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N. 10 OTTOBRE 2014
DIRIGIBILE FARE FUTURO, PROVOCARE IL CAMBIAMENTO TIM CLARK «DISEGNA IL TUO MODELLO DI BUSINESS»
INTERVISTA ESCLUSIVA
RICHARD BRANSON IL MODELLO VIRGIN, LE RISORSE UMANE, I MANAGER
MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA DEI DIRIGENTI, QUADRI E PROFESSIONAL DEL TERZIARIO Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - Decreto Legge 353/03 (convertito in Legge 27/2/04, n.46) art.1, comma 1 - DCB/MI - € 2,20 (abbonamento annuo € 16,50)
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Sommario Editoriale 4 Jobs Act: una vera riforma? Copertina 6 Chiamatemi Richard
RUBRICHE 12 Osservatorio legislativo
InfoMANAGER
24 Mondo del lavoro
Cfmt 63 Smartworking
30 Non solo consumi
Manageritalia 64 Contratto Il preavviso di licenziamento
46 Di buon grado
Responsabilità sociale 14 Sei socialmente responsabile?
47 Arte 48 Libri
Interviste 20 Tim Clark Disegna il tuo modello di business
49 Letture per manager 50 Lettere
36 Anass Allouch Wellness al digitale Change management 26 È ora di cambiare
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Risorse umane 32 Come cambia la tua assistant? Assicurazioni 38 L’e-commerce nel mondo assicurativo N. 10 OTTOBRE 2014
Iniziative Manageritalia 42 Tra le nevi di Madonna di Campiglio
DIRIGIBILE FARE FUTURO, PROVOCARE IL CAMBIAMENTO TIM CLARK «DISEGNA IL TUO MODELLO DI BUSINESS»
INTERVISTA ESCLUSIVA
RICHARD BRANSON IL MODELLO VIRGIN, LE RISORSE UMANE, I MANAGER
MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA DI MANAGERITALIA Federazione nazionale dei dirigenti, quadri e professional del commercio, trasporti, turismo, servizi, terziario avanzato R
FEDERAZIONE NAZIONALE DEI DIRIGENTI, QUADRI E PROFESSIONAL DEL COMMERCIO, TRASPORTI, TURISMO, SERVIZI, TERZIARIO AVANZATO
Fondo assistenza sanitaria dirigenti aziende commerciali
Fondo di previdenza Mario Negri
CFMT Centro di formazione management del terziario
Associazione Antonio Pastore
MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA DEI DIRIGENTI, QUADRI E PROFESSIONAL DEL TERZIARIO Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - Decreto Legge 353/03 (convertito in Legge 27/2/04, n.46) art.1, comma 1 - DCB/MI - € 2,20 (abbonamento annuo € 16,50)
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Editoriale a cura del presidente Manageritalia
JOBS ACT: UNA VERA RIFORMA? I
l dibattito politico di questo inizio ottobre si è concentrato sulla riforma del lavoro proposta dal Governo Renzi tramite il Jobs Act. Anche se buona parte dell’attenzione dei commentatori si è focalizzata sull’abolizione o meno dell’art. 18, alla fine i dettagli sulle nuove normative in materia di licenziamento arriveranno solo nel prossimo anno. Riteniamo, comunque, che concentrarsi solo su quest’aspetto sia fuorviante: i cambiamenti di cui il mondo del lavoro ha bisogno devono essere organici. Devono far parte di un disegno complessivo che tenga conto degli scenari economici e sociali, in una visione prospettica di lungo respiro. Prendiamo, per esempio, l’idea di inserire il Tfr in busta paga. Anche senza voler pensare che sia una mossa per ottenere consenso in vista di eventuali elezioni anticipate – e anche prevedendo tassi di interesse calmierati per le imprese che devono ricorrere ai prestiti dalle banche per fronteggiare l’imprevisto bisogno di liquidità – la misura graverebbe le liquidazioni di un regime fiscale molto più svantaggioso di quello previsto per l’erogazione a fine rapporto. Non sarebbe meglio detassare il Tfr eventualmente redistribuito in busta paga per tre anni e offrire alle aziende un taglio dell’Irap coperto con un concreto taglio della spesa improduttiva? È chiaro che in questo modo si andrebbe a ridurre il vantaggio dello Stato che non riceverebbe più in anticipo le tasse sul Tfr redistribuito e incasserebbe meno Irap. Ma è altrettanto chiaro che si sta “giocando” con il futuro dei lavoratori, per questo si deve trovare un modo che non vanifichi un sacrificio.
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Infatti, c’è un altro aspetto su cui riflettere: la proposta si pone in contraddizione con le politiche degli ultimi dieci anni, che hanno puntato molto sul secondo pilastro previdenziale, pur senza riuscire a lanciarlo come avrebbero voluto. Sappiamo che destinare il Tfr ai fondi complementari aiuta a sopperire alla progressiva riduzione delle prestazioni pensionistiche obbligatorie. La nostra categoria si è da tempo attrezzata in tal senso, creando un sistema di welfare contrattuale che viene spesso citato come modello di contrattazione innovativo. Per questo crediamo sia la strada giusta da seguire, se si vuole davvero fronteggiare la progressiva flessione del tasso di sostituzione delle future pensioni generata dall’evoluzione del rapporto tra lavoratori e pensionati e per questo l’alternativa deve essere davvero vantaggiosa. Un altro punto sul quale riteniamo che la nostra esperienza possa essere condivisa (e torniamo all’art. 18) è quello della cessazione del rapporto di lavoro. Se svincoliamo la parola licenziamento dalle connotazioni ideologiche ci rendiamo conto che, quando vengono previsti giusti indennizzi economici – così come già avviene oggi in Italia per i dirigenti – il licenziamento può non essere la “fine del mondo”. Naturalmente serve anche creare un sistema di formazione e riqualificazione professionale coerente, non fine a se stesso, disegnando politiche attive per il lavoro realmente efficaci. L’annuncio di costituire un’unica Agenzia nazionale per le politiche attive va in questa direzione. Pur dovendo superare alcuni ostacoli (la competenza sulla materia, oggi, è in capo alle Regioni) si tratta di
un’utile occasione per rovesciare l’assetto attuale, che vede lo Stato impegnato molto più sulle politiche passive che su quelle attive. Eppure, per mettere in piedi una riforma che poi produca risultati concreti bisogna affrontare i problemi chiave del Paese: burocrazia, fisco, giustizia. E, a monte, ascoltare le richieste del sistema produttivo: le esigenze delle imprese sono concrete, così come i bisogni dei lavoratori (e dei sempre più numerosi disoccupati). Vediamo dunque, nei prossimi mesi, come procederanno le riforme contenute nel Jobs Act. La loro validità dipende soprattutto dalla capacità e dalla volontà di metterle in pratica, ovvero dall’esecuzione. Un’esecuzione che, per essere davvero efficace, deve basarsi sulla pianificazione concreta delle decisioni da prendere, sulla definizione di una tabella di marcia con scadenze certe, sulla visione d’insieme e sui dettagli, sulla quantificazione delle risorse disponibili, sull’individuazione delle responsabilità e sulla rendicontazione. Questo è l’approccio con cui, da manager, ci poniamo di fronte alla politica e alle altre parti sociali, oltre le ideologie. Certo, ci sarebbe bisogno di qualcosa di veramente rivoluzionario e capace di cambiare in meglio il lavoro e il mondo del lavoro. Come ha fatto Richard Branson (speciale all’interno della rivista) e come indica Dirigibile di questo numero dedicato ai manager del futuro. Guido Carella (guido.carella@manageritalia.it)
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Sir Richard Branson, 64 anni, presidente del gruppo Virgin.
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CHIAMATEMI RICHARD
Faccia a faccia col fondatore del gruppo Virgin, un impero con oltre 290 aziende e 50.000 dipendenti in tutto il mondo. Il gruppo è attivo in settori che vanno dai trasporti ai servizi finanziari, dall’intrattenimento ai media, fino a raggiungere ambiti audaci come il turismo spaziale. Parliamo con Richard Branson di risorse umane, degli obiettivi oltre al profitto per chi fa impresa e del ruolo chiave dei manager nelle sue società . Davide Mura
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Copertina Lei viene considerato un imprenditore visionario e geniale e la sua persona è un tutt’uno con il brand Virgin, che ha creato all’inizio degli anni ’70. Come si definirebbe con tre aggettivi? «Non è semplice riassumere se stessi con tre aggettivi. Tuttavia, se penso ad alcune caratteristiche personali che mi vengono in mente, direi curioso, avventuroso e ottimista». Il gruppo Virgin è sempre stato sotto i riflettori per la sua propensione a investire in business nuovi ed eterogenei: con quali premesse e come siete riusciti a ottenere successo in settori così diversi? «Abbiamo sviluppato business in molti settori differenti l’uno dall’altro e possiamo ritenerci fortunati ad avere avuto successo in ognuno di questi. Posso senz’altro dirle che noi proviamo sempre a entrare in campi che ritenia-
mo abbiano bisogno di una piccola scossa e che possano beneficiare della competizione che Virgin può portare. Lo scopo più importante è di utilizzare il business come una forza che tende al bene e offrire ai clienti un’alternativa migliore rispetto a quello che è già presente sul mercato. Il nostro successo è dovuto alle nostre persone e al brand che hanno contribuito a sviluppare. Un brand associato a molte qualità applicabili a tutti i settori dove siamo attivi – ad esempio l’alto livello del servizio e il rapporto qualitàprezzo – e che non è dunque delimitato a un unico comparto come altri, tipo Coca-Cola». Ci saranno stati anche dei passi falsi che avrebbero invece potuto essere evitati. «Penso che ogni passo falso avrebbe potuto essere evitato con un giudizio a posteriori. Io ne ho fatti molti negli anni, ma ritengo
che si dovrebbe sempre chiedere il perdono anziché il permesso. È meglio essere se stessi e dire “scusa” dopo aver fatto un errore piuttosto che non essere se stessi fino in fondo». I suoi dipendenti la chiamano semplicemente Richard. Un approccio diretto alle risorse umane può rafforzare il team di lavoro? «Onestamente ritengo sia la migliore policy. Più le persone sono dirette e sincere tra di loro e più ne guadagnano in felicità personale. Se ognuno scopre le carte sul tavolo tutti sanno ciò che ogni persona sta provando a realizzare e può lavorare insieme per far sì che questo accada». Che importanza hanno le politiche di company welfare nel vostro gruppo? È utile investire sul benessere dei propri dipendenti e collaboratori? «Sono importantissime. In Virgin
L’origine del brand Il marchio Virgin nacque all’inizio degli anni ’70 in Inghilterra. Così Richard Branson, insieme a Nik Powell, cofondatore del gruppo, chiamò il suo primo negozio di dischi a Londra, nel quartiere di Notting Hill. Perché “Virgin”? Perché si consideravano “vergini” in questo tipo di business. Il logo attuale venne abbozzato per la prima volta su un tovagliolo dal grafico Trevor Key ed elaborato da Ray Kyte. Branson descrisse la “V” come un segno distintivo, che rende l’idea di approvazione.
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abbiamo come motto “lavora sodo, divertiti alla grande”. Un’azienda è essenzialmente una grande famiglia di persone dirette verso un obiettivo. Investiamo parecchio sulle nostre persone e cerchiamo di far sì che Virgin sia un posto magnifico dove lavorare. Più le persone sono felici e si divertono in quello che fanno e più il loro lavoro sarà migliore». Nella vostra carta di valori c’è il diversity management: come viene promosso nel gruppo? Può essere considerata una strategia win-win? «Le pari opportunità e la promozione della diversità sono molto importanti in tutte le nostre aziende. Abbracciare e celebrare l’individualità delle nostre persone è un valore costituzionale della cultura di Virgin. Incoraggiamo attivamente le persone che lavorano per noi a essere se stesse e garantiamo gli stessi diritti a tutti. Questo è fondamentale per creare un’impresa di successo e felice». I giovani sono al centro nelle vostre campagne di recruitment e nelle azioni intraprese verso le risorse umane: quali opportunità offrite agli under 30? «Negli ultimi anni sono emerse nuove funzioni e aree innovative in grado di attrarre le nuove leve, penso ad esempio all’ambito dei social media o della programmazione. Innegabilmente le giovani
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Un’iniziativa rivoluzionaria: orario di lavoro e piano ferie addio Richard Branson ha deciso di recente di inaugurare una nuova policy per i dipendenti del suo gruppo: niente più orario di lavoro, ma soprattutto niente più piani ferie e boss padroni del tempo fuori e dentro l’ufficio: «La nostra nuova politica permetterà a tutti i salariati di andare in ferie quando vogliono e per quanto vogliono, non c’è bisogno di chiedere l’approvazione a nessuno, e né i dipendenti né l’azienda dovranno tenere conto dei giorni che trascorrono in vacanza lontani dall’ufficio. Sta ai dipendenti decidere quando hanno voglia di prendersi qualche ora, un giorno, una settimana o un mese di ferie, con la sola consapevolezza che lo faranno quando si sentono al 100% fiduciosi che la loro assenza non danneggerà il lavoro e naturalmente nemmeno la loro carriera». generazioni sono più portate a ricoprire queste posizioni perché hanno competenze maggiori nell’ambito digitale e dell’informatica utili per svolgere al meglio queste attività. Ciò non significa che assumiamo solo persone under 30 nei nostri digital team. Sono fermamente convinto che l’obiettivo debba essere quello di assumere la persona giusta per un determinato ruolo, indipendentemente dalla sua età, in ogni dipartimento». Che consigli potrebbe dare ai giovani italiani che stanno per entrare nel mercato del lavoro? «Sapere bene cosa li appassiona.
Dedicheranno molto tempo della loro vita alla professione e per avere successo occorre rimboccarsi le maniche. È fondamentale essere sicuri che si fa ciò che interessa e piace: essere appassionati del proprio lavoro aiuta a sentirsi meglio e a emergere fino alle posizioni al top». Qual è il ruolo del management nelle sue aziende e come dovrebbe essere un “Virgin manager”? «Mi ritengo soddisfatto per aver sviluppato nel corso degli anni una squadra di manager incredibilmente forte all’interno del gruppo Virgin. Questo mi per-
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Copertina mette di dedicare l’80% del mio tempo a Virgin Unite – il braccio non profit di Virgin Group – e lasciare ai miei manager la direzione delle aziende Virgin. Un grande manager sa che è importante per i colleghi sentire che lavori con loro e non per loro: è una strada a doppio senso. I suoi collaboratori sanno che è disposto ad ascoltare idee e suggerimenti di tutti e ha una sincera fiducia nel team, con cui cammina insieme».
Alcune posizioni di rilievo nelle sue aziende sono occupate da membri della sua famiglia: ma è meglio investire sui “talenti di casa” o su quelli esterni? «Il punto è individuare la persona che merita quel lavoro. Io sono contento che sia Holly che Sam stiano lavorando duro all’interno di Virgin. Entrambi vivono e respirano i valori del brand fin da quando sono nati e conoscono il business e ciò che vogliamo realizzare meglio di altri».
L’impegno nel sociale e per l’ambiente Non solo donazioni miliardarie a favore di progetti umanitari: nel 2007 Richard Branson ha fondato The Elders, un gruppo di leader internazionali (tra cui Kofi Annan e Jimmy Carter) impegnati nella risoluzioni dei conflitti nel mondo. Con Virgin Unite l’obiettivo è quello di proporre nuovi modelli di leadership nei paesi in crisi o in via di sviluppo e supportare le iniziative imprenditoriali locali formando allo stesso tempo un management responsabile. Richard Branson è attivo in prima persona per la salvaguardia del pianeta, organizzando piccoli summit con esponenti del mondo politico e stakeholder volti a trovare soluzioni efficaci e concrete per l’ambiente.
