Thesis | Post-Expo Stadium_2015_ITA

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POST-EXPO STADIUM Nuove ecologie per il territorio milanese

Relatore:

Prof.ssa Arch. Maria Grazia Folli

Elaborato finale di:

Dagradi Marcello Giannelli Gloria Molina Hernรกndez Adรกn



POST - EXPO STADIUM Nuove ecologie per il territorio milanese

Politecnico di Milano Scuola di Architettura Civile Tesi di laurea magistrale in Architettura delle Costruzioni A.A. 2014/2015

Relatore: Prof.ssa Arch. Maria Grazia Folli

Studenti:

Dagradi Marcello 816806 Giannelli Gloria 813918 Molina Hernรกndez Adรกn 815909


INDICE

Capitolo I: L’evento 1. Che cosa è stato Expo. Cronache e atmosfere 2. Le Esposizioni Universali. Storie e significati 2.1 L’inizio: le Esposizioni Universali dell’Ottocento 2.2 Expo come specchio dell’epoca di riferimento 2.3 Crisi del modello di Expo. Il concetto di evento 3. Che cosa c’era prima di Expo. Milano e il suo territorio 3.1 Milano metropoli agricola 3.2 Milano e le sue acque 3.3 Il sistema delle cascine 3.4 L’area Expo nel contesto agricolo 4. Quali lasciti per la città. Expo valutato come evento urbano 4.1 L’importanza di una visione integrata 4.2 Il fallimento di Siviglia 1992 4.3 Il successo di Londra 2012 4.4 Un possibile futuro per Milano Capitolo II: Il masterplan 1. Come scongiurare il pericolo dell’enclave. L’approccio territoriale 1.1 Un’enclave della città postmetropolitana 1.2 Expo come Luna Park. Coney Island e la “ tecnologia del fantastico” 1.3 Dal Luna Park al superamento dell’enclave. La pianificazione integrata 1.4 Expo Suisse 02 come proposta alternativa 1.5 Concept Masterplan per Expo 2015 1.6 L’idea di un’Expo diffusa e sostenibile 2. Mapping e Topografia. Strumenti per la ricostruzione del paesaggio 2.1 Un contesto dinamico 2.2 Nozione di paesaggio e caratteristiche dello sguardo 2.3 Discorso intorno alle cose. Verso un nuovo realismo 2.4 Topografia e complessità 2.5 Mappe e cartografia 2.6 Combinazione, contaminazione, ibridazione


3. Definizione del Masterplan. Termini e concetti di riferimento 3.1 Quale idea di progetto. Parole chiave 3.2 Il concetto di ecologia 3.3 Resilienza e trasformazione: Adaptable City 3.4 Sostenibilità e decrescita 3.5 Legacy e identità di Expo 2015 3.6 L’idea del parco agricolo 3.7 Mixitè come strategia insediativa 3.8 Sul principio di attrattività 3.9 Infrastruttura e accessibilità Capitolo III: Lo stadio contemporaneo 1. Lo stadio come luogo di aggregazione 1.1 Sport: evoluzione e significato 1.2 Evoluzione dello stadio 2. Uno stadio nel post expo 2.1 Un’occasione da cogliere 2.2 Perché uno stadio 3. Bigness e scale di progetto 3.1 Bigness 3.2 La grandezza come tema di architettura 4. Gli elementi fondamentali 4.1 Rapporto interno-esterno. Integrazione e natura 4.2 La permeabilità dell’edificio e l’assenza dell’involucro 4.3 Architettura e scultura. La cavea del secondo anello 4.4 Un’idea di orizzontalità. La leggerezza della copertura 4.5 I materiali del progetto. 5. Gli elementi del progetto 5.1 Lo stadio nel masterplan 5.2 Le misure dello stadio 5.3 Controlli di sicurezza, emergenza 5.4 Gli spazi e gli usi dello stadio 5.5 Gli utenti 5


BIBLIOGRAFIA

Monografie - R. Dell’Osso, Expo, da Londra 1851 a Shanghai 2010 verso Milano 2015, Maggioli Editore, Milano 2008. - E. Redaelli, Il nodo dei nodi, Edizioni ETS, Pisa 2008. - R. Koolhas, Delirious New York. Un manifesto retroattivo per Manhattan, a cura di M. Biraghi, Electa, Milano 2001, relativamente al capitolo terzo, Coney Island: la Tecnologia del Fantastico. - F. Battisti, E. Battisti, S. Di Vita, Expo diffusa e sostenibile, Unicolpli, Milano 2011. - I. de Solà-Morales, Diferencias. Topografia de la arquitectura contemporanea, Editorial Gustavo Gili, Barcellona 1995. - C. Toraldo di Francia, X-scapes, Alinea Editrice, Firenze 2005. - M. Kaijima, J. Kuroda, Y. Tsukamoto, Made in Tokyo, Kajima Institute Publishing Co, Tokyo 2006. - P. Ciorra, S. Marini, Re-cycle. Strategie per l’architettura, la città e il pianeta, Electa, Milano 2011, limitatamente al capitolo di M. Ricci, Nuovi paradigmi: ridurre riusare riciclare la città ( e i paesaggi), p. 64-77. - R. Bahnam, Los Angeles. The Architecture of Four Ecologies, University of California Press, London 1971. - S. Latouche, Come sopravvivere allo sviluppo, Bollati Boringhieri editore, Torino 2005. - D. Rebois, THEME EUROPAN 12. ADAPTABLE CITY, Europan, Francia 2011. - R. Mandell, Storia culturale dello sport, Laterza editore, Bari - Roma 1989. - S. Facchini, I luoghi dello sport nella Roma antica e moderna, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1990. - M. Bianchi, E. Martera, P. Setti, Progetti per lo sport, Alinea Editore, Firenze 1991. - S. Sermissoni, San Siro storia di uno stadio, Electa Edizioni, Milano 1989. - R. Koolhaas, B. Mau, S, M, L, XL, Jennifer Sigler, Rotterdam 1995. - R. Koolhaas, Junkspace, Quodlibet, Macerata 2006. - E. Faroldi, P. Chierici, D. Allegri, M.P. Vettori, Progettare uno stadio, Maggiolini Editore, Milano 2008. - S. Nixdorf, Stadium Atlas, Technical Recommendations fot Grandstands in Modern Stadia, Ernst & Sohn, Berlino 2008.


- Consulta di Architettura, Conceptual Masterplan – Expo Milano 2015, pubblicazione a cura di Jacques Herzog, Richard Burdett, Stefano Boeri e William McDonough con la collaborazione di Carlo Petrini, 30 luglio 2009. - G. John, R. Sheard, B. Vickery, Stadia, the populous design and development guide, Elsevier Limited, Oxon 1994. - F. Dunne, Divisiones de Competiciones, de Comunicacione, de Relaciones Pùblicas y de Mercadotecnia de la FIFA, Estadios de Fùtbol, Bruhin AG, Suiza 2011. - R. Sheard, Sports Architecture, Taylor & Francis, London 2000. - S. Rotondi, La transizione tra interno ed esterno nell’architettura contemporanea, Gangemi editore, Roma 2010. - A. de Botton, Architettura e felicità, Guanda Editore, Parma 2006.

Quotidiani e riviste - “Expo in città, il fuori Expo di Milano”, depliant aprile 2015. - P. Valentino, “Rischio estinzione, l’unica via è ridurre i consumi”, Corriere della Sera, 17 ottobre 2015. - P. Madeddu, “All’Expo le nuove idee italiane su cibo e sostenibilità”, Corriere della Sera, 12 luglio 2015. - P. Lembi, “Una lunga storia di terre, acque ed economia”, in Abitare 541, pp. 112-117, 2015. - E. Soglio, “Expo, il governo decide di entrare in Arexpo: cabina di regia con Comune e Regione”, Corriere della Sera, 14 ottobre 2015. - M. Moscatelli, “Itinerario contemporaneo: Siviglia”, in Area n. 85, 2006, pp. 170-183. - R. Burdett, “Gran Salto hacia el Este”, in Arquitectura Viva n. 143, 2012, pp. 15-19.

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BIBLIOGRAFIA

Cataloghi, esposizioni e conferenze - D. Rampello, introduzione al catalogo per la mostra “Expo x Expos, Comunicare la modernità, Le Esposizioni Universali 1851-2010, Triennale di Milano, 5 febbraio-30 marzo 2008. - Esposizione “ L’oro di Milano, usi agricoli e sociali delle acque milanesi” a cura di Maria Antonietta Breda, Maurizio Brown, Pietro Redondi, 1 maggio-31 ottobre 2015, cortile di Castello Sforzesco, Milano. - Politecnico di Milano, workshop IWUAD: Milan 2016 After Expo, 11-17 ottobre 2015. - Lo speciale di Rai Filosofia, Maurizio Ferraris: il manifesto del nuovo realismo, ritrovato in http://www.filosofia.rai.it/articoli/il-manifesto-del-nuovo-realismo/14692/default.aspx - G. Bertelli, L. Basso Peressut, R. Pugliese, Paesaggi Complementari , Politecnico di Milano, Milano, maggio 2015. - Expo dopo Expo, Lo sguardo di otto fotografi sulle eredità urbane e ambientali di sette Expo, catalogo della omonima mostra fotografica a cura di Franco Raggi, Milano, Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Milano, novembre 2015. - Comitato di indirizzo di Arexpo S.p.A. e Comune di Milano, EXPOst, Riconvertire, recuperare, riusare. Linee Guida per la predisposizione della proposta progettuale, fascicolo elaborato nell’ambito delle attività di supporto alla società Arexpo S.p.A. ai sensi di quanto stabilito dall’Assemblea dei Soci del 17 dicembre 2012 e della Convenzione sottoscritta in data febbraio 2013.


INDICE DELLE TAVOLE

Tav. 01 Tav. 02

Territorio

Tav. 03

Masterplan

Tav. 04 Tav. 05

Stadio nel masterplan

Tav. 06

Piano interrato (-4.00 m)

Tav. 07

Piano interrato - elementi principali

Tav. 08

Piano terra (+0.00 m)

Tav. 09

Piano terra - elementi principali

Tav. 10

Piano primo (+5.00 m)

Tav. 11

Piano primo - elementi principali

Tav. 12

Piano secondo (+8.50 m)

Tav. 13

Piano secondo - elementi principali

Tav. 14

2째 anello - copertura

Tav. 15

2째 anello - copertura - elementi principali

Tav. 16

Cavea 2째 anello

Tav. 17

Struttura generale - cavea 2째 anello

Tav. 18

Copertura

Tav. 19

Struttura copertura

Tav. 20

Tecnologia - sezione 1:20

Tav. 21

Impianti - analisi generali

Tav. 22

Impianti - approfondimento skybox

Tav. 23

Impianti - approfondimento skybox

Topografia

Stadio

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ABSTRACT

Post - Expo Stadium

Nuove ecologie per il territorio milanese

Il futuro dell’area Expo è oggi uno degli argomenti più importanti nel dibattito architettonico e urbanistico di Milano. Al termine dei sei mesi di forzata chiusura del sito espositivo per consentire lo smaltimento dei padiglioni il destino che a grandi linee è stato fino ad ora tratteggiato è quello di una riconversione a parco tecnologico e cittadella della scienza con un esplicito interessamento dell’Università Statale di Milano che si è dichiarata pronta a un trasferimento di alcune facoltà. E’ però doveroso sottolineare che, al di là del cambio di destinazione funzionale, il tema centrale di questo processo di trasformazione vada ritrovato nel rapporto tra l’area di progetto e una più ampia idea di contesto alle sue diverse scale. Per questo motivo l’approccio con il quale questo lavoro si rivolge al disegno del masterplan trae le sue origini da una riflessione sul ruolo che l’area ha oggi con il suo territorio e con i vari sistemi eterogenei della città contemporanea. La proposta che viene avanzata è quella di una riconversione dell’area a parco agricolo con il mantenimento degli elementi principali di Expo per i quali è previsto un rinnovamento di destinazione d’uso. Legacy, identità e integrazione sono i temi principali su cui il progetto riflette in questa fase. Per quanto riguarda il parco, è bene sottolineare che la scelta della tipologia agricola non aspira a un ritorno passivo alla condizione precedente rispetto all’apertura del sito espositivo, ma deriva dalla volontà di reinserire l’area in quel paesaggio antropico fatto di elementi naturali e manufatti artificiali che da sempre caratterizza lo sviluppo di Milano. Va inoltre aggiunto che i costi di gestione di questa operazione sarebbero, in ultima analisi, molto al di sotto di un ipotetico parco urbano tradizionale. All’interno di quella che può essere riassunta come una realtà mista in cui i diversi elementi vanno a ricostruire e ridefinire il paesaggio circostante, il progetto prevede inoltre la collocazione di uno stadio di calcio per un totale di 50.000 spettatori in linea con le principali direttive europee e della UEFA. La forma di questo grande oggetto riflette in modo più generale sul tema della bigness auspicando un inserimento calibrato nel parco nonostante le sue grandi dimensioni. A tal fine è rivolta la volontà di rimuovere l’involucro esterno dell’edificio per rivelare la chiarezza delle parti strutturali e la forma ondulata della gradinata superiore, pensata a sua volta come elemento di integrazione con il parco. Da un punto di vista strutturale, gli elementi che il progetto sceglie di privilegiare sono la gradinata del secondo anello, disegnata come un guscio di cemento armato, e la copertura, che riprende il principio del cable roof e che si mostra leggera e sospesa al di sopra della tribuna. Semplicità, chiarezza e verità strutturale sono gli aspetti centrali di questo lavoro che si augura di apportare un contributo alla discussione sul post Expo di Milano 2015.

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CAPITOLO I

L’evento


Indice 1. Che cosa è stato Expo. Cronache e atmosfere 2. Le Esposizioni Universali. Storie e significati 2.1 L’inizio: le Esposizioni Universali dell’Ottocento 2.2 Expo come specchio dell’epoca di riferimento 2.3 Crisi del modello di Expo. Il concetto di evento

3. Che cosa c’era prima di Expo. Milano e il suo territorio 3.1 Milano metropoli agricola 3.2 Milano e le sue acque 3.3 Il sistema delle cascine 3.4 L’area Expo nel contesto agricolo

4. Quali lasciti per la città. Expo valutato come evento urbano 4.1 L’importanza di una visione integrata 4.2 Il fallimento di Siviglia 1992 4.3 Il successo di Londra 2012 4.4 Un possibile futuro per Milano

Bibliografia - R. Dell’Osso, Expo, da Londra 1851 a Shanghai 2010 verso Milano 2015, Maggioli Editore, Milano 2008. - E. Redaelli, Il nodo dei nodi, Edizioni ETS, Pisa 2008. - P. Lembi, “Una lunga storia di terre, acque ed economia”, in Abitare 541, pp. 112-117, 2015. - Esposizione “L’oro di Milano, usi agricoli e sociali delle acque milanesi” a cura di Maria Antonietta Breda, Maurizio Brown, Pietro Redondi, 1 maggio-31 ottobre 2015, cortile di Castello Sforzesco, Milano. - M. Moscatelli, “Itinerario contemporaneo: Siviglia”, in Area n. 85, 2006, pp. 170-183. - R. Burdett, “Gran Salto hacia el Este”, in Arquitectura Viva n. 143, 2012, pp. 15-19 - Politecnico di Milano, workshop IWUAD: Milan 2016 After Expo, 11-17 ottobre 2015.


