Medicina di Famiglia N° 3 ott. 2012

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Formazione sul campo Una opportunità di apprendimento da non sottovalutare per migliorare la pratica clinica

Giovanni B. D’Errico Coordinatore Seminari Interdisciplinari Corso di Formazione Specifica Foggia

Una modalità formativa fondamentale che consente di realizzare un miglioramento nei processi di cure e assistenza. Si propone di utilizzare come ambito formativo i problemi concreti e reali dell’ attività professionale. La formazione sul campo facilita lo sviluppo di conoscenze, competenze e mira al miglioramento della qualità. Da circa 10 anni novecentomila Professionisti della Salute registrano crediti formativi acquisiti mediante la partecipazione ad attività ed eventi di formazione nell’ambito del progetto Educazione Continua in Medicina (ECM). Tra le varie attività formative ritenute valide per il miglioramento continuo dei professionisti della salute, la Formazione sul Campo ( FSC) è certamente una delle più interessanti e utile per acquisire conoscenze e competenze specifiche. La Formazione sul campo (FSC) non è un metodo per sostituire la formazione tradizionale, ma bensì per integrarla e cercare nuove strade. Si basa su attività di confronto, riflessione, supervisione e ricerca, a partire dalla propria pratica professionale e dai problemi posti nello specifico contesto di lavoro. La formazione sul campo è considerata di grande valore formativo per la sua capacità di modificare i comportamenti di pratica professionale (Davis et al). La FSC rappresenta una metodologia didattica per l’apprendimento degli adulti in quanto trova piena corrispondenza nei criteri che dovrebbero essere rispettati per accrescere la motivazione ad apprendere degli adulti (Knowles 1997). Gli adulti infatti si impegnano se l’attività formativa viene percepita come rilevante per il proprio lavoro vi è una concretezza dei problemi trattati e se vi è una responsabilizzazione diretta nelle attività formative. E’ una modalità didattica innovativa che nasce dall’idea che la crescita professionale avvenga, non solo con attività didattiche in aula, ma anche mentre si svolge il proprio lavoro. Per quanto il lavoro sia organizzato attraverso pratiche di routine più o meno scientificamente giustificate o fondate, risulta improbabile che non sia comunque in atto una

qualche forma di osservazione, di confronto, di valutazione, di scambio e di ricerca che, interrogando l’esperienza, porti a ripensare il lavoro e le proprie competenze. E’ questo uno degli obiettivi di questa modalità didattica: interrogare e farsi interrogare dall’esperienza. La formazione sul campo si caratterizza per l’analisi ed il continuo confronto delle situazioni lavorative affrontate; il continuo interrogarsi su quello che si fa e come si fa induce a una riflessione con una valenza formativa. Nell’ambito della medicina di famiglia diverse sono le possibilità offerte da questa interessante attività didattica formativa: adesione a gruppi di ricerca in medicina generale; partecipazione a progetti di audit clinico in gruppi di lavoro finalizzati al miglioramento della qualità dell’assistenza o delle procedure sanitarie o di valutazione dell’appropriatezza delle prestazioni o dei risultati delle stesse; partecipazione a gruppi di lavoro, commissioni, comitati; impegno in attività di tutorship; discussione di casi clinici reperiti dalla propria pratica clinica; partecipazione a gruppi di miglioramento, attività di addestramento e aggiornamenti monotematici. Tali attività si caratterizzano per la loro induzione alla riflessione critica sulla pratica clinica, per il miglioramento delle competenze gestuali e relazionali e, al tempo stesso, per essere in grado di stimolare percorsi di miglioramento dell’organizzazione e di promozione del lavoro di gruppo. Si spera che tali modalità didattiche siano favorite e adottate dalle struttura dedicate alla formazione allo scopo di migliorare i percorsi di cure e mantenere alto il livello di competenze dei professionisti della salute.


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WORLD Pillole dal Mondo

MALATTIA renale cronica di Filippo Aucella

disturbi da attacchi Di panico - dap di Angela Pia Spagnuolo

indagine conoscitiva sulla menopausa di Leonida Iannantuoni

la comunicazione del rischio di Giovanni B. D’Errico

pillole di pratica clinica a cura della redazione


Medicina di Famiglia Medicina e Salute tra Scienza e SocietĂ

02

Caso clinico – Disturbo bipolare di Loiero Ubaldo

i benefici della frutta di Antonietta Buo

Decreto Balduzzi – Cure primarie H 24 a cura della redazione

028 030 032

Congresso Wonca Europa Vienna Presentazione Poster

035

Eventi, congressi, corsi

037

Manuale sulle cure palliative a cura della redazione

043



Medicina di Famiglia Medicina e Salute tra Scienza e Società

Registrazione Tribunale di Foggia n. 185 del 03/09/2006­ Direttore Responsabile Roberto Zarriello Vicedirettore Roberto Bonin

Direttore Editoriale Giovanni B. D’Errico Direttore Scientifico Vincenzo Contursi Comitato Scientifico Dott. V. Contursi Prof. A. Bellomo Prof. L. Specchio Prof. A. Tricarico Dott. G. B. D’Errico Dott. C. Niro Dott. N. Costa Dott. A. Infantino Dott. S. Pesola Dott. F. Palma Prof. G. De Pergola Prof. M.M. Ciccone Prof. E. Maiorano Dott. B. Giordano Dott. A. Pugliese Dott. S. De Simone

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8 La verifica delle competenze: una necessità per i medici Inglesi. Si prevede una valutazione ogni 5 anni per verificare competenze Medici britannici ‘sotto esame’ ogni cinque anni per verificare che la loro competenza resti intatta. Lo annuncia il General Medical Council (Gmc), che ha una serie di nuovi piani per la ‘convalida’ delle capacità dei ‘camici bianchi’: saranno valutati ogni anno, e ogni cinque anni con colloqui più approfonditi. In base ai nuovi requisiti, i medici saranno tenuti a dimostrare di rispettare gli standard clinici e di tenere il passo con gli sviluppi nei loro campi. Farà parte della valutazione annuale anche il feedback dei pazienti e dei colleghi. La ‘riconvalida’ delle conoscenze del medico è la strada da percorrere - ha detto Niall Dickson, chief executive del Gmc - e, se le nuove regole saranno approvate, a partire dalla fine di quest’anno inizieremo a comunicare a ogni medico la data in cui lui o lei dovranno sottoporsi all’esame”. (Adnkronos Salute)

PILLOLE DAL MONDO in collaborazione con www.gosalute.it

Implicazioni prognostiche da mancato decremento della pressione arteriosa (PA) durante le notte

Diabete tipo 2 in giovani più aggressivo che negli adulti I giovanissimi con diabete di tipo 2 hanno, rispetto agli adulti, una patologia con progressione molto più rapida, un tasso maggiore di complicanze e una necessità precoce di terapia di combinazione o insulinica. Lo rivela lo studio Today, i cui risultati sono stati esposti al 72° Congresso dell’American Diabetes Association (Ada), a Filadelfia. «Ora si ha la fotografia precisa di una malattia che fino a 20 anni fa quasi non esisteva» affermaCarlo Bruno Giorda, presidente nazionale dell’Associazione medici diabetologi (Amd). «Il fenomeno ha iniziato a manifestarsi in Usa a causa del maggiore impatto esercitato dall’obesità. Si sono avuti poi anche da noi casi sempre più frequenti di adolescenti con insulinoresistenza, ipertensione e dislipidemia. Finora però non era noto il decorso della malattia, che si riteneva fosse più blando: invece è in grado di dare un notevole danno d’organo renale e retinico già a 20 anni». Nello studio sono stati inclusi 699 ragazzi (età: 10-17 anni) trattati con metformina (1.000 mg bis/die) per conseguire un livello di HbA1c inferiore a 8%. In seguito, i partecipanti sono stati randomizzati a proseguire la terapia con la sola metformina, oppure a passare a metformina combinata con rosiglitazone (4 mg bis/die) o a un programma di interventi sugli stili di vita mirato a perdere peso. Circa il 50% dei ragazzi ha risposto bene alla metformina. Inoltre la combinazione di metformina e rosiglitazone ha ridotto del 25% la necessità di passare alla terapia insulinica. L’Fda e l’Ema, però, escludono l’uso di rosiglitazone per motivi di sicurezza. «Si potrebbe comunque prescrivere il pioglitazone, ipotizzando un effetto di classe» . «Dunque, i risultati migliori sono offerti dalla metformina, la molecola in assoluto più efficace nel rallentare la progressione della malattia, e dai glitazoni, tutti farmaci attivi sull’insulinoresistenza». Scarsa invece l’efficacia degli interventi sugli stili di vita che «spesso è difficile verificare quanto siano realmente seguiti». N Engl J Med, 2012; 366(24):2247-56

Sappiamo che un mancato decremento della pressione arteriosa (PA) durante le notte correla con una peggiore prognosi, che migliora progressivamente dallo stato di reverse dipper (in cui il ritmo nictemerale è invertito) allo stato di extreme dipper, in cui il calo è, appunto, molto elevato . Inoltre un ridotto calo della PA durante la notte è associato con una impennata (surge) della pressione al mattino. Ebbene, in questo tipo di soggetti una ridotta impennata della pressione al mattino si è dimostrata essere un predittore indipendente di eventi cardiovascolari, mentre un forte aumento si è dimostrato in qualche modo protettivo. A queste conclusioni è giunto Verdecchia, che ha studiato la relazione tra la caduta della pressione notturna e l’impennata della pressione al primo mattino in una coorte di 3.012 soggetti nell’ambito dello progetto PIUMA (Progetto Ipertensione Umbria Monitoraggio Ambulatoriale, registro prospettico osservazionale di morbilità e mortalità in soggetti ipertesi inizialmente non trattati). Ad un follow-up di 8.44 anni, 268 soggetti hanno sviluppato eventi cardiovascolari maggiori (morte cardiovascolare, IM non fatale, stroke, ospedalizzazione per scompenso cardiaco) e 220 sono deceduti. In un modello di Cox aggiustato per età, sesso, diabete mellito, fumo, colesterolo totale, IVS all’ECG, eGFR, media della PA sistolica delle 24 h) si è visto che sia una riduzione del calo notturno < 19 mmHg (quartile 1), sia una riduzione dell’impennata al pre-risveglio < 9.5 mmHg (quartile 1) erano associate ad un eccesso di rischio di eventi. Verdecchia P et al. Hypertension 2012; 60: 34-42 doi:10.1161/HYPERTENSIONAHA.112.191858


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9 Statine utili anche con rischio cardiovascolare basso Secondo le attuali linee guida, gli individui a basso rischio di eventi vascolari maggiori non dovrebbero effettuare terapia con statine. Una metanalisi effettuata dai Cholesterol treatment trialists’ Ctt Collaborators, gruppo internazionale coordinato da Oxford, indica che anche in questi pazienti il vantaggio è molto superiore ai rischi, e si propone che le raccomandazioni vigenti siano sottoposte a revisione. La metanalisi ha preso in considerazione i dati di individui coinvolti in 22 trial su statine rispetto a controlli e 5 o più trial rispetto a un dosaggio minore di statina. I soggetti (n=174.149) sono stati classificati in 5 classi di rischio di eventi vascolari maggiori a 5 anni al basale e si è valutato in ognuno il rapporto tra tassi (Rr) per riduzione di 1.0 mmol/ di colesterolo Ldl. La riduzione del colesterolo Ldl mediante una statina ha determinato una diminuzione del rischio di eventi vascolari maggiori (Rr: 0,79) ampiamente indipendente dal’età dal genere, dai valori basali di Ldl, dalla presenza di una precedente vasculopatia, e dalla mortalità vascolare e generale. La riduzione proporzionale degli eventi vascolari maggiori è stata quantitativamente almeno pari tra le due categorie a basso rischio rispetto quelle ad alto rischio: un dato che riflette significative riduzioni di eventi nelle categorie a rischio inferiore. Quanto all’ictus, la riduzione di rischio tra i partecipanti con un rischio di eventi vascolari maggiori a 5 anni inferiore al 10% è apparso simile a quello rilevato nelle categorie ad alto rischio (Rr: 0,76). Anche nei soggetti senza storia di malattia vascolare, le statine hanno diminuito il rischio di mortalità vascolare e generale. Inoltre non si sono avute evidenze che la riduzione della colesterolemia Ldl con una statina abbia aumentato l’incidenza di cancro, la mortalità per tumori o la mortalità per altre cause non vascolari. In soggetti con un rischio di eventi vascolari maggiori a 5 anni inferiore del 10% - sottolineano in conclusione gli autori - ogni riduzione di 1 mmol/L di colesterolo Ldl produce un’assoluta riduzione di eventi vascolari maggiori, pari a circa 11 casi su 1.000 soggetti in 5 anni. (Lancet, 2012 May 16. - Epub ahead of print])

Basso livello di vitamina D aumenta rischio morte anziani Negli anziani un basso livello di vitamina D puo’ aumentare la mortalita’. Lo afferma uno studio pubblicato dal Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism, secondo cui il problema e’ ancora maggiore nelle persone di colore, in cui l’insufficienza della vitamina e’ molto comune. Lo studio della Wake Forest University ha analizzato il sangue di 2638 persone tra i 70 e i 79 anni dopo 12 ore di digiuno, determinando il livello della vitamina. Ogni sei mesi i partecipanti sono stati contattati per l’accertamento delle loro condizioni di salute. I ricercatori hanno trovato che livelli piu’ bassi di 30 millesimi di milligrammo per litro di sangue sono legati ad un aumento della mortalita’ che puo’ arrivare anche al 50 per cento: “Tutti sappiamo che una buona nutrizione e’ importante - scrivono gli autori - ma lo studio mette in luce l’importanza della vitamina D e la diffusione della sua carenza. (AGI) New York, 3 ott. 2012 (Lancet, 2012 May 16. - Epub ahead of print])

Calo notturno della pressione, aumento della pressione nel primo mattino: implicazioni prognostiche Sappiamo che un mancato decremento della pressione arteriosa (PA) durante le notte correla con una peggiore prognosi, che migliora progressivamente dallo stato di reverse dipper (in cui il ritmo nictemerale è invertito) allo stato di extreme dipper, in cui il calo è, appunto, molto elevato (fig 3). Inoltre un ridotto calo della PA durante la notte è associato con una impennata (surge) della pressione al mattino. Ebbene, in questo tipo di soggetti una ridotta impennata della pressione al mattino si è dimostrata essere un predittore indipendente di eventi cardiovascolari, mentre un forte aumento si è dimostrato in qualche modo protettivo. A queste conclusioni è giunto Verdecchia, che ha studiato la relazione tra la caduta della pressione notturna e l’impennata della pressione al primo mattino in una coorte di 3.012 soggetti nell’ambito dello progetto PIUMA (Progetto Ipertensione Umbria Monitoraggio Ambulatoriale, registro prospettico osservazionale di morbilità e mortalità in soggetti ipertesi inizialmente non trattati). Ad un follow-up di 8.44 anni, 268 soggetti hanno sviluppato eventi cardiovascolari maggiori (morte cardiovascolare, IM non fatale, stroke, ospedalizzazione per scompenso cardiaco) e 220 sono deceduti. In un modello di Cox aggiustato per età, sesso, diabete mellito, fumo, colesterolo totale, IVS all’ECG, eGFR, media della PA sistolica delle 24 h) si è visto che sia una riduzione del calo notturno < 19 mmHg (quartile 1), sia una riduzione dell’impennata al prerisveglio < 9.5 mmHg (quartile 1) erano associate ad un eccesso di rischio di eventi. Verdecchia P et al.Hypertension 2012; 60: 34-42

Tac a basse dosi e potenzialità di screening del ca polmonare Lo screening mediante Tac a basse dosi (Ldct) può portare benefici ai soggetti a elevato rischio di cancro polmonare, ma persistono dubbi circa i potenziali rischi derivanti dalla metodica e la generalizzabilità dei risultati. È la conclusione di una revisione sistematica effettuata collegialmente da importanti società scientifiche americane (tra cui l’American cancer society, l’American college of chest physician e l’American society of clinical oncology) che, da un’iniziale serie di 591 citazioni, hanno selezionato 8 trial randomizzati e 13 studi di coorte sullo screening con Ldct. Gli outcome primari selezionati sono stati la mortalità per cancro polmonare e quella generale; gli outcome secondari: il riconoscimento di un nodulo, le procedure invasive, i test di follow-up e la cessazione dell’abitudine al fumo. Tre studi randomizzati hanno fornito prove dell’impatto dello screening con Ldct sulla mortalità da cancro polmonare; tra questi il più informativo è stato il National lung screening trial, che ha dimostrato come tra 53.454 partecipanti, l’esame è risultato in un numero significativamente minore di decessi (274 vs 309 eventi per 100.000 persone-anno nei gruppi Ldct e controllo, rispettivamente; rischio relativo: 0,80). Altri 2 studi più piccoli non hanno evidenziato benefici analoghi. Per quanto riguarda i potenziali rischi, in tutti i trial e gli studi di coorte approssimativamente il 20% dei soggetti a ogni turno di esami risultava positivo, e ciò richiedeva un qualche grado di verifica, con solo circa l’1% dei casi che si rivelava poi essere un cancro polmonare. Si è comunque avuta una forte eterogeneità in questi reperti e nella frequenza degli approfondimenti, delle biopsie e della percentuale di procedure chirurgiche effettuate in pazienti con lesioni benigne. Jama, 2012 May 20 -Epub ahead of print])


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Epidemiologia della malattia renale cronica Filippo Aucella Direttore della S.C. di Nefrologia e Dialisi Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” IRCCS, San Giovanni Rotondo. Matteo Piemontese S.C. di Nefrologia e Dialisi, Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” IRCCS, San Giovanni Rotondo.