Il marketing e la comunicazione hanno sempre avuto molta importanza nelle vostre aziende, il tutto all’insegna dell’innovazione e della creatività. Come viene alla luce una vostra campagna di comunicazione? «Penso che il marketing e la comunicazione siano un fattore chiave di ogni azienda di successo, in particolare per quelle che provano a sviluppare e ingaggiare un brand. Virgin ha molte storie emozionanti da raccontare visto che abbiamo così tante aziende che portano avanti progetti entusiasmanti a livello globale. Potremmo parlare per ore delle nostre campagne, ma voglio sottolineare il ruolo che hanno sempre più per noi i social media, che hanno trasformato il modo di comunicare dei brand con i loro clienti. Noi ci siamo gettati a capofitto nel mondo del digitale e del mobile: siamo
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Virgin Galactic Il countdown è iniziato e dopo numerosi test a partire dal 2008, Richard Branson è pronto per il primo volo commerciale nello spazio, previsto entro la fine di marzo 2015. Tra gli investitori della società Virgin Galactic, il fondo sovrano di Abu Dhabi.
fermamente convinti che questi strumenti e canali siano in grado di raggiungere target ampi e interessanti e coinvolgerli direttamente, a differenza dei mezzi di comunicazione tradizionali». Virgin in Italia ha un legame forte col mondo dell’intrattenimento e del lifestyle, con Virgin Radio e Virgin Active. È soddisfatto dei risultati ottenuti? «Decisamente, in entrambi i business». Parliamo di Virgin Galactic e della frontiera del turismo spaziale. La fantascienza diventa realtà? Quali sono le opportunità più interessanti in questo settore e fino a che punto ci si può spingere per offrire esperienze uniche ma di certo non alla portata di tutti? «Spero che i prezzi scendano a un punto tale per cui le persone possa-
no sperimentare i viaggi spaziali. Quando questo succederà è difficile dirlo ma io mi auguro in un futuro non troppo lontano. Virgin Galactic sta costantemente migliorando e raggiungendo un numero importante di pietre miliari in questo progetto avveniristico. Nessun’altra azienda privata nel mondo ha mai fatto qualcosa del genere. Abbiamo aperto la strada ad altre imprese private e questo aiuterà a far calare ulteriormente i prezzi». Quali messaggi dovrebbero essere trasmessi al mondo economico e alle istituzioni in un periodo di crisi come il nostro da un imprenditore di successo come lei? «Credo che gli imprenditori e le pmi siano il cuore di ogni economia. Un mucchio di grandi imprese come quelle nel mondo della tecnologia e delle telecomunicazioni fanno affidamento su-
gli imprenditori per approcciare settori nuovi prima che i grandi giganti siano coinvolti. Bisogna favorire e promuovere la leadership e valorizzare il talento di questi imprenditori in grado di produrre valore sul territorio». Ci racconti dei suoi prossimi progetti personali e professionali. «Al momento io sono soprattutto concentrato su Virgin Unite. Abbiamo fatto da incubatore per una serie di organizzazioni focalizzate su problemi specifici dell’intero pianeta, come la risoluzione di conflitti con The Elders, i cambiamenti climatici con Carbon War Room, la sostenibilità con B Team e la conservazione degli oceani con Ocean Elders. Credo che se si ricopre una posizione tale per fare qualcosa di diverso e di positivo per il mondo si debba avere la responsabilità di farlo». 䡵
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OSSERVATORIO LEGISLATIVO
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a cura di Manageritalia
LICENZIAMENTI COLLETTIVI APPLICATI AI DIRIGENTI ontinua l’iter del disegno di legge “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – legge europea 2013 bis” – che all’art. 16, ricordiamo, prevede l’estensione ai dirigenti delle procedure di informazione e consultazione sindacali relative ai licenziamenti collettivi e i criteri di scelta dei dipendenti da licenziare. Il disegno di legge è stato approvato in prima lettura dalla Camera lo
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scorso giugno, modificato dal Senato il 17 settembre ed è tornato alla Camera in seconda lettura il 18 settembre. Al momento l’art. 16 è rimasto identico. Confidiamo in una rapida approvazione del provvedimento, che segnerebbe un importante riconoscimento giuridico per la categoria. Testo ddl: http://bit.ly/1Dwh702
I servizi sociali e alla persona come volano per la ripresa dell’occupazione in Italia stata presentata contemporaneamente al Senato e alla Camera la proposta di legge per l’istituzione del voucher-buono universale per i servizi alla persona e alla famiglia, firmata da un gruppo di parlamentari appartenenti a diversi schieramenti. Il progetto, promosso dall’Istituto Sturzo, si ispira al modello francese dei “Chèque emploi service universel” (Cesu) con l’obiettivo di migliorare l’accesso di famiglie e lavoratori ai servizi di protezione sociale per la cura di bambini, anziani non autosufficienti, persone con disabilità o per aiuti domestici. Si vorrebbe massimizzare l’efficacia della spesa che già oggi le famiglie effettuano autonomamente con un provvedimento di equità fiscale che rende possibile una detrazione parziale degli oneri sostenuti. L’introduzione di tale meccanismo potrebbe consentire la progressiva emersione di lavoratori che prestano in nero servizi di assistenza e cura, nonché occupazione aggiuntiva. La proposta prevede, inoltre, l’estensione anche alle piccole e medie imprese degli strumenti di welfare aziendale attraverso l’utilizzo di voucher-buoni universali per prestazioni sociali. Infine, lo stesso meccanismo potrà essere utilizzato dalle amministrazioni pubbliche al fine di rendere più semplice e immediato l’intervento sociale. Le famiglie potranno acquistare questi voucher universali, emessi da società concessionarie, e godere di
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una detrazione fiscale pari al 33% (fino a un massimo di € 8.000) dell’acquisto effettuato. I voucher verrebbero quindi utilizzati dalle famiglie per pagare collaboratori, imprese, cooperative, asili nido, centri per anziani, organizzazioni del terzo settore e del volontariato accreditate, che a loro volta possono riscuotere i voucher presso gli istituti bancari convenzionati. Sulla base di una ricerca del Censis, l’impatto economico dell’istituzione del voucher universale sarebbe sostenibile con un saldo a carico dello stato al di sotto dei 300 milioni di euro per il primo anno di applicazione della legge e, dopo cinque anni, la platea di famiglie in grado di accedere ai servizi socio-assistenziali dovrebbe crescere di 482mila unità, il numero di lavoratori beneficiari dei servizi di welfare aziendale salire da 127mila a 858mila, l’emersione del lavoro irregolare raggiungere le 326mila unità, mentre l’occupazione aggiuntiva è valutabile in non meno di 315mila nuovi occupati. I promotori delle proposte di legge ritengono di conseguenza che, se opportunamente promossi attraverso questo voucher universale, i servizi alla persona possano diventare uno dei volani più importanti della ripresa dell’occupazione nel nostro Paese. Testo AC 2492: http://bit.ly/1pLsQh0 Testo AS 1535: http://bit.ly/1lBn0Dj
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Il decreto “sblocca Italia” del governo e l’export manager l 29 agosto, il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge contenente misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive. Il decreto è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 12 settembre ed è entrato in vigore il giorno successivo. Il pacchetto prevede, tra le altre norme, il lancio di un “Piano per la promozione straordinaria del Made in Italy e l’attrazione degli investimenti in Italia” per oltre 270 milioni di euro nel triennio 2015-2017, attraverso interventi mirati di diffusione e promozione delle produzioni italiane in campo industriale e agro-alimentare. Con la norma contenuta nell’art. 30, “promozione straordinaria del Made in Italy e misure per l’attrazione degli investimenti”, si è scelto di legare la promozione a significativi incentivi all’innovazione per le imprese coinvolte, anche attra-
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verso l’assunzione di figure professionali specializzate nei processi di internazionalizzazione (export manager). La questione aperta è come fare a convincere le troppe aziende che sono prive di manager che questi sono indispensabili per la competitività e la crescita e come renderle consapevoli dell’opportunità, in un sistema economico sempre più in rete, di dotarsi di presenza, cultura e capacità manageriali anche secondo modalità flessibili e modulabili nel tempo a seconda di bisogni e dimensione aziendale. Proprio nell’ottica di costruire una maggiore competenza per l’internazionalizzazione delle piccole e medie aziende italiane, non possiamo che essere concordi con questa proposta di promuovere i voucher per export manager appositamente formati al fine di portare una competenza che manca nelle realtà più piccole. Testo ddl: http://bit.ly/1rtp7dr
Esodati: la sesta salvaguardia è legge l Parlamento ha messo il piede sull’acceleratore sul tema esodati. Il Senato ha definitivamente approvato la salvaguardia per coloro che avrebbero acquisito la pensione al 6 gennaio 2016. La misura, che costerà oltre 11,5 miliardi, consentirà a 32.100 lavoratori di andare in pensione con le stesse regole in vigore prima della riforma Fornero, spostando dal 6 gennaio 2015 al 6 gennaio 2016 il termine entro cui dovrà aprirsi la “finestra mobile” per accedere alla pensione. La soluzione è apparentemente interessante, ma non risolutiva. Molti lavoratori resteranno infatti esclusi anche dalla nuova normativa e quindi il rischio è quello di non offrire una soluzione definitiva, ma di varare l’ennesima misura-tampone. Il problema si potrebbe risolvere in maniera più semplice, ferma restando la proroga al 6 gennaio 2016, stabilendo che, invece di riferirsi alla data di liquidazione della pensione, ci si debba riferire alla data di maturazione del diritto alla pensione, ovvero dei requisiti di anzianità contributiva e di età anagrafica, senza tenere conto anche delle cosiddette “finestre di decorrenza” che, a seconda della tipologia di lavoratori, possono essere pari a 12, 15, 18 o anche a 21 mesi. Abbiamo interessato alcuni componenti della Commissione lavoro del Senato per chiedere la modifica del testo all’esame; in commissione è stato però raggiunto un accordo tra i gruppi parlamentari di non presentare emendamenti per approvare il testo così come è stato licenziato dalla Camera, al fine di dare un segnale forte a coloro che sono senza alcun tipo di reddito. Riformuleremo le nostre proposte in occasione del disegno di legge di stabilità. Segnaliamo che nella seduta del 24 settembre della Commissione è sta-
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to accolto dal governo l’ordine del giorno G/1558/1/11 (testo 2) presentato dal senatore Ichino. L’ordine del giorno prevede l’avvio di un’indagine conoscitiva, presso la Commissione stessa, che verifichi tutti quei casi ancora meritevoli di salvaguardia tra coloro che hanno perso il posto per effetto di accordi di incentivazione all’esodo stipulati prima della riforma pensionistica. Lo stesso atto impegna poi il governo a sviluppare “un insieme organico di interventi volti a incentivare e facilitare la permanenza e/o il reinserimento dei cinquantenni e dei sessantenni nel tessuto produttivo con forme di flessibilizzazione dell’età del pensionamento, di combinazione del lavoro a tempo parziale con pensionamento parziale, di incentivo economico alle iniziative delle imprese volte a ridisegnare le posizioni di lavoro in funzione della migliore valorizzazione delle doti di esperienza, equilibrio e affidabilità delle persone nell’ultima fase della loro vita attiva” ecc. Abbiamo sollevato qualche perplessità sull’opportunità di questa indagine, che potrebbe senz’altro chiarire finalmente la quantificazione di coloro che sono rimasti esclusi dalle deroghe, ma allungherebbe troppo i tempi per un nuovo intervento. Manageritalia, al contrario, ha chiesto ad alcuni parlamentari di intervenire subito, con la prossima legge di stabilità. Siamo invece favorevoli all’adozione da parte del governo di politiche di active ageing, come ad esempio la staffetta intergenerazionale, misura più volte sostenuta dalla Federazione, per la quale sono state appostate discrete risorse economiche che le regioni finora non hanno saputo utilizzare. Testo ddl: http://bit.ly/Y1m4xk
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RESPONSABILE? Linee di comportamento utili a ispirare azioni concrete per migliorare l’organizzazione del lavoro, ridurre i costi, aumentare la produttività, fidelizzare i clienti e soddisfare gli stakeholder Marco Depolo Villani
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ANTI SONO GLI SPUNTI emersi dal workshop internazionale tenutosi a Madrid nel 2013 sulla Csr (Corporate social responsibility) e organizzato dalle università di Bologna e Cadice e dall’Osservatorio andaluso della responsabilità sociale, in collaborazione con Manageritalia, Fondazione Alma Mater di Bologna e Dirse (associazione dei direttori della Crs di 35 aziende spagnole quotate a Madrid). Il primo punto interessante è stata la presentazione e la discussione di un decalogo per il dirigente che voglia realizzare appunto responsabilità sociale. La parola “decalogo” è in sé alquanto ambiziosa. Ma l’idea di fondo è di proporre una serie di linee di comportamento cui ispirare azioni concrete. Nulla di prescrittivo dunque, piuttosto il tentativo di proporre per condividere una serie di buone pratiche, espresse in forma di azioni e non di semplici esortazioni. Non è difficile dire cosa sarebbe opportuno fare in termini generali (essere etici, respon-
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sabili, sostenibili, …), più difficile è tradurre questi principi generali in linee d’azione e comportamenti concreti. Cosa fare… e come farlo D’altra parte, chi vive nelle imprese, negli enti, nelle organizzazioni in generale, sa bene quanto sia difficile applicare rigidamente gli stessi comportamenti in tutti i contesti. Raramente le prescrizioni uguali per tutti possono funzionare. È il motivo per cui molti dirigenti trovano più convincente adottare e diffondere linee-guida. Una prescrizione è utile perché dice chiaramente (e obbligatoriamente) cosa fare, ma quando qualcosa non funziona non è facile sapere se ciò che
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va cambiato è il modo di applicarla o se è la prescrizione stessa a non essere adeguata per la nostra situazione. Una linea-guida invece può essere altrettanto cogente (non si può mettere da parte), ma lascia a chi la deve mettere in pratica il margine per tradurla nei modi che davvero sono i più adatti alla nostra situazione. Il decalogo è dunque fatto di linee-guida: dice cosa fare, ma lascia l’autonomia e
Chi vive nelle imprese, negli enti, nelle organizzazioni in generale, sa bene quanto sia difficile applicare rigidamente gli stessi comportamenti in tutti i contesti
la responsabilità sul come farlo. Un secondo punto importante è che si tratta di azioni dirette all’organizzazione stessa, a gestirla in maniera etica e responsabile al suo interno. Significa superare le forme classiche di charity verso qualche buona causa comunitaria all’esterno (del tutto meritorie ovviamente, ma diverse e – paradossalmente – compatibili persino con una scarsa attenzione etica per il funzionamento interno dell’azienda stessa…). La sfida è far vedere che l’efficienza non solo è compatibile con la responsabilità sociale, ma anche che quando questa viene esercitata nei processi aziendali (di comunicazione, di valutazione, di reward, …) diventa un fattore di potenziamento del coinvolgimento e dell’impegno da parte delle persone che vi lavorano. In altre parole, ottimo far scavare un pozzo in Africa per un villaggio che ne è privo, ma è almeno altrettanto buona una politica hr rispettosa delle persone e delle loro potenzialità.
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IL DECALOGO DEI VALORI 1. Se ne hai la capacità, prenditi le responsabilità volontariamente e con integrità.
2. Impegnati nel rispettare te stesso e gli altri. Resta informato e impara a comunicare.
3. Coltiva la tua formazione e agisci per creare processi di apprendimento collettivo.
4. Usa la delega e opera per allargare democraticamente la conoscenza.
5. Rendi la tua organizzazione produttiva ed efficiente. Agisci per premiare il merito.
6. Metti in atto politiche di conciliazione e di uguaglianza.
7. Pratica l’umiltà e lo spirito di servizio agendo sempre con lealtà.
8. Metti in pratica e diffondi la cultura dell’impegno, del lavoro e dell’agire correttamente.
9. Promuovi i comportamenti etici in tutte le attività della tua organizzazione.
10. Sii di esempio, dì ciò che va detto e agisci sempre in coerenza a quanto dici.
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Investire per crescere Tutto ciò è ancora più centrale in tempi come questi, di finanziarizzazione spinta dell’impresa. Molti dirigenti mi raccontano ad esempio di quale sfida immane sia per loro gestire aziende che tendono a rispondere sempre più e in maniera prioritaria alla remunerazione degli azionisti. È raro che ciò che piace alla maggior parte degli azionisti (reddito di breve periodo) coincida con ciò che fa bene alle aziende (investire per crescere). Le conseguenze etiche non sono di poco conto. Le ha raccontate per primo Balzac, nel suo Père Goriot: anticipando un dilemma morale che diverrà poi famoso in altri romanzi e opere teatrali, uno dei protagonisti chiede a un suo amico come si comporterebbe se potesse diventare ricco uccidendo, con la sola forza del pensiero, un mandarino cinese. Nessuno vedrebbe, nessuno saprebbe, la vittima è lontana, sconosciuta, il guadagno certo: una forte tentazione… Non voglio dire che la finanza agisca sempre così: ma un’azienda che dipende dalla finanza si trova ad avere a che fare con stakeholder spesso lontani, sconosciuti e poco interessati se non al risultato finale. È l’equivalente dei dirigenti che tengono dietro la loro scrivania il cartello: “Portatemi solo soluzioni, mai problemi”. In molti casi, si potrebbe leggere: “Non voglio sapere come ci arrivi, ma arrivaci”. La tensione verso una responsabi-
lità sociale dell’impresa applicata al suo stesso funzionamento interno diviene per questo un modo di affermare il primato dell’impresa stessa e del suo sviluppo nei confronti del “mordi e fuggi” centrato sui soli risultati di oggi. È un modo di parlare alle persone che fanno vivere l’impresa, dicendo loro che c’è consapevolezza dell’importanza del loro sforzo, c’è desiderio di riconoscerlo e di premiare il merito, agendo con rispetto e con equità. Naturalmente la Csr non vive in un mondo parallelo. È necessario valutare che relazione abbia anche con la redditività economica dell’impresa. Csr e performance economica: un circolo virtuoso Uno studio – che mette insieme i dati di 52 ricerche precedenti che hanno interessato ben 34mila dipendenti e pubblicato nel 2003 dalla rivista Organization Studies1 (Orlitzky et al, 2003) – conferma quanto emerge anche dall’analisi di tanti casi aziendali. In primo luogo, lo studio mostra che Csr e Pe (performance economica) non sono in contrasto, ma tendono ad andare insieme. Il vantaggio primario viene dall’effetto positivo del miglioramento della reputazione dell’azienda (o del suo brand). 1
Orlitzky M., Schmidt F.L., Rynes S.L. (2003). Corporate social and financial performance: A Meta-Analysis Organization Studies, 24: 403-441
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3° CONVEGNO SU CSR S
(Corporate social responsibility) e sull’integrated reporting in Italia e Spagna Auditorium di Unindustria via S. Domenico 4 - Bologna 28 novembre, ore 9,30-18,30 Il convegno ha l’obiettivo di confrontare qualificate best practice di Csr (Corporate social responsibility) in medie e grandi aziende italiane e spagnole, traendo ispirazione dalla collaborazione accademica che le università di Bologna e di Cadice e in particolare l’Osservatorio andaluso della responsabilità sociale, hanno intrapreso su questo tema due anni fa.
PROMOTORI Per promuovere e migliorare la collaborazione internazionale sul progetto Csr, dal 2012 a oggi si sono attivati e uniti alle università Manageritalia, Fondazione Alma Mater di Bologna e Dirse (Associazione dei direttori della Csr di 35 aziende spagnole quotate a Madrid).
OBIETTIVI Il progetto vuole studiare come la Csr nelle aziende può portare miglioramenti sull’organizzazione del lavoro, riduzione dei costi, aumento della produttività, fidelizzazione con i clienti e soddisfazione con gli stakeholder. Tema principale dell’edizione 2014 sarà la relazione tra bilancio di sostenibilità e bilancio finanziario, nella ricerca di un modello di integrated reporting applicabile nelle imprese in un prossimo futuro. Nei convegni precedenti di Bologna 2012 e di Madrid 2013 si sono confrontate 16 aziende, italiane e spagnole, quali Illy Caffè, Igd, Orogel, Pelliconi, Mapfre, Heineken, solo per citarne alcune. Per l’edizione 2014 è previsto un tavolo di relatori con Enel, Pirelli, Lamborghini Auto, oltre alle consociate spagnole di Leroy Merlin e Adecco, e alla multinazionale dell’abbigliamento Indetex (proprietaria del marchio Zara).