1. CHE COSA E’ STATO EXPO CRONACHE E ATMOSFERE


Un inizio controverso

1 “L’Italia s’è desta, siamo pronti alla vita […] Oggi inizia il domani di un Paese con un passato straordinario, ma anche con un futuro che oggi abbraccia il mondo. Dimostriamo che Italia è orgogliosa delle proprie radici, ma anche che il nostro futuro lo scriviamo adesso”. Matteo Renzi, discorso inaugurale, 01/05/2015

Nella pagina accanto: 1. Andrea Bocelli e Lang Lang, concerto di apertura in Piazza Duomo 2. Matteo Renzi, discorso inaugurale 3. Scontri tra polizia e Black Bloc

La vigilia di Expo si svolge in un clima di generale curiosità e entusiasmo per quello che viene vissuto da molti come un’importante occasione di rilancio per Milano e per l’Italia intera. Al concerto inaugurale sono in 20 mila in Piazza Duomo ad applaudire Andrea Bocelli, il pianista Lang Lang e la Filarmonica della Scala. Tra gli spettatori sono presenti vari esponenti del mondo politico, dal sindaco Giuliano Pisapia al governatore Roberto Maroni; non c’è il Presidente del Consiglio Matteo Renzi che dedica comunque un pensiero a Expo: “La scommessa di Expo è la ripartenza del Paese. Questo evento è come una scintilla”. Ci sono anche personaggi noti del mondo dello spettacolo, ambasciatori artistici e culturali milanesi e campioni sportivi. A un certo punto arriva anche Giuseppe Sala, il commissario unico di Expo, direttamente di ritorno dal cantiere in cui gli operai lavorano incessantemente per portare a termine l’opera in tempo per l’inaugurazione. “Siamo alla fine, alle pulizie, alle rifiniture. Siamo tranquilli, domani sarà una cosa ben fatta per la gente”. Expo sembra essere una grande festa ancora prima di iniziare. Venerdì 1 maggio, festa dei lavoratori. Mentre a Expo si tiene il discorso inaugurale del Presidente Renzi1, in città si prepara il corteo No Expo Mayday previsto per il pomeriggio. Dopo un inizio pacifico della manifestazione sale

la tensione e un gruppo di Black Bloc si distacca dal corteo. Il resto è noto. In pochi attimi si scatena una vera e propria guerriglia: negozi, banche, auto in fiamme, vetrine infrante, gente e turisti in fuga terrorizzati, scontri con la polizia, alcuni agenti feriti. Per qualche ora si teme che la violenza possa rovinare la giornata in cui Milano si sta presentando al mondo intero. Ma la reazione è immediata: la polizia riporta l’ordine e la città viene ripulita a colpi di spugna dai milanesi sotto lo slogan “ Nessuno tocchi Milano”. Che la festa continui. Tra ritardi e fiducia, con Expo la ripresa E’ il 4 maggio ed Expo cavalca ancora l’onda di generale entusiasmo che ha seguito l’inaugurazione. Facendo visita al sito espositivo si nota però qualche incongruenza specialmente nella zona dei cluster. Al cluster del cacao, ad esempio, l’atmosfera è particolarmente rilassata: non ci sono turisti, non ci sono gli espositori. Anche il cluster delle spezie è quasi totalmente chiuso. Lo stesso vale per frutta e legumi. E così per circa un terzo dei paesi ospiti dei nove cluster l’Expo non è ancora iniziato a tre giorni dall’inaugurazione. “ Una questione di giorni”, rassicurano i commissari; e Sala aggiunge: “Nei cluster sono ospitati complessivamente 84 Paesi in 65 spazi, 48 dei quali sono aperti e funzionanti. Tre quarti del totale; gli altri presto seguiranno”. Al di là


1. CHE COSA E’ STATO EXPO. CRONACHE E ATMOSFERE

delle rassicurazioni rimane comunque il fatto che a farne le spese sia forse l’aspetto più inedito e innovativo di questa edizione di Expo e cioè una formula, quella dei cluster, che consente l’approdo all’esposizione universale anche a quei paesi che da soli non se lo potrebbero permettere. Nonostante le difficoltà permane comunque un generale clima di fiducia e positività. A una decina di giorni dall’apertura un sondaggio realizzato da Nando Pagnoncelli (Ipsos) rivela che il 31% degli intervistati pensa che Expo sia già un successo, mentre il 57% ritiene che si tratti di un’opportunità per il rilancio economico. Expo viene da tutti vista come una grande piazza capace di incoraggiare lo scambio e gli incontri. Un vero e proprio continente artificiale composto da 148 Paesi, che rimarrà aperto per sei mesi. Come scrive Pino Casamassima sulle pagine del Corriere della Sera, “L’opportunità di Expo è ancora più grande della fiera di un singolo settore, perché sarà di fatto il mondo a essere in mostra: quel villaggio globale che va da New York a Wellington, passando per Città del Capo”. La stessa città di Milano viene celebrata per le sue caratteristiche di dinamismo e sensibilità al mutamento, elementi che la rendono la sede perfetta per lo svolgimento della manifestazione. Alla fine di maggio escono i dati del primo mese: 2,7 milioni di visitatori e 15 milioni di biglietti venduti. Expo è già un successo.

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“Expo in città, il fuori Expo di Milano”, depliant aprile 2015 2

Nella pagina accanto: 4. Mudec, area ex Ansaldo 5. Nuova Darsena di Milano 6. Recupero dello scalo ferroviario di Porta Romana. The Tank

Il no di Gregotti e le ammonizioni tenuti. Mi sarebbe piaciuto invece di Petrini che Expo 2015 fosse un’agorà nella quale le varie scuole di pensiero In un clima di generale ottimismo potessero confrontarsi sulle cone soddisfazione nei confronti del- traddizioni del sistema alimentare. la manifestazione internazionale, […] La centralità dell’agricoltura non mancano però alcuni pareri di piccola scala è sfumata, così negativi e posizioni di sfiducia. Le- come è marginale la difesa della ader di questa fazione può essere biodiversità. Le sementi, poi, sono considerato Vittorio Gregotti. In un bene comune ma oggi l’80% un’intervista rilasciata al settima- è in mano a 5 multinazionali.[…] nale Sette nel marzo 2012 Gregotti Eppure la difesa del mondo condichiara:” Io penso che l’Expo non tadino non riguarda solo i Paesi andasse proprio fatta. E’ proprio poveri ma anche la ricca Pianura l’Expo che in sé non ha più senso. Padana. Che accade nella PianuPerché? Perché con la crisi che ra Padana? Le stalle chiudono, il c’è, è uno spreco. Costa troppo”. latte è pagato 30 cent al litro e ne Del resto queste affermazioni non arriva tantissimo dai paesi dell’est fanno altro che confermare una pagato a 20 cent al litro”. posizione che Gregotti aveva chiarito fin dall’aprile 2009 in un Expo in città: street food, arte e intervista per la Stampa:” Questo approfondimenti tema legato all’Expo serve solo per raccogliere soldi dagli stati Nell’organizzazione di Expo parche parteciperanno alla fiera[…] ticolare importanza è stata data Ho il sospetto che l’Expo sia solo al ruolo che Milano doveva avere la foglia di fico per portare avan- come supporto alle attività che ti costruzioni e infrastrutture che si si svolgevano sul sito espositivo e erano arenate per mancanza di come punto di riferimento per le fondi. L’Expo diventerebbe così migliaia di turisti che quotidianal’escamotage per far avanzare mente giungevano in città . Prenprogetti arretrati che riguardano de il nome di “Expo in città” il proil passato”. Insomma un grande getto patrocinato dal Comune di sforzo dietro al quale si nascon- Milano e dalla Camera di Comdono gli interessi dei costruttori e mercio che coordina e promuodegli immobiliaristi. ve l’offerta di eventi culturali e di Su posizioni più moderate ma pur approfondimento in città durante sempre di disaccordo si pone an- il periodo di svolgimento della mache il fondatore di slow food Carlo nifestazione. Le iniziative vengono Petrini. In un intervista pubblicata il raggruppate in 10 gruppi identifi20 maggio 2015 sul Corriere della cati da una keyword: PerformanSera spiegava il motivi del suo mal- ce| Art | Creativity&Style| Mecontento: “Sono tutti venuti a ven- dia| Leonardo| Kids| Well-Being| dere. Tanti padiglioni, pochi con- Science| Feed the Planet| Città


Mondo2. Le attività coinvolgono un pubblico molto vario e in totale vengono organizzati circa 17 mila eventi per il periodo 1 maggio-31 ottobre 2015. Parallelamente sono molti i luoghi a essere riqualificati in occasione della manifestazione. Primo su tutti la Darsena che viene restituita ai milanesi come importante centro di aggregazione. Ma anche la Piazza Castello il cui processo di trasformazione può dirsi un successo della partecipazione dei cittadini al progetto di architettura. E ancora tutti i monumenti e le piazze che vengono rispolverate un po’ in tutte le zone secondo le disposizioni dell’assessore ai Lavori pubblici e Arredo urbano Carmelo Rozza. Viene restaurata la Galleria e viene creato un parco di 16 mila metri quadrati a Quarto Oggiaro per compensare la ferita data al quartiere con la realizzazione della Zara Expo . Anche i poli espositivi non vengono tralasciati; apre il Mudec, il nuovo Museo delle Culture di Milano nato dal recupero dell’ex fabbrica Ansaldo. Sempre nell’ottica del recupero si pone “The Tank”, un’iniziativa nata nell’ex scalo ferroviario di Porta Romana in cui vengono adoperati container navali come nuova interpretazione del mercato metropolitano. In tutto 21 shop di moda, design e giardinaggio e 12 locali tra cocktail bar, birrerie e street food.

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“Rischio estinzione, l’unica via è ridurre i consumi”, articolo di Paolo Valentino, Corriere della Sera, 17 ottobre 2015 3

Nella pagina accanto: 7. Irrigazione a goccia 8. Nutrire il pianeta con la pasta: la sfida globale del World Pasta Day 9. Carta di Milano

Non tutti lo sanno…tra irrigazione che vero che sono stati fatti alcuni importanti passi avanti nel corso centellinata e startup dei sei mesi della manifestazione. Il modo in cui Expo ha affrontato Il caso di Israele rappresenta uno il tema della nutrizione e dello svi- tra gli esempi più interessanti a luppo sostenibile è stato più volte questo proposito. “Israele è l’ucriticato. Eppure questa volta il nico Paese al mondo che ha più tema scelto per la manifestazione alberi adesso, che non nel secolo è di scottante attualità e di estre- scorso”, ha ricordato Efi Stenzler, ma importanza per il nostro futuro. presidente mondiale del KKL, l’or“Sono convinto che se non cam- ganizzazione ecologica più antica bieremo i nostri stili di vita e il modo del mondo (1901). Questo risultato in cui usiamo, o meglio sprechia- è stato possibile grazie alla messa mo le risorse, la civiltà umana an- a punto di tecniche di coltivaziodrà incontro all’estinzione, cioè ne innovative come l’irrigazione alla fine della vivibilità della Terra centellinata secondo il bisogno […]Parlo della riduzione dramma- delle piante, depurazione e ricirtica delle riserve di acqua pota- colo delle acque. E’ così che oggi bile, di pesci e cibo marino, della da un pugno di sabbia sono nate biodiversità, del suolo fertile, delle distese agricole e boschi. materie energetiche”3. Così di- Un altro esempio nell’ottica della chiara Jared Diamond, Premio Pu- salvaguardia delle risorse e della litzer nel 1997 con “ Armi, acciaio lotta alla malnutrizione può essee malattie”. Secondo l’autore, la re considerato il World Pasta Day diminuzione della disponibilità di ri- 2015 che si è tenuto il 25 ottobre. sorse unita al divario crescente tra In questa occasione si è parlato ricchi e poveri porterà inoltre ben intorno alle grandi potenzialità presto all’aumento delle tensio- che la pasta può avere in paeni geopolitiche nel mondo e allo si sottosviluppati sedi di frequenti scoppio di conflitti. L’unico modo carestie. A cascina Triulza i rapper porre freno a questo infelice presentanti dell’Ipo(International destino per l’umanità è, a detta Pasta Organization) si sono incondi Diamond, la diminuzione dei trati con i 17 più importanti pastai consumi e l’adozione di uno stile dell’Etiopia. Dal 2010 quest’ultima sta infatti portando avanti con il di vita sostenibile. Ritorna dunque il punto di vista sostegno della cooperazione itasostenibile che ormai rappresenta liana un progetto di sviluppo delun aspetto da cui non possiamo la coltura del grano duro e della più prescindere quando pensia- produzione di pasta. I risultati sono mo a una qualsiasi idea di futuro. molto positivi: una carestia evitata Nonostante molti visitatori abbia- ( grazie alla sostituzione preventino trovato debole la trattazione va del grano tenero con il grano del tema di Expo ( Feeding the duro) e una produzione che è Planet, Energy for Life), è però an- passata da 500 a 15 mila tonnel-


late l’anno. Questi dati si spiegano anche grazie alla scelta di molti imprenditori italiani di investire sulla produzione della propria etichetta in alcuni paesi dell’Africa, soprattutto in Etiopia e Angola. Il connubio tra Italia e Africa risulta particolarmente positivo: da un lato gli italiani riescono a ridurre i costi di logistica a cominciare dai costi di trasporto delle materie prime, dall’altro i locali ricevono know-how e sono in grado di installare impianti consoni destinati alla produzione locale. E’ così che in Etiopia sono aumentati notevolmente i consumi di pasta, tanto da cambiare le abitudini alimentari. La pasta è infatti una scelta alimentare economicamente accessibile e valida a livello nutrizionale anche grazie alla sperimentazione di farine “salutari” più ricche di vitamine, sostanze antiossidanti e proteine. Da ultimo, come ricorda Riccardo Felicetti, presidente di Ipo e del Gruppopasta di Aidepi, “Non solo la pasta può aiutare a combattere la fame nel mondo perché può rispondere alla complessità di una nuova e inedita scarsità alimentare, ma il suo modello produttivo risulta efficiente anche dal punto di vista della gestione delle risorse naturali, perché ha un contenuto impatto ambientale[…]La sua impronta ecologica è minima: una porzione di pasta di 80 grammi «pesa» 150 grammi di CO2”. Un interessante capitolo nella corsa all’innovazione e nella ricerca sulla sostenibilità è senza dubbio rappresentato dal mondo delle

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4 “All’Expo le nuove idee italiane su cibo e sostenibilità”, articolo di Paolo Madeddu, Corriere della Sera, 12 luglio 2015

Nella pagina accanto: 7. Rete del Padiglione del Brasile 8. Spettacolo Albero della Vita 9. Capitano Romano Bignozzi, responsabile delle operazioni sul sito Expo

startup. Ad Expo è stato realizzato il “Vivaio delle idee”, uno spazio messo a disposizione da Padiglione Italia, Ministero delle Politiche agricole e ItaliaCamp per la presentazione dei nuovi progetti imprenditoriali legati ai temi dell’esposizione: agricoltura, cibo, sostenibilità, cooperazione. Tra le varie startup c’è Pandora, che riutilizza in maniera ecosostenibile i rifiuti trasformandoli in pannelli per la costruzione di aerei, treni e navi; Kanésis, di Catania, che realizza prodotti industriali con gli scarti della lavorazione agricola, per esempio una bioplastica ricavata dalla canapa, utilizzabile per le stampanti 3D; Gnammo, piattaforma di social eating nata tra Torino e Bari, che con i suoi 100 mila utenti sta già suscitando preoccupazioni nei ristoratori4. Da ultimo bisogna ricordare che nonostante tutto a Milano un dibattito sul cibo e sul tema della nutrizione durante il corso dell’esposizione si è creato e che si sono poste le basi per i futuri sviluppi. Prova ne sono due documenti che sono stati prodotti nel periodo di riferimento: il Milan Urban Food Policy Pact, idea lanciata dal sindaco Giuliano Pisapia nel febbraio 2014 e la Carta di Milano, principale eredità immateriale della manifestazione. Il primo consiste in un patto internazionale firmato da oltre 100 città del mondo per rendere il sistema alimentare delle loro aree urbane più equo e sostenibile. Il testo è stato poi consegnato a Ban Ki-Moon, Segretario Generale delle Nazioni Unite, il 16

ottobre 2015. La Carta di Milano può essere invece definita come una “carta di responsabilità” rivolta cittadini, governi, istituzioni, associazioni e imprese con lo scopo principale di definire alcune importanti linee guida per responsabilizzare ciascun firmatario su questioni come lo spreco alimentare, il diritto al cibo, la sicurezza dei prodotti, l’agricoltura sostenibile. Un documento programmatico che pone nero su bianco quelli che possono essere considerati i punti principali della “sfida alimentare globale ” che siamo chiamati a sostenere da qui ai prossimi anni. Anche questo documento è stato consegnato a Ban Ki-Moon lo scorso 16 ottobre. Un primo bilancio. C’è chi si divertiva sulla rete del Padiglione del Brasile, chi si scatenava a suon di musica nell’angolo olandese delle patatine fritte, chi restava affascinato dai video sull’irrigazione del Padiglione di Israele. E ancora, chi si riposava esausto lungo il Decumano, chi faceva ore di coda al di fuori di Palazzo Italia e chi si radunava sul perimetro della Piazza d’acqua per assistere allo spettacolo dell’Albero della vita, capace di incantare tutti con i suoi effetti di luce e colore. Il 31 ottobre si chiude ufficialmente l’Expo e si dà immediatamente il via alla successiva fase di smontaggio e ripristino dell’area. Con Expo non se ne va soltanto una grande manifestazione, ma


anche quello che senza dubbio è stato il luogo di riferimento per quelli che Milano l’hanno vissuta negli ultimi sei mesi. Una sorta di continente artificiale, di grande piazza capace di coinvolgere non solo i turisti venuti da lontano, ma la città tutta, con i suoi eventi e il suo clima generale di positività. Expo è però anche il segnale che qualcosa si è mosso sul tema della fame e della nutrizione. “Nutrire il pianeta è la sfida epocale che abbiamo davanti, ed è un ideale oggi inseparabile dalla parola pace”, afferma il Presidente Sergio Mattarella al World Food Day di Expo 2015 per azzerare fame e malnutrizione. E continua: “la cooperazione può prevalere sul conflitto, il dialogo sul fanatismo e la crescita delle opportunità può restringere la forbice delle diseguaglianze”. Al suo fianco il segretario dell’ONU Ban Ki-moon riprende queste parole e incalza:” Molti mi domandano se abbiamo abbastanza risorse per portare avanti l’Agenda 2030 per lo sviluppo. Io chiedo ai leader come spiegano il fatto di avere tanti soldi per uccidere la gente invece di proteggerla. Perché non investono in cibo e agricoltura? È inaccettabile. Le nostre risorse sono un valore e le sprechiamo? Bisogna vergognarsi”. E allora ecco che forse occorre considerare l’esperienza dell’Esposizione Universale come un’apripista, un punto di partenza più che di arrivo. E del resto sono in tanti a parlare della “mission” di

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Milano a questo proposito per non sprecare quell’”eredità carica di futuro”5 che la manifestazione ha saputo lasciare. Per il momento ci si gode la festa finale e l’Ambrogino d’oro consegnato dal sindaco Pisapia al capitano Bignozzi, geometra settantottenne in cantiere dall’alba a notte fonda tutti i giorni durante la costruzione di Expo. Per quanto riguarda il futuro non si può fare altro che convogliare fin da subito tutte le energie positive nel ripensare il sito espositivo al termine della sua chiusura temporanea per evitare che tutto ciò che di buono è stato fatto in questi mesi svanisca nelle rigide nebbie invernali. Del resto, come ricorda Bignozzi, “Certo che si va in montagna per conquistare la cima, ma la cima non è tua: poi bisogna scendere e ripartire verso un’altra”.

