DIRIGENTE - Giugno 2019

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GIUGNO 2019

LA RIVISTA DI MANAGERITALIA

L’Italia non è un paese per manager (giovani)

MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA DEI DIRIGENTI, QUADRI ED EXECUTIVE PROFESSIONAL DEL TERZIARIO Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - Decreto Legge 353/03 (convertito in Legge 27/2/04, n. 46) art.1, comma 1 - DCB/MI -  2,20 (abbonamento annuo  16,50)


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Editoriale a cura del presidente Manageritalia

PUNTIAMO SULLE COMPETENZE

I

risultati delle recenti elezioni hanno confermato che l’Unione europea deve perseguire il suo progetto. Due giovani su tre sono per l’Europa ed è un bel segnale. Usciti dal tunnel di questa lunghissima campagna elettorale ci ritroviamo con forze politiche che parlano ancora di ipotetici programmi, pronti a scaricare gli uni sugli altri l’inazione. La nostra economia e la nostra società hanno invece oggi più che mai bisogno di figure preparate per gestire i cambiamenti e per raggiungere nuova efficienza nel nome della competitività non solo delle imprese ma dell’intero sistema Paese, cogliendo le opportunità e rimuovendo gli ostacoli. Occorre ripartire dal merito e dalle competenze, eliminando i sospetti, talvolta giustificati, di privilegi e rendite di posizione. Dobbiamo essere esigenti con chi gestisce la cosa pubblica e quella privata. Ma chi oggi guida il Paese, in tutti gli ambiti, ha gli strumenti e i valori per farlo? La mancanza di strumenti adeguati per l’aggiornamento professionale e formativo rischia di rivelarsi altamente penalizzante. Oltre a far leva sulla bilateralità per consolidare la dotazione di competenze manageriali necessaria attraverso Cfmt o Fondir, vogliamo valutare la possibilità di attivare un’Agenzia per la qualificazione dei manager e dei leader del Paese, sul modello dell’Apec francese. Un veicolo complementare rispetto ai sistemi formativi, in grado di fornire visione e strumenti per il futuro, valorizzando anche gli elementi etici e sociali, un motore potente in grado di trasformare il Paese. Vorremmo creare un operatore nazionale di riferimento per le imprese private, per sostenere l’e-

voluzione professionale di quadri e dirigenti e mettere a sistema la relazione tra domanda e offerta di competenze manageriali, da mettere a disposizione anche delle istituzioni. La contribuzione dovrebbe essere obbligatoria a carico di imprese, dirigenti e quadri. Favorita da una fiscalità di vantaggio e da una diversa destinazione di contribuzione, o parte di questa, oggi destinata ai Fondi interprofessionali. Un processo di “evoluzione” di XLabor, la nostra Agenzia per il lavoro, che già oggi sostiene i manager nel gestire la carriera in maniera proattiva pensando alla spendibilità della propria posizione nel mercato del lavoro e agli scenari emergenti. Le risorse a essa destinate potrebbero essere integrate spostando riserve dal finanziamento di alcuni istituti contrattuali attivi alla nuova e più efficiente Agenzia. Senza chiedere aiuto allo Stato, almeno al principio, senza chiedere aiuto alle imprese, almeno nella fase iniziale, partendo senza aspettare nessuno per dimostrare l’interesse della categoria a un luogo dove mantenere alte e aggiornate competenze e spendibilità sul mercato del lavoro. L’Agenzia assicurerebbe ai manager orientamento, supporto nelle fasi di transizione professionale e nell’acquisizione delle competenze con la creazione di servizi per aggiornare e manutenere le proprie skills e favorire l’upskilling. Dalla consulenza di carriera continuativa allo sviluppo e crescita professionale, alla riattivazione e riqualificazione, fino all’accompagnamento nella transizione in altri impieghi. Un progetto utile per avere sempre manager e leader con adeguate competenze tecniche, economiche, etiche e sociali. Uno strumento di rigenerazione della leadership del nostro Paese. Guido Carella guido.carella@manageritalia.it

GIUGNO 2019 GENNAIO/FEBBRAIO 2015

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Sommario   Copertina  6 L’Italia non è un paese per manager (giovani)  8 Manager: pochi e ancor meno giovani  14 Intervista a Andrea Incondi FlixBus: il viaggio è smart e low cost Management 18 Take it easy 22 Fractional, il manager part-time

Storie di successo 50 A tu per tu con Javier Zanetti

InfoMANAGER Manageritalia Conoscere il contratto 73 Il trasferimento del dirigente

Attualità 54 La musica mette in viaggio Uno di noi Massimiliano Valenti 58 Il contributo del cfo in azienda

76 AskMit risponde Assidir 78 Ivass: nel 2018 premi a 145 miliardi di euro Cfmt 80 Scuola di management

Trend 26 Famiglie digitali

RUBRICHE

Innovazione 30 Rotta verso il futuro 42 Digital shock

28 Filosofia in

Comunicazione 38 Boccaccia mia…

61 Arte

81 Keep it simple

36 Osservatorio legislativo 60 Pillole di benessere

Economia 46 Distributori automatici: boom in Italia

è online su

62 Libri 63 Letture per manager 64 Lettere

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LA RIVISTA DI MANAGERITALIA

L’Italia non è un paese per manager (giovani)

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MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA DI MANAGERITALIA Federazione nazionale dei dirigenti, quadri e professional del commercio, trasporti, turismo, servizi, terziario avanzato Fondo assistenza sanitaria dirigenti aziende commerciali

Fondo di previdenza Mario Negri

CFMT Centro di formazione management del terziario

Associazione Antonio Pastore

MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA DEI DIRIGENTI, QUADRI ED EXECUTIVE PROFESSIONAL DEL TERZIARIO Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - Decreto Legge 353/03 (convertito in Legge 27/2/04, n. 46) art.1, comma 1 - DCB/MI -  2,20 (abbonamento annuo  16,50)

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L’ITALIA NON È UN PAESE Enrico Pedretti

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n Italia abbiamo pochi manager in assoluto e pochi manager giovani rispetto ai principali paesi avanzati e nostri competitor. Basti pensare che i manager pubblici e privati sono in Italia l’1,3% dei lavoratori dipendenti, contro una presenza media europea (Ue 28) del 4,9% e del 2,5% in Spagna, del 3,7% in Germania, del 6,7% in Francia e del 10,3% in Uk. Altro aspetto è poi quello della presenza di manager giovani. Se l’età media dei manager europei è di 45,2 anni, quella italiana è di 50,2. E i confronti basati su dati Eurostat tengono conto delle differenti classificazioni, considerando solo quei manager che hanno livelli dirigenziali e sono in posizioni di executive o di c-level. Quindi non ci sono distorsioni, questa è la realtà. Una realtà che abbiamo indagato con gli articoli che seguono. Di fatto gli assunti sono questi. Abbiamo meno dirigenti in assoluto perché le aziende familiari che in Europa hanno più o meno lo stesso peso (80% delle aziende) da noi hanno manager esterni alla famiglia dell’imprenditore solo nel 33% dei casi, mentre li hanno nell’80% dei casi circa in Europa: 64% Spagna, 72% Germania, 74,2% Francia e 89,6% Uk. Abbiamo poi pochi dirigenti giovani e meno dei competitor per un’economia ancora troppo fondata su aziende a gestione familiare, come detto sopra. Ma anche perché abbiamo meno aziende innovative e nei settori a elevata tecnologia, quelli dove far entrare e mettere in posizioni di comando manager giovani è un must per stare sul mercato e competere. Tutto ciò fa sì che senza questo bisogno i manager bravi vengono messi in posizioni dirigenziali, e nominati dirigenti, più tardi. Anche se non mancano in Italia, come vedremo, realtà multinazionali o innovative che per esigenze di competenze nuove li nominano prima. In ogni caso ai vertici i giovani stanno facendosi largo, così come le donne. Si tratta solo di facilitare questo processo necessario per crescere puntando anche sui nuovi settori, quelli a più alto valore aggiunto. Infatti, tra i dirigenti privati quelli under 35 sono meno del 2%, ma già gli under 40 sono il 7,5%. In ogni caso, nelle fasce giovani si fanno strada con forza le donne: anche se pesano solo il 17,1% tra tutti i dirigenti, ben il 32% sono tra gli under 35 e il 28% tra gli under 40. Insomma, per fare informazione, cultura e cambiare le cose dobbiamo prima di tutto parlarne e capire cosa fare. Per questo nelle pagine che seguono ne parliamo con hr manager, executive search, consulenti di organizzazione e talent management. Poi abbiamo intervistato alcuni giovani dirigenti con posizioni di spicco in aziende vin-

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PER MANAGER (GIOVANI) centi, non per forza innovative come business, ma di certo innovative perché stanno cambiando il loro modello di business e di conseguenza la loro organizzazione del lavoro per abbracciare la trasformazione digitale e tutto quello che le tecnologie possono offrire per essere vincenti e up to date. Due giovani dirigenti associati ci raccontano la loro esperienza professionale e cosa si aspettano dal futuro. Mentre in chiusura di questo speciale un’intervista con un nostro manager ai vertici di un’azienda che piace molto agli italiani e che da quattro anni colora le nostre città di un bel verde fluo: paliamo di FlixBus, il servizio di autobus low cost.

DIRIGENTI PRIVATI IN ITALIA PER SESSO E FASCIA D’ETÀ (2017) FASCE ETÀ

93.789

6,5%

33,9%

45,0%

14,5%

FASCE ETÀ 12,2% 36,8%

113.099

VS

19.310

72,1%

27,9%

79,1%

20,9%

85,6%

14,4%

90,4%

9,6%

82,9%

17,1%

43,5% 7,5%

TOTALE

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MANAGER: POCHI E ANCOR MENO GIOVANI

MANAGER

Sia che si tratti di giovani o di senior poco cambia. La realtà è che nelle aziende italiane la figura dirigenziale scarseggia. Cerchiamo di capire il perché e cosa ne pensa chi conosce bene il mercato del lavoro e si trova a stretto contatto con aziende e manager. Ne parliamo con Giulio Bertazzoli, amministratore delegato Spinlight Counseling, Francesca Contardi, managing director EasyHunters, Simone Piana, VP of HR, head of talent Acquisition Int’l, Luca Vanni, partner Exeo Consulting, previous VP HR & Organisational effectiveness Emea Region, NEC Corporation.

Perché in Italia abbiamo pochi manager nelle aziende? Giulio Bertazzoli «La crisi globale che ha investito i paesi europei (e non solo), e nello specifico le aziende, ha portato attività di ristrutturazione, change management e riduzione dei costi che hanno colpito i dirigenti riducendone il numero. Consideriamo che, soprattutto nelle pmi, c’erano realtà già con pochi manager».

Enrico Pedretti

Francesca Contardi «Credo che una delle principali ragioni sia da ricercare nella natura del tessuto imprenditoriale italiano, all’interno del quale troviamo, per lo più, imprese familiari e realtà medio-piccole che sono, molto spesso, guidate dall’imprenditore in persona». Simone Piana «Non credo ci siano meno manager rispetto all’estero. Le corporation con scopi internazionali e/o globali hanno modelli organizzativi piuttosto standard, quindi tendono ad avere un certo numero di manager a seconda di quanti dipendenti hanno nelle varie country. Quello che è vero e sempre più evidente è la tendenza a non avere manager di livello “apicale” essendo l’Italia spesso “clusterizzata” sotto Francia, Germania o altre nazioni europee. Questo però ha più a che fare con la taglia e rilevanza economica del nostro Paese all’interno della regione Emea».

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MANAGER

Luca Vanni «Il tessuto economico produttivo italiano è fatto di molte aziende medio piccole, di genesi imprenditoriale, che guardano più spesso all’interno verso passaggi generazionali piuttosto che chiedersi quali siano le competenze necessarie per assicurare un futuro all’impresa. Quindi, remore di tipo culturale, ma forse anche paura di prendere a bordo persone ritenute costose e difficilmente amovibili, vero o falso che sia. Alcuni moderni approcci di temporary management e fractional management potrebbero aiutare a superare questa situazione, dando più confidenza nell’uso di risorse manageriali». Perché abbiamo meno manager giovani ai vertici delle aziende rispetto ai paesi più avanzati? GB «Il limitare della crescita

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delle aziende ha provocato una riduzione di posizioni nella mobilità interna alle stesse e quindi negli ultimi dieci anni c’è stato un invecchiamento del management. Inutile dire che riforme pensionistiche che trattengono i dipendenti per più tempo in azienda hanno reso ancora più difficile la crescita dei giovani».

FC

«Anche in questo caso, la

MANAGER

ragione è da ricercare nella tipologia delle aziende del nostro Paese. La maggior parte delle piccole e medie imprese continua a privilegiare manager “pescati” all’interno della propria famiglia».

SP «Il tema è delicato e meriterebbe una riflessione ampia. C’è un tema generazionale particolarmente vero per coloro che oggi hanno tra i 30 e 35 anni e che

«Credo che una delle principali ragioni per cui in Italia abbiamo pochi manager sia da ricercare nella natura del tessuto imprenditoriale italiano, all’interno del quale troviamo, per lo più, imprese familiari e realtà medio-piccole che sono, molto spesso, guidate dall’imprenditore in persona»

FRANCESCA CONTARDI managing director EasyHunters

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Copertina

«Abbiamo una cultura LUCA VANNI nazionale ancora partner Exeo Consulting, previous VP HR & Organisational effectiveness abbastanza legata Emea Region, NEC Corporation a criteri di età per certe posizioni. In Italia si diventa manager molto più tardi. Spesso si diventa dirigenti per anzianità in azienda, premiando quindi la fedeltà in primis, non le capacità, o quantomeno non necessariamente le capacità legate al futuro»

hanno visto il proprio percorso di crescita minato se non addirittura bloccato dalle grandi crisi di inizio millennio (precarietà continua e impossibilità di costruire vere competenze). Esiste un tema di formazione e qualità dell’istruzione universitaria con riflessi importanti sulla comprensione delle dinamiche globali. A questo si aggiunga una certa ritrosia delle classi dirigenti mature a puntare e scommettere sulle nuove generazioni di leader, favorendo un naturale, sano e quanto mai necessario ricambio generazionale».

LV «È probabile che un imprenditore preferisca introdurre qualcuno “di esperienza” piutto-

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sto che giovani brillanti magari percepiti più come “alieni”. Abbiamo una cultura nazionale ancora abbastanza legata a criteri di età per certe posizioni. In Italia si diventa manager molto più tardi. Spesso si diventa dirigenti per anzianità in azienda, premiando quindi la fedeltà in primis, non le capacità, o quantomeno non necessariamente le capacità legate al futuro. Il ritardo con cui le ultime due generazioni entrano nel mercato del lavoro, la difficoltà a fare esperienze significative in modo veloce. Ahimè, i giovani manager brillanti vanno a lavorare all’estero. Scegliete voi le cause in questo mix infernale». Quando e perché serve un giovane? GB «I giovani servono sempre, come ricambio generazionale, per portare nuove idee e sicuramente più energia. Sui giovani però occorre investire in formazione e dargli il tempo di crescere».

FC «Un manager giovane è essenziale in tutte le aziende legate al mondo della tecnologia, ma credo che una figura anagraficamente meno matura possa fare la differenza anche in settori più tradizionali perché ormai tutte le aziende, indipendentemente dalla grandezza e dal mercato in cui si muovono, sono costrette – in un modo o nell’altro – a fare i conti con il digitale».

SP «Il giovane, così come il portatore di diversità in generale, serve proprio perché portatore sano di nuove visioni, prospettive e capacità di intendere il reale. A ciò si aggiunga l’evoluzione dei modelli di business guidati dal digitale, dall’automation e dai big data, che richiedono competenze che principalmente le nuove generazioni hanno e stanno sviluppando. Questo è, o meglio sarebbe, ancora più impattante in un paese a bassa informatizzazione come il nostro». LV «Serve per portare energia e nuovi modi di pensare, competenze digital intese non in senso strettamente tecnico, nuove visioni sui confini organizzativi molto più aperti in ottica di network ed ecosistemi; preparare una successione di personaggi chiave. Inoltre, la propensione media all’innovazione e al rischio è maggiore nei giovani che nelle persone più avanti nella carriera». Ma i senior? GB «I senior sono necessari in quanto portano la loro esperienza. Vengono scelti dalle aziende anche perché sono in grado, vista la loro competenza, di coprire i ruoli velocemente e di portare i risultati prima».

FC «I senior devono per forza di cose imparare ad adattarsi al mondo che, grazie alle tecnologie,


Quando sei diventata dirigente e con quale percorso? «Sono diventata dirigente nel 2017 a 33 anni. Un percorso fatto di determinazione, passione e sacrificio. Risultati di grande successo mi hanno consentito di diventare dirigente prima nel ruolo di sales director retailer Italia e oggi anche country manager della Romania presso epay Euronet worldwide Inc. Certamente orgogliosa e grata per il percorso fatto finora, continuo day by day a coltivare ed evolvere le mie skills. Rimane sempre molto forte e vivo l’impegno a creare valore, generando energia positiva nelle persone che lavorano con me e nuove e profittevoli strategie per far crescere il business dell’azienda».

competenze e passione nel trasmettere a chi mi circonda l’entusiasmo del team working. Lo yes we can esiste». Cosa deve portare oggi un manager in azienda? «Oggi un manager deve fare la differenza, realizzando obiettivi che non si pensava fossero contemplabili, in due parole deve portare valore e profitto».

Giovani e senior nel management e nel lavoro in generale: scontro o collaborazione? «Collaborazione, nella mia esperienza è la chiave del successo. Da tenere presente due semplici regole: il manager senior deve essere open mind, per questo lasciare spazio al management giovane di esprimersi, consentendogli Ti piace fare il manager e perché? di trainare il business verso l’innova«Essere manager è sempre stato nelle zione, il digital e i servizi, generando mie corde perché mi consente di mette- così valore e profitto. Il manager giore in pratica e legare tra loro valori, vane deve apprendere il più possibile pre in McKinsey & Company. Nel 2016 ho colto una nuova opportunità professionale unendomi al team di Amplifon».

VITTORIO LAPIANA corporate strategy & business development director in Amplifon

Quando sei diventato dirigente e con quale percorso? «Dopo una laurea in General management presso l’Università Bocconi ed esperienze di studio negli Stati Uniti e in Cina, nel 2008 ho iniziato il mio percorso professionale come consulente strategico in McKinsey & Company. Nel 2011 ho conseguito un Mba presso la IE Business School di Madrid e successivamente sono diventato all’età di 28 anni dirigente, sem-

Ti piace fare il manager e perché? «Il poter contribuire al successo aziendale e sentirsi parte integrante di una squadra è fonte di quotidiana ispirazione. Il successo dei miei colleghi è il mio successo e viceversa. Un modo per lavorare col sorriso e mettere me e gli altri nelle condizioni ideali per esprimere il massimo potenziale». Cosa deve portare oggi un manager in azienda? «Deve portare visione e giudizio indipendente e avere la capacità di trasformare progetti in realtà. Deve avere curiosità, passione, saggezza, energia e soprattutto integrità. Un manager deve essere intrinsecamente motivato, sentirsi accountable e avere una mentalità imprenditoriale». Giovani e senior nel management e nel

GIOVANNA BRUNO sales director, national retailers & b2b Italia & country manager Romania

dai senior, questo è sinonimo di sapienza e umiltà». Come vedi il tuo futuro a livello professionale? «Un crescendo di emozioni, passione, tenacia, costanza, determinazione. I miei quattro pilastri professionali sono: dream big, work hard, stay focused and surround yourself with good people». lavoro in generale: scontro o collaborazione? «Credo moltissimo nel valore del mentorship e coaching dei senior verso i più giovani. Tra l’altro mentorship e coaching sono gratuiti, bisogna sfruttare queste opportunità! Allo stesso tempo, considero fondamentale che i senior siano pronti ad accettare e lavorare sui feedback che ricevono dai giovani. Le diverse prospettive e il dialogo creano valore, un capitale intangibile sempre più significativo della pura somma delle voci individuali». Come vedi il tuo futuro a livello professionale? «Sono entrato in Amplifon per un progetto ambizioso di crescita sostenibile e innovazione che si è rivelato di successo. Credo moltissimo in questa azienda e nel suo purpose, ovvero aiutare le persone a riscoprire tutte le emozioni del suono. All’orizzonte vedo tanti traguardi da raggiungere insieme. Spero di poter dare il mio contributo e crescere come professionista e come persona».

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L A P A R O L A A I G I O V A N I D I R I G E N T I


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«Il giovane, così come il portatore SIMONE PIANA di diversità VP of HR, head of talent Acquisition Int’l in generale, serve proprio perché portatore sano di nuove visioni, prospettive e capacità di intendere il reale» cambia sempre più velocemente. Non è più possibile pensare di poter ragionare soltanto in maniera analogica».

SP «La seniority è un asset indispensabile per le aziende poiché nutre e conserva i valori distintivi dell’organizzazione, permette alle aziende di navigare

«I senior sono necessari GIULIO BERTAZZOLI in quanto amministratore delegato portano la loro Spinlight Counseling esperienza. Vengono scelti dalle aziende anche perché sono in grado di coprire i ruoli velocemente e di portare i risultati prima» 12

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mercati e tempi ambigui e in continua evoluzione, spesso non lineare. Garantisce una continuità aziendale anche in presenza di turbolenze violente. Il tema vero è come mettere tutto questo a disposizione di nuove generazioni di manager che siano in grado di portare i modelli di leadership verso il prossimo stadio di sviluppo».

LV «I senior continuano a essere preziosi, ma devono interiorizzare che il mondo è cambiato, è veloce, è destrutturato, che la creazione di nuovi contenuti e competenze è tale che devono impegnarsi molto di più che in passato nel proprio autosviluppo. Ci sono tante cose nuove da padroneggiare, ma ci sono anche tante altre in cui forse è meglio dare spazio ai giovani, fornendogli nel contempo supporto e mentorship, in una relazione di arricchimento reciproco». Cosa serve al nostro management per incidere sempre più sullo sviluppo? GB «Oggi sono necessarie competenze che solo pochi anni fa non solo non erano importanti ma neanche esistevano! Parliamo del digitale, di soft skill come intelligenza emotiva ed empatia e capacità di visione al di fuori del proprio ambito tecnico».

FC

«Penso che per poter inci-

dere in modo sempre più significativo sullo sviluppo siano fondamentali la formazione e l’aggiornamento continuo. Un aspetto che nessuno, in azienda, può permettersi di trascurare».

SP «Serve una visione globale, comprensione e consapevolezza delle dinamiche sociali, economiche e finanziarie che incidono sui comportamenti dei cittadiniconsumatori. Serve la volontà di mettersi e mettere in continua discussione modelli di business che hanno cicli di vita assai più brevi rispetto a 2-3 decenni fa. Serve la volontà di circondarsi di talenti e competenze “diverse e differenziate” e costruire ecosistemi organizzativi che permettano alle persone di “essere il meglio che sono”». LV «Serve confronto ed esperienza internazionale, attitudine al benchmarking e una classe politica che crei visione e spazi dove un management moderno possa creare innovazione, cultura d’impresa e della responsabilità. Oggi siamo molto, molto lontani da questo scenario. Aggiungerei che dovremmo cambiare la cultura sul fallimento, sull’errore, questa è la più grave mancanza di conoscenza nella nostra cultura. Fallire non è consentito. Perciò il rischio viene limitato al massimo. L’ambiente diventa asfittico e i giovani brillanti se ne vanno». 