Sponsor
PARTECIPANTI La partecipazione è gratuita ed è aperta a manager, in particolare a cfo e hr manager, giornalisti, accademici, ricercatori e studenti. Per confermare la propria partecipazione inviare un’email a Eleonora Pignatti - Manageritalia Bologna: eleonora.pignatti@manageritalia.it
Si ringrazia UNINDUSTRIA per l’ospitalità nell’auditorium
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Responsabilità sociale
Molti casi aziendali mostrano che un investimento in Csr ha un impatto positivo su un fattore-chiave della produttività come l’impegno e il coinvolgimento dei lavoratori
Ancora più interessante è che la relazione tra Csr e Pe appare circolare, ciascuna è capace di influenzare l’altra. “Un circolo virtuoso: le aziende di successo spendono di più (in Csr) perché possono permetterselo, ma la Csr le aiuta a essere più di successo”. Questi risultati non stupiscono: molti casi aziendali mostrano ad esempio che un investimento (genuino e integrato nella strategia aziendale, non episodico) in Csr ha un impatto positivo su un fattore-chiave della produttività come l’impegno e il coinvolgimento dei lavoratori. Anche ricercatori che hanno studiato fenomeni da angolature diverse dalla Csr hanno mostrato ad esempio che l’aumento di “giustizia organizzativa” (cioè la percezione di essere trattati equamente e con rispetto sul lavoro) produce un coinvolgimento nel lavoro che va al di là del minimo
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richiesto: è un altro modo di dimostrare che la responsabilità paga anche oltre l’etica. Certamente la questione è molto articolata. Ce lo ricorda un altro studio2 che analizza sistematicamente i risultati di 251 ricerche precedenti, dove emerge l’esistenza di un legame positivo ma debole tra Csr e Pe. La conclusione è che fare Csr non produce di per sé un forte aumento della Pe, ma certo non penalizza economicamente le imprese. In altre parole, secondo questo studio per le imprese “fare il bene” non ha forse uno straordinario impatto economico positivo, ma attenzione al fatto che “fare il male” ha un impatto negativo decisamente più pronunciato sulla Pe. Insomma, la Csr forse non è la molla del successo economico, ma lavorare non in sintonia con i suoi principi può fare male anche sul piano economico. Anche il complesso modello econometrico utilizzato in un ulterio-
re recente studio3 segnala che le attività Csr di un’impresa – rispetto ad altre all’interno dello stesso settore – sono positivamente valutate dai mercati finanziari sia negli Usa che in Europa (anche se gli effetti positivi sulla media dei rendimenti azionari mensili sono più robusti negli Usa). Sembra insomma che ci siano abbastanza dati empirici per affermare che la Csr ha molti punti di interesse. Il “decalogo” (box a pagina 16) vuole appunto contribuire a tradurre in pratica questo interesse potenziale, trasformandolo in comportamenti e in cultura d’impresa. 䡵 2
Margolis, Joshua D., Elfenbein, Hillary Anger and Walsh, James P. (2009). Does it pay to be good... and does it matter? A meta-analysis of the relationship between corporate social and financial performance. Scaricabile da ssrn.com/abstract=1866371
3
von Arx, U., Ziegler, A. (2014). The effect of corporate social responsibility on stock performance: New evidence for the Usa and Europe. Quantitative finance, 14 (6), 977-991.
ADVERTORIAL
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DIVINE DS
L’ESSENZA DEL MARCHIO DS
NEL 2014 DS È DIVENTATO un marchio vero e proprio dopo essere stato la linea dei prodotti premium di Citroën. L’idea legata a DS3 solo quattro anni fa, e ampliata a tutti i modelli, ha permesso a DS di vendere oltre 500.000 automobili in tutto il mondo. DS prosegue il suo percorso e al Salone di Parigi di inizio ottobre ha svelato la sua ultima creazione: la concept car Divine DS. Si tratta di una vettura che incarna al 100% il DNA del marchio e l’essenza di DS. Divine conquista già al primo sguardo con uno stile potente, distintivo e affascinante in una silhouette 4 porte compatta: 421 cm di lunghezza e 198 di larghezza con linee tese e una postazione di guida bassa ben piantata su ruote da 20”. Le curve seducenti e sensuali sono animate da connotazioni grafiche forti come le `DS Wings’, linee laterali pronunciate e affilate, che vengono riprese dal frontale S ampio e potente. La lavorazione del tetto rappresenta un forte elemento di stile ed è unico al mondo con una lavorazione che richiama le squame di un rettile. Le squame giocano con i contrasti, un’alternanza di mat e satinato, opaco e trasparente, per far passare la luce all’interno e creare un sistema di riflessi all’esterno. Il motivo a squame si prolunga fino al lunotto, ed è ripreso sui retrovisori. Un insieme unico e affascinante che contrasta con le linee sensuali della parte posteriore. Se l’esterno è unico gli interni sono eccezionali! L’abitacolo è totalmente inedito, dalla morfologia audace e tecnologica, e mette in scena in modo spettacolare e a contrasto, a incarnare lo spirito avveniristico, l’eleganza e la raffinatezza di DS. Divine DS inaugura il concetto di Hypertypage. I clienti potranno sbizzarrirsi nella scelta di rivestimenti interni haute couture, ognuno con una personalità unica e inconfondibile. L’auto
nasce dall’incontro di grandi brand, ognuno riferimento nel proprio settore, come Lesage per i ricami o Swarovski per i cristalli. Come una colonna vertebrale, la console centrale mette a portata di mano gli elementi necessari alla guida. L’aspetto cristallino e maestoso grazie al rivestimento in oro bianco, contribuisce all’eleganza e alla ricercatezza di questi interni inediti. “Toggle switch” specifici, decorati con pietre tagliate su misura e orologio digitale al centro, dal profilo in pietra. Una pietra granitica di colore nero con scaglie d’oro, in tono con la console centrale. La tecnologia viene messa al servizio dello stile: i gruppi ottici dal design futurista e all’avanguardia, abbinano la tecnologia laser agli indicatori di direzione a scorrimento: due diodi laser ad alta potenza per ogni modulo sono l’anima dei fari che generano una grande intensità luminosa, con un’illuminazione più potente del 50% rispetto ai fari LED tradizionali. Sul lato posteriore, i fari con tecnologia full LED sono movimentati da pannelli a scomparsa che creano giochi di luce e si animano in caso di frenata. Il lunotto è dotato di alette, una delle quali nasconde la telecamera per la visione posteriore, in grado di sollevarsi, per ottimizzare l’aerodinamica. All’interno, la tecnologia è protagonista grazie al posto di guida cockpit e all’utilizzo esclusivo del digitale. I comandi sono riuniti su un touch screen HD dalla misura eccezionale di 10,4 pollici. Questo display multifunzione, situato nel padiglione, libera la plancia e sostituisce il retrovisore centrale, permettendo la visione posteriore. L’head-up display mostra le principali informazioni. Questa visualizzazione sopra al volante è completata da immagini olografiche dietro al volante: un sistema tridimensionale permette di guardare il navigatore senza distogliere gli occhi dalla strada.
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Intervista
DISEGNA IL TUO
MODELLO
DI BUSINESS
TIM CLARK
Se ogni azienda per stare in piedi e generare profitto deve avere un proprio modello di business, lo stesso vale anche per le persone. Come? Ne parliamo con Tim Clark, tra i massimi esperti di modelli di carriera e fondatore di Business Model You®: il metodo in una “pagina” per gestire e sviluppare al meglio la propria carriera professionale e contribuire con maggiore efficacia al successo dei propri collaboratori e dell’azienda.
È docente universitario, imprenditore e formatore. Ha lavorato per grandi aziende come Amazon, Intel e Dell. È autore di diversi libri ed è esperto di modelli di business e sviluppo personale.
Enrico Pedretti
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Perché è indispensabile che gli individui per gestire al meglio carriera e lavoro utilizzino un business model? «Oggi ogni professionista lungimirante deve comprendere e avere a cuore l’intera impresa, non solo gli obiettivi associati a una descrizione limitata del lavoro. Così i professionisti devono comprendere sia il modello di business dei loro collaboratori, sia il proprio, il modo in cui come individuo crea e porta valore all’organizzazione».
Business Model You nasce dai modelli di business per le aziende, ma si applica alle persone. Quali sono le principali differenze? «Il principio di articolare e descrivere come e per chi viene creato valore è esattamente lo stesso. Le organizzazioni hanno spesso notevoli risorse in termini di persone, denaro, attrezzature e proprietà intellettuale. La maggior parte delle persone invece non ha tali risorse, questa è una differenza fondamentale. Un’altra differenza importante è che le orga-
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Partner Chiave
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Valore offerto
Risorse Chiave
Costi
nizzazioni utilizzano il denaro principalmente o esclusivamente come misura dei benefici. Gli individui devono esaminare i benefici “soft” (immateriali) in un modello, come lo sviluppo professionale, il contributo sociale, il riconoscimento, oltre ai benefici monetari “hard” (specifici)». Business Model You sembra particolarmente adatto ai manager. È vero? «Sì, per due ragioni. Anzitutto i manager sono responsabili di sviluppare talenti e hanno bisogno di uno strumento per aiutare i propri collaboratori a far crescere la loro carriera, contribuendo effettivamente al contempo al raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione. In secondo luogo, i manager devono capire il
Relazioni con i Clienti
Clienti
Canali
Ricavi e benefici
modello di business dell’organizzazione. La metodologia Business Model You ti insegna come farlo in maniera efficace». In che modo? «La metodologia è utile per descrivere l’intera organizzazione, una divisione dell’organizzazione, un’unità funzionale, un team più piccolo, un progetto o un servizio. Un manager in grado di usare il business model può aiutare a risolvere problemi o identificare opportunità a ognuno di questi livelli. Imparare la metodologia aiuta i manager a padroneggiare anche alcuni elementi di base del design thinking e della facilitazione dei gruppi. Infine, questi sono semplicemente strumenti disegnati per facilitare un’interazione migliore tra le persone. Non
sono gli strumenti in sé ad avere valore, è l’interazione umana che essi rendono possibile». In un mondo, soprattutto quello del lavoro, sempre più dinamico e discontinuo, Business Model You si concentra anche sui cambiamenti esterni e ci impone di agire di conseguenza? «Sì, nel senso che gli utenti riconoscono che i loro modelli di business personali continueranno a evolvere durante tutta la vita lavorativa, sia in risposta alle forze del mercato, sia in risposta alla crescita personale, all’età e all’esperienza. Il Personal Business Model Canvas (vedi box a fianco, ndr) stesso non pone attenzione sulla competizione, sulla tecnologia e così via. Come un progetto per un palazzo, esso descrive come co-
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Il trainer. Tim Clark, autore di diversi libri su imprenditorialità, modelli di business e sviluppo personale, è un docente di grande talento, imprenditore e formatore. Ha costruito il suo successo attraverso esperienze concrete con importanti aziende come Amazon, Intel, Dell, per citarne alcune. PhD a Stanford, ha insegnato in università prestigiose, come la University of Hawaii e la Hitotsubashi university graduate school of Strategy international corporate. Ma in particolare Tim ha sviluppato Business Model You, un metodo pratico che sfrutta un innovativo modello in una pagina, una mappa relazionale direbbero alcuni, per (re)inventare la propria carriera e quella del proprio team: il Personal Business Model Canvas.
Il Personal Business Model Canvas. Questo modello è il primo strumento visuale in una pagina per lo sviluppo veloce, facile, completo
struire il palazzo piuttosto che il “perché” o la ragione strategica fondamentale per costruire quel particolare palazzo. Quel lavoro è al di là del canvas, per così dire».
e concreto del modello di business individuale, cioè della strategia attraverso cui sviluppi, ottimizzi e porti valore a te stesso e alla tua organizzazione e aiuti i tuoi collaboratori a fare altrettanto. Il Personal Business Model Canvas è un innovativo metodo per descrivere, progettare, migliorare o reinventare la propria carriera, comunicare e condividere il proprio modello di business personale, favorendo e migliorando le sinergie organizzative.
Serve quindi per la carriera, per migliorare quello che si sta facendo o per scoprire nuove strade e nuove dimensioni professionali e di business? «La metodologia può essere usata per entrambe le cose. Molti utenti hanno esperienze di lavoro significative e stanno usando la metodologia per correggere il percorso della loro carriera piuttosto che per reinventare se stessi completamente. Ma la nostra community include senz’altro studenti, professionisti sul punto di andare in pensione e altre persone che stanno cercando di ottenere un cambiamento davvero significativo. Noi diamo il benvenuto a tutti; il cambio di carriera è una costante lungo tutta la vita. Non ne abbiamo mai abbastanza». 䡵
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Come si usa? La sua forza sta proprio nell’essere uno strumento visuale ed esperienziale, in grado di semplificare la visione di insieme e favorire lo sviluppo di nuove idee e di innovazione. Infatti, va stampato in A1 e usato rispondendo alle domande contenute sui suoi nove blocchi, utilizzando la tecnologia ancora maggiormente in uso per progettare l’innovazione: i Post-It! Per vedere qualche modello nella pratica, vai sul sito PersonalBizCanvas.it.
E per i manager? Business Model You non è solo un metodo per aggiungere valore e sviluppare la propria carriera, rinvigorendo il senso di possibilità e di crescita personale e professionale. È come un framework capace di portare tutta una serie di vantaggi a chi lo applica su se stesso e sul proprio team, tra cui: potenziare risorse, creare soddisfazione e produttività generale tua e del tuo team. Mostrare con efficacia ai tuoi collaboratori il “quadro complessivo” dietro ai progetti e alle attività. Individuare le risorse umane più adatte in vista di un nuovo progetto. Valutare gli elementi del tuo team per scoprire insieme i loro punti di forza in vista di eventuali riposizionamenti interni ed esterni. Sviluppare un nuovo approccio alla gestione aziendale dei talenti. Favorire risultati preziosi evidenti come maggior produttività, collaborazione, motivazione e soddisfazione personale e di conseguenza aziendale.
Business Model You è anche un libro, oggi disponibile in italiano (Hoepli, pagg. 257, € 29,90).
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Mondo del lavoro za verticale, focalizzati sul business e soprattutto sul ritorno a breve, sacrificando quindi molte competenze trasversali, quali la gestione e lo sviluppo interno dei collaboratori. Alcune funzioni aziendali in particolare hanno vissuto cambiamenti di peso strategico rilevanti. Basti pensare a quella di hr, che sempre più spesso riveste ormai un ruolo di mera gestione e/o di presidio della riduzione dei costi. Alcuni paesi però sono usciti dalla recessione ed è interessante osservare che, in tutti i casi in cui l’economia sta ripartendo, la chiave è stata quella di puntare sulle persone!
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ltimamente non si parla d’altro. Frasi del tipo “non comanda più il budget, comanda la cassa”, “gli asset finanziari prevalgono rispetto a quelli industriali”, “la politica del rigore frena lo sviluppo” sono diventate ritornelli costanti che hanno contribuito a caratterizzare, in molti casi, anche le principali strategie aziendali. Dopo Lehman Brothers, e soprattutto dopo l’ultima pesante recessione economica, in tutto il mondo industrializzato c’è stato un radicale incremento dell’attenzione sugli aspetti finanziari a cui ha fatto seguito una diminuita capacità di sostentamento dello sviluppo. La conseguenza diretta è stata quella di ricercare manager di competen-
U
Investire sul capitale umano ripaga Le persone fanno la differenza e investire su di loro ripaga. Lo sanno bene le aziende che, in controtendenza, sanno pianificare lo sviluppo dei propri collaboratori attraverso programmi che prevedono il coinvolgimento di tutto il management con il supporto della funzione hr. La corretta gestione della circolazione dei talenti è l’approccio che oggi sta dando più risultati ed è quello a cui si ispirano le organizzazioni aziendali più evolute, ovvero quelle più attente alla misurazione economica sul ritorno dei propri investimenti. Negli Usa e in Europa questo approccio è definito talent mobility. Talent mobility è un termine difficile da tradurre in italiano e forse saremo costretti, come per altri vocaboli, a mantenerne la versione inglese. Circolazione, mobilitazione, mobilizzazione, movimentazione, meno che mai mobilità, con i suoi echi
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legati all’ammortizzatore sociale. Nessun termine rende il concetto dell’“agilità” organizzativa, resa possibile da strumenti e processi hr che permettono alle persone di trovare la loro giusta collocazione all’interno – e a volte all’esterno – dell’azienda.
Valorizzare i talenti Anche la lettura superficiale del termine inglese “talent” ci pone un interrogativo non di poco conto: singolare o plurale? “Il talento” o “i talenti”? Non per populismo, ma il concetto di talent mobility si estende a tutti, per valorizzare la parte talentuosa presente in ciascuno, con forme di intervento naturalmente differenziate per coloro i quali fanno parte di particolari piani dell’azienda o che devono assumere più alte responsabilità e/o sfide di maggiore complessità. La talent mobility è più che la semplice somma dei processi hr – dalla valutazione del potenziale allo sviluppo attraverso coaching e formazione, ai piani di successione e al redeployment – è invece un approccio e una scelta strategica che vede la combinazione di tali strumenti in una virtuosa integrazione fondata sull’abilità di un’azienda di comprendere, sviluppare e muovere all’interno dell’organizzazione i propri talenti. A supporto di tale tema, un excursus delle varie teorie di management che hanno influenzato la creazione di modelli e processi organizzativi in ambito hr sarebbe lungo e ripetitivo, anche se sempre illuminanti sono le lezioni – a volte dimenticate – del passato.
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Un salto nel passato È negli anni Sessanta che Herzberg – il primo a coniare il termine di job enrichment – desume dalla sua ricerca sul campo che tra i fattori “igienici” (quelli che non possono mancare ma che portano a una prestazione lavorativa da minimo sindacale) c’è il rapporto con il proprio capo. Si dice infatti comunemente che “le persone lasciano i propri capi, non le aziende”. Lo stesso psicologo del lavoro americano evidenzia poi come tra i fattori “motivanti” (quelli che portano a una prestazione extra) c’è il tipo di lavoro in sé, in linea con le aspirazioni e le inclinazioni della persona. Solo più tardi si è cominciato a parlare tecnicamente di “total reward”, ad esempio – uno fra gli altri – con il modello multidimensionale di Armstrong e Brown che vede associare motivazione personale a ricompense/riconoscimenti aziendali di natura finanziaria e non. Prassi e nozioni di sicuro meglio articolate dei contributi di studiosi e tecnici precedenti, ma nel lavoro dei quali affondano in ogni caso le proprie radici. Estremizzando: nulla di nuovo (o almeno non molto) sotto il sole dopo Platone, Aristotele e Socrate. Il monito evangelico Non in pane solo vivet homo, adattato alla circostanza, è un po’ una conferma di tale tesi. Numerosi se non innumerevoli sono quindi i contributi teorici e le ricerche che hanno contribuito a creare lo stato dell’arte a cui oggi può fare riferimento l’azienda evoluta che intende sviluppare a fondo
il potenziale umano che ha a disposizione attraverso la talent mobility.
