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Franco Amicucci E-learning, il futuro è oggi
Intervista
E-LEARNING, IL FUTURO È OGGI
Per adattarci a un mondo diventato improvvisamente più volatile, incerto, complesso e ambiguo occorre “apprendere ad apprendere” continuamente, costruendo una nuova cultura della formazione e del lavoro incentrata sulla flessibilità. Una trasformazione che passa dalle organizzazioni e coinvolge in prima persona i manager. Ne parliamo con Franco Amicucci, formatore ed esperto di e-learning.
Franco Amicucci, presidente e fondatore di Skilla, è formatore ed esperto di e-learning.
Niccolò Gori Sassoli ricerca e innovazione Manageritalia
Quali trasformazioni stanno avendo le conseguenze dell’emergenza Covid-19 sul mondo della formazione, in particolare su quella professionale, in Italia? «Il coronavirus ha imposto un’accelerazione improvvisa e impressionante: abbiamo compiuto in pochi giorni un’evoluzione che ipotizzavamo sarebbe avvenuta in cinque o dieci anni. Milioni di persone si sono trovate a sperimentare per la prima volta modalità di studio e apprendimento che fino a tre mesi fa erano appannaggio di una minoranza. Nelle scuole e nei luoghi di lavoro, docenti e discenti hanno iniziato a usare semplici strumenti per operare a distanza, accorgendosi che la soglia di accesso ad alcune tecnologie è molto bassa. La formazione d’aula in ambito professionale non scomparirà ma sarà diversa, più breve ed esperienziale».
Quali sono le conseguenze, positive e negative, di un cambiamento arrivato in modo così forzato e improvviso anziché programmato? «La consapevolezza di poter utilizzare la tecnologia per ridurre le distanze e rendere più flessibile e personalizzato l’apprendimento ha innescato trasformazioni ormai irreversibili. Poiché il cambiamento, se non ben gestito, rallenta l’innovazione, è impor
tante guidare bene questi processi. In ambito professionale potremmo usare la didattica a distanza per abbattere radicalmente tempi e costi della formazione continua. Il principale rischio in questa fase è quello della banalizzazione e semplificazione: pensare che sia sufficiente registrare un video per fare didattica a distanza».
Quali competenze servono oggi, agli individui e alla civiltà umana nel suo insieme, per affrontare il domani, che la pandemia ha rivelato essere più incerto e incontrollabile di quanto immaginavamo fino a poche settimane fa? «I concetti di Vuca – volatility, uncertainty, complexity and ambiguity – fino a ieri oggetto di studio, sono improvvisamente entrati nella nostra realtà. Siamo nel pieno di un’accelerazione di cui
fatichiamo a comprendere la portata. Viviamo una “singularity” paragonabile a quella rappresentata nelle opere di fantascienza. Per abitare nel “mondo nuovo” dobbiamo imparare un nuovo alfabeto, attivare e sperimentare nuove pratiche sociali, lasciarci alle spalle vecchi schemi e culture. Dobbiamo acquisire quella che Alvin Tofler definisce la competenza del disapprendere, il che comporta una duplice sfida. La prima è quella di focalizzarsi su alcune competenze chiave richieste dal nuovo contesto: resilienza, adattabilità agli ecosistemi fisici e digitali in cui siamo immersi, problem solving collaborativo, pensiero critico. La seconda è acquisire una nuova cultura della formazione non più basata sulla separazione tra tempo di studio, tempo di lavoro e tempo di vita, ma sulla logica dell’apprendimento permanente, quotidiano, usando la molteplicità di strumenti e canali che rendono l’“apprendere ad apprendere” un processo costante».