5 Pomodoro, T. Bettanini, Expo 2015. Un’eredità carica di futuro, L. Mauro Pagliai Editore, 2015


2. LE ESPOSIZIONI UNIVERSALI. STORIE E SIGNIFICATI 2.1 L’inizio: le Esposizioni Universali dell’Ottocento 2.2 Expo come specchio dell’epoca di riferimento 2.3 Crisi del modello di Expo. Il concetto di evento


2.1

L’inizio: le Esposizioni Universali dell’Ottocento

Joris-Karl Huysmans, 5 febbraio 1848 – Parigi, 12 maggio 1907, è stato uno scrittore francese che ha influenzato lo sviluppo del romanzo decadente. La sua adesione alla corrente naturalista rappresentata da Émile Zola lo rende un acuto osservatore dei fenomeni artistici e culturali della sua epoca

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J. Davallon, Claquemurer, Pour ainsi dire, tout l’univers; la mise en exposition, CCI Georges Pompidou, Paris 1986

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3 Davide Rampello, introduzione al catalogo per la mostra “Expo x Expos, Comunicare la modernità, Le Esposizioni Universali 18512010, Triennale di Milano, 5 febbraio-30 marzo 2008 4

Ibidem

Nella pagina accanto: 1. Encyclopèdie, lucidatura del ferro 2. Encyclopèdie, betoniera e altri utensili 3. Encyclopèdie, fabbricazione di un bicchiere in legno

“Se non pensi singolarmente alle icone esemplari ed ai padiglioni, ma ti sforzi di immaginare l’atmosfera, altre immagini complessive ti verranno in mente. Tu stai osservando l’intero panorama delle visioni del mondo, stai riflettendo sull’opulente e non sostenibile, operoso e magnificente, industriale e inventivo, esotico e spettacolare mondo del XIX secolo”. Così Elke Krasny, docente alla Academy of Fine Arts di Vienna riassume tutto il valore aulico e immaginifico delle prime edizioni delle Expo dell’Ottocento. In quelle esposizioni, l’architettura, per come la descrisse Joris-Karl Huysmans1, “ racchiude nella sua ampia struttura la magnificenza delle macchine, oppure ospita nei suoi vascelli enormi e tuttavia immateriali e leggeri come il tulle, l’ondata prodigiosa degli acquirenti o la folla estasiata dei circhi”. Essa è in grado di “concentrare in un piccolo spazio le produzioni di tutti i climi, i monumenti di tutti i secoli… di imprigionare per così dire tutto l’universo”2. Dalle parole sopra riportate emerge molto chiaramente il fondamentale carattere celebrativo delle prime edizioni delle Esposizioni Universali. Esse erano emblema della convergenza tra sapere, ricerca, innovazione tecnologica e potere politico ed erano lo specchio di una società che si trasformava velocemente e che si preparava a entrare nell’epoca della modernità. Il Crystal Palace della Great Exhibition di Londra 1851 e la Tour Eiffel di Parigi 1889 altro non

sono che i simboli più lampanti di un’ideale di progresso reso tangibile dal ferro e dal vetro, i materiali dell’innovazione tecnologica e produttiva dell’epoca. L’Esposizione Universale ha poi anche segnato un passo avanti nelle modalità di diffusione della cultura. Già l’Encyclopédie aveva inaugurato una modalità comunicativa che per certi versi presentava un’affinità spaziale , temporale e metodologica con le forme del teatro e della rappresentazione scenica. “ I maniscalchi e i sarti che compaiono nelle illustrazioni sono plastiche figurine che animano gli atelier e gli opifici, sono attori di una commedia muta che nei dipinti dell’Encyclopédie prende vita”3. Ebbene, la vicenda delle Esposizioni Universali ha dato una voce a queste rappresentazioni e ha contribuito in maniera decisiva al passaggio da Simbolismo a Realismo. Per i sei milioni di visitatori di Londra 1851, esserci significava “toccare per conoscere, vedere per credere, sapere per vivere”4. Partecipare voleva dire essere testimoni dell’avvenire. Infine è bene ricordare che le Esposizioni Universali degli inizi non erano solo un microcosmo dell’innovazione o un continente della scienza in miniatura. Qui vi si svolgeva anche un’importante funzione commerciale. “Fiera, mostra, salone, esibizione”, sono tutte parole che prefigurano uno spazio circoscritto in cui sussiste un legame tra ciò che viene esposto e fruitore, uno spazio di merca-


2. LE ESPOSIZIONI UNIVERSALI. STORIE E SIGNIFICATI

to insomma. Uno spazio che non rinuncia comunque a una certa dimensione ludica , in cui l’invenzione e il meraviglioso sono categorie irrinunciabili per soddisfare le aspettative del visitatore.

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2.2

Expo come specchio dell’epoca di riferimento

Nel corso della loro storia le Expo hanno celebrato le innovazioni tecnologiche, industriali e culturali dei diversi Paesi del mondo. In tal senso è possibile sostenere che parlare di un’Esposizione Universale in particolare significa riferirsi a un preciso momento di produzione culturale politica ed economica nella storia degli ultimi centocinquant’anni. Expo come specchio dell’epoca di riferimento. Di seguito viene ripresa la periodizzazione proposta da Riccardo Dell’Osso nel testo “ Expo, da Londra 1851 a Shanghai 2010 verso Milano 2015”5. Secondo l’autore è possibile richiamare tre diverse epoche per descrivere l’evoluzione del concetto di Expo. Epoca dell’industrializzazione, 1851 Londra-1939 New York.

R. Dell’Osso, Expo, da Londra 1851 a Shanghai 2010 verso Milano 2015, Maggioli Editore, Milano 2008

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Ibidem

Nella pagina accanto: 4. The Great Exhibition of the Works of Industry of all Nations, Crystal Palace, 1851 5. Galeries des Machines, Parigi, 1878 6. Diller e Scofidio, Blur, EXPO SUISSE 02 7. Patxi Pagado, Padiglione spagnolo, Saragozza 2008

E’ l’epoca in cui “le esposizioni sono focalizzate sul commercio e sulla pubblicità di invenzioni tecnologiche divenendo luogo dell’incontro mondiale dello stato dell’arte di scienza e tecnologia”6. Nelle prime edizioni centrale è il ruolo di piazza rivestito dall’esposizione. L’Expo degli inizi si configura come un mercato, un luogo di confronto di idee, di lavoro e di divertimento. In questo la sua origine va letta in associazione ai grandi eventi fieristici che regolarmente si svolgevano nelle città nel corso del secolo. E’ interessante poi sottolineare il duplice aspetto di queste manifestazioni. Da un

lato l’animo istituzionale, rappresentativo della classe dirigente che sfruttava le innovazioni tecnologiche per fini propagandistici e divulgativi. Dall’altro la tendenza alla spettacolarizzazione, all’intrattenimento che mirava a suscitare lo stupore e la meraviglia nei visitatori. Non sorprende a tal proposito il ricorso frequente alla sperimentazione di fenomeni culturali come il cinematografo o il circo che in quegli anni stavano prendendo piede in tutto il mondo. In questo contesto l’architettura rivestiva un ruolo centrale accentuando la valenza simbolica e autoreferenziale degli edifici. “ Le Esposizioni comunicavano unicamente attraverso l’immediatezza iconica della forma architettonica”7. Del resto si trattava di occasioni uniche in cui la pratica della progettazione, che in un contesto normale è inevitabilmente legata a un certo carattere di semplicità e durabilità, ha qui la possibilità di sperimentare diversi modelli strutturali, distributivi e decorativi. Gli edifici diventano invenzioni, allusioni, esperienze spaziali effimere. Epoca dello scambio culturale, 1939 New York-1992 Siviglia e Genova. Rispetto al periodo precedente, caratterizzato dalla centralità delle innovazioni tecnologiche e della tecnologia, le Esposizioni Universali di questo periodo conducono una riflessione di più ampio respiro in relazione alle tematiche proposte. Lo scambio culturale caratte-


2. LE ESPOSIZIONI UNIVERSALI. STORIE E SIGNIFICATI

rizza queste edizioni orientando le manifestazioni molto spesso verso orizzonti utopici e universali. L’obiettivo è quello di immaginare una migliore idea di futuro in cui fondare un nuovo equilibrio tra uomo, natura, tecnologia.

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Epoca del marchio nazionale o Epoca dei grandi temi globali, 1992 Siviglia e Genova- a oggi All’inizio degli anni Novanta i significati dell’Esposizione Universale attraversano un periodo di crisi. Da un lato la maggiore astrattezza dei temi introduce una difficoltà maggiore per l’architettura che necessita di trovare nuove forme comunicative adatte al cambio di prospettiva; dall’altro la tendenza delle diverse città ospitanti di sfruttare queste occasioni come evento mediatico per il loro rilancio sul territorio. E’ inevitabile dunque che i padiglioni dei singoli paesi finiscano per essere il mezzo pubblicitario scelto dalle diverse nazioni per dare lustro al proprio Paese. Da qui la degenerazione in alcuni eccessi di spettacolarizzazione che in un certo modo corrispondono però anche alla sperimentazione di diverse forme espressive.

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Nelle pagine seguenti vengono brevemente presentati alcuni esempi significativi delle tre epoche di riferimento.

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1851, Londra. “La Grande Esposizione dei lavori dell’Industria di tutte le Nazioni” Sede: Hyde Park, Crystal Palace Progettista: Joseph Paxton Visitatori: 6 039 195 Se negli Stati Uniti la rivoluzione industriale veniva perseguita senza nessun impedimento, in Inghilterra il peso delle Arts and Crafts si fa ancora sentire e l’opinione pubblica si divide tra sostenitori e oppositori della produzione industriale. Il successo dei primi è dovuto al contributo importante di uomini come Henry Cole, uno tra i maggiori esponenti della cultura vittoriana e sostenitore della più stretta collaborazione tra arte e industria. E’ a lui che si deve l’organizzazione della prima grande Esposizione Universale. Tutto ha il sapore del cambiamento e della modernità a iniziare dall’edificio simbolo della manifestazione: il Crystal Palace. Il suo progettista, Joseph Paxton, un giardiniere costruttore di serre, realizza un manufatto del tutto nuovo dove per la prima volta l’apparato decorativo viene messo da parte in favore di una più vicina corrispondenza tra forma e struttura. Il ricorso alla modularità e alla costruzione lo rende inoltre un modello per la produzione successiva introducendo la tipologia dei grandi impianti espositivi della nascente società di massa. 1889, Parigi. “Esposizione Universale” Sede: Campo di Marte Progettisti: Formigé, Dutert, Eiffel Visitatori: 32 350 297

R. de Fusco, Storia dell’architettura contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2000

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Nella pagina accanto: 8. Joseph Paxton, Crystal Palace, Londra 1851 9. Fasi costruttive della Tour Eiffel, Parigi, 1887-1889

E’ questa sicuramente una tra le più rappresentative Esposizioni ottocentesche. Comprende diversi edifici tra i quali la Galerie des Machines e la Tour Eiffel che corrispondono alle opere più impegnative costruite in ferro fino a quel momento. “ L’architettura dell’ingegneria è la più significativa manifestazione in campo costruttivo della cultura ottocentesca”8. Rimane ancora sconcertante pensare come la Torre, collocata sull’asse del ponte che conduce al Trocadero, abbia rappresentato un punto di riferimento simbolico per la città a partire dal momento della sua costruzione. Tuttavia, al di fuori di questi grandi prodigi della tecnica e dell’ingegneria, sul finire dell’Ottocento sembra che il controllo sulla qualità architettonica degli edifici entri progressivamente in crisi a causa di un dilagante eclettismo. Dopo il 1889 si assisterà a un progressivo ritorno al classicismo come principio ordinatore.


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1893, Chicago. “IV centenario della scoperta dell’America” Sede: Jackson Park Progettista: Burnham e Root Visitatori: 27 500 000 A Chicago, nonostante la ricerca architettonica sia lanciata verso la nascita della tipologia del grattacielo, gli architetti designati per la progettazione della Worl’s Fair, come veniva comunemente chiamata, realizzarono edifici caratterizzati da facciate classiche in stucco bianco che nascondevano alle loro spalle la struttura in ferro e vetro. Quello che interessava agli architetti era soprattutto conferire un aspetto monumentale all’impianto, concentrandosi in particolare sulla definizione urbanistica del complesso (quella di Chicago fu “la più completa realizzazione urbanistica costruita da zero che sia stata realizzata dopo la ristrutturazione di Parigi e Vienna avvenuta sul finire del secolo”9). L’architetto dei giardini Frederick L. Olmsted organizzò lo spazio intorno a un grande parco sul quale si attestavano gli edifici rappresentativi. 1906, Milano. “Trasporti, Celebrazione dell’apertura del Traforo del Sempione” Sede: Parco Reale e Piazza d’Armi Visitatori: 10 000 000

Nella pagina accanto: 10. The republic basin, Chicago 1893 11. Tramvia sopraelevata, Milano 1906

Nata dall’occasione di celebrare l’apertura del nuovo Traforo del Sempione, l’Esposizione di Milano si configura subito come qualcosa di nuovo nella storia della manifestazione. Già l’impianto del complesso risulta di particolare interesse: per la prima volta non c’è un unico recinto che include al suo interno tutti gli edifici, bensì due parti di città tra loro distinte e collegate da una ferrovia elettrica sopraelevata. Da un lato il Parco del Castello Sforzesco, che ospita gli edifici per così dire più tradizionali (ingresso d’onore, Belle Arti), dall’altro la Piazza d’Armi, sede dal 1923 della Fiera di Milano, dove si concentrano i padiglioni più tecnologici e dove vengono esibite le novità riguardanti il tema dei trasporti. La scelta di dividere l’Esposizione in due spazi tra loro collegati è particolarmente interessante sia perché permette di riflettere ancora una volta sulle ripercussioni urbane che queste manifestazioni comportano sulla città, sia perché offre l’occasione di sperimentare, almeno nella parte più tecnologica, uno stile temporaneo delle architetture che allontana definitivamente il classicismo e apre le porte al Liberty e all’ Art Nouveau. Milano come luogo di sperimentazione e avanguardia, nuovo contesto dinamico e progressista.


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1939, New York. “The World of Tomorrow” Sede: Flushing Meadows Park, Long Island (Queens) Progettista: Hanry Dreyfuss Visitatori: 44 965 000 A partire dall’edizione di New Tork del 1939 si assiste a uno spostamento dai temi della tecnologia e delle innovazioni verso una riflessione culturale di più ampio respiro. Vengono affrontate nuove tematiche, già di per sé il titolo della manifestazione newyorkese “ Tomorrow’s World” è significativo a questo riguardo. E del resto questo, che appare per certi versi come uno slogan, rientra perfettamente nel clima culturale dell’epoca, in un mondo che risente ancora dei postumi della grande crisi del 1929 e che di lì a poco assisterà impotente allo scoppio del conflitto mondiale. L’esposizione diventa allora un luogo di speranza per il futuro, assumendo una straordinaria valenza simbolica. I due edifici più rappresentativi assumono non a caso forme astratte e pure: vengono realizzati il Trylon, prisma a base triangolare alto duecento metri e il Perisphere, una sfera di cemento grande come un isolato. 1958, Bruxelles. “Bilancio del mondo per un mondo più umano” Sede: Heysel Progettista: M. Van Goethem Visitatori: 41 454 500

Nella pagina accanto: 12. Vista del Trylon e del Perisphere, New York 1939 13. Le Corbusier, Padiglione Philips, Bruxelles 1958

Questa tendenza al simbolismo e all’interesse umanitario delle Esposizioni continua anche nelle edizioni successive come si può riscontrare nel caso di Bruxelles 1958, “Bilancio del mondo per un mondo più umano”. In questo caso il ricorso a un linguaggio poetico e per certi versi irrazionale sembra voler spingere la riflessione sul tema dell’uomo verso un’esperienza totalizzante fra astrattezza matematica e forma biologica. L’esito sicuramente più significativo è il Padiglione Philips, nato dallo sforzo congiunto di Le Corbusier, al quale si deve la realizzazione di uno spazio avvolgente e leggero, Edgar Varèse, che realizzò il celebre Poème électronique, e Iannis Xenakis, ingegnere e musicista che progettò le superfici sul quale il suono veniva diffuso, frutto della ricerca sulla geometria topologica. Il risultato fu una vera e propria opera multimediale che per certi versi si mostrò troppo visionaria e in anticipo rispetto all’epoca di riferimento. Nella stessa ottica di sperimentazione spaziale si pongono anche i due edifici più importanti dell’Expo di Montreal 1967: la cupola geodetica di Richard Buckminster Fuller per il Padiglione Americano e la tensostruttura realizzata da Frei Otto per il padiglione della RFT.