Risultati e persone: binomio imprescindibile La talent mobility deve però essere vista come un sistema compiuto da adottare non più solo per fede astratta ma perché questa ha un impatto tangibile sui risultati dell’azienda, oltre che sul benessere personale e sul clima interno. Una recente ricerca condotta negli Usa (Talent mobility, 2013, Human Capital Institute in collaborazione con Lee Hecht Harrison) dimostra infatti che le aziende che hanno adottato sistemi integrati di talent mobility hanno avuto il 12% in più di raggiungimento del successo anche in campo finanziario. Investimenti, quindi, che ripagano ma che devono essere condotti con coerenza e lungimiranza, abbandonando modalità episodiche o la moda del momento e integrandoli invece nella strategia aziendale di business. Occorre una forte sponsorship da parte del top management, un’esecuzione efficace da parte dei manager di linea nell’applicazione dei processi e la regia di chi in azienda deve essere il reale agente del cambiamento: la funzione hr. Per questo la talent mobility, soprattutto in un momento di forte trasformazione come quello che stiamo vivendo, rappresenta l’occasione per ritrovare il senso profondo e il significato della propria missione nel tenere in equilibrio risultati e persone, un binomio solo apparentemente contraddittorio.
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Change management
È ORA
DI CAMBIARE Non basta guardare al risultato, bisogna invece identificare il legame tra il successo finanziario e i processi organizzativi e di business Livia Piermattei
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L CHANGE MANAGEMENT? È ora di cambiarlo”. Sembra un gioco di parole invece è la formula che dà inizio a un viaggio molto concreto che ha l’obiettivo di accompagnare le organizzazioni a tenere meglio il mercato e migliorare la performance. È la direzione che ha preso Methodos – società di consulenza di direzione sul change management culturale – attraverso una profonda riflessione sul tema, pubblicata di recente su Harvard Business Review con uno speciale che racchiude metodologia e 15 casi aziendali (vedi lo speciale su http://bit.ly/1ohPvC0). L’obiettivo di Methodos è coinvolgere le aziende in un viaggio che consentirà loro di avere maggiore visibilità su quali sono i meccanismi che determinano i risultati aziendali, che stimolano la performance finanziaria e, contemporaneamente, migliorano l’intero sistema di relazioni organizzative. Il percorso tracciato porta le aziende a viaggiare oltre i limiti dei
sistemi tradizionali del change management, che si limitano a un approccio finalistico orientato a ottenere in fretta i risultati, e propone di identificare, invece, in modo chiaro e utile, qual è il legame tra il successo finanziario e i processi organizzativi e di business sottostanti. E non solo. È importante sottolineare che il contesto nel quale si muovono oggi le aziende è caratterizzato da evoluzioni macroeconomiche, sociali e tecnologiche, da sfide non facili per le quali è necessario un nuovo paradigma organizzativo che proponga un change management sociale, responsabile e distribuito che si fonda su una governance consapevole del sistema degli stakeholder di un’organizzazione, sia al suo interno che all’esterno. Stakeholder che sono connessi tra loro e il cui coinvolgimento efficace influenza e potenzia i risultati delle organizzazioni. Nel moderno change management, infatti, diventa fondamentale coinvolgere le persone per cambiare cultura e migliorare i risultati.
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Come cambiare? Il modello sviluppato da Methodos propone un approccio dinamico e circolare, adattivo, misurabile e coinvolgente: un “Viaggio del cambiamento culturale”, costruito per integrare le persone, gestire e allineare i processi con l’obiettivo di mettere in pratica la strategia aziendale. Il viaggio si articola in 5 sezioni che definiscono come realizzare il cambiamento culturale in modo consapevole ed efficace (vedi figura a pagina 29). Questo itinerario comincia con la necessità di controllare che il mezzo con cui viaggiare sia in condizioni di partire, che i compagni di viaggio siano disponibili a farlo, che la meta scelta sia la migliore.
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Si parte dunque con l’analisi della cultura esistente e percepita, attraverso l’ascolto degli stakeholder: interni, ma anche esterni. Le domande da porsi quando si ascoltano gli stakeholder e si imposta un programma di cambiamento sono: Quali sono le sfide da vincere e i temi su cui lavorare per il cambiamento? Quali le aree critiche? Quali sono gli stakeholder interni ed esterni rilevanti per ognuna di queste aree? Change readiness: la struttura è pronta e intenzionata a cambiare? Quanto si sentono parte dell’azienda le nostre persone? Quali sono i tratti principali della nostra cultura d’impresa?
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• Quali sono i comportamenti organizzativi su cui intervenire? Quali sono le figure chiave su cui dovrò puntare e che ruolo avranno? Dove troverò più resistenza?
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La seconda tappa riguarda i leader e la loro capacità di avere una visione e una strategia del cambiamento. Sta a loro definire i risultati da perseguire, disegnare la cultura, ispirare e motivare le persone. Le domande da porsi quando come leader di un’organizzazione si intende lanciare un programma di cambiamento sono: Cosa vogliamo diventare? Qual è la nostra cultura auspicata?
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Change management • Che risultati vogliamo raggiungere con il cambiamento? Quali sono i leader influenti in azienda? I leader sono capaci di motivare e ispirare? Quanto sono capaci di “walk the talk”?
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Per la terza tappa serve un cruscotto di monitoraggio e guida. Ma che non badi solo a “quanto si è fatto”, ai risultati, o a quanto è costato muoversi (gli indicatori lagging). Bisogna considerare e integrare tutte le variabi-
li funzionali al raggiungimento della meta: il clima aziendale, la resistenza dell’equipaggio, le esperienze che possono motivare a proseguire. Sono gli indicatori guida, leading, che consentono di raggiungere la meta. Le domande da porsi quando si costruisce un sistema di monitoraggio e guida del cambiamento sono: Per ognuna delle aree del cambiamento, per ognuna delle azioni che prevediamo nel piano di cambiamento, quali sono gli indicatori leading relativi? Quali i risultati attesi? Quali gli indicatori che ci con-
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sentono di monitorare e guidare il cambiamento? Abbiamo previsto un indicatore guida di sintesi? Con chi e come condividiamo il cruscotto di guida del cambiamento?
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È quindi importante focalizzarsi su quali attività servono per assicurare che tutti i compagni di viaggio arrivino alla meta, essere certi che sappiano dove andare, che lo vogliano e che abbiano strumenti e competenze per farlo: il piano di engagement e cambiamento.
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Le domande da porsi per costruire un piano di engagement e cambiamento sono: Quali strumenti adotto per creare consapevolezza, responsabilizzazione, coinvolgimento? Ho pianificato le diverse fasi necessarie per il coinvolgimento delle persone? Con quali tempi ho deciso di intervenire? Ho messo in campo strumenti sufficienti per il cambiamento? Chi e come potrò coinvolgere per competenza e motivazione specifica? Come potrò valorizzare il contributo dei miei stakeholder al cambiamento?
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E ancora, fondamentale, è avere un “diario di bordo”, che registra chilometri percorsi e costi sostenuti e che mette chi scrive e chi legge nelle condizioni di raccontare le criticità e positività che quel viaggio ha presentato e come tutto ciò ha inciso, a sua volta, su costi e chilometri percorsi. Un approccio alla rendicontazione continua e multicanale che stimola, suggerisce e facilita un modo diverso di pensare e guidare l’organizzazione e che aiuta a fissare l’esperienza e anche ad adattare e riorientare il viaggio di oggi. Ma anche i viaggi futuri dell’azienda.
Le domande da porsi per realizzare una rendicontazione continua e multicanale sono: Abbiamo considerato l’importanza del reporting per adattare, riorientare, ricentrare il processo di cambiamento? Abbiamo considerato le implicazioni e le innovazioni che il processo di cambiamento culturale può determinare sul reporting (indicatori, modello di business, comunicazione del valore prodotto)? Abbiamo identificato, oltre i risultati economici, le conseguenze che i nostri processi producono? Siamo in grado di misurarle, certificarle, raccontarle? 䡵
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Cosimo Finzi
Gli italiani a tavola
AstraRicerche è stata fondata nel 1983 dal professor Enrico Finzi. Si occupa di ricerche di marketing e sociali per clienti appartenenti a molti settori merceologici, utilizzando molteplici metodologie d’indagine. Si caratterizza per una struttura snella e flessibile, improntata alla qualità e all’innovazione, e affianca al servizio di ricerca la consulenza di marketing e di comunicazione a clienti – imprese nazionali e multinazionali – di tutte le dimensioni. Collabora con Manageritalia con indagini e analisi di dati che spesso mirano a sintetizzare fenomeni complessi o a far emergere informazioni latenti.
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Dieta mediatica, dieta digitale, dieta informativa…: sembra proprio che non si possa che parlare di dieta. Oggi in questa rubrica torniamo a parlare della dieta vera e propria, ovvero di cosa mangiano (per una volta possiamo proprio dirlo: consumano) i nostri concittadini e di come evolve il rapporto con il cibo. La prima considerazione è relativa alle quantità: stiamo andando verso un’alimentazione basata su quantità minori. È un trend legato alla crisi economica ma va al di là di questa (ne è prova il fatto che anche quella parte della popolazione che non è stata colpita in modo rilevante dalla crisi ha ridotto i propri consumi alimentari) e pare destinato a durare anche quando (già, quando?) la morsa sarà meno stretta. Più nello specifico la riduzione dei consumi è legata per circa il 4% della popolazione a motivi di salute e per il 18% a motivi economici gravi (non una generica riduzione del potere di acquisto ma una profonda difficoltà, che arriva appunto a inficiare le possibilità di acquisto di beni di prima necessità).
La diminuzione della quantità non è tuttavia associabile in modo diretto a una limitazione del problema (crescente nei decenni scorsi e complessivamente rilevante, seppure inferiore ad altri paesi del mondo occidentale) del sovrappeso e dell’obesità. Ci sono due fattori che giustificano questo timore: il primo è di tipo biologico ed è il fatto che una generazione abituata a mangiare in modo eccessivo (in particolare zuccheri e grassi) nei primi anni di vita (fino all’adolescenza) avrà difficoltà non solo psicologica ma prettamente fisica a trovare e mantenere uno stato di forma corretto: l’organismo si “abitua” a essere sovrappeso, a contenere più grasso del normale. Ma c’è un secondo fattore che determina questo trend futuro: alla diminuzione della quantità non corrisponderà un aumento della qualità (se non per una parte minoritaria della popolazione e, spesso, si parla troppo di questo cluster a livello mediatico, dimenticando la “maggioranza silenziosa”).
Dieta più varia Abbiamo parlato della diminuzione – come trend in atto e come tendenza valida per il futuro – delle quantità. Ma c’è anche uno shift da alcuni prodotti ad altri? Sicuramente abbiamo assistito a un trend favorevole alla frutta e alla verdura (circa il 30% degli italiani afferma di consumarne in misura maggiore rispetto a pochi anni fa), ma anche ai legumi e ai cereali (con consumi crescenti presso circa il 15%), con una modesta riduzione del consumo di latticini (ma su questo le ricerche non danno informa-
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zioni convergenti e il tema è piuttosto complesso), e con una evidente diminuzione dei consumatori di carne. A questo proposito è interessante notare come non si stia assistendo a una “conversione” di alcuni al vegetarianismo o al veganismo: il fenomeno più rilevante è lo shift di molti da un consumo regolare e intenso di carne a un consumo più moderato (per quantità, frequenza, …). D’altra parte si è confermata negli anni la tendenza degli italiani ad avere un’alimentazione sempre più varia: il meccanismo tipico non è “di sostituzione” bensì “di aggiunta”. In altre parole non si abbandonano le vecchie tradizioni alimentari. Anzi, spesso vengono riscoperte un po’ per l’offerta di mercato – in particolare a livello di hotel, ristoranti e bar, un po’ per la pressione mediatica – basti pensare alle numerose trasmissioni televisive incentrate sul cibo che si vantano di far riscoprire ingredienti, preparazioni, ricette ormai dimenticate, e un po’ per vera passione personale e familiare. Ma a queste si aggiungono nuove idee, nuovi gusti, nuove proposte alimentari; e così l’alimentazione diventa sempre più il mix di molte tradizioni. A conferma di quanto stiamo dicendo ecco che il 65,6% dei 18-60enni recentemente intervistati da AstraRicerche afferma di amare tanti tipi diversi di cibo e che il 62,1% riesce in effetti a mangiare sempre in modo vario. A dire il vero è nella nostra natura di italiani non solo quando si parla di cibo e lo è sempre di più: all’84,5% degli intervistati piace provare nuovi prodotti, fare nuo-
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ve esperienze, provare novità in generale (e quasi la metà di questi afferma che per loro è molto rilevante).
Orgoglio per la cucina tradizionale La varietà, che si manifesta in misura rilevante nel consumare cibi non tradizionalmente italiani, genericamente indicabili come “etnici”, non porta con sé un abbandono delle tradizioni, come abbiamo detto, ma soprattutto è bilanciata da un vero e proprio orgoglio per i prodotti italiani e per la nostra tradizione culinaria. Gli italiani restano convinti di vivere in un Paese caratterizzato da tradizioni gastronomiche superiori a quelle degli altri paesi, ma anche di avere a disposizione le migliori materie prime, quasi in qualunque settore (AstraRicerche ha studiato recentemente questo fenomeno per clienti in diversi settori trovando, con lievi differenze, lo stesso atteggiamento sia che si parli di patate, di frutta, di olio, di latte o di vino, e persino con un trend in crescita per la birra). Aprendo una rapida parentesi, va notato come in altri paesi la popolazione non consideri la propria tradizione culinaria come eccellente o comunque superiore alla media, mentre resti valida l’affermazione della superiorità delle materie prime locali (si badi bene, non solo la preferenza a utilizzarle – che può essere legata, per esempio, anche a motivi ambientali o di sostegno all’economia del proprio paese – ma proprio il considerarle superiori per qualità). C’è un punto che tiene uniti i prodotti tradizionali e quelli etnici: la necessità di
rassicurazione (comune alla stragrande maggioranza degli italiani e in crescita rispetto al passato per un italiano su quattro). Uno dei dati più impressionanti di una ricerca che ho recentemente curato è relativo ai driver di acquisto del cibo; per la prima volta il fatto che l’alimento sia adatto a uno stile di vita sano supera per importanza in fase di acquisto il gusto, il fatto che piaccia a chi lo dovrà consumare. È allora davvero fondamentale (condizione necessaria, anche se ovviamente non sufficiente per convincere il consumatore) dare al consumatore la certezza che quello che sta acquistando è consumabile “senza pensieri”, senza dubbi, senza paura alcuna. Ma quali sono le “armi” a nostra disposizione per dare tale rassicurazione? Sotto questo aspetto la situazione italiana è molto più complessa di qualche anno fa: in sintesi, nessuna “formula” è perfetta. Non basta il ruolo della marca, è in crescita ma deve ancora consolidarsi il ruolo di garante della distribuzione, non è sufficiente parlare di prodotto italiano (oltre al fatto che la confusione presso i consumatori è massima: cosa vuol dire “italiano”? Quali sono le certificazioni effettivamente valide e in cosa si differenziano? Nonostante anni di informazione al consumatore i dubbi sono ampiamente predominanti), persino non è sempre sufficiente che il consumatore lo abbia già provato (peggio del classico “come San Tommaso, se non vedo, se non tocco…”) visto che viene revocata in dubbio (almeno per alcuni prodotti) la costanza della qualità.
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COME CAMBIA LA TUA
ASSISTANT?
Nell’era dei computer intelligenti il manager ha ancora bisogno di un supporto? Certo, la tecnologia può forse sostituire la vecchia segretaria, ma non la moderna assistant a cura di Secretary.it Villani
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NA VOLTA veniva chiamata segretaria. Oggi è più conosciuta come assistente. Il suo ruolo è strategico, gode di potere decisionale e sa gestire rapporti diplomatici tra le varie realtà aziendali poiché ne è l’anello di congiunzione. Qualcuno si potrebbe chiedere: “nell’era dell’intelligenza artificiale, che prende il posto dei colletti bianchi, c’è ancora posto per la segretaria o l’assistente che sia?”. Ebbene sì, gli strumenti tecnologici, per quanto fondamentali in un’era digitale come la nostra, non possono eguagliare le caratteristiche di una manager assistant. Il ruolo forse è meno “esecutivo” ma certo più progettuale, diventando così fondamentale anche per l’azienda più tecnologica. Non è infatti strano, e lo sarà sempre meno, che un’assistant dia un occhio anche all’account Twitter e/o Facebook del manager per segnalare situazioni vincenti o per gestire subito situazioni critiche. La manager assistant di oggi… È generalmente una donna laurea-
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ta con una buona conoscenza delle lingue straniere (almeno due), padroneggia gli strumenti informatici, gestisce agende complesse, organizza viaggi, riunioni, piccoli o grandi eventi, oltre a una serie di competenze, dette soft o trasversali, come organizzazione ed efficienza, autonomia e flessibilità, funzioni di filtro e di mediazione nella gestione dei processi e nelle relazioni tra i differenti livelli aziendali. È efficace e comunicativa e ha capacità di gestire lo stress. Insomma, è sicuramente un punto di riferimento importante nelle organizzazioni per dare continuità al “business”. … e di domani L’assistant del futuro innoverà il suo ruolo a 360°, con particolare attenzione a ciò che ruota intorno all’azienda, per acquisire più responsabilità e competenze nei vari progetti dei team aziendali. Le competenze saranno sempre più legate alla comunicazione e alla gestione delle relazioni: l’assistente è colei che si pone fra il ma-
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nager e il resto del mondo, interno ed esterno, e dovrà essere riconosciuta sempre meno per la sua funzione di filtro ma piuttosto per la sua capacità di agevolare e direzionare le informazioni utili e proficue per il raggiungimento degli obiettivi aziendali. Insomma, la manager assistant è una persona colta, informata, aggiornata, tecnologica, digitale, che viaggia ed è predisposta ai rapporti multiculturali. Di fatto, se il manager deve sempre più far “collavorare” al meglio le persone all’interno e all’esterno dell’azienda, il ruolo dell’assistant non può che partire da qui. Il rapporto tra l’assistente e l’assistito Mai come in questo lavoro tutto
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dipende dalla persona. Lavorare bene o male dipende dal carattere “dell’assistito”. Certo, anche da quello dell’assistente e da una sinergia vincente. Il ricambio generazionale sta portando anche nuovi stili di leadership e diversità di approccio al lavoro. Il rapporto è impostato su un piano più paritario, i manager coinvolgono l’assistente per un parere, un consiglio, magari non su questioni puramente business critical, ma sulla gestione delle risorse, o su come comunicare un cambiamento. Non più un rapporto di “dipendenza” dunque, ma di “interdipendenza”, lui (o lei) ha bisogno di noi per dare il meglio e viceversa.