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FLIXBUS: IL VIAGGIO È SMART E LOW COST Il servizio di autobus che piace ai Millennials (e non solo) è un caso da manuale e specchio delle nuove preferenze di viaggio. Ne parliamo con Andrea Incondi, giovane managing director FlixBus Italia.

Andrea Incondi, managing director FlixBus Italia.

Davide Mura

Dal lancio nel 2013 FlixBus ha trasformato il viaggio in autobus in un’esperienza nuova. Quali sono i punti di forza del vostro servizio? «Con una tecnologia superiore e una pianificazione strategica della rete, sin dal nostro arrivo sul mercato abbiamo continuato ad arricchire il nostro servizio di nuove funzionalità e a migliorare quelle già erogate. Abbiamo esteso il nostro network a un numero sempre maggiore di destinazioni, con un’attenzione particolare a quei centri di medie e piccole dimensioni che si trovano tagliati fuori dalle rotte tradizionali. In un mondo come quello attuale, dove essere connessi è sempre più cruciale, è indispensabile pensarsi come un brand multipiattaforma e capace di rispondere sempre e in ogni luogo alle esigenze di chiunque: è proprio questa la nostra forza». L’anno scorso avete lanciato il

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primo FlixTrain. Cosa dobbiamo aspettarci per i prossimi mesi? «Nei prossimi mesi la nostra rete in Italia conoscerà un’ulteriore espansione. I collegamenti già esistenti saranno potenziati per migliorare sempre più l’esperienza dei nostri passeggeri. Con il recente approdo in Calabria e in Sicilia abbiamo raggiunto la copertura totale dello Stivale: ora ci concentreremo sul consolidamento della rete in questi nuovi territori, incrementando contemporaneamente l’offerta sul fronte delle linee internazionali. A livello di innovazione, il nostro team è costantemente all’opera su nuovi progetti per incrementare la qualità del servizio». Dalla Germania all’Italia, quanto conta il nostro mercato e quali sono i prossimi piani per il Belpaese? «L’Italia è indubbiamente uno dei mercati più importanti per FlixBus,


nonché uno dei primissimi paesi in cui ci siamo inseriti e in cui abbiamo portato il nostro servizio. Non solo: l’Italia è anche il paese in cui FlixBus è cresciuta più rapidamente, complice il tradizionale radicamento del trasporto in autobus quale soluzione di viaggio privilegiata e la grande richiesta di forme di mobilità alternative a causa del gap infrastrutturale caratteristico soprattutto di alcune regioni. Nei prossimi mesi porteremo la nostra offerta in nuove città, sia per agevolare gli spostamenti di chi vive in quelle aree, sia per incoraggiare gli arrivi nel territorio e incentivare così possibili ricadute positive a livello di turismo locale». Lei è un giovane manager: come è arrivato a FlixBus? «Ho scoperto FlixBus un po’ per caso: all’epoca mia moglie, con cui ero ancora fidanzato, lavorava in Germania, e per andarla a tro-

vare utilizzavo proprio i famosi autobus verdi, allora operativi solo sulle tratte internazionali. Il servizio, puntuale e all’avanguardia, mi ha lasciato piacevolmente stupito sin dall’inizio. Non è passato molto tempo prima che mi chiedessi perché non portarlo anche in Italia, dove il mercato, liberalizzato dal 2004, era a mio parere maturo per accoglierlo: mi sono presentato ai fondatori con un piano per l’Italia e pochi mesi dopo, nel luglio 2015, nasceva FlixBus Italia con sede a Milano. Oggi siamo un team di circa 70 persone». Quanto è importante il ruolo del management in un’azienda come la vostra e quali i must da mettere in campo? «Siamo una realtà in continua espansione e questo implica naturalmente un coinvolgimento sempre maggiore del management per quanto attiene agli aspetti de-

«Ho scoperto FlixBus un po’ per caso utilizzandolo sulle tratte internazionali. Non è passato molto tempo prima che mi chiedessi perché non portarlo anche in Italia»

cisionali e di coordinazione. Tra i principi che guidano il nostro operato mi sento soprattutto di citare la capacità di mettersi in ascolto, fondamentale per un team che si avvale della collaborazione di dipartimenti numerosi e molto diversi tra loro per formazione e area di riferimento. In un contesto come questo è essenziale avere il desiderio e la capacità di cogliere tutti i benefici che possono derivare dal contributo e dai suggerimenti di altre unità se davvero si vuole agire come un’unica grande squadra e portare a

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Copertina un cambiamento nel proprio business». Quali opportunità e sfide nel creare contenuti informativi e per uno storytelling del brand, gestendo fiumi di conversazioni, pagine Facebook pro e contro di voi, migliaia di foto e menzioni? «La possibilità di stabilire un contatto immediato con la società non rappresenta più un plus, ma costituisce piuttosto un criterio decisivo per decretare l’affidabilità dell’a-

«Per gli attori che si muovono in quest’ambito è imprescindibile restare al passo con i tempi, non solo attraverso una graduale digitalizzazione dei servizi, ma anche attraverso la collaborazione tra diverse realtà»

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zienda stessa. Una buona gestione della comunicazione social permette di mantenere aperto un canale di interazione efficace con il consumatore e dare forma alla creatività attraverso campagne mirate e a tema, con ricadute felici sul proprio storytelling. Molti dei nostri passeggeri, d’altronde, utilizzano i social come canale preferenziale di contatto, e ciò ha necessariamente implicazioni profonde sul valore che tali strumenti assumono per il nostro business». La vostra azienda sta investendo in progetti di company welfare: con quali obiettivi e risultati? «Sin dall’inizio abbiamo compreso l’opportunità di una people strategy che mettesse al centro i dipendenti e fosse in grado di restituire loro quest’idea di centralità attraverso il lancio di particolari iniziative volte a migliorare la percezione del posto di lavoro e a fare dell’azienda un luogo innanzitutto di relazioni. Dalle sedute

di counseling per imparare a gestire lo stress sul posto di lavoro al recente progetto di bookcrossing per creare uno spazio di interazione tra le persone basato sul dibattito, passando per le convenzioni attivate con teatri e altri enti culturali per il tempo libero. Queste iniziative hanno riscontrato un favore crescente da parte dei dipendenti, favorendo il consolidamento del proprio senso di appartenenza a FlixBus anche sulla base di una dimensione strettamente personale ed extralavorativa». Il settore del travel ha ancora molto da innovare? In che modo si possono sviluppare utili sinergie con il mondo del turismo? «Quasi ogni giorno assistiamo a cambiamenti repentini e decisivi sul piano tecnologico che progressivamente ridefiniscono i contorni dei vari settori. Quello turistico non fa eccezione. Per gli attori che si muovono in quest’ambito è impre-


scindibile restare al passo con i tempi, non solo attraverso una graduale digitalizzazione dei servizi, ma anche per mezzo di un approccio sinergico che faccia della collaborazione tra le diverse realtà un punto di forza. Di questo siamo consapevoli: siamo in stretto contatto con gli enti del turismo, le università e altre realtà di promozione e valorizzazione territoriale». In un momento in cui tutti i principali vettori stanno investendo per ridurre l’impatto ambientale dei mezzi, voi cosa state facendo e farete? «Dalla sua fondazione, FlixBus ha sempre avuto un approccio green alla mobilità: da sempre consentiamo infatti ai nostri passeggeri di viaggiare a impatto zero attraverso il pagamento volontario, all’atto della prenotazione, di una piccola quota aggiuntiva sul costo del biglietto destinata ad Atmosfair, impegnata nello sviluppo di progetti di protezione del clima certificati a livello internazionale. Più recentemente abbiamo iniziato a collaborare con Treedom, la prima piattaforma online che consente ai propri utenti di piantare alberi a distanza contribuendo così alla riforestazione. Inoltre, abbiamo introdotto, primi nella nostra categoria, gli autobus 100% elettrici sulla lunga percorrenza, e istruiamo i nostri autisti a tenere uno stile di guida a basso

impatto ambientale per mezzo di training ad hoc. Attraverso il lancio di collegamenti con stazioni, aeroporti e altri hub della mobilità perseguiamo l’obiettivo di una rete intermodale di trasporto collettivo che contribuisca a disincentivare l’uso dell’auto a beneficio dell’ambiente». Anche la diversity sembra un vostro cavallo di battaglia. Un’azienda che punta sull’inclusione, al di là del marketing, ha assi nella manica per emergere nel mercato di riferimento? «Per un operatore internazionale come FlixBus, che opera in 29 diversi paesi e che come mission principale ha quella di avvicinare le persone e collegare fra di loro anche realtà territoriali diversissime, l’inclusione non è tanto qualcosa a cui puntare, quanto piuttosto un aspetto fisiologico. Certamente la presenza di un team molto giovane (l’età media negli uffici di Milano è al di sotto dei 30 anni) favorisce il mantenimento di un ambiente inclusivo e consapevole delle diverse istanze culturali e sociali. Incoraggiamo questo

valore attivamente favorendo soggiorni di lavoro nelle altre sedi, promuovendo eventi interni a livello internazionale e creando altre occasioni di interazione che coinvolgano tutti i paesi in cui FlixBus è presente». Lei è un manager associato a Manageritalia. Qual è il suo rapporto con la nostra organizzazione? «Avere l’opportunità di confrontarsi attivamente con altri manager, favorendo la circolazione di idee e lo scambio di opinioni su temi chiave per l’industria è per me un privilegio. Ritengo che riconsiderare il proprio modus operandi e rivedere le proprie best practice alla luce delle esperienze altrui, rimettendosi continuamente in discussione, sia il modo più efficace per non smettere di migliorarsi. Abbiamo tutti da imparare dagli altri, anche da chi apparentemente opera in un settore molto diverso dal nostro: viviamo in un mondo in cui i punti di contatto fra un ambito e l’altro si moltiplicano e le categorie convergono sempre di più». 

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TAKE IT EASY

La leadership secondo i Millennials Paolo Bruttini socio fondatore e presidente Forma del Tempo

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ARCO ha chinato il suo sguardo sul blocco degli appunti davanti a sé. Ha smesso di muoversi per un lungo attimo, dandomi l’impressione di concentrare tutte le sue energie in un punto solo. «Io non mi riconosco in questa parola. Io non voglio comandare. Ciò che voglio fare è aiutare i miei ragazzi a fare ciò che, ne sono certo, vogliono già fare. Insomma, essere un open leader». Marco è nato nel 1988 ed è il coachee che incontro un paio di volte al mese perché in azienda ha da poco cambiato ruolo. Da pochi mesi è il nuovo responsabile del customer service e si è reso conto di non avere risorse sufficienti per farcela. «Non so come fare per dire delle cose spiacevoli. Non so come si fa a gestire le obiezioni dei colleghi oppure le loro resistenze». Marco tuttavia è dentro allo spirito del tempo, poiché è in relazione con persone che hanno circa trent’anni come lui. Sono diversi dai loro genitori, ma anche dai loro fratelli maggiori. Sono figli di

un tempo per il quale la gerarchia non è il principale meccanismo di ordinamento del reale. La conoscono, l’accettano, ma non sono disposti a considerarsi dentro di essa, ai suoi principi, alla sua logica. Sono individui, ma fanno se stessi a pezzetti. Ne depositano alcuni nelle istituzioni che vorrebbero essere “totali”. Si riprendono i pezzetti alla fine della giornata o alla fine della carriera, poiché ciò che conta è essere padroni di se stessi. Questa è ciò che caratterizza il mondo nuovo. Il mutamento delle persone che va di pari passo con il mutamento del lavoro.

La condivisione di informazioni Oggi possiamo pensare all’impresa come a un wiki. Un sistema open, senza confini, collaborativo e auto-organizzato. Le persone or-


mai fanno al lavoro ciò che fanno nella loro vita privata: nel gruppo del calcetto oppure nel gruppo dei genitori. Aprono WhatsApp e liberamente scambiano messaggi per condividere informazioni e prendere decisioni. Nel fare questo inciampano nelle cadute di stile, nei commenti oziosi, nei diverbi senza rete, a cui i social ci hanno abituato. Ciò che c’è di buono (lo scambio e la condivisione) convive con il cattivo (la perdita di tempo, la fatica a gestire le relazioni).

L’impresa è basata sul modello collaborativo Nelle aziende sono sempre più diffusi questi stessi fenomeni. Il capo area fa un gruppo WhatsApp coi suoi venditori per condividere informazioni. Le infermiere parlano dei turni e dei pazienti. I membri dell’associazione si scambiano

commenti su temi dell’ultima assemblea. Le aziende più evolute adottano degli strumenti collaborativi al proprio interno. Sono ormai molto diffuse le suite di collaboration, che è facile integrare nei propri processi di lavoro. Frequentemente in azienda vediamo usare Microsoft Teams, Slack o Trello. Come profetizzava Stewart Brand, il guru della Silicon Valley che ispirò Steve Jobs, questi non sono solo strumenti.

Gli strumenti impattano il pensiero e l’azione Questi strumenti hanno un impatto epistemologico, culturale. Attraverso di essi costruiamo la nostra conoscenza della realtà, dunque definiamo il nostro rapporto con essa. Poiché il mondo digitale “aumenta” il mondo reale, gli strumenti ci fanno costruire un’i-

Oggi possiamo pensare all’impresa come a un wiki. Un sistema open, senza confini, collaborativo e auto-organizzato. Le persone ormai fanno al lavoro ciò che fanno nella loro vita privata. Aprono WhatsApp e liberamente scambiano messaggi per condividere informazioni e prendere decisioni

dea nuova delle relazioni. Non stiamo pensando tutti, sempre di più, alla nostra vita attraverso alcuni concetti come velocità, personalizzazione, immediatezza? La squadra di Marco deve risponde-

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Management re ai clienti subito. Deve gestire le loro ansie, dimostrare di comprendere il problema in fretta e gestirlo in velocità. In casi come questi, qual è il ruolo del capo? Qual è il ruolo del capo quando il problema richiede la velocità di reazione? Quando si tratta di fare un miglioramento organizzativo in un reparto? Di produrre innovazione o dare un servizio di qualità a un prezzo risicato? Infine, il capo tradizionale è in grado di gestire tutto questo?

L’importanza dell’idea che parte dal basso Nella mia attività di consulente e studioso del mondo del lavoro incrocio tante storie. Sono entrato in contatto ultimamente con l’esperienza straordinaria di Amazon. Un’azienda da 600.000 dipendenti che ha speso, nel 2018, 22 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo. Amazon tuttavia non ha concentrato questa funzione in un solo dipartimento. Amazon adotta un approccio che si chiama Working Backwards che consente virtualmente a ogni dipendente dell’azienda di fare una proposta di innovazione/miglioramento partendo dall’esigenza di un cliente interno o esterno. Si lavora su narrative (testi word e non presentazioni ppt!), in cui partendo dai bisogni del cliente e dai benefici che cerca si costruisce una proposta in grado di dare risposte. Capi che non sono gelosi delle buone

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idee, che sono critici in modo costruttivo, disposti a rischiare e a fallire per far emergere dal basso molte buone idee in grado di aumentare il valore dell’azienda. Non vige più la logica di separazione (top-down oppure funzionale), ma quella della distribuzione. Leadership distribuita, a disposizione di chi vuole prendersela. Di chi vuole rischiare, giocare i propri talenti, incidere.

mentalità è quella di chi sa passare dal “comando” alla “facilitazione”. Ancora una volta la chiave sono gli strumenti, i tool.

Il caso Nova Coop Più vicina a noi è l’esperienza che abbiamo promosso come consulenti di una realtà italiana. Nova Coop (società leader della grande distribuzione nel Nord ovest), che ci ha chiesto come incrementare l’efficienza dei reparti di un proprio ipermercato: la soluzione che abbiamo proposto è stata di affidarsi alle capacità di autodiagnosi degli addetti. Mettiamo in standby per un po’ gli esperti, oppure i capi, nel comprendere quali sono le criticità del negozio e decidere le soluzioni. Mettiamo gli addetti nelle condizioni di capire cosa non funziona e successivamente decidere il percorso da fare. Ma, attenzione, niente trucchi. Non “consulenti buoni” e “capi cattivi”. Alla fine i consulenti se ne vanno e i capi rimangono. È inevitabile che tutto torni come prima. L’azienda ha intrapreso una strada coraggiosa e illuminata. Sono stati formati i capi a interpretare un ruolo nuovo che si chiama Open Agent. La

I benefici di un approccio Openness Quando fai cento discorsi sull’importanza della Openness, del fare un passo indietro, del supporto, del coaching, le persone hanno reazioni di stupore prima e di entusiasmo poi. Intravedono nuove possibilità, un’idea diversa di leadership, una revisione della cultura del comando e controllo. Il tema tuttavia è sempre quello di applicare questi temi, al di là dell’iniziativa individuale, del buon senso, dello stile di management preferito. Come fare per produrre un effetto concreto nell’organizzazione senza stravolgerla? Dare strumenti è la risposta. Alcuni capi e gli assistenti del personale di un negozio di Nova Coop hanno conosciuto e imparato a usare un buon numero di strumenti per supportare i loro gruppi nell’analisi e nelle soluzioni dei problemi organizzativi. Ho uno strumento? Se lo so usare so-

Capi che non sono gelosi delle buone idee, che sono critici in modo costruttivo, disposti a rischiare e a fallire per far emergere dal basso molte buone idee in grado di aumentare il valore dell’azienda

no più potente, posso avere fiducia in me stesso, posso fidarmi che sarò in grado di gestire la situazione. In definitiva fidarmi di quelli con cui lavoro. Il risultato? I capi si stupiscono di non dover “motivare le persone” per farle lavorare bene. Le persone alzano la testa, raddrizzano la schiena. Letteralmente alzano gli occhi e cercano quelli degli altri. Smettono di rintanarsi o cercare vie di fuga. Marco ha alzato gli occhi dal foglio e ha detto: «Io voglio essere un capo diverso». Non è questo un buon motivo per “aprire le organizzazioni”? Per renderle luoghi più degni in cui passare parte della propria vita? 

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FRACTIONAL, IL MANAGER PART-TIME

Molte figure apicali oggi lasciano posizioni in gruppi internazionali per cercare un migliore work-life balance. Il passo successivo? Una naturale transizione di molti c-level in realtà medio-grandi, spesso a connotazione familiare. Facciamo il punto sulle opportunità per i manager senior.

Andrea Pietrini fondatore e chairman YOURgroup

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L MONDO del management è in veloce trasformazione. Il mercato del lavoro, specialmente in occidente, vede una crescente fluidità, soprattutto nel mondo dei dirigenti. Molto spesso figure apicali lasciano posizioni in gruppi internazionali anche per cercare un migliore equilibrio tra vita lavorativa e familiare. Il passo successivo è una naturale transizione di molti c-level in realtà medio-grandi, spesso a connotazione familiare, che possono avvantaggiarsi di profili senior.

Lo scenario attuale delle aziende italiane Sono molte oggi le sfide esterne: le aziende medie e grandi percepiscono che c’è “qualcosa” fuori. Opportunità, sfide e persino minacce. Tuttavia i budget ristretti e un approccio un poco provinciale hanno reso molte imprese, specialmente a gestione familiare, estremamente caute. Esiste senz’altro un margine per una crescita in queste realtà se si integrano alle competenze familiari una visione manageriale esterna. D’altro canto i dati di Ai-


daf (Associazione italiana delle aziende familiari) confermano che c’è un aumento di manager esterni nelle aziende familiari. Ci sono poi le sfide interne. Un cambiamento così veloce porta molte aziende a una posizione di incertezza. Allocare budget su singoli progetti (sia che si parli di investimenti in mercati stranieri che di formazione) implica una previsionalità che spesso, con il management sotto pressione per gestire i processi ordinari, risulta difficile da acquisire.

I vantaggi di una risorsa manageriale “esterna” alla famiglia La tipica impresa familiare, spesso gestita da un imprenditore o da un’imprenditrice di prima generazione, è connotata da managerialità espressa dal mondo familiare o dalla cerchia di conoscenze del fondatore. Alla competenza si predilige spesso la fiducia, a volte con risultati poco incoraggianti. Un manager esterno porta spesso non solo competenze formate e specialistiche, ma anche una visione più lu-

La tipica impresa familiare, spesso gestita da un imprenditore o da un’imprenditrice di prima generazione, è connotata da managerialità espressa dal mondo familiare o dalla cerchia di conoscenze del fondatore. Alla competenza si predilige spesso la fiducia, a volte con risultati poco incoraggianti

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Management condizioni dove la sua attività primaria è “semplificata” da una serie di risorse che si occupano dei dettagli. In un’azienda di medie dimensioni queste risorse possono essere presenti, ma il manager deve comprendere che a volte si dovrà “sporcare” le mani.

Come passare in medie imprese

cida e professionale del contesto aziendale, con indubbi benefici in termini di efficacia ed efficienza. Per fare l’esempio della nostra azienda, YOURgroup, la società che ha introdotto in Italia il concetto di fractional executive, possiamo vedere che i partner che operano in base fractional propongono interventi mirati su un target specifico e la nostra presenza in azienda è definita nel tempo e negli scopi. I nostri manager, con alle spalle mediamente 15-20 anni di attività sul campo, portano una visione nuova, più fresca. Penso a tutti i processi da implementare: troppo spesso le classiche management consulting sono inadatte per implementare efficacemente un progetto.

Opportunità e sfide interessanti Esistono delle sfide che il singolo manager, che sia in fractional,

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temporary o permanent, deve affrontare. Prima di tutto l’ambiente di una media azienda è spesso connotato da una serie di tensioni interne. Penso, per esempio, al passaggio generazionale. Un ruolo importante di un senior manager è quello di affiancare nella governance aziendale il giovane erede della dinastia. Tuttavia è un’attività delicata che non implica solo una conoscenza tecnica ma grandi doti di psicologia, le famose soft skill. Sul fronte personale, il manager che lascia una multinazionale per una media azienda deve rendersi conto che una serie di asset dati per assunti (da cose complesse come il supporto interno a realtà più frivole come il maggiordomo aziendale o il supporto It) sono da considerarsi inutili o da ridimensionare. Ovviamente questo è uno stress, quanto meno iniziale, per il manager abituato a una serie di

Ma come si realizza la transizione da parte del manager? Prima di tutto deve essere pronto a un cambiamento. Deve essere una persona soddisfatta della sua carriera, che ha raggiunto obiettivi, desidera un contesto, magari con meno status, ma in cui la propria azione ha un impatto più diretto e immediato con i risultati aziendali. In aggiunta è necessario essere sicuri delle proprie competenze. Passare in una media impresa implica il doversi raffrontare con pochi livelli intermedi rispetto al contatto con il settore operativo. Questo ovviamente ha un vantaggio, soprattutto per quei manager che si sono annoiati di vedere il mondo solo attraverso fogli Excel. Non devono mancare naturalmente doti di grande flessibilità e di gestione delle relazioni con l’imprenditore e la sua famiglia, dove spesso esistono equilibri delicati. Infine, si deve anche avere un atteggiamento che definirei “pionieristico”. Entrare in un’azienda del tessuto economico italiano slacciata dalle grandi tema-


tiche delle multinazionali significa avere anche un approccio del “fare” e non del “pianificare”, avere una certa proattività che richiede di essere sempre sulla cresta dell’onda. E sfidare, se così possiamo dire, l’ordine costituito, ovviamente in un’ottica di crescita e miglioramento.

ne che hanno deciso di creare il proprio futuro allineato sull’asse vita privata e vita personale. In tal senso non c’è molta differenza rispetto a un manager tradizionale che decide di lasciare una multinazionale. Frazionale implica avere più aziende da seguire, sfide nuove ogni giorno e un approccio creativo.