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1970, Osaka. “Progresso ed armonia per l’umanità” Sede: Senri, Suita, Prefettura di Osaka Progettista: Kenzo Tange Visitatori: 64 200 000 Le vicende sopra esposte non riescono tuttavia a disegnare scenari convincenti per il futuro. Con l’Esposizione di Osaka del 1970 si riapre il dibattito sul tema “Progresso e Armonia per l’Umanità” nel tentativo di proporre un modello di città del futuro più convincente. Questo concetto è ben espresso dalle parole di Taro Okamoto, autore di uno degli edifici più rappresentativi. “Persone da tutte le regioni si riuniranno qua, verranno a contatto le une con le altre, e verificheranno i molti elementi comuni in tutte le loro culture. Qui comprenderanno l’orgoglio di essere umani, di essere vivi. Un festival della cosa vivente. E’ la possibilità per le persone, rattristate dai sistemi troppo meccanizzati che accompagnano il progresso sociale, di afferrare l’ampiezza dell’esistenza futura”. Il progetto viene affidato a Kenzo Tange che per l’occasione sperimenta un modello insediativo che riprende un’idea già espressa nel Piano di Tokyo del 1960. Viene proposta la metafora dell’albero: da un asse attrezzato principale, il tronco, dipartono delle vie pedonali mobili, i rami, che terminano in aree di servizio, le foglie, attorno a cui si dispongono i padiglioni, i fiori. E’ l’idea di una spina centrale dalla quale dipenda l’intera struttura urbana. All’interno di questo rigido schema gerarchico particolare attenzione viene posta ai nomi con i quali vengono designati i diversi sazi: Symbol Zone, Sub-palza, Festival Plaza, Space Frame, Epo Tower, Tower of the Sun. Tutto rientra nella logica del Festival e della comunicazione come ribadito anche dallo stesso Kenzo Tange: ”Attualmente c’è maggiore senso nel rappresentare un ambiente connesso con il software che nel rappresentare l’hardware puramente fisico della cultura. In altre parole, è più importante per le persone riunirsi per cambiare gli aspetti immateriali della loro cultura, sapienza e tradizioni; ma sotto tali circostanze, l’esposizione diviene un festival”.10 N. Kawazoe, K. Tange, Some thoughts about EXPO ’70, Japan Architect, Special Issue, Maggio-Giugno 1970

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Nella pagina accanto: 14. Vista aerea del sito espositivo, Osaka 1970


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1992, Genova. “Cristoforo Colombo: Le Navi ed il Mare” Sede: Genova, Porto Antico Progettista: Renzo Piano Visitatori: 800 000 Un aspetto interessante portato avanti dalle manifestazioni successive è sicuramente l’importanza che viene attribuita alla riorganizzazione territoriale e urbana che questi eventi avrebbero comportato. A Genova, per esempio, Renzo Piano sostiene l’esigenza di dover sovvertire la logica temporanea che le Expo avevano spesso perseguito sfociando in “palestre di banalità dove celebrare corse ai record”11. La manifestazione doveva essere al contrario un’occasione in cui i nuovi edifici unitamente a quelli recuperati dai restauri dovevano rimanere in dotazione permanente alla città e pertanto era necessario dedicare molta attenzione ai modi insediativi del progetto. E’ così che l’Esposizione permette di risolvere uno dei nodi principali nella forma urbis della città: il recupero del Porto Antico e il suo decisivo reintegro nel centro storico. 1992, Siviglia. “L’età delle scoperte” Sede: Isola Cartuja Progettista: Emilio Ambasz, Antonio Ordonez, Vittorio Gregotti Visitatori: 42 000 000

Scritto di Renzo Piano pubblicato in : V. M. Lampugnani, Renzo Piano: Progetti e Architetture 1987-1994, Electa, Milano 1984

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Nella pagina accanto: 15. Renzo Piano, Risistemazione del Porto Antico, Genova 1992 16. Avenida Europa, Expo Siviglia 1992

Nella stessa ottica di trasformazione urbana e territoriale si pone anche il caso di Siviglia 1992. Già di per sé la decisione di collocare l’Expo nel sud-ovest della Spagna corrispose a un preciso atto politico: quello di dare un forte incentivo allo sviluppo di un’area debole. La decisione fu quella di insediare la manifestazione in un’area libera lungo il Guadalquivir fino ad allora inaccessibile perché tagliata fuori dalla ferrovia e dal fiume. Al fine di reintegrare questo spazio, che era una vera e propria isola artificiale ( detta la Cartuja), particolare attenzione venne posta nella progettazione di infrastrutture e ponti che dovevano ricucire il rapporto con il centro storico. Un grande parco divenne l’elemento ordinatore dello spazio e in pochi anni vennero realizzati i padiglioni sotto gli occhi increduli dei sivigliani che vedevano progressivamente sorgere una sorta di città parallela. Ma fu proprio l’individualità e la magnificenza effimera dei padiglioni a segnare l’insuccesso dell’operazione: una volta chiusi i battenti la città non è riuscita a indurre le trasformazioni urbane auspicate e l’economia spagnola non ha spostato minimamente il suo baricentro. Oggi l’isola della Cartuja appare suo malgrado un luogo di degrado e di abbandono.


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2.3

Crisi del modello di Expo. Il concetto di evento

13 C. Strano, Gli anni Settanta, Skira, Milano 2005

E. Redaelli, Il nodo dei nodi, Edizioni ETS, Pisa 2008

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Ibidem

M. Heidegger, Zur Sache des Denkens, Niemeyer, Tubingen 1969

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Vier Seminare, Klostermann, Frankfurt 1977

Nella pagina accanto: 17. Copertina del libro Il nodo dei nodi sopra cit.

La trattazione precedente ha messo in luce le diverse modificazioni del modello proposto durante le Esposizioni Universali analizzando le diverse modalità comunicative della manifestazione e il rapporto tra ciò che veniva esibito e i fruitori nel corso delle diverse epoche. E’ così che a partire da un iniziale nesso tra innovazione tecnologica e rappresentazione, le ultime edizioni avevano messo in mostra la tendenza all’indipendenza tra tema e forme espressive. Questo aveva significato da un lato degenerazioni dovute a un eccesso di spettacolarizzazione, dall’altro la difficoltà del reinserimento degli edifici al termine dell’evento espositivo. “ L’architettura all’interno di Expo è stata dapprima essa stessa simbolo del progresso delle nazioni, in seguito ha assunto un ruolo sempre più marginale… Oggi non si dimostra sempre capace di rappresentare in modo efficace le istanze richiamate dal tema generale e appare vittima delle nuove tecnologie, scavalcata e sostituita da quelle della rivoluzione informatica”12. In riferimento alla frase sopra riportata è interessante porre in relazione la recente crisi delle Esposizioni Universali con le profonde modificazioni introdotte dall’era di Internet. Con l’avvento delle nuove tecnologie viene infatti introdotto il tempo reale nella percezione delle attività umane e l’accesso immediato alle informazioni che rendono in parte superato l’evento in quanto tale prima ancora

che esso accada. “L’epoca della rappresentazione lascia il posto all’epoca della comunicazione”13. Nel mondo della comunicazione la facile disponibilità di dati mette definitivamente in crisi il ruolo informativo e divulgativo che aveva tradizionalmente costituito uno dei capisaldi delle Esposizioni Universali. “Il ruolo di Expo, più che esporre le maggiori novità tecnologiche prodotte dalle diverse nazioni, sembra orientato verso l’interpretazione delle sfide a cui la società è chiamata a rispondere, in cui atteggiamenti globali e caratteristiche locali ridefiniscono i limiti di tali eventi, nuove problematiche, ne informano i contenuti”14. Si viene così a delineare una importante modificazione del concetto di Expo che passa dall’essere luogo di esposizione di precisi prodotti culturali e tecnologici a un momento di riflessione e di raccoglimento intorno a temi globali. Al centro della questione non ci sono più gli oggetti tangibili del progresso, ma concetti, attività, accadimenti. L’Expo della contemporaneità si distacca pertanto dal senso tradizionale in cui la manifestazione era stata originariamente concepita e approda a una nuova definizione che trova nell’evento il suo carattere principale. A tale proposito viene qui proposta una riflessione sul concetto di evento attraverso la teorizzazione di Martin Heiddeger, tratta dal primo capitolo del testo di Enrico Redaelli, “Il nodo dei nodi”15.


2. LE ESPOSIZIONI UNIVERSALI. STORIE E SIGNIFICATI

Pensare l’essere senza l’ente In filosofia l’ontologia, ovvero lo studio dell’essere in quanto tale e delle sue categorie, ha da sempre rappresentato un punto centrale per tutti i pensatori. Tradizionalmente, a partire da Socrate in poi la domanda a cui bisognava rispondere era il τι εστι, cioè il “che cos’è”. Su questa domanda si è fondata la storia del pensiero occidentale che, di volta in volta si interrogava sul piano della sostanza ultima delle cose nel tentativo di comprenderne la più profonda ragion d’essere (λόγος). Con Heidegger si apre la strada per un ulteriore riflessione che porterà a un radicale cambiamento di prospettiva negli ultimi decenni. Il filosofo tedesco, partendo dalla constatazione che l’essere è sempre stato pensato come un essere presente che si traduce in una varietà di fenomeni, si domanda se non sia possibile pensare all’essere senza l’ente, senza cioè ricorrere alle sue diverse manifestazioni. Si tratta di condurre un’operazione molto delicata: come infatti pensare ciò che è condizione di ogni apparire ma che di per sé non appare? Secondo Heidegger il tratto fondamentale dell’essere risiede nel lasciar essere l’ente, nel renderlo manifesto attraverso un “coprire che illumina”16. In questo doppio movimento, ciò che rimane coperto è l’essere, l’ente nella sua totalità, mentre ciò che viene illuminato è l’ente nelle sue manifestazioni particolari. In altre parole viene qui indagato l’orizzonte

puro della manifestatività, cioè il piano più profondo dell’essere che, celandosi, individua al tempo stesso un limite in cui i fenomeni possono disvelarsi. Essere come lasciar essere dunque. Dall’essere all’evento Se, come visto in precedenza, “ è solo ciò che si manifesta, cioè l’essente che viene in presenza, questo significa che l’essere, di per sé, propriamente non è, cioè è nulla di essente”17. L’essere è dunque un “niente nientificante”, dove con questa espressione si indica il movimento dell’essere nel rendersi manifesto. Secondo Heidegger è qui che si raggiunge il punto nodale della questione in quanto “il nientificare ( il movimento del nulla) è l’evento dell’essere come condizione dell’avvento dell’ente”18. In altre parole è nel movimento del nulla che si verifica l’evento inteso come il darsi dell’essere. A questo punto è interessante notare in questo principio dinamico di darsi dell’essere come il filosofo stia cercando di mettere a fuoco una soglia, un limite che è costitutivamente doppio in quanto si mostra e contemporaneamente si cela. Significa portare il pensiero a pensare il proprio limite nel tentativo di puntare lo sguardo su quell’assenza che è già in presenza. Heidegger chiama questo limite “Ereignis”, cioè evento. Da questo momento dunque non si tratta più di pensare l’essere, ma l’evento.

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“Se dovessimo allora visualizzarlo spazialmente, dovremmo dire che l’Evento è solo un margine, il confine che orla l’ente che di volta in volta viene in presenza; quindi: uno spazio che non è uno spazio, ma che delimita l’ente stagliandolo nella presenza e separandolo dal nulla da cui proviene”19. L’Evento rappresenta quindi quella linea immaginaria che separa gli enti ma che non ha nessun contenuto: non appartiene né a questo né a quell’ente. L’Expo come evento A questo punto della trattazione può essere interessante rileggere l’esperienza delle Esposizioni Universali delle ultime edizioni alla luce delle considerazioni avanzate da Heidegger sull’evento. Pensare a Expo come evento significa spostare l’attenzione dal contenuto, al contenitore per così dire. Nell’era di Internet e della rivoluzione informatica, l’accesso immediato ai dati rende infatti superato il momento stesso dell’Esposizione, ancora prima che esso sia effettivamente cominciato. E’ così che le Esposizioni si impoveriscono via via sul piano dei contenuti concreti mettendo in crisi quel nesso tra prodotti esposti e fruitore che aveva determinato la nascita di queste manifestazioni. Ma a questo punto una domanda sorge spontanea: qual è il senso oggi di una Esposizione Universale se in fin dei conti non c’è più un vero e proprio contenuto da esibire?

A questo proposito è proprio il richiamo della nozione di evento che offre ancora legittimità alla manifestazione. L’Expo della contemporaneità si presenta infatti come un margine, una soglia, come quella linea invisibile di cui parlava Heidegger che consente di delimitare un luogo, fisico e concettuale, in cui si lascia la possibilità alle idee di prendere forma. Se le Expo del passato erano i luoghi dell’esposizione, oggi sono i luoghi dell’accadimento. Al termine della manifestazione quello che resta è infatti un’esperienza nata dall’incontro straordinario di persone e cose diverse che trovano proprio nell’evento la possibilità di venire a contatto. Evento dunque come spazio delle possibilità.


3. CHE COSA C’ERA PRIMA DI EXPO. MILANO E IL SUO TERRITORIO 3.1 Milano metropoli agricola 3.2 Milano e le sue acque 3.3 Il sistema delle cascine 3.4 L’area Expo nel contesto agricolo


3.1

Milano metropoli agricola

“Ci sono ragioni profonde che legano Milano all’agricoltura, ne fanno ancora oggi una metropoli rurale e ne disegnano nuovi indirizzi di sviluppo, più sostenibili e strettamente connessi alla natura”1.

Pietro Lembi, “Una lunga storia di terre, acque ed economia”, in Abitare 541, pp. 112117, 2015

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Nella pagina accanto: 1. Mappa di insieme del territorio milanese 2. Immagine del costruito urbano 3. Reticolo idrico 4. Seminativi e risaie

A una prima lettura queste parole, riprese da un articolo di Pietro Lembi su Abitare, sembrano senza dubbio qualcosa di lontano rispetto all’immagine che generalmente si associa a Milano. Eppure per raccontare la città nella sua completezza non è possibile tralasciare quello che in realtà è il suo lato più autentico e da cui tutto è partito. Se oggi Milano risulta leader in molti settori, e se ieri è stata un importante centro per l’avvento dell’industrializzazione, tutto questo lo deve al suo territorio e alla sua geografia. Situata al centro di una vasta pianura si trova infatti nel cuore di uno dei luoghi più fertili del mondo che la rendono oggi il secondo comune agricolo di Italia. La ragione di questa fortuna deriva da una straordinaria abbondanza d’acqua che da sempre alimenta questa regione scorrendo prevalentemente nel sottosuolo per poi riemergere attraverso le risorgive e i fontanili. Una fitta rete capillare che associata a tutte le opere di canalizzazione presenti sul territorio ha generato un paesaggio molto particolare in cui l’acqua gioca un ruolo centrale. Un paesaggio fluido e orizzontale, caratterizzato da un ritmo lento, nato dall’ incontro sapiente e calibrato tra uomo e natura.

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3. CHE COSA C’ERA PRIMA DI EXPO. MILANO E IL SUO TERRITORIO

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3.2

Milano e le sue acque

Risorgive, fontanili, marcite

Esposizione “L’oro di Milano, usi agricoli e sociali delle acque milanesi” a cura di Maria Antonietta Breda, Maurizio Brown, Pietro Redondi, 1 maggio-31 ottobre 2015, cortile di Castello Sforzesco, Milano

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Nella pagina accanto: 5. Giovane donna lava i panni in una roggia, 1945 6. Bagni di Diana, trampolino dei tuffi, 1900 7. Gara di nuoto sul Naviglio Grande, 1920 8. Giovani donne su biciclette all’Idroscalo di Milano, 1947

Come anticipato sopra Milano deve la sua prosperità a un sapiente uso agricolo di tutte le sue acque superficiali e sotterranee, naturali e artificiali. Del resto non poteva essere che così per una città che trova già nella sua etimologia il suo carattere distintivo: Mediolanum- medium amnium, significa infatti “ in mezzo ai fiumi”. Da un punto di vista geografico, Milano sorge al centro di una vasta pianura compresa tra i laghi pedemontani e il Po’, delimitata a est e a ovest dai fiumi Adda e Ticino. Lontana però dai due fiumi principali, la città è stata in grado di sfruttare un altro elemento fortemente caratterizzante di questo territorio: l’acqua di falda e le risorgive. La risorgiva è un fenomeno legato alla natura geologica della Pianura Padana che presenta una fascia a ridosso delle Prealpi costituita da materiali grossolani e ghiaiosi dove l’acqua filtra nel terreno e alimenta una ricca falda sotterranea. Nel suo scorrimento a valle, in direzione sud-ovest, la falda incontra progressivamente un suolo meno permeabile composto di limi e argille che riportano l’acqua in superficie dando vita alla cosiddetta “fascia delle risorgive”. E proprio dell’importanza dell’acqua riemersa si resero ben presto conto gli abitanti di questa regione che fin dall’antichità cercarono di imbrigliare l’acqua di risorgiva per irrigare le pianure circostanti. Ne derivò un atteggiamento attento alla ricerca di equi-

librio tra approvvigionamento e risorse che caratterizzò fortemente questo territorio e che determinò il susseguirsi di innovazioni tecniche e idrauliche. Sulla base del fenomeno delle risorgive venne progressivamente sviluppata una tecnica che permetteva di intercettare la falda per riportare acqua in superficie secondo il principio della capillarità. E’ questo il principio che sta dietro ai fontanili, piccole “oasi artificiali” in cui l’acqua di falda viene convogliata in superficie attraverso tini in legno di rovere o tubi infissi nel terreno. Dalla testa del fontanile l’acqua viene poi fatta defluire attraverso l’asta nel canale irrigatore che la distribuisce nei campi. Un importante uso delle acque di risorgive e fontanili consisteva nel farle scorrere tutto l’anno sui prati cosiddetti “marcitori” o “marcite”. Questa pratica permetteva di sfruttare la pendenza naturale del terreno per mantenere in continuo movimento l’acqua impedendo che il suolo ghiacciasse in inverno. La temperatura ottimale dell’acqua, compresa tra i 9° invernali e i 14° estivi, consentiva poi un aumento della produzione di foraggio rendendo possibili sette-nove tagli all’anno contro i quattro-cinque ottenuti dalla coltivazione di un prato stabile. L’origine della marcita è attestata fin dai secoli XII e XIII e ha subito anch’essa grandi sviluppi nel corso del tempo fino ad arrivare alla sua struttura più evoluta, quella “ a due ali”, con due falde di terre-


3. CHE COSA C’ERA PRIMA DI EXPO. MILANO E IL SUO TERRITORIO

no in leggera pendenza nella cui parte inferiore l’acqua veniva raccolta da canaletti ricettori che a loro volta la trasferivano al campo successivo. La marcita oltre a rappresentare un elemento fortemente caratterizzante la fluidità del paesaggio lombardo, ha inoltre giocato un ruolo importante anche nel meccanismo di depurazione delle acque fino al secondo dopoguerra. Il Progetto per la fognatura generale della città, approvato nel 1890 dall’ingegnere Felice Poggi a due anni dall’attuazione del Piano Beruto, prevedeva infatti che lo smaltimento del consistente volume delle acque reflue provenienti dall’area urbana milanese in rapida espansione, avvenisse tramite l’utilizzo dei prati marcitori esistenti a valle della città. Questo metodo di depurazione naturale venne monitorato negli anni da studi e analisi di carattere fisico, chimico e batteriologico che garantivano l’efficacia e la sicurezza igienico-sanitaria del sistema. Nel secondo dopoguerra però, lo sviluppo urbano con la conseguente riduzione della superficie dei terreni di spandimento, e gli scarichi industriali, resero necessario l’abbandono della marcita a fini depurativi e il ricorso a nuovi sistemi. Acque vissute Da quanto riportato sopra appare chiaro il forte legame che Milano ha da sempre sviluppato con il suo territorio e in particolare con l’acqua come elemento

catalizzatore di sviluppo. E’ però interessante evidenziare che tale legame va oltre al semplice sfruttamento della risorsa acqua, ma che al contrario pone le basi per una cultura urbana in cui l’acqua entra nella vita dei cittadini anche come elemento ricreativo e funzionale dando vita a un tessuto profondamente compenetrato dalla presenza di molteplici usi delle acque. “Gli storici canali milanesi di origine medievale, i cosiddetti navigli, non servivano solo a trasportare merci pesanti e a irrigare campi, orti e risaie, ma ospitavano sulle loro sponde decine di lavatoi e nei giorni festivi facevano da scenario a feste popolari, gare di pesca e gite di gruppo in barca oppure in bicicletta lungo le strade alzaie usate per trainare controcorrente i barconi. Le rogge presenti in città offrivano in estate luoghi di balneazione popolare o di lusso, come il celebre Bagno Diana presso i Bastioni di Porta Venezia”2. Nella stessa ottica di uso molteplice delle acque rientra anche l’Idroscalo, un grande lago artificiale alimentato dalla falda freatica e pensato come un’infrastruttura polifunzionale: porto per idrovolanti e insieme luogo per sport nautici, la pesca, la balneazione e il tempo libero. Nel 1934 qui si tengono i Campionati europei di canottaggio che contribuiscono alla definitiva consacrazione di quello che resterà d’ora in poi il “mare di Milano”, meta di tutti coloro che alla domenica non potevano permettersi le acque di Rimini.