Le competenze delle manager assistant saranno sempre più legate alla comunicazione e alla gestione delle relazioni
L’assistant è donna e mai sarà un pc Storicamente l’assistente è soprattutto donna nonostante lo sia anche la manager. Non a caso, la donna per sua stessa natura è multitasking, organizzata e, oltre a ottime doti professionali, possiede doti umane che la rendono una figura completa. Il ruolo del-
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11 novembre 2014, dalle 10 alle 17 Auditorium Bosch Italia, Milano, Via Colonna 35 Giornata dedicata alle tematiche del lavoro, dell’orientamento e dell’evoluzione professionale proposta da Secretary.it e curata da esperti counselor, hr consultant, manager e giornalisti.
Secretary.it organizza e promuove incontri di networking, aggiornamento professionale (workshop, seminari, percorsi formativi, academy), si occupa di recruiting specializzato, concorsi, giochi a premi, fidelity program, supporto alla realizzazione di eventi ed educational.
Chi è Secretary.it È il portale gratuito che riunisce una community di oltre 8.500 segretarie e assistenti di alta direzione. L’unica organizzazione gratuita esistente in Italia, punto di riferimento e supporto per le manager assistant e le loro aziende.
Modalità di partecipazione L’evento prevede una plenaria al mattino (JOB Story), un carnet di 3 ticket per la consulenza personalizzata a scelta nel JOB Corner e il Secretary lunch.
Per programma e iscrizioni: www.secretary.it/eventi/secretary job
Fai partecipare la tua assistente al Secretary Job per valorizzare lei e la tua azienda la manager assistant non può essere sostituito da strumenti tecnologici a meno che questi possano sorridere, risolvere situazioni complesse con ottimi risultati, accogliere e gestire clienti di tutte le nazionalità o consigliare loro, perché no, l’ultimo buon vino italiano. Anzi, uno dei compiti dell’assistant è quello di far sì che la tecnologia diventi un vero supporto
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gestionale e di relazioni, anche e soprattutto per il manager. L’attitudine “caring” e “problem solving”, la capacità di cogliere gli umori di un team o di un cliente sono sicuramente di una brava assistant e non potranno mai essere dati solo dalla tecnologia. Per tutto quanto sopra, l’assistant è e sarà prevalentemente donna. Come confermano le sempre più numero-
se donne manager che scelgono una “donna per assistant”. 䡵 Hanno curato questo articolo: Jessica Alessi, managing director Secretary.it; Chiara Agnese Azzarello, office manager Studio Ludovici & Partners, assistente dell’anno 2014; Daniela Fasano, executive assistant amministratore delegato di Robert Bosch Italia, assistente dell’anno 2013; Ilaria Castellazzi, executive assistant amministratore delegato di Amazon Italia Services.
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Intervista
WELLNESS
ANASS ALLOUCH
AL DIGITALE Più di 150mila soci nei fitness club sparsi nelle città italiane, da nord a sud, 2.500 collaboratori tra dipendenti e freelance e un fatturato 2013 che ha superato i 100 milioni di euro: Virgin Active, in Italia dal 2004, rappresenta un caso di innovazione e di successo nel nostro Paese. Ne parliamo con Anass Allouch, dirigente dal profilo internazionale, a capo di tutta la comunicazione corporate di Virgin Active in Italia, Spagna e Portogallo e direttore pr per il mercato italiano. Allouch interviene regolarmente a forum internazionali dedicati alle relazioni pubbliche in Asia, Medio Oriente e Stati Uniti.
Anass Allouch, 38 anni, head of corporate communication continental Europe di Virgin Active, società italiana del gruppo Virgin leader nel settore dei fitness club.
Davide Mura
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Qual è stata la prima sfida legata alla comunicazione del brand Virgin in Italia? «Ho la fortuna di lavorare in un ambito, il wellness, che interessa tutti indistintamente: stare bene è infatti una priorità per tutti. Il brand Virgin fa parte dei global top brand e nel mondo anglosassone è molto conosciuto. Nei territori latini lo era meno e la declinazione verso il fitness e il wellness tramite Virgin Active ha portato risultati positivi in tempi ristretti. I club sono diffusi in mo-
do capillare in tutta Italia e consentono di ritrovare gli stessi standard di servizi e di qualità. Il primo canale di comuni-
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cazione è stato per noi il club stesso, in una seconda fase abbiamo investito risorse e sviluppato piani nella comunicazione offline e nel digitale a partire dal 2009». Quindi per voi la strategia di comunicazione digitale è un punto di forza? «Senz’altro. Tutto è partito dal nostro sito, il primo di un gruppo legato al fitness che ha permesso la vendita di abbonamenti e di servizi wellness/beauty attraverso l’ecommerce, con in più una chat per comunicare direttamente col customer service. In una seconda fase abbiamo investito sui social media, creando account su Facebook, Twitter e Instagram, che fin dai primi mesi hanno attirato migliaia di follower. L’obiettivo è stato duplice: da un lato informare e far conoscere e amare i nostri club e i nostri servizi, dall’altro utilizzare i social network come canale parallelo per rispondere alle richieste dei clienti, insieme al nostro
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call center. Oggi chiunque può postare domande e avere una risposta nell’arco di 24 ore tramite un processo di interazione tra gli addetti alle digital pr, il customer service e team operativi dei club». Che tipo di informazioni postate sui vostri social? «L’obiettivo è migliorare la qualità dell’experience Virgin Active per i soci, dando non solo informazioni sugli allenamenti ma anche altre più tecniche: consigli alimentari, di salute e lifestyle, grazie al knowhow dei nostri consulenti». Quali sono i vostri opinion leader sul web? «Prima di tutto i blogger. Abbiamo avviato con soddisfazione una strategia specifica di blogger relation, creando in sostanza un network di blogger brand ambassador, persone autorevoli che raccontano il nostro mondo e per cui
creiamo messaggi personalizzati attraverso partnership editoriali». E l’ufficio stampa? «Si è molto ridimensionato e penso che avrà un ruolo sempre più ristretto nei prossimi anni. I due terzi dei giornalisti utilizzano internet per recuperare informazioni e per realizzare ricerche prima di scrivere un articolo. È finita l’epoca dei comunicati uguali per tutti e delle conferenze stampa standard: il futuro dal mio punto di vista è la personalizzazione dei contenuti per ogni singolo media. Le interviste restano importanti, ma per i progetti globali. Dal mio punto di vista la comunicazione mirata e tailor-made è molto più efficace. Per far questo occorre individuare gli interlocutori giusti e impostare un lavoro one-to-one. In futuro ci saranno sempre più partnership. I media avranno sempre più bisogno di contenuti originali, noi brand possiamo dare valore aggiunto creando contenuti di valore e di qualità. Anche l’informazione locale, specifica per singole aree territoriali, vicine ai nostri club, come le tv e le web tv locali, saranno sempre più importanti. Per chi lavora nel mondo del lifestyle è fondamentale allo stesso tempo avere un respiro internazionale, con una versione in lingua inglese: dall’estero si naviga molto sui siti italiani, alla ricerca di informazioni sul made in Italy e sull’eccellenza che possiamo garantire in questo ambito». 䡵
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Assicurazioni
L’E-COMMERCE NEL MONDO ASSICURATIVO Peculiarità, vantaggi e rischi di una polizza online a cura di Assidir Villani
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A SOCIETÀ Netcomm e il Politecnico di Milano hanno rilevato una crescita totale dell’e-commerce italiano pari al 15% circa nel 2013, per un valore totale di 12,6 miliardi di euro, con oltre 14 milioni di compratori che hanno pagato per il 71% con carta di credito e per il 21% con PayPal (vedi tabella a pagina 40). Come ha reagito il settore assicurativo, in Italia e nel mondo, alla possibilità di acquistare polizze online? Occorre precisare che il settore paga lo scotto della complessità della materia per cui è forte la necessità di una consulenza da parte di un esperto del settore. Ciò costituisce una criticità per chi ha bisogno di coperture che non siano più che standardizzabili. Anche in questo caso, ciò che può rendere insoddisfatti della scelta di una polizza online sono soprattutto le clausole particolari, quali esclusioni, franchigie, possibilità di rivalsa ecc., che il potenziale cliente non è abituato a ricercare e valutare con attenzione all’interno di ponderosi fascicoli informativi. Un esempio su tutti: proprio quest’anno l’Agcm – Autorità garante della concorrenza e del mercato – ha sanzionato Ryanair (€ 850.000) e Easyjet (€ 200.000) perché non hanno fornito in modo sufficiente e adeguato informazioni essenziali sulla polizza facoltativa destinata a coprire i rischi per l’annullamento del viaggio da parte dei clienti. Ma, in verità, chi di noi va a verificare le informazioni di dettaglio sulla copertura assicurativa per gli annullamenti mentre sta prenotando un biglietto aereo? Se poi ci spostiamo verso coperture assicurative più complesse, l’assistenza di un esperto non è necessaria, è praticamente indispensabile. Un mercato in crescita Secondo il World Insurance Report 2014 della Cap Gemini, entro cinque anni il 30% del business degli assicuratori sarà gestito digital-
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mente, dimostrando come i clienti apprezzano l’impatto in termini di convenienza, benefici e taglio dei costi. Se il canale dominante rimane ancora quello delle agenzie, con il 39% delle polizze “vita e pensioni” e il 47% delle altre, i progressi del digitale sono enormi, rispettivamente con un 32% e un 41% per l’utilizzo di internet da pc e con un 26% e un 31% per quello dai cosiddetti mobile (tablet e smartphone). Se nel mondo le cose vanno così, in Italia siamo un po’ in ritardo al punto che nelle relazioni annuali dell’Ivass non si fanno riferimenti significativi alla presenza e all’utilizzo delle pratiche di e-commerce. La stessa Ivass, però, nel proprio sito mette gratuitamente a disposizione dei privati “tuO preventivatOre”, un sistema che permette di valutare la propria polizza au-
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to, ovviamente garantendo l’assoluto anonimato. A questo proposito, ci sono oggi molti sistemi online di verifica e valutazione delle polizze, come “segugio.it” e “facile.it”, per i quali sono in atto forti campagne pubblicitarie televisive, o il meno noto “Assicuriamoci bene”, che contiene un maggior numero di informazioni tecniche del settore. Il ricorso a questi comparatori palesa un comportamento di progressivo avvicinamento all’e-commerce assicurativo attraverso la fase “informativa”, che oggi viene spesso seguita da un acquisto effettuato ancora nel “negozio di riferimento”, cioè nella tradizionale agenzia di assicurazione con la quale il cliente ha un rapporto consolidato da tempo (magari chiedendo con maggior insistenza uno sconto sul premio).
I maggiori competitor dell’ecommerce assicurativo italiano Tra le più importanti imprese del settore assicurativo che operano anche nell’online troviamo Direct Line, Genertel, Linear, Genialloyd, Zurich Connect, Quixa, Europ Assistance, ConTe.It, Dialogo.it e Assor. Precisiamo che questa classifica tiene presente non solo del numero di contratti stipulati, ma anche
Entro cinque anni il 30% del business degli assicuratori sarà gestito digitalmente, dimostrando come i clienti apprezzano l’impatto in termini di convenienza, benefici e taglio dei costi
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Assicurazioni
L’E-COMMERCE IN ITALIA (anno 2013) % sul totale
Transato online (milioni di €)
Tasso di penetrazione dell’e-commerce
Tasso di crescita
“Scontrino” valore acquisto medio in €
Abbigliamento
12%
11.352
2,5%
30%
195
Informatica-elettronica
11%
11.239
7,5%
20%
240
3%
11.338
3,8%
6%
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Settore
Editoria Grocery
1%
11.113
< 1%
11%
125
Altri prodotti incluso C2C
12%
11.352
—
—
—
TOTALE PRODOTTI
39%
14.394
—
—
—
Turismo
43%
14.845*
,20%
—
280
Assicurazioni
10%
11.127
4,2%
14%
490
Altri servizi TOTALE SERVIZI TOTALE GENERALE
8%
11.901
—
—
—
61%
16.873
n.d.
n.d.
n.d.
100%
11.268
n.d.
n.d.
n.d.
* 75% biglietti da viaggio; 25% hotel Nota: nei mercati stranieri il peso dei prodotti, con valori compresi tra il 65 e l’80%, prevale su quello dei servizi.
ASSIDIR E L’E-COMMERCE In questo scenario, Assidir ha dimostrato la propria sensibilità all’inarrestabile tendenza verso l’utilizzo dei nuovi strumenti di e-commerce e ha da tempo avviato un processo di affiancamento di questi alle formule e ai prodotti più tradizionali. Così facendo, Assidir ha predisposto un’offerta in grado di soddisfare tutte le esigenze di comodità degli associati Manageritalia. In particolare ha già messo a loro disposizione le coperture assicurative per Rc auto (tramite una specifica convenzione con Genertel), Viaggi - Vacanze e Sci (convenzione con Europ Assistance) e Rc capo famiglia (con Click family, in collaborazione con Ubi Assicurazioni). A breve, inoltre, è prevista l’attivazione di sistemi di acquisto di polizze online per quanto riguarda la tutela della persona. Da ultimo, non dimentichiamo che Assidir ha messo a disposizione degli associati Manageritalia un’App che dà indicazioni su come comportarsi in caso di sinistro. Per maggiori informazioni 40
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www.assidir.it
del numero dei visitatori, unici e assoluti, delle citazioni in rete nei cosiddetti “social”, della presenza nei siti di comparazione ecc. Insomma, fornisce una sorta di indice di utilizzazione a 360° e per questo è oggetto di continui aggiornamenti. Inoltre, come si rileva facilmente, la stragrande maggioranza delle polizze disponibili in forma di ecommerce riguarda il settore Rc auto e quello ad esso strettamente collegato (infortuni del conducente, assistenza, tutela legale della circolazione). Da qualche anno si è cercato di sviluppare altri rami danni, in particolare quelli legati all’abitazione e solo in tempi recenti alcune compagnie hanno iniziato a presentare nei portali alcuni tipi di assicurazioni sulla vita, le cui percentuali però a oggi sono praticamente trascurabili. 䡵
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INIZIATIVE MANAGERITALIA
TRA LE NEVI DI MADONNA DI CAMPIGLIO DAL 15 AL 22 FEBBRAIO 35a Coppa di Sci Manageritalia e settimana bianca nella prestigiosa località montana del Trentino ospiti dell’iGV Club Relais des Alpes
L Per maggiori informazioni www.manageritalia.it oppure 0229516028
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L’annuale appuntamento invernale per gli sciatori Manageritalia si terrà a Madonna di Campiglio, un luogo meraviglioso nel cuore delle Dolomiti del Brenta, Patrimonio dell’umanità dell’Unesco. A 1.550 metri di altitudine, Madonna di Campiglio offre la possibilità di percorrere, partendo dal centro del paese fi-
no a 2.600 metri, 150 chilometri di piste sempre con gli sci ai piedi. Una grande skiarea da Folgarida a Marilleva, in Val di Sole collegata con Madonna di Campiglio, servita da 60 impianti di risalita. A due passi dalle piste da sci Gli iscritti alla settimana bian-
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QU OT E D I PA RT E C I PA Z I O N E
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ca pernotteranno all’iGV Club Relais des Alpes, struttura elegante e raffinata ideale per tutta la famiglia e per chi cerca relax e movimento. Facendo due passi fuori dall’albergo si è già sulle piste da sci: gli impianti di risalita dello Spinale sono raggiungibili in soli cinque minuti a piedi.
La quota di partecipazione si riferisce solo al soggiorno, che quest’anno si potrà scegliere con trattamento di pensione completa o mezza pensione. Gli skipass dovranno essere acquistati dagli interessati direttamente presso gli impianti di risalita.
ADULTI
pensione completa
in doppia, tripla e quadrupla** in doppia uso singola
700 950
mezza* pensione* 600* 850*
220 430 540
150* 330* 440*
BAMBINI (se in camera con due adulti) da 0 a 2 anni non compiuti da 2 a 6 anni non compiuti da 6 a 12 anni non compiuti
* Possibilità di pasto extra, € 25 a persona. ** Le camere quadruple sono solo family (non ci sono riduzioni per ter** zo letto adulto).
Le camere saranno consegnate entro le ore 17 (primo pasto in entrata: cena) e dovranno essere rilasciate entro le ore 10 del giorno di partenza (ultimo pasto in uscita: pranzo). LA QUOTA COMPRENDE Sette notti con trattamento di pensione completa, acqua e vino della casa ai pasti, sistemazione in camere con servizi privati, attività di villaggio sportive e di animazione, sci in compagnia, piccola piscina coperta (con due vasche idromassaggio) e angolo palestra. LA QUOTA NON INCLUDE Extra in genere, scuola di sci, centro benessere, servizio lavanderia, parcheggio coperto (con prenotazione) a € 25/gg/auto, eventuale tassa di soggiorno e tutto quanto non riportato alla voce “La quota comprende”.
PENALI PER ANNULLAMENTI Dal 40° al 25° giorno prima della partenza, 30% della quota; dal 25° al 15° giorno, 50%; dal 15° al 7° giorno, 75%; oltre il 7° giorno, 100%.
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Informazioni utili RELAIS DES ALPES Via Monte Spinale 1 - 38084 Madonna di Campiglio (Tn) Tel. 0465446238 - Fax 0465440104 - www.igrandiviaggi.it Come arrivare In auto: da Milano, Autostrada A4 uscita Brescia Est. Seguire le indicazioni per Lago d’Idro, Tione, Pinzolo, Madonna di Campiglio (dal casello 82 km). Dalla Modena-Brennero, Autostrada A22 uscita Rovereto Sud. Seguire le indicazioni per Mori, Arco, Sarche, Tione, Pinzolo, Madonna di Campiglio (dal casello 73 km). In treno: stazione F.S. di Trento. In pullman: servizio di pullman di linea collega Milano con Madonna di Campiglio, con partenza dal terminal di Lampugnano.