La malattia renale cronica poco conosciuta e poco indagata rimane una importante causa di sulla morbilità e mortalità cardiovascolare. Gran parte delle malattie renali si possono comportare come “killer silenziosi”, operano indisturbate senza sintomi per anni e, quando i loro effetti si rivelano, può essere tardi per correre ai ripari. L’attenzione nei loro confronti è dettata dall’esigenza di prevenire la malattia Renale Cronica (MRC) e di ridurre il rischio cardiovascolare, che aumenta sensibilmente già in presenza di un’insufficienza renale lieve. Non possiamo dunque pensare che i nostri reni siano indistruttibili, o peggio che non meritino alcuna considerazione. La realtà osservata si contraddistingue dal fatto che la patologia renale, non solo nelle prime fasi, rimane clinicamente silente ed ha un andamento progressivo nel tempo ma la MRC è il risultato di numerose patologie estremamente frequenti ed è, al tempo stesso, il punto di partenza di numerose patologie multi organo che in un fisiopatologico circolo vizioso amplificano il danno renale e sistemico minando l’aspettativa e la qualità di vita del malato. La MRC è ormai emersa come un problema di salute pubblica di prima grandezza. Istituzioni internazionali come il “Center for Disease Control and Prevention” identificano la MRC come una delle grandi priorità (1) dell’era della transizione epidemiologica. In Gran Bretagna sono stati varati articolati piani per individuare i soggetti con disfunzione renale o con gradi minori d’insufficienza renale (2,3). È stimabile che nella popolazione adulta circa 1 individuo ogni 10 abbia un grado d’insufficienza renale moderata, cioè una funzione renale (espressa come Filtrato Glomerulare) dimezzata o più

che dimezzata rispetto alla norma (4-9). In Italia il problema è virtualmente sconosciuto dalla popolazione, ancora poco conosciuto e largamente sottovalutato dai medici e ignorato dagli organi di governo della salute pubblica regionali e/o nazionali. E’ quindi impellente la necessità di creare le basi conoscitive e a delineare assetti organizzativi funzionali alla prevenzione delle nefropatie (prevenzione primaria), a rallentare la loro evoluzione (prevenzione secondaria) ed a prevenire le devastanti complicazioni cardiovascolari innescate dall’insufficienza renale (prevenzione terziaria). Il risultato finale cui si mira è la riduzione di morbilità e mortalità per malattie renali e il miglioramento della qualità delle cure prestate ai pazienti con malattie renali. Epidemiologia La reale prevalenza della Malattia Renale Cronica (MRC, cioè un FG ≤60 ml/min x 1,73 m2 e evidenza di danno renale) è rimasta a lungo un problema poco indagato e poco conosciuto. Negli ultimi anni, la dimostrazione del suo importante effetto sulla morbilità e mortalità cardiovascolare ha catalizzato sforzi convergenti di ricercatori clinici di varie aeree specialistiche: nefrologia, cardiologia e diabetologia. Nel 2004 una cooperazione internazionale promossa dalla American Kidney Foundation ha varato l’iniziativa KDIGO (Kidney Disease Improving Global Outcomes) con il preciso scopo di fare una ricognizione del problema su scala


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12 internazionale e di risolvere problemi attinenti la definizione dell’insufficienza renale proponendo una classificazione unica, semplice e applicabile su scala mondiale. Gli esperti che hanno aderito all’iniziativa hanno prodotto una classificazione delle malattie renali basata su esami semplici e poco costosi [Filtrato glomerulare calcolato in base alla creatinina plasmatica, esame delle urine, ecografia, alcuni esami del sangue] che è stata accettata dalle maggiori società scientifiche nazionali che si occupano di malattie renali. Questa classificazione ha il pregio fondamentale di consentire rilevazioni epidemiologiche coerenti in varie realtà sanitarie permettendo di studiare su vasta scala le dimensioni del fenomeno e le sue dinamiche. Il documento più recente della KDIGO è fondamentalmente propositivo per interventi pratici mirati (10). QUAL È LA PREVALENZA DELLA MRC ? Negli USA, la Malattia Renale Cronica (Chronic Kidney Disease, CKD) è ormai riconosciuta come una reale emergenza sanitaria (CDC, Weekly Morbility and Mortality Report, March 2nd 2007). Circa il 13 % della popolazione generale negli USA ha evidenza di danno renale o di insufficienza renale e circa il 6% ha un filtrato glomerulare (Glomerular filtration rate, GFR) inferiore a 60 ml/min, che rappresenta il valore soglia per la definizione di CKD (11) (in Tabella è riportata la stadiazione della CKD). Tabella è riportata la stadiazione della CKD). Tabella 1. Stadi della CKD secondo Linee Giuida USA K/DOQI STADIO

descrizione

I

GFR > 90 + albuminuria > 30mg/24 ore

II

GFR 89-60 + albuminuria > 30mg/24 ore

III

GFR 59-30

IV

GFR 29-15

V

GFR < 15

GFR: filtrato glomerulare stimato con eq. MDRD (mL/min/1.73m2)

La prevalenza aumenta sino al 15-30% negli anziani e supera il 50% nei soggetti affetti da malattie circolatorie e metaboliche. E’ atteso, inoltre, un raddoppio nei prossimi anni dei pazienti nefropatici secondario alla crescente incidenza di ipertensione, diabete mellito di tipo 2 e sindrome metabolica (12). Una analoga prevalenza di CKD è stata stimata in diversi paesi del Nord Europa, quali l’Olanda, la Gran Bretagna, il Belgio e la Norvegia (13-16). Nella tabella sottostante sono riportate le stime di prevalenze di CKD nella popolazione generale in diverse aree geografiche. In Europa disponiamo dei dati della città olandese di Groningen che indicano una prevalenza di malattie renale del 12% con il 6% dei pazienti con funzione renale inferiore al 50% della norma (16). Dati analoghi sono stati riportati in uno screening di popolazione nel Nord della Spagna (12), in Irlanda e in Inghilterra (12,13,17). In Italia, come nel resto della Europa del Sud, sono tuttora assenti dati su scala nazionale di prevalenza e prognosi nei pazienti nefropatici in fase non-dialitica. Tali informazioni sono invece essenziali. Il rapporto ISTAT del 02/03/ 2007 (Condizioni di salute, fattori di rischio e ricorso ai servizi sanitari. 2005) addirittura non cita in alcun passaggio questo rilevante problema sanitario.

Le informazioni raccolte nella popolazione Nord-Americana e Nord-Europea, infatti, potrebbero non essere applicabili alla realtà italiana in quanto la mortalità annua dei dializzati in Italia è di circa il 10%, ossia la metà di quanto riportato dall’analogo registro USA. Inoltre, analoghe differenze sono state osservate nel confronto sulla mortalità sia della popolazione generale che nella popolazione di uremici in dialisi tra Nord e Sud Europa (18-20). La popolazione dei nefropatici verosimilmente differisce tra USA, Nord Europa e Italia per numerosi aspetti, sia di natura etnica che di stili di vita, abitudini alimentari, e, infine, per i differenti atteggiamenti prescrittivi che sono espressione della politica sanitaria propria di ciascun paese. E’ noto, infatti, che i paesi dell’area Mediterranea rappresentano una specificità non assimilabile ad altri contesti. Tabella 2. Stima della prevalenza di CKD nella popolazione generale Studio

Paese

Campione

Periodo

Prevalenza, %

NANHES’94

USA

15.488

1988-1994

11.0 (CKD 1-5)

HUNT

NORVEGIA

65.181

1995-1997

10.2 (CKD 1-4)

PREVEND

OLANDA

8.459

1997

11.6 (CKD 1-5)

AUSDIAB

AUSTRALIA

11.247

2002

11.2 (CKD 3-5)

TW3H

TAIWAN

6.001

2002

6.9 (CKD 3-5)

NANHES’04

USA

13.233

1999-2004

13.1 (CKD 1-4)

SIN-HS

ITALIA

77.630

2003

9.3 (CKD 3-5)

Nel nostro paese sono disponibili solo poche informazioni parziali ottenute su campioni di piccole dimensioni e in singole realtà non rappresentative della popolazione generale italiana (21-23). A ciò si deve aggiungere la scarsa consapevolezza del problema da parte della Medicina Generale. Un recente studio della Società Italiana di Nefrologia (SIN), condotto in collaborazione con la Società Italiana di Medicina Generale (24), ha evidenziato che i Medici di Medicina Generale (MMG) Italiani richiedono il dosaggio della creatininemia (essenziale per la stima della funzione renale) in solo il 17% degli assistiti; di tali soggetti il 16% circa risulta affetto da CKD franca (filtrato glomerulare <60 mL/min) ma solo 1 paziente su 8 è correttamente identificato e riconosciuto dal MMG come paziente nefropatico. Ciò comporta un inaccettabile ritardo nel loro invio allo specialista Nefrologo, compromettendo, quindi, la possibilità di realizzare un’efficace azione di prevenzione. In base ai dati di questo studio (24), in Italia una consulenza nefrologica è richiesta dal MMG solo nel 5% dei pazienti con CKD franca in fase conservativa (GFR 60-30); sorprendentemente, il riferimento nefrologico non supera neanche il 50% dei casi di malattia in fase pre-dialitica (GFR 30-15). Risulta quindi essenziale l’identificazione di una strategia di screening per CKD con ottimale rapporto costo-efficacia da implementare negli ambulatori di MMG italiani come già suggerito in altri paesi Europei. L’importanza di questo argomento è accresciuto dai risultati dello studio osservazionale trasversale del nostro gruppo di ricerca (TArget Blood Pressure LEvels in patients with Chronic Kidney Disease, TABLE-CKD) al quale hanno


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partecipato oltre 1200 pazienti di 26 Centri di Nefrologia del territorio nazionale (25-26). Questo studio multicentrico italiano ha evidenziato che una elevata percentuale di pazienti con CKD in fase non-dialitica non raggiunge i goals terapeutici per la prevenzione del rischio CV, suggeriti dalle Linee Guida nazionali ed internazionali. Ciò era dovuto, almeno in parte, ad una “inerzia terapeutica”, ossia l’assenza di modifiche di terapia nonostante il mancato raggiungimento dei goals terapeutici. Il fenomeno del sotto-trattamento della CKD è amplificato nei pazienti seguiti esclusivamente da MMG e specialisti non-nefrologi (23). D’altra parte, un adeguato follow-up nefrologico è efficace nel migliorare la sopravvivenza, come evidenziato in due recenti studi americani che dimostravano che il riferimento ad un nefrologo modifica drasticamente la storia naturale della malattia renale riducendo drammaticamente il rischio di morte fin dalle fasi più precoci della malattia (27). Analogamente, il precoce riferimento nefrologico permette di rallentare la progressione della CKD verso la fase dialitica (28). ELEVATO RISCHIO CARDIOVASCOLARE IN CKD Le dimensioni “epidemiche” della CKD non rappresentano l’unico dato allarmante. Studi epidemiologici effettuati in coorti di popolazione generale di USA e Nord Europa (13), infatti, hanno dimostrato che nei pazienti con CKD in fase non dialitica, la mortalità, prevalentemente da cause cardiovascolari (CV), aumenta in maniera esponenziale fino a sei volte con il ridursi del GFR rispetto ai soggetti con funzione renale normale. L’elevato rischio CV in tali pazienti comporta che l’incidenza di morte sia da 2 a 50 volte maggiore dell’incidenza di insufficienza renale cronica in fase sostitutiva (ESRD). In realtà, un recente studio prospettico, condotto in una coorte di popolazione generale Norvegese, ha evidenziato che l’aggiunta non solo dei valori di GFR ma anche di albuminuria al tradizionale modello prognostico per il rischio CV comporta la riclassificazione del 6.6% dell’intera popolazione e, in particolare, del 39% dei soggetti considerati a rischio intermedio, definito da una mortalità CV 5-10/1000 persone/anno (14). La rilevanza del ruolo indipendente e additivo dei valori di GFR e albuminuria nel predire gli eventi CV in campioni di popolazione generale è stata confermata dal PREVEND in Olanda (15), e FRAMINGHAM OFFSPRING e NHANES III in USA (16,17). Il più elevato rischio CV del paziente nefropatico rispetto alla popolazione generale è stato attribuito ad una maggiore prevalenza dei principali fattori di rischio tradizionali (ipertensione, dislipidemia, obesità) nonché alla presenza di fattori specifici della malattia renale (albuminuria, anemia, iperparatiroidismo secondario, fosforemia) (7). Pertanto, l’intervento terapeutico effettuato, nelle fasi precoci della CKD, sui fattori modificabili del rischio CV può verosimilmente migliorare la prognosi globale, ossia cardio-renale, del paziente nefropatico, diminuendo sia il rischio CV che ritardando l’ingresso in dialisi, e quindi, l’elevata mortalità, le gravi complicanze CV e non, nonché i costi esorbitanti che caratterizzano la terapia dialitica. COSTI SOCIALI Il Dr.Alessandro Ridolfi ( Responsabile degli Studi Economici dell’Osservatorio di Sanita’ e Salute ) ha svolto una approfondita analisi sull’impatto dei costi derivanti dall’aumentare

