Museo dell’Opera del Duomo Sabato 9 febbraio 2016
Stendhal, 1817:
« Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita………….
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La Fabbriceria della Cattedrale di Firenze è stata fondata dalla Repubblica Fiorentina nel 1296 per sovrintendere alla costruzione del Duomo. Secondo la tradizione l'otto settembre viene posta, sotto la direzione di Arnolfo di Cambio, la prima pietra della Cattedrale.
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https://www.youtube.com/watch?v=mS5k5CAwt5o TOUR VIRTUALE
♥ breve storia del Duomo, allegato 1, pag.22
(quello che mi è piaciuto di più…..)
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La perizia tecnica, l’Amore.
Un’impresa epocale eseguita da maestranze in grado di realizzare opere con le stesse tecniche e maestria di 600 anni fa. Il 23 gennaio verrà presentata la replica della Porta Nord del Battistero, fatta da Ghiberti.
Il progressivo restauro della porta con figure in oro del Ghisberti.
Eccola finita. E’ la porta del Paradiso 3
E questa è la “Sala del Paradiso”
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La novità su Maddalena….
La Maddalena penitente di Donatello. Scolpita per il Battistero di San Giovanni tra il 1453 e il 1455, la statua è intagliata in legno di pioppo bianco, un materiale difficile da scolpire e che, a differenza della pietra o del marmo, non consente sfumature e passaggi morbidi: per questo, dopo essere stato in auge nel Medioevo, l'uso del legno in scultura divenne via via più raro nel Rinascimento. Donatello scelse questo materiale perché doveva trattare un tema inconsueto e patetico, l'ascesi attraverso la mortificazione della carne, suscettibile di drammatici contrasti.
« Di mano di Donato [è] una Santa Maria Maddalena di legno in penitenza, molto bella e molto ben fatta, essendo consumata dai digiuni e dall'astinenza, intanto che pare in tutte le parti una perfezione di notomia, benissimo intesa per tutto. »
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Giorgio Vasari descrive con queste parole la straordinaria interpretazione di questa donna in penitenza che si allontana dall’iconografia tradizionale del personaggio per porre l’accento, come sempre avviene nelle sculture del Donatello, sulla raffigurazione dell’interiorità e del sentimento umano. La Maddalena, rappresentata solitamente come una donna giovane e bellissima, diviene ora • • •
una figura divorata dal segno degli anni e dai digiuni, dall’astinenza e dalle altre penitenze alle quali si è sottoposta è rappresentata nuda, coperta solo dai lunghissimi capelli che le avvolgono il corpo. Se da una parte Donatello ci presenta la figura di un’anziana sgraziata, dall’altra lo scultore fiorentino crea un’immagine di assoluta bellezza da un punto di vista espressivo.
Il confronto: Canova, 1700. Maddalena penitente
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La prima meraviglia‌..entrando
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Fece Arnolfo il disegno et il modello del non mai abastanza lodato tempio di S. Maria del Fiore, ordinando che s'incrostasse di fuori tutta di marmi lavorati, con tante cornici, pilastri, colonne, intagli di fogliami, figure et altre cose con quante egli oggi si vede condotta.
Così Giorgio Vasari, nella sua Vita di Arnolfo di Cambio, descrisse la facciata trecentesca pensata dal celebre architetto per la nuova Cattedrale fiorentina che ne rappresentava l'elemento più innovativo. La vicenda della facciata ha inizio già nel 1296 quando Firenze decise di costruire un nuovo Duomo nello stile moderno, ossia "gotico", affidando ad Arnolfo di Cambio l'impresa di costruire la "più onorabile chiesa di tutta la Toscana".
Cosa ho fotografato io?
Questo, che non so cos’é
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…non importa di chi l’arte sia. Ai nostri occhi parla l’anima, non il nome….