Modalità di prenotazione e versamento della quota di partecipazione Inviare la sola scheda di prenotazione, pubblicata nella pagina a fianco, senza effettuare il pagamento. Manageritalia Servizi, ricevuta la scheda, provvederà al più presto a confermarvi la prenotazione o, nel caso fossero già esaurite le camere, ad avvertirvi dell’inserimento del vostro nominativo nella lista d’attesa. Una volta avvenuta la conferma da parte di Manageritalia Servizi, spetterà a voi provvedere, entro massimo 5 giorni, al pagamento della quota con bonifico bancario in un’unica soluzione intestato a I Grandi Viaggi presso Banca Popolare di Milano, ag. 10 - Milano Iban - IT56Q0558401610000000013235 Causale: acconto GM 800187 Copia contabile bancaria timbrata dalla banca completa di cro dovrà essere inviata via fax a Manageritalia Servizi allo 0229516093.
LE PRENOTAZIONI SONO APERTE FINO AL 16 GENNAIO
REGOLAMENTO Gara in programma: slalom gigante in due manche (sabato 21 febbraio). Quota di partecipazione alla sola gara per chi non soggiorna: € 25 da pagarsi in loco. Partecipanti: possono gareggiare gli iscritti a Manageritalia, i loro familiari e ospiti, tesserati Fisi e non (questi ultimi dovranno provvedere personalmente alla propria assicurazione). Eventuali tesserati Fisi dovranno comunicare all’atto dell’iscrizione il punteggio e la categoria di appartenenza. Responsabilità. Nessuna responsabilità verrà assunta per quanto possa accadere a concorrenti o a terzi durante allenamenti o gare.
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scheda di prenotazione
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SCHEDA DI PRENOTAZIONE 35a COPPA DI SCI MANAGERITALIA - 15/22 FEBBRAIO iGV Club Relais des Alpes - Madonna di Campiglio Da ritagliare e inviare a:
MANAGERITALIA SERVIZI VIA STOPPANI 6 • 20129 MILANO • TEL. 0229516028 • FAX 0229516093
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PRENOTO PER ME STESSO 1. .......................................................................................................................... data di nascita ........................................ codice fiscale * mezza pensione pensione completa sciatore partecipa alla gara Richiesta di emissione fattura da parte di iGV sì no indicare i dati fiscali se diversi da quelli sopra riportati
ragione sociale...........................................................................................
E/O PER LE SEGUENTI PERSONE 2.
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familiare ospite 3.
mezza pensione
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mezza pensione doppia uso singola (disponibilità limitata)
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doppia
tripla
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Mi impegno a pagare la quota di € .................................... con bonifico bancario in unica soluzione appena avuta conferma della mia prenotazione da parte di Manageritalia Servizi Firma
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* Dato obbligatorio richiesto ai fini assicurativi e fiscali • Autorizzo la pubblicazione delle mie immagini scattate nel corso della settimana per uso rivista Dirigente e web SÌ NO
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DI BUON GRADO Piero Valdiserra
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grado
IL MONTEPULCIANO D’ABRUZZO
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L’uva Montepulciano è presente in Abruzzo da tempo immemore. In epoca romana ebbe modo di apprezzarla il grande condottiero cartaginese Annibale, che tenne sotto scacco Roma per lunghi anni e che rinvigorì gli uomini del suo esercito con il vino da essa prodotto. In tempi più vicini a noi nacque una persistente confusione con l’uva Sangiovese, dovuta probabilmente a Sante Lancerio, bottigliere di Paolo III, che a metà del Cinquecento indicò l’uva Montepulciano per definire i prodotti della città poliziana, in Toscana, già rinomati all’epoca ma ottenuti, appunto, dal Sangiovese. Soltanto a partire dall’Ottocento una serie di studi ampelografici di diversi autori indicò al di là di ogni dubbio che il vitigno Montepulciano era stato individuato chiaramente e separato dal Sangiovese. Nel 1968 il Montepulciano d’Abruzzo ha ottenuto la Doc e nel 2003 – con la sottozona “Colline Teramane” – la Docg. Le tecniche viticole ed enologiche attuali consentono di coltivare l’uva Montepulciano su tutta la superficie della regione, anche se l’area in cui la varietà sembra acclimatarsi in maniera ideale è la Valle Peligna, o Conca Peligna, cioè l’altopiano centrale interno in cui si trova la città di Sulmona. La generosità dell’uva Montepulciano non deve far dimenticare la sua potenziale propensione ad accenti rustici. Sul vino da essa ottenuto ha scritto il grande vinattiere romano Marco Trimani: «È un prodotto senza finzioni, di gusto netto e deciso, come la gente della sua terra, e non vuol dare l’impressione di essere più importante di quello che è:
preferisce, con un po’ di civetteria, essere apprezzato da chi l’ha conosciuto a fondo». Lo sforzo dei migliori produttori di oggi è quello di creare vini eccellenti, che si facciano notare per capacità espressiva, date la potenza, la struttura e l’eleganza della materia prima; senza dimenticare l’ampiezza delle sfumature olfattive, rimarchevoli anche con l’invecchiamento. Il Montepulciano d’Abruzzo si caratterizza per i nitidi rimandi alla ciliegia e alla marasca, per la piena struttura apportata da tannini fitti, morbidi, poco aggressivi e per il finale sostenuto da una notevole forza estrattiva e alcolica. Queste caratteristiche lo hanno per molto tempo relegato al ruolo di apprezzato vino da taglio, e ne hanno ritardato la piena conoscenza e diffusione che soltanto oggi lo stanno premiando sempre più sul mercato. Servito a una temperatura di 18-20 gradi, il Montepulciano d’Abruzzo giovane si abbina perfettamente a grigliate di carne suina e ovina. Se più stagionato, è ideale con le carni rosse, in particolare con le pezzature nobili del manzo e della pecora. È inoltre un ottimo compagno per i formaggi pecorini a stagionatura crescente, di pari passo con l’invecchiamento del vino. Oltre a produrre il potente vino rosso abruzzese omonimo, l’uva Montepulciano si presta a una molteplicità di interpretazioni, come la vinificazione in bianco per particolari vini fermi o per una base spumantistica. Tradizionalmente importante è poi il suo uso nei vini rosati (tra cui il celebre Cerasuolo d’Abruzzo), ai quali regala profumi intensi e struttura adeguata.
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ARTE Claudia Corti
Derrière la Gare Saint-Lazare, France 1932
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arte
HENRI CARTIER BRESSON L’occhio di un secolo DA NON PERDERE Henri Cartier Bresson Roma, Museo dell’Ara Pacis 26 settembre - 6 gennaio
“Osservare lì dove gli altri sanno solo vedere”. È la chiave di lettura delle immagini di uno dei più grandi fotografi del secolo scorso, Henri Cartier Bresson. Padre del fotogiornalismo moderno, ha attraversato tutto il Novecento con la sua inseparabile Leica 35 mm immortalando e rendendo eterni preziosi attimi, da un continente all’altro, realizzando straordinari reportage. A onor del vero quello verso la fotografia non fu un vero e proprio colpo di fulmine: nato in una famiglia dell’alta borghesia francese nel 1908, si dedicò in gioventù alla pittura surrealista e solo nel 1931 iniziò a interessarsi di fotografia, in un’epoca in cui quest’ultima non era certo ritenuta arte, bensì un mero mezzo meccanico per riprodurre la realtà circostante. Osservando casualmente su una rivista la foto di tre ragazzini che giocavano sulle rive di un lago, Cartier Bresson rimase colpito dalla spontaneità e dall’immediatezza del loro sorriso. Nessun pittore, per quanto bravo, avrebbe mai potuto cristallizzare la fugacità di quegli attimi. Acquistò la Leica che lui stesso amava definire il “prolungamento dell’occhio” e, tranne una breve parentesi nel cinema come assistente di Jean Renoir, non se ne separò più. “Viaggia leggero” Cartier Bresson, una definizione che lui stesso dà spie-
gando l’importanza della sua Leica, una macchina di piccole dimensioni che gli consente di cogliere quegli attimi preziosi su cui fonda la filosofia del suo operato. È a Parigi nel ‘43 a documentare la Liberazione, in India con Gandhi e a poche ore dalla sua morte, in Cina nel ’48 e in Russia durante la Guerra fredda. Negli stessi anni fonda con Robert Capa, David Seymour, William Vandivert e George Rodge la Magnum Photos, tutt’oggi una delle più importanti agenzie fotografiche del mondo. Tuttavia, è lontano dai territori di guerra che Cartier Bresson ci regala le emozioni più grandi, quando, camminando in mezzo alla gente, stando seduto al tavolo di un bistrò, o visitando paesi stranieri, riesce a cogliere volti, espressioni, movenze fugaci catturandoli con il suo obiettivo, senza preoccuparsi troppo della perfezione della tecnica. È così che semplici biciclette che passano velocemente per strada, un bacio tra due ragazzi o un balzo fatto da un uomo per evitare di bagnarsi gli abiti in una pozzanghera diventano brani di pura poesia, perché in fondo l’anima di una fotografia è proprio questo: l’istante irripetibile di un’emozione, quell’attimo unico in cui, subito prima del “click”, si trovano perfettamente allineati occhio, mente e cuore.
CURIOSITÀ Nel 1947, credendolo morto in guerra, il MoMa di New York dedica una mostra postuma al vivo e vegeto Cartier Bresson che, chiarito l’equivoco, partecipa attivamente all’organizzazione.
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LIBRI Davide Mura
9 anni di giallo d’autore Un elenco di tutti gli autori e delle opere riscoperte dalla casa editrice fondata da Marco Polillo, una realtà indipendente nel panorama editoriale italiano che ha avuto fin dall’inizio come obiettivo la pubblicazione di quei romanzi usciti a cavallo tra gli anni Venti e Quaranta, l’età d’oro del poliziesco, e che rappresentano il meglio della produzione letteraria di questo genere. Un genere a lungo snobbato dalla critica, benché oggi sia quello che in libreria vende di più. Ecco allora un modo per approfondire gli autori, che molto spesso hanno avuto una vita misteriosa come le loro opere e hanno scelto pseudonimi per firmare i loro romanzi. I Bassotti - 100, F. G. Parke - AA.VV., Polillo, pagg. 192, € 6.
Gesù secondo la storia Un saggio che prende in rassegna molteplici fonti per affrontare il dibattito sulla storicità della figura di Gesù. Tommasi si accosta ai testi della tradizione storiografica e agli autori – cristiani e non – che propongono un quadro molto spesso poco uniforme. Superare i pregiudizi è il primo scoglio. Il libro adotta un approccio comparativo e ha il pregio di distaccarsi sia dall’agiografia e dal semplicismo sia dall’ateismo militante e aggressivo. Il risultato è una lunga riflessione che stimola il lettore e lo invita a porsi delle domande. Non c’è Cristo che tenga, Franco Tommasi, Manni, pagg. 423, € 26.
libri
Atlante immaginario Città, paesi, isole, territori fantastici: se oggi il nostro pianeta sembra avere ben pochi segreti e sembra essere stato esplorato da cima a fondo non fu certo così per gran parte della storia dell’umanità. I luoghi dell’immaginario, delle leggende e dei miti, come Atlantide, El Dorado o Iperborea, sono raccontati da Umberto Eco in un libro illustrato. Questi luoghi sono strettamente legati alle civiltà che li hanno creati e trasmessi ai posteri attraverso la letteratura e a seguire l’arte figurativa, molto prima che il cinema ne offrisse una sua versione. Terre ideali, dal clima temperato, dove regna la pace perenne e dove la felicità è garantita per tutti, ma anche ambien-
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Tutti a tavola Il volto gastronomico dell’Italia in un volume che raccoglie le migliori ricette regionali, frutto di un’accurata selezione e ricerca. L’autrice ha diretto per 30 anni la rivista La cucina italiana, la più prestigiosa pubblicazione del settore. Ogni piatto è stato provato definendo dosaggi e tempi di cottura e considerando la disponibilità dell’attrezzatura di una cucina familiare media. Il volume, arricchito da un bel repertorio iconografico, può essere a tutti gli effetti considerato un manuale pratico di ricette per chi voglia realizzare le diverse specialità regionali, così come si sono definite nell’uso in questi ultimi sessant’anni. Le ricette regionali italiane, Anna Gosetti della Salda, Solares, pagg. 1.206, € 49.
ti oscuri e spaventosi, sedi delle paure e dell’incubo. Non mancano nella rassegna edifici come il castello d’If, prigione del conte di Montecristo, a Marsiglia, o quello del conte Dracula in Transilvania, piuttosto che le case ricostruite per ragioni commerciali, basti pensare a quella di Sherlock Holmes in Baker Street, a Londra, o a quella di Nero Wolfe a New York. Un saggio ricco di immagini da consultare e sfogliare per scoprire una geografia dell’immaginario che ha da sempre accompagnato i sogni degli uomini. Storia delle terre e dei luoghi leggendari, Umberto Eco, Bompiani, pagg. 478, € 35.
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LETTURE per MANAGER
...per manager
Marco Lucarelli
I cretini non sono mai eleganti Ha ragione Adriana Mulassano, storica penna del Corriere della sera, quando scrive nella prefazione di questo libro che «di Giorgio Armani, su Giorgio Armani, in favore di Giorgio Armani, contro Giorgio Armani, sono stati versati fiumi di parole. Quotidiani, settimanali, mensili, televisioni nostrane ci hanno sempre mostrato un Giorgio Armani». Un Giorgio Armani distaccato e perfezionista, lontano dai riflettori per una sorta di snobismo elitario, convinto che la moda sia uno stile di vita. Come uscire allora da questi stereotipi, da questa immagine ritagliata dai media? Facendo parlare Giorgio Armani con parole sue. È quello che fa Paola Pollo in questo libro pubblicato da Rizzoli Etas: I cretini non sono mai eleganti. Giorgio Armani in parole sue. Un libro che raggiunge, grazie a questo escamotage, un duplice scopo. Il primo è quello di far capire le ragioni “umane” alla base del successo dello stilista milanese. Ragioni che, oltre al talento, si basano su lavoro duro, perfezionismo e capacità di cogliere i segnali deboli del mercato, alla ricerca di nuove tendenze. Il secondo scopo, non so quanto intenzionale da parte dell’autrice, è quello di trasmetterci un Giorgio Armani insolito, umano. Uno stilista venerato che scende dalla passerella per mostrare il suo carattere, risultando alla fine anche simpatico grazie alla capacità di alternare rigore e ironia applicandola prima di tutto verso se stesso e poi verso gli altri. Un Giorgio Armani il cui rigore stona rispetto a quello che siamo abituati a pensare quando immaginiamo il mondo della moda.
Buon secondo E poi una lezione di tenacia, utile per tutti i giovani che si affacciano al mondo del lavoro o per tutti quelli che hanno ancora un sogno professionale, imprenditoriale da realizzare. Lezione chiara, che emerge dai ricordi dello stilista milanese quando, appena assunto alla Rinascente, viene
arringato dal suo capo dell’epoca con queste parole: «Giorgio, lei sarà sempre un buon secondo, si ricordi».
Logo o no logo? In questo libro, lo stilista milanese offre diversi spunti di riflessione interessanti. Uno di questi è il suo punto di vista sul fenomeno “no logo”. Fenomeno che per Armani è stato molto esaltato dai media ma seguito, in realtà, da un numero esiguo di persone e ampliando, per certi versi, la rilevanza dei brand stessi.
Perché leggerlo
Questo libro ci fa scoprire il vero Giorgio Armani e per riflesso offre uno spaccato del mondo della moda milanese mettendone in risalto i valori fondanti: lavoro, fatica, merito e ambizione. Senza tanti fronzoli. Imperdibile poi la parte dove lo stilista milanese esprime a chiare lettere la sua opiLeggi e commenta nione sui diretti concortutte le recensioni renti: Valentino, Dolce di Marco Lucarelli sul blog & Gabbana, Gucci, Prada, Versace e Calvin Klein. Senza risparmiare stilettate che solo un grande della mo#letturexmanager da italiana può permettersi.
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LETTERE Daniela Fiorino (daniela.fiorino@manageritalia.it)
Le indennità dovute in caso di decesso del dirigente in servizio
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Opero per un’azienda commerciale e avrei bisogno di sapere che indennità sono dovute ai familiari di un dirigente deceduto in attività di servizio e quali adempimenti sono di competenza dell’azienda. B.S. - Firenze
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In caso di decesso del dirigente in servizio, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere agli aventi diritto tutte le spettanze di fine rapporto maturate alla data del decesso e l’indennità sostitutiva del preavviso previsto per il caso di licenziamento, determinato sulla base dell’intera anzianità di servizio. Ai fini del calcolo di tale indennità, il preavviso si fa decorrere dal giorno successivo a quello del decesso. Tutto questo indipendentemente da quanto possa spettare agli aventi diritto da parte degli enti contrattuali di previdenza complementare (Fondo Mario Negri) e previdenza integrativa individuale (Associazione Antonio Pastore). Se il decesso è avvenuto a seguito di infortunio, sia professionale che extra professionale, il datore di lavoro deve
inoltre avere cura di informare la compagnia assicuratrice con la quale ha stipulato la polizza prevista dall’art. 18, comma 7, del ccnl 31 luglio 2013. Anche il Fasdac prevede una piccola prestazione in caso di decesso del dirigente in servizio: un contributo per le spese funerarie pari a € 1.500. Sull’argomento si segnala una recente sentenza della Corte di giustizia europea, depositata il 12 giugno 2014 (C-118/13), secondo la quale il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie non godute non si estingue con il decesso del dipendente. Conseguentemente, i familiari di un lavoratore che muore senza aver usufruito, in tutto o in parte, delle ferie, hanno diritto a percepire l’indennità corrispondente ai giorni di ferie non goduti dal loro congiunto. L’azienda deve infine avere cura di comunicare al Suid la cessazione del dirigente indicando la motivazione e la data del decesso. Il personale delle Associazioni territoriali di Manageritalia è a disposizione dei familiari per fornire loro la necessaria assistenza per l’inoltro delle pratiche ai fondi contrattuali.