di tali patologie, presentata al Senato della Repubblica in un convegno del 2009 (“La malattia renale cronica e l’importanza della prevenzione” ) e sostiene quanto segue: Oltre tre milioni sono, oggi in Italia, i soggetti a rischio di Insufficienza Renale Cronica(IRC). I dializzati, saranno circa 52.000 nel 2010, con un trend in costante aumento di circa 9.000 casi l’anno. I costi socio-assistenziali di tale patologia, anch’essi in continua crescita, vanno dagli attuali 2,5 miliardi di euro nel 2009 a più di 3,6 miliardi di euro nel 2019, fino a circa 7,6 miliardi di euro nel 2039.“La identificazione precoce dei pazienti con malattie renali croniche e la pronta presa in carico da parte del Nefrologo, associate ad una appropriata terapia farmacologica e a corretti regimi alimentari,assicurano non solo, ed è la cosa fondamentale, migliore qualità della vita dell’individuo, ma anche enormi benefici dal punto di vista dei futuri costi cui dovrà farsi carico il sistema Paese. Solo ritardare di cinque anni ,il passaggio della metà dei pazienti che dallo stadio 4, arrivano ogni anno allo stadio 5 dell’IRC , cioè di dialisi vera e propria, comporterebbe un risparmio per le casse pubbliche di circa 1 miliardo e cento milioni di euro/anno. Altri 1,4 miliardi di euro si risparmierebbero se si intervenisse in modo tempestivo, solo sul 10% dei pazienti nella fase 3 della malattia, la più numerosa, con circa 1 milione e centotrentamila soggetti a rischio: se con l’azione di prevenzione e di presa in carico del paziente da parte del nefrologo, si riuscisse a ritardare di 5 anni la progressione per il 10 % dei soggetti dallo stadio 3 allo stadio 4, si potrebbe ottenere un risparmio pari a: € 1.400.000.000. Da non sottovalutare ,la perdita di giornate di lavoro imputabili alla IRC , che è di circa 990.000 giornate/anno, mentre il ricorso al caregiver e a personale di assistenza (badanti), che rappresentano i costi sociali (indiretti) sono stimati intorno a: 338 milioni di € per l’anno 2009. LA REGIONE PUGLIA E LA PROVINCIA DI FOGGIA Per quanto riguarda la Regione Puglia e’stato evidenziato, sia dal Piano della Salute che dai Piani Attuativi locali, il bisogno di aumentare la rete dialitica regionale, diminuire i ricoveri, spostando sempre di più il paziente dall’ospedale verso il territorio e fare prevenzione soprattutto nell’ambito delle malattie croniche E’ importante ricordare, ancora, qualche dato dell’Osservatorio Sanita’e Salute : ricorrono nella Regione Puglia al ricovero ospedaliero (Malattie Renali MDC11) circa 40.135 pazienti residenti mentre, i pazienti ricoverati per l’IRC (DRG 316) sono circa 7962, con un costo complessivo di circa € 23.677.980. La dialisi (emodialisi+peritoneale) ha un valore di spesa di circa 116.815.160(Fonte: SDO 2006) ed aumentera’ ogni anno, se non si agisce, sulla prevenzione e sulla diagnosi precoce, ritardando cosi’, il più possibile, il trattamento sostitutivo, in un’ ottica di risorse sempre più scarse soprattutto nella nostra Regione. E’ necessario quindi, un continuo monitoraggio sulla epidemiologia di questa importante e silenziosa malattia cronica con un impatto sociale da non sottovalutare. La Provincia di Foggia ha il merito di essere stata antesignana nel dotarsi di uno strumento di governo clinico quale il dipartimento interaziendale di nefrologia. Dialisi e trapianto, ormai attivo da più di 10 anni. L’integrazione delle varie strutture nefrologiche è risultata totale, con l’adesione di tutte le strutture pubbliche e dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo. Tale integrazione ha consentito negli anni passati il raggiungimento di importan-


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14 ti risultati, ma qui preme sottolineare soprattutto che nella provincia di Foggia da un lato la completezza dell’offerta assistenziale trova riscontro nell’assenza di attività dialitica di tipo privato, in netto contrasto con la realtà esistente in altre province pugliesi, dall’altro si registra la minore prevalenza di pazienti in dialisi, come si evince dalla tabella sotto riportata. Tabella 3. Prevalenza dei Pazienti in terapia dialitica espressa in n/milioni/abitanti nelle Province della Regione Puglia, anno 2008 PopolazionE RESIDENTE

PAZIENTI HD

PREVALENZA HD

BAT

390’010

308

790

BARI

1’251’072

1’212

969

BRINDISI

402’985

363

901

FOGGIA

640’752

399

623

LECCE

811’230

737

908

TARANTO

580’497

604

1040

REGIONE

4,076’546

3’623

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CONCLUSIONI Da quanto esposto, emerge che la CKD in fase conservativa rappresenta un’area che necessita di attività formativa volta ad ottimizzare la qualità degli interventi da proporre elaborando specifici modelli organizzativi finalizzati a valutare il rapporto costo-efficacia di tali interventi nella pratica clinica. In tale quadro di riferimento, si deve tener conto degli attori differenti dal nefrologo che partecipano in modo rilevante alla continuità assistenziale del paziente nefropatico cronico, in primis il MMG e poi gli altri specialisti quasi inevitabilmente coinvolti come il diabetologo e/o il cardiologo ed infine, non per importanza, il paziente stesso che deve essere al centro della cura. BIBLIOGRAFIA 1.Center for Disease Control and Prevention (USA). Prevalence of Chronic Kidney Disease and Associated Risk Factors - United States, 1999-2004. MMWR 2007;56:161165. (Accessibile sul sito: http://www.cdc.gov/mmwr/preview/mmwrhtml/mm5608a2.htm). 2. Raymond NT, Zehnder D, Smith SC, Stinson JA, Lehnert H, Higgins RM. Elevated relative mortality risk with mildto-moderate chronic kidney disease decreases with age. Nephrol Dial Transplant. 2007 Jul 12; 3. Stevens PE, O’Donoghue DJ, de Lusignan S, Van Vlymen J, Klebe B, Middleton R, Hague N, New J, Farmer CK. Chronic kidney disease management in the United Kingdom: NEOERICA project results. Kidney Int. 2007;72:9299. 4. Coresh J, Byrd-Holt D, Astor BC et al.: Chronic kidney disease awareness, prevalence, and trends among U.S. adults, 1999 to 2000. J Am Soc Nephrol 2005,16:180188. 5. Stevens LA, Coresh J, Greene T, Levey AS: Assessing kidney function--measured and estimated glomerularfiltration rate. N Engl J Med 2006;354:2473-2483. 6. de Zeeuw D, Hillege HL, de Jong PE: The kidney, a cardiovascular risk marker and a new target for therapy. Kidney Int Suppl 2005;98:S25-S29. 7. Chen J, Wildman RP, Gu D et al.: Prevalence of decreased

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Disturbi da attacchi di panico

DAP. Saperli riconoscere rappresenta il primo passo per poterli curare Angela Pia Spagnuolo Psicologa Specializzanda in Psicoterapia cognitivo-comportamentale Manfredonia - Foggia

La comparsa ripetuta di attacchi di panico senza una causa apparente comporta un circolo vizioso che se non riconosciuto e curato bene comporta un aumento delle manifestazioni d’ansia.

Introduzione L’ansia è un’emozione normale, che prova ogni soggetto sano. Ha la funzione di segnalare situazioni di pericolo o spiacevoli, permettendoci così di affrontarle ricorrendo alle risorse mentali e fisiche più adeguate. L’ansia, inoltre, produce un aumento dello stato di vigilanza, utile quando si devono affrontare situazioni impegnative (es. ad un colloquio di lavoro non daremmo il meglio di noi stessi se fossimo completamente rilassati). Entro certi livelli, dunque, l’ansia è necessaria a ciascuno di noi. Quando si è troppo ansiosi, però, diminuisce la capacità di pensare lucidamente e di risolvere i problemi. Infatti l’ansia diventa l’anticipazione apprensiva di un pericolo o di un evento negativo futuri, accompagnata da sentimenti di disforia o da sintomi fisici di tensione (DSMIV). La sovrastima del pericolo e la sottostima della capacità di fronteggiarlo, riflettono l’attivazione dei cosidetti ”schemi di pericolo” la quale una volta attivata crea una sorta di circolo vizioso che rinforza le manifestazioni d’ansia. I sintomi ansiosi sono essi stessi, infatti, una fonte si minaccia: per esempio, possono condizionare il comportamento dell’individuo ed essere interpretati come segnali dell’esistenza di un grave disturbo fisico o psicologico. Questi effetti accrescono il senso di vulnerabilità dell’individuo e di conseguenza rinforzano l’iniziale reazione ansiosa inducendo una serie di risposte sfavorevoli, le quali a loro volta non fanno altro che esasperare la valutazione di pericolo. Gli attacchi di panico sono episodi di improvvisa ed intensa paura o di una rapida escalation dell’ansia normalmente presente. Chi ha provato gli attacchi di panico li descrive come

un’esperienza terribile, spesso improvvisa ed inaspettata, almeno la prima volta. E’ ovvio che la paura di un nuovo attacco diventa immediatamente forte e dominante. Il singolo episodio, quindi, sfocia facilmente in un vero e proprio Disturbo di panico, cioè “paura della paura” dell’attacco. Spesso pensa di avere un problema di salute di ordine fisico, come ad esempio una malattia di cuore. Di conseguenza si rivolge al proprio medico, eseguendo indagini cliniche, elettrocardiogramma ed esami di laboratorio che non evidenziano però nulla di patologico. Per questo, almeno momentaneamente, il paziente si sente rassicurato. Nella maggior parte dei casi però, a distanza di qualche tempo, si ripresenta, con caratteri fondamentalmente analoghi, un secondo attacco di panico. Nuovo consulto medico, ulteriori e più approfondite ricerche di laboratorio, esami più sofisticati. Ma tutto va bene. Nonostante ciò (o forse proprio per questo), è possibile allora che nel paziente si presenti sempre più una elaborazione ipocondriaca, cioè la convinzione di essere affetto da una malattia fisica. Il timore è rafforzato dal fatto che non si individua una causa e non viene posta nessuna diagnosi di un quadro clinico che, da un lato, vede l’intensità e la drammaticità dei sintomi lamentati dal paziente e, dall’altro, la tendenza a minimizzare da parte del medico, data la scarsa importanza dei reperti obiettivi. I pazienti passano allora da un medico all’altro, rivolgendosi spesso anche ai servizi di pronto soccorso, vivendo in uno stato di continua apprensione e di allarme, con la crescente paura che l’attacco di panico possa inaspettatamente ripetersi. Qui di seguito verrà esposto in modo particolare e specifico


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17 cos’è il Disturbo di Panico, partendo da una visione eziopatogenetica su quali sono realmente le cause e i meccanismi di insorgenza che scatenano gli attacchi di panico e quale diagnosi e terapia attuare. Se le cause vengono individuate precocemente sono in grado di prevenire l’agorafobia; ma chi soffre di attacchi di panico spesso può cambiare medico per anni e recarsi più volte al pronto soccorso prima che gli venga diagnosticata questa patologia. Questo non dovrebbe avvenire, perché il disturbo di panico è uno dei disturbi d’ansia più facilmente curabili e in molti casi risponde bene a determinati farmaci e soprattutto a determinati approcci di psicoterapia cognitiva che aiutano a modificare gli schemi di pensiero che provocano la paura e l’ansia.

Teorie eziopatogenetiche 1.1 Teorie psicofisiologiche Secondo il filone psicofisiologico una vulnerabilità biologica potrebbe essere un fattore predisponente per il Disturbo di Panico, tanto che in persone neuro-biologicamente predisposte si possono scatenare attacchi di panico tramite somministrazione di lattato di sodio che indurrebbe una diminuzione della percentuale di CO2 nel sangue. Per spiegare il meccanismo che si scatena nell’attacco di panico Jacob e Rapport (1984) hanno evidenziato le analogie tra panico ed iperventilazione. Con iperventilazione si intende una risposta che eccede le richieste metaboliche (es. la respirazione in condizioni di rarefazione di ossigeno in alta quota). Quando la ventilazione polmonare è in eccesso rispetto alle necessità fisiologiche di ossigenazione del sangue e di eliminazione di CO2 si verifica il fenomeno di iperventilazione che rende più difficoltoso l’apporto di ossigeno ai vari organi. Gli effetti immediati sulla persona sono stordimento, vertigine, debolezza e senso di svenimento. Sensazioni successive sono intorpidimento di zone periferiche, spasmi, crampi muscolari, dolori al petto e aritmie cardiache. Quest’analogia tra attacchi acuti di panico e attacchi acuti di iperventilazione suggerisce che il panico possa essere la conseguenza di pattern respiratori disfunzionali che causerebbero un’iperventilazione. Una volta che il soggetto ha avuto alcune esperienze negative di iperventilazione può diventare maggiormente sensibile a sensazioni interne solo lontanamente simili ai primi segnali di un effettivo attacco. Si crea una spirale di paura e ansia anticipatoria che può da sola acutizzare gli attacchi ed innescare un processo circolare che si automantiene, al centro del quale si colloca la “paura della paura”: il soggetto attiverà una particolare attenzione ai segni premonitori di un successivo attacco, assumendo, in questo stato di ipervigilanza, l’atteggiamento ansioso con i relativi correlati fisiologici.

1.2 Teorie comportamentali Secondo Meyer e Chesser (1970) la patologia è considerata una forma di condizionamento classico caratterizzata da forti risposte di evitamento. Gli attacchi di panico costituiscono uno stimolo incondizionato il quale, presentandosi in relazione temporale o spaziale con uno stimolo intrinsecamente neutro (luoghi e situazioni in cui gli attacchi si manifestano), attribuisce a quest’ultimo la proprietà di evocare una risposta condizionata. Per il principio della generalizzazione, le persone andrebbero poi ad evitare tutte le situazioni o le condizioni analoghe a quelle del primo attacco,quindi, le

condotte di evitamento riducono il contatto con le situazioni ansiogene, contenendo quindi il numero di attacchi di panico, e proprio per questo vengono sempre più rinforzate (rinforzo negativo). Una persona che presenta alcuni dei fattori predisponenti prima esposti, in concomitanza ad un periodo intenso di stress o di prolungato stress sottosoglia, il quale viene sottovalutato od addirittura non riconosciuto, manifesta il suo primo attacco di panico, che altro non è che un falso allarme, ossia una risposta inadeguata di paura intensa verso una situazione che non è di per sé minacciosa. Quest’emozione produce degli stimoli enterocettivi che sono quelli tipici dell’attacco di panico e che, secondo il modello cognitivo, vengono mal interpretati e vanno ad incrementare ulteriormente l’allarme provocato, che viene acquisito e condizionato in un allarme appreso. La persona che ha sperimentato questi primi stadi, inconsapevole di avere una certa vulnerabilità biologica, verifica quindi una propria vulnerabilità psicologica che si manifesta con i sintomi tipici dell’ansia e con tutti i correlati fisici e fisiologici di essa i quali, a loro volta, possono non essere consapevolmente correlati all’ansia ed indurre invece a pensare di avere un disturbo di tipo fisico: ictus, infarto del miocardio, ecc. Da qui, le persone possono iniziare ad evitare situazioni o condizioni analoghe al primo attacco, oppure affrontarle solo grazie a comportamenti protettivi che, aggravano ed esasperano il problema stesso. Fig.1 Modello Eziopatogenetico del panico. Barlow e Cerny vulnerabilità biologica Stress

Attacco di Panico

Falso Allarme Stimoli enterocettivi Allarme appreso

Vulnerabilità psicologica apprensione, ansia, focalizzazione su futuri allarmi Possibile sviluppo di evitamenti agorafobici per fattori culturali, sociali ed ambientali e moderato dalla presenza/assenza di comportamenti protettivi