I settori a più alta domanda/necessità di risorse manageriali

Dobbiamo precisare che managerialità frazionale e permanent non sono mondi separati. Il percorso del fractional può essere fluido. Si può entrare in azienda come fractional executive, anche sotto forma di dirigente part-time, come in un “periodo di prova” in cui l’imprenditore, a volte un po’ restio ad avvicinare un manager strutturato, sperimenta i vantaggi di avere all’interno professionisti preparati e competenti ad affiancarlo. A volte l’esperimento funziona e il manager può rimanere a tempo indeterminato, viceversa ci sono casi di manager che hanno guidato un’azienda verso una fusione, e in seguito hanno deciso che la compagnia avesse bisogno di altre risorse e hanno passato la staffetta a un dirigente assunto a tempo indeterminato per poter continuare il percorso da fractional executive. L’approccio fractional può essere visto come il miglior modo per avvicinare l’azienda familiare alla managerialità, che può essere inizialmente fractional o tempo-

Quali sono i settori che richiedono più risorse manageriali? Semplificando un poco, pensiamo a tutto il settore del manifatturiero. Malgrado la crisi e la contrazione della domanda europea, il made in Italy “retail (prodotti al consumo)” e b2b ha molte perle nascoste. In questo senso una risorsa esterna che può portare una visione nuova sia in chiave di sviluppo sia di innovazione è un passaggio obbligato per molte aziende del manifatturiero. Pensiamo poi a tutte le operazioni straordinarie che un manager esterno può migliorare. Pensiamo ai mercati esteri in continua domanda di beni e prodotti made in Italy, in particolare nei settori delle cosiddette 4 F (food, fashion, furnitur,e fabricated machinery), costituiti in prevalenza da aziende familiari.

Manager frazionali e tradizionali: che differenza? I manager frazionali sono perso-

rary – e quindi percepita come meno “ingombrante” – ma che ha buone probabilità di diventare permanent nel medio periodo.

Le “società ombrello” Le cosiddette “società ombrello”, che potrebbero assumere manager con contratto a tempo determinato o indeterminato, e poi veicolare gli assunti in chiave fractional, rappresentano una modalità che, probabilmente, in

Frazionale vuol dire avere più aziende da seguire, sfide nuove ogni giorno e un approccio creativo

mercati esteri più avanzati si sta già sperimentando. Perché abbia successo un modello societario come questo occorre un mercato con una forte richiesta di competenze manageriali a livello diffuso, che ancora in Italia non esiste. Tuttavia se un modello di impostazione più “imprenditoriale” nella forma e forse un po’ più consulenziale nell’erogazione contribuirà a diffondere e a fare apprezzare il tema della managerialità “esterna”, anche nelle centinaia di migliaia di pmi del nostro paese, ci sono ottime probabilità che ci si possa arrivare presto anche in Italia. 

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Trend

FAMIGLIE DIGITALI Bambini, giovani influencer e mamme alle prese con la tecnologia. Trend, sfide e opportunità Marzia Istria product & brand manager Gut Edizioni

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L DIGITAL ha contribuito a rendere la società “kid & mom friendly” e nel contempo ha modificato lo stile di vita delle famiglie, i loro consumi e le loro abitudini quotidiane (tempo libero, lettura, gioco). Fin dalla tenera età la generazione Alpha (i bambini nati dopo il 2010) e la Z (i nati dopo i 1995) si muovono con disinvoltura tra tablet, smartphone, pc e tutti i device utilizzati dai loro genitori e dai loro nonni. I bambini e i preadolescenti sono dei veri e propri influencer che condizionano la vita e gli acquisti delle proprie famiglie: a loro volta, il 12% dei bambini nelle proprie scelte si fa guidare dai giovani influencer. Gli youtuber più famosi sono i “gamers”: il precursore, lo youtuber Favij, che ha al suo attivo oltre 5 milioni di iscritti al suo canale Youtube; lo youtuber in assoluto più seguito al mondo è il neozelandese PewDiePie. I “musers” italiani dei Musical.ly più famosi/e sono: Elisa Maino, con più di un milione di follower, e Iris Ferrari, mentre le gemelle più famose a livello internazionale sono Lisa&Lena, con oltre 20 milioni di visualizzazioni. Taytum e

Oakley Fisher sono due gemelle identiche da quasi due milioni e mezzo di follower: su Instagram giocano e pasticciano con il gelato. Per il mondo dei videogiochi possiamo citare invece EthanGamerTV e la Gamer Girl, con all’attivo rispettivamente 1,4 e 2 milioni di iscritti (fonte: Inside Marketing, febbraio 2019). I principali mercati dedicati al target 3-13 anni, secondo le ultime stime, hanno generato in Italia complessivamente una spesa in prodotti e servizi (cinema, libri, tv, giocattoli, videogiochi, cartoleria, parchi e articoli editoriali) di circa 3,5 miliardi di euro (Doxa Kids 2019).

Guru bambini? Secondo la definizione di Ansa (maggio 2018) i veri influencer – dai 6 ai 17 anni – sono gli youtuber, nuovi modelli di riferimento che mostrano le proprie abilità nei videogiochi, rivelano i segreti del make-up o raccontano la propria quotidianità con semplicità e ironia (una sorta di diario 2.0.!). Si parla sempre più anche degli youtuber letterari, i cosiddetti “booktuber”, che raccontano e recensiscono libri. Gli influencer, rispetto ai personaggi


famosi, sono modelli più accessibili con cui i ragazzi possono identificarsi e immedesimarsi. I ragazzi li adorano e restano incollati per ore agli schermi di smartphone e tablet. Qualche recentissimo dato: Instagram è il social più amato dai 12-14enni (il 62% ha un account personale) per postare le proprie foto e seguire le story e le dirette dei loro beniamini. Youtube appare sempre più popolare: utilizzato da 7 ragazzi su 10 (Telefono Azzurro e Doxa Kids per il Sid, Security Internet Day, febbraio 2019). Tik Tok (ex Musicaly) è l’app che va più di moda tra i giovanissimi: le canzoni più famose vengono mimate coi gesti, mentre si muovono le labbra in sincrono e si realizzano video velocizzati. Di gran moda anche i corsi di video editing tra i

bambini, per apprendere le tecniche di video montaggio: uno dei mestieri più desiderati dai bambini è infatti quello del video gamer, il creatore di videogiochi.

Mamme 2.0 “Equilibriste tra la vita privata e quella lavorativa”: così vengono definite le mamme italiane nell’ultimo report annuale di Save the Children che analizza la loro condizione attuale nel nostro Paese: decidono di diventare madri sempre più tardi (perché investono anche nel lavoro o perché ne hanno uno precario); rinunciano spesso alla carriera per inconciliabilità con la gestione della famiglia o perché discriminate nel proprio ambiente lavorativo; hanno un carico familiare maggiore rispetto ai papà, ma anche

uno scarso sostegno da parte dei servizi educativi per l’infanzia e delle aziende. In questo contesto complicato, le madri hanno saputo cogliere le opportunità offerte dalla tecnologia, che l’avvento del digital ha reso friendly, immediata e ricca di risorse utili, per esercitare al meglio e con meno stress il proprio ruolo e organizzare i propri impegni. Lo smartphone, ad esempio, consente loro di risolvere in ogni momento e luogo diverse incombenze: pagare una bolletta, consultare il registro elettronico scolastico, aggiornare la lista della spesa o fare shopping online per sé e la famiglia, con un risparmio di tempo e fatica impagabile. Non solo: secondo l’ultima ricerca di Fattore Mamma – società di servizi di marketing e comunicazio-

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B U S I N E S S

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ne mirata a creare forme innovative di relazione tra mamme e aziende – il 91% delle madri dichiara di visitare i social ogni giorno, Facebook in primis, e per il 60% WhatsApp è irrinunciabile. Entrambi hanno un ruolo fondamentale nel consentire alle mamme di mantenere vive le relazioni, ma anche di confrontarsi con le loro pari, in un momento della vita in cui sono tanti i dubbi e le difficoltà. Questo spiega il successo del mummyblogging: una nuova forma di socializzazione e supporto, che si affianca alla rete sociale o la supplisce laddove manca un tessuto di relazioni di riferimento. Infine, la rete offre alle mamme la possibilità di informarsi, relazionarsi e confrontarsi direttamente con i brand e con gli altri utenti: sempre di più sono quelle attive, che condividono la propria opinione ed esperienza, sia positiva che negativa. La sfida per le mamme di oggi è quella di imparare a educare i figli a un utilizzo del digital consapevole e responsabile: non solo in termini di tempo di esposizione, ma soprattutto di contenuti adatti alla loro età e di modalità di comunicazione rispettose verso gli altri. E, da ultimo, a essere loro stesse responsabili, condividendo la fruizione con loro e dotandoli di strumenti in grado di proteggerli dai pericoli della rete. 

Raffaele Tovazzi filosofo esecutivo

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altro giorno sull’Evening Standard, il giornale che distribuiscono nella metro qui a Londra, leggevo un articolo che raccontava di come sia cambiato

il look dei manager nella city. In particolare si faceva notare come entrando negli uffici risulta sempre più frequente incontrare giovani professionisti che non indossano scarpe nere, che rinunciano ai gessati alla Al Capone e che, udite udite, hanno addirittura rinunciato alla cravatta. Verrebbe da dire “non ci sono più i manager di una volta!”, ma evitando le frasi fatte, ti ricordo che la scelta dell’abito con cui si va al lavoro è una questione tutt’altro che superficiale: un po’ come il costume dei supereroi, quel che indossi ogni giorno è un veicolo simbolico di valori e definisce, che tu lo voglia o no, il tuo posizionamento nel mercato. Quello di cui parla l’Evening Standard è un cambio di paradigma nel mercato del lavoro, con l’abbandono della cravatta che fino a qualche tempo fa era un must have, al pari delle scarpe lucide di colore nero (never wear brown in town! dicono i manager a Londra), per chiunque volesse apparire credibile nel mondo del business. Oggi si è però capito che “l’abito non fa il business” e, anziché vestirti per la posizione che desideri occupare, dando vita ad ampollosi eccessi tipici degli anni 80, è molto più smart vestirsi come si veste il tuo cliente. Le neuroscienaze definiscono infatti questa mossa “ricalco estetico”: la corrispondenza nel modo di vestire tra te e il tuo interlocutore crea infatti una naturale sintonia che si traduce in un clima di fiducia reciproco. Indossare la cravatta, quando il tuo cliente non la indossa, non crea più autorevolezza, bensì distanza… Forse perché tanti sono stati fregati dalla “gente in cravatta” e la credibilità oggi non è più un fatto di apparenza, ma di sostanza. Per fortuna.


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Innovazione

ROTTA VERSO IL FUTURO La velocità dei cambiamenti indotti dalla rivoluzione digitale/ globale in corso ha scompaginato i trend lineari che rendevano prevedibili e controllabili gli eventi. Adattarsi a questa situazione in modo flessibile non basta, se si vuole investire nella costruzione del proprio futuro. E allora? Questo articolo cerca di portare l’attenzione sulle idee necessarie per gestire la difficile transizione dal vecchio al nuovo paradigma. Sviluppando così un’idea di futuro – possibile e desiderabile – verso cui fare rotta, ma al tempo stesso creando un rapporto gestibile tra tattiche contingenti e strategia sostenibile, capace di dare senso e valore agli investimenti corrispondenti.

Enzo Rullani direttore TLab – Cfmt

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COSA SERVE ragionare sul futuro se viviamo immersi in un mondo liquido, in cui tutto cambia di momento in momento? In un contesto del genere tutta l’attenzione delle persone e delle aziende finisce per concentrarsi sul presente, rendendo irrilevante sia quello che è accaduto ieri sia quello che potrà accadere domani. Se le cose stanno così, pensare al futuro può sembrare un

divertissement privo di effetti pratici che distoglie dall’unica cosa che veramente conta: l’immediato presente. Ma può la cultura manageriale rassegnarsi a subire passivamente il divenire delle cose senza cercare di scegliere e indirizzare il loro possibile sviluppo? Lo scetticismo verso un futuro che sembra sfuggire alla razionalizzazione e ai calcoli di convenienza accorcia l’orizzonte temporale delle previsioni e delle scelte, e – se non contrastato – spinge a rispondere, in velocità e prontezza, a quanto succede giorno per giorno. Si premia insomma l’adesione alla congiuntura per inseguire i problemi e le innovazioni emergenti, senza domandarsi se e quanto rimarranno al centro della scena. La parola futuro, accorciandosi


sul presente, può in questo modo perdere senso. Al suo posto può sembrare più utile sposare la logica della flessibilità, aderendo agli eventi che emergono al di fuori degli standard e dei piani programmati. Non è una novità: l’epoca dei trend lineari che rendevano i percorsi strategici da seguire non solo prevedibili, ma anche programmabili e controllabili, è finita con la crisi del fordismo degli anni Settanta, quando sono venuti a mancare gli efficaci poteri di controllo sugli eventi ambientali in precedenza gestiti, in ciascun paese, dalle grandi imprese e dallo Stato nazionale. Da allora, la ricerca di soluzioni adattive, all’insegna di un’organizzazione sempre più snella e di una risposta veloce ai problemi emergenti,

ha in effetti fornito una “bussola di riserva” al management, impegnato a fronteggiare la turbolenza e l’imprevedibilità scaturita dalla crisi del fordismo. Ma la rivoluzione digitale/globale, a partire dal 2000, ha cambiato tutto. Perché anche per essere snelli e veloci – in filiere che diventano mondiali e si organizzano attraverso algoritmi digitali – servono investimenti importanti sul futuro, per creare reti, capacità e modelli di business differenti da quelle ereditate dal passato. È iniziata un’epoca in cui il futuro non si prevede: si fa. È una consapevolezza nuova che riaccende una luce pragmatica, attiva, sul futuro possibile desiderabile, da identificare e raggiungere, assumendo i rischi di

È iniziata un’epoca in cui il futuro non si prevede: si fa. È una consapevolezza nuova che riaccende una luce pragmatica, attiva, sul futuro possibile, assumendo i rischi di un orizzonte di medio-lungo periodo

un orizzonte di medio-lungo periodo.

Paradigma In assenza di un atteggiamento intraprendente – proiettato verso un futuro che non si prevede, ma si fa – nella cultura e nella pratica di tutti i giorni finisce spesso per

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Innovazione

Seneca, con un suo famoso detto, ci aiuta anche oggi a chiarire quale sia il senso di una strategia stabile in un contesto di tattiche mutevoli e contingenti: «Non c’è mai vento a favore per il marinaio che non sa qual è il suo porto»

prevalere una sorta di “presentismo” che guarda solo all’immediato. Impedendo, in questo modo, di investire e assumere rischi importanti lungo percorsi di medio-lungo periodo. Il “presentismo” sembra una tattica adeguata a muoversi nel mare in tempesta del giorno per giorno, adattando le parole scelte al movimento di venti che cambiano continuamente direzione.

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Ma – specie nelle scelte manageriali – ha un limite fondamentale: induce a seguire una rotta erratica, riducendo al minimo il rischio di volta in volta assunto, ma facendo sparire dall’orizzonte delle scelte l’idea stessa di poter costruire il proprio futuro. Col risultato di oscurare, nella coscienza dei produttori, un concetto essenziale per la generazione di valore economico: l’idea di paradigma. Ossia la consapevolezza che il potenziale delle innovazioni dirompenti in corso può essere attualizzato e trasformato in valore fruibile dalle imprese e dai loro stakeholder solo se si dà forma organizzata a ecologie produttive che devono allineare molti e diversi fattori: le capacità delle imprese, la divisione del lavoro organizzata nelle filiere, le capacità professionali del lavoro, le aspettative dei consumatori, le regole e gli interventi istituzionali. Oggi, perché il potenziale della

rivoluzione digitale/globale possa emergere, diventando attuale e “spendibile”, bisogna andare avanti progressivamente, organizzando passo per passo un sistema coerente (un paradigma, appunto). Quello che serve come necessario riferimento – nella transizione – per de-costruire il vecchio e ri-costruire il nuovo. È sempre stato così. Nella storia della modernità si sono succeduti diversi paradigmi, ciascuno con la sua specifica coerenza di ecosistema produttivo, funzionale alle capacità tecnologiche e sociali del tempo: il capitalismo mercantile dell’800, il fordismo nel periodo 1900-1970, il capitalismo flessibile 1970-2000, per arrivare al capitalismo globale della conoscenza in rete dell’epoca digitale, post 2000.

Transizione e mis-matching Ma come si fa a costruire il futuro, allineando il proprio percorso a quello del paradigma emergente, se il tutto avviene nel mare in tempesta del presente, in cui i venti cambiano di momento in momento, senza che – nel contesto “liquido” delle emergenze continue – ci siano punti stabili di appoggio per le scelte da fare? Per rispondere a questa domanda ci viene in soccorso la saggezza di Lucio Anneo Seneca che, con un suo famoso detto, ci aiuta anche oggi a chiarire quale sia il senso di una strategia stabile in un contesto


di tattiche mutevoli e contingenti. La sua affermazione: «Non c’è mai vento a favore per il marinaio che non sa qual è il suo porto» ci consente di rimettere insieme tattica (contingente) e strategia (di lungo periodo). Infatti, scegliere un porto di arrivo, sia pure incerto e forse difficilmente raggiungibile, offre un vantaggio strategico fondamentale: rende possibile distinguere i “venti a favore” che spirano nel contesto da quelli sfavorevoli. Nel loro alternarsi, la decisione strategica su quale sia il “porto” verso cui tendere dà una logica di lungo termine alla tattica contingente perché, frenando il proprio percorso quando i venti sono contrari e accelerando, invece, quando sono favorevoli, rende possibile al guidatore della nave di andare avanti lungo una rotta coerente. Evitando il rischio – tipico del “presentismo” – di adattarsi passivamente ai venti che di volta in volta spirano. Col risultato, molto probabile, di girare in tondo. Il porto di arrivo – che pone come meta la costruzione di un paradigma coerente e di modelli di business corrispondenti – dà una direzione di marcia alla transizione, guidando la de-costruzione del vecchio e la ri-costruzione del nuovo. Nella nostra epoca la scelta di una meta verso cui dirigersi orienta le scelte strategiche delle imprese nella trasformazione digitale/globale dei loro modelli di

business, ereditati dal paradigma precedente. Avviando un viaggio di transizione che, specie nella fase iniziale, è tutto in salita, perché ci si trova a lavorare per un obiettivo futuro in un contesto in cui il vecchio non funziona più e il nuovo non funziona ancora. Tutte le transizioni, infatti, hanno una caratteristica: iniziano con una fase di mis-matching, ossia di iniziale disallineamento tra le iniziative prese dai vari soggetti in gioco. E questo vale anche oggi: se un’impresa va avanti sul percorso digitale/globale prescelto si accorge quasi sempre che parti importanti del suo ecosistema la seguono a distanza, preferendo percorsi lenti o inerziali. Altre possono non seguirla affatto o addirittura possono resistere alle innovazioni proposte, dando luogo a una serie di incoerenze che de-potenziano i driver portanti del nuovo paradigma. Il sistema del valore diventa infatti inefficace se alcuni fornitori non investono e non cambiano abbastanza rapidamente le loro capacità e proposte; se gruppi di lavoratori dipendenti ostacolano in vari modi una trasformazione che percepiscono negativa dal loro punto di vista; se i consumatori restano incerti, per cui qualche volta seguono e qualche volta no; se nuovi competitor che entrano in campo non rispettano le regole del gioco. E, infine, se le istituzioni latitano o remano contro.

È uno scenario che vediamo tutti i giorni, ma che non toglie affatto validità alla scelta del porto di arrivo: la presenza di ostacoli e intoppi può forse rallentare il ritmo dell’evoluzione, ma non arrestare l’emergere di un paradigma che progressivamente afferma la sua logica. Perché alla fine, se il mondo va avanti lungo la rotta segnata dalla ricerca delle potenzialità in essere, saranno coloro che più avranno creduto al futuro possibile ad avere per primi i vantaggi – in termini di senso e di valore – del nuovo modo di vivere e lavorare.

Futurability Per mappare il mondo che ormai molti vogliono esplorare, ma conoscono ancora poco, bisogna fare tesoro delle esperienze in corso e

L’Italia del futuro raccontata da 100 protagonisti dell’economia a cura di Cosimo Finzi, Giorgio Del Mare Scaricabile sul sito cfmt.it da luglio Franco Angeli

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Innovazione delle loro traiettorie, a breve e medio termine. La rappresentazione del futuro in progress che ne risulta rende visibile quello che sta per succedere, suggerendoci i modi migliori per attrezzare le proprie idee e abilità in funzione della transizione da realizzare. Ci prepara in questo modo per un viaggio difficile, in cui non basta supe-

rare gli ostacoli che si presentano davanti, giorno per giorno, ma bisogna anche imparare dall’esperienza fatta. Scoprendo il nuovo gradualmente, essendo aperti alla serendipity, che può fornire nuove chiavi di accesso e di senso per il futuro possibile. La scelta della meta verso cui andare, in questa ricerca di nuove

possibilità, è essenziale perché giustifica il viaggio e indica la rotta. Ma quando la meta c’è, e si comincia a esplorare il cammino utile a raggiungerla, è importante ricordarsi che il viaggio – fornendoci la possibilità di apprendere nuove possibilità e anche, eventualmente, di cambiare rotta – è più importante della meta. 