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inserto mensile di Dirigente n. 10 / 2014
DIRIGIBILE
a cura di Thomas Bialas
Segnali di futuro visti dall’alto #08 Numero speciale / Future Leadership
FUTURE MANAGER
Sei scenari per il management del futuro
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SEI COSÌ ANNI 80! A volte ritornano
Gli anni passati, come nei peggiori incubi di Stephen King. Guai a voler rivivere in un’epoca tramontata. C’è una stazione radiofonica a Varese, OTTO FM, che trasmette esclusivamente musica anni Ottanta. Ok, finché si tratta di musica ci può stare. Ognuno ha i suoi gusti e le sue nostalgie. Ma se riguarda la vita vera di tutti i giorni i guai sono in agguato, soprattutto quando si parla di business o di conduzione aziendale. Me li ricordo molto bene quegli anni: il Mazinga, il Game boy, i Duran Duran, il primo Macintosh, Drive In e i paninari,
FUTURE LEADERSHIP Il futuro manager è 12 leader in uno
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l’edonismo reaganiano e il thatcherismo di ferro, il craxismo estetico e modernista, la Milano da bere con le sue quotidiane processioni di fotomodelle, gli yuppie e i bocconiani, The One Minute Manager, il dorato e osannato mondo della pubblicità, il marketing come mantra universale recitato di sovente dall’adorata Procter & Gamble. E mi ricordo molto bene quali manager venivano ammirati o meglio quali erano, secondo la terminologia obbligatoria degli onnipresenti pierre, i campioni di immagine. Nel 1986 condussi per il mensile economico Espansione (allora in orbita Mondadori) un’esclusiva indagine - in collaborazione con Aiesec (Associazione internazionale degli studenti in scienze economiche e commerciali) e McCann Erickson Italia - fra circa 2.000 studenti dell’ultimo anno delle facoltà di economia e commercio di 24 atenei italiani per scoprire quali erano le aziende più ambite e i manager più ammirati. Il podio per il secondo quesito era così composto: primo classificato Carlo De Benedetti, secondo Gianni Agnelli e terzo Silvio Berlusconi. Evito di fare commenti o sarcasmi sul nostro presente. Ma ho
FUTURE LIFESTYLE Il corpo del manager in 13 connessioni
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sempre l’impressione che siamo ancora lì. Cinque anni fa feci un workshop per un’importante industria di abbigliamento intimo in grossa crisi e dissi alla prima slide «siete fermi agli anni Ottanta». Forse è una maledizione che ci perseguita ma bisogna affrontarla. Uno dei film icona degli anni Ottanta è Ritorno al futuro. Ma più che ritornare, giacché non ci si bagna mai nella stessa acqua, conviene andare verso il futuro. Se il management vuole sopravvivere a se stesso e alla sua stereotipata immagine di chi serra i pugni ed è pronto a scattare dal blocco di partenza allora deve cambiare radicalmente pelle. Oggi si guida in modo diverso. Meno immagine, meno media, meno status, più contenuto e riconosciuta sostanza. Dimenticavo: l’Expo 2015 è molto anni Ottanta.
Dirigente mensile di informazione e cultura manageriale editore Manageritalia Servizi design: CoMoDo
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FUTURE SKILLS IL FUTURO MANAGER MANDA IN SOFFITTA LE COMPETENZE “ALLA MBA” Più che un master in Business administration qui ci vorrebbe un bel master in future administration. A cosa serve infatti saper amministrare gli affari quando quello che ora serve è saper amministrare il futuro. Il quale futuro, come ormai sanno anche i sassi, cambia a velocità supersonica lasciando i non attrezzati senza parole e senza... futuro. Perché il tema è proprio questo: essere preparati, pronti, attrezzati facendo della lungimiranza un’attività quotidiana. Come? Intanto mandando in soffitta competenze che sanno di muffa. Se il manager non cambia se stesso non può gestire il cambiamento. E a cambiare ora è tutto. Bisogna attivare una dissoluzione non solo delle gerarchie ma del linguaggio (e delle parole che ingabbiano) imparato a memoria in meno di un secolo nelle business school. A leggere il rapporto Future Work Skills 2020 del noto Institute for the Future di Palo Alto, che parla di competenze crossculturali e transdisciplinarità, ci si rende conto quanto il traguardo sia ancora lontano e dominato dai cosiddetti manager esperti. Il futuro ha invece bisogno di “trasformisti” che cambiano pelle (e competenze) velocemente.
Scarica il rapporto Future Work Skills 2020 http://tinyurl.com/kjdotjc
FUTURE ORGANIZATION
FUTURE RESOURCES
IL FUTURO MANAGER FA TESORO DEI VECCHI CONSIGLI DELLA CIA
IL FUTURO MANAGER SI CIRCONDA DI TALENTI E NON DI FUNZIONI
Come sabotare un’organizzazione e renderla inefficiente. A leggere la vecchia guida (datata 1944) Simple Sabotage della Cia si sorride perché è, in parte, la classica descrizione della grande impresa gerarchica, burocratica e lenta. Ecco, testualmente, uno dei tanti consigli: “When possible, refer all matters to committees. Attempt to make the committees as large and bureaucratic as possible. Hold conferences when there is more critical work to be done.” Cui prodest? A chi giova leggere una cosa scritta sul finire della Seconda guerra mondiale? Direi a tutti i manager. Troppe aziende ancora oggi hanno strutture “fordiste” che ingessano la mente o l’agilità. Avete presente i percorsi agility dog? Ecco, l’organizzazione del futuro è agilmente mobile e si caratterizza meno per ossessive e rassicuranti (ma solo sulla carta) “pianificazione & controllo” e più per propositive ed eccitanti “sperimentazione & osservazione”.
Le aree funzionali sono roba di ieri. Divisione del lavoro, specializzazione, reparti (silos) e omogeneità delle competenze. Provate a chiedere a qualche azienda veramente innovativa se tutto questo ha ancora senso. No che non c’è l’ha. D’accordo: difficilmente i comuni mortali ricevono come Google circa 75.000 candidature alla settimana. Ma il tema è questo: attirare talenti multipli capaci di indossare panni differenti durante un progetto. La futura impresa è sostanzialmente un continuo flusso di collaboratori che saltano da un progetto all’altro come talent task force. Anzi, possiamo quasi affermare che sono i progetti a dirigere l’impiego delle risorse umane in base a tre criteri: tempo richiesto, valore richiesto, conoscenze richieste. Un format o un modo di procedere che Procter & Gamble ha già sperimentato con successo.
Scarica il manuale della Cia http://tinyurl.com/ac63fgf
DIRIGIBILE SEGNALI DI FUTURO VISTI DALL’ALTO
FUTURE RECRUITMENT
FUTURE WECONOMY
IL FUTURO MANAGER MANDA IN PENSIONE CURRICULA VITAE E HEAD HUNTER
IL FUTURO DEL MANAGER COLLABORATIVO IN TRE COMPETENZE
Come scrisse Don Tapscott in Grown up Digital (2008) “il manager deve sostituire il vecchio modello Recruit, Train, Supervise, Retain con Initiate, Engage, Collaborate, Evolve. E soprattutto, aggiungiamo noi, deve cestinare il Cv. In un mondo cambiato radicalmente, solo il curriculum sopravvive a se stesso. Stupido, noioso, lineare, superficiale e figlio (illegittimo) del fordismo. Ingabbiare in una standardizzazione cronologica e sequenziale di tappe che giustificano il percorso della nostra vita non ha più senso. Provate a immaginare biografie che ragionano in termini di rilevanza, proprio come i motori di ricerca, e soprattutto aprite le porte a uno storytelling “intimo” dei candidati. Anche lo head hunting ha fatto il suo tempo. Meglio attivare l’active sourcing, ovvero ricerca diretta, contatto diretto e offerta diretta, soprattutto quando si cercano talenti. I quali trattano il datore di lavoro come TripAdvisor tratta gli alberghi: prestazioni ai raggi X. È il caso della piattaforma tedesca Kununu dove aziende e manager vengono giudicati (con relativo rating) da dipendenti e collaboratori. Troppi feedback negativi? Scordatevi i profili migliori. Alcuni recruiting trends: in futuro la candidatura via smartphone sarà la regola, come le applicazioni mobile con responsive webdesign (PepsiCo lo fa); il futuro candidato viene intervistato e giudicato (con opzione di veto per l’assunzione) dai futuri colleghi (Amazon lo fa); semplificare e velocizzare: con il cosiddetto speedrecruiting i candidati rispondono online a sei semplici domande per poi ricevere proposte di posizioni idonee (Ferrero lo fa in Germania), nella linea delle brevità vanno anche i nuovi “software di ricerca semantica” Cv Parsing. Poi infine si può sempre tentare di copiare Google. http://www.kununu.com http://www.ferrero.de/speedrecruiting/start.aspx
FUTURE MANAGEMENT IL FUTURO MANAGER FA A MENO DEI MANAGER Bottom up avanti tutta. “Il management partecipativo non rende solo più felici i lavoratori, bensì rappresenta una formidabile arma per far diventare l’azienda più flessibile e competitiva, in ambienti e mercati a elevata concorrenza e complessità”. Così parlò l’imprenditore brasiliano Ricardo Semler dell’omonima azienda nota in tutto il mondo per le sue pratiche di autogestione e assenza di organigrammi e pratiche manageriali formalizzate. Come è altrettanto nota, crediamo, la Morning star company, interamente fondata su principi e dinamiche del self-management. Un credo che ha dato vita al Morning star self-management institute (self-managementinstitute.org) per promuovere una cultura e gestione aziendale che sostituisce le gerarchie formali con decision making distribuito, compartecipazione, collaborazione allargata e auto-organizzazione. Con un doppio obiettivo: la valorizzazione dei talenti da una parte, l’abbattimento dei tradizionali costi di management come vantaggio competitivo dall’altra. Meno noti forse sono tutti i followers o aziende medie che adottano modalità gestionali condivise in azienda come la società svizzera www.umantis.com i cui 120 collaboratori decidono con elezioni democratiche quanti e quali persone devono condurre l’azienda. Da provare.
Dal recentissimo passato: Marchionne, Montezemolo, Della Valle, collaborare? Che palle! La rissa “reality show” attorno al futuro della Ferrari fatta da tre tizi che dovrebbero essere tre congiunti difensori del made in Italy ci dice una cosa chiara ben sintetizzata da un recente editoriale di Federico Rampini su Repubblica: «In un paese normale, a maggior ragione in una pesante crisi economica, tre personaggi del genere sarebbero uniti nello stesso sforzo: curare l’immagine nazionale, collaborare per una rinascita». Invece dove si comanda sul serio non si collabora mai sul serio. E questo ci porta al nostro italico presente. È da cinque anni che parliamo (Logotel e il sottoscritto) di weconomy e di pratiche collaborative. Le aziende ci provano o fanno finta di provarci, talvolta con discutibili e risibili risultati. Ben venga allora il nuovo numero (il settimo della serie) di Making weconomy dedicato proprio alle nuove frontiere del management nell’impresa collaborativa.
Scarica il quaderno Weconomy http://www.weconomy.it/making07
QUADERNI PERL’IMPRESA COLLABOR ATIVA
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FUTURE LEADERSHIP IL FUTURO MANAGER È 12 LEADER IN UNO Abbiamo codificato 12 modi di essere leader. Profili, o più esattamente icone che sintetizzano a livello simbolico modelli di “comando” e impulsi per gestire creativamente il proprio cambiamento della leadership. Ogni profilo è una sorta di archetipo che è connesso a una o più realtà aziendali e culturali e ogni manager può decidere in base alla propria vocazione se interpretare un solo profilo o molti simultaneamente, puntando sull’ibridazione e sulla tecnica del mash up. Certo non si possono fingere qualità. Bisogna proprio essere così. Se dobbiamo scegliere una persona che incarni più leader in uno allora prendiamo Richard Branson. Un tipo nato così. Nel 1977 il bassista dei Sex Pistols, Sid, vomita sulla scrivania del direttore generale dell’etichetta discografica A&M Records. Contratto annullato. Il giovane imprenditore Richard Branson (27 anni) fondatore della Virgin Records non ha di questi problemi e pubblica il loro unico album Never mind the bollocks, considerato dalla rivista Rolling Stone uno dei più importanti della storia del rock. Senza di loro, oggi non saremmo qui a parlare dell’eclettico imprenditore ex (o ancora) hippy.
RADICAL LEADER
MUJICA LEADER
AZIENDA: APPLE
AZIENDA: URUGUAY
Follow your dreams e lascia che gli altri siano i follower della strada aperta da te. Chi è radicale non si fa distrarre da best practice e benchmark e nemmeno dal fardello dei dati storici aziendali che annebbiano il cervello. Chi è radicale non copia modelli e non ascolta i consigli “di come si fa” dal management guru di turno. Piuttosto ascolta i Beatles. Chi è radicale può cambiare il mondo e se ciò non è possibile allora se ne crea uno nuovo. Ma attenzione. Radicale non è sinonimo di estremismo. Ma anzi, il suo esatto contrario. Chi è estremo va all’estremità e si allontana dal problema e quindi dalla soluzione. Chi è radicale va in profondità e trova la radice della questione (così nasce l’iPod). È tutto molto semplice. Radicale, radix, radice. Chiedetelo al vostro dentista come si ricostruisce un dente e dunque un futuro, da vero leader.
Non è sdolcinato idealismo. Provate a immaginare un potere esercitato senza avidità ma con umiltà e sobrietà. Provate a immaginare l’impresa come centro di una comunità che saldi uomini, lavoro, cultura, società civile ed etica. Viene in mente il solito Adriano Olivetti (un ricordo) oppure l’insolito presidente dell’Uruguay José Mujica (una realtà). Lo sapete cosa fa, no? Si trattiene solo 1.500 dollari dello stipendio per vivere e destina gli altri 10.500 alla beneficenza. Vive di poco, anzi di pochissimo, in una vecchia fattoria senza neppure l’acqua corrente, ma solo l’acqua del pozzo. Gira con un vecchio Maggiolino degli anni Settanta. È vegetariano, è sposato, ha un cane. Un capo che razzola bene quello che predica. Provate a farlo anche voi se volete essere un leader veramente rivoluzionario.
DIRIGIBILE SEGNALI DI FUTURO VISTI DALL’ALTO
FUTURE LEADER AZIENDA: VOLKSWAGEN Non nel senso di leader del futuro ma di leader che domina il futuro. Quando un collega vuole parlargli di budget trimestrale e obiettivi a breve gli chiude la porta in faccia. E fa bene. Prevedere il futuro e prevenire guai sono il suo unico credo e stile gestionale. Individuare le tendenze future, calcolare l’impatto e reagire. Scrutare l’orizzonte per adattarsi tempestivamente al mercato attualizzando prodotti, servizi e competenze. In un’epoca di così veloci e radicali cambiamenti prendere decisioni per l’immediato e lontano futuro è (o dovrebbe essere) la quotidianità nelle sale riunioni aziendali. Ma non lo è. La Volkswagen ha all’interno dell’azienda un “Head of future affairs” con tanto di dipartimento dedicato. Gli affari presenti passano in fretta se non si immaginano quelli futuri. Ne vogliamo parlare?
KNOWLEDGE LEADER
AUGMENTED LEADER
AZIENDA: IBM
AZIENDA: GOOGLE
Diceva Socrate: conosci te stesso e, aggiungiamo, il mondo circostante. In un’economia basata sulla conoscenza, il leader deve innanzitutto saper pensare e poi saper fare pensare gli altri. I meccanismi del taylorismo hanno fatto il loro tempo. Al loro posto si guida in assenza di meccanismi e con un’attitudine e modus operandi composto da sei “azioni” non necessariamente consequenziali: focalizza, impara, socializza, collabora, prova, sbaglia, ritenta. Per promuovere innovazioni e ambienti di lavoro creativi il knowledge leader deve dire “ciao ciao” alle vecchie formule di successo basate su precisione, efficienza, performance e mettere al centro ogni singolo lavoratore della conoscenza. Il quale, soprattutto se è giovane e brillante (generazione Y), pretende un ambiente lavorativo aperto, sperimentale e senza gerarchie.
Il leader che aumenta la realtà, le opportunità, la velocità e ovviamente i dati a disposizione. Governa digitalizzando, disintermediando e smaterializzando tutto quello che gli capita a tiro. In perenne stato di ebbrezza beta questo leader è sperimentale in modo esponenziale. Ma è anche un cloud leader. Non nel senso di testa fra le nuvole ma sopra le nuvole per guidarle con un’organizzazione fluida senza chiari confini di spazio e luogo e con team gestiti emulando il modello di comando degli uccelli migratori. Un leader che anziché dire “facciamo squadra” dice “facciamo sciame” (swarming). Impertinente e resiliente vede cose che gli altri non vedono. Tipo il futuro business dei servizi adattivi per mutevoli esigenze in real time. Augmented reality leadership! Troppo complicato? Solo se si è nati fuori dalla California.
6/7
CONTENT LEADER AZIENDA: GROM Sostanza, rilevanza, originalità, reputazione e conversazione. Dare un senso alla propria presenza sul mercato ma anche in azienda. È tempo di rivolgere la propria attenzione alla progettazione dei contenuti. Da attention leadership (guadagnare l’attenzione spesso con l’imposizione) a interesting leadership (rendersi interessanti per fatti impressionanti). Il gelato “come una volta” (di Grom) sta al contenuto come una volta, ossia: vero e genuino. Il leader contento di generare contenuti non rende solo più contenti i clienti ma anche i dipendenti. Le persone seguono più volentieri manager e imprenditori che guidano l’impresa con grandi fatti e con grandi storie. Sembra, nel senso buono del termine, di tornare bambini: “leader raccontami ancora una volta quella bella fiaba così ricca di senso”. Un leader così non sfigurerebbe neanche al Ted.
PIRATE LEADER
BLEISURE LEADER
AZIENDA: SYNAXON
AZIENDA: NETFLIX
Non è un tizio barbuto con un pappagallo sulla spalla che potrebbero derubarvi quando uscite dal suo ufficio, ma un leader audace e innovatore che scuote la barca e rompe gli equilibri per costringere dipendenti, clienti e fornitori a misurarsi con il vento del cambiamento. Non è neanche un anarchico hacker anche se quel modus operandi (copiare, modificare, riconfigurare) spesso aiuta e ha ispirato anche i pirati di Silicon Valley (vedere film). No, il manager pirata da un lato impara dalle complesse e sofisticate forme organizzative dei vecchi pirati e dall’altro dalla liquid democracy dei moderni pirati. Troppo teorico? Allora provate a studiarvi il caso di Frank Roebers ceo della Synaxon AG, che gestisce non una piccola start up ma una società IT quotata in borsa, come il partito pirata ovvero con un’organizzazione completamente “open” e destrutturata. Con successo.
Leisure (tempo libero) e business (lavoro) si fondono. Impossibile ormai distinguerli e quindi gestirli separatamente. Welcome to the bleisure. La società americana Netflix dell’imprenditore e filantropo Reed Hastings chiama tutto questo the “Netflix freedom and responsibility policy”, ovvero niente orari di lavoro e niente distinzione tra ferie e tempo speso in azienda. Che ognuno lavori dove e come gli pare. Uno stile gestionale ora introdotto anche da Virgin. Giusto così. Lifesyle e worksyle devono fondersi in un ibrido ma armonioso ed equilibrato stile di vita. Di più: posto di lavoro e località turistica si fondono. Non sono più categorie geografiche distinte ma un mood personale. Alcuni luoghi di lavoro hanno un’atmosfera vacanziera e viceversa. In futuro le uniche organizzazioni che pretenderanno ancora l’obbligo di presenza saranno le carceri.
DIRIGIBILE SEGNALI DI FUTURO VISTI DALL’ALTO
FRIENDLY LEADER BETTER LEADER
MINIONS LEADER AZIENDA: GRU Un cartone animato? Un personaggio di pura fantasia? Eravamo indecisi se mettere loro o Jeff Bezos di Amazon. Poi ci siamo detti che il capo di Amazon è un po’ troppo capo (comanda lui, punto) mentre i mini aiutanti e scagnozzi gialli di Gru sono come dire così “resilienti”. Ho visto Cattivissimo Me 2 tre volte e ogni volta ho imparato una nuova “competenza”. Guardate il film con occhio da “discepoli”. C’è molto da imparare perché loro hanno le competenze cognitive adatte all’epoca. I Minions ricoprono più ruoli (transdisciplinarietà e competenze cross-culturali); operano in contesti collaborativi e di autogestione (self management e co-working); si adattano a ogni situazione e relazione (intelligenza sociale) e poi sono ottimisti, audaci, spiritosi e talvolta (come indole) un pochino zen.
AZIENDA: AIRBNB
AZIENDA: VIRGIN
Friends, fans, followers. Da collega di lavoro ad amico di lavoro. L’amicizia invade ogni spazio, anche quello professionale. I nuovi talenti pretendono ambienti informali, collaborativi e distesi. Se devo lavorare tanto allora devo starci bene come a casa mia. La leadership si trasforma in leader(friend) ship. Non solo. Mi fido dunque non ti controllo. Mi fido dunque ti seguo. Trustbased performance management o anche followership. Tu segui me, io seguo te, noi seguiamo loro e loro seguono noi. Imprinting reciproco. Il friendly leader è seguito e a sua volta segue gli altri in un continuo scambio che fertilizza le decisioni. Tutti “twitter guru” e tutti contemporaneamente leader e follower? Non proprio. Ma abbiamo bisogno di fare un salto evoluzionistico nei rapporti con dipendenti, collaboratori e sì, anche clienti. Reputazione: governare senza comandare.
Un leader migliore? No un leader per un mondo migliore. Un leader che parla di low profit, di civic economy, di cause marketing e di social innovation. Insomma, di una better world company. Un leader che dedica l’80% del suo tempo a progetti umanitari e ambientali. Un leader che dice cose così: «Companies must be more than just moneymaking machines. They must become a force for good, they must use their entrepreneurial skills to make a real difference in the world». Un leader che ha sempre un piano B per migliorare il mondo come il caso di bteam.org, la piattaforma per il business sostenibile, capeggiata dal patron della Virgin. Abbiamo scelto Richard Branson in questo singolare look da hostess perché il better leader del futuro, uomo, donna o altro che sia deve e dovrà avere molte qualità femminili.
DIRIGIBILE SEGNALI DI FUTURO VISTI DALL’ALTO
8
FUTURETECH CONNECTED MANAGER DIGITAL LIFESTYLE Il dilemma dell’era digitale: sei un fesso se non sei sempre connesso, oppure male sei messo poiché dalla realtà ora sei sconnesso? Difficile dare un giudizio categorico e definitivo. È un sottile gioco di equilibrio. Bisogna conoscere e dominare ogni connessione ma anche sapersi rifugiare nella sconnessione. L’azione richiede connessione mentre la concentrazione richiede sconnessione. O meglio: idee e contenuti richiedono silenzio e contemplazione, la diffusione richiede invece la moltiplicazione digitale.
CONNECTED HELMET
CONNECTED GLASSES
CONNECTED SPORT
CONNECTED SHOPPING
CONNECTED WATCH
CONNECTED JACKET
CONNECTED DESK
CONNECTED GOLF
CONNECTED FITNESS
CONNECTED SEX
CONNECTED INSURANCE
CONNECTED CAR CONNECTED ROBOT
(Per vedere i video clicca sulle foto)
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ASSOCIAZIONI S ERVIZI ANITÀ CONTRATTO S PREVIDENZAFORMAZIONE
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SMARTWORKING
Strumenti e visioni per un nuovo modo di lavorare
22 OTTOBRE, ORE 9-13 / CFMT, via Palestro 32, Roma 12 DICEMBRE, ORE 9-13 / CFMT, via Decembrio 28, Milano
L
e organizzazioni di successo si connotano sempre più come organizzazioni in grado di soddisfare contemporaneamente i propri obiettivi, gli obiettivi dei clienti e quelli dei dipendenti. Nella progettazione organizzativa e dell’organizzazione del lavoro intervengono sempre più spesso principi quali la flessibilità nell’uso del tempo e degli spazi di lavoro, la valorizzazione dei talenti, la collaborazione, l’autonomia e l’innovazione diffusa. Principi legati essenzialmente all’importanza crescente del “knowledge work” e della cosiddetta economia della conoscenza. In questo contesto la creazione di valore (per i clienti, per l’azienda e per i dipendenti) non è più legata alla presenza fisica dei lavoratori in un luogo e in un dato momento, bensì alla capacità di generare innovazione e di risoluzione di problemi a prescindere dal luogo e dal momento. La tecnologia digitale (cloud pubblico e privato, mobile device, social network) ormai rende possibile ed economico svolgere molte attività operative e di relazione ovunque ci sia una connessione alla rete. L’uso di questi strumenti, che va
oltre il telelavoro, da eccezione sta diventando norma e la scrivania e l’ufficio ormai non sono più il centro delle attività lavorative quotidiane anche e soprattutto per quadri e dirigenti. Obiettivo del workshop è presentare il ruolo di questi strumenti, la conseguente ridefinizione del concetto di posto di lavoro e i modelli organizzativi emergenti (smart working), valutando i modi e le conseguenze della loro adozione. I TEMI TRATTATI: 䡵 smart working vs telelavoro: le differenze; 䡵 flessibilità dello spazio (e del tempo) di lavoro; 䡵 comunicazione e condivisione di contenuti come fattori abilitanti i processi aziendali; 䡵 distanza, processi e comunicazione in azienda (curva di Allen); 䡵 oltre l’email, il posto di lavoro digitale: collaboration, unified communication, enterprise 2.0; 䡵 nuove modalità di comunicazione tra dipendenti e verso clienti, fornitori e partner: l’azienda estesa; 䡵 i vantaggi del nuovo modo di lavorare.
L’offerta è dedicata ai dirigenti iscritti a Manageritalia dipendenti di aziende associate a Confcommercio o alle altre Federazioni datoriali che hanno successivamente aderito alle attività di Cfmt e in regola con il versamento dei contributi.
Per informazioni e programma: www.cfmt.it/convegni/convegno/smartworking
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MANAGERITALIA
CONTRATTO
IL PREAVVISO DI LICENZIAMENTO Tutto quel che c’è da sapere sul periodo di preavviso effettuato in servizio o no Mariella Colavito
I
l rapporto di lavoro dirigenzia-
I contratti collettivi dei dirigenti sti-
le di solito è un contratto a
pulati da Manageritalia, in caso di
tempo indeterminato che in
licenziamento non sorretto da giu-
qualsiasi momento può essere ri-
sta causa – e quindi non determi-
solto da una delle due parti, dato-
nato da dolo o colpa grave del di-
re di lavoro o dirigente, nel rispet-
rigente nei confronti dell’imprendi-
to di regole disposte dal contratto
tore – prevedono due istituti a tute-
collettivo nazionale di lavoro e che
la del dirigente licenziato: il primo
trovano il loro fondamento giuridi-
è un congruo preavviso, rigorosa-
co negli artt. 2118 e seguenti del
mente disciplinato, che ora esami-
codice civile.
neremo, l’altro è un risarcimento
La risoluzione del rapporto da par-
economico, supplementare al pre-
te del datore di lavoro è il licenzia-
avviso e a tutte le altre spettanze
mento, liberamente consentito
di fine rapporto, disposto da un col-
dalla legge nei confronti del per-
legio arbitrale nel caso in cui il li-
agenzie marittime consente al dato-
sonale dirigente, purché sia rispet-
cenziamento, anche se lecito, sia
re di lavoro di omettere la motivazio-
tato l’obbligo del preavviso e pur-
privo di giustificatezza.
ne che, comunque, dovrà essere fornita per iscritto entro 30 giorni se ri-
ché non sia arbitrario, discrimina-
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torio o ritorsivo.
Il preavviso
chiesta dall’interessato.
La legge non pone limiti alla liber-
Innanzitutto il licenziamento deve
Il periodo di preavviso2 varia da un
tà datoriale di risolvere il rapporto
essere comunicato per iscritto1 e non
minimo di 6 mesi a un massimo di
di lavoro di un dirigente per il pe-
produce alcun effetto fino a che l’in-
12, a seconda dell’anzianità di ser-
culiare rapporto fiduciario che lo
teressato non lo abbia ricevuto. Per
vizio prestato nell’azienda (e non
lega all’imprenditore, assai più in-
questo di solito il datore di lavoro
della sola anzianità nella qualifica
tenso e personale di quello del-
spedisce la lettera di licenziamento
dirigenziale, se la dirigenza è stata
l’operaio o dell’impiegato.
per raccomandata postale oppure
conseguita nel corso del rapporto di
A questa libertà di recesso impren-
consegnandola personalmente al
lavoro).
ditoriale pone un freno la contratta-
dirigente e facendosene firmare una
Tale periodo decorre dal primo gior-
zione collettiva dei dirigenti, data la
copia per ricevuta.
no del mese successivo alla data di
gravità di tale provvedimento, che
Tutti i contratti collettivi Managerita-
ricevimento della comunicazione
priva l’interessato del principale
lia dispongono che la lettera di licen-
scritta di recesso. Pertanto, se il diri-
mezzo di sostentamento suo e della
ziamento deve indicare la motiva-
gente riceve, per esempio, la comu-
sua famiglia, causando una situa-
zione del recesso.
nicazione datoriale il 1° dicembre, il
zione di obiettiva difficoltà.
Solo il contratto dei dirigenti delle
mese di dicembre dovrà essere con-
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tà per le fe-
prosegue alle stesse condizioni pre-
rie
matu-
cedenti il licenziamento sino alla
nel
scadenza del termine di preavviso.
rande
periodo di pre-
Il dirigente, durante il periodo di pre-
avviso, la quota
avviso lavorato, non può essere de-
di tfr del periodo di
qualificato e può godere delle ferie
preavviso e gli even-
solo se è lui stesso a farne richiesta
tuali aumenti retributi-
scritta. In caso di malattia o infortu-
vi che dovessero interve-
nio, il periodo di preavviso rimarrà
nire nel periodo, per legge
sospeso per la durata delle assenze
o per contratto (ad esem-
e sarà disciplinato dalla norma con-
pio un aumento retributivo
trattuale, che tratta della malattia e
disposto da un rinnovo con-
dell’infortunio.
trattuale). Se il dirigente è
In caso di rinuncia del dirigente a ef-
siderato di normale servizio e il pre-
retribuito anche con elementi varia-
fettuare, in tutto o in parte, il preav-
avviso avrà decorrenza dal succes-
bili, per questi ultimi si dovrà utilizza-
viso di licenziamento, il rapporto di
sivo 1° gennaio.
re la media dei 36 mesi precedenti
lavoro si risolverà alla data anterio-
la decorrenza del preavviso inden-
re scelta dal dirigente e non ci sarà
Indennità sostitutiva
nizzato (o dell’eventuale minore pe-
indennizzo alcuno per il periodo di
Se il datore di lavoro rinuncia alla
riodo di servizio in azienda).
preavviso non lavorato né in favore
prestazione in servizio del periodo
L’indennità sostitutiva del preavvi-
del dirigente né in favore del datore
di preavviso, in tutto o in parte, de-
so è retribuzione a tutti gli effetti e,
di lavoro.
ve corrispondere al dirigente la re-
pertanto, per il periodo di tempo cui
lativa indennità sostitutiva, in uni-
si riferisce, deve essere coperta, a
ca soluzione, unitamente al tfr, di
cura del datore di lavoro, dal ver-
cui per legge segue la stessa impo-
samento di tutti i contributi sociali e
sizione fiscale (tassazione separa-
le coperture assicurative previste
ta), meno onerosa della tassazione
dalla legge e dal contratto colletti-
ordinaria.
vo applicabile.
I nostri contratti equiparano il preavviso indennizzato a quello pre-
In servizio
stato in servizio. Pertanto, il dirigen-
Se il datore di lavoro, invece, chiede
te ha diritto a ricevere i ratei delle
la prestazione del periodo di preav-
mensilità supplementari, l’indenni-
viso in servizio, il rapporto di lavoro
1
Vedi art. 33 ccnl 23 gennaio 2008 dirigenti terziario e successivi rinnovi; art. 31 ccnl 6 aprile 2005 dirigenti trasporti e successivi rinnovi; art. 29 ccnl 18 ottobre 1995 dirigenti alberghi Aica e successivi rinnovi; art. 33 ccnl 24 giugno 2004 dirigenti alberghi Federalberghi e successivi rinnovi; art. 29 ccnl 15 ottobre 1999 dirigenti agenzie marittime e successivi rinnovi; art. 25 ccnl 21 luglio 1995 dirigenti magazzini generali e successivi rinnovi.
2
Vedi art. 36 ccnl 23 gennaio 1995 dirigenti terziario e successivi rinnovi; art. 32 ccnl 6 aprile 2005 dirigenti trasporti e successivi rinnovi; art. 30 ccnl 18 ottobre 1995 dirigenti alberghi Aica e successivi rinnovi; art. 34 ccnl 24 giugno 2004 dirigenti alberghi Federalberghi e successivi rinnovi; art. 30 ccnl 15 ottobre 1999 dirigenti agenzie marittime e successivi rinnovi; art. 27 ccnl 21 luglio 1995 dirigenti magazzini generali e successivi rinnovi.
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Hanno collaborato a questo numero FEDERAZIONE NAZIONALE DEI DIRIGENTI, QUADRI E PROFESSIONAL DEL COMMERCIO, TRASPORTI, TURISMO, SERVIZI, TERZIARIO AVANZATO
MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA DI MANAGERITALIA FEDERAZIONE NAZIONALE DEI DIRIGENTI, QUADRI E PROFESSIONAL DEL COMMERCIO, TRASPORTI, TURISMO, SERVIZI, TERZIARIO AVANZATO
I NOSTRI
BLOG
FEDERAZIONE NAZIONALE DEI DIRIGENTI, QUADRI E PROFESSIONAL DEL COMMERCIO, TRASPORTI, TURISMO, SERVIZI, TERZIARIO AVANZATO
Thomas Bialas, futurologo, è responsabile del progetto Future Management Tools di Cfmt e curatore dell’inserto Dirigibile. (53) Riccardo Carreri è talent development solution director di Lee Hecht Harrison Dbm Italia e Giovanni Pedone è (24) country manager di Lee Hecht Harrison Dbm Italia.
crisiesviluppo.manageritalia.it
Oltre la crisi, per cogliere opportunità e sviluppo
Claudia Corti è laureata in lettere, indirizzo moderno artistico, ed è guida turistica per le province di Milano, Pa(47) via, Monza e Brianza.
CFMT - CENTRO DI FORMAZIONE MANAGEMENT DEL TERZIARIO
ASSOCIAZIONE ANTONIO PASTORE
Editore: Manageritalia Servizi srl
Cosimo Finzi è amministratore delegato di AstraRicer-
Coordinamento: Roberta Roncelli
Marco Lucarelli lavora nella direzione strategy di una multinazionale Tlc dove si occupa di operatori virtuali. Cura anche la rubrica #letturexmanager sul blog crisiesviluppo.mana(49) geritalia.it.
Conversazioni tra uomini e donne sulle pari opportunità
FONDO DI PREVIDENZA MARIO NEGRI
Marco Depolo insegna Psicologia delle organizzazioni (14) all’Università di Bologna (sede di Cesena). che, società leader nelle indagini sociali e negli scenari di (30) mercato.
donne.manageritalia.it
FONDO ASSISTENZA SANITARIA DIRIGENTI AZIENDE COMMERCIALI
Livia Piermattei è managing partner di Methodos, so(26) cietà di consulenza di direzione. Piero Valdiserra
è direttore marketing e relazioni esterne di uno dei maggiori gruppi italiani operanti nel beverage alcolico. È anche sommelier, nonché fondatore e presidente del club enogastronomico bolognese Gaudio (mar(46) keting@rinaldi.biz).
Direttore responsabile: Guido Gay
Redazione: Davide Mura, Enrico Pedretti, Eliana Sambrotta Direzione, redazione, amministrazione: 20129 Milano - via Antonio Stoppani 6 tel. 0229516028 - fax 0229516093 giornale@manageritalia.it www.manageritalia.it
Le opinioni espresse dagli autori impegnano esclusivamente la loro responsabilità Concessionario pubblicità PUBLIMASTER 20146 Milano - via Winckelmann 2 tel. 02424191 - fax 0247710278 direzione@publimaster.it Grafica THE GRAPHIC FORGE snc 20129 Milano - via Antonio Stoppani 4 tel. 0229404920 - www.graphicforge.it Stampa ROTOLITO LOMBARDA spa Via Sondrio, 3 - 20096 Pioltello (Milano) tel. 0292195.1 - www.rotolitolombarda.it
da Manageritalia Mariella Colavito, ufficio sindacale Manageritalia (64)
Milano.
pensioni.manageritalia.it
Per i pensionati di oggi e di domani
Daniela Fiorino, ufficio sindacale Federazione. (50)
Registrazione Tribunale di Milano n. 142, del 24 aprile 1974 Associato all’USPI Unione stampa periodica italiana Accertamenti diffusione stampa La diffusione di ottobre è di 35.386 copie
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