMENT DEL TERZIARIO ASSOCIAZIONE ANTONIO PASTORE
Editore: Manageritalia Servizi srl Direttore responsabile: Guido Carella Coordinamento: Roberta Roncelli Redazione: Davide Mura, Enrico Pedretti, Eliana Sambrotta Direzione, redazione, amministrazione: via Antonio Stoppani, 6 - 20129 Milano tel. 0229516028 - fax 0229516093 giornale@manageritalia.it www.manageritalia.it Le opinioni espresse dagli autori impegnano esclusivamente la loro responsabilità
ricoperto ruoli manageriali in ambito hr in aziende multinazionali ed è stata direttore di Cfmt Business School. Collabora con 24Ore Business School e con EY Business School. Fa parte del consiglio direttivo di Aidp Lombardia, del Forum della Meritocrazia e del comitato scientifico della 24Ore Business School sulle tematiche di digital transformation. (20)
Concessionario pubblicità LAPIS srl viale Monte Nero, 56 - 20135 Milano tel. 0256567415 info@lapisadv.it - www.lapisadv.it
da Manageritalia Mariella Colavito, ufficio sindacale Manageritalia Lombardia. Daniela Fiorino, responsabile ufficio sindacale Manageritalia.
Grafica THE GRAPHIC FORGE sas via Antonio Stoppani, 4 - 20129 Milano tel. 0229404920 - www.graphicforge.it
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Stampa ROTOLITO spa via Sondrio, 3 - 20096 Pioltello (Milano) tel. 0292195.1 - www.rotolito.com Registrazione Tribunale di Milano n. 142, del 24 aprile 1974 Associato all’USPI Unione stampa periodica italiana Accertamenti diffusione stampa
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La diffusione di novembre 2019 è di 37.384 copie
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