Cosa serve all’Europa A tu per tu con Daniel Gros, economista tedesco che lo scorso 16 aprile è stato special guest all’evento Futurability, un osservatorio promosso da Cfmt e T-Lab che ha come obiettivo visionare le tendenze nei prossimi anni. Gros è attualmente direttore del Centro per gli studi di politica europea (Ceps) e ricopre anche la carica di vicepresidente, come indipendente, di Eurizon Capital Sgr, la società di asset management del Gruppo Intesa Sanpaolo. Cosa serve all’Europa per diventare veramente una federazione di stati che giochi un ruolo a livello mondiale? «L’Unione europea dovrebbe fare un salto di qualità per poter giocare un ruolo a livello mondiale. Nel commercio l’Ue gioca già un certo ruolo, ma non riesce a prendere la guida neanche nella questione fondamentale della riforma del Wto. Nel campo della finanza l’euro è sì una moneta di riserva globale, ma la sua importanza è molto limitata, almeno in confronto con l’economia europea e il peso del commercio europeo. Nel campo della sicurezza l’Europa purtroppo non esiste. Non ha né i mezzi (forze armate comuni) né la volontà di mettersi insieme e pesare nei

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PUBBLICITÀ LOWEN-COM

grandi problemi geo-strategici con l’Iran, il Medio Oriente ecc.». Cosa serve invece “all’Europa tutta” per rafforzare e ridare slancio alla propria economia? «L’economia europea sta meglio di quanto molti pensano. In termini di occupazione e anche di crescita del pil per abitante l’Europa non va peggio degli Stati Uniti. Ma con una demografia in declino l’economia totale non cresce molto anche se il benessere (pro capite) aumenta regolarmente. Per accelerare con una popolazione in declino ci vorrebbe molto più investimento in educazione, ricerca e sviluppo». Oltre all’economia, cosa serve vera-

mente al vecchio continente per farsi “desiderare” dai suoi cittadini? «I sondaggi ci dicono che l’Europa viene apprezzata, ma non “desiderata” dai cittadini. Magari è chiedere troppo che i cittadini amino l’Ue. Una Federazione “nascente” progredisce non perché viene desiderata, ma perché apporta soluzioni che i singoli stati membri non possono offrire, più sicurezza contro pericoli interni ed esterni». Qual è il problema che fa dell’Italia l’ultima ruota del carro europeo a livello economico in questi ultimi anni? «Il sistema Paese non funziona. Troppi interessi pongono dei veti incrociati. Le mancate liberalizzazioni e il debito pubblico ne sono la conseguenza».


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OSSERVATORIO LEGISLATIVO a cura di Manageritalia

PREMI DI RISULTATO E WELFARE AZIENDALE

osservatorio

I dati del Mef per il 2017

S

econdo il ministero dell’Economia e delle finanze la nuova disciplina della tassazione sostitutiva dei premi di produttività introdotta nel 2016 ha interessato, nel corso del 2017, oltre 2,1 milioni di soggetti (+11,6% rispetto al 2016), per un ammontare di circa 2,7 miliardi di euro di retribuzione (+35,4% rispetto al 2016). Si tratta quindi di circa il 10% dei 21.817.742 lavoratori che nel 2017 hanno percepito un reddito da lavoro dipendente e assimilati. Se da tale somma si tolgono però i dipendenti del settore pubblico e le “collaborazioni”, per cui non sono previste forme di detassazione, la percentuale raggiunge circa il 15%. Il valore medio del premio nel 2017 è stato di 1.270 euro annui. C’è stata quindi una crescita rispetto al 2016, in cui il valore medio era pari a 1.040 euro. Restano importanti differenze territoriali: i premi con un valore più elevato si trovano nelle regioni del Sud. Tale dinamica è dipesa dal fatto che in queste regioni i premi di produttività sono erogati soprattutto da grandi gruppi indu-

striali. Basilicata (1.660 euro di premio annuo medio) e Molise (1.590 euro medio) sono le regioni ai vertici di questa distribuzione. Le regioni settentrionali presentano un numero maggiore di lavoratori interessati ma valori medi più bassi della media nazionale. Basta osservare ad esempio il caso dell’Emilia Romagna (1.110 euro) e del Veneto (1.080 euro). Questo fenomeno è dovuto a una più ampia diffusione della contrattazione aziendale che, in queste regioni, interessa molte micro, piccole e medie imprese. Questi soggetti hanno margini economici inferiori rispetto alle grandi realtà che interessano invece il Meridione. Se si osservano i fattori che caratterizzano queste forme contrattuali si comprende come ci siano limiti evidenti sia sul piano territoriale (Nord vs Sud) sia per quanto riguarda la dimensione aziendale (pmi vs grandi imprese). Il documento del Mef presenta poi alcuni dati riguardanti quei lavoratori che hanno scelto di convertire il proprio premio

di risultato in beni e servizi di welfare aziendale. In totale, secondo il ministero, sarebbero 130.743 i dipendenti ad aver preferito tale opzione che ha consentito loro di godere di un budget welfare da spendere in misure regolamentate dagli artt. 51 e 100 del Tuir. Nel 2017 l’opzione di trasformare in welfare il premio di risultato era prevista dal 22% degli accordi aziendali e questa possibilità, in media, è stata accolta da meno del 30% dei lavoratori. È da tre anni che si può convertire esentasse il premio di produzione in benefit, con l’introduzione di rimborsi (non tassati in busta paga) per servizi di utilità quotidiana, come i buoni libri o i centri estivi per i figli, i buoni spesa, l’abbonamento ai trasporti pubblici o versamenti aggiuntivi ai fondi pensione. Permane purtroppo ancora un divario culturale tra i più giovani che non hanno aderito al programma per il fondo pensione e, per questo, servirebbe più comunicazione. http://bit.ly/DatiMef2017

UTILE VADEMECUM DEL MISE SUGLI INCENTIVI ALLE IMPRESE

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ul sito del ministero dello Sviluppo economico è disponibile una guida che contiene tutti gli incentivi rivolti all’imprenditoria italiana. Scopo dello strumento è quello di aiutare gli imprenditori a trovare gli aiuti e i servizi più utili in base alle loro esigenze, tutti raccolti in un’unica guida: la difficoltà delle imprese oggi sta proprio nel fatto che gli incentivi sono frammentati tra i vari ministeri e tra società partecipate o controllate. Non solo quindi gli incentivi e i servizi del ministero dello

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Sviluppo economico e il ministero del Lavoro, ma anche dell’Agenzia delle entrate, Cassa depositi e prestiti, Gse, ENnea, Finest, Invitalia, Inps, Ice, Unioncamere, Sace, Simest, SofiCoop. In tal modo il vademecum fornirà tutte le informazioni sui servizi che le pubbliche amministrazioni mettono a disposizione delle imprese italiane e sarà aggiornato periodicamente. http://Incentivi.gov.it


PASQUALE TRIDICO: AUDIZIONE IN PARLAMENTO DEL PRESIDENTE INPS

A

i primi di aprile Pasquale Tridico, davanti alle due commissioni Lavoro della Camera e del Senato per procedere all’esame del parere di nomina alla presidenza dell’Inps, ha presentato anche le proprie linee guida. Tridico ha affermato che l’Inps, gestendo 800 miliardi di euro dell’economia italiana, amministra sostanzialmente più di un terzo del Pil. Essendo quindi l’Istituto un centro nevralgico di tutte le innovazioni sociali del Paese, a suo avviso c’è un forte collegamento tra l’Istituto e la politica. Tuttavia l’Inps ha la sua autonomia tecnica e di giudizio che deve essere preservata. Le priorità indicate da Tridico riguardano la necessità di ricostruire un polo medico proprio dell’Inps, la costituzione di una direzione per la formazione continua, la creazione di una scuola nazionale del welfare (intitolata a Federico

Caffè), la separazione tra previdenza e assistenza, il ripristino del personale degli ispettori Inps, considerata la loro una funzione strategica per recuperare miliardi di evasione contributiva. Il presidente ha affermato l’utilità dello strumento del reddito di cittadinanza che avvicina le istituzioni ai cittadini. Infine, riguardo al welfare pubblico, è convinto che l’Inps sia un baluardo per la redistribuzione della ricchezza tra le generazioni. Nel dibattito che è seguito è stato esortato a conservare la terziarietà e l’indipendenza nei riguardi dell’Esecutivo e a migliorare la sensazione di vicinanza dell’Istituto percepita dai cittadini.

Tridico ha rassicurato i parlamentari circa la sua indipendenza dall’azione di governo e sull’estensione della trasparenza e l’accessibilità delle banche dati dell’Inps. Infine ha preannunciato che diffonderà i servizi dell’Istituto con una campagna di sensibilizzazione (“Inps per tutti”) nelle località più critiche del Paese.

INCENTIVO OCCUPAZIONE SVILUPPO SUD Online il decreto Anpal

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on il decreto direttoriale n. 178/ 2019 l’Anpal istituisce l’Incentivo occupazione sviluppo Sud in grado di favorire l’assunzione di persone con difficoltà di accesso all’occupazione. L’incentivo spetta ai datori di lavoro che assumano, tra il 1° maggio e il 31 dicembre 2019, persone disoccupate in possesso: di un’età compresa tra i 16 e 34 anni; 35 anni di età e oltre, privi di impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi, ai sensi del decreto del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali del 17 ottobre 2017; persone che non devono avere avuto un rapporto di lavoro negli ultimi 6 mesi con il medesimo datore di lavoro. L’incentivo può essere riconosciuto per le assunzioni a tempo indeter-

minato sia a tempo pieno che part-time, anche a scopo di somministrazione, nonché per i rapporti di apprendistato e per i rapporti di lavoro subordinato in una cooperativa di lavoro. L’agevolazione riguarda le assunzioni effettuate nelle regioni Abruzzo, Molise, Sardegna, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia e l’attuazione è demandata all’Inps che fornirà i chiarimenti sulle modalità operative della misura. L’entità economica è pari alla contribuzione previdenziale a carico del datore di lavoro, per un importo massimo di 8.060 euro su base annua. Il termine per la fruizione dell’incentivo è il 28 febbraio 2021. http://bit.ly/DecretoDirettoriale-178

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Comunicazione

BOCCACCIA MIA… Le parole tragiche: cosa NON dire quando ci relazioniamo con i nostri clienti all’inizio, durante la conversazione e quando vogliamo arrivare al dunque Anna Fonseca psicologa e trainer

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I È MAI CAPITATO di rovinare l’atmosfera relazionale, semplicemente pronunciando una parola sbagliata? A me è capitato. Fino a quel momento, tutto filava liscio, il cliente sembrava coinvolto, si respirava un clima disteso e di reciproca comprensione, poi tutto a un tratto arriva lei, forse in un momento di stanchezza, di deconcentrazione ed ecco: la parola tragica, in grado di innalzare le difese e allontanare l’interlocutore. Le parole creano rappresentazioni mentali, generano emozioni. Fecondano il cervello e guidano i nostri comportamenti. Proferire la parola giusta in una conversazione ha il potere di convincere, indirizzare la mente dell’interlocutore verso un paesaggio disteso, confortevole, che porterà sicuramente verso una meta proficua. Al contrario, il nostro cervello è sensibile a parole che evocano immagini e sensazioni negative. Le parole tragiche fanno scattare l’allarme generale e inducono comportamenti di chiusura, di difesa e sfiducia. Nella teoria degli atti linguistici

di Austin si sottolinea l’aspetto pragmatico della comunicazione: parlare significa compiere un determinato atto, denominato appunto atto linguistico. Questo produce un cambiamento dentro di noi e intorno a noi perché nel parlare l’individuo compie sempre un’azione, perché dire è fare! Le parole tragiche inducono cambiamenti negativi nei pensieri e di conseguenza nelle azioni. Qui saranno esplorate alcune delle parole tragiche che comunemente vengono pronunciate in una conversazione business. Per una maggiore comprensione didattica, le ho classificate in tre tipi: parole tragiche iniziali, parole tragiche in itinere, parole tragiche decisionali.

CHI BEN COMINCIA… Le parole tragiche iniziali sono quelle che vengono pronunciate in fase di apertura di una conversazione, telefonica e non. È abbastanza frequente imbattersi in espressioni del tipo “Scusa, ti posso disturbare?” o durante le prime battute di una telefonata “Signor Rossi, mi scusi se la disturbo”. Se anche a te è capitato di pronuncia-


re una di queste frasi, desidero offrirti una riflessione: se il tuo cliente non stava minimamente pensando al concetto di disturbo, ora, sappi che tu glielo hai ricordato e potresti sollecitare una sensazione di fastidio. Ti sembra positivo creare all’inizio di una conversazione un’atmosfera legata al disturbo? Pronuncia ora, ad alta voce: DISTURBO. Che tipo di sensazioni provi? Positive? Non credo. Hai appena provato la stessa sensazione del tuo interlocutore. La stessa cosa vale per altre frasi tragiche come “Le posso rubare 5 minuti”. Il verbo RUBARE è uno di quei verbi che solo a pronunciarlo fa sorgere l’istinto di verificare se il portafoglio è ancora al suo posto. Tra l’altro questa espressione è

vietatissima, ancor più se si opera in un contesto finanziario. La mia ex banca (appunto ex) mi faceva contattare al telefono da neofiti della comunicazione: “Signora, posso rubarle 5 minuti?”. Quali pensieri si possono associare a una simile domanda? Il minimo che si possa pensare è: “Se cominci a rubare il mio tempo, chissà poi cosa mi ruberai”. Fai attenzione dunque alle prime parole che pronuncerai all’inizio di una conversazione, perché una parola sbagliata è in grado di creare un’immediata chiusura nel tuo interlocutore e di alzare barriere difensive! Ti chiederai con quale locuzione si possano sostituire queste frasi tragiche? Semplice, con un bel “È un buon momento per te/lei?”

Il nostro cervello è sensibile a parole che evocano immagini e sensazioni negative. Le parole tragiche fanno scattare l’allarme generale e inducono comportamenti di chiusura, di difesa e di sfiducia

DURANTE LA CONVERSAZIONE Le parole tragiche in itinere sono quelle pronunciate durante la conversazione. Talvolta vengono utilizzate nel fornire informazioni sui prodotti o servizi offerti. “Questa nostra soluzione sfrutta…”. SFRUTTARE? Ti pare un verbo in grado di sollecitare sen-

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Comunicazione sazioni positive? Lo sfruttamento è legato al concetto spremi il limone sino all’ultima goccia, ricava il massimo da ogni risorsa, per qualcuno “Spenna il tuo cliente fino all’ultimo centesimo!”. Il verbo sfruttare può essere sostituito dal verbo utilizzare, quindi si potrà dire: “Questa soluzione utilizza…”. Un altro verbo incriminato è APPROFITTARE. Sovente si potrà sentire “Ne approfitto per chie-

Parlare significa compiere un atto linguistico. Questo produce un cambiamento dentro di noi e intorno a noi perché nel parlare l’individuo compie sempre un’azione, perché dire è fare!

derti…”. Il verbo approfittare ha il significato letterale di trarre il proprio vantaggio da una situazione. Al proprio vantaggio, non dell’interlocutore, e questo fa la differenza per il nostro cliente, che subito nel suo immaginario mentale pensa: “E io cosa ci perdo?” Nessuna accezione positiva dunque per il verbo approfittare, per questo meglio non pronunciarlo. La locuzione positiva è invece “Colgo l’occasione per…”. Il termine PROBLEMA , anche

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questo evoca emozioni negative, istantanee. Del resto chi ha voglia di ascoltare dei problemi! I problemi sono sempre legati a difficoltà in cui nessuno di noi si augura di trovarsi. Il significato di questo sostantivo è legato a un ostacolo che rende difficile il raggiungimento di un determinato obiettivo o soddisfacimento di una certa esigenza. Niente di più lontano dal concetto di persuasione. Questo termine dovrebbe essere abolito dal vocabolario di un venditore, semmai ci si può concedere una frase del tipo “È una questione da risolvere”. Questa locuzione è proiettata verso una soluzione e anche a livello sonoro evoca immagini e sentimenti più positivi rispetto al termine problema. Credo che a questo punto sia abbastanza chiaro: occorre porre molta attenzione quando si “maneggiano” le parole, altrimenti l’allarme comincia a suonare! Durante la conversazione può capitare che l’interlocutore abbia il desiderio di dire qualcosa (giustamente!). Sarà buona pratica mettere in atto un ascolto partecipativo, lasciando spazio all’interlocutore e poi, vietatissimo, ribattere con un SÌ, MA…. Il Ma, congiunzione coordinativa avversativa, esprime contrapposizione al termine che la precede. Così come anche l’utilizzo del PERÒ, ancora più avversativo. La formula più elegante e per-

suasiva per argomentare è l’utilizzo della congiunzione “e”, che ha il potere di conferire pari dignità argomentativa alle parti coinvolte. Attraverso l’utilizzo della congiunzione “e” si veicola un messaggio molto costruttivo: “Tu hai ragione e ce l’ho anche io”. Anche l’utilizzo degli imperativi è sconsigliabile nella comunicazione persuasiva: SENTA – GUAR-

DI – ASCOLTI. Molto spesso, queste forme verbali sono utilizzate come parole per intercalare il flusso della comunicazione. Ma queste forme verbali sono perentorie, non lasciano spazio di replica e, come dico spesso, hanno il dito indice all’insù, con un retrogusto direttivo. ARRIVANDO AL DUNQUE Infine, le parole tragiche decisionali, di solito pronunciate per indurre un comportamento nel nostro interlocutore. Una frase che mi è capitato spesso di ascoltare da parte di venditori maldestri è “LE PUÒ INTERESSARE?”, oppure “Le interesserebbe…?”. Queste domande, rivolte a un prospect, hanno il potere di incitare una vera porta in faccia verbale. Pensaci. Il tuo interlocutore è un prospect, siamo alla prima telefonata o al primo incontro, ma come puoi pensare che lui ti risponda con un “Sì, sono interessato”? Se fosse stato interessato, ti avrebbe cercato lui, non


credi? O avrebbe già soddisfatto questa esigenza! Inoltre, tutti noi siamo restii a mostrare le nostre preferenze a un venditore, perché sappiamo che se lo facessimo, da quel momento in poi, saremmo bersagliati di offerte e promozioni. Quando si entra in un negozio è un classico gironzolare tra gli scaffali facendo finta di niente, e quando l’operatrice di vendita ci segue osservandoci e chiedendoci “Come posso aiutarla?”, solitamente rispondiamo con un “Sto dando solo un’occhiata”. Perché? Perché vogliamo sentirci liberi di scegliere, di valutare senza ricevere pressioni

di alcun tipo. Se vuoi conoscere le intenzioni del tuo prospect, ti suggerisco di utilizzare una locuzione più dolce come “Le farebbe piacere …”. E poi, a seconda dei casi, potrai aggiungere: valutare, ascoltare, vedere, ricevere un approfondimento. Infine, la frase “Ci risentiamo più avanti…”. PIÙ AVANTI, quando? Più avanti non fornisce nessuna direzione precisa, lascia gli argomenti in sospeso, senza fornire un’indicazione puntuale. Ti consiglio di dare sempre un contorno preciso alla tua call to action. Una data e un’ora precisa: “Mi annoto di richiamarla il 15 aprile

alle ore…”. Questa modalità prende per mano la mente del tuo cliente. Inoltre, il messaggio psicologico associato alla precisione è di affidabilità, di organizzazione mentale e di accuratezza. Ricordati di pesare le parole prima di pronunciarle e chiediti sempre se la parola che stai utilizzando per esprimerti evoca emozioni positive o negative. Quelle negative fanno sempre suonare l’allarme rosso e non sempre sarà possibile recuperare, soprattutto all’inizio di una relazione. Non si avrà più una seconda occasione per fare una prima buona impressione. 

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Innovazione

DIGITAL SHOCK Le competenze per il futuro? Sempre più soft… sofisticate, sfuggenti e soprattutto difficili da costruire. I punti di forza e debolezza della trasformazione digitale e le sfide di fronte alle quali pone azienda e manager

Una sfida non solo tecnologica Andrea Granelli socio fondatore Kanso La cosiddetta digital transformation dipende quasi interamente dal rafforzamento (e centratura) dei fattori umani a valle della digital

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automation. Viene in mente la visione di Adriano Olivetti, la sua scelta di integrare – in un’azienda tecnologica, innovativa e di grande successo – intellettuali e umanisti in modo che lavorassero a braccetto con i migliori ingegneri. Non è quindi sufficiente una banale e superficiale alfabetizzazione; bisogna costruire comprensione, sensibilità e senso critico nei confronti del fenomeno nel suo com-


I

plesso. Non basta conoscere i trend tecnologici e le principali applicazioni digitali di moda, i benefici della specifica applicazione o essere addestrati al suo utilizzo. Per comprendere il senso della rivoluzione digitale in corso, prima ancora di parlare di competenze, è necessario partire dall’acquisizione di una nuova consapevolezza relativa al tema della trasformazione digitale e dei punti di forza

e debolezza che tale fenomeno presenta, oltre che delle sfide di fronte alle quali pone azienda e manager. Il contesto in cui operiamo e viviamo è sempre più complesso, imprevedibile e ambiguo. Inoltre la conoscenza codificata e le azioni facilmente automatizzabili (le competenze hard) verranno gestite direttamente dalle macchine, nelle loro varie conformazioni. Per questi motivi le competenze soft – il soft-power – saranno sempre più importanti e necessarie per i leader: pensiero critico, mentalità indiziaria, capacità di astrarre e riflettere, sense making, abilità persuasiva e negoziale ecc. Molte di queste si rifletteranno nell’abilità di leggere dati e informazioni, evitare errori già fatti, decidere e persuadere su azioni presenti, anticipare azioni future. E una delle soft skill più importanti è (e sarà sempre di più) il pensiero critico, il sano scetticismo, anche applicato ai dati, alle soluzioni tecnologiche e alla lettura dell’uomo. Niente però sarà più hard della costruzione di queste soft skill. Sono sfuggenti, tacite e richiedono sia una lunga esperienza sul campo sia uno studio sistematico e continuativo e una piena consapevolezza del livello conseguito (e anche dei propri limiti). La loro “fabbricazione” sarà dunque una priorità e assorbirà molte energie e risorse. Il digitale può aiutare, ma è pur sempre uno strumento, seppur potentissimo. Il metodo di fabbrica-

zione deve ri-attingere alla cultura sapienziale (per troppo tempo sostituita con metodi e nuove tecnologie), alle riflessioni dei grandi educatori (Don Milani, Paulo Freire, Edgar Morine ecc.) e ridare nuova centralità alle arti liberali, al ruolo del maieuta, alla lettura dei classici e una migliore comprensione del sé. Fra gli osservatori che analizzano le trasformazioni delle competenze e i think tank che studiano trend e il futuro del lavoro c’è infatti pieno accordo su un fatto: le compe-

Le competenze soft saranno sempre più importanti e necessarie per i leader: pensiero critico, mentalità indiziaria, capacità di astrarre e riflettere, sense making, abilità persuasiva e negoziale

tenze più importanti per il prossimo futuro saranno soft. E ciò per due motivi principali: quelle hard verranno sempre più assunte dalle macchine nelle loro varie conformazioni e configurazioni (reti neurali, sistemi di intelligenza artificiali, robot e androidi intelligenti); la volatilità, imprevedibilità, complessità e ambiguità (riassunte nell’acronimo Vuca) del contesto

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Innovazione

Ritorna il ciclo di incontri “DAI - Digital awareness improvement, Conversazioni sulla trasformazione” per approfondire sia i più importanti temi connessi ai driver tecnologici relativi alla trasformazione digitale sia la componente umana – quella soft – che consente di riprogettare le organizzazioni, i processi e le competenze per cogliere il meglio delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Cambiano i contesti, le dinamiche competitive, i rischi, gli strumenti di lavoro, i valori manageriali e soprattutto la mentalità e la sensibilità dei collaboratori (e dei clienti), in particolare di quelli più giovani. E l’esperienza che viviamo sul campo cambia i nostri comportamenti anche in modo consapevole e meditato. Per questi motivi anche il “mestiere del manager” richiede aggiornamenti periodici. Con il supporto di Stefano Epifani affronteremo i più importanti temi connessi ai driver tecnologici relativi alla trasformazione digitale: realtà virtuale e realtà aumentata; intelligenza artificiale e blockchain. Con il supporto di Andrea Granelli approfondiremo gli aspetti culturali, valoriali e relazionali, parleremo di fake news, macro trend, big data e mentalità indiziaria. I prossimi 3 appuntamenti: REALTÀ VIRTUALE E REALTÀ AUMENTATA: COSA CAMBIA NEL MONDO DEI SERVIZI Milano, 26 giugno - orario 17,30-19,30 Roma, 15 novembre - orario 13-15 BIG DATA E MENTALITÀ INDIZIARIA Milano, 18 settembre - orario 17,30-19,30

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INTELLIGENZA ARTIFICIALE: APPLICAZIONI ATTUALI, IMPATTI SUI MODELLI DI BUSINESS, MINACCE E PROSPETTIVE PER IL SISTEMA DEI SERVIZI Milano, 20 novembre - orario 17,30-19,30 Per informazioni e iscrizioni: MILANO: Luigia Vendola - luigia.vendola@cfmt.it - tel. 02 5406311 ROMA: Veronica Ciccarone - veronica.ciccarone@cfmt.it - tel. 06 5043053 http://bit.ly/CfmtDAI2019

in cui viviamo e operiamo richiedono competenze adattive, interdisciplinari, aperte (e quindi soft). Mai però espressione più infelice – soft – è stata utilizzata per descrivere un gruppo di competenze sofisticate, sfuggenti e soprattutto molto difficili da costruire. Per

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questi motivi il secondo ciclo di incontri “DAI – Digital Awareness Improvement continua ad approfondire sia i più importanti temi connessi ai driver tecnologici relativi alla trasformazione digitale sia questa dimensione soft, che consente di riprogettare le organizza-

zioni, i processi e le competenze. Cambiano i contesti, le dinamiche competitive, i rischi, gli strumenti di lavoro, i valori manageriali e soprattutto la mentalità e sensibilità dei collaboratori (e dei clienti), in particolare di quelli più giovani, ma anche i nuovi senior pro-


dotti dall’allungamento della vita media. Per questi motivi anche il “mestiere del manager” richiede aggiornamenti periodici per aumentare la loro preparazione nel cogliere le sfide della trasformazione digitale.