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La pietà Bandini Giunto alla soglia degli ottant’ anni Michelangelo riflette con insistenza sulla morte e ne assume a simbolo un tema classico dell’iconografia religiosa con cui si era già cimentato in gioventù: la Pietà. (1547) pensandola come monumento funerario per la propria sepoltura. L’abbozzo del gruppo scultoreo rappresentava il corpo di Cristo, appena deposto dalla croce, circondato e sorretto da tre figure: la Maddalena alla sua destra, Nicodemo, a cui lo scultore ha prestato il proprio volto, al centro, e la Vergine a sinistra. A un esame ravvicinato la Pietà rivela lo stato di incompiutezza tipico dell’ultimo periodo di Michelangelo: nelle parti autografe è ancora possibile scorgere l'uso di tutti gli arnesi familiari allo scultore come la subbia da taglio per il primo abbozzo dei volumi, lo scalpello e l'ugnetto. All’incompiutezza dell'opera venne ad aggiungersi il danno causato dal maestro stesso nel 1555 quando, fuori di sé, decise di distruggere la statua prendendola a martellate. Come spiega il Vasari, sono tre i motivi che spinsero Michelangelo a compiere questo gesto disperato: la durezza e le impurità del blocco di marmo, l’insoddisfazione tipica dell’artista e l’assillante insistenza di un servitore che lo incitava a finire l’opera. La vittima più importante dell'aggressione michelangiolesca fu la gamba sinistra del Cristo, scalpellata via dopo esser stata scolpita, ma anche le braccia delle figure vennero spezzate. Per quanto grave, questo danno non ci impedisce di apprezzare la sapienza compositiva del genio. Il gruppo scultoreo, collocato inizialmente nella villa romana di Francesco Bandini, fu invano richiesto dal Vasari per la tomba di Michelangelo. Solo nella seconda metà del Seicento il granduca Cosimo III riuscì a trasferirlo a Firenze e a collocarlo nella cripta medicea di San Lorenzo. A partire dal 1722 la scultura fu trasferita nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore dove rimase fino al 1981 quando fu spostata nella sua collocazione attuale, il Museo dell’Opera del Duomo di cui rappresenta il massimo capolavoro .
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Una caratteristica del Museo dell’Opera è l’accompagnamento di alcuni capolavori con idonei testi storici. Collocato in prossimità della Pietà, c’è un sonetto scritto da Michelangelo negli stessi anni in cui scolpiva il gruppo scultoreo nel quale l’artista esprime l’amore per Cristo crocifisso. (Rime 151) vedi allegato 2 pag.25.
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Cosimo III dette un contributo fondamentale all’ordinamento delle collezioni ancora oggi esposte nei più importanti musei della città. Nel 1674 fece pervenire a Firenze da Roma la Pietà Bandini di Michelangelo (1550-1553 circa), la fece collocare nel sotterraneo di San Lorenzo e poi nel 1722 dietro l’altar maggiore del Duomo (ora al Museo dell’Opera del Duomo). Il gruppo scultoreo, collocato inizialmente nella villa romana di Francesco Bandini, fu invano richiesto dal Vasari per la tomba di Michelangelo. Solo nella seconda metà del Seicento il granduca Cosimo III riuscì a trasferirlo a Firenze e a collocarlo nella cripta medicea di San Lorenzo. A partire dal 1722 la scultura fu trasferita nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore dove rimase fino al 1981 quando fu spostata nella sua collocazione attuale, il Museo dell’Opera del Duomo di cui rappresenta il massimo capolavoro .
da Ranuccio Bianchi Bandinelli
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Il presbiterio
Il cuore di ogni chiesa è il presbiterio, lo spazio in cui si radunano i sacerdoti .Vicino al presbiterio vi è normalmente una postazione per i musici e per il coro. La presente sala evoca il presbiterio di Santa Maria del Fiore. Qui, insieme a preziose suppellettili e oggetti devozionali, trovano posto le cantorie di Luca della Robbia e di Donatello, un tempo collocate sui pilastri nord-est e sud-est della crociera del Duomo, sopra l’altare maggiore. Queste gallerie per i cantori e per gli organi furono commissionate nei primi anni Trenta del Quattrocento, quando la Cupola era quasi ultimata. Nell’una e nell’altra cantoria la raffigurazione di bambini testimonia la gioia dei fiorentini nel portare a termine la Cattedrale iniziata nel lontano 1296: una gioia espressa anche nel testo biblico iscritto sotto le figure di Luca della Robbia, il Salmo 150 che descrive un concerto con strumenti vari in onore di Dio. Il Salmo è riportato in italiano e in inglese a parete. La versione usata da Luca della Robbia, con alcune abbreviazioni e varianti ortografiche, è invece quella latina della Vulgata: Laudate Dominum in sanctis eius; § Laudate eum in firmamento virtutis eius. § Laudate eum in virtutibus eius, § Laudate eum secundum multitudinem magnitudinis eius. § Laudate eum in sono tubae; § Laudate eum in psalterio et cithara. § Laudate eum in tympano et choro; § Laudate eum in chordis et organo. § Laudate eum in cymbalis benesonantibus; § Laudate eum in cymbalis iubilationis. § Omnis spiritus laudet Dominum! 13
Le cantorie!!!!
Una Cantoria viene richiesta a Donatello nel 1433 dall'Opera del Duomo di Firenze, per essere posta all'incrocio tra la navata principale e il transetto della chiesa, di fronte all'altra Cantoria di Luca della Robbia. Ora gli originali sono conservati nel Museo dell'Opera del Duomo di Firenze. Per entrambe le cantorie il tema della rappresentazione è quello della lode a Dio da parte di angeli che cantano, suonano e danzano. Ognuna di esse misura in tutto cinque metri di lunghezza.
Donatello. Cantoria. 1433-39. Marmo, mosaico e bronzo. cm. 348X570. Firenze, Museo dell'Opera del Duomo.
A differenza della Cantoria di Luca della Robbia, dove la composizione è scandita in lastre con scene distinte, divise da coppie di pilastrini, la composizione di Donatello è più unitaria. Egli concepì un portico architravato, con colonne libere, dentro al quale pose la scena figurata come in un fregio classico.
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Luca della Robbia. Cantoria. 1431-38. Marmo. Firenze, Museo dell'Opera del Duomo
ScolpĂŹ il fregio su due lastre di due metri e mezzo l'una in cui ha rappresentato una danza di putti con un effetto di movimento continuo.
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"Lodate Dio [...] al suono della tromba, lodatelo con arpe e cetre, lodatelo con tamburi e danze, lodatelo con liuti e flauti, lodatelo con cembali sonori, lodatelo con cembali squillanti"
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‌‌diversi gruppi di fanciulli di diverse età , colti mentre cantano, danzano e suonano
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I personaggi scolpiti esplorano vari stati d'animo e danno il senso di personaggi vivi, colti nelle varie sfumature psicologiche, dalla gioia pi첫 partecipata alla contemplazione, dalla concentrazione allo scherzo fanciullesco.
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Una seconda galleria, invece, descrive la complessa struttura architettonica della cupola del Brunelleschi
attraverso diversi modelli lignei della stessa, tra cui quello realizzato proprio dal celeberrimo architetto. Sempre nella stessa sala si possono ammirare materiali e attrezzature adoperate al tempo per la costruzione della Cupola e, a ricordo del grande Brunelleschi, anche la sua stessa maschera funebre.
Presunto ritratto di Brunelleschi, Masaccio, San Pietro in cattedra (1423-1428), Cappella Brancacci, Firenze
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Dalla terrazza….. Il percorso di visita del Museo dell’Opera del Duomo si conclude con l’uscita su una terrazza panoramica con vista sulla
Cupola del Brunelleschi da un
punto di vista davvero insolito. Un panorama che ben racchiude l’essenziale chiave di lettura del nuovo museo: il dramma del bello al servizio del sacro.
Il «mistero dei tetti» di Firenze è tutto qui: essi sono, con la Cupola, quasi un «sacramento» che si fa specchio e diffusore della bellezza, della purità e della pace celeste! Giorgio La Pira
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“Quando sento che mi prende la depressione, torno a Firenze a guardare la cupola del Brunelleschi: se il genio dell'uomo è arrivato a tanto, allora anche io posso e devo provare a creare, agire, vivere.â€? Franco Zeffirelli
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Allegato 1 La costruzione del Duomo, ordinata dalla Signoria fiorentina, inizia nel 1296 e termina nel 1436. I lavori iniziali furono affidati all'architetto Arnolfo di Cambio per poi essere interrotti e ripresi numerose volte nel corso dei decenni (da Giotto, Francesco Talenti e Giovanni di Lapo Ghini). Al completamento della cupola del Brunelleschi seguì la consacrazione da parte di papa Eugenio IV il 24 marzo del 1436 La pianta del Duomo è composta dal un corpo di basilica a tre navate saldato ad una enorme rotonda triconica che sorregge l'immensa cupola del Brunelleschi, la più grande cupola in muratura mai costruita. La facciata del Duomo in marmi policromi è di epoca moderna, risale infatti al 1887 ad opera di Emilio de Fabris ed è un importante esempio di stile neogotico in Italia.
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Nel 1330 il ritrovamento sotto Santa Reparata delle reliquie del venerato vescovo di Firenze, san Zanobi, diede nuovo impeto alla costruzione. L'Arte della Lana, che aveva ricevuto l'incarico di sovrintendere alla costruzione, nel 1334 affidò la direzione dei lavori a Giotto, assistito da Andrea Pisano. Giotto si concentrò sul Campanile di cui fornì un progetto e riuscì ad iniziare la costruzione, ma morì dopo soli 3 anni nel 1337. Andrea Pisano continuò i lavori, anch'egli soprattutto sul campanile, ma morì con l'arrivo della peste nera nel 1348 e i lavori furono di nuovo bloccati. Nel 1349 il progetto passò a Francesco Talenti, al quale si deve il completamento del campanile e, dal 1356, la ripresa dei lavori alla basilica. Un anno prima l'Opera aveva richiesto all'architetto un modello per vedere «come deono istare le cappelle di dietro», ed è a quella data che si attribuisce l'ingrandimento del progetto arnolfiano. Il Talenti realizzò entro il 1364 le prime tre, prima di essere dimesso dai lavori, a causa di critiche, dibattiti e minacce con gli Operai (i responsabili dell'Opera del Duomo), che proposero di multarlo per costringerlo ad essere più presente sul cantiere. Nel 1364 Lapo Ghini ottenne il ruolo di responsabile della costruzione dopo il Talenti e a lui è riferita la costruzione di quasi tutta la struttura delle navate. Il Talenti venne tuttavia richiamato come capomastro nel 1370 Nel 1401: Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti. Si stabilì dunque che si cominciasse a costruire la cupola fino all'altezza di trenta braccia e poi si decidesse come continuare, in base al comportamento delle murature. L'altezza indicata non era casuale, ma era quella alla quale i mattoni avrebbero dovuto essere posati ad un angolo tale (rispetto all'orizzontale) da non poter essere trattenuti al loro posto dalle malte a lenta presa conosciute dai muratori dell'epoca (la tecnica romana della "pozzolana" non era più in uso) con conseguente rischio di crolli. In cima alla copertura a cono fu posta nel 1468 una grande sfera dorata opera di Verrocchio. La croce fu poi applicata tre anni dopo[7]. La sfera cadde nel 1492 e di nuovo durante una tempesta la notte del 17 luglio 1600. Un disco di marmo bianco sul retro di Piazza del Duomo ricorda ancora il punto dove si arrestò la sfera, che fu sostituita con quella, più grande, che si può ammirare ancora oggi (ricollocata nel 1602) La decorazione con il ballatoio, visibile solo sullo spicchio di nord-est, fu progettata tra il 1502 e il 1515 da Baccio d'Agnolo e Antonio da Sangallo il Vecchio. Prima di realizzare gli altri sette spicchi si chiese un parere da Michelangelo, in quel periodo a Firenze. Il maestro tranciò però il progetto definendolo che faceva sembrare la cupola "una gabbia pe' i grilli", e infatti non venne più continuato, lasciando quelle pareti murarie tuttora incompiute 22
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Il pavimento in marmi policromi fu disegnato da Baccio d'Agnolo e continuato, dal 1526 al 1560, da suo figlio Giuliano, da Francesco da Sangallo le vetrate furono costruite in massima parte tra il 1434 e il 1455 con la predominanza di Lorenzo Ghiberti come fornitore dei disegni.
I principali artisti rinascimentali del tempo disegnarono i cartoni per le finestre, fra i quali o o o o o
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Donatello (l'Incoronazione della Vergine, unica visibile dalla navata), Lorenzo Ghiberti (Assunzione della Vergine, San Lorenzo in trono tra quattro angeli, Santo Stefano in trono tra quattro angeli, Ascensione, Orazione nell'orto, Presentazione al Tempio), Paolo Uccello (Natività e Resurrezione) e Andrea del Castagno (Deposizione). Il rosone raffigura Cristo incorona Maria su disegno di Gaddo Gaddi (inizio del Trecento)
Al centro della controfacciata l'orologio italico ha teste di evangelisti (?) dipinte agli angoli da Paolo Uccello (1443). L'orologio, di uso liturgico, è uno degli ultimi funzionanti che usa la cosiddetta hora italica, un giorno diviso in 24 "ore" di durata variabile a seconda delle stagioni, che comincia al suono dei vespri, in uso fino al XVIII secolo. I ritratti degli evangelisti non sono identificabili col tradizionale ausilio degli animali-simbolo, ma attraverso i tratti fisionomici che richiamano l'animale (o, nel caso di Matteo, l'angelo) .
Nel Quattrocento, infatti, il cancelliere fiorentino Coluccio Salutati vagheggiava il progetto di trasformarla in una sorta di Pantheon dei fiorentini illustri, con opere d'arte celebrative. A quel programma decorativo risalgono essenzialmente: • •
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Dante con in mano la Divina Commedia di Domenico di Michelino su cartone di Alesso Baldovinetti (1465), interessante anche per la precisa veduta cittadina. Affreschi staccati dei condottieri, sulla parete sinistra, raffiguranti i monumenti a due figure eroiche in cavalcatura trionfante. Entrambi presentano una prospettiva incerta, con due punti di fuga diversi per il piedistallo e la statua equestre, e, inoltre, i cavalli non potrebbero in realtà stare in piedi dato che hanno entrambe le zampe alzate dallo stesso lato. Lo strappo è stato fatto nel XIX secolo. Monumento equestre di John Hawkwood (Giovanni Acuto) di Paolo Uccello (1436), dipinto in bicromia con terra verde. Monumento equestre di Niccolò da Tolentino di Andrea del Castagno (1456), in pendant con il precedente, disegnato a imitazione del marmo, forse più bello dell'altro nella decorazione e nel senso di movimento. Busto di Arnolfo di Cambio, di Aristodemo Costoli[17] (1843) Busto di Giotto, di Benedetto da Maiano con epigrafe di Agnolo Poliziano (1490) Busto di Brunelleschi, del Buggiano (1446) Busto di Marsilio Ficino (XIX secolo)
Tribune
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Ciascuna delle tribune ha cinque cappelle laterali disposte a raggiera, illuminate da alte bifore con vetrate quattrocentesche in massima parte ascrivibili al disegno del Ghiberti. Luca della Robbia
La porta della sagrestia di destra, detta dei Canonici o Vecchia, presenta una lunetta con l'Ascensione di Luca della Robbia (1450 circa)
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Allegato 2 Michelangelo Buonarroti, Non ha l’ottimo artista alcun concetto
In questo sonetto, fra i più famosi di Michelangelo, è espressa la sua idea dell’arte, della .scultura in particolare: il marmo grezzo contiene già il «concetto», l’idea, la “forma mentale”, ma nascosta e chiusa in un superfluo di materia; tocca all’«ottimo artista» togliere quel superfluo e far emergere l’idea sbozzando il pezzo di marmo secondo quel che gli suggerisce l’intelletto, in cui l’idea, ovvero il «concetto», è presente e chiara (Rime 151).
Non ha l’ottimo artista alcun concetto ch’un marmo solo in sé non circonscriva col suo superchio, e solo a quello arriva la man che ubbidisce all’intelletto. Il mal ch’io fuggo, e ‘l ben ch’io mi prometto, in te, donna leggiadra, altera e diva, tal si nasconde; e perch’io più non viva, contraria ho l’arte al disiato effetto. Amor dunque non ha, né tua beltate o durezza o fortuna o gran disdegno del mio mal colpa, o mio destino o sorte; se dentro del tuo cor morte e pietate porti in un tempo, e che ‘l mio basso ingegno non sappia, ardendo, trarne altro che morte.
Metro: sonetto con schema ABBA ABBA CDE CDE. 1. Non ha... concetto: anche il più bravo scultore non ha alcuna intuizione artistica. 2-3. ch’un marmo... superchio: che un unico blocco di marmo non racchiuda già in sé, nel suo eccesso di materia («superchio» ), eccesso che l’artista eliminerà per realizzare la statua. 3-4. e solo... all’intelletto: e solo a quello, cioè all’eliminazione del superfluo, arriva l’artista che segua l’idea che vede delinearsi nella sua mente. «Intelletto» è esattamente la facoltà di discernere i «concetti», ovvero la capacità di trovare sulla terra l’immagine, la traccia della bellezza divina. 5-7. Il mal... si nasconde: allo stesso modo («tal») il male che fuggo, e il bene che mi ripropongo, sono celati in te, donna bella, nobile e divina. 8. contraria... effetto: la mia arte è incapace di raggiungere quel che desidero, cioè far emergere in te il bene che vi si nasconde. 11. Amor dunque... sorte: nessuno dunque è colpevole del mio male: non Amore, né la tua bellezza e la tua crudeltà, né la sorte o lo sdegno o il mio destino. 25
12-14. se dentro... morte: se tu porti sia il bene sia il male, sia la morte sia la pietà, e se il mio ingegno è troppo «basso» per saperne trarre altro che non sia morte.
Michelangelo Buonarroti, Giunto è già ‘l corso della vita mia (Rime 285) Questo sonetto è fra i più noti dell’ultima fase della poesia michelangiolesca. Michelangelo lo inviò a Giorgio Vasari il 19 settembre 1554. È un periodo piuttosto duro della sua vita: ormai solo, amareggiato per le pesanti critiche mosse al suo Giudizio Universale, accusato di spirito eretico-riformistico, si dedica quasi esclusivamente a progetti di architettura. In questo sonetto si esprime l’amarezza dei suoi ultimi anni, quando tutto ormai sembra vano e senza senso, anche l’amore che fu, e l’arte a cui Michelangelo si dedicò per tutta la vita: più niente vale davanti alla prospettiva della morte che è l’unica vera.
Giunto è già ‘l corso della vita mia, con tempestoso mar, per fragil barca, al comun porto, ov’a render si varca conto e ragion d’ogni opra trista e pia. Onde l’affettuosa fantasia che l’arte mi fece idol e monarca conosco or ben com’era d’error carca e quel c’a mal suo grado ogn’uom desia. Gli amorosi pensier, già vani e lieti, lo che fien or, s’a duo morte m’avvicino? D’una so ‘l certo, e l’altra mi minaccia. Né pinger né scolpir fie più che quieti l’anima, volta a quell’amor divino c’aperse, a prender noi, ‘n croce le braccia.
Metro: sonetto con schema ABBA ABBA CDE CDE. 1-4. Giunto... pia: è la metafora, già petrarchesca, della vita come viaggio per mare, un mare tempestoso che si attraversa con una barca fragile, fino ad arrivare a quel porto comune a tutti: al porto della morte, dove si passa («varca») per rendere conto e ragione di ogni opera buona o cattiva. 5-8. Onde... desia: perciò capisco bene che quella fantasia (l’inclinazione artistica), a cui io fui legato da affetto e che mi portò a considerare l’arte idolo e sovrano della mia vita, fosse carica di errore e ugualmente capisco quel che a suo danno («a mal suo grado», ovvero «suo malgrado», «contro il proprio bene») ognuno desidera. 9-10. Gli amorosi... m’avvicino?: i pensieri d’amore, che sono stati una volta gioiosi, pure se vani, che saranno mai ora («che fien or»), dal momento che mi avvicino a due morti (quella fisica e quella spirituale)? 12-14. Né pinger... le braccia: né il dipingere né lo scolpire potranno più appagare l’anima che si rivolge a quell’amore divino che aprì, per salvarci, le braccia in croce. 26
Analisi Nel sonetto Non ha l’ottimo artista alcun concetto la scultura viene presentata come «arte del levare», cioè come quell’arte in cui l’opera nasce, levando la materia in eccesso fino a liberare la forma insita in essa. Si pensi alle sculture dei Prigioni, massimo esempio del non-finito michelangiolesco, dove è particolarmente evidente l’idea del blocco di marmo sbozzato, da cui si libera, come un prigioniero, la figura scolpita. Il termine «concetto», si riferisce alla forma racchiusa in un blocco di marmo dal quale l’ottimo artista saprà ricavare l’opera d’arte, togliendo la materia superflua. Come lo scultore, anche l’amante dovrà liberare l’idea imprigionata nell’animo dell’amata, seguendo «l’intelletto», affidandosi cioè a un’immagine puramente mentale. Nella donna convivono tutti gli opposti, la morte e la vita, il male e il bene, il dolore e la felicità («Il mal ch’io fuggo, e ‘l ben ch’io mi prometto») e spetta all’amante riuscire a far emergere l’uno o l’altro. Inutile dunque incolpare la crudeltà dell’amata o il destino, ma solo la propria incapacità di trarre da quell’amore altro che dolore e morte. Nel sonetto Giunto è già ‘l corso della vita mia la presenza di Petrarca risulta evidente fin dalla prima quartina, interamente occupata dalla metafora della navigazione. Attraverso l’immagine del porto, Michelangelo richiama l’attenzione, in particolare, sulla morte, della quale viene sottolineato l’aspetto più inquietante, legato all’idea del giudizio che attende ogni uomo, chiamato a rendere «conto e ragion d’ogni opra trista e pia». Lo stesso motivo compare anche nella seconda parte del componimento dove il poeta distingue fra la morte del corpo, certa e inesorabile, e quella dell’anima, proiettata verso una minacciosa eternità. Di fronte alla prospettiva del giudizio divino, tutto ciò per cui Michelangelo ha vissuto, in particolare l’arte e l’amore, gli pare a un tratto vano e inconsistente. La pittura e la scultura, infatti, si configurano in questi versi come il frutto di un’«affettuosa fantasia», di una fervida e piacevole immaginazione, che a poco a poco si è impossessata di lui ed è giunta a dominarlo completamente («l’arte mi fece idol e monarca»); ora però Michelangelo si rende conto che quell’arte pagana, terrena, non poteva placare da sola la sua ansia di assoluto, che solo in Dio può trovare appagamento («Né pinger né scolpir fie più che quieti / l’anima, volta a quell’amor divino»). Allo stesso modo mostrano ora tutta la loro inconsistenza gli «amorosi pensier», per quanto importanti possano essere stati nel corso della sua vita. In questo sonetto l’influenza petrarchesca risulta evidente, oltre che nella metafora della «fragil barca», anche nell’impiego di alcune espressioni particolarmente care al poeta trecentesco, che rimandano a una dolorosa percezione della precarietà di ogni bene terreno («d’error carca»; «gli amorosi pensier, già vani e lieti»). Rispetto ai versi di Petrarca, però, quelli di Michelangelo presentano una sonorità più dura, aspra, data dall’allitterazione del suono -r- e dallo scontro di consonanti («per fragil barca»; «render si varca»; «com’era d’error carca»; «c’aperse, a prender noi, ‘n croce le braccia»), nella quale trova piena espressione l’urgenza del suo pensiero autobiografico.
Tratto da Guerriero-Palmieri-Lugarini, Prisma, volume 1 (La letteratura dalle origini alla fine del Quattrocento), pp. 395-398
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