1.3 TEORIE COGNITIVE Secondo il modello cognitivista, il paziente con DP ha una immagine di sé debole, vulnerabile, bisognosa di cure, sensibile ai numerosi pericoli esterni. Nel modello cognitivo si assume che: a) il soggetto disponga di schemi cognitivi catastrofizzanti deputati all’analisi delle sensazioni somatiche; b) gli stimoli enterocettivi siano di per se stessi neutri, o pressoché neutri, e vengano trasformati in sensazioni somatiche terrorizzanti come risultato delle distorsioni introdotte in tale analisi; c) il disturbo venga mantenuto in atto da un eccesso di apprensione e ipervigilanza nei confronti delle sensazioni somatiche. Ci sono diversi modelli che spiegano lo sviluppo e il mantenimento del panico:


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18 Modello di Goldstein e Chambless (1978): basato sulla teoria dell’apprendimento e focalizzato sul concetto di “paura della paura” ugualmente al modello del condizionamento enterocettivo (Razran 1961) ipotizza che il soggetto diventa molto attento alle sensazioni corporee interpretandole come segni di imminenti attacchi di panico. Tuttavia aggiunge ulteriori elementi cognitivi, sostenendo che, avendo esperito uno o più attacchi di panico, l’individuo diventa particolarmente attento alle sensazioni corporee, interpretandole come un segno premonitore di ulteriori attacchi. Poiché l’individuo convive con gli stimoli che teme, si innesca una generalizzazione della paura alle situazioni esterne causando così l’insorgere dell’agorafobia. Beck: il sintomo devastante principale consiste nell’incapacità di controllare i propri sintomi mentali, fisici ed emotivi e quando l’ansia diventa così intensa da far credere all’individuo di non poterla più controllare e che essa non potrà diminuire spontaneamente, allora si innesca il meccanismo di catastrofizzazione. Il meccanismo di base cognitivo-emotivo-fisiologico è designato a produrre: a) La convinzione di essere messo in pericolo da un disturbo interno incontrollabile; b) La paura che la confusione mentale progredirà verso un disastro finale; c) La convinzione di dover cercare aiuto. Modello proposto da Clark (1986): è considerato uno dei modelli più utili per la concettualizzazione cognitiva e per il trattamento del disturbo e si occupa, in particolare, dei fattori cognitivi coinvolti nell’eziologia e nel mantenimento del disturbo da panico. Il modello di Clark propone che una determinata sequenza di eventi, in una successione circolare, conduca all’attacco di panico ed è conosciuto come “il modello del circolo vizioso” del panico. −Wells (1990) propone un modello modificato di Clark con i fattori di mantenimento (fig.2) Fig.2 Modello del Disturbo di Panico di Clarck (1986). Da Wells, 1999

FATTORI SCATENANTI MINACCIA PERCEPITA ANSIA Interpretazione erronea

Sintomi somatici cognitivi

Evitamento Comportamenti protettivi Attenzione selettiva La natura del Disturbo di Panico è caratterizzata da un preciso circolo vizioso: l’anticipazione dell’ansia genera ansia. Vi sono quindi dei fattori scatenanti che possono essere stimolazioni interne o esterne all’organismo che fanno sì che venga avvertita una certa sensazione di minaccia; tale percezione induce ansia. Lo stato di ansia conduce alle sensazioni di panico imminente attraverso alcuni sintomi somatici.; questi sintomi sono interpretati in chiave catastrofica ed estrema ed incrementano lo stato d’ansia in corso: il sog-

getto ha un attacco di panico. Si inserisce in questo complesso meccanismo quello del mantenimento del panico: mettere in atto evitamenti di situazioni specifiche, o al massimo affrontarle solo con comportamenti protettivi ed avere un’attenzione focalizzata (selettiva) su tutti quei fattori che possono segnalare l’insorgenza di un nuovo attacco (per esempio condizioni della situazione o sintomi interni all’organismo), tendono a mantenere e rinforzare ulteriormente il disturbo. Prestare selettivamente attenzione ai fenomeni del proprio corpo e focalizzarsi su esso, può contribuire all’abbassamento della soglia di percezione delle sensazioni e comportare un aumento dell’intensità soggettivamente percepita, conducendo ad una maggiore predisposizione ad attivare il circolo vizioso dell’interpretazione catastrofica. Inoltre i pazienti sviluppano comportamenti protettivi legati al contesto della situazione allo scopo di evitare le conseguenze temute. Tali comportamenti contribuiscono a mantenere l’attacco di panico in due modi: 1) impediscono la possibilità di una disconferma dell’interpretazione erronea inducendo il paziente ad attribuire falsamente il mancato avverarsi della conseguenza temuta al loro utilizzo e non, piuttosto al fatto che l’ansia non causa drammatiche conseguenze fisiche come il collasso. 2) in certi casi, alcuni comportamenti protettivi (maldestri tentativi di controllo del respiro) possono peggiorare direttamente i sintomi somatici e cognitivi e, di conseguenza, rendere più probabile l’avverarsi della situazione temuta. Infine l’evitamento, considerato come fattore di mantenimento dell’attacco di panico, limita la possibilità del soggetto di provare ansia e di scoprire che questa non porta alla catastrofe. Dunque la sindrome prende la forma di un meccanismo ben definito in cui è possibile intervenire su ciascuno dei suoi aspetti 2. QUADRO CLINICO Il DSM IV TR definisce gli attacchi di panico come: “Un periodo di intensa paura o disagio, in assenza di vero pericolo, durante il quale quattro ( o più) dei seguenti sintomi si sono sviluppati improvvisamente ed hanno raggiunto il picco nel giro di 10 minuti”, ed elenca i seguenti sintomi: 1. palpitazioni, cardiopalmo, o tachicardia; 2. sudorazione: 3. tremori fini o a grandi scosse; 4. dispnea o sensazione di soffocamento; 5. sensazione di asfissia; 6. dolore o fastidio al petto; 7. nausea o disturbi addominali; 8. vertigini, sensazioni di testa leggera; 9. derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi); 10. paura di perdere il controllo o di impazzire; 11. paura di morire; 12. parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio); 13. brividi o vampate di calore. Il manuale aggiunge che nella determinazione del significato diagnostico differenziale di un Attacco di Panico, è importante considerare il contesto in cui si manifesta l’attacco. Vi sono tre tipi di Attacchi di Panico con differenti relazioni tra l’esordio dell’attacco e la presenza o assenza di fattori scatenanti situazionali: inaspettati (non provocati), quando il soggetto non associa l’esordio dell’attacco ad un fattore situazionale -interno o


ATTualità

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19 esterno- scatenante e l’attacco di panico si manifesta spontaneamente. Coloro che hanno attacchi di panico inaspettati descrivono, di solito, una paura molto intensa, accompagnata dal pensiero di essere in procinto di morire, di potere perdere il controllo, di avere un infarto o un ictus, di “impazzire”, il tutto associato al desiderio impellente di fuggire dal luogo in cui si sta manifestando l’attacco; causati dalla situazione (provocati), quando l’attacco si manifesta quasi invariabilmente durante l’esposizione a (o nell’attesa di) uno stimolo o fattore scatenante situazionale (per es., quando un soggetto, che ha avuto attacchi di panico in un supermercato,entra o deve entrare in un altro supermercato); sensibili alla situazione, sono simili a quelli causati dalla situazione, ma non sono invariabilmente associati allo stimolo e non si manifestano necessariamente subito dopo l’esposizione (per es., è più probabile che gli attacchi si manifestino nel supermercato, ma alcune volte l’individuo ci va senza conseguenze o queste si manifestano solo dopo un po’, per es., quando arriva alla cassa e c’è una fila davanti a lui). In generale, come lo stesso Wells ha evidenziato, tutte le persone affette da attacchi di panico prima o poi arrivano ad evitare quelle determinate situazioni o a sperimentare atteggiamenti protettivi specifici, al fine ideale di ridurre la probabilità di avere un attacco di panico. I motivi per cui le persone soffrono di attacchi di panico sono numerosi. Tra le cause più diffuse ci sono la predisposizione genetica, lo stress e le preoccupazioni circa la propria salute, sentimenti spiacevoli causati, ad esempio, da problemi o difficoltà personali o professionali. Quando questi non vengono affrontati o non possono essere affrontati rimangono latenti, nel tempo, provocando un aumento dell’ansia che si potrà trasformare in panico. Nella predisposizione genetica, ad esempio, vi rientrano quelle malattie fisiche che implicano anormalità neurochimiche come l’ipertiroidismo oppure che producono continue paure di disastro imminente (prolasso della valvola mitrale). Altra predisposizione genetica è la carenza di abilità sociale o la mancata acquisizione di alcune di esse; oppure vi sono predisposizioni dovute alle caratteristiche di personalità di cui s’intende la modalità usuale con cui una persona reagisce, prova emozioni e si comporta abitualmente. Coloro che soffrono di attacchi di panico tendono a considerarsi molto sensibili, emotivi e con la tendenza a preoccuparsi troppo. In realtà, come abbiamo già spiegato, esistono alcune caratteristiche predisponenti che non sono soltanto genetiche ed individuali ma anche apprese sia dalla famiglia che dall’ambiente circostante e questi fattori hanno la capacità di rendere alcune persone più suscettibili a cadere in questo tipo di problema, qualora si vengano a presentare determinate circostanze, che abbiamo descritto con il nome di fattori precipitanti. Nonostante una certa predisposizione agli attacchi di panico, ancora altri fattori, determinano l’insorgenza del disturbo in un certo periodo della vita, piuttosto che in un altro e, anche in questo caso, non in qualunque persona predisposta e sono i cosiddetti fattori precipitanti come: malattie fisiche e sostanze tossiche, gravi stress esterni (esposizioni a pericoli fisici o psicologici), stress esterno cronico ed insidioso (es. Continua e sottile disapprovazione da parte degli altri significativi) oppure stress esterni che colpiscono la specifica vul-

nerabilità emotiva (es. l’imposizione di una rigida disciplina militare ad un individuo autonomo; aumento di responsabilità con un nuovo lavoro o con la genitorialità; insuccessi lavorativi o nelle relazioni di coppia; trasferimenti; distacco dai genitori; ecc.). COME AFFRONTARE I DISTURBI D’ANSIA NELLA LORO COMPLESSITÀ? Attraverso un’attenta valutazione dei significati e delle motivazioni che all’ansia si legano. E ciò può avvenire solo nel contesto di una salda relazione umana prima ancora che medica. Il Servizio Sanitario Nazionale risponde a questa esigenza attraverso differenti livelli d’intervento. Il primo aiuto, nel caso si presenti un disturbo d’ansia, rimane il medico curante. Questi, in qualità di medico di famiglia, ha il più delle volte il privilegio di lavorare all’interno di una relazione con il paziente e con il suo ambiente già consolidata ed approfondita, dove i problemi somatici e quelli di ordine psicologico (i significati e le motivazioni dell’ansia) possono trovare una immediata interrelazione. Qualora il curante ravvisi nel quadro clinico aspetti diagnostici o terapeutici complessi che esulano dalla sua competenza, può rimandare il paziente alla consulenza specialistica.

INTERVENTO DI PSICOTERAPIA La psicoterapia cognitivo-comportamentale, considerato tra i trattamenti migliori al giorno d’oggi, consiste in un insieme complesso costituito da aspetti relazionali, educazionali, tecniche di esposizione a stimoli temuti e altri aspetti comportamentali. Il trattamento psicoterapeutico è costituito principalmente da due aspetti e di essenziale importanza: - la relazione terapeutica; - le tecniche di terapia. Il rapporto tra questi due aspetti può essere interpretato da un punto di vista “circolare”, secondo cui entrambi gli ingredienti terapeutici sono importanti in quanto sono collegati tra loro in una relazione circolare a “ doppio feedback”. Quindi, se la relazione terapeuta- paziente risulta di importanza centrale nel favorire il processo terapeutico e la stessa applicazione delle tecniche, d’altra parte, l’impiego delle tecniche può a sua volta favorire la relazione terapeutica. Il contenuto delle tecniche sarà personalizzato ed adattato alle caratteristiche specifiche di quel singolo paziente. Il terapeuta dovrà decidere i tempi e le fasi idonee per l’intervento tenendo conto del livello di recettività del paziente e del livello di maturità della relazione terapeutica. Bibliografia a richiesta


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Indagine conoscitiva sui disturbi della menopausa Leonida Iannantuoni Medico di Medicina Generale - Foggia Docente Corso di Formazione Specifica AIMEF, WONCA Member Luca Mazzeo Medico specializzando in Medicina Generale - Foggia

Quando le manifestazioni cliniche sono vissute dalle pazienti come una vera malattia.

La menopausa, dal greco “μήν” mese e “παὒσις”cessazione, pur rappresentando un evento fisiologico, è caratterizzata da un corredo sintomatologico che, a volte, pesa notevolmente sulla qualità di vita della donna. Oggetto del presente studio è stata l’incidenza dei disturbi soggettivi tipici della menopausa (vampate, irritabilità, disturbi del sonno ed aumento di peso), vissuti dalle pazienti come sintomi invalidanti di una vera e propria patologia. MATERIALI E METODI Nell’ indagine è stato somministrato un questionario (fig.1) ad un campione di 142 donne, invitate ad indicare in una scala da 0 a 10 (scala VAS) l’entità soggettiva del disturbo percepito. Il campione, compreso in una fascia di età tra i 34 ed i 90 anni, è stato costituito da donne afferenti, in due giorni, nell’ambulatorio del MMG per essere sottoposte alla profilassi vaccinale antiinfluenzale stagionale 2011/2012. Per l’analisi dei dati si è suddiviso il campione di intervistate in due sottogruppi principali: pazienti in menopausa fisiologica e pazienti in menopausa iatrogena (tab.1) . Tra le pazienti in menopausa fisiologica, sulla base dell’età di manifestazione della menopausa (tab.2), sono stati individuati quattro ulteriori sottogruppi: a) donne con menopausa precoce, b) donne con menopausa prematura, c) donne con menopausa spontanea, d) donne con menopausa tardiva (tab.3).

RISULTATI Nelle pazienti in menopausa precoce, tutto il corteo sintomatologico sembrerebbe avere una minor incidenza, per gravità e durata, rispetto agli altri sottogruppi ed in particolar modo risultano irrilevanti l’aumento di peso e l’irritabilità (tab. da 4 a 10). Le donne in menopausa prematura lamentano una, anche se pur minima, maggiore importanza delle vampate e dei disturbi del sonno rispetto al gruppo precedente nonché, nel 40% dei casi, un importante incremento ponderale (tab. 4-6-10). La menopausa spontanea è gravata in maniera importante dal sintomo “vampate” che, in un complessivo 51,8% delle donne intervistate, ha una valenza severa e grave. Rimangono, nel complesso, lievi l’irritabilità ed i disturbi del sonno. (tab.4-5-6) Da segnalare, inoltre, un importante incremento ponderale nel 26% dei casi (tab.10). La menopausa tardiva risulta, anch’essa, gravata dai disturbi vasomotori, infatti ben il 60% delle intervistate riferisce di soffrire o di aver sofferto di tali disturbi in maniera severa o grave. Un ulteriore 25% delle donne riferisce importanti variazioni dell’umore ed il 50% lamenta un incremento ponderale rilevante (tab.4-6-10). Le donne in menopausa iatrogena lamentano, tra tutte, la più grave incidenza delle vampate, ben il 65,2% attribuisce a tale disturbo dignità di severo e/o grave (tab. 4).