Una rivoluzione di senso Stefano Epifani presidente Digital Transformation Institute e direttore Tech Economy Uno dei rischi più grandi quando si affronta un cambiamento è non coglierne il vero senso, nella vita come nel business. Ma se è vero che nella vita non è mai troppo tardi per cambiare il senso delle cose, lo stesso non può sempre dirsi del lavoro. Ne sa qualcosa, tra gli altri, Blockbuster. Troppo concentrata sul suo business model e troppo convinta di essere inattaccabile nel modello di creazione del valore, è stata forse un po’ precipitosa quando ha rispedito al mittente i fondatori di una piccola startup interessata a farsi rilevare. Oggi Blockbuster è un ricordo. E quella startup era Netflix. Quella Netflix che ha ridisegnato le regole del settore del quale Blockbuster era uno degli attori più importanti. Storie non troppo diverse avrebbe-

ro da raccontare colossi come Kodak, Nokia e molti altri. Storie nelle quali uno degli errori fatali è stato quello di confondere due concetti solo parzialmente sovrapponibili: digitalizzazione e trasformazione digitale. Entrambi riguardano l’innovazione, certo. Ne sono motori. Ma se il primo è ormai un contesto abbondantemente esplorato (seppure talvolta senza troppo entusiasmo né successo) è dal secondo che dipende il futuro di intere industry. La trasformazione digitale, infatti, non tocca (soltanto) la capacità delle aziende di rivedere i propri processi per cogliere i vantaggi del digitale. Se l’informatica e la digitalizzazione hanno riguardato una rivoluzione del “come” fare le cose, infatti, la trasformazione digitale va ben oltre. È un fenomeno che nasce dalla società, figlio della pervasività della rete e dei suoi impatti sulle persone, sulle relazioni, sui mercati. Determina una vera e propria rivoluzione del “cosa” abbia senso fare in un contesto totalmente nuovo. Riguarda le leve di scelta del consumatore, le dinamiche di scelta, i processi di creazione del valore. È una vera e

Uno dei rischi più grandi quando si affronta un cambiamento è non coglierne il vero senso. Ne sa qualcosa Blockbuster. Troppo concentrata sul suo business model, è stata forse un po’ precipitosa quando ha rispedito al mittente i fondatori di una piccola startup interessata a farsi rilevare. Oggi Blockbuster è un ricordo. E quella startup era Netflix

propria rivoluzione di senso. Il senso dei mercati, della concorrenza, dell’azienda. Un senso che la trasformazione digitale ridisegna sulla base di regole nuove nelle quali la tecnologia è motore di cambiamento. Cambiamento del quale cogliere la direzione per sfruttarne le opportunità prima che se ne subiscano le retroazioni negative. Cambiamento che riguarda tutte le aziende, tutte le industry, tutti i manager. Cambiamento che riguarda tutti noi. 

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Economia

DISTRIBUTORI AUTOMATICI: BOOM IN ITALIA L’Italia è il paese europeo col maggior numero di distributori automatici installati, ce n’è uno ogni 73 abitanti contro una media Ue di 1 ogni 190 e il parco macchine è cresciuto di oltre 12mila macchine nel 2018 (+1,4%)

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L’

ULTIMO studio di settore di Confida, l’associazione italiana della distribuzione automatica, realizzato in collaborazione con Accenture, certifica che lungo lo stivale alla fine dello scorso anno si è raggiunto il numero di 822.175 vending machine presenti in uffici e luoghi pubblici. La Francia, che è al secondo posto, ne ha circa 600mila e la Germania poco più di 550mila. I distributori si trovano soprattutto nelle aziende private: 34% nell’industria e 17% nel commercio. Quasi un 20% nel pubblico, con scuola e università che rappresentano l’11% del totale. C’è poi un 9% nella sanità (pubblica e privata) e solo un 3% nei luoghi di transito come le stazioni ferroviarie e della metropolitana. «La produzione di macchine per la distribuzione automatica – afferma Massimo Trapletti, presidente di Confida – è sempre più un esempio di made in Italy che

funziona: il 70% viene esportato e nel settore lavorano anche 3.000 aziende di gestione che offrono un servizio di qualità e certificato. In uno scenario di stagnazione dei consumi il nostro settore mostra segni di vitalità ed esprime una qualità crescente. Nel 2018 il giro d’affari ha sfiorato i 4 miliardi di euro, con oltre 12 miliardi di consumazioni complessive tra cibi, bevande e caffè porzionato (capsule e cialde), per una crescita del 4,7% rispetto al 2017».

Cosa acquistano gli italiani al distributore automatico? Nell’ultimo anno il fatturato legato ai soli distributori automatici è cresciuto del 3% raggiungendo quasi i 2 miliardi di euro con le consumazioni in aumento dello 0,8% (circa 5 miliardi). In media lo scorso anno un italiano ha fatto 83 acquisti alle vending machine, che salgono a 97 se consideriamo una popolazione fra i 14 e i 90 anni. Si tratta di poco meno di 2 acquisti a settimana.

Caffè: il prodotto più consumato Il caffè rappresenta il prodotto più consumato dell’automatico, con l’86% dei volumi del caldo, che corrispondono a 2,8 miliardi di consumazioni (+1,68%), come se tutti gli italiani maggiorenni in media consumassero almeno più di un caffè alla settimana davanti al distributore.


Il caffè in grani è il più utilizzato nel mercato, con una quota dell’84%, e il consumo aumenta ancora nell’ultimo anno: +1,2%. Segno che il caffè può essere buono anche al distributore automatico e che vengono utilizzate dagli operatori del settore sempre più miscele di qualità.

Acqua, energy drink e tè Delle 991 milioni di bevande fredde vendute ai distributori automatici (+0,3% rispetto al 2017) l’acqua minerale naturale rappresenta il 77% del segmento e conferma una crescita contenuta (+0,43). L’acqua liscia aumenta quasi dell’1% a quasi 532 milioni di bottigliette vendute, mentre quella gasata arretra di mezzo punto (-0,6%) a 235 milioni di bottiglie. Significativo è l’incremento del tè freddo (+4%) con 60,3 milioni di consumazioni, degli sport drink con 9,6 milioni di confezioni (+7%) e degli energy drink con 1,8 milioni di consumazioni (+4,5%).

Bevande gassate Le bibite analcoliche sono in calo dell’1,47% nel complesso. Le bevande al gusto cola (che rappresentano il 66% dei volumi) sono le uniche a registrare un incremento di quasi un punto (+0,9%) con 63,5 milioni di consumazioni. Soffrono le bevande al gusto arancia (-6,5%), pari al 22% di questo comparto, e le altre bevande gasa-

te (-4,3%). In entrambe le categorie sono in calo le lattine (-5,2%) a favore di altri formati (Pet 0,5 e Pet 0,33) che crescono dell’8,8%. Tra le bevande il chinotto registra, infine, il calo più consistente: -7,14%.

Più snack dolci che salati, cresce il cioccolato

Nel 2018 il giro d’affari ha sfiorato i 4 miliardi di euro con oltre 12 miliardi di consumazioni complessive tra cibi, bevande e caffè porzionato (capsule e cialde), per una crescita del 4,7% rispetto al 2017

Agli italiani piacciono più gli snack dolci (323,3 milioni di con-

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Economia fezioni vendute) che salati (265,4 milioni di consumazioni) e insieme rappresentano il 75% del segmento, che è sostanzialmente stabile. Il cioccolato non arresta la sua avanzata: +1,8% e 144,6 milioni di pezzi venduti, molte più barrette (103,5 milioni) che tavolette. Tra gli snack dolci si registra un calo per i biscotti (-2,9%) e un incremento per i prodotti da forno (+1,6%).

snack e bevande per una pausa veloce ma si pensa anche alla pausa pranzo. Buone le performance registrate dai pasti pronti con acquisti in crescita del 3,35%. Al primo posto ci sono le pizze (70% dei volumi), seguite da insalate (18%) e pasti da scaldare (12%). Del 4,5% si incrementano i panini venduti rispetto all’anno precedente. Siamo ormai a quasi 35 milioni di pezzi consumati.

Più attenzione alla qualità

Fra i salati si sono venduti meno patatine, arachidi e simili (-1,2%) ma più snack a base di pane e derivati (+1,2%). Si fa strada anche il formaggio: +3,4% per 1,45 milioni di confezioni acquistate.

Pausa pranzo alla macchinetta? Attraverso i distributori automatici non si acquistano più solo

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I dati di Confida sul mercato del vending nel nostro Paese evidenziano come il consumatore sia sempre più consapevole ed esigente e come stia orientando progressivamente le sue scelte verso prodotti bio, con meno zuccheri, a km zero e freschi ove possibile. «Per soddisfare i tanti gusti dei clienti – afferma Trapletti – gli assortimenti proposti si stanno ampliando sempre più, ed è ormai un dato di fatto che le vending machine sono diventate per le persone un servizio imprescindibile durante le ore di lavoro o durante i loro spostamenti quotidiani».

pari a circa 2,5 milioni di contenitori venduti. Calano di contro i succhi (-3,3%), in particolare arancia (-9%) e pesca (-4%), così come le “bibite alla frutta” (-9,8%). Gradimento crescente per le bevande bio che valgono l’1,5% a volumi del totale bevande fredde (esclusa l’acqua): +75% le consumazioni di succhi e +22% di tè freddo. Le bibite a basso contenuto di zuccheri sono ormai il 4,4% del totale bevande fredde e sono soprattutto le bibite alla frutta ad accelerare le vendite: +72% rispetto al 2017. Nel 2018 raggiungono l’1% delle vendite anche le bevande vegane. C

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Frutta fresca e secca

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Le confezioni di frutta vendute lo scorso anno hanno sfiorato la cifra di 3 milioni e settecento mila con una progressione anno su anno dell’8,8%. Prosegue anche l’onda lunga della frutta secca: +12,8%. In calo (-5,8%) gli yogurt, di cui se ne vendono, però, oltre 5 milioni. K

Snack bio e gluten free Succhi di frutta, prodotti bio e zero sugar L’attenzione alla qualità si rispecchia nell’incremento dell’8,2% di nettari e succhi al 100% frutta, unici col segno positivo rispetto al 2017 e che comunque rappresentano ancora una quota piccola di questo comparto: 4% del totale

Gli snack biologici, specie quelli salati, confermano il trend positivo dell’anno precedente registrando un +25% rispetto al 2017, anche se rappresentano ancora lo 0,5% di tutti quelli venduti. Quelli gluten free aumentano del 15% a volumi, sotto la spinta dei biscotti (+24% a volumi nel 2018). 


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Storie di successo

A TU PER TU CON

JAVIER ZANETTI I segreti per raggiungere e mantenere alte le performance nel lungo periodo

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UARDANDO alla mia carriera, prima di calciatore e oggi di dirigente, si nota che esistono molte similitudini tra lo sport e il management. Per illustrarle, utilizzo quattro parole: talento, prestazioni, leadership e valori.

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Talento La mia vita ruota attorno al mondo del calcio. Quando ero piccolo il mio sogno era quello di giocare nella squadra argentina di cui ero tifoso, l’Independiente, ma la mia costituzione fisica non me lo permetteva dal momento che ero troppo gracile. Ho quindi iniziato a lavorare con mio padre, non cancellando però il mio sogno di diventare un giorno calciatore. È stato grazie all’incontro con delle persone che hanno creduto in me, come Norberto D’Angelo, che sono riuscito a realizzarlo e a ottenere un contratto da calciatore professionista. La svolta è arrivata a 21 anni, quando ho iniziato a giocare in Italia nell’Inter. In questa occasione ho affrontato un

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cambiamento enorme nella mia vita che ha fatto emergere oltre al mio talento fisico anche quello di sapermi adattare a una nuova città e a una nuova lingua. Quando sono entrato nella dirigenza dell’Inter sono andato incontro nuovamente a grandi cambiamenti: mi sono rimesso in gioco. È diventato quindi per me fondamentale prepararmi, frequentando un corso alla Bocconi, e soprattutto creare reti con persone interne ed esterne alla squadra, mantenendo sempre una visione internazionale. Adattabilità, determinazione, tenacia, perseveranza, ma soprattutto l’incontro con persone che credevano in me sono state le cose che mi hanno fatto andare avanti, hanno fatto emergere i miei talenti e mi hanno permesso di arrivare dove sono ora.

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Prestazioni In termini di prestazioni i miei segreti sono stati la passione, la cura dei dettagli e la cultura del lavoro, che con il tempo ho cercato di trasmettere agli altri. Presta-


zioni però vuol dire anche allenamenti. Allenarmi per me era come giocare una partita, era l’opportunità per mettermi alla prova in situazioni di difficoltà e, allo stesso tempo, rappresentava la chiave per raggiungere dei risultati: solo continuando a provare, con costanza, si possono infatti utilizzare nuove tecniche nelle partite. Io l’ho sperimentato nel corso del mio primo mondiale nel 1998, nella partita contro l’Inghilterra, quando sono riuscito a realizzare un’azione che stavamo provando da quattro anni. Questi momenti di preparazione li ho quindi sempre considerati delle grandi responsabilità, tant’è che mi sono allenato anche il giorno del mio matrimonio. Nella mia carriera ho dovuto affrontare anche momenti di diffi-

Javier Zanetti, leggendario calciatore, icona dell’Inter e della nazionale sportiva argentina e dirigente sportivo, ha partecipato come relatore al World Business Forum Milano 2018 organizzato annualmente da WOBI tra America, Europa e Oceania. Evento di due giornate che riunisce migliaia di menti instancabili accumunate dalla passione per il business. Visita l’area riservata My Manageritalia > Servizi professionali e scopri gli speaker presenti all’edizione 2019 del 29 e 30 ottobre e l’offerta esclusiva dedicata agli associati Manageritalia per parteciparvi.

coltà, come l’infortunio al tendine d’Achille nel 2013 e le due sconfitte memorabili contro il Milan e la Roma nel campionato 2002-2003. Ho imparato però che questi sono i momenti che ti fanno reagire e diventare più forte. Occorre ovviamente avere coraggio, determinazione e resilienza, ma anche una buona dose di positività, dote fondamentale per un leader. Infine, non bisogna avere paura di sbagliare e il bene della squadra deve essere

«La mia vita ruota attorno al mondo del calcio. Quando ero piccolo il mio sogno era quello di giocare nella squadra argentina dell’Independiente, ma ero troppo gracile. Non ho mai abbandonato, tuttavia, il mio sogno di diventare calciatore professionista»

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Storie di successo messo sempre al primo posto. Per questo quando Mancini mi ha chiesto di cambiare ruolo e diventare centrocampista non mi sono rifiutato.

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LEADERSHIP

«Adattabilità, determinazione, tenacia, perseveranza, ma soprattutto l’incontro con persone che credevano in me sono state le cose che mi hanno fatto andare avanti, hanno fatto emergere i miei talenti e mi hanno permesso di arrivare dove sono ora»

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Ci sono diversi modi di fare il leader, quello che ho scelto è testa alta e voce bassa, cioè meno parole e più fatti. Questo penso sia il motivo per cui i miei compagni mi hanno sempre seguito. Quando si è leader bisogna però tenere in considerazione anche due aspetti fondamentali: da una parte la presenza nella squadra di personalità diverse con cui bisogna relazionarsi, dall’altra il fatto che il leader deve vedere sempre il positivo e quindi avere la capacità, subito dopo una sconfitta, di aiutare la squadra a focalizzarsi sul prossimo obiettivo. Guardando alla mia carriera, riconosco due ulteriori aspetti che mi aiutano nella posizione di leader: i valori e la famiglia. Per me infatti è stato fondamentale avere una famiglia solida alle spalle, ma soprattutto renderla partecipe di tutto quello che mi stava succedendo.

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VALORI I valori che ritengo più importanti sono quelli olimpici: coraggio, uguaglianza, determinazione e rispetto. Questi sono gli stessi che

ho trovato anche all’Inter e che ho condiviso fin dall’inizio. L’altro valore che nella mia vita sta prendendo un posto sempre più importante è quello della responsabilità sociale. Nel 2001, dopo un dialogo con Leonardo sulla sua fondazione in Brasile, ho avviato insieme con mia moglie Paola la fondazione Pupi che ha come obiettivo quello di aiutare i bambini che vivono in situazioni sfortunate. Nella mia vita ho conosciuto molto bene questa situazione di difficoltà e disagio che, purtroppo, caratterizza ancora oggi molti bambini in Argentina. Ho sentito quindi una sorta di responsabilità nei loro confronti, il dovere di dargli un futuro migliore. Con il tempo, la Fondazione si è molto ingrandita e oggi aiuta più di mille bambini. Per me è sempre un’emozione vederli felici e ripenso spesso a quando, entrati per la prima volta nella sede della Fondazione, hanno scoperto cosa volesse dire farsi una doccia con l’acqua calda. Un’azione per tutti scontata, ma per loro no, era qualcosa di grande valore. Per concludere, ciascuno ha un talento, deve solo crederci e ricordarsi che nessuno è abbastanza forte da farcela da solo e nessuno è così debole da non farcela. Questo è il motto della fondazione Pupi, da oggi può diventare anche il nostro. 



Attualità

LA MUSICA METTE IN VIAGGIO Festival, eventi, opera tour: la crescita del turismo musicale Davide Mura

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A MUSICA smuove i nostri cuori e ci regala emozioni ed esperienze impresse nella nostra memoria. Ce n’è per tutti i gusti: ogni genere trova il suo spazio e appassionati. La fruizione di brani musicali non è solo un piacere solipsistico poiché non avviene unicamente attraverso gli auricolari o mentre siamo chiusi in macchina: la musica infatti è al centro, da sempre, di una ricca offerta di eventi. E i festival, le stagioni dei grandi teatri d’opera, i luoghi di vita e di lavoro di compositori e interpreti costituiscono un patrimonio culturale straordinario e allo stesso tempo una risorsa turistica in molti paesi, con oltre il 60% di visitatori e spettatori internazionali. Anche in Italia la tradizione e la produzione musicale rappresentano un elemento di grande visibilità e attrattività: non a caso il nostro paese è la destinazione preferita dai turisti che viaggiano per interessi musicali (scelto in egual misura da italiani e stranieri, a conferma di un nostro buon posizionamento), seguito da Germania, Austria, Francia e Regno Unito.

Identikit del turista musicale Una fotografia interessante di questo settore legato ai viaggi e di tutto l’indotto conseguente emerge dal primo rapporto sul turismo musicale in Italia e in Veneto, curato da Fondazione Santagata per l’economia della cultura di Torino per Cuoa Business School nell’ambito del più ampio progetto “Note in Viaggio. Itinerari formativi esperienziali, per valorizzare l’offerta musicale del Veneto”, finanziato dalla Regione Veneto. La ricerca ha analizzato il ruolo dei festival e dei grandi luoghi della cultura operistica e concertistica italiana per lo sviluppo di un turismo di qualità sui territori e ha offerto un identikit del turi-


sta musicale. Circa il 60% circa dei rispondenti da bambino è stato abitualmente accompagnato dalla famiglia ad assistere a concerti di musica classica o lirica, mentre meno del 50% vi partecipava con la scuola. I viaggi di questo tipo vengono organizzati in maniera autonoma dall’82% delle persone; solo il 12% si avvale del supporto di un’associazione musicale, il 3,3% opta per pacchetti turistici e il 2,6% si rivolge a un’agenzia specializzata in viaggi musicali. Nello scegliere la meta e l’esperienza musicale la principale fonte utilizzata per raccogliere informazioni risulta il web (72% dei rispondenti), sia per gli italiani sia per gli stranieri.

Chi viaggia per musica lo fa soprattutto con gli amici (37%), il 20% circa con partner, cui seguono i viaggi in famiglia o da soli. I viaggiatori musicali possono essere considerati un pubblico esigente. Non emerge una componente a cui danno più importanza delle altre, ma sono tutte egualmente considerate di grande importanza: è l’esperienza nel suo complesso che conta.

I viaggiatori musicali possono essere considerati un pubblico esigente. Non emerge una componente a cui danno più importanza delle altre, ma sono tutte egualmente considerate di grande importanza: è l’esperienza nel suo complesso che conta

Opportunità di place branding Alla domanda “ti sei mai recato in Veneto per fruire di eventi musicali?” l’80% dei rispondenti ha detto “no”; il 20% di chi ha risposto “sì” è costituito quasi esclusivamente da italiani. In Italia la

tradizione musicale permea il territorio e la cultura della musica è qui rappresentata in ogni pezzo della filiera: dalla formazione dei conservatori e delle

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Attualità prestigiose masterclass alla tradizione liutaia, dall’editoria musicale all’alto artigianato per la realizzazione di costumi e scenografie a una vastissima offerta lirica e concertistica nei teatri,

nelle sale da concerto e sul territorio con il ricco panorama dei festival, fino ai cosiddetti “boschi sonori” che hanno fornito il legno per strumenti di grandissima eccellenza, dagli Stradivari ai

Guarnieri. Lo studio evidenzia come questo immenso patrimonio rappresenta una grande opportunità in termini di “place branding” e di ricadute turistiche per molti territori.