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3.3

Il sistema delle cascine

Pietro Lembi, “Una lunga storia di terre, acque ed economia”, in Abitare 541, pp. 112117, 2015

3

Nella pagina accanto: 9. Azienda agricola Fedeli, Cascina Battivacco 10. Associazione Campacavallo, attività per bambini. Sede presso la Cascina Campi

Il contesto molto particolare descritto sopra in cui uomo e ambiente tendono a ricongiungersi in un generale equilibrio si può ritrovare anche nel tipo architettonico tradizionale della cascina lombarda. La cascina è infatti un perfetto esempio di manufatto rurale di interesse perché riesce a riassumere in uno spazio preciso la compresenza di elementi naturali e antropici che caratterizzano il paesaggio della pianura. Una sorta di contenitore di esperienze diverse che per lungo tempo è stata la forma di insediamento principale fuori dalla città murata di Milano. Essa ancora oggi rappresenta “l’organismo attraverso cui l’uomo si avvicina alla terra per coltivarla, trasformare i suoi frutti, allevare animali, vivere”3 Oggi si contano nel solo comune di Milano circa 150 cascine, di cui 60 di proprietà comunale. Non tutte sono ancora legate a un uso agricolo, alcune accolgono usi alternativi e servizi, altre sono abbandonate. Quello che però è certo è che si tratta di un patrimonio vastissimo che ha bisogno di essere riattivato e che potrebbe rappresentare il motore di nuove progettualità per la rinascita di una metropoli rurale. A questo proposito vanno sottolineati tutti i tentativi di riconversione e reintegro delle cascine che in generale hanno cercato di reinserirle nelle dinamiche urbane attraverso l’introduzione di servizi attrattivi per la comunità. E’ questo ad esempio il caso della Cascina Campi, che da una semplice

fattoria destinata a una subitanea lottizzazione è oggi uno dei punti di riferimento per scuole e famiglie con attività didattiche, ricreative e per ragazzi. Anche la Cascina Sant’Ambrogio, situata di fronte al cantiere della futura linea della metropolitana blu per l’aeroporto di Linate, è stata oggi completamente reinventata. Nelle stanze di quella che era una ex chiesa medievale si svolgono eventi di musica, filosofia, teatro, attività di co-working, di studio, fino al mercato di ortaggi biologici e alle feste per bambini. Insomma una cosa appare evidente: se oggi le cascine vogliono vivere una nuova stagione di rilancio occorre una strategia condivisa e molte volte questa strategia è stata trovata nel recupero architettonico degli spazi e nella diversificazione funzionale. Resta indubbio che in un contesto fortemente urbanizzato come quello di Milano, la cascina può rappresentare ancora un punto di riferimento importante per i cittadini, un luogo di memoria dove si possa perpetuare quell’attaccamento al territorio così importante per una città che deve ad esso gran parte della sua prosperità.


3. CHE COSA C’ERA PRIMA DI EXPO. MILANO E IL SUO TERRITORIO

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3.4

L’area Expo nel contesto agricolo

La società EXPO 2015 S.p.a ha incaricato il DOTT. ALBERTO VENEGONI, GEOLOGO, di eseguire lo “studio della componente geologica, idrogeologica e sismica al sensi della L.R. n. 12 del 11.03.05 e della DGR 8/7374 dal 28.05.08”, da effettuare nell’ambito dell’Accordo di Programma con contenuto di Variante urbanistica ai Piani Regolatori Generali vigenti del Comune di Milano e del Comune di Rho, per consentire la realizzazione dell’Esposizione Universale (EXPO) 2015.

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Nella pagina accanto: 11. Area Expo: rete idrografica di pertinenza 12. Torrente Fugone o Merlata all’interno dell’area Expo 13. Punto di uscita in area Expo del fontanile Taiolo

La trattazione precedente fornisce un punto di vista globale sulle dinamiche che si sono evolute nel corso del tempo tra Milano e il suo territorio. E’ interessante a questo punto condurre alcune considerazioni più specifiche sull’area Expo per cercare di capire che cosa c’era prima dell’evento e in che misura quest’area si riallacciava al sistema agricolo della pianura. Il territorio dove è stato realizzato Expo presentava essenzialmente caratteristiche di aree ad uso agricolo, con la presenza nell’intorno di numerose attività antropiche industriali e grandi opere di collegamento viarie e ferroviarie. Nel corso del tempo, come per gran parte delle zone circostanti, l’area aveva basato la produzione sullo sfruttamento della ricca rete di corsi d’acqua e fontanili che si trovano nei dintorni. Nella relazione idrogeologica che accompagnava l’Accordo di Programma approvato per la realizzazione di Expo4, vengono elencati nel dettaglio i corsi d’acqua che interessano l’area. Del reticolo idrico principale fanno parte il Torrente Fugone ( o Merlata), che nasce dalla congiunzione all’altezza di Baranzate dei torrenti Guisa e Nirone e che attraversa l’area Expo per 750 metri in direzione N-S ricevendo l’acqua dei fontanili Taiolo e Viviani, e il fiume Olona, che nasce da una frazione di Varese e giunge in prossimità di Expo alimentando il Canale Scolmatore di Nord Ovest per poi entrare a Milano. Del reticolo idrico secondario fanno invece parte i fontanili

Taiolo e Viviani, il fontanile Triulza e il fontanile Magenta. Una considerazione generale sulla qualità delle acque presenti nell’area porta a riflettere sull’elevato grado di contaminazione delle acque sotterranee e sull’inquinamento dell’acqua di falda. Quest’ultimo è riconducibile all’avvento dei primi comparti industriali a partire dal secondo dopoguerra in poi. In particolare, la crescita dei nuclei industriali di Bollate e Baranzate tra gli anni ’70 e ’90 e la realizzazione delle opere ferroviarie, hanno contribuito a un rapido declino delle aree agricole che, alla vigilia di Expo, sicuramente apparivano inadeguate e in stato di semi abbandono. Per quanto riguarda le preesistenze in ambito agricolo, il nucleo più significativo è quello di Cascina Triulza, la cui esistenza è certificata fin dal 1346. L’intervento di restauro ha permesso il consolidamento dei nuclei storici e la demolizione e ricostruzione di un nuovo edificio. L’impianto tipologico è a corte e i diversi corpi si affacciano su uno spazio centrale che ospita una piazza e alcune aree verdi adibite a orto. Durante Expo la Cascina ha ospitato il Padiglione della Società Civile pensato come un centro di ricerca sullo sviluppo sostenibile e sul tema dell’alimentazione. E’ qui che si sono riunite le 62 associazioni che costituiscono la Fondazione Triulza e che hanno organizzato un ricco programma di eventi per promuovere la cooperazione sociale e la tutela del territorio. Al termine della manife-


3. CHE COSA C’ERA PRIMA DI EXPO. MILANO E IL SUO TERRITORIO

stazione, la Cascina resterà alla Città di Milano come continuità fisica e ideale con l’Esposizione Universale. A conclusione di quanto detto sopra appare dunque chiaro come l’area Expo facesse parte di un tessuto agricolo importante che da sempre caratterizza questi luoghi. E’ però anche vero che a partire dall’avvento dell’industria la pratica agricola ha assistito a un rapido declino che ha portato a una condizione di semi abbandono dei terreni. Poi c’è stato Expo che ha rimescolato ancora una volta le carte in tavola aprendo il problema della riconversione evento. Questo lavoro riflette su un possibile ritorno agricolo dell’area ma con un atteggiamento che pone al centro la riconversione funzionale e il suo reinserimento nella città. Non più dunque un’agricoltura in senso tradizionale e produttivo, ma un parco agricolo che funga da vetrina concreta sullo straordinario paesaggio agrario di Milano.

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In questa pagina: Ricostruzione dello sviluppo dell’area Expo dal 1900 a prima dell’evento 14. Mappa catastale, 1930 15 Mappa catastale, 1972 16. Foto aerea, maggio 2008


4. QUALI LASCITI PER LA CITTA’. EXPO VALUTATO COME EVENTO URBANO 4.1 L’importanza di una visione integrata 4.2 Il fallimento di Siviglia 1992 4.3 Il successo di Londra 2012 4.4 Un possibile futuro per Milano


4.1

L’importanza di una visione integrata

“Expo, il governo decide di entrare in Arexpo: cabina di regia con Comune e Regione”, articolo di Elisabetta Soglio, Corriere della Sera, 14 ottobre 2015.

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Concetto ripresi dalla conferenza tenutasi al Politecnico di Milano in occasione del workshop IWUAD: Milan 2016 After Expo, 1117 ottobre 2015.

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Nella pagina accanto: sopra: quote sociali di Arexpo s.p.a. sotto: governance per Post Expo

Molti si chiedono quale sarà il destino dell’area Expo una volta trascorso il periodo di temporanea chiusura del sito per consentire tutte le operazioni di smaltimento dei padiglioni. Numerose sono state le proposte: si è parlato di un parco tematico, di un distaccamento dell’Università Statale di Milano, di una nuova cittadella della scienza. Con l’ingresso del Governo centrale nella società Arexpo, proprietaria dei terreni su cui è stata ospitata la manifestazione, si è poi definito ulteriormente il volto degli attori che saranno responsabili del futuro dell’area. E’ nata infatti una cabina di regia in cui siedono tecnici di governo, Regione e Comune che seguirà l’operazione. Tra gli altri, il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, che si dice soddisfatto della leale collaborazione istituzionale dimostrata fino a questo momento e il ministro Martina, incaricato da Matteo Renzi di seguire il progetto , che ha dichiarato: “Siamo entrati nella fase operativa che ci porterà in poco tempo a condividere la nuova impostazione di Arexpo come forte soggetto sviluppatore del progetto del post Expo. Quell’area ha una vocazione nazionale riconosciuta e ora serve una prospettiva all’altezza della sua forza”1. Tutto questo lascia intendere che sono state poste delle basi, quantomeno istituzionali, per avviare il progetto di recupero dell’area. Quello che però ancora aleggia nell’aria è in realtà la sensazione che le idee sul cambio di destina-

zione funzionale e sul reinserimento dell’ ex sito espositivo nel circuito cittadino siano ancora troppo deboli e abbozzate. Va poi considerato che i tempi delle trasformazioni saranno molto stretti: sei mesi per trovare un progetto il cui orizzonte temporale sarà di 10-12 anni (come ipotizzato dal project manager di Arexpo Lorenzo Pallotta). Quello che è certo è che oggi manca ancora un discorso generale che tenga conto dei diversi fattori in gioco e di tutte le ripercussioni che l’operazione avrà sul territorio e sulla città. “ Non possiamo più permetterci un’espansione sul territorio disordinata” ricorda Ferruccio Favaro, del consiglio nazionale degli architetti. Occorre una strategia, una visione globale un’ idea di città per far sì che il post evento possa essere affrontato come il primo progetto della città metropolitana emergente2. Questi pensieri vengono affrontati più precisamente nei prossimi paragrafi in cui vengono presentati un esempio virtuoso e uno fallimentare di progetti per il recupero di aree interessate da grandi eventi e manifestazioni internazionali. Al centro della riflessione l’analisi del rapporto tra il post evento e la città come elemento imprescindibile del progetto di recupero.


4. QUALI LASCITI PER LA CITTA’. EXPO VALUTATO COME EVENTO URBANO

EXPO

POST-Expo

Quote societarie di Arexpo s.p.a.

Ricapitalizzazione dopo l’entrata in Arexpo del Governo

PROTOCOLLO DI INTESA

Matteo Renzi Capo del Governo

Maurizio Martina Ministro delle politiche agro-alimentari e forestali

Giuseppe Bonomi responsabile tecnicodella Regione per post Expo

Giuliano Pisapia Sindaco di Milano

Ha già fatto sapere dell’interesse di multinazionali per far nascere nell’area Expo una serie di centri ricerche e incubatori tecnologici, in cui far lavorare giovani laureati in joint venture tra università e imprese.

Sta valutando la possibilità di trasferire le facoltà scientifiche in una nuova area, meglio organizzata e più funzionale, in quello che è stato definito “un campus universitario integrato”. La necessità è di avere a disposizione almeno 200mila metri quadrati, tra aule didattiche, biblioteche, servizi, mense.

Sull’area potrebbe calare anche un polo di ricerca agroalimentare (Crea) realizzato dal ministero dell’Agricoltura e almeno la metà del milione di metri quadrati - lo prevede l’accordo di programma urbanistico approvato dal Comune dovrà diventare un parco attrezzato. 55


4.2

Il fallimento di Siviglia 1992

Matteo Moscatelli, “Itinerario contemporaneo: Siviglia”, in Area n. 85, 2006, pp. 170183

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Nella pagina accanto: 1,2. Stato di degrado del sito espositivo 3. Carta di Siviglia; in evidenza l’isola della Cartuja, sede di Expo 1992

Come abbiamo visto nella trattazione precedente, l’Expo di Siviglia del 1992, si colloca in quel periodo in cui le Esposizioni Universali iniziano a caricarsi di una dimensione particolarmente espressiva e autoreferenziale dell’architettura che ne rende particolarmente difficile il reintegro nella città una volta terminata la manifestazione. A Siviglia in particolare, questo aspetto fu particolarmente evidente come dimostra l’insuccesso totale dell’operazione che comportò rapidamente l’abbandono e il degrado delle aree. Del resto Siviglia era una città che a primi anni Novanta contava meno di un milione di abitanti e che, nonostante la volontà governativa di sfruttare l’occasione per riattivare l’intera regione dell’Andalusia, non era pronta a compiere un passo così lungo. Solo dieci anni prima il dibattito architettonico della città vedeva al centro della discussione una ricerca intenta a reinterpretare le tematiche del Movimento Moderno attraverso le immagini, i materiali e le forme dell’edilizia tradizionale locale. L’obbiettivo principale per architetti come Antonio Cruz e Antonio Ortiz era quello di avvicinarsi il più possibile a quelle che erano le caratteristiche autoctone dell’architettura tradizionale in polemica con la produzione madrilena e barcellonese allora dominante. Era il tentativo di far rivivere quell’attenzione per il patrimonio tradizionale e per quel realismo costruttivo che così a lungo si era perpetuato in questo

territorio. In questo contesto nel 1985 il Bureau International d’Exposition decretò che sarebbe stata Siviglia la città che avrebbe ospitato l’Expo del 1992. Fu bandito un concorso per la definizione del piano regolatore e fu scelta un’area agricola di 450 ettari nell’isola della Cartuja come spazio in cui localizzare l’intervento. In breve tempo furono costruiti i padiglioni, molto eterogenei e venne recuperata l’antica certosa di Santa Maria de las Cuevas che veniva coinvolta direttamente dal masterplan. Importanti interventi riguardarono poi il comparto infrastrutturale al fine di una generale modernizzazione della città e del decongestionamento del centro storico in favore di un veloce deflusso verso l’esterno. Per l’occasione furono costruiti sette nuovi ponti la cui valenza scenografica non si coniugava con il tessuto urbanoo adiacente. Fu poi costruito il Terminal internazionale di San Pablo, affidato a Moneo, e la nuova stazione Santa Justa, a opera di Antonio Cruz e Antonio Ortiz. In generale furono intrapresi sforzi enormi se comparati alla piccola scala economica e culturale della città andalusa. Le imprese costruttrici completarono i lavori in tempi impensabili fino a quel momento e la città si preparò anche ad accogliere l’enorme flusso di visitatori implementando il più possibile l’offerta turistica. Come si legge però tra le righe di un articolo di Matteo Moscatelli riportato su Area, “ Il rischio maggiore di uno sbalzo così


4. QUALI LASCITI PER LA CITTA’. EXPO VALUTATO COME EVENTO URBANO

improvviso, come sempre, è quello che la sua eccezionalità non trovi poi seguito negli anni successivi allo slancio iniziale”3. Secondo Eduardo Leira, “ la città non è mai stata cosciente di ciò che stava avvenendo…”. Insomma un’operazione condotta soprattutto dal governo centrale che non ha saputo coinvolgere la cultura urbana della città andalusa e i suoi cittadini né tantomeno guidare le fasi di trasformazione delle aree nel post evento. Oggi l’isola della Cartuja rimane il simbolo di una strategia fallimentare e giace in condizioni di abbandono ai margini della città.