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22 Numero donne Intervistate Menopausa Fisiologica

119

Menopausa iatrogena

23

Tot

142

Tab. 1

Menopausa Fisiologica: sottogruppi per etĂ di insorgenza Menopausa precoce

< 40 aa

Menopausa prematura

40 - 45 aa

Menopausa spontanea

45 - 53 aa

Menopausa tardiva

> 53 aa

Tab. 2

Numero donne per sottogruppi menopausa fisiologica Menopausa precoce

4

Menopausa prematura

10

Menopausa spontanea

85

Menopausa tardiva

20

Totale

119

Tab. 3

Vamate: entitĂ disturbi soggettivi VAS

Menopausa precoce pazienti

Menopausa prematura pazienti

Menopausa spontanea pazienti

Menopausa tardiva pazienti

Menopausa iatrogena pazienti

0-3

2 (50%)

7 (70%)

41 (48,2%)

8 (40%)

8 (34,8%)

4-6

1 (25%)

2 (20%)

19 (22,4%)

8 (40%)

2 (8,7%)

>7

1 (25%)

1 (10%)

25 (29,4%)

8 (20%)

13 (56,5%)

Tab. 4

IrritabilitĂ : entitĂ disturbi soggettivi VAS

Menopausa precoce pazienti

Menopausa prematura pazienti

Menopausa spontanea pazienti

Menopausa tardiva pazienti

Menopausa iatrogena pazienti

0-3

4 (100%)

10 (100%)

70 (82,3%)

15 (75%)

13 (56,5%)

4-6

0

0

9 (10,6%)

3 (15%)

4 (17,4%)

>7

0

0

6 (7,1%)

2 (10%)

6 (26,1%)

Tab. 5


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ottobre 2012 Medicina di Famiglia

23 Disturbi del sonno: entità disturbi soggettivi VAS

Menopausa precoce pazienti

Menopausa prematura pazienti

Menopausa spontanea pazienti

Menopausa tardiva pazienti

Menopausa iatrogena pazienti

0-3

3 (75%)

8 (80%)

68 (80%)

17 (85%)

12 (52,2%)

4-6

1 (25%)

2 (20%)

11 (12,9%)

2 (10%)

4 (17,4%)

>7

0

0

6 (7,1%)

1 (5%)

7 (30,4%)

Tab. 6

Vampate: durata disturbi in anni anni

Menopausa precoce pazienti

Menopausa prematura pazienti

Menopausa spontanea pazienti

Menopausa tardiva pazienti

Menopausa iatrogena pazienti

0-5

3 (75%)

10 (100%)

68 (80%)

15 (75%)

15 (65,2%)

>5

1 (25%)

0

17 (20%)

5 (25%)

8 (34,8%)

Tab. 7

Irritabilità: durata disturbi in anni anni

Menopausa precoce pazienti

Menopausa prematura pazienti

Menopausa spontanea pazienti

Menopausa tardiva pazienti

Menopausa iatrogena pazienti

0-5

4 (100%)

10 (100%)

83 (97,6%)

20 (100%)

18 (78,3%)

>5

0

0

2 (20%)

0

5 (21,7%)

Tab. 8

Disturbi del sonno: durata disturbi in anni anni

Menopausa precoce pazienti

Menopausa prematura pazienti

Menopausa spontanea pazienti

Menopausa tardiva pazienti

Menopausa iatrogena pazienti

0-5

3 (75%)

8 (80%)

79 (92,9%)

19 (95%)

17 (73,9%)

>5

1 (25%)

2 (20%)

6 (7,1%)

1 (5%)

6 (26,1%)

Tab. 9

Incremento ponderale Kg

Menopausa precoce pazienti

Menopausa prematura pazienti

Menopausa spontanea pazienti

Menopausa tardiva pazienti

Menopausa iatrogena pazienti

<3

4 (100%)

6 (60%)

51 (59,8%)

8 (40%)

9 (39,15%)

3-5

0

0

12 (14,2%)

2 (10%)

7 (30,4%)

5-7

0

2 (60%)

9 (10,6%)

5 (25%)

1 (4,45%)

7-10

0

1 (10%)

4 (4,8%)

3 (15%)

3 (13%)

>10

0

1 (10%)

9 (10,6%)

2 (10%)

3 (13%)

Tab. 10

CONCLUSIONI Lo studio, anche se condotto su di un campione non vastissimo, ha confermato la predominanza dei disturbi vasomotori su tutti gli altri sintomi soggettivi della menopausa. Altresì ha evidenziato come tali disturbi siano più importanti nella menopausa tardiva e nella menopausa iatrogena rispetto alle forme prematura, precoce e spontanea. Compito del Medico è mettere in campo, quanto possibile, tutti i presidi disponibili atti ad alleviare tale corredo sintomatologico e restituire alle proprie pazienti una buona qualità di vita. CONSIDERAZIONI Lo studio del MMG rappresenta per la quasi totalità dei pazienti, indipendentemente dall’età e dal sesso, il primo approdo per ogni disturbo della “ sfera salute”. Non è fuori luogo, quindi, che egli debba avere conoscenze/ competenze, non “generiche” o di “ base”, ma pressoché “generali” dello scibile medico, acquisibili attraverso una “curiosità” a 360 gradi della materia medica ed un costante aggiornamento multidisciplinare.


prevenzione

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La comunicazione del rischio in Medicina Generale

L’importanza di una comunicazione efficace Giovanni B. D’Errico Medico di Famiglia Foggia Coordinatore Seminari Interdisciplinari Provincia di Foggia

La comunicazione di un evento che probabilmente modificherà la propria vita necessita di assunzione di responsabilità e competenza professionale. Salvaguardare la propria salute ed evitare le malattie è sempre stata una delle priorità dell’uomo, per questo si è prodigato per combatterle in ogni modo e con tutti i mezzi possibili. Nell’ultimo decennio si è assistito, in tutto il mondo occidentale, ad un profondo cambiamento n el contesto sociale in cui opera la Medicina. Il XXI secolo è stato salutato come l’era della biotecnologia in cui gli straordinari progressi della medicina e della chirurgia consentono oggi di guarire da patologie prima incurabili e di migliorare la qualità della vita di molti malati. Tali progressi da una parte hanno consentito di prolungare la vita media della popolazione e dei pazienti con gravi patologie, dall’altro hanno sollevato nel contempo all’ attenzione delle coscienze i grandi problemi etici: la manipolazione genetica, il diritto alla “morte dignitosa”, la morte cerebrale, il diritto alla salute, il rapporto medico-paziente. Il progresso genetico e la possibilità di venire a conoscenza della probabilità di essere colpito da alcune malattie prima che se ne manifestino i sintomi ( medicina predittiva) può determinare nel paziente la paura del proprio futuro con ripercussioni psicologiche e comportamentali importanti. Numerosi sono i settori coinvolti, dalla medicina nelle sue varie branche (Cardiologia, Diabetologia, Neurologia, Pneumologia, Farmacologia, Medicina Generale. Scompenso cardiaco, cardiomiopatia dilatativa, cardiopatia ischemica acuta, aterosclerosi, aterotrombosi, rivascolarizzazione di vasi occlusi ecc. Diabete tipo 1, tipo 2, Sclerosi multipla, M. Alzheimer, Malattie neurodegenerative, Asma, BPCO), alla farmacologia ecc. Sapere in anticipo quello che ci potrà accadere in futuro è sempre stata un desiderio inconscio dell’uomo, e , nonostante i vantaggi derivanti dal possesso di tali informazioni, vi è sempre la possibilità che si verifichino alcune conseguenze

spiacevoli: 1.possibilità di individuare soggetti a rischio, senza poter modificare la loro probabilità di sviluppare la malattia o di poterla curare; 2. possibilità di creare persone clinicamente normali “pre-pazienti” o “malati di rischio” per anni prima di sviluppare la condizione per la quale sono a rischio; 3. possibilità di suscitare speranze che rischiano di andare deluse; 4. possibilità di aumentare l’ansia della malattia del futuro e creare “malati immaginari”; 5. aumentare la corsa alle indagini diagnostiche senza una indicazione clinica; 6. alimentare la paura di trasmettere malattie genetiche ai figli. La conseguenza di tutto ciò è la nascita di una nuova categoria di pazienti, persone che non sono pazienti e neppure non pazienti (unpatients), persone che, come riferisce Tamburini, pur essendo sane e potendo benissimo rimanerlo per tutta la vita, sono poste da una diagnosi di rischio (per esempio genetico) in uno stato intermedio fra salute e non salute e la tendenza ad estendere la condizione di malattia anche a persone che non sono attualmente malate, ma che potrebbero esserle in futuro, con il rischio di una eccessiva medicalizzazione. In questo contesto il medico di famiglia ,che da sempre si occupa dei problemi di salute nella loro dimensione fisica, psicologica e sociale, che già oggi vede nel suo ambulatorio una gran mole di assistiti sani, vedrà in un prossimo futuro aumentare il numero di tali assistiti al solo scopo di prevenire malattie che solo lontanamente potranno manifestarsi. Tale comportamento porterà a un aumento della spesa sanitaria difficilmente controllabile senza un intervento adeguato. Test genetici L’area maggiormente interessata da tale fenomeno è la genetica con la presenza di numerosi test predittivi in grado di dare informazioni su una lunga serie di malattie a carattere


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prevenzione 25

ereditario. Anche se è il genetista è considerato la persona più competente in questo settore dotato di cognizioni specialistiche, il medico di famiglia può essere chiamato in causa per vari motivi: per avere delucidazioni e consigli sui vari test disponibili e su quali fare, per avere supporto medico-psicologico in caso di test positivo. Tali situazioni impongono la necessità di essere informati e competenti per rispondere alle esigenze dei propri assistiti di informarli sul loro significato, sui limiti e sui rischi, di doverli aiutare a comprendere le informazioni mediche, le opzioni disponibili e le scelte più appropriate. Ogni individuo ha diritto di sapere tutte le informazioni che riguardano se stesso e il proprio corpo e a decidere cosa fare sulla scorta di queste informazioni. In alcuni casi invece, ci si trova di fronte a persone che preferiscono non sapere; di fronte a tali situazioni bisogna rispettare tale diritto (“non sapere”), ma per esercitarlo devono avere concretamente la possibilità di scegliere fra sapere e non sapere L’impegno maggiore si ha quando un test risulta positivo. In questo caso sia da parte del genetista che del medico di famiglia, vi è la responsabilità di informare adeguatamente il paziente del significato del test e delle conseguenze future. Le informazioni devono essere date secondo alcune regole precise e in modo che siano comprensibili, inoltre, devono essere adeguate alle capacità intellettuali e culturali del paziente e devono essere trasferite in modo da comunicare il messaggio per rendere il paziente in grado di decidere nel modo più sereno e consapevole possibile. Bisogna essere attenti nell’ accertarsi che il paziente colga esattamente quello che il medico sta cercando di dirgli, soprattutto in una logica di “consenso informato” non scritto ma valido sotto tutti i punti di vista. Il counseling rappresenta certamente una modalità molto utilizzata per una comunicazione efficace. COMUNICAZIONE DEL RISCHIO Altro problema correlato con implicazioni etiche che il medico deve affrontare è rappresentato dalla comunicazione del rischio. Di fronte a pazienti affetti da malattie che comportano un rischio per la propria salute è importante saper trasferire e comunicare tale probabilità. Questo non è sempre facile da farsi, ma è di fondamentale importanza per il paziente, in quanto, può stimolarlo a cambiare comportamenti scorretti e modificare il suo stile di vita per una vita sana e salutare. Inoltre, può renderlo cosciente sulla sua malattia ed effettuare i controlli previsti. Vi sono alcuni aspetti di cui bisogna tenerne conto: 1.variabilità della percezione del rischio: distanza temporale del probabile evento» 5 anni, 10 anni ; personalità dell’individuo; credenze ed aspettative del soggetto, oltre che dal livello socio-culturale;2. personalizzazione del rischio: il paziente rapporta il rischio sempre su se stesso; 3. presunzione di immortalità: vi è la tendenza a pensare che il rischio come un evento negativo viene percepito come qualcosa che riguarda gli altri, che non può colpire se stessi, anche se questo atteggiamento si modifica con il passare dell’età, e nel momento. Questo fa si che nel momento che si viene colpiti dalla malattia inaspettatamente la prima domanda che ci si pone è: perché è capitato proprio a me, che cosa ho fatto o non fatto per meritare questo. La risposta è una reazione di rabbia per essere stato il predestinato senza motivi. Accanto a reazioni negative la comunicazione del rischio

può in alcuni casi indurre nel paziente una risposta positiva: aumentata motivazione a seguire abitudini più sane; migliore adesione ad eseguire controlli sulla propria salute; maggiore attenzione alla comparsa di sintomi che altrimenti sarebbero stati ignorati. Ogni medico chiamato a rispondere al risultato di test genetici o alla possibilità di comunicare il rischio di una malattia, si assume delle responsabilità che vanno al di là del dovere medico in quando coinvolgono la sfera affettiva emozionale del paziente e della sua famiglia. Il genetista per le sue competenze specialistiche e il medico di famiglia che per il suo ruolo di consigliere del paziente, sono le figure di riferimento per rispondere a teli richieste. Per svolgere correttamente tale compito è importante che ogni medico acquisisca le competenze comunicative e relazionali per consentire al paziente di prendere decisioni consapevoli in piena autonomia. BIBLIOGRAFIA 1. Assemblea Generale dell’Unesco, Dichiarazione universale sul genoma umano e i diritti dell’uomo, Parigi,11 Novembre 1997 2. Baldacci M.C., Bioetica dell’esercizio della sessualità nel portatore di handicap fisico geneticamente trasmissibile.Medicina e Morale, 1997; 1:9 3. Collins F.,Medical and societal consequences of the Human Genome Project. New Engl.Journ.Med., 1999; 341:28-37 4. Comitato Nazionale di Bioetica, il Progetto Genoma Umano. Dipartimento per l’informazione e l’editoria. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma, 18 Marzo 1994 5. Dallapiccola B.,Discernere ed utilizzare le informazioni genetiche in medicina.Intervento al convegno «Malattie Genetiche e Rare», Istituto Superiore di Sanità, 29 Novembre 1999 6. Consiglio d’Europa,Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina,19 Novembre 1996 7. Diagnosi precoce di malattie genetiche e della suscettibilità ereditaria allo sviluppo di neoplasie: proposte per una programmazione sanitaria. Atti del Workshop, Istituto Superiore di Sanità, Roma, 18-19 Dicembre 1997 8. Eusebi L.,Bioetica e diritto penale:appunti,Corso di Perfezionamento in Bioetica Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma,A.A.98-99 9. Kevles D., Hood L., The Code of Codes. Harvard University Press,Boston,1992 10. L’Unesco sul genoma umano. Un segnale di forte significato bioetico (editoriale). Medicina e Morale, 1998; 1:9 11. La convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina (editoriale). Medicina e Morale, 1997; 1:9 12. Lussana M., I miei giorni felici con una donna che rischia la vita. Il Giornale,Mercoledì 6 Ottobre 1999 13. Mandich P., Jacopini A.G., et al., Predictive testing for Huntington’s disease: ten years’ experience in two Italian centres. Ital.J.Neurol.Sci., 1998; 19:68-74 14. Milano G.,Bioetica dalla A alla Z,Feltrinelli, Milano, 1997 15. Sgreccia E., Mele V.,(a cura di), Ingegneria genetica e biotecnologie nel futuro dell’uomo, Vita e Pensiero, Milano, 1992 26 16. Sgreccia E., Manuale di Bioetica I-II,Vita e Pensiero, Milano,1999 17. Sutton A., The purpose of medicine and the new genetics. Medicina e Morale,1997;3:503 18. Taruscio D., D’Agnolo G., Linee Guida per Test Genetici. Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità, 1998; vol.11,9: 1-7


pratica clinica

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Quesiti di pratica clinica nella malattia renale cronica (MRC) Sistema Nazionale Linee Guida - Istituto Superiore di Sanità

In quali casi è indicata l’ecografia renale nei pazienti affetti da MRC? Offrire l’ecografia renale a tutti i pazienti affetti da MRC che: 1.Abbiano MRC progressiva ( riduzione del eGRF >5ml/ min/1,73 m2. SC in 1 anno o >10/ml/min/1,73 m2 SC in5 anni) o una MRC stadio 3, 4 o 5. 2. Abbiano micro e macroematuria 3. Abbiano sintomi di ostruzione del tratto urinario. 4. Abbiano una storia familiare di rene policistico ed età superiore a 20 anni. 5. Siano considerati dal nefrologo soggetti che richiedono biopsia renale. Quali soggetti dovrebbero essere valutati per la presenza di MRC? I soggetti da valutare sono con diabete mellito , età avanzata e ipertensione. Raccomandazioni: Monitorare la GFR in soggetti trattati con farmaci nefrotossici come gli inibitori della calcineurina, litio e antinfiammatori. Sottoporre ai test per MRC ai soggetti con almeno un fattore di rischio: 1. Diabete, ipertensione, malattia cardiovascolare, anomalie anatomiche dei reni o delle vie urinarie, calcoli renali o ipertrofia prostatica. Malattie multisistemiche con interessamento renale. Storia familiare ci MRC in stadio 5 o malattia renale ereditaria. Individuazione occasionale di ematuria o proteinuria. Quali fattori possono essere associati a incremento della progressione di velocità della MRC? Secondo le linee guida NICE l’ipertensione, le malattie cardiovascolari, la razza nera o asiatica, il fumo, la proteinuria e il diabete sono confermate nel determinismo del declino della funziona renale. I fattori modificabili di rischio di progressione sono: proteinuria; ipertensione; diabete; fumo; farmaci antinfiammatori, antineoplastici, antiangiogenetici, antivirali, e nefrotossici in genere; ostruzione del tratto urinario inferiore. I fattori non modificabili di progressione sono: Etnia nera o asiatica; malattie cardiovascolari. Quali sono i criteri per inviare il paziente alle cure dello specialista? Le linee guida per l’invio allo specialista sono: 1. identificazione precoce dei soggetti che hanno alte probabilità di dover essere sottoposti a terapia sostitutiva. 2. Necessità di un contributo addizionale alla gestione della MRC ( ipotensione non controllata ecc.) 3. Necessità di un consulto con lo specialista in merito a cause rare o genetiche di MRC. 4. Necessità di accesso a indagini specialistiche ( es. angiografia con RM ecc.). 5. Soggetti con riduzione rapida del GFR e quelli con MRC allo stadio 4 e 5 con o senza diabete. Pazienti con livelli alti di proteinuria.

Nei pazienti con MRC il miglioramento degli stili di vita può rallentare la progressione della malattia? Come risulta dallo studio NICE incoraggiare i pazienti con MRC ad avere astili di vita sani, svolgere attività fisica, raggiungere un peso forma e smettere di fumare consente non solo di proteggere l’apparato cardiovascolare ma anche la funziona renale. Quali interventi sulla dieta sono associati al miglioramento degli esiti renali nei soggetti affetti da MRC? Il controllo dell’apporto di sale e di fosforo una raccomandazione importante nei nefropatici. Laddove sia indicato un intervento dietetico per rallentare la progressione della MRC bisognerebbe sempre valutare i rischi e benefici di una riduzione di proteine nella dieta al fine di scongiurare una malnutrizione proteicacalorica. QUALI SONO I VALORI OTTIMALI PER LA PRESSIONE ARTERIOSA NEI SOGGETTI CON MRC PROTEINURIA/ NON PROTEINURIA, UTILI A RALLENTARE LA PROGRESSIONE DELLA MALATTIA E A RIDURRE I RISCHI DI MORBILITÀ E MORTALITÀ CARDIOVASCOLARE? I valori ottimali sono rappresentati dalla pressione arteriosa sistolica < 130 mmHg e la pressione arteriosa diastolica < 80 mm in pazienti con MRC. In pazienti con MRC e ACR( Rapporto Albumina/Creatinina) > 620/g o PCR( Rapporto Proteinuria/ Creatininuria)> 885mg/g (approssimativamente equivalente a escrezione urinaria di proteine > 1,0 g/24 h) in particolare se diabetici, la pressione arteriosa sistolica deve essere < 125 mm Hg e la pressione arteriosa diastolica < 75 mm Hg. QUANDO E CON QUALE FREQUENZA DOVREBBERO ESSERE TESTATI I LIVELLI DI CALCIO, VIT. D, FOSFATI E PTH NEI SOGGETTI AFFETTI DA MRC? Il monitoraggio dei livelli sierici degli elementi sopra menzionati variano a seconda dello stadio della malattia renale cronica. 1. Nella MRC in stadio 3: calcio e fosforo ogni 6-12 mesi; per il PTH sulla base dei livelli basali e sulla progressione della MRC. 2. Nella MRC in in stadio 4: per calcio e fosforo sierici ogni 3-6 mesi; per il PTH ogni 6-12 mesi. Negli altri stati su prescrizione specialistica nefrologica.


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pillole di pratica clinica 27

Esistono in commercio vari tipi di farmaci equivalenti? Si. Esistono due tipi di farmaci equivalenti: 1. Categoria di farmaci equivalenti con nome di fantasia che rispondono ai requisiti di legge dei generici pur conservando un nome che non ne indica il principio attivo in modo diretto e chiaro. 2. Categoria di farmaci equivalenti con nome di molecola che indicano in maniera diretta e inequivocabile sia il contenuto in termini di principio attivo e dose sia il fatto che si tratti di farmaci generici (medicinale unbrand, comprendente anche perfusionali, galenici ad uso ospedaliero, ecc.).

La neuropatia diabetica è una complicanza frequente nei pazienti diabetici? Si. Pur essendo una condizione frequentemente trascurata, rappresenta una complicanza molto comune e diffusa, potendo coinvolgere ogni distretto corporeo. Rappresenta una importante causa di morbilità con una prevalenza del 5-35%. E’ correlata con la durata della malattia e al livello glicemico. La neuropatia diabetica somatica si manifesta con riduzione della sensibilità, parestesie, dolore e bruciore nella zona colpita. Può essere rilevata dallo specialista e dal MMG con un semplice esame obiettivo ed eventuale EMG.

La pervietà del forame ovale può causare crisi di emicrania con aura? I farmaci equivalenti sono perfettamente uguali ai farmaci di marca originale? No. I farmaci “generici” per definizione sono essenzialmente simili al prodotto di marca originale, ma non perfettamente uguali. Da tale similitudine viene presunta una equivalenza terapeutica, che può verificarsi sia utilizzando degli “equivalenti farmaceutici” (farmaci chimicamente e farmacologicamente uguali all’originale) sia “alternative farmaceutiche” che differiscono dall’originale per la forma chimica della frazione terapeutica (diversa salificazione ecc.) o per la tecnologia farmaceutica impiegata (cp invece di granulato ecc.).

La clearance della creatinina rappresenta il miglior test diagnostico per valutare la funzionalità renale? No. La creatininemia è un indicatore poco sensibile alle variazioni del GFR. Il GRF ( Filtrazione Glomerulo Renale) medio nella popolazione è di 72 ml/min/1,73 m2 SC. La clearance della creatinina molto usata nella pratica clinica presenta delle limitazioni (inaccurata raccolta delle urine) per cui è preferibile utilizzare una delle due formule: 1. Formula MDRD e Formula di Cockroft. La prima presenta buone performance per valori di GFR > 15 e < 60, mentre la seconda è più affidabile per valori di GFR>60 e < 90.

Si. La persistenza del forame ovale nella popolazione generale asintomatica è presente nel 25-45% v dei soggetti con stroke criptogenetico. Gli studi dimostrano che esiste una correlazione tra emicrania con aura e forame ovale e che ha un ruolo determinante la dimensione del forame ovale, infatti un forame molto piccolo non ha un significato clinico e non necessita di chiusura. Di fronte a un sospetto gli esami per la diagnosi sono l’esame doppler transcranico ed eventualmente l’ecocardiogramma trans esofageo. In presenza di forame ovale il quesito che si pone è se operare la chiusura o meno. Molte sono le controversie al riguardo e la scelta è di competenza specialistica. Il MMG ha un ruolo importante nell’individuare i pazienti emicranici con aura per poterli indirizzare al centro specialistico di riferimento.

HCV e epatocarcinoma: è possibile fare una diagnosi precoce? Si. L’infezione cronica da virus C ha un decorso molto variabile e spesso imprevedibile e non sempre progressivo e grave. Circa l’80% delle persone esposte al virus sviluppano un’infezione cronica. Il 20-30% di questi pazienti dopo un tempo di infezione medio di 10-20 anni manifesta cirrosi epatica responsabile di un elevato rischio di carcinoma epatico (20-30 volte superiore). Tali soggetti devono essere seguiti regolarmente con indagini appropriate per monitorare l’andamento della malattia e rilevare la comparsa di complicanze (ascite, carcinoma epatico ecc.). Il MMG ha il compito di sostenere il paziente durante tutto il percorso della malattia e facilitare l’adesione al follow-up proposto dallo specialista. Solo in questo modo è possibile individuare la comparsa della complicanza più temibile che porta a morte il paziente.


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Documento FNOMCeO

sulle criticità della Formazione Specifica in Medicina Generale Sett. 2012

Facendo seguito alla mobilitazione dei giovani colleghi in Formazione Specifica in Medicina Generale, la FNOMCeO si è adoperata perché fosse individuato un tavolo presso il Ministero della Salute per dare risposte ai problemi sollevati. Il Ministero ha istituito un tavolo tecnico di cui fanno parte, in rappresentanza della FNOMCeO i dottori Guido Marinoni e Roberto Stella. Sulla base del dibattito svolto in Comitato Centrale è stato redatto un documento che costituirà il punto di riferimento dell’azione della FNOMCeO sul tema. Nel documento si elencano i problemi da risolvere per arrivare a un riordino della materia che l’Europa stessa ci impone «per consentire la libera circolazione degli specialisti e il reciproco riconoscimento dei titoli di studio». E’ evidente che è prioritario la necessità di assicurare alla formazione in Mg contenuti «adeguati all’attuale contesto sociosanitario, per saper affrontare e rispondere appropriatamente alla mutata domanda di salute e alle corrispondenti esigenze del Sistema Sanitario Nazionale». Il medico, quindi, dovrà essere formato per «svolgere la propria attività all’interno della rete dei servizi», in coerenza con quell’approccio multi professionale e multidisciplinare che ha già trovato enunciazione nel riordino delle Cure primarie. I processi didattici, quindi, andranno imperniati su attività seminariali e pratiche (formazione sul campo), nell’ambito di un processo formativo da governare attraverso lo strumento dei crediti formativi (secondo un rapporto di un punto ogni 25 ore di attività del discente) in modo da «programmare un percorso di valutazione corretto, onesto, concreto, oggettivo». Infine di notevole importanza è capitolo delle criticità ne lpercorso formativo che vanno assolutamente corrette. Criticità del sistema formativo attuale del Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale Dalle ricerche epidemiologiche emergono alcune criticità che l’assetto attuale del Corso di Formazione non consente di valorizzare all’accesso e/o nei percorsi formativi chi, avendo una “vocazione” per la medicina Generale, dispone di titoli quali tirocini universitari presso Medici di Medicina Generale,

oltre a quelli obbligatori, tesi di laurea in Medicina Generale; permette di partecipare all’area della medicina generale, partecipazione a corsi e congressi di medicina generale, pubblicazioni di medicina generale; permette di partecipare all’area della medicina generale a tutti coloro che pur avendo una “vocazione ospedaliera” non riescono ad accedere alla specializzazione per la quale si sono preparati e accedono alla medicina generale grazie al superamento di un test prevalentemente clinico e non attitudinale. Molti di questi colleghi ritentano il concorso di specializzazione gli anni successivi e in caso di superamento lasciano “vacanti” posti che volentieri avrebbero occupato medici con la vocazione della medicina generale, andando anche a interferire con la programmazione sanitaria riferita alle future carenze territoriali; non prevede una seria programmazione sanitaria essendo i numeri di medici formati insufficienti in alcune aree del paese e in esubero in altre. E’ necessario inoltre prendere atto di altri aspetti critici sotto il profilo del trattamento economico e di criticità rilevanti sotto il profilo formativo e normativo. E’ evidente la disequità del trattamento fiscale, che penalizza i medici del corso di formazione specifica in medicina generale rispetto all’attività analoga svolta dagli specializzandi in altre discipline mediche, così come è evidente la disequità del relativo trattamento economico, aggravata, in alcune Regioni, da inammissibili ritardi nella corresponsione delle già esigue risorse, associati a incomprensibili rigidità applicative di un iniquo regime di incompatibilità. La problematica, sollevata dai corsisti, del riconoscimento del titolo di specializzazione, come avviene nella maggior parte dei paesi europei, che condividono con il nostro paese la normativa sulla libera circolazione di tali professionisti, potrebbe


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29 trovare in prospettiva, la sua soluzione nei Dipartimenti Regione Università, già previsti nel documento dell’Osservatorio istituito presso il Ministero della Salute e in attesa di recepimento. In tale documento, tra l’altro, sono ricomprese numerose proposte di intervento sul curriculum formativo, che si propongono di ovviare alla disomogeneità presente nelle scuole delle diverse Regioni e di migliorare significativamente il percorso degli specializzandi. La FNOMCeO richiede, pertanto, che il tavolo promosso sul tema dal Ministro della Salute, con l’auspicata presenza e il contributo anche dei rappresentanti degli stessi professionisti interessati, possa rapidamente affrontare i temi di ordine didattico e organizzativo, ponendo le premesse per un efficace intervento di riordino da parte del Ministero.

Farmaci equivalenti. Nuove regole prescrittive Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica. A) Le nuove modalità prescrittive previste dal comma 11-bis dell’articolo 15 del decreto-legge n.95/2012 riguardano soltanto i casi in cui ricorrono entrambe le seguenti condizioni: 1. il paziente è curato per la prima volta per una patologia cronica o è curato per un nuovo episodio di patologia non cronica mediante l’impiego di un determinato principio attivo; 2. esistono sul mercato più medicinali equivalenti a base del principio attivo scelto dal medico per il trattamento. Quando ricorrano queste condizioni, il medico DEVE prescrivere il medicinale mediante l’indicazione del suo principio attivo. In aggiunta a questa indicazione obbligatoria, il medico HA FACOLTA’ di indicare il nome di uno specifico medicinale a base di quel principio attivo (sia esso un medicinale “di marca” o un medicinale con denominazione generica, costituita dalla denominazione comune internazionale o scientifica, accompagnata dal marchio o dal nome del titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio). Pertanto, nei casi sopra descritti, la ricetta risponde alle previsioni di legge se indica: a) il solo principio attivo; b) il principio attivo + il nome di un medicinale a base di tale principio attivo.

Non è conforme a legge la ricetta che, nei casi descritti, indichi soltanto il nome di uno specifico medicinale. B) Anche nei casi descritti nella lettera A il medico può rendere vincolante la prescrizione di uno specifico medicinale (che egli dovrà comunque scrivere in ricetta, per quanto detto, in aggiunta al principio attivo e mai da solo), quando lo ritenga non sostituibile per la cura del paziente, così come già previsto dall’articolo 11, comma 12, del decretolegge n. 1/2012. In tale ipotesi, però, la clausola di non sostituibilità deve essere obbligatoriamente accompagnata da una sintetica motivazione. Tale motivazione non potrà in nessun caso fare riferimento alla presunta o dichiarata volontà del paziente né riferirsi, tautologicamente, a generiche valutazioni di ordine clinico o sanitario, ma dovrà, sia pur succintamente, indicare le specifiche e documentate ragioni che rendono necessaria la somministrazione al paziente di quel determinato medicinale, anziché di un altro ad esso equivalente (ad esempio, accertata intolleranza del paziente a determinate sostanze

comprese fra gli eccipienti di altri medicinali a base dello stesso principio attivo). L’assenza della motivazione, così come la presenza di una motivazione inidonea, rende la ricetta non conforme a legge. C) Nei casi diversi da quelli descritti alla lettera A (e cioè in tutti i casi in cui si debba continuare una terapia già in atto per il trattamento di una patologia cronica o non cronica), non trovano applicazione la disposizione dell’obbligatoria indicazione del principio attivo e le correlate disposizioni del comma 11-bis dell’articolo 15 del decretolegge 95. In simili ipotesi, pertanto, il medico potrà prescrivere uno specifico medicinale. Naturalmente, anche in questo caso, pur in assenza di una puntuale previsione normativa al riguardo, egli potrà limitarsi a indicare il solo principio attivo, quando ritenga che questa modalità sia idonea al raggiungimento dello scopo terapeutico che intende perseguire.


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Il disturbo bipolare Ubaldo Loiero Medico di Famiglia - Aosta

Una condizione clinica spesso sottovalutata che può comportare notevoli danni alla vita familiare e al contesto sociale in cui il paziente vive. CASE REPORT Il disturbo bipolare è malattia genetica a trasmissione autosomica dominante la cui frequenza nella popolazione generale appare sottostimata poiché “finiscono” nelle statistiche solo i pazienti talmente gravi da dover essere ricoverati in ospedale. STORIA CLINICA C. di aa 53, appare un caso esemplare in quanto perfettamente rispondente ai criteri diagnostici del DSM che definisce l’episodio maniacale come “un periodo distinto in cui il tono dell’umore.... è innalzato, espansivo o irritabile e vi sono associati sintomi della sindrome maniacale tra cui iperattività, logorrea, fuga delle idee, eccessiva autostima,minor necessità di sonno....coinvolgimento in attività dalle conseguenze negative”. Familiarità per malattie mentali. Il padre 86enne è affetto da disturbo bipolare (la vecchia “psicosi maniacodepressiva”) con frequenti scompensi in senso maniacale (“sono IO! il più grande architetto mai vissuto!”). Dopo qualche sporadico segno premonitore, a partire dall’estate 2003 si sono andati strutturando veri e propri “clusters” di comportamenti contrassegnati da “sovraesposizione” su tutti i versanti da quello economico-finanziario a quello sociale a quello sentimentale, ecc. ed esplosi definitivamente, dopo circa quattro anni, a seguito di un lutto in famiglia (la perdita di una persona cara è tipicamente indicata come “fattore scatenante”). Gli Autori anglosassoni parlano di “esaltazione” per indicare tali comportamenti “sopra le righe” che noi definiamo, a seconda dell’intensità “ipomaniacali” o francamente “maniacali”. I riflessi sul comportamento del disturbo bipolare vengono a configurare una delle tante “situazioni di frontiera” fra ciò che ricade in ambito medico ed è quindi suscettibile eventualmente di trattamento e ciò che, pur non essendo medico, viene “medicalizzato”. In altre parole è, quella del disturbo bipolare, problematica di confine fra ciò che -seppure inconsueto- è ancora normale e ciò che è invece francamente patologico. Viene spesso addirittura

invocato - dal paziente o dall’entourage familiare - il concetto di LIBERTA’. Libertà per il paziente di agire determinati comportamenti che ai più appaiono strani, in quanto inconsueti, ma che il p. tende a presentare come “normali” o addirittura “geniali”. Tutto ciò rende sempre più ardua la sua vita di relazione (“confrontarsi con il p. bipolare nel corso di un episodio ipomaniacale scompensato, non è difficile, è semplicemente impossibile!!”). La nostra C. si isola dunque sempre più sul lavoro e in famiglia, chiede la separazione dal coniuge arrivando ad accusarlo dei comportamenti più inverosimili nei confronti propri e altrui. Diventa sempre più irascibile e “dirigista”, “tu fai questo, io faccio quello, perché così è giusto e basta!!”. Non lascia più spazio al libero contraddittorio. Nessuno può contrariarla (anche perché nessuno la capisce, nessuno - o quasi - capisce i problemi che ha lei, solo lei). Dilapida quantità ingenti di denaro, accusando altri di tali sprechi. Fortunatamente accetta di sottoporsi, di tanto in tanto, a consulenze psichiatriche e alla valutazione dei dosaggi plasmatici degli “stabilizzatori dell’umore” prescrittile dalla psichiatra. Sintomi Disturbi soggettivi il p. maniacale non ne ha. Semmai riferisce i comportamenti che gli vengono contestati alle costrizioni esterne sul suo comportamento e alle richieste degli altri di adattare il suo comportamento alle aspettative della società. Talvolta, come nel caso di questa p. sono presenti allucinazioni o deliri paranoidi o persecutori. ESAME OBIETTIVO I rilievi obiettivi sono più che altro incentrati sulle sconcertanti variazioni comportamentali, spesso purtroppo osservabili solo dai familiari che le vivono accanto, in quanto notoriamente questi soggetti “si tarano” a seconda dell’interlocutore del momento.


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31 Appare decisamente “tirata in volto”, l’eloquio è caratterizzato da una franca logorrea repentinamente trasformabile in urlo non appena avverte odore di difformità dalle sue opinioni, conduce una vita frenetica per intensità di ritmi e molteplicità di risibili iniziative, telefona ad amici e conoscenti a tutte le ore del giorno e della notte per motivi men che banali. DIAGNOSI La diagnosi è basata, oltre che sulla conoscenza dell’esistenza di patologie psichiatriche geneticamente trasmissibili in ambito familiare, sul rilievo di un netto e repentino cambiamento delle funzioni inerenti la “vita di relazione” in età ancora relativamente giovane. Il test genetico dimostrante l’alterazione cromosomica specifica non è ancora sufficientemente validato e diffuso.

tali p. vanno considerati come pienamente capaci di intendere e volere, anche se in realtà molto spesso non lo sono. Conclusioni e considerazioni Il disturbo bipolare, lungi dall’essere completamente chiarito nei suoi meccanismi patogenetici e nei suoi risvolti terapeutici attrae l’attenzione dei ricercatori, ma anche dei familiari dei pazienti (e non solo) per due motivi: 1. per la possibilità di prevenzione (qualora fosse adeguatamente sviluppato l’aspetto genetico) dei terribili danni provocati al contesto familiare 2. per il devastante impatto sociale che questi pazienti qualora non curati, possono produrre occupando cariche pubbliche.

Laboratorio E’ utile per il follow-up delle variazioni plasmatiche dei farmaci adoperati nel tentativo di ridurre le gravi conseguenze dei periodi di esaltazione (anticonvulsivanti/stabilizzatori dell’umore) Terapia In fase acuta farmaco di scelta continua ad essere l’alloperidolo. l Sali di litio vengono anche utilizzati ma non hanno molta fortuna nella pratica clinica per la necessità di frequenti dosaggi del tasso plasmatico. Antimaniacali in senso lato sono i farmaci sopra citati ma di fondamentale importanza è la stretta vigilanza dello Specialista Psichiatra, soprattutto in funzione della valutazione di una possibile evoluzione psicotica, tenendo anche conto di tutte le variabili individuali (contesto sociale, familiarità, occupazione, influenze ormonali soprattutto menopausali). Ogni terapia va tarata sul singolo paziente e, in questi pazienti la compliance è estremamente difficile da ottenere senza scivolare in quelle che il p. definisce “violazioni della libertà individuale”. In assenza di chiare regole sui limiti del consenso,

Disturbo Bipolare Colto nella sua fase di stato, l’episodio maniacale è definito dal DSM-IV-TR come: A. Un periodo definito di umore anormalmente e persistentemente elevato, espansivo od irritabile, della durata di almeno una settimana (o di qualsiasi durata se è necessaria l’ospedalizzazione). B. Durante il periodo di alterazione dell’umore, tre (o più) dei seguenti sintomi sono stati persistenti e presenti a un livello significativo (quattro se l’umore è solo irritabile): • autostima ipertrofica o grandiosità; • diminuito bisogno di sonno (per es., si sente riposato dopo solo 3 ore di sonno); • maggiore loquacità del solito, oppure continua spinta a parlare; • fuga delle idee o esperienza soggettiva che i pensieri si succedano rapidamente; • distraibilità (cioè, l’attenzione è troppo facilmente deviata da stimoli esterni non importanti o non pertinenti); • aumento dell’attività finalizzata (sociale, lavorativa, scolastica o sessuale) oppure agitazione psicomotoria;

eccessivo coinvolgimento in attività ludiche che hanno un alto potenziale di conseguenze dannose (per es., eccessi nel comprare, comportamento sessuale sconveniente, investimenti in affari avventati). C. I sintomi non soddisfano i criteri per l’episodio misto. D. L’alterazione dell’umore è sufficientemente grave da causare una marcata compromissione del funzionamento lavorativo o delle attività sociali abituali o delle relazioni interpersonali o da richiedere l’ospedalizzazione per prevenire danni a sé o agli altri, oppure sono presenti manifestazioni psicotiche. E. I sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco o altro trattamento) o di una condizione medica generale (per es., ipertiroidismo). La mania è una sindrome di eccitamento affettivo endogeno, caratterizzata dall’esaltazione morbosa, pervasiva, protratta ed altrimenti ingiustificata, di sentimenti vitali ed emozioni, nonché delle pulsioni istintive. Un tale stato patologico si associa tipicamente ad un senso di autostima ipertrofica, di ottimismo e di facilità nel perseguimento dei propri obiettivi, che sottendono sentimenti di sicurezza e di potenza, spesso clamorosamente ostentati. Tuttavia, piuttosto che dall’euforia, l’umore espanso è contraddistinto da un aspecifico ampliamento della risonanza affettiva e dalla labilità emotiva ovvero da una sostanziale instabilità dell’umore. •


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I BENEFICI DELLA FRUTTA Antonietta Buo Laurea in Scienze e Tecnologie Alimentari

La frutta rappresenta un alimento essenziale della dieta mediterranea per l’elevato contenuto di vitamine ad azione antiossidante in grado di rallentare i processi di invecchiamento delle nostre cellule. La frutta è un alimento indispensabile all’organismo umano, perché gli fornisce vitamine, sali minerali e la benefica cellulosa, che facilita le funzioni intestinali. Caratterizzata da una grande scarsità di proteine, modeste quantità di glicidi e assenza di lipidi. La frutta regola l’equilibrio acido-base del sangue, ossia neutralizza l’eccesso di acido causato dai cibi di origine animale. E’ ricca di potassio e povera di sodio, contiene zuccheri prontamente utilizzabili dall’organismo. Sotto la buccia poi c’è una miniera di vitamine, minerali e fibre, tutti indispensabili per la salute dell’organismo. Tranne che in pochissimi casi, non contiene proteine e grassi. Dunque è un alimento da utilizzare in tutte le stagioni. Fanno eccezione le castagne e la frutta secca che contengono proteine e lipidi in quantità apprezzabile, e soprattutto glicidi. Nella frutta le vitamine sono sempre presenti, ma in numero e in quantità più o meno rilevanti ad esempio: • di vitamina A sono ricche le ciliegie, le pesche, le albicocche; • di vitamina B, e B2 l’uva, le arance, le ciliegie, le pesche, le mele, le pere, le fragole, le susine; • di vitamina C i limoni, i pompelmi, le arance, le fragole , mentre il ribes nero e la mela cotogna ne contengono in maggior misura, tanto che possono essere indifferentemente consumati cotti o crudi, poiché la cottura non ne modifica il contenuto. Per ciò che riguarda i sali minerali, nella frutta in genere essi sono abbondanti, e il potassio prevale di gran lunga sul sodio, sul calcio, e sul magnesio. L’albicocca e la banana sono particolarmente ricchi di potassio (400 mg per 100 g); le ananas contengono molto manganese (1 mg). Gli acidi organici (citrico, tartarico, malico, ossalico, ecc.) che conferiscono a molta frutta il suo caratteristico e gradevole sapore acidulo, vengono facilmente ossidati dall’orga-

nismo e non hanno un azione acidificante ma alcalinizzante che può contribuire a combattere la formazione e a favorire l’eliminazione degli acidi originali da alimenti come carne, formaggio, uova, pane e pasta. La frutta, come gli ortaggi, contiene una notevole quantità di zavorra (cellulosa) che ha una benefica azione di stimolo, oltre ad essere dissetante, offre un notevole apporto di tutti i sali minerali che vengono dissipati con la traspirazione: Cerchiamo perciò di consumare frutta più fresca raccogliendola, se possibile, direttamente dalle piante o acquistandola da chi la ha appena colta. Ricordiamoci inoltre che possiamo conservare a lungo il valore nutritivo di molta frutta surgelandola per poi consumarla d’inverno. La composizione chimica dei frutti dipende dal tipo di frutta e la sua maturazione. • Acqua: più dell’ 80% e del 90% della composizione del frutto è acqua. • Carboidrati: tra il 5% e il 18% della frutta è costituita da carboidrati. Il contenuto può variare dal 20% nella banana fino al 5% nel melone, anguria e fragole. Altri frutti hanno una media del 10%. Il contenuto di carboidrati può variare a seconda delle specie e anche a seconda del momento della raccolta. - Fibra: Circa il 2% del frutto è di fibre alimentari. I componenti di fibre vegetali che possiamo trovare nella frutta sono prevalentemente pectina e emicellulosa. La buccia del frutto è quella con la più alta concentrazione di fibre , le fibre solubili come la pectina gelificante o la forma di miscele di acqua viscoso. La viscosità dipende dal frutto da cui proviene e il grado di maturazione. - Vitamine: Come carotene, vitamina C , vitamine del gruppo B. - Calorie: Il potere calorifico è determinata dalla sua concentrazione di zucchero, compresi tra il 30-80 kcal/100 g.