UN’ESTATE IN MUSICA È proprio il periodo estivo quello per antonomasia dedicato a festival e concerti. Il Salzburg Festival (20 luglio-31 agosto), nell’arco di poco più di un mese di durata, propone oltre 190 eventi e attrae circa 260mila visitatori da 80 diversi paesi, generando oltre 27 milioni di euro di incassi da biglietteria e un impatto stimato sull’economia locale di 183 milioni di euro (impatto diretto e indiretto). In Inghilterra, il Glyndebourne Opera Festival attira un pubblico di circa 95mila spettatori all’anno, incassando al box office quasi 19 milioni di euro. Tra gli appuntamenti europei per i prossimi mesi ricordiamo anche il Paris Jazz Festival (30 giugno-22 luglio), il Verbier Festival (18 luglio-3 agosto), il Dubrovnik Summer Festival (10 luglio-25 agosto), in Italia il Rossini Opera Festival (11-23 agosto, il Lucca Music Festival (28 giugno-29 luglio) o i numerosi appuntamenti al teatro La Fenice di Venezia. Il trend degli ultimi anni? Location suggestive e insolite, al di fuori dei teatri, come le Grotte di Postumia, in Slovenia, o le cave di marmo nei pressi del Lago Maggiore che ospitano il Festival Tones on the Stones (28 giugno-28 luglio).

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Destagionalizzazione e programmi “bleisure” Molti territori italiani, anche quelli più decentrati rispetto ai grandi flussi del turismo, vantano eventi e attività musicali di grande richiamo, spesso inseriti in contesti di interesse storicoartistico che ne amplificano il potenziale attrattivo in vista di un turismo diffuso, meno stagionale e di qualità. Tale offerta principale copre diverse stagioni dell’anno e diverse tipologie musicali. Un evento musicale può essere inserito nel programma dei cosiddetti “bleisure”, ovvero quei viaggi business, incentive, congressuali o con formazione in cui la componente professionale si unisce a quella di piacere.

La tecnologia “espande” gli eventi In un quadro complessivamente incoraggiante per il turismo musicale, la tecnologia può offrire un contributo chiave per amplificare l’esperienza degli eventi. Dal riconoscimento facciale per registrare gli spettatori e aumentare la sicurezza alle cosiddette “social experience” in cui l’evento può essere ripreso e trasmesso live sui social per raggiungere un pubblico remoto. È inoltre possibile ingaggiare commentatori esperti di generi e artisti per creare contenuti o eventi aggiuntivi in grado di dare valore a quello principale. Tool tecnologici come

Non mancano proposte di viaggi organizzati in diverse destinazioni del mondo con concerti o rappresentazioni in celebri teatri, come quelle dei tour operator Il sipario musicale e Note in viaggio.

la chatbot possono essere utilmente impiegati per offrire servizi informativi e rispondere a domande standard o per dare la possibilità di avere traduzioni di discorsi o brani (da quelli in lingua inglese ai testi in versi delle opere). Molto utile per fare marketing la realtà aumentata, che permette agli sponsor di avere una presenza pervasiva e originale nel contesto dell’evento.

Skill manageriali e priorità sul territorio L’organizzazione di eventi musicali rappresenta senz’altro un terreno di prova per dispiegare competenze manageriali legate alla gestione di progetti importanti, appuntamenti per il grande pubblico o piccoli gruppi. Dalla

leadership al time management, dalla comunicazione al pensiero creativo, fino alla gestione di budget e a skill più tecniche. Ma oltre alle aziende e alle agenzie del settore, piuttosto che alla divisione eventi dei grandi gruppi, la sfida per il turismo musicale, come per altre tipologie di turismo, è quella di fare sistema, ovvero unire la destinazione a indirizzi e operatori con il supporto degli enti di promozione turistica sul territorio. Un obiettivo non da poco, ma che deve essere assolutamente perseguito se vogliamo far sì che il nostro paese resti la meta per eccellenza per chi ama la musica e vuole vivere un’esperienza immersiva in contesti scenografici con servizi efficienti e personale dedicato. 

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Uno di noi

IL CONTRIBUTO DEL CFO IN AZIENDA A tu per tu con Massimiliano Valenti, associato Manageritalia Toscana e chief financial officer di La Marzocco, azienda storica produttrice di macchine da caffè. Con lui parliamo delle sfide che oggi deve affrontare il direttore finanziario di una realtà internazionale, degli obiettivi manageriali e del suo legame con l’Associazione.

Massimiliano Valenti, chief financial officer La Marzocco.

Enrico Pedretti

Cosa vuol dire oggi essere cfo in un’azienda che esporta in un mercato sempre più mutevole e discontinuo? «Sono sempre più numerose le variabili da valutare e da tenere sotto controllo, soprattutto se si opera in un contesto internazionale. Il contesto macroeconomico mondiale ha sempre più rilevanza per tutte le imprese e soprattutto su realtà come la nostra azienda che esporta circa il 97% del proprio fatturato in 100 paesi del mondo». Quali i must da mettere in campo, indipendentemente da azienda e settore? «Credo che sia indispensabile un monitoraggio continuo e puntuale di dati e informazioni sia a livello globale sia di settore. È fondamentale un Erp aziendale che consenta una reportistica puntuale e dettagliata, sempre integrata con contatti e colloqui molto fre-

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quenti con gli interlocutori sul campo». Come può un cfo dare contributo e valore all’azienda? «Il contributo del cfo in azienda è naturalmente quello che tutti conosciamo. Credo però che il cfo debba fare un ulteriore sforzo per cercare di far capire e condividere internamente all’azienda le logiche di pianificazione e quelle economiche/finanziarie anche a chi, queste logiche, le conosce un po’ meno. Troppo spesso i report e i numeri sono considerati aridi e noiosi, visti come un nemico da affrontare piuttosto che come un valore aggiunto da condividere». La sua è un’esperienza variegata per metà marketing e poi nei conti. Quale il percorso vincente oggi e in futuro per un cfo? «È stata un’esperienza estremamente interessante e formativa,


MANAGERITALIA TOSCANA

L’associazione in numeri

che mi è servita molto quando poi ho deciso di dedicarmi completamente ai numeri. Si riescono così a comprendere in maniera più efficace e significativa le esigenze e le dinamiche che possono nascere sul mercato e con i clienti. Credo che avere prima la possibilità di fare esperienza in aree aziendali diverse sia fondamentale per un cfo». Cosa fare per crescere professionalmente? «Oggi è necessario capire, confrontarsi, viaggiare per toccare con mano le varie situazioni presenti sul mercato e comprendere dove e quando è necessario un cambiamento in modo da intraprendere azioni strategiche. Solo così si può acquisire una giusta visione delle cose e delle situazioni e avere la sensibilità per interpretare e dare il giusto peso a quanto poi riscontrato con i numeri. Inoltre, l’aspetto economico-finanziario è parte integrante dell’approccio alla Corporate social responsibility, che tiene conto anche delle implicazioni sociali, etiche e ambientali, altrettanto importanti». Da piccola bottega artigiana ad azienda industriale. Com’è vendere macchine per caffè in tutto il mondo? «La Marzocco è nata a Firenze nel 1927. Sono già passati 92 anni ma, anche se oggi produciamo oltre 17.000 macchine all’anno, la nostra filosofia non è cambiata: i no-

stri prodotti sono realizzati a mano, uno per uno, dai nostri “artigiani”. E questo i nostri clienti lo percepiscono e lo apprezzano. Vendiamo i nostri prodotti in più di 100 paesi e siamo fieri di portare il nome di Firenze e dell’Italia in giro per il mondo». La macchina è una commodity o un ingrediente indispensabile per un buon caffè? «La macchina è sicuramente una delle componenti fondamentali anche se non è l’unica. Infatti, per ottenere un ottimo caffè, è necessario avere le famose cinque M: miscela, macinino, macchina, mano del barista e manutenzione. A queste componenti si aggiunge poi la qualità dell’acqua che, ad oggi, sta assumendo sempre maggiore importanza». Dal punto di vista manageriale, Firenze e la sua regione come sono messi? «Firenze e la Toscana sono fantastici da ogni punto di vista, ma purtroppo non ci sono molte realtà industriali strutturate. Chi vuole lavorare in azienda spesso è costretto a emigrare ed è sempre abbastanza difficile costruire rapporti di collaborazione e conoscenza che possano poi durare nel tempo. Tutti noi che lavoriamo in Toscana dovremmo impegnarci molto di più a sviluppare iniziative comuni e a scambiarci esperienze e competenze che potrebbero essere utili per tutti».

Dirigenti 552 Quadri 54 Executive professional 141 Pensionati 272 TOTALE 1.019 Maschi 862 Femmine 157 dati di maggio 2019

Com’è fare networking con vantaggi per sé e per l’azienda, magari anche divertendosi? «Adoro fare networking, specialmente se questo viene fatto in maniera divertente e fuori dai soliti schemi fatti di convegni e workshop. Dovremmo cercare di sviluppare sempre di più occasioni per relazioni e incontri in cui scambiarsi esperienze e competenze, in cui dare e avere consigli, punti di vista e opinioni non solo sui massimi sistemi ma anche e soprattutto sull’operatività quotidiana». Lei è associato a Manageritalia Toscana: che rapporto e quali vantaggi ha? «Ho sempre avuto un rapporto molto proficuo e cordiale con l’Associazione, che mi ha spesso dato consigli e aiutato a gestire problemi e situazioni talvolta anche complicate. Sono persone competenti e sempre disponibili, so di poter contare sul loro aiuto in caso di necessità anche solamente per una consulenza veloce o un consiglio telefonico». 

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PILLOLE DI BENESSERE

benessere

Luca Naitana nutrizionista e biologo

LA DIETA WELLBEING: DIMAGRIRE IN SALUTE

È

È stato l’amore per mia moglie Giada a spingermi verso la creazione del Metodo Wellbeing. Quando ci siamo conosciuti studiavo ancora all’università e lei aveva già scoperto di essere affetta da sclerosi multipla. La mia prima tesi l’ho sostenuta in farmacologia, studiando gli effetti dell’alimentazione su questo tipo di patologia. A distanza di anni mia moglie sta molto bene, ha un ritmo di vita normale e il suo invecchiamento delle cellule si è bloccato, inoltre è diventata madre dei nostri due figli. Stimolato dal beneficio avuto su di lei, ho iniziato a lavorare in laboratorio per creare un metodo ragionato di

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alimentazione che desse indicazioni su quali cibi scegliere, come cuocerli e mangiarli. Si tratta a mio avviso di un investimento a lungo termine sia sulla propria linea sia sulla salute, in un mondo in cui nessuno si ferma più a pensare e a farsi domande. I 5 pilastri del Metodo Wellbeing Il metodo si basa su 5 principi. 1) Equilibrio degli alimenti: assunzione giornaliera di carboidrati complessi integrali (55%); proteine (15% di proteine animali e 15% di proteine vegetali); grassi mono e polinsaturi (15%) come l’olio d’oliva, l’olio di girasole, l’olio di lino e i semi oleaginosi. 2) Detox: eliminare tossine per sgonfiarsi e perdere peso. 3) Equilibrio acido-basico: un pH troppo acido può provocare sintomi come stanchezza cronica, scarsa concentrazione, sonnolenza, irritabilità. 4) Salute intestinale: eliminare le tossine e purificare l’intestino per favorire il buon funzionamento di quest’organo centrale per il benessere generale. 5) Mind&Spirit: curare e prevenire lo stress; riequilibrare la sfera psicosomatica; stimolare l’armonia interiore; rigenerare l’energia vitale; alzare il livello di autostima e prendere coscienza delle proprie risorse interiori. Cosa portare a tavola Innanzitutto occorre fare almeno 5 pasti al giorno per non sovraccaricare e rallentare la digestione. La frutta fresca e di stagione va consumata lontano dai pasti ed è meglio che se ne consumi un solo tipo alla volta (non mischiare frutta acida e zuccherina). Ogni ora si può fare uno spuntino. Sia il pranzo sia la cena devono essere introdotti da una porzione abbondante di verdura cruda di stagione. All’i-

nizio della dieta è fondamentale alleggerire il carico su fegato e reni escludendo l’assunzione di carne rossa, maiale, affettati, insaccati e uova. Nel mese successivo possono essere reintrodotti, una volta alla settimana. In ogni caso le proteine animali non devono superare il 10% delle calorie giornaliere: la carne da una a tre volte alla settimana, il pesce da due a cinque. È importante assumere cereali integrali biologici in chicco e pasta biologica integrale di kamut, farro o grano saraceno e limitare o evitare il pane a pranzo, in modo da rispettare la regola della dissociazione dei carboidrati dalle proteine. Si può invece prevederlo a colazione. L’importante è che sia vero integrale, di cereali macinati a pietra, e a pasta acida, ovvero lievitato naturalmente. Non dimentichiamoci dell’olio evo spremuto a freddo, solo a crudo. È possibile usare anche altri oli benefici: di girasole, di sesamo, di lino, di canapa o di zucca, tutti spremuti a freddo e biologici. La cottura ideale Le cotture ideali dei cibi sono al vapore, al forno dolce, brasatura (a fuoco lento con poca acqua e vino e/o limone), al cartoccio con carta da forno e non di alluminio, alla griglia, avendo cura di non carbonizzare l’alimento. Attività fisica e tecniche di rilassamento Infine, è cruciale eseguire tutti i giorni esercizi aerobici (corsa o camminata veloce) e anaerobici (pesi), ricordandoci che il benessere fisico è imprescindibile da quello mentale: cerchiamo dunque di dedicare un po’ di tempo anche a discipline di rilassamento e introspezione come la meditazione, lo yoga e il tai chi.


ARTE Claudia Corti

Afrodite punisce Eros, Lebete nuziale, 360 a.C.

U LANCI DI CIABATTE E ALTRI METODI EDUCATIVI NELLA GRECIA CLASSICA

arte

DOVE Museo archeologico di Taranto

Una mamma visibilmente alterata, un ragazzino che cerca di giustificarsi; tutti, da figli prima o da genitori poi, abbiamo vissuto una scena simile. Possiamo addirittura immaginare facilmente lo scambio di battute: lei che grida “quante volte ti ho detto di non giocare con gli attrezzi da lavoro di tuo padre, sono pericolosi!”; lui che prova a difendersi “giuro che non ho toccato niente, non sono stato io!”. Ma, come spesso accade, convincere una mamma certa delle sue affermazioni al culmine della ramanzina è impresa pressoché impossibile; anzi, anche solo tentare di addurre una timida scusa può rivelarsi deleterio. E infatti, come è facile prevedere, la scena raggiunge in fretta il culmine: lei con la mano sinistra afferra entrambi i polsi del figlio, stroncando sul nascere ogni velleità di ribellione, mentre con la destra si prepara a colpire il malcapitato, dall’alto della sua autorità, nientemeno che con una ciabatta! Nasce così la celeberrima sculacciata. Fin qui tutto normale, una storia nota ai più, se non fosse che i protagonisti hanno un nome e un ruolo non certo comuni. La mamma infatti è Afrodite, la dea della bellezza, e il ragazzino terribile è Eros, il dio dell’amore. Ebbene sì, per quanto si possa discutere della validità o meno di determinati metodi educativi, è bene sapere che volano

ciabatte fin dal lontano 360 a.C.! La scena appena descritta, infatti, si trova dipinta su un bellissimo lebete nuziale, ovvero un vaso in ceramica nera decorato a figure rosse con manici molto allungati, utilizzato in modo rituale per le abluzioni delle future spose. L’abitudine di decorare i vasi è nota già dall’XI secolo a.C.; inizialmente caratterizzata da soli motivi ornamentali geometrici o floreali, a partire dal VI secolo a.C. e per tutta l’epoca classica costituirà un capitolo fondamentale nella storia dell’arte e della civiltà greca e mediterranea. Ogni vaso diventa infatti il supporto perfetto per ospitare scene di vita quotidiana i cui protagonisti sono eroi e soprattutto divinità. Immortali, onnipotenti, eternamente giovani, da loro ci attenderemmo comportamenti esemplari e invece gli dei dell’Olimpo si rivelano essere molto più umani e terreni di quanto si potrebbe pensare, mostrando una serie di debolezze tipiche dell’imperfetto umano. Zeus, impenitente donnaiolo, Era divorata dalla gelosia, raccontano alla loro maniera vizi, virtù e valori di una società intera. E il piccolo Eros? Pensando ai disastri che è riuscito a combinare lanciando a caso le sue frecce amorose, non ci sentiamo di condannare Afrodite per la solenne “ciabattata”!

CURIOSITÀ Sono decine di migliaia i vasi decorati giunti fino a noi; tra questi possiamo individuare alcune forme standard in base all’uso: il Cratere di grandi dimensioni per mescolare acqua e vino, l’Oinochòe per versare il vino durante i banchetti nei Kylix, ovvero le coppe di ogni commensale, l’Anfora per il trasposto di vino, olio o grano, o il Lekythos, il vasetto più piccolo destinato a conservare profumi e prodotti cosmetici.

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LIBRI Davide Mura

Plastica in mare: emergenza planetaria Il conduttore radiofonico Filippo Solibello è coinvolto da anni in una battaglia contro l’inquinamento dovuto alla plastica nei nostri mari e ha lanciato una sfida a se stesso e al suo pubblico. «Ho conosciuto ricercatori, politici e attivisti di tutto il mondo che si stanno mobilitando per combattere questa emergenza e grazie a loro ho scoperto un sacco di cose. Prima di tutto che l’Italia, con i suoi acquari, le sue aziende e le sue leggi su questo tema è all’avanguardia. Che esistono avventurieri, canzoni, opere d’arte e iniziative di ogni genere legate alla plastica. Che ci sono moltissime aziende, grandi e piccole, che stanno facendo la loro parte per rendere più sostenibile il consumo di plastica. Mettiamo in fila quei piccoli gesti quotidiani che possono cambiare il futuro del nostro pianeta». Spam - Stop plastica a mare, Filippo Solibello, Mondadori, pagg. 216,  18.

Croste d’autore Lo storico dell’arte Harry Bellet ci guida in un viaggio – spesso sconcertante – nel mondo dei falsi d’arte. Nel volume vengono ripercorsi casi affascinanti, dalle truffe che nell’antichità il greco Pasitele escogitava ai danni di collezionisti romani, a Michelangelo, che in gioventù non disdegnava pratiche altrettanto discutibili, fino a episodi più eclatanti e recenti di personaggi come Han van Meegeren, definito “Vermeer redivivo”, che si prese gioco di Hermann Göring, o dell’inglese Eric Hebborn, autore di disegni capaci di ingannare i maggiori esperti dei maestri rinascimentali. Emblematiche in questa caccia al falso le dichiarazioni di Thomas Hoving, ex direttore del Metropolitan di New York, che dichiarò nel 1997:«Il 40% delle opere lì custodite sono false…». Falsari illustri, Harry Bellet, Skira, pagg. 128,  19.

dall’ESTERO

Come “fare” un manager

libri

Julie Zhuo, VP Product Design di Facebook, affronta senza filtri e luoghi comuni le sfide concrete e quotidiane del lavoro manageriale, soprattutto da parte di chi viene promosso in giovane età. Come trasformare il lavoro di squadra in valore? Qual è il segreto per affrontare con fiducia situazioni nuove e inaspettate? Sono molte le domande che si pone Zhuo. Dopo aver gestito dozzine di team formati da centinaia di collaboratori, la dirigente della Silicon Valley apprende la lezione più importante di tutte: non si nasce grandi manager ma si diventa. Quando ha ricoperto il suo primo ruolo come manager di Facebook, Zhuo aveva un’esperienza piuttosto scarsa e nel libro descrive ciò che pensava fosse il lavoro manageriale: avere incontri per risolvere problemi, condividere feedback su ciò che sta andando bene e sulle criticità, capire chi debba essere promosso e chi licenziato. Senza anticipare il resto di The making of a manager, per Zhuo la prima sfida del lavoro di un manager è costruire una squadra che funzioni bene insieme, sostenere i membri di un team nel raggiungere i loro obiettivi di carriera, creare processi per portare a termine il lavoro in modo fluido ed efficiente. The making of a manager, Julie Zhuo, Penguin, pagg. 288, $ 26.