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4.3

Il successo di Londra 2012

Nella pagina accanto: 4. Olympic Legacy Masterplan

Come esempio positivo di pianificazione del post evento viene ora riportato il caso dei Giochi Olimpici di Londra 2012. Londra è sicuramente una realtà completamente diversa dalla piccola città di Siviglia analizzata in precedenza, e non è la prima volta che qui si presenta l’occasione di ospitare un evento di grande portata. Ma la differenza principale risiede nella mentalità con la quale la capitale britannica ha affrontato la pianificazione pensando fin da subito alle trasformazioni successive alla fine dei Giochi. E’ stata inoltre in grado di sfruttare l’occasione per riportare al centro del dibattito pubblico il problema del recupero di zone particolarmente degradate rese tossiche da un continuato uso industriale. A questo proposito la manifestazione Olimpica è stata considerata fin da subito come uno strumento di rigenerazione urbana e, attraverso la scelta della zona di Stratford come sede dei Giochi, ha permesso di indirizzare gli investimenti nella parte Est della città, tradizionalmente più povera e da tempo esclusa dal cuore pulsante della city. Poco fuori Londra, Stratford è un quartiere che ha vissuto negli ultimi decenni un declino economico e sociale in un contesto post industriale degradato. Il paesaggio che caratterizza quest’area è frammentato e diversificato, contraddistinto da una popolazione multietnica e da una generale carenza di servizi. Una rete di piccoli corsi d’acqua, nella maggior parte dei casi inquinati, si alterna ai

reperti di archeologia industriale e ai capannoni ferroviari presenti sul territorio. Il primo passo nella pianificazione è dunque stato quello di ripulire a livello generale la zona, bonificando i suoli e installando una rete di produzione energetica sostenibile con conseguente rimozione di tutti i sistemi obsoleti presenti in sito. Viene poi dedicata molta energia alla rigenerazione del parco che interessa la parte centrale del masterplan curato dal paisaggista nord americano George Hargraves, il cui intento principale è quello di riconnettere le nuove aree verdi con le aree circostanti in un gioco intricato di vie d’acqua e infrastrutture. Ma l’aspetto più interessante è senza dubbio la gestione ab initio deI lasciti dei Giochi, diretta da una società istituita a questo scopo, la Olympic Park Legacy Company. Di tutti gli edifici soltanto quattro verranno mantenuti: il Velodromo, l’Acquatic Center, il palazzetto di pallacanestro e l’Olympic Stadium. E’ interessante sottolineare che l’atteggiamento per il recupero di questi manufatti è diretto alla ridefinizione degli edifici in chiave urbana al termine dell’evento. Vengono ad esempio smontate le tribune laterali dell’Acquatic Center riducendo il numero di spettatori da 17000 a 2000, viene costruito un collegio per studenti e un centro sanitario e vengono introdotte altre dotazioni di servizi sociali. Tutto viene deciso al fine di convertire il vuoto lasciato dalle attrezzature olimpiche in un frammento di


4. QUALI LASCITI PER LA CITTA’. EXPO VALUTATO COME EVENTO URBANO

città completamente nuovo. A tre anni di distanza dalla chiusura dei Giochi questo obbiettivo può dirsi raggiunto e senza dubbio il caso di Londra sarà a lungo citato come esempio virtuoso di pianificazione urbana.

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4.4

Un possibile futuro per Milano

Concetto ripresi dalla conferenza tenutasi al Politecnico di Milano in occasione del workshop IWUAD: Milan 2016 After Expo, 1117 ottobre 2015

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Nella pagina accanto: 5. Layout di Expo 2015 6. Legacy e impianto insediativo al termine della manifestazione

A questo punto della trattazione sembra doveroso riportare quello che ad oggi è stato deciso per il futuro del sito espositivo di Expo Milano 2015. Come già detto sopra la società proprietaria dei terreni a cui spetta la pianificazione del post evento è Arexpo. In ottobre si sono svolti degli incontri istituzionali al fine di raggiungere un protocollo di Intesa che coinvolga l’Università Statale, che ha già dichiarato la forte volontà di trasferire alcune delle proprie facoltà scientifiche, l’Assolombarda, interessata a realizzare un campus dell’innovazione, Comune di Milano, Regione e Governo centrale. L’idea è quella di una collaborazione tra i diversi attori all’interno della stessa società per agevolare i problemi che deriverebbero da una gestione separata della governance. Gli elementi che saranno mantenuti anche dopo l’esposizione saranno il Padiglione Italia, che diventerà un centro di ricerca sul tema dell’alimentazione e della sostenibilità, la Cascina Triulza, lasciata in eredità alla città, Expo Center e Padiglione Zero, il teatro all’aperto e tutto il sistema paesaggistico con le vie d’acqua, la Lake Arena, la Collina Mediterranea e più in generale tutte le 100 000 nuove specie arboree piantate in occasione di Expo. Per quanto riguarda il tema della legacy, al di là delle indicazioni puntuali sul destino dei singoli padiglioni, quello che manca attualmente è forse una visione più ampia capace di riflettere

sul significato che l’esperienza di Expo ha rappresentato per Milano. Quale idea di futuro si può estrapolare da una manifestazione che sicuramente è stata molto positiva e capace di riaccendere un po’ di dinamismo nella città. Ed è forse proprio a questo proposito che legacy si unisce a innovazione nel senso di un approccio alla pianificazione integrato e generale. Secondo questa considerazione emergerebbe l’idea che Milano nel nuovo ambito della città metropolitana potrebbe ricevere nuova energia dalla collaborazione tra le sue diverse parti e le aree che sono state protagoniste di recenti progetti di recupero, come la Darsena, il Portello, la Fondazione Prada e alcuni scali ferroviari più in generale. In quest’ottica si tratterebbe di trovare una strategia che riesca a tenere in tensione le diverse aree per rilanciare Milano come centro propulsore delle trasformazioni cavalcando l’entusiasmo che la città ha saputo dimostrare nei sei mesi di Expo. Un altro aspetto fondamentale è poi quello della riconversione funzionale dell’area. L’ipotesi per ora più accreditata, come detto sopra, è quella di un distaccamento della Statale di Milano nell’ottica della realizzazione di una cittadella della scienza e dell’innovazione tecnologica. E’ bene però sottolineare a questo proposito che l’operazione dovrebbe concentrarsi sul non perdere il fondamentale carattere di integrazione con la città. “Non facciamo un trasloco, ma faccia-


4. QUALI LASCITI PER LA CITTA’. EXPO VALUTATO COME EVENTO URBANO

mo un centro propulsivo… Creiamo qualcosa che interagisca e che non rimanga lì a sé stante… Non facciamo un cortile ma facciamo una piazza” 4. Da ultimo è anche interessante soffermarsi brevemente su quelli che potrebbero essere i futuri clienti per l’aerea. Al momento essi dovrebbero essere l’Università, le imprese tecnologiche (come ad esempio Google, Apple, Cisco) che potrebbero decidere di impiantare qui il loro quartier generale, i centri di ricerca (privati e pubblici) e le startup. Tra questi il cliente più difficile è sicuramente rappresentato dalle startup. Si tratta infatti di piccole società a taglio tecnologico, per le quali l’importante è utilizzare la conoscenza come strumento di guadagno. Per definizione sono inoltre soggetti estremamente dinamici e temporanei: normalmente dopo due anni o si sciolgono perché non sono riuscite a capitalizzare un profitto interessante, o evolvono in società più strutturate. Ricercano poi un’offerta spaziale in linea col momento, trasformabile, customizzata e alla moda che sia in grado di mostrarsi attrattiva. Già a partire da questa breve analisi risulta chiara la complessità che i progettisti si troveranno a dover affrontare nella pianificazione di uno spazio urbano e architettonico che riesca a perpetuare la forte identità anche simbolica che quest’area ha costruito durante la manifestazione e che al tempo stesso sia in grado di accontentare le esigenze di clienti

molto diversi tra loro. Si potrebbe concludere dicendo che forse sta proprio in questi termini il punto di partenza per il progetto di recupero e per il futuro di questi spazi.

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In queste pagine: Visioni per Post Expo; immagini tratte dal workshop IWUAD: Milan 2016 After Expo, Politecnico di Milano,11-17 ottobre 2015


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CAPITOLO II

Il Masterplan


Indice 1. Come scongiurare il pericolo dell’enclave. L’approccio territoriale

1.1 Un’enclave della città postmetropolitana 1.2 Expo come Luna Park. Coney Island e la “tecnologia del fantastico” 1.3 Dal Luna Park al speramento dell’enclave. La pianificazione integrata 1.4 Expo Suisse 02 come proposta alternativa 1.5 Concept Masterplan per Expo 2015 1.6 L’idea di un’Expo diffusa e sostenibile

2. Mapping e topografia. Strumenti per la ricostruzione del paesaggio

3. Definizione del Masterplan. Termini e concetti di riferimento 3.1 Quale idea di progetto. Parole chiave 3.2 Il concetto di ecologia 3.3 Resilienza e trasformazione: Adaptable City 3.4 Sostenibilità e decrescita 3.5 Legacy e identità di Expo 2015 3.6 L’idea del parco agricolo 3.7 Mixité come strategia insediativa 3.8 Sul principio di attrattività 3.9 Infrastruttura e accessibilità

2.1 Un contesto dinamico 2.2 Nozione di paesaggio e caratteristiche dello sguardo 2.3 Discorso intorno alle cose. Verso un nuovo realismo 2.4 Topografia e complessità 2.5 Mappe e cartografia 2.6 Combinazione, contaminazione, ibridazione

Bibliografia - R. Koolhas, Delirious New York. Un manifesto retro- - G. Bertelli, L. Basso Peressut, R. Pugliese, Paesaggi attivo per Manhattan, a cura di M. Biraghi, Electa, Complementari , Politecnico di Milano, Milano, magMilano 2001, relativamente al capitolo terzo, Coney gio 2015. Island: la Tecnologia del Fantastico. - I. de Solà-Morales, Diferencias. Topografia de la - R. Dell’Osso, Expo, da Londra 1851 a Shanghai 2010 arquitectura contemporanea, Editorial Gustavo Gili, verso Milano 2015, Maggioli Editore, Milano 2008. Barcellona 1995. - Consulta di Architettura, Conceptual Masterplan – Expo Milano 2015, pubblicazione a cura di Jacques Herzog, Richard Burdett, Stefano Boeri e William McDonough con la collaborazione di Carlo Petrini, 30 luglio 2009. - Expo dopo Expo, Lo sguardo di otto fotografi sulle eredità urbane e ambientali di sette Expo, catalogo della omonima mostra fotografica a cura di Franco Raggi, Milano, Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Milano, novembre 2015.

- C. Toraldo di Francia, X-scapes, Alinea Editrice, Firenze 2005. - M. Kaijima, J. Kuroda, Y. Tsukamoto, Made in Tokyo, Kajima Institute Publishing Co, Tokyo 2006. - R. Bahnam, Los Angeles. The Architecture of Four Ecologies, University of California Press, London 1971. -S. Latouche, Come sopravvivere allo sviluppo, Bollati Boringhieri editore, Torino 2005.

- F. Battisti, E. Battisti, S. Di Vita, Expo diffusa e sosteni- - P. Ciorra, S. Marini, Re-cycle. Strategie per l’archibile, Unicolpli, Milano 2011. tettura, la città e il pianeta, Electa, Milano 2011, limitatamente al capitolo di M. Ricci, Nuovi paradigmi: - D. Rebois, THEME EUROPAN 12. ADAPTABLE CITY, Eu- ridurre riusare riciclare la città ( e i paesaggi), p. 64ropan, Francia 2011. 77.


1. COME SCONGIURARE IL PERICOLO DELL’ENCLAVE. L’APPROCCIO TERRITORIALE 1.1 Un’enclave della città postmetropolitana 1.2 Expo come Luna Park. Coney Island e la “ tecnologia del fantastico” 1.3 Dal Luna Park al superamento dell’enclave. La pianificazione integrata 1.4 Expo Suisse 02 come proposta alternativa 1.5 Concept Masterplan per Expo 2015 1.6 L’idea di un’Expo diffusa e sostenibile

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1.1

Un’enclave della città postmetropolitana

Nella pagina acanto: 1. Milano: cittadelle e infrastrutture

Il luogo scelto per Expo rappresenta una interessante opportunità di sviluppo e di riqualificazione di un contesto che oggi è soltanto un pezzo della città generica ma che in realtà presenta delle notevoli potenzialità date ad esempio dall’adiacenza con la nuova fiera e dalla ricchezza dell’attrezzatura infrastrutturale presente. E’ però anche vero che l’area in oggetto può essere facilmente ricondotta al concetto di enclave, in quanto, se è vero che l’infrastruttura collega il sito espositivo con le principali realtà nazionali e internazionali rendendolo uno dei luoghi più connessi del Paese, dall’altro crea inevitabilmente tagli e spaccature nei tessuti urbani dando vita a fenomeni di isolamento e segregazione. Nel caso specifico, Expo si configura pertanto come un recinto circondato da altri recinti: la casa di reclusione di Milano-Bollate, lo stesso circuito di Rho-Fiera, l’ospedale Sacco, il Cimitero Maggiore e il nuovo accorpamento residenziale di Cascina Merlata. La massiccia presenza di sistemi lineari ad alta percorrenza ( autostrade A4 e A8, rete ferroviaria ad alta velocità) decidono ulteriormente il carattere di esclusione e di chiusura del sito ritagliandone una forma precisa e riconoscibile, costretta tra i diversi ambiti precedentemente descritti. Si viene così a definire un contesto complesso e scomponibile in cui i diversi concetti di connessione, limite, cittadella rappresentano i termini di riferimento per la proposta progettuale del post-e-

vento. A tale proposito per il successo dell’operazione di riuso si mostrerà quindi necessario ridefinire puntualmente la connettività dei nodi delle infrastrutture che vi convergono attribuendo alla connessione il ruolo di rompere il rigido limite che caratterizza Expo. Per realizzare una fase successiva di sviluppo la proposta dovrà dunque riflettere sulla ridefinizione delle relazioni tra l’area, la città e il territorio cercando di promuovere una strategia a rete che operi alle diverse scale. Questo approccio permetterà di scongiurare il pericolo dell’enclave, concetto sterile all’interno delle dinamiche urbane, e di rendere questo ambito di trasformazione un tassello generatore e una parte propulsiva del territorio.


1. COME SCONGIURARE IL PERICOLO DELL’ENCLAVE. L’APPROCCIO TERRITORIALE

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1.2

Expo come Lunapark. Coney Island e la Tecnologia del Fantastico

R. Koolhas, Delirious New York. Un manifesto retroattivo per Manhattan, a cura di M. Biraghi, Electa, Milano 2001, relativamente al capitolo 3, Coney Island: la Tecnologia del Fantastico

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3,4,5,6,7,8

Ibidem

L. Denison, The Biggest Playground in the World, in “ Munsey’s magazine”, agosto 1905

2

Nella pagina accanto: 2. Veduta a volo s’uccello su Coney Island 3. Affluenza domenicale a Coney Island 4. Passeggiata a cavallo su rotaia, ideata da George Tilyou 5. Luna Park di notte

Per meglio riflettere sul concetto di enclave viene ora presentato un paragrafo che recupera la trattazione sul tema condotta da Rem Koolhaas in Delirious New York, relativamente al capitolo su Coney Island1. “ Ove una volta vi era terra incolta… s’innalzano verso il cielo un migliaio di torri scintillanti e di minareti, eleganti, grandiosi e imponenti. Il sole del mattino li osserva dall’alto come si trattasse del sogno magicamente realizzato di un poeta o di un pittore. Di notte, lo splendore di milioni di luci elettriche che brillano in ogni punto e sui profili diritti e curvi di questa città spettacolare illuminano il cielo e danno il benvenuto, fino a trenta miglia dalla costa, al marinaio che sta tornando a casa”2. Come si può intuire dalle impressioni sopra riportate, quella di Coney Island rappresenta un’esperienza del tutto particolare in cui spettacolo, fiabesco e ineffabile si fondono insieme per dare vita a un vero e proprio laboratorio in cui verranno anticipate e sperimentate molte delle tematiche che stanno alla base del futuro sviluppo di Manhattan e della cultura urbana del periodo successivo. Coney Island come Modello. La storia di questa parte di New York permette di condurre una riflessione articolata sul tema dell’enclave a partire proprio dall’evoluzione di quella che inizialmente era una striscia di terra posta all’imbocco del porto naturale di New York. Inizialmente popolata dagli indiani Canarsie, la

penisola presentava una fascia di spiagge esposte verso il blu dell’Oceano e una retrostante zona paludosa ricca di insenature. Nel 1823 viene costruito il primo ponte che collega l’isola alla terraferma a opera della Coney Island Bridge Company. La parola chiave è in questo caso Collegamento. In virtù di questo collegamento infatti, Coney diviene in breve tempo il luogo di vacanze di Manhattan: una zona vergine in grado di contrapporsi all’infiacchimento della metropoli. Ecco dunque emergere una primo aspetto fondamentale: nella definizione dell’enclave il tema dell’accessibilità riveste un ruolo centrale. Se l’accesso all’area è interdetto, allora l’enclave non esiste e rimane una porzione di terra isolata come la selvaggia Coney Island delle origini. D’altra parte se la l’accesso è troppo semplice, il limite tende a rompersi, e l’enclave diventa un elemento permeabile ai tessuti circostanti. Di conseguenza tutto sta nel delicato rapporto tra accessibilità e isolamento dato proprio dalla natura dei collegamenti: “gli sbocchi della riserva al luogo di vacanze devono essere abbastanza larghi da alimentare quest’ultimo con un flusso continuo di visitatori, ma stretti abbastanza da tenere la maggioranza dei cittadini al loro posto. In caso contrario la riserva inghiottirà il luogo di vacanze”3. Questo meccanismo entra progressivamente in crisi quando nel 1865 viene realizzata la prima strada ferrata tra Manhattan e Coney