Cosa dobbiamo disimparare? «Stiamo capendo che l’apprendimento non è un processo lineare e cumulativo, misurato in anni di studio e ore di formazione, ovvero un “Chrónos formativo”, ma è un percorso basato su rotture e salti di paradigmi in cui saper disapprendere e creare dei vuoti è necessario per acquisire e fare spazio a nuove abilità, culture, modelli di riferimento che potremmo definire come un “Kairós dell’apprendimento”. Nella lunga lista di cose da disapprendere o, per meglio dire, destrutturare, insieme alle vecchie culture burocratiche e ai vecchi modelli organizzativi, è importante inserire
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tutto quello che rientra nello stile della rigidità cognitiva. Una rigidità che è un tratto anche psicologico di una generazione che ha fatto di modelli e stili di leadership rigidi un mantra. Dobbiamo invece aprire allo schema opposto, quello della flessibilità cognitiva, che permette un rapido
«L’apprendimento non è un processo lineare e cumulativo, misurato in anni di studio e ore di formazione, ma è un percorso basato su rotture e salti di paradigmi in cui saper disapprendere e creare dei vuoti è necessario per acquisire e fare spazio a nuove abilità, culture, modelli di riferimento»
adattamento di persone e organizzazioni a nuovi contesti, sfide, opportunità. Dobbiamo imparare ad apprendere dalle esperienze più significative che segnano la nostra evoluzione lungo il cammino della vita, dai successi e dagli errori, dalla capacità di fare domande alla nostra rete di relazioni e alla grande bibliotecaipertesto che è il web e poi saper filtrare le risposte, le informazioni e le conoscenze, dargli valore e rimetterle in circolazione».
Come affrontare il sovraccarico cognitivo a cui siamo sottoposti? «Il lavoro intellettuale in contesti di relazione digitale rischia di rompere ogni minimo confine fra vita privata e vita lavorativa, con conseguenze importanti sul carico cognitivo e sullo stress. È urgente creare una nuova cultura affinché con il valore della flessibilità si affermi una nuova capacità di gestire la vita personale nei tempi e negli spazi. Come accade nelle diete, di fronte all’enorme buffet che abbiamo di fronte dobbiamo imparare a eliminare qualcosa. Il sovraccarico cognitivo richiede la “dietetica delle informazioni”, cioè la capacità di focalizzarsi sulle informazioni chiave, di allenare l’intelligenza sintetica».
L’improvviso e massivo ricorso allo smart working e all’e-learning ha evidenziato che la carenza di una specifica “cultura della cittadinanza digitale” in
Italia è un’emergenza sociale.
Come colmare il divario? «L’Italia è agli ultimi posti in Europa nell’ambito della cultura e delle competenze digitali. Siamo tra i Paesi più anziani del mondo e abbiamo una pubblica amministrazione diffidente verso l’innovazione. La dirigenza del Paese, a tutti i livelli, per fattori anagrafici e culturali, è carente sul piano del mindset e delle competenze digitali, mentre le giovani generazioni, mediamente più alfabetizzate digitalmente, non hanno per ora ruoli di potere significativo. Per invertire la rotta dovremo impegnarci per arrivare agli standard del DigComp, il quadro di riferimento per le competenze digitali dei cittadini europei».
A proposito di mindset digitale e all’apprendimento continuo: come diffonderlo nel contesto ma-
nageriale e imprenditoriale italiano? «L’esperienza di queste settimane rappresenta una grande full immersion formativa sul digitale vissuta in contemporanea e massivamente da tutto il management italiano. È iniziato il momento del debriefing. Cosa abbiamo appreso? Come sarà l’organizzazione del futuro? Dove investire affinché persone e organizzazioni siano più agili e performanti grazie alle tecnologie? Le nuove forme di lavoro che si stanno profilando, insieme all’accelerazione della digitalizzazione dei processi e della robotizzazione delle attività manifatturiere, richiedono una nuova visione manageriale incentrata sul valore della formazione, che deve diventare una funzione strategica. Dobbiamo configurare le organizzazioni come veri e propri ecosistemi di apprendimento continuo».
Cosa possono fare i manager per orientare le attività imprenditoriali nella transizione verso modelli più sostenibili di produzione, distribuzione e consumo? «Una delle grandi sfide manageriali è orientare il business verso l’etica e la sostenibilità, non per seguire un imperativo morale, ma come precondizione per garantire l’esistenza stessa delle aziende. I manager dovrebbero esercitare due dimensioni della
Leggi il DigComp 2.1
Il DigComp è un rapporto realizzato dal Joint Research Centre (JRC) della Commissione europea contenente indicazioni utili a definire, partendo dalle evidenze scientifiche, le politiche europee in materia di competenze digitali. Pubblicato nel 2013 e aggiornato nel corso degli anni, è il quadro di riferimento su cui si costruisce la “cittadinanza digitale europea”, ovvero si innovano l’istruzione e la formazione professionale ai fini della crescita personale, dell’occupazione e dell’inclusione sociale.
leadership spesso trascurate: la “lateral leadership”, cioè la capacità di creare reti virtuose, di intelligenza connettiva e collettiva con i colleghi, e la “leading up”, cioè il saper influenzare e guidare le proprietà aziendali e i consigli di amministrazione, che sono spesso azionisti non competenti».