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LETTURE per MANAGER

...permanager

Marco Lucarelli

COME RICOSTRUIRE UN’AZIENDA DISTRUTTA? Cosa succede all’interno delle aziende colpite da una crisi, da uno scandalo finanziario, da un evento naturale che sconvolge l’operatività quotidiana? Come vivono e reagiscono le persone che improvvisamente vedono messo a rischio il proprio posto di lavoro se non addirittura la propria vita? Come trovare la forza per andare avanti e ricostruire un’azienda distrutta? Queste le domande alle quali Andrea Notarnicola prova a dare una risposta nel libro L’impresa spezzata. Motivare le persone dopo l’emergenza: la forza dell’unità e della fiducia (Franco Angeli). Questo libro ci porta in territori dove la guerra sconvolge la quotidianità lavorativa, dove catastrofi naturali come terremoti o inondazioni impediscono di fatto la continuità del business. Oppure ci porta in situazioni dove la Guardia di finanza entra negli uffici per indagare su scandali finanziari di cui i dirigenti dell’organizzazione si sono resi colpevoli. Emergenze che indeboliscono la fiducia e la sicurezza dei lavoratori nei confronti delle loro aziende fino a quel momento considerate multinazionali solide e con un brand affermato. Situazioni dove saltano tutte le procedure, le norme, i processi. Momenti nei quali gli approcci tradizionali del management si rivelano inutili e dove la mancanza di un piano di recovery rischia di far precipitare l’azienda nel caos. Come fa un’azienda a cadere nel baratro della crisi? Eppure i segnali, anche se sottili, c’erano e potevano essere colti dalle persone presenti durante il periodo di incubazione del disastro. Segnali premonitori che non sono stati notati oppure volutamente minimizzati da un ottimismo manageriale di facciata facilitato da obiettivi

di business a breve in contrasto con i costi necessari per mettere in sicurezza il perimetro aziendale. Chi denuncia la gravità degli eventi viene messo a tacere, il tutto a discapito degli obiettivi strategici di lungo termine dell’azienda, che vede così minata la sua stessa sopravvivenza. Come ci si rialza da queste situazioni? Non c’è retorica o rassicuranti comunicazioni interne che tengano. È nei momenti di crisi che si capisce se l’azienda ha una solida cultura alla quale appellarsi e se le funzioni manageriali e risorse umane hanno lavorato bene nel periodo precedente. Perché da queste situazioni drammatiche per la sopravvivenza dell’azienda stessa non si esce facendo riferimento alle gerarchie, alle procedure, all’autorità top-down. Le organizzazioni che resistono alle emergenze hanno robusti strumenti di difesa e prevenzione, hanno sistemi tecnologici ridondanti in grado di salvaguardare persone, competenze, macchinari. Sono rapide e agili nel reagire al pericolo mettendo in campo azioni efficaci. Ma soprattutto hanno persone disposte a collaborare tra loro, a fare squadra per risollevare le sorti della propria azienda e della propria dignità professionale. Organizzazioni quindi che dimostrano, per utilizzare un termine di moda adesso, di essere resilienti. Leggi e commenta le recensioni sul portale Manageritalia sotto la categoria Management > Letture per manager www.manageritalia.it

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LETTERE Daniela Fiorino daniela.fiorino@manageritalia.it

lettere

Il rimborso dei contributi versati oltre il massimale

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Recentemente, verificando il mio estratto conto Inps, ho visto che mi sono stati accreditati contributi in misura ridotta rispetto ai compensi che ho ricevuto, mentre lo studio di consulenza che opera per la mia azienda mi ha assicurato di averli versati integralmente. L’Inps mi ha risposto che è stato accreditato unicamente l’importo corrispondente al massimale contributivo, dal momento che sono tra coloro che, avendo iniziato l’attività lavorativa dopo il 1995, rientrano nel sistema contributivo al 100%, ma sono stati generici sulla possibilità di recuperare la contribuzione versata in eccesso. È possibile che non si possa rimediare all’errore? S.M. - Brescia La legge 335/95 (cosiddetta riforma Dini), nell’introdurre il sistema di calcolo contributivo, ha anche previsto l’adozione di un massimale, annualmente rivalutato in base all’indice Istat dei prezzi al consumo (per il 2019 pari a 102.543 euro), oltre il quale il reddito percepito non è soggetto a contribuzione previdenziale. La norma che prevede l’applicazione del massimale contributivo agli assicurati dal 1° gennaio 1996 in avanti si riferisce sia ai contributi versati alla Gestione lavoratori dipendenti sia agli iscritti alla Gestione separata (lavoratori parasubordinati e collaboratori), in

quanto tale gestione è stata istituita successivamente al 31 dicembre 1995 e in regime puramente contributivo. Il datore di lavoro deve acquisire le dichiarazioni dei lavoratori volte a individuare il corretto regime previdenziale applicabile, sia al momento dell’instaurazione del rapporto di lavoro sia nel corso del suo svolgimento qualora subentri una variazione (ad esempio, per effetto di contribuzione accreditata antecedentemente al 1996 per effetto del riscatto del periodo di laurea). L’Inps, con la circolare 63 del 9 maggio 2019, ha ribadito che i contributi versati in eccesso rispetto al massimale contributivo non possono essere utilizzati per il calcolo del trattamento pensionistico in quanto il tetto contributivo risulta inderogabile da qualsiasi ulteriore norma. Con la medesima circolare, l’Istituto dà indicazioni in merito alle modalità con le quali il datore di lavoro deve procedere per il recupero della contribuzione versata in eccedenza tramite la denuncia contributiva individuale Uniemens. L’Inps, inoltre, precisa che la contribuzione indebitamente versata oltre il massimale è recuperabile dal datore di lavoro entro il termine prescrizionale decennale e che i contributi indebitamente versati oltre il decennio non saranno né recuperabili né produttivi di prestazioni pensionistiche. Gli importi restituiti al dipendente sono assoggettati a Irpef, con l’applicazione dell’aliquota agevolata della tassazione separata.


Inserto mensile di Dirigente n. 6 / 2019

a cura di Thomas Bialas

DIRIGIBILE Segnali di futuro visti dall’alto #55 02/ OCCHIO AL MARKETING SPAZIALE 04/ IL CIBO È LA VERA RISORSA UMANA 08/ FUTURE WORK TRENDS SAVE THE DATE: BIG DATA E MENTALITÀ INDIZIARIA MILANO, 18 SET 2019 http://bit.ly/cfmtbigdata

Prediction machines Chi predica nel deserto? Coloro che sanno che tutto è incolto e abbandonato. Coloro che sanno che gli uomini sono in fuga. Non ci vorrà molto tempo prima che non ci sarà nemmeno più segno di vita e di attività umana negli uffici dove una volta menti brillanti concepivano scenari sul futuro del pianeta, della società, dell’economia o di specifici settori o mercati. La predizione un tempo fiorente e appannaggio prima degli dei, poi degli oracoli (Delfi & Co) e infine degli uomini, ora rischia di essere dominata da una mente

arida, che poi non è la nostra. Da intelligenza artificiale a predizione artificiale, infatti, il passo è e sarà breve. Il libro Prediction Machines, recentemente uscito e scritto da un trio di economisti, oltre all’abituale esaltazione delle macchine intelligenti e all’abituale (ma giusto) viaggio di come aziende, industrie e management saranno trasformati dall’IA e delle implicazioni economiche e dei suoi intrinsechi compromessi, afferma che la vera interessante novità per il business si chiama “veloce decisione grazie

alla veloce predizione (meccanica)”. In altre parole, secondo gli autori, il vero potenziale dell’IA è di avere previsioni a buon mercato. Quindi più affari e più produttività. Certo, prima o poi tutti useranno gli stessi strumenti, ma intanto, come ci ricorda il proverbio: chi prima arriva meglio alloggia, e si pappa i clienti. Il potenziale è enorme per ogni singolo prodotto o servizio: basta immaginare assicurazioni auto basate su algoritmi predittivi ben fatti.


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––Future spying Space data per un marketing spaziale

––Il concorrente ti spia dallo spazio Dominare il marketing dominando lo spazio. Lasciate perdere i big data, è tempo di “space data”. Dati spaziali, così grandi, ma anche piccoli, da far impallidire ogni vero spione. Le cose stanno così: in un prossimo futuro la concorrenza vi spia dallo spazio. Sembra roba da fiction tipo la malefica SPECTRE dei film di James Bond, invece è la prossima normale prassi, quasi come dire “burocraticamente” standard. Se sei Kmart, o vuoi sapere com’è il via vai dei clienti e il numero delle machine parcheggiate dal tuo concorrente Walmart, basta che ti rivolgi a società come Orbital Insight (che sorveglia negli Stati Uniti ben 260mila parcheggi) o SpaceKnow e il gioco (o meglio dato) è fatto.

Il tempo in cui lo spionaggio dallo spazio era dominio esclusivo delle superpotenze è finito. Ora ogni impresa può ingaggiare satelliti per l’osservazione della concorrenza (o altro che sia). Nell’ultimo decennio sono stati lanciati in orbita 730 satelliti e nei prossimi dieci anni è previsto il lancio di ben altri 2.200 secondo quanto riportato dal New York Times.


DIRIGIBILE #55

––So what? Il rischio è reale e non aleatorio. Domani un vostro concorrente qualsiasi con le tasche piene di soldi potrà permettersi quotidiane foto satellitari della vostra impresa, compreso lo spostamento delle persone, dei mezzi di trasporto, consegna e così via. Insomma, una vera e propria “dittatura della trasparenza”. Inoltre c’è da aspettarsi che anche la Pubblica amministrazione metterà mano sui dati satellitari per monitorare la legalità delle attività aziendali, per esempio in campo edile.

––Competitive intelligence L’invasione dei nuovi servizi di investigazione spaziale a uso aziendale ha due precisi motivi di ordine o meglio di convenienza economica. Primo: l’hardware costa molto meno e funziona molto meglio. Un satellite dal peso di 5 kg e dal costo di 3 milioni di dollari fornisce oggi una qualità delle foto assai migliore di un satellite da 300 milioni di dollari degli anni 90. Secondo: i costi per l’analisi e la valutazione, anche dettagliata di ogni immagine, stanno scendendo drasticamente grazie all’uso di software supportati dall’intelligenza artificiale.

https://www.spaceknow.com https://www.descarteslabs.com https://orbitalinsight.com https://tinyurl.com/y3wyhzu4


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––Future resources Il cibo è la vera risorsa umana Buon cibo non fa solo buon sangue ma anche buon business. In ogni situazione e contesto, anche fuori dal settore della ristorazione. È tempo di utilizzarlo come risorsa strategica per coccolare i collaboratori o attirare nuovi clienti.

––Buon cibo fa buon personale

https://departurelounge.com https://tinyurl.com/y5sk4yc3 https://www.vector.com

Risorse umane. Oggi la battaglia per la conquista dei migliori talenti si vince non a tavolino ma proprio a tavola, servendo ottimi primi e secondi in un ambiente accogliente e confortevole come il salotto di casa propria. Scordatevi le mense aziendali alla Fantozzi (o stupidi ticket restaurant da spendere in stupidi bar) e memorizzate il nuovo trend: cibo in azienda (quasi) stellato come ha fatto a Stoccarda Vector Informatik, il cui ristorante interno in perfetto stile lounge, noto in tutta la Germania come uno dei migliori, è proprio stato studiato da uno chef stellato. Gli ingredienti della mensa (o angolo cooking e mini bar per imprese con pochi dipendenti) del futuro sono i seguenti: mood da vero ristorante di design alla moda; ambientazione lounge con angoli divani e musica di sottofondo; servizio con isole tematiche (bandite le classiche linee self service) e infine il menù, che oltre a essere salutare, gustoso e vario (con proposte vegane e di tendenza), deve anche essere giusto, per esempio, per l’ambiente (plastic free) o la società (fair trade o bio). Vi sembra eccessivo? Non dovrebbe. Molte ricerche confermano che le teste brillanti delle nuove generazioni cercano e pretendono proprio questo.


DIRIGIBILE #55

––Buon cibo fa buon contratto Entrando nel nuovo concept store House of Swisscom sembra di entrare in un coffee shop di Starbucks. Infatti la prima cosa che noti è l’insegna Koffi e un banco con prelibatezze dolci e salate in gran quantità. Solo dopo noti e capisci che sei dentro un negozio della principale società di telecomunicazioni elvetica. Il nuovo format che potremmo definire “competainment”; la competenza che intrattiene prevede: un vero e proprio food format originale (con cui fare cassa), un’area innovazione, un cocktail bar mobile dove testare e selezionare gli accessori, un angolo per la riparazione dei prodotti e infine la Swisscom Academy, dove vengono offerti corsi sulle novità di prodotto e servizio. Poi, certo, il personale è anche lì per vendere e stipulare contratti, ma sembra quasi un dettaglio secondario, almeno per il cliente che, adagiato su un divano, fa il pieno di cheesecake e birra.

––Buon cibo fa buon viaggio La fine delle agenzie di viaggio tradizionali segna l’inizio delle agenzie di viaggio non convenzionali. Se c’è un settore offline, che è stato preso a SCARICA: bastonate dall’online, è proprio quello dei viaggi. FUTURE OF WORK WHITE BOOK https://tinyurl.com/ybnmc3ry Ma dopo la morte c’è sempre una rinascita e infatti Phocuswright, autorevole blog turistico statunitense, afferma che c’è il ritorno alla consulenza mirata dell’agenzia di viaggio in carne e ossa, a patto di offrire altro a livello alto. Come Departure Lounge in Texas, che non solo offre ai clienti itinerari di lusso super personalizzati ma li accoglie pure in un ambiente che sa di lounge bar con divani di pelle, caffè e sandwich, couching individuale e, se il cliente lo desidera, anche l’apertura di una bottiglia di vino coerente con la regione di destinazione. I potenziali clienti vengono il fine settimana o la sera anche tardi (massima flessibilità) e ben il 90% non aveva mai messo piede in un’agenzia.


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––Future work Il lavoro del futuro in 15 trend Pubblichiamo una sintesi del New Work Trendbook che Peter Wippermann ha realizzato per Xing, la nota piattaforma di networking professionale, concorrente di Linkedin. Niente di nuovo, a dire il vero, ma utile come piccolo ripasso sullo stato dell’arte.

01 / NEW CAREERS

Digitalizzazione + automazione (vedi IA) = trasformazione del lavoro. Ormai lo sappiamo. Siamo condannati al continuo adattamento e cambiamento (anche della professione). Non solo. Fra 10 anni i nostri giovani saranno impiegati in lavori che oggi non esistono ancora.

02 / GIG WORKING

È la platform economy bellezza! E tu non puoi farci niente! Niente, se non adeguarti all’inevitabile precariato digitale. Il Gig working trasformerà drasticamente il classico schema lavorativo con attività freelance senza orari fissi orientati a progetti e micro mansioni.

03 / BRAIN RECOVERY

È tempo di innovare se stessi, recuperare il cervello e aggiornare costantemente il proprio sistema cognitivo. L’automazione della conoscenza, i white collar robotics, l’IA, aumenteranno il carico lavorativo mentale degli uomini. Bisogna lavorare meno ma molto meglio.

05 / SILVER WORKER 04 / WORK-LIFE SEPARATION

Il work-life balance (mescolare vita lavorativa e vita privata) è già roba di ieri, almeno per le nuove generazioni per le quali vale il motto: meno stress e più spazio per il tempo libero. Tempo libero (o meglio liberato) che i datori di lavoro dovranno garantire ai giovani.

C’è tanta disoccupazione ma anche tanta potenziale occupazione che non trova candidati. La digitalizzazione fa scomparire molte professioni che richiedono anche capacità fisiche. Per i silver worker il trend è positivo e molti lavoratori continueranno a lavorare anche dopo l’età pensionabile.

06 / ROBO RECRUITING

L’automazione della selezione dei candidati è il futuro del recruiting. Anzi, è già il presente in molte imprese con gli “attributi.” Per l’HR manager il supporto della cosiddetta intelligenza artificiale nel processo di selezione dei candidati diverrà la norma tramite colloqui telefonici automatizzati o la selezione di candidati idonei tramite analisi vocale.


DIRIGIBILE #55

08 / POWER OF DIVERSITY

07 / CULTURAL FIT

AAA adattamento culturale cercasi. Il candidato del futuro non solo dovrà avere tutte le carte in regola per la posizione, ma dovrà essere anche in linea con il “mood” aziendale. Questione di stile e di valori. Fra 15 anni il cosiddetto Cultural Fit potrebbe diventare persino uno dei criteri più importanti nella selezione dei candidati.

Il potere della diversità significa soprattutto l’accettazione della diversità di ogni ordine e grado. La civiltà digitale e artificiale con la sua estetica e socializzazione fluida è gender neutral nell’essenza. Dunque ambienti di lavoro gender neutral che esaltano le differenze in un clima disteso.

09 / COWORKING PLACES

Condividere ambienti di lavoro in spazi piacevoli e di design. Ormai lo sa anche mia madre (93 anni) che così fan tutti (o dovrebbero). Prossimi step: co-working in ambienti virtuali e a distanza. Le aziende che offrono la possibilità di lavorare da casa (o da dove si vuole) verranno considerati come datori di lavoro altamente attrattivi.

11 / DIGITAL EDUCATION 10 / SELF MANAGEMENT

La gestione partecipata, nella quale tutti i dipendenti e collaboratori gestiscono con piglio manageriale i propri obiettivi, è un futuro must. La classica gestione aziendale top-down e gerarchica è morta da tempo. Regole trasparenti, valori condivisi, maggiore libertà e responsabilità delle singole funzioni. Il resto è pura leadership collaborativa.

Parlare di digital mindset non ha più senso perché la mente (aziendale) è una e non deve più separare ma unire ogni decisione e azione verso l’economia post digitale, dove online e offline vengono saggiamente aboliti. In tal senso la formazione offerta dalle aziende (e ancora di più nelle scuole) non è ancora abbastanza vicina a quelli che sono i profondi cambiamenti nel mondo del lavoro, dove digitale e reale sono ormai integrati in un unico corpo.

12 / WORKPLACE WELLBEING

Stare bene con gli altri sul posto di lavoro. Il benessere e il rispetto della salute diventano cruciali per svolgere l’attività ma anche per attirare talenti. In futuro verranno create infrastrutture e uffici completamente focalizzati sul benessere mentale ed emotivo dei dipendenti.

13 / GENDER EQUALITY

Se si continua, as usual, 15 anni non saranno sufficienti per raggiungere l’uguaglianza tra uomo e donna nel mondo del lavoro. I progressi compiuti negli ultimi anni non sono bastati. Ancora oggi la discriminazione fra sesso maschile e femminile è una realtà per molte posizioni. Sentiremo parlare sempre di più di eguaglianza tra uomo e donna nel mercato del lavoro.

14 / ASIC INCOME

L’idea di un reddito di base per tutti, portato avanti anche dalla politica italiana, è un tema discusso da tempo in molti paesi europei. Non è solo questione di riscatto sociale, ma di bilanciare l’automazione del lavoro con la conseguente disoccupazione su vasta scala. Un reddito di base darebbe maggiore libertà alle persone e contribuirebbe alla pace sociale. D’altra parte resta la difficoltà di finanziare a lungo termine una manovra di così ampia portata.

15 / DIGITAL ETHICS

Dalla blockchain ai robot quantistici, passando all’uso pervasivo dell’intelligenza artificiale. La tecnologia rivoluzionerà in modo significativo il modo in cui lavoriamo. Le macchine potranno dare maggiore spazio all’uomo assumendosi il carico di compiti ripetitivi. Bisogna però ripensare il rapporto uomo-macchina e l’impatto sulla società per definire dei modelli organizzativi sostenibili.


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FUTURETECH

INVENZIONI & INNOVAZIONI

FUTURE RETAIL METTICI LA FACCIA

tutti i negozi cinesi. Anche a Bucarest i clienti possono pagare con un sorriso alla cassa al Skanska supermarket. Ovviamente il pagamento è solo il primo passo quasi irrilevante se paragonato al successivo: sapere tutto quello che sta dietro a una faccia, per una profilazione o se preferite profanazione (della privacy) estrema. Obiettivo? Personalizzazione. Dalla Russia intanto arriva la “temibile” findface.pro/en/: trova la mia faccia.

Solo per i tuoi occhi apro questo negozio, faccio questa offerta, spio, ma solo per conoscerti meglio e proporre il meglio per te. Oculare, facciale o digitale (impronta). Il futuro è tutto nei sistemi di identificazione biometrica. Alibaba, Amazon e Carrefour stanno sperimentando il pagamento con il riconoscimento facciale. Per la catena francese la tecnologia Scan & Go (in partnership Tencent) è già quasi un classico di

PORTALINSTRUMENTS.COM

Portal Instruments ha creato un iniettore, senza ago, a getto ultra sottile del liquido a velocità Mach 0.7. Superato il famoso “già fatto?” di Pic Indolor? https://www.youtube.com/watch?v=qMdK2202rLQ

PLACERAPP.COM/LINE-SITTING

Precariato digitale e dintorni. Cerchi uno che fa la coda per te per comprare l’ultimo iPhone? Per 20 dollari all’ora puoi avere un vero professionista della coda. https://www.youtube.com/watch?v=W4_EexNRcsY

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Tutti sostituiti nei magazzini da forzuti robot. E se la contromossa fosse lavorare in versione robotizzata con esoscheletri indossabilii che aumentano la forza? https://www.youtube.com/watch?v=azWjJTH-pXU

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Caffè invisibile. Dalla Slovacchia arriva il caffè incolore che non macchia i denti. Si chiama Clear Coffee ed è in vendita online e in alcuni negozi specializzati. https://www.youtube.com/watch?v=nSKf1xmU6Tk

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Portare la bici in ascensore lo abbiamo fatto un po’ tutti. Ma far diventare la bicicletta un ascensore, beh non è da tutti. Ecco Vycle per pedalare in verticale. https://vimeo.com/222662822

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Il pacco di Zalando? Ti insegue. In sperimentazione un servizio di consegna che rovescia il rapporto tra cliente ed eCommerce: è il pacco a tracciare il cliente.


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CONOSCERE IL CONTRATTO

IL TRASFERIMENTO DEL DIRIGENTE La legge e il contratto collettivo prevedono una serie di tutele affinché il trasferimento non diventi un arbitrio

Mariella Colavito

ufficio sindacale Manageritalia Lombardia

L’

art. 16 del contratto collettivo dei dirigenti del terziario[1] disciplina il trasferimento del dirigente e riprende fedelmente quanto disposto dall’art. 2103 del codice civile. Requisito essenziale del trasferimento è il definitivo cambiamento geografico del luogo di lavoro. Sia l’art. 2103 del codice civile sia l’art. 16 del contratto collettivo disciplinano il trasferimento disposto dal datore di lavoro. Le stesse tutele normative, invece, non possono essere invocate dal dirigente che chieda di essere trasferito. In ogni caso, il datore di lavoro dovrà attenersi ai principi giuridici di correttezza e buona fede, la cui violazione costituirebbe inadempienza contrattuale. Il datore di lavoro che voglia trasferire il proprio dirigente da una sede lavorativa a un’altra è

tenuto dunque ad avere e a provare la sussistenza di ragioni tecniche, organizzative e produttive. È tenuto inoltre ad affidare al dirigente, nel nuovo luogo di lavoro, un incarico equivalente sul piano professionale a quello precedente. Il trasferimento deve essere comunicato al dirigente per iscritto e con un preavviso di almeno tre mesi, che diventano quattro per il dirigente che ha famiglia[2]. In casi di urgenza, durante tale periodo il dirigente sarà considerato in trasferta: il datore di lavoro però dovrà consentirgli tempi [1] Le norme corrispondenti all’art. 16 del ccnl 31/7/13 dirigenti terziario sono: art. 17 ccnl 18/12/13 dirigenti trasporti e successivi rinnovi; art. 16 ccnl 24/6/04 dirigenti albergo Federalberghi e successivi rinnovi; art. 19 ccnl 23/1/14 dirigenti albergo Aica e successivi rinnovi; art. 17 ccnl 8/1/14 dirigenti magazzini generali e successivi rinnovi; art. 16 ccnl 31/10/14 dirigenti agenzie marittime e successivi rinnovi. [2] Il preavviso è rispettivamente di 4 e 6 mesi per i dirigenti di aziende dei trasporti.

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MANAGERITALIA CONOSCERE IL CONTRATTO

e modi per la ricerca di una nuova abitazione e per sistemare i suoi affari privati.

Rifiuto del trasferimento Se il dirigente rifiuta il trasferimento, e per questo motivo viene licenziato, il datore di lavoro non può chiedergli la prestazione in servizio del periodo di preavviso, ma deve pagargli l’indennità sostitutiva (da 6 a 12 mesi, a seconda dell’anzianità di servizio), unitamente alle competenze di fine rapporto. Se invece è il dirigente a dimettersi entro 60 giorni dal ricevimento della lettera di trasferimento per mancata accettazione dello stesso, ha diritto a percepire l’indennità sostitutiva del preavviso, nella stessa misura prevista per il licenziamento, e le spettanze di fine rapporto. I dirigenti dei settori trasporti e dei magazzini generali, invece,

oltre all’indennità sostitutiva del preavviso hanno diritto anche a un’indennità economica di importo pari al corrispettivo di 1/3 del preavviso stesso. Questa ipotesi di dimissioni in tronco, che comporta la cessazione immediata della prestazione lavorativa a condizioni vantaggiose per il dirigente e onerose per il datore di lavoro, è prevista da tutti i contratti collettivi dei dirigenti Manageritalia, eccetto quello dei dirigenti delle agenzie marittime.

bia compiuto i 55 anni d’età (50, se donna), per i magazzini generali i 50 anni.

Quando si ha diritto ai trattamenti agevolati

Trasferimento accettato

Ma attenzione! I dirigenti dei trasporti e dei magazzini generali hanno diritto a tali trattamenti agevolati di cessazione del rapporto, tout court, per la mancata accettazione del trasferimento. I dirigenti del terziario e degli alberghi, invece, ne hanno diritto solo se il trasferimento è ingiustificato, oppure è causa di un detrimento professionale. Il detrimento professionale è automaticamente ravvisabile quando la distanza rispetto alla sede di lavoro originaria sia superiore a 350 chilometri. Il contratto del terziario richiede il preventivo consenso dell’interessato al trasferimento, anche se legittimo, nel caso in cui il dirigente abbia compiuto 60 anni. Per i contratti dei trasporti e delle agenzie marittime il consenso è richiesto qualora il dirigente ab-

Quando l’azienda non può disporre il trasferimento In ogni caso, per questi ultimi contratti, l’azienda non può unilateralmente disporre il trasferimento del dirigente in un paese estero situato in una delle aree geografiche dichiarate “zone a rischio” o anche, per il dirigente con familiari a carico, “zone di cautela” dal ministero degli Affari esteri.

Se accetta il trasferimento, il dirigente ha diritto all’integrale rimborso di tutte le spese che deve sostenere, per sé e per la famiglia, compresa l’eventuale differenza di canone locativo per un periodo da concordarsi fra le parti (non inferiore a 18 mesi per i dirigenti del terziario e dei trasporti e a un anno per le agenzie marittime e i magazzini generali)[3]. Avrà diritto anche a un’indennità una tantum, che varia da contratto a contratto. In caso di successiva risoluzione del rapporto di lavoro, non dovuta a giusta causa, il datore di lavoro rimborserà le spese per il rientro nel luogo d’origine purché l’evento si verifichi entro tre anni dalla data di trasferimento per i dirigenti d’albergo, entro sei mesi per i dirigenti di tutti gli altri settori.

[3] Il contratto dei trasporti stabilisce inoltre che “nel caso in cui il dirigente, nella precedente sede di lavoro, sia stato residente in un’abitazione di proprietà personale o familiare, è dovuto, per una durata da convenirsi e comunque non inferiore a 18 mesi, un importo corrispondente al 50% del canone di locazione, salve in ogni caso le condizioni di miglior favore.

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013-PP01-01-2017-09


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MANAGERITALIA

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CONDOMINIO: MANUTENZIONE ORDINARIA O STRAORDINARIA? Il trattamento del cotto delle rampe delle scale per l’accesso agli appartamenti è una spesa straordinaria o è considerato manutenzione normale? Come dovrà essere suddivisa la spesa tra proprietario e inquilino? La legge non definisce con chiarezza la differenza tra le manutenzioni ordinarie e straordinarie. Ci si deve rifare alle interpretazioni che ha dato la giurisprudenza negli anni. Il requisito che contraddistingue le manutenzioni ordinarie è quello della “normalità”. Sono infatti considerate spese ordinarie quelle ripetute nel tempo, costantemente e allo stesso modo (pulizia delle scale, riscaldamento, oneri per polizze assicurative ecc.). Le spese di carattere straordinario sono invece tutte quelle relative a interventi occasionali che non si ripetono costantemente o che per l’ammontare della spesa sono notevolmente superiori a quelle effettuate costantemente (rifacimento della facciata condominiale o del tetto ecc.). Ciò premesso, considerata l’occasionalità dell’intervento richiesto e l’onerosità dello stesso, si ritiene che tale spesa debba considerarsi di carattere straordinario e dovrà essere interamente sostenuta dal proprietario dell’immobile.

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PARTITA IVA FORFETTARIA Sono un ex dirigente in pensione e ho aperto una partita Iva forfettaria. Quali sono i requisiti per usufruire di questo regime agevolato? I requisiti per usufruire del regime agevolato sono tre: conseguire ricavi o percepire compensi non superiori a determinati limiti (ragguagliati all’anno nel caso di attività iniziata in corso d’anno), diversificati in base al codice Ateco che contraddistingue l’attività esercitata; sostenere spese complessivamente non superiori a 5.000 euro lordi per lavoro accessorio, dipendente e per compensi erogati ai collaboratori, anche assunti per l’esecuzione di specifici progetti; il costo complessivo dei beni strumentali, al lordo degli ammortamenti, non deve superare, alla data di chiusura dell’esercizio, i 20mila euro. Le fatture non rientrano nel regime Iva (per cui sono esenti) e non sono soggette a ritenuta d’acconto. Per quanto riguarda la posizione Inps, essendo iscritto alla gestione separata, la contribuzione dovuta sarà versata in base ai redditi dichiarati al momento della

dichiarazione dei redditi. I versamenti dei contributi dovuti seguiranno le scadenze previste per i versamenti Irpef, ovvero giugno (versamento saldo e primo acconto) e novembre (versamento secondo acconto).

CONTRATTO DI COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA Un’azienda mi ha proposto un contratto di sei mesi di consulenza. Sono iscritto come professional, ma al momento sono inoccupato. Ai fini dei contributi assistenziali, ho sia la gestione ordinaria sia quella separata. Cosa comporta questo contratto e chi dovrà versare i contributi? e in quale cassa? Se per contratto di consulenza si intende un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, questo comporta l’apertura di una posizione in gestione separata da parte del committente e il versamento dei contributi previdenziali, sempre da parte del committente, così suddivisi: 1/3 collaboratore; 2/3 committente.

FIGLI MINORENNI ALL’ESTERO Da quale età il minore può regolarmente circolare all’estero e soggiornare in hotel senza essere accompagnato dai genitori o da un accompagnatore autorizzato dai genitori? Al compimento dei 14 anni i minori possono viaggiare senza accompagnatori sia in ambito Ue che extra Ue. Alcune compagnie aeree o di navigazione, tuttavia, non ammettono il trasporto di minori di 16 anni non accompagnati (es: Ryanair, Easyjet). Per quanto riguarda il soggiorno, la normativa varia in funzione delle disposizioni nazionali. È sempre meglio assumere informazioni specifiche sul paese di destinazione direttamente alle ambasciate o ai consolati accreditati in Italia. Si consiglia inoltre di contattare direttamente l’albergatore al fine di comprendere se, al di là delle disposizioni normative che variano appunto a seconda del paese prescelto, accetti di accogliere nella propria struttura un minore solo e quali sono le condizioni per il pagamento del soggiorno. Generalmente negli ostelli non ci sono particolari problemi. Da ultimo si segnala che i genitori sono responsabili per ogni fatto commesso dal minore e che la mancanza di maturità giuridica implica un dovere di maggiore sorveglianza: acconsentire a un minore di viaggiare solo all’estero nel caso si verifichino fatti colposi o dolori potrebbe comportare delle maggiori conseguenze sul piano giuridico per il genitore.

! ? RISCATTO DELLA LAUREA Ho una laurea conseguita nel 2005. Quali sono i costi e le modalità per riscattare gli anni della laurea a fini pensionistici? In applicazione della nuova normativa di agevolazione per coloro che hanno conseguito il riscatto della laurea post 1995, l’onere è il seguente: reddito convenzionale 15.710 euro per un’aliquota di computo del 33% per i dipendenti, per ogni anno da riscattare. Per esempio, per un corso di laurea di 4 anni la spesa da sostenere sarà di 20.737 euro, da pagare in 60 rate mensili.

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IVASS: NEL 2018 PREMI A 145 MILIARDI DI EURO È quanto emerge dai dati statistici pubblicati dall’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni sulla raccolta dei premi assicurativi per i rami vita e rami danni nel 2018, con una crescita del 2,9% rispetto al 2017

C ASSIDIR

ome ogni anno, nel mese di maggio il bollettino informativo Ivass (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni) pubblica i dati relativi alla raccolta dei premi dell’anno precedente per i rami vita e danni. Questo documento contiene una fotografia del mercato assicurativo composto da quasi 200 compagnie e consente di comprendere quali sono gli orientamenti dei “consumatori” di questo settore della nostra economia. Il primo dato che permette di

misurare l’importanza del fenomeno è l’ammontare totale dei premi pagati dagli assicurati che, nel 2018, ha raggiunto la ragguardevole cifra di 145,1 miliardi di euro. La raccolta complessiva è cresciuta del 2,9% rispetto al 2017 ed è stata supportata principalmente dal settore vita, che ha contribuito con circa 107 miliardi di euro. Scendendo ancora più nel dettaglio, vale la pena sottolineare come la parte del leone sia stata fatta dai prodotti di “ramo I”, cui

LA “GESTIONE SEPARATA” IN PILLOLE È una particolare gestione finanziaria, appositamente creata dalle compagnie di assicurazione, nella quale vengono investiti i premi dei clienti sottoscrittori di determinate tipologie di polizze vita. Ogni compagnia può avere più gestioni separate che costituiscono un patrimonio distinto e la compagnia non potrà far pesare su di loro eventuali sofferenze patite in altri settori. Le riserve delle gestioni separate devono sempre garantire la solvibilità di tutte le polizze. L’Ivass ha stabilito parametri e vincoli sui patrimoni delle gestioni separate, i quali possono essere costituiti solo da titoli (prevalentemente di Stato e obbligazioni) che rispettino l’esigenza di sicurezza, redditività e liquidità degli investimenti. Infatti, grazie al fatto che i titoli inclusi nelle gestioni separate sono valorizzati al costo storico sino a quando non vengono venduti, tali gestioni risentono in minima parte delle fluttuazioni di valore di altri strumenti finanziari. Inoltre, le gestioni separate sono sottoposte ogni anno a certificazione da parte di una società di revisione iscritta all’albo.

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appartengono le tradizionali forme di accantonamento del mondo Manageritalia a noi ben note: Convenzione Antonio Pastore e Polizze Capitello. Per queste è importante sottolineare i buoni tassi di rivalutazione riconosciuti (vedi tabelle), dovuti anche al fatto che il rendimento minimo trattenuto dalle compagnie arriva massimo allo 0,70%, quando su altre gestioni arriva anche fino all’1,50%. Un buon consiglio per confrontare il rendimento finanziario di altre gestioni è accertarsi che esso sia indicato al netto di quanto trattenuto dalle compagnie, come del resto avviene con le nostre polizze. Un’informazione da non sottovalutare, inoltre, è una caratteristica tecnica molto importante delle nostre forme di risparmio: si tratta di “gestioni separate”, particolari gestioni finanziarie che offrono un ottimo livello di garanzia in quanto riducono al minimo le possibilità di rischi finanziari (vedi box a fianco). Tornando ai numeri, il bollettino Ivass segnala che il “ramo I” ha registrato nel 2018 un incremento del 5,9%, pari a un valore di 3,8 miliardi di euro. Il settore danni, cui appartengo-


Rendimenti convenzioni contrattuali* Convenzioni

Previr ’95

Date di versamento dei contributi

Da 1983

Rendimento attribuito

a 31/12/1997 4%

Antonio Pastore 3049 Da 1/1/1998 a 31/12/2002

3108

3140

da 1/1/2003 a 31/12/2005

2,91%

2,91%

da 1/1/2006 a 31/12/2017

3175 Da 1/1/2018 a 31/12/2018

2,91%

2,79%

* Attribuiti al contratto - ritenuta d’imposta applicata sulla plusvalenza al momento del riscatto/liquidazione

Rendimenti polizze Capitello* Polizze Date apertura polizze Rendimento attribuito

Capitello Fino al 31/12/2017 2,91%

Nuova capitello Dal 15/9/2018 2,77%

* Attribuiti al contratto - ritenuta d’imposta applicata sulla plusvalenza al momento del riscatto/liquidazione

no tra l’altro anche le polizze casa, incendio, RC auto e furto, è invece cresciuto di circa 1 miliardo di euro e ha registrato una raccolta premi complessiva pari

a circa 38 miliardi di euro, di cui più di 20 miliardi per le coperture assicurative “non auto”. Nell’insieme, quindi, un 2018 in crescita caratterizzato dalla ri-

presa del settore vita (+3%, corrispondente a 3,1 miliardi di euro rispetto al 2017) e dal recupero del settore danni, che era peraltro già iniziato nel 2017, con un incremento del 2,6%. Per saperne di più sulle forme di accantonamento del risparmio dedicate agli associati e ai loro familiari contatta:

ASSIDIR numero verde: 800401345 email: info@assidir.it www.assidir.it

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SCUOLA DI MANAGEMENT Amministrazione Tax&Finance Nuovo welfare aziendale e fringe benefits Una panoramica sulle novità fiscali introdotte ai fini della determinazione del reddito di lavoro dipendente Milano

26 settembre

Roma

7 ottobre

Right costs for right decisions Migliorare strategicamente la redditività della propria impresa Milano

25 settembre

-

CFMT

8 luglio

Milano

-

Agile project management Scopri i vantaggi della metodologia Agile per la gestione dei progetti 26 giugno

Milano

3 luglio

Roma

9 ottobre

Roma

PER INFORMAZIONI:

Roma

12 luglio

Tattiche negoziali e contromosse Come arricchire le proprie capacità negoziali 3 luglio 24 luglio

Milano -

9 luglio -

La Lean per le vendite Come rendere più efficiente e produttiva l’attività della rete vendita Milano Bologna

25 giugno 11 luglio

Roma -

9 luglio -

Leadership e people management

Roma

2 luglio

Milano

24 settembre

8 ottobre

Condurre con il cuore: verso una leadership inclusiva Creare ambienti di lavoro emotivamente sicuri NEW!

11 luglio

Entrepreneurial profiles Per chi vuole migliorare il proprio profilo professionale e dei propri collaboratori Milano

21 giugno

Il pensiero prospettico e strategico L’approccio “antifragile” per affrontare l’inatteso

Organizzazioni più veloci e flessibili Nuovi approcci per l’agilità delle aziende Milano

Salerno

10 luglio

Strategia e organizzazione

Roma

Branding con Linkedin Sviluppare business con Linkedin

Firenze Roma

Crisi d’impresa: misure di allerta e procedure di gestione L’impatto della nuova normativa sulle imprese in bonis Roma

Marketing e vendite

Udine NEW!

4 luglio

Bologna

25 settembre

Leading by partnership L’equilibrio dinamico nella relazione

Milano

25 giugno

Genova

10 luglio

16 ottobre

MILANO

info@cfmt.it, 02 5406311

ROMA

info@cfmt.it, 06 5043053

La partecipazione ai corsi è gratuita e riservata ai dirigenti associati in regola con il versamento dei contributi.

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KEEP IT SIMPLE

U

n nuovo ciclo di incontri Artsfor_, con Valeria Cantoni e Paolo Antonini, dedicato a un approccio alla leadership, più inclusivo e autorevole, che utilizza il concetto di semplicità come strumento manageriale chiave nella capacità di affrontare la complessità. Capiremo qual è il vero significato della semplicità, a cosa serve, quando e come usarla e come metterla al servizio di sé, del gruppo di lavoro e degli obiettivi dell’organizzazione. L’obiettivo è aiutare i manager a diventare efficaci designer di dialoghi, conversazioni e comunicazione, a partire dallo sviluppare capacità di costruire significati condivisi e assumere la responsabilità di saper togliere il superfluo per arricchire. Ogni incontro si costruisce con una struttura a “imbuto” che a partire da momenti ispirativi arriva a definire check-list comportamentali sul tema della semplificazione. Nel primo appuntamento del percorso, Il manager traduttore, si farà chiarezza sul vero significato e funzione della semplicità in contesti complessi, cercando di scardinare alcuni luoghi comuni sul semplificare e tratteggiando un modello di manager come traduttore di complessità, capace di interpretare i segnali forti e deboli della complessità e renderli accessibili al suo team e al mercato, adattandoli alla cultura aziendale.

I temi affrontati vanno dall’economia dell’attenzione alla responsabilità delle scelte nel processo di riduzione e sottrazione, fino alle capacità di grandi leader della storia di connettersi al futuro emergente e alla questione del tempo come risorsa più preziosa dell’economia organizzativa. Nel secondo workshop, Il manager sintetico, si approfondisce il tema della semplicità declinata sull’arte del dialogo, ossia l’arte di intessere e facilitare conversazioni di qualità. Questo genere di conversazioni produce sempre innovazione perché i diversi punti di vista vengono accolti e danno vita a idee che sono ben di più della somma delle idee delle singole persone e allo stesso tempo riescono a includerle tutte. Nell’ottica della leadership inclusiva, i manager sono chiamati sempre più a divenire facilitatori di conversazioni di qualità, filtrando la complessità delle emozioni che ne sortiscono per poter comprendere bene gli altri. Quando il linguaggio tecnico non può esaurire il senso della comunicazione, dato da emozioni, pregiudizi e giudizi, sapere dialogare, conoscere il valore della pausa, dei silenzi e leggere i silenzi degli altri diviene una capacità fondamentale di un nuovo modello di leader capace di essere terreno fertile più che aratro. Ultimo appuntamento del percorso è dedicato al Manager de-

signer. Non tutto è semplificabile, la complessità spesso va gestita in modo progettuale, senza temerla. Così il manager deve trasformarsi in designer. Il manager designer è chiamato ad affrontare la complessità in modo progettuale come processo, trasformando domande complesse (del mercato, dell’organizzazione, del team) in risposte semplici ed efficaci. Questo tipo di capacità comporta la consapevolezza che semplificare è un lavoro, che implica molta competenza e capacità progettuali. Più si è capaci di rendere semplice e immediato un concetto, un prodotto o un servizio che risponde a domande complesse, maggiori competenze e conoscenze sono richieste.

Gli appuntamenti del percorso  Il manager traduttore Come rendere la complessità accessibile al team MILANO – 15 ottobre – orario 9-13

http://www.cfmt.it/formazione/corso/il-manager-traduttore

 Il manager sintetico L’arte suprema del dialogo

MILANO – 19 novembre – orario 9-13 http://www.cfmt.it/formazione/corso/il-manager-sintetico

 Il manager designer Progettare semplicità

MILANO – 10 dicembre – orario 9-13 http://www.cfmt.it/formazione/corso/il-manager-sintetico

PER INFO E ISCRIZIONI: luisa.panariello@cfmt.it tel. 02 5406311

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Hanno collaborato a questo numero Thomas Bialas, futurologo, cura l’inserto Dirigibile ed è responsabile del progetto Future Manage(65) ment Tools di Cfmt. Paolo Bruttini è socio fondatore e presidente di Forma del Tempo. Svolge docenze e consulenze su comportamenti organizzativi, sviluppo del capitale sociale e umano, change management. È key note speaker sui temi della open leadership e dello sviluppo di organizzazioni aperte. È coautore dell’Open Leadership Manifesto. Ha scritto diversi articoli e libri di management e organizzazione.

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Claudia Corti è guida turistica per le province di Milano, Pavia, Monza e Brianza.

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Stefano Epifani è presidente Digital Transformation Institute e direttore Tech Economy.

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MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA DI MANAGERITALIA FEDERAZIONE NAZIONALE DEI DIRIGENTI, QUADRI E PROFESSIONAL DEL COMMERCIO, TRASPORTI, TURISMO, SERVIZI, TERZIARIO AVANZATO

FEDERAZIONE NAZIONALE DEI DIRIGENTI, QUADRI E PROFESSIONAL DEL COMMERCIO, TRASPORTI, TURISMO, SERVIZI, TERZIARIO AVANZATO

Anna Fonseca è esperta di comunicazione telefonica. Ha collaborato con diverse realtà aziendali tra cui Hp, Ibm, Microsoft, Sap Italia, Citrix, Trend Micro e CA. È psicologa clinica, grafologa, coach in Programmazione neurolinguistica certificata in Life&Business Coach dalla Society of NLP di Richard (38) Bandler. Autrice di diversi libri sul tema.

Andrea Granelli è presidente e fondatore di Kanso, società di consulenza che si occupa di innovazione e change management. È specializzato in cultura digitale e in leadership. Ha lavorato prima in Montedison e in McKinsey e poi come ceo in tin.it (l’operatore Internet del gruppo Telecom Italia) e in TILab (l’azienda che gestisce le attività di R&D e venture capital sempre del Gruppo Telecom). È anche (42) presidente dell’archivio storico Olivetti. Marzia Istria

è laureata in Scienze politiche presso l’Università degli studi di Milano, master in marketing presso l’Università Bocconi. Si occupa di sviluppare e lanciare sul mercato nuovi prodotti dedicati al target bambino e adolescente, target kids e teenager in qualità di product & brand manager di Gut Edizioni. Con Michela Valsecchi ha scritto il libro Influencer Kids & Mamme Digital (Lupetti). (26)

Marco Lucarelli lavora nella direzione strategy di una multinazionale Tlc dove si occupa di opera(63) tori virtuali. Luca Naitana è nutrizionista e biologo. Lauree in Biologia e in Scienze e tecnologie dei prodotti erboristici. Propone programmi di remise en forme e rieducazione alimentare presso l’Argentario Golf Resort & Spa a Porto Ercole (Grosseto). Nel 2009 è stato consulente nutrizionale dell’Istituto di Medicina e Scienza dello Sport del Coni. Ha ideato il metodo Wellbeing e scritto, insieme a Anna Masi, il libro La

(60)

dieta Wellbeing (Giunti Editore).

Andrea Pietrini ha una lunga carriera alle spalle, prima in grandi multinazionali e successivamente in fondi di private equity e infine cfo di aziende familiari. Ora è fondatore e chairman di YOURgroup, la (22) società che ha introdotto in Italia il concetto di fractional executive.

Enzo Rullani dirige il T-Lab-Cfmt e insegna Economia della conoscenza presso la Venice interna(30) tional university. da Manageritalia 65

Mariella Colavito, ufficio sindacale Manageritalia Lombardia.

Daniela Fiorino, responsabile ufficio sindacale Manageritalia.

FONDO ASSISTENZA SANITARIA DIRIGENTI AZIENDE COMMERCIALI FONDO DI PREVIDENZA MARIO NEGRI CFMT - CENTRO DI FORMAZIONE MANAGEMENT DEL TERZIARIO ASSOCIAZIONE ANTONIO PASTORE

Editore: Manageritalia Servizi srl Direttore responsabile: Guido Carella Coordinamento: Roberta Roncelli Redazione: Davide Mura, Enrico Pedretti, Eliana Sambrotta Direzione, redazione, amministrazione: via Antonio Stoppani, 6 - 20129 Milano tel. 0229516028 - fax 0229516093 giornale@manageritalia.it www.manageritalia.it Le opinioni espresse dagli autori impegnano esclusivamente la loro responsabilità Concessionario pubblicità LAPIS srl viale Monte Nero, 56 - 20135 Milano tel. 0256567415 info@lapisadv.it - www.lapisadv.it Grafica THE GRAPHIC FORGE sas via Antonio Stoppani, 4 - 20129 Milano tel. 0229404920 - www.graphicforge.it

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Stampa ROTOLITO spa via Sondrio, 3 - 20096 Pioltello (Milano) tel. 0292195.1 - www.rotolito.com

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Registrazione Tribunale di Milano n. 142, del 24 aprile 1974 Associato all’USPI Unione stampa periodica italiana Accertamenti diffusione stampa

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La diffusione di giugno 2019 è di 36.473 copie




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