1. COME SCONGIURARE IL PERICOLO DELL’ENCLAVE. L’APPROCCIO TERRITORIALE

Island. In breve tempo una moltitudine di cittadini invade le spiagge della penisola portando con sé tutto un equipaggiamento di infrastruttura parassitaria come cabine, sporte di cibo e rudimentali alloggi/chioschi. Al carattere puro di natura incontaminata si sostituisce il bisogno di nuovi servizi pronti ad accogliere le nuove masse di visitatori. In questo processo di colonizzazione viene a delinearsi anche l’assetto insediativo di Coney che vede il formarsi di due aree distinte con in mezzo un grande vuoto. A est, una comunità di fuggitivi e fuorilegge, a ovest un’Arcadia di grandi hotel di lusso. Iniziano a delinearsi le due anime della penisola, motivo di contrasti nel corso delle evoluzioni future. Nel 1883 con la costruzione del ponte di Brooklyn viene definitivamente sancito il tramonto della prima fase naturalistica di Coney Island e le sue spiagge diventano ogni domenica uno dei luoghi più densamente popolati al mondo. “Per mantenere il carattere di luogo vacanze Coney Island è costretta a cambiare: trasformare sé stessa nell’esatto opposto della Natura, non avendo altra scelta se non quella di contrastare l’artificialità della nuova metropoli con la sua propria sopra-naturalità”4. Divertimento, edonismo, alienazione diventano altre parole chiave all’interno dell’elaborazione concettuale dell’enclave. Sulla penisola cominciano a essere portate attrezzature provenienti da Fiere ed Esposizioni Internazionali con l’obiettivo di fornire un

adeguato intrattenimento per le masse dei visitatori. Al centro di Coney viene ricomposta una torre alta 90 metri tratta dalla precedente Centennial Celebration di Philadelphia del 1876. Al suo fianco compaiono rudimentali montagne russe, toboga, strutture e macchinari bizzarri a garanzia del divertimento dei cittadini. Ma il punto di svolta avviene quando George Tilyou, uno dei vari imprenditori di queste nuove attività figlio, tra l’altro, di uno dei pionieri della colonizzazione di Coney Island, realizza un’opera che riscuote un successo senza precedenti. Disposta lungo la costa costruisce una rotaia su cui si muove una mandria di cavalli meccanici che avvicinavano l’esclusiva pratica dell’equitazione alle masse inscenando una vera e propria passeggiata tra ostacoli simulati e quel che restava delle bellezze naturalistiche della penisola. Sul successo della sua invenzione, Tilyou mise insieme in breve tempo un’area separata per il divertimento che nel 1897 consacrò attraverso la costruzione di un muro perimetrale. Recinto diventa dunque un altro termine di riferimento. Con quest’azione prende così forma per la prima volta la tipologia del parco divertimenti, inventata quasi accidentalmente sotto la pressione di una richiesta incalzante di divertimento. In breve l’operazione perderà ogni carattere di ingenuità e casualità e si cristallizzerà come un preciso atto generatore di spazi e di guadagni. Formula. Nell’idea di enclave di

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Nella pagina accanto: 6. Senatore William H. Reynolds, agente immobiliare e presidente di Dremland 7. Nani aristocratici in una posa derisoria: l’istituzionalizzazione della devianza 8. Leap Frog Railway, un incidente eccitante visto da una rotaia parallela 9. Beacon Tower di notte

Tilyou è implicita una formula che contrappone alla corruzione del mondo esterno i piaceri innocenti del suo mondo parallelo. Comincia a delinearsi una città nella città. Una double city. Queste esperienze trovano conferma e un successivo sviluppo nel secondo parco che viene costruito a Coney Island: Luna Park. Il nuovo mentore del divertimento si chiama Frederic Thompson ed è un progettista professionista che si allontanò dall’impostazione conservatrice Beaux-Arts in cerca di nuovi principi più consoni per la nuova epoca. Riprendendo il modello del parco di Tilyou gli conferisce un carattere concettuale di maggiore profondità e un maggiore grado di astrazione aumentando l’isolamento di Luna Park rispetto al suo precedente. I visitatori entrano al parco dopo aver effettuato un volo simulato a trenta metri di altezza e vengono proiettati in una dimensione altra lontana dai punti di riferimento della metropoli. “ In un unico gesto, l’intera struttura della realtà – le sue leggi, le sue aspettative, le sue interdizioni, mutuamente relazionate sulla terra – viene sospesa, e si crea un’assenza di gravità morale che risulta complementare alla letterale assenza di gravità che si è generata durante il viaggio sulla Luna”5. Si assiste a un progressivo inasprimento della frattura tra il mondo reale e i paesaggi fantastici del parco lunare. Attraverso una precisa scelta tipologica viene inscenata una città sottile composta

da guglie e pinnacoli con il solo scopo di suscitare emozioni. E’ l’architettura dell’apparenza. Impoverimento: “ Luna Park è l’inizio di una sventura destinata a perseguitare per sempre la professione architettonica; la formula: tecnologia + cartone ( o qualsiasi altro materiale inconsistente) = realtà”6. Nel 1904 Thompson, dopo due anni di successo straordinario, si concentra sul suo vero obiettivo, Manhattan, lasciando il posto per un’ultima grande esperienza per Coney Island. Promotore della nuovo parco è il senatore Wiliam H. Reynolds. I risultati precedenti compiono in Dreamland, questo il nome voluto da Reynolds per il suo parco, un incredibile salto di scala. Pensato per accogliere nello stesso momento un numero altissimo di visitatori, circa 250 000, il nuovo parco, rivolto a tutte le classi sociali si configura come una Spianata delle Meraviglie in cui ogni attrazione è indispensabile per accrescere l’impatto delle altre. A evolversi è anche il significato dell’esperienza per i visitatori: vengono imbastiti spettacoli sempre più complessi e straordinari. I visitatori passano senza sosta da un’area tematica alla successiva : da prima Lillipuzia, autentica città in miniatura abitata da trecento nani provenienti dal resto del Paese, poi l’Incubator Building, ospedale all’avanguardia che accoglie i nati prematuri, e ancora il Circo, la simulazione di un viaggio in Svizzera in cui viene ricreato un fresco ambiente alpino grazie


all’utilizzo di un potente impianto di raffreddamento, e il Fighting the Flames, in cui viene innescato un incendio sul set di una piazza urbana. La spettacolarizzazione di Dreamlan raggiunge un apice nelle diverse esperienze di parchi divertimento di Coney Island. Ma l’attrazione più impressionante è la Beacon Tower, una costruzione alta 115 metri che, una volta illuminata dalle sue 100 000 luci elettriche, è visibile fino a oltre 30 miglia di distanza. Sulla sua sommità viene montato il più potente riflettore esistente sulla costa orientale: il fascio alternato di luce rossa e bianca è identico a quello del faro che segna l’ingresso al porto di New York. Penuria. “ Tilyou, Thompson e Reynolds… in meno di un decennio hanno inventato e dato forma a un’urbanistica basata sulla nuova Tecnologia del Fantastico: una persistente congiura messa in atto contro la realtà del mondo esterno. Essa definisce relazioni completamente nuove tra sito, programma, forma e tecnologia. Il sito è diventato ora un mondo in miniatura; il programma la sua ideologia; l’architettura il dispositivo di un apparato tecnologico in grado di compensare la perdita di fisicità reale”7. Ci si trova di fronte a un meccanismo molto fragile e pericoloso in cui la città della pianificazione vede il rischio di essere accantonata da una città doppia, in cui il contatto con la realtà si indebolisce sempre di più. Questo impoverimento è frutto di una

dinamica su cui si fonda lo stesso concetto di enclave e che trova la sua massima espressione nelle esperienze sopra riportate. Il fatto di creare delle zone franche dove tutto è possibile non può che portare alla generazione di buchi neri nella stessa idea di urbanità, favorendo processi di segregazione, chiusura e autoreferenzialità delle aree coinvolte. E del resto tali osservazioni erano già state avanzate all’epoca di Coney Island. Con la constatazione dei fenomeni di degrado che avevano inevitabilmente investito queste parentesi carnevalesche, si era infatti diffuso un sentimento di disgusto: quelle macchine del divertimento sfrenato sembravano preconizzare la detronizzazione imminente di una civiltà che aveva impiegato migliaia di anni per evolversi. Contro l’urbanistica dell’edonismo prese dunque forza un’altra fazione, l’urbanistica riformista delle attività salutari, che proponeva il recupero delle aree secondo una pianificazione più consapevole e schierata per un ritorno del verde nella penisola. Il confronto che stava nascendo non era altro che l’esito del contrasto tra la cultura ufficiale, rappresentata dalla parte occidentale dell’isola, e la nascente cultura popolare di massa, che trovava la sua massima espressione nel Luna Park. Il contrasto ideologico tuttavia rimase solo lo sfondo delle successive vicende. Nel 1911 un cortocircuito dell’impianto di illuminazione di uno degli edifici principali

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8

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Nella pagina accanto: 10. Dreamland brucia

di Dreamland provoca lo scoppio di un grande incendio. In tre ore “il parco che porrà fine a tutti i parchi”8 viene raso al suolo dalle fiamme. Le vittime più patetiche del disastro sono gli animali ammaestrati usati durante gli spettacoli: elefanti, ippopotami, cavalli, gorilla, leoni. Ancora per molti anni dopo il disastro non era raro avvistare a Coney Island qualche animale sopravvissuto al rogo. Uno stesso destino toccò anche a Luna Park nel 1914. La parabola discendente del Miracolo del Fantastico volgeva temporaneamente al termine per lasciare spazio al nuovo palcoscenico di Manhattan come teatro dell’invenzione reale architettonica. Nel 1938 il sovrintendente Robert Moses recupera Coney Island all’urbanistica delle Buone Intenzioni trasformando il 50 % della superficie a verde pubblico e installando nel centro della penisola il nuovo acquario di New York. Così come era stato rapido il decollo di questa esperienza, così ne fu rapido e spettacolare il tramonto. Quello che resta di Luna Park è un cumulo di macerie e di cenere, a ricordare la fragilità e l’inconsistenza di queste città doppie nate ai confini tra il mondo reale e quello dell’immaginazione. Città di cartone che evolvono rapidamente alla ricerca di un costante rinnovamento fino al collasso, momento in cui sono chiamate inesorabilmente a fare i conti con sé stesse e con la mancanza totale di adesione alla città.


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1.3

Dal Luna Park al superamento dell’enclave. La pianificazione integrata

La trattazione precedente evidenzia i limiti intrinseci del concetto di enclave e mette in luce l’impossibilità di ricorrere alla formula del Luna Park come strumento di pianificazione urbana. Parchi divertimento, fiere ed Esposizioni Universali nascono come cittadelle a sé stanti identificate da recinti precisi. E’ però necessario, ai fini del recupero delle aree nelle successive fasi del post evento, condurre una riflessione che vada oltre al limite prestabilito e che scongiuri in tutti i modi il pericolo della double city precedentemente esposto. Expo 2015 è stato da molti decritto come una sorta di gigantesco Luna Park, luogo di divertimento e di spettacolo. Ma al di là dei significati dell’evento nel caso specifico, se il Post Expo resterà ancorato alla stessa logica, il destino di esclusione e degrado sarà inevitabile per le aree coinvolte. Se l’enclave è l’ambito spaziale che ha generato l’evento, la pianificazione di un sistema a rete di relazioni deve essere lo strumento per il progetto dello sviluppo successivo.

Nella pagina accanto: 11. Trampolieri in Expo 12. Foody, mascotte ufficiale 13. Food truck e ruota panoramica 14. Rete Padiglione del Brasile 15, 16. Mucche e giostre, Padiglione Olanda 17. Vista di Luna Park

I passaggi successivi si pongono l’obiettivo di chiarire questo concetto illustrando alcuni casi in cui è stata condotta una riflessione ulteriore e per molti aspetti alternativa sui significati e sulle logiche insediative dell’evento contemporaneo.


1. COME SCONGIURARE IL PERICOLO DELL’ENCLAVE. L’APPROCCIO TERRITORIALE

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1.4

EXPO SUISSE 02 come proposta alternativa

R. Dell’Osso, Expo, da Londra 1851 a Shanghai 2010 verso Milano 2015, Maggioli Editore, Milano 2008

9

10

Ibidem

Nella pagina accanto: 18. Jean Nouvel, Monolite di Morat 19. Diller e Scofidio, Nuvola, Yverdon Les Bains

L’elaborazione concettuale della manifestazione si inserisce nel dibattito sulla crisi del modello tradizionale dell’Esposizione Universale: “l’innovazione tecnologica non ha più motivo di essere veicolata attraverso un evento espositivo globale e, d’altro canto, l’evento non serve più a celebrare l’eccellenza delle produzioni nazionali e proporre dei nuovi modelli culturali”9 . Inoltre, le ultime edizioni delle esposizioni avevano anche messo in luce la tendenza da parte del mondo globalizzato a ridimensionare notevolmente le specificità culturali dei diversi paesi, divulgando un punto di vista piatto, e molto spesso troppo generico, sui temi affrontati. A partire da queste considerazioni, è interessante notare come in Svizzera prenda invece corpo l’idea di un evento nazionale capace di tenere insieme le diverse culture identitarie del paese e di dare voce alle molteplici tensioni estetiche dei diversi cantoni. Per questo motivo viene proposta una logica insediativa inedita che rifiuta il modello del recinto onnicomprensivo dell’evento, secondo la visione tradizionale di Expo, ma che al contrario prevede un’ambientazione diffusa nel territorio. Ne consegue un’esperienza completamente nuova in cui viene proposto un itinerario fisico e psicologico che attraverso i luoghi della moderna Svizzera realizza una perfetta sintesi tra uomo cultura e paesaggio. Una strana reazione poetica scaturisce dalla vi-

sita dei diversi siti espositivi e per la prima volta l’ambito con il quale il visitatore viene avvicinato supera il luogo fisico della manifestazione per avvicinarsi a un luogo astratto e culturale allo stesso tempo. Da un punto di vista spaziale viene perseguita una logica policentrica che vede l’evento come sommatoria di più macro eventi che dialogano tra loro. Per l’occasione vengono organizzate delle Arteplages, nuovo termine coniato esplicitamente per Expo che coniuga valenze ludico ricreative a istanze di carattere culturale. Vengono cosi presentate cinque aree tematiche - potere e libertà, natura e artificio, istante ed eternità, io e universo, senso e movimento. Ognuna di queste si configura come un esperienza spaziale di grande coinvolgimento a partire anche dal carattere suggestivo e simbolico degli spazi progettati per i diversi siti espositivi. Ogni area fa riferimento a un edificio icona che spesso finisce per assumere il carattere dell’istallazione e del landmark paesaggistico più che quello di un architettura tradizionale. Basti pensare, a questo proposito, alle imponenti ”torri” di Bienne, metafora del potere, o al “monolite” di Morat, monumento al concetto di eternità, o all’impalpabile “nuvola” di Yverdon Les Bains, architettura eterea in cui una moltitudine di tubi d’acciaio nebulizza l’acqua del lago per ricreare un oggetto fatto di solo vapor d’acqua. Da ultimo il Giura, “arcipelago itinerante realizzato su un ‘antica chiatta un tempo


1. COME SCONGIURARE IL PERICOLO DELL’ENCLAVE. L’APPROCCIO TERRITORIALE

destinata al trasporto di ghiaia , che transita tra i vari siti costituendosi come una vera incursione culturale: approdando in ogni città crea un festoso scompiglio al quale bisogna obbligatoriamente sottostare”10. Al di là dei singoli progetti quello che rende questa manifestazione un unicum nel panorama degli eventi contemporanei è proprio la volontà di superare l’evento in quanto tale per ricreare un’esperienza nuova in cui arte e paesaggio si fondono insieme. Una dimensione inedita dunque che permette di fare un decisivo salto di scala e di trovare nuovi significati e spunti di progetto in un ragionamento più ampio e legato tanto alla rilettura dei luoghi quanto alla riflessione concettuale sui diversi ambiti tematici. 18

19

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1.5

Concept Masterplan per Expo 2015

Consulta di Arcitettura, Conceptual Masterplan – Expo Milano 2015, luglio 2009

11

12

Ibidem

G. Barbacetto, Expo 2015, la stroncatura degli architetti del Concept Plan: sembra Disneyland, Il Fatto quotidiano, 21 maggio 2015 13

Nella pagina accanto: 20. Vista del Boulevard principale 21. Concept Masterplan per Expo 2015