Quali passi concreti potrebbe fare Manageritalia per realizzare il suo auspicio affinché i corpi intermedi collaborino per indirizzare, guidare e monitorare la diffusione dello smart working? «I pilastri su cui fondare lo smart working sono tre: il primo poggia sulla cultura del lavoro, partendo da quella manageriale; il secondo sulla diffusione di competenze specifiche per operare con efficacia a distanza; il terzo sulle dotazioni di infrastrutture digitali, dispositivi, connessioni e applicazioni. Manageritalia può diffondere la consapevolezza tra i suoi interlocutori sull’urgenza di investire, a ogni livello, per consolidare questi tre pilastri. Sul piano sindacale può intervenire nella contrattazione collettiva, per investire sulla formazione e offrire servizi specifici per l’apprendimento continuo».
Podcast ATOMI & BIT: innovazione da ascoltare!
Manageritalia, in collaborazione con Andrea Latino, digital transformation consultant e fondatore del gruppo Void, lancia un nuovo canale di informazione e confronto sulla digital transformation. Un successo di audience e contenuti in grado di coinvolgere e stimolare il dibattito. Ecco qualche estratto
DAL 15 MAGGIO è in onda Atomi & Bit, l’iniziativa promossa da Manageritalia e un manager, con i manager, per i manager, che offre l’opportunità di ascoltare la viva voce dei più grandi business leader italiani. Durante le prime puntate di Atomi & Bit grandi manager e leader ci hanno raccontano delle loro sfide e dei processi che hanno adottato per vincerle, fornendo consigli utili per i colleghi da applicare nella propria realtà.
Siete curiosi di sapere qual è il segreto per non essere travolti dall’onda digitale, secondo un leader del mondo Fmcg? Massimo Ferro, cfo e direttore corpo
rate strategy di Nestlé Italia, ci ha risposto così: «Devi posizionare i tuoi prodotti e i tuoi servizi in sistemi più allargati, quelli che vengono chiamati eco-system, per capire se in questi ci sono dei competitor, che sono delle minacce, oppure delle opportunità che puoi prendere per fare leva sul tuo prodotto per allargarlo in un settore leggermente diverso ma limitrofo a quello che fai. Cioè devi avere un po’ la capacità di vedere il mercato o quello che ti succede con occhi un po’ più ampi che solo il tuo prodotto, il tuo settore o la tua linea distributiva».
E vi interessa sapere come definisce l’“essere digitale” un top manager di una new bank? Carlo Panella, head of direct banking and chief digital
operations officer di illimity, ci risponde: «Essere digitali vuol dire riuscire a spostare la complessità al proprio interno, lasciando al cliente i processi semplici e immediati, processi che devono essere pensati andando a ridistribuire in parti diversi dell’organizzazione. Con organizzazione intendo dire organizzazione end-to-end, che comprende anche il cliente finale, per utilizzare al meglio il valore che ognuno può portare all’interno di questo processo». E continua il suo discorso spiegandoci: «Pensare in modo digitale è un po’ come quello che sta succedendo, ed è successo, con il passaggio dall’economia tradizionale alla sharing economy: non è più importante possedere un bene, ma poterlo utilizzare per il tempo che mi serve, quando mi serve e pagandolo per il valore che mi dà in quel momento».
O ancora, siete curiosi di scoprire come l’ad di un’azienda medicale l’ha portata da 600k di fatturato al primo bilancio a un network da oltre 20 centri? Luca Foresti, ceo del
Centro Medico Sant’Agostino: «Dal 2010 sono arrivato a Sant’Agostino, ai tempi era una piccolissima azienda (...). Ho favorito un uso pervasivo della tecnologia, anche perché l’azienda che gestisco ha un posizionamento di mercato a tariffe molto accessibile, quindi l’unica possibilità per stare in piedi era di digitalizzare tutto il digitalizzabile. Altrimenti non saremmo mai riusciti a fare i prezzi che facevamo e ottenere i risultati che abbiamo avuto».
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