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Avendo un alto valore di lipidi hanno un elevato valore energetico di 200 Kilocaloría/100grammi. - Proteine e Grassi: composti azotati come proteine e lipidi sono scarse nella parte commestibile di frutti, mentre importanti nei semi di alcuni di loro. Così il contenuto di grasso varia tra lo 0,1 e lo 0,5%, mentre la proteina può essere compreso fra 0,1 e 1,5%. - Profumi e Pigmenti:. Il sapore di ogni frutto è determinato dal loro contenuto di acidi, zuccheri e altri aromi. L’ acido malico predomina nella mela, l’ acido citrico in arance, limoni e mandarini e acido tartarico in uva. La frutta in base alla sua composizione può essere classificata in: - acidula: arance, limoni, cedri, mandarance; - acidula-zuccherina: mele, pere, albicocche, pesche; - zuccherina: banane, fichi, datteri, ananas, kaki; - oleosa: noci, mandorle, pinoli; - amidacea: castagne e arachidi. L’aroma e il profumo della frutta sono dovuti alla presenza di minime quantità di sostanze povere di valore alimentare, ma avente un’ottima azione benefica, giacché stimola l’appetito e, per certi aspetti, facilita la digestione. Nella frutta sono contenute quantità variabili di cellulosa, pectina ed emicellulosa queste sostanze stimolano la peristalsi intestinale, favorendo così la pulizia dell’intestino. <<Esiste un’ unità inscindibile fra psiche e corpo, per pensare meglio dobbiamo alimentarci meglio>> (Féuerbach, 1862) In realtà, solo il possesso di competenze mediche specifiche può consentire di identificare situazioni oggettive di accanimento terapeutico nella pratica clinica, al di là del diritto soggettivo del rifiuto delle cure. Per accanimento terapeutico, si intende, infatti, “l’utilizzo, nella pratica clinico-assistenziale, di mezzi e trattamenti

medici particolarmente gravosi che impongono al paziente sofferenze e disagi maggiori dei benefici che se ne possono trarre e, quindi, nell’impiego di terapie mediche o chirurgiche, eccetto le cure ordinarie (di sostegno vitale), sproporzionate in rapporto ai risultati prevedibili” . Infine, molti frutti contengono acidi organici (come l’acido citrico nel limone), che stimolano le secrezioni salivari e gastriche, migliorando cosi la digestione di cibi ad alto contenuto di amido (pane, pasta, riso, patate) e proteine (carne, pollame, pesce, uova, latte e prodotti lattiero-caseari). Effetti benefici sulla salute Una dieta ricca in frutta ed ortaggi è protettiva e può ridurre i rischi di infarto e verso altre malattie cardiovascolari. Ha un’azione protettiva e può ridurre i rischi verso il diabete, alcuni tipi di tumore, come la bocca, allo stomaco ed al colon. Una dieta ricca in alimenti contenenti fibra, quali la frutta e gli ortaggi, riduce il rischio verso le malattie coronariche. Consumare frutta ed ortaggi ricchi in potassio è benefico e riduce il rischio verso le calcolosi ai reni e l’osteoporosi. Una dieta ricca in alimenti quali la frutta, che generalmente contiene poca energia per porzione, aiuta a ridurre l’apporto calorico complessivo della razione quotidiana. bibliografia 1.Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione Manuale di sorveglianza nutrizionale 2003 2. Carlo Vergani. L’alimentazione nelle diverse età - Istituto Danone 3. Carboidrati e fibra alimentare - Società Italiana di Nutrizione Umana (1996).


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Cure primarie

via alle aggregazioni tra professionisti per coprire l’intero arco della giornata - H24 Testo del Decreto Legge “Balduzzi” settembre 2012 recante disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del paese mediante un più alto livello di tutela della salute.

Capo I-Norme per la razionalizzazione dell’attività assistenziale Art. 1 1. b) ...b-bis) nell’ambito dell’organizzazione distrettuale del servizio, garantire l’attività assistenziale per l’intero arco della giornata e per tutti i giorni della settimana, nonché un’offerta integrata delle prestazioni dei medici di medicina generale, dei pediatri di libera scelta, della guardia medica, della medicina dei servizi e degli specialisti ambulatoriali, adottando forme organizzative mono professionali (aggregazioni funzionali territoriali) che condividono, in forma strutturata, obiettivi e percorsi assistenziali, strumenti di valutazione della qualità assistenziale, linee guida, audit e strumenti analoghi, nonché forme organizzative multi professionali (unità complesse di cure primarie) che erogano prestazioni assistenziali tramite il coordinamento e l’integrazione dei professionisti delle cure primarie e del sociale a rilevanza sanitaria; b ter) prevedere che per le forme organizzative multi professionali le aziende sanitarie possano adottare forme di finanziamento a badget; b-quater) definire i compiti, le funzioni ed i criteri di selezione del referente o del coordinatore delle forme organizzative previste alla lettera b-bis); b-quinquies) disciplinare le condizioni, i requisiti e le modalità con cui le regioni possono provvedere alla dotazione strutturale, strumentale e di servizi delle forme organizzative di cui alla lettera b-bis) sulla base

di accordi regionali e/o aziendali; b-sexies) prevedere la modalità attraverso le quali le aziende sanitarie locali, sulla base della programmazione regionale e nell’ambito degli indirizzi nazionali, individuano gli obiettivi e concordano i programmi di attività delle forme aggregative di cui alla lettera b-bis) e definiscono i conseguenti livelli di spesa programmati, in coerenza con gli obiettivi e i programmi di attività del distretto, anche avvalendosi di quanto previsto nella lettera b-ter); bsepties) prevedere che le convenzioni nazionali definiscano standard relativi all’erogazione delle prestazioni assistenziali, all’accessibilità ed alla continuità delle cure, demandando agli accordi integrativi regionali la definizione di indicatori e di percorsi applicativi; 2. Le regioni disciplinano le unità complesse di cure primarie privilegiando la costituzione di reti di poliambulatori territoriali dotati di strumentazione di base, aperti al pubblico per tutto l’arco della giornata, nonché nei giorni prefestivi e festivi con idonea turnazione, che operano in coordinamento e in collegamento telematico con le strutture ospedaliere, nonché prevedendo, sulla base della convenziona nazionale, la possibilità della presenza di personale esercente altre professioni sanitarie già dipendente presso le medesime strutture, in posizione di comando ove il soggetto pubblico incaricato dell’assistenza territoriale sia diverso dalla struttura ospedaliera.


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waiting Room

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POLLO ALLE PRUGNE A cura di Chiara D’Errico

Nasser Ali, grande violinista di Teheran, decide di lasciarsi morire. Apparentemente tutto scaturisce da un violino rotto, ma negli otto giorni che passa disteso aspettando la morte, veniamo a sapere quali sono i veri motivi per cui la sua musica è perduta. Marjane Satrapi, conosciuta dai più per quel gioiellino di animazione che era Persepolis, ha sceneggiato insieme a Vincent Paronnaud un film che rimane vicino al suo predecessore, ma allo stesso tempo se ne discosta sensibilmente. Non più animazione, ma veri attori in carne e ossa (un bravissimo Mathieu Amalric), ma lo stesso stralunato ambiente, la stessa sensazione di sogno che ci accompagna, con una serie di lunghe parentesi, attraverso la vita di Nasser Ali. E allora assistiamo... Marjane Satrapi, conosciuta dai più per quel gioiellino di animazione che era Persepolis, ha sceneggiato insieme a Vincent Paronnaud un film che rimane vicino al suo predecessore, ma allo stesso tempo se ne discosta sensibilmente. Non più animazione, ma veri attori in carne e ossa (un bravissimo Mathieu Amalric), ma lo stesso stralunato ambiente, la stessa sensazione di sogno che ci accompagna, con una serie di lunghe parentesi, attraverso la vita di Nasser Ali. E allora assistiamo alla sua infanzia e al suo amore perduto

fino a scoprire, in una scena carica di pathos e poesia, il vero motivo della sua decisione, sempre accompagnati dalla voce ironica, un po’ amara, di Azrael, l’Angelo della Morte. Si ha sempre l’impressione di trovarsi in un sogno, guardando Pollo alle Prugne, e spesso ci si chiede se effettivamente ci si riuscirà a risvegliare, se non basta davvero che tua moglie, mai amata, ti cucini il tuo piatto preferito per poter dimenticare. Il violino di Nasser Ali è malinconico, sembra stridere fin dentro le ossa di chi guarda, riempie di malinconia e tristezza, finché alla fine non si capisce che, forse, è troppo tardi per potersi svegliare davvero. Sempre in bilico tra poesia, romanticismo malinconico e spiccata ironia, con una fotografia e una regia che confondono reale e immaginario, Pollo alle Prugne è una favola agrodolce, di quelle che quando si accendono le luci, o si spegne la TV, lascia la sensazione di aver visto qualcosa di indelebile. GENERE: Commedia, Drammatico REGIA: Marjane Satrapi, Vincent Paronnaud SCENEGGIATURA: Marjane Satrapi, Vincent Paronnaud ATTORI: Mathieu Amalric, Jamel Debbouze, Golshifteh Farahani, Edouard Baer, Chiara Mastroianni, Isabella Rossellini, Eric Caravaca, Maria de Medeiros


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Congresso 37

Un’sperienza congressuale da non perdere, un’occasione per presentare i lavori di ricerca in medicina generale

Leonida Iannantuoni Docente Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale

Anche quest’anno la Scuola di Formazione della provincia di Foggia ha avuto l’onore di partecipare al Wonca Europe, il congresso, a livello continentale, che richiama il maggior numero di partecipanti da tutto il mondo. Numerosi sono i medici partecipanti e i lavori scientifici presentati dalle varie scuole : • 2700 congressisti; • 79 nazioni diverse rappresentate; • 1058 abstract proposti; • 925 abstracta accettati; • 595 poster presentati. Il livello della Scuola di Foggia è testimoniato, dall’aver presentato ed esposto sei poster di ricerca in Medicina Generale n cui erano evidenziati e illustrati risultati delle tesi sperimentali dei giovani colleghi specializzandi all’ultimo anno . Abbiamo rappresentato l’1% dei poster che, assieme all’Ospedale Militare di Ankara, ove ha sede una Scuola di Medicina di Famiglia, rappresenta la migliore performance del congresso. Da diversi anni la scuola di Foggia ha intrapreso un percorso formativo per i giovani specializzandi per far acquisire le conoscenze e le competenze per fare ricerca. A tale scopo sono stati attivati diversi “laboratori” di cui uno dedicato alla ricerca per produrre le tesi di fine corso. I laboratori sono organizzati dai coordinatori del corso di forma-

zione specifica in medicina generale con la collaborazione dei docenti e dei tutor del corso stesso. I laboratori possono organizzare seminari di approfondimento monotematici e corsi di formazione riservati agli specializzandi o progettare ricerche che riguardano l’attività della medicina generale. I laboratori possono intraprendere contatti e collaborazioni con l’università e istituzioni pubbliche o private per collaborare a progetti formativi e di ricerca di interesse comune. Le attività sono sostenute dai docenti e tutor che aderiscono al progetto. Rappresentano momenti di approfondimento di temi trattati durante il corso istituzionale o che rivestono particolare interesse per la pratica della medicina generale. Offrono una opportunità importante allo specializzando per comprendere in maniera più completa e approfondita alcune tematiche che sono determinanti per poter svolgere con professionalità la futura attività di medico di medicina generale. Le attività dei laboratori consentono allo specializzando di svolgere un’esperienza formativa più vicina alla pratica e di poter interagire costruttivamente con lo staff docente per una esperienza che sia di crescita comune. La partecipazione degli specializzandi alle attività dei laboratori consente, inoltre, con l’aiuto dei docenti, di poter decidere l’argomento da sviluppare per la tesi finale a completamento del percorso didattico formativo.


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POSTER

CORSO DI RMAZIONE FOR SPECIFICA IN MEDICINA M GEN NERALE Prov vincia di Foggia a www.formazionespfg.itt

WONCA W EU UROPE

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20 012 VIENNA

Lavori di ricerca preseentati al Woncaa 2012

Poster

Mediciina di Famiglia Laboratorri

Ricerche


agenda

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NEXT MEETING I PROSSIMI EVENTI

Ottobre 2012

40° Giornate Mediche Daune. L’etica medica: un confronto a più voci sui valori e scelte in medicina 4-5-6 Ottobre Foggia Ordine dei Medici e degli Odontoiatri della provincia di Foggia www.omceofg.it 1° Congresso Regionale SIICP Puglia. La gestione dei problemi cronici nelle cure primarie Competenze, strumenti, organizzazione 5-6 ottobre Hotel Petraria Cannole (Lecce) 67° Congresso nazionale Fimmg 1 - 6 ottobre 2012 Villasimius (CA) – Tanka Village 13° Congresso Nazionale della Pneumologia 03-6 Ottobre 2012 Centro Congressi Le Ciminiere (CT) 29° Congresso Nazionale della Società Italiana di Ipertensione Arteriosa 04-6 Ottobre 2012 Rome Cavalieri (RM) La valutazione multidimensionale: indicatore nella cura del paziente geriatrico 12/10/2012

Ospedale Generale Regionale ‘f. Miulli’ Santeramo Km 4,100 - 70021 Acquaviva Delle Fonti - Bari Convegno nazionale sul dolore - il dolore evitabile 11-12 Ottobre 2012 – Venezia Auditorium Padiglione Rama, Ospedale Dell’angelo Di Mestre Via Paccagnella 11, 30174 Mestre (Ve) Bilanci e prospettive dell’oncologia in Puglia Istituto dei Tumori “Giovanni Paolo II” 19 ottobre 2012 – Bari Prevenzione e gestione delle nefropatie croniche. Integrazione tra ospedale e medicina generale. IRCCS - Casa Sollievo della Sofferenza (Fg) 20 ottobre San Giovanni Rotondo (Foggia) 27 ottobre Rodi Garganico (Foggia) La malattia di alzheimer: la memoria “nascosta” tra saperi diversi e idee di cura 26 ottobre 2012 - Roma Aula Mancini” Direzione Generale INPS. Via Ciro il Grande, 21 XI Festa del Medico di Famiglia. Mostra convegno” i 100 anni del medico di famiglia. Percorso storico culturale. 10 novembre Ordine dei Medici e degli Odontoiatri della provincia di Foggia


AGENDA

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Novembre 2012

Problemi in medicina interna: l’ipertensione arteriosa. Linee guida - protocolli - procedure - documentazione clinica 09 Novembre 2012 - Cosenza XI Festa del Medico di Famiglia. Mostra convegno” i 100 anni del medico di famiglia. Percorso storico culturale. 10 novembre Ordine dei Medici e degli Odontoiatri della provincia di Foggia Congresso Mondiale. Associazione mondiale di riabilitazione psicosociale. 10-13 Novembre 2012 – Milano MIC Milan Convention Centre Pad. 17 XVI Congresso SIPeM. Ricercare, apprendere, curare. 14-17 Novembre 2012 Garda (Verona) Sport hotel Olimpo Congresso della Società Italiana di allergologia e Immunologia clinica. Sezione Appulo Lucana. Progressi in allergologia ed immunologia clinica 15-17 Novembre Foggia Aula Magna Università di Foggia SIICP-Oncology for Primary Care. Ca polmonare, Ca gastric e GIST 16-17 Novembre 2012 – Bari Ospedale S. Paolo U.O. Oncologia Medica

29° Congresso Nazionale Simg. 22-24 Novembre 2012 - Firenze Palazzo dei Congressi 4° Congresso Nazionale Aiom 27-29 Ottobre 2012 Marriott Park Hotel (RM)

Dicembre 2012 1° Congresso della Capitanata. La Medicina Legale. Risvolti nel setting della primary Care. La responsabilità professionale in sanità. 14-15 Dicembre 2012 – Foggia Ordine dei Medici e degli Odontoiatri della provincia di Foggia 73° congresso Nazionale della Società Italiana di Cardiologia Rome Cavalieri (RM) 15-17 dicembre 2012 Corso di Perfezionamento “ Didattica in Medicina Generale/di Famiglia. Teorie, Strumenti, Metodi”. Gennaio 2012. Università degli Studi di Foggia. www.unifg.it, per l’iscrizione 0881-338312 altaformazione@unifg.it


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