“L’Expo 2015 sarà diversa. Sarà la prima Expo concepita durante una crisi economica globale, in un mondo con una crescente consapevolezza degli effetti dovuti ai cambiamenti climatici del Pianeta e che sin da ora si deve confrontare con le grandi sfide mondiali per combattere la fame e la povertà”11. Il monito lanciato dalla Consulta degli architetti incaricati del progetto per il Masterplan di Expo 2015 non lascia spazio alle interpretazioni e dichiara fin da subito l’assunzione di responsabilità da parte dei progettisti. L’edizione di Milano potrebbe infatti rappresentare una svolta importante verso un generale ripensamento dell’evento in chiave di sostenibilità e di miglior utilizzo delle risorse investite, al fine di innescare le trasformazioni necessarie sulla città e sul territorio. La volontà del team di progetto è quella di realizzare un evento in coerenza con i temi affrontati in cui si possa immaginare una nuova esperienza per i visitatori che “potranno toccare e assaggiare i prodotti della terra in un orto botanico planetario e potranno riflettere su nuovi scenari di produzione e consumo di suolo”12. L’attenzione viene poi rivolta fin dal principio anche alla legacy che Expo lascerà alla città intesa non solo come eredità fisica, ma anche culturale. In questo contesto Expo 2015 viene fin da subito pensato nel fondamentale inserimento dell’area nel più ampio contesto territoriale

e agricolo. Come viene sottolineato nel documento di presentazione del Concept Masterplan, quella di Milano è la storia di una città che è da sempre epicentro di una delle aree agricole più fertili e produttive del mondo: la Pianura Padana. A questo proposito l’idea dei progettisti è quella di ricreare un grande Orto Botanico Planetario dove ai paesi partecipanti venga richiesto di presentare il proprio paesaggio agricolo nazionale in una struttura espositiva semplice fornita dall’organizzazione. L’obiettivo è dunque quello di riflettere sulla mission lanciata dal tema della manifestazione “Feeding the Planet, Energy for Life” attraverso un’esperienza che restituisca tutta la bellezza del paesaggio agricolo e allo stesso tempo riporti l’attenzione sulle sfide globali nate da fenomeni come aumento della popolazione, siccità, industrializzazione e uso incontrollato di fertilizzanti chimici. Per la prima volta nella storia della manifestazione viene accantonata l’idea di un esposizione basata sulla varietà e la spettacolarizzazione delle architetture dei padiglioni in favore di una nuova visione meno appariscente e sicuramente più consapevole dei temi affrontati. L’area espositiva viene così suddivisa in 140 lotti allungati disposti secondo lo schema perpendicolare del cardo/decumano della città romana. La scelta è dovuta tanto alla ripresa di un modello insediativo tratto dal paesaggio agrario, quanto alla volontà di ricreare


1. COME SCONGIURARE IL PERICOLO DELL’ENCLAVE. L’APPROCCIO TERRITORIALE

una struttura il più possibile aperta a molteplici progetti di riuso del sito. La griglia che si viene a creare si articola lungo un boulevard centrale pensato come elemento unificante del progetto e per il quale era stata inizialmente ipotizzata una lunga tavola, luogo di incontri e di scambio. Tutto sarebbe poi stato coperto da tetti a tenda che avrebbero contribuito a restituire un’immagine effimera e temporanea a sottolineare il carattere delicato e paritetico dell’architettura. Da ultimo viene pensata una cornice paesaggistica tutto intorno ai lotti espositivi in cui l’acqua riveste un ruolo centrale con funzioni d’accesso ed ecologiche. Tutto confluisce in un’immagine di grande fascino che si concretizza in un paesaggio sospeso fatto di agricoltura, giardini e spazi fluidi. Purtroppo però, come spesa accade per le idee che si distaccano dal credo tradizionale, la nuova visione proposta dalla Consulta degli architetti non trovò il supporto adeguato per essere tradotta in realtà e fu mantenuto solo schema geometrico di lottizzazione del sito espositivo. Dal 2011 cessano le collaborazioni tra i progettisti ed Expo, come emerge dalle parole rilasciare da Jacques Herzog, “Un evento così grande ha molte forze che agiscono dentro e non sono nemmeno sicuro se c’è mai stata una decisione consapevole contro il nostro progetto. Forse è un po’ come uno sciame di pesci che nuota in una direzione; abbiamo cercato di spostarli in un altro, ma in qualche modo hanno

mantenuto il loro percorso”. Secondo Richard Burdett, economista membro del team di progetto, quella di Milano è un’occasione mancata, “Avevamo ideato fin dall’inizio non un modello Disneyland, ma un modello urbano[…] La nostra prima preoccupazione e stata: come evitare di fare un Expo come Expo […] volevamo invece un modello che, finiti i sei mesi dell’evento, restasse per almeno duecento anni come un pezzo di città”13 . Resta da vedere quindi che cosa succederà al termine della fase di smaltimento dei padiglioni.

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1.6

L’idea di un’Expo diffusa e sostenibile

R. Dell’Osso, Expo, da Londra 1851 a Shanghai 2010 verso Milano 2015, Maggioli Editore, Milano 2008

14

Nella pagina accanto: 22. Copertina della pubblicazione Expo diffusa e sostenibile, progetto del Politecnico di Milano finanziato da Fondazione Cariplo

A completamento della nuova visione attraverso cui era stato concepito il Masterplan di Expo 2015 vengono ora riportate alcune considerazioni aggiuntive, con l’obiettivo di rimarcare ancora una volta l’approccio territoriale della proposta. Il progetto iniziale prevedeva infatti di associare al sito di Rho Fiera anche un sistema di percorsi a fruizione paesaggistica che avrebbero ristabilito le connessioni tra l’area espositiva, la città e il suo territorio allargato. In questo contesto vengono proposti due interventi di trasformazione principali. Il primo, denominato via d’acqua, rappresenta un progetto territoriale di riqualificazione ambientale e paesaggistica con il compito di collegare la Darsena del centro cittadino con l’area Expo. Un itinerario che prevede un percorso pedonale di 20 km lungo gli argini e la navigazione su un canale d’acqua che attraversa i luoghi storici della città e i parchi urbani. L’intenzione è quella di connettere il Parco Agricolo Sud con il Parco delle Groane dando continuità ai parchi della cintura ovest milanese. Il secondo ambito di trasformazione proposto, la via di terra, si pone come obiettivo primario quello di portare Expo al di fuori dei confini del sito espositivo per far conoscere ai visitatori i luoghi storici più rappresentativi di Milano. L’idea è quella di realizzare una strada della conoscenza e della cultura che contamini la città con esperienze temporanee legate alle tematiche della manifestazione: colti-

vazioni ortofrutticole urbane, mercati dei beni alimentari, fiere della ristorazione, feste delle comunità etniche e molto altro ancora. Quello che si cerca di promuovere è dunque un sistema a rete di relazioni tra le diverse aree per innescare una serie di trasformazioni volte alla rigenerazione della città e del territorio. “E’ possibile immaginare anche un’evoluzione rispetto ai principi tipo-morfologici, introducendo la scala paesaggistica declinata attraverso impostazioni più articolate che fondano l’architettura degli edifici, dei percorsi, degli spazi pubblici, dei trasporti e nuovi elementi di composizione dinamica dell’immagine insediativa, evocando sistemi fluidi di percorrenza del paesaggio che richiamano gli elementi più distanti che strutturano la città diffusa, divenendo parte significata nella formazione delle mappe mentali con cui percepiamo il paesaggio urbano contemporaneo”14. Quello che si viene a delineare è un nuovo orizzonte per cui si deve immaginare uno scenario in continua evoluzione capace di tenere insieme la complessità dei temi territoriali dell’intorno e di assolvere allo stesa tempo alla funzione di connettere la zona espositiva con la città stabilendo un rimando dialettico tra le percorrenze veloci dei sistemi lineari di accessibilità e le architetture. Nella logica delle rete di relazioni opera anche un’altra proposta progettuale nata nel 2010 a seguito di un’indagine intrapresa


1. COME SCONGIURARE IL PERICOLO DELL’ENCLAVE. L’APPROCCIO TERRITORIALE

dall’Ordine degli architetti di Milano sulle eredità urbane delle ultime edizioni di Expo. Per quell’occasione fu realizzata una mostra fotografica con l’obiettivo di mostrare i frequenti insuccessi legati al mancato reinserimento dei diversi siti espositivi nei processi di trasformazione delle città ospitanti. Le conseguenze del post evento nella maggior parte dei casi si erano mostrate infatti molto negative e per usare le parole di Emilio Battisti, docente di progettazione architettonica del Politecnico di Milano, avevano generato troppo spesso un “deficit ambientale, economico e sociale” con una evidente difficoltà di reinserimento delle aree nel contesto urbano di riferimento e gravi oneri per le amministrazioni locali. Da questo nasce l’idea di una ricerca coordinata dal Politecnico di Milano con il supporto di Fondazione Cariplo nel tentativo di proporre una formula nuova per l’Expo del 2015: Milano avrebbe potuto essere l’occasione per passare da un’Expo confinata in un punto come una sorta di grade Lunapark, a una formula nuova che avrebbe potuto coinvolgere i territori circostanti, utilizzando le risorse di cui i territori già disponevano. In aggiunta questo approccio si sarebbe mostrato molto più adeguato in un periodo di crisi economica in cui si mostrava necessario trovare delle soluzioni meno dispendiose e che impiegassero le risorse investite realmente a favore dei territori coinvolti. Il progetto, denominato Expo

diffusa e sostenibile, si compone di una prima indagine sul campo per individuare tutte quelle realtà che avevano una certa attinenza tematica e sostenibile-ambientale con Expo. Successivamente, una volta raccolte le informazioni necessarie, la ricerca prevedeva una seconda fase di riorganizzazione dei dati in una piattaforma online con l’obiettivo di catalogare e coordinare tra loro le diverse iniziative presenti sul territorio. Expo si sarebbe dunque costituita come un evento dai confini meno rigidi e effettivamente connesso con le realtà esistenti secondo un modello vicino per certi versi al Fuori Salone del mobile in cui la manifestazione prende forma in modo informale e sperimentale riscuotendo ogni anno un grande successo di partecipazione. Anche in questo caso pero, la proposta non trovo un supporto da parte degli organizzatori dell’ Esposizione che preferirono ricorrere al modello tradizionale. Rimane comunque il lascito importante della piattaforma online per tutti coloro che si mostrino interessati ad avviare dei progetti su questi territori. Un network di relazioni per un possibile sviluppo delle aree in esame secondo una modalità sostenibile e attenta ai processi di trasformazione attivi sul territorio.

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In questa pagina: 23. Una prima formulazione dell’“armatura della futura metropoli sostenibile” comprende undici direttrici territoriali che collegano Milano alle più importanti città della Lombardia, lungo cui si identifica una serie di opportunità per realizzare interventi (proposti, in fase di avvio, in corso di realizzazione, compiuti) esemplari in termini di riqualificazione di “contenitori”, aree disponibili e situazioni di degrado, e di potenziamento dell’accessibilità


2. MAPPING E TOPOGRAFIA. STRUMENTI PER LA RICOSTRUZIONE DEL PAESAGGIO 2.1 Un contesto dinamico 2.2 Nozione di paesaggio e caratteristiche dello sguardo 2.3 Discorso intorno alle cose. Verso un nuovo realismo 2.4 Topografia e complessitĂ 2.5 Mappe e cartografia 2.6 Combinazione, contaminazione, ibridazione

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2.1

Un contesto dinamico

Parlare oggi di una città attrattiva significa parlare di una città che offre una elevata densità di servizi e nella quale circolano senza interruzioni grandi masse di persone, dati, denaro e merci. E’ un ecosistema liquido in cui i diversi elementi scivolano uno sull’altro in uno spazio senza gravità in cui è difficile trovare punti di riferimento. In questo contesto dinamico e sfuggevole, la variabile del tempo riveste un ruolo fondamentale. La città si configura come un organismo pulsante, il cui battito ininterrotto vede il susseguirsi dei diversi cicli di vita ordinaria dei suoi abitanti. Il ritmo delle nostre vite subisce ogni giorno un’accelerazione che si traduce in un bisogno costante di infrastrutture a garanzia di spostamenti frequenti e veloci. La città si trasforma così in un sistema di flussi attivo 24/7, perdendo progressivamente la tradizionale unità e compattezza garantite dall’idea di contesto. Gli abitanti di questi spazi diventano soggetti mobili che attraversano continuamente il paesaggio urbano:

L. Gwiazdzinski, Malleable City, in THEME EUROPAN 12. ADAPTABLE CITY, Europan, Francia 2011, pubblicazione introduttiva ai temi di concorso.

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Nella pagina accanto. 1. Image Courtesy of Europan 12

“Mirroring these developments, individuals are becoming increasingly mobile. They are poly-topian, with multiple locations. They are poly-active, with a portfolio of jobs rather than a single career. They are increasingly unpredictable, increasingly hybrid…”1 Il carattere della mobilità entra nella città attraverso una prolificazione di luoghi moltiplicata dalle nuove funzioni. Ci sono gli spazi

dove dormiamo, gli spazi dove ci divertiamo, gli spazi dove acquistiamo: la città diventa una sorta di arcipelago composto dalla moltitudine di frammenti che quotidianamente accolgono la nostra routine. Le relazioni tra le diverse parti si fondano su principi quali l’ibridazione e la contaminazione e rompono con la legge di prossimità vicino-lontano che aveva tradizionalmente fondato le interazioni tra gli oggetti. La dimensione della possibilità diventa prevalente: di fronte a un’innovazione tecnologica in rapidissima crescita, tutto sembra essere possibile, nonostante risulti talvolta illogico dal punto di vista spaziale e funzionale. La conseguenza diretta di questi cambiamenti è l’ aumento della complessità dello spazio in cui viviamo. In questo contesto si assiste a un progressivo inasprimento della frattura tra realtà effettiva e realtà percepita: l’informazione supera sistematicamente l’evento prima ancora che esso si verifichi. Di fronte a tale confusione anche le scelte che siamo quotidianamente chiamati a prendere si fanno sempre di più inconsapevoli: spesso non abbiamo i mezzi adeguati per capire se quello che stiamo facendo ci porterà un reale vantaggio ( La società del rischio, Ulrich Beck). Appare evidente dunque la necessità di una riflessione radicale sui temi della città e del paesaggio contemporaneo al fine di ristabilire una cornice concettuale di riferimento all’interno della quale il progetto sia libero di agire se-


2. MAPPING E TOPOGRAFIA. STRUMENTI PER LA RICOSTRUZIONE DEL PAESAGGIO

condo logiche e obiettivi precisi. I paragrafi seguenti cercheranno di mettere le basi per questa riflessione affrontando tematiche che vanno dal paesaggio, al senso dei luoghi, dalla dimensione concreta della realtĂ , al ricorso alla cartografia come strumento operativo.

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2.2

Nozione di paesaggio e caratteristiche dello sguardo

L. Gwiazdzinski, Malleable City, in THEME EUROPAN 12. ADAPTABLE CITY, Europan, Francia 2011, pubblicazione introduttiva ai temi di concorso

1

Guya Bertelli è direttrice del Polo di Piacenza facoltà di architettura, autrice di diverse monografie e impegnata nella ricerca sulla Progettazione del paesaggio. I contributi riportati sono riresi dal seminario tenuto da G. Bertelli, L. Basso Peressut, R. Pugliese, Paesaggi Complementari , Politecnico di Milano, Milano maggio 2015

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Ibidem

V. Gregotti, Il disegno degli spazi aperti, Casabella n. 597-598, 1993 4

Re-cycle, catalogo della mostra a cura di Pippo Ciorra, Recycle, strategie per l’architettura, MAXXI, Roma, Dicembre 2011-Aprile 2012

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N. Goodman, Vedere è costruire il mondo, traduzione italiana di Carlo Marletti, Laterza, Roma-Bari 2008

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D. Harvey, The space as a keyword, in Spaces of Global Capitalism. Towards a Theory of Uneven Geographical Development, Londra 2006

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Nella pagina accanto: 2. Banners di Viartis, Sulle rotte mediterranee 3. P. Raso, Delocation, istallazione per il cantiere creativo di Arghillà 4. V. Vitali, MEDI TERRANEO, istallazione per il cantiere creativo di Scilla 5. Località di Pentedattilo, sede di uno dei sette cantieri d’arte contemporanea

A fronte della complessità che caratterizza la città, è dunque opportuno avviare una fase di riflessione e di ripensamento dei temi progettuali sulla base delle nuove nozioni che definiscono il paesaggio contemporaneo. Viene qui ripreso il contributo di Guya Bertelli al seminario ”Paesaggi complementari”2, tenutosi al Politecnico di Milano nel maggio 2015 e dedicato all’evoluzione del concetto di paesaggio nella storia recente della disciplina architettonica. Nel corso degli ultimi cinquant’anni, il termine paesaggio ha subito profonde modificazioni che possono essere raggruppate in tre momenti principali. A metà degli anni ’70 , il concetto di riferimento è quello di paesaggio antropogeografico (Vittorio Gregotti): la struttura formale dello spazio coincide con lo spazio stesso. Le parole chiave sono forma, intesa come struttura formale, insieme, inteso come insieme ambientale, campo, inteso come insieme circoscrivibile, scala, inteso come rapporto dimensionale. In questo contesto paesaggio “designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni […] “3. Nella prima metà degli anni ’90 questo concetto comincia progressivamente a disgregarsi. Scrive Gregotti in un editoriale edito su Casabella: “ La nozione di disegno degli spazi aperti ha guadagnato importanza nella pratica progettuale contemporanea, […]

nella definizione di speciali recinti funzionali dentro la città”4. Dal paesaggio si passa alla città diffusa, lo spazio viene sostituito dal vuoto come spazio di risulta. Si apre il tema dei grandi spazi inclusi, spazi in cui il vuoto viene introiettato nelle nuove compagini monofunzionali. I termini di riferimento sono enclaves, recinti, infrastrutture, spazi rifiuto. Gli anni successivi mostrano una crescente attenzione al tema del rifiuto fino a quando con la mostra Recycle, strategie per l’architettura 5, Pippo Ciorra indica il riciclo come risorsa fondamentale per ridare un ciclo di vita agli spazi di scarto. E’ la possibilità di ricostruire un processo legato alle nuove possibilità d’uso di questi spazi. Al termine paesaggio si sostituisce quello di ambiente, nozione che include ancora il tema del paesaggio ma che è legato specificatamente all’esperienza dell’uomo nel paesaggio. L’ambiente è legato al consumo di suolo, al tema del riciclo e al nuovo orizzonte della sostenibilità. I diversi significati che questi tre periodi conferiscono alla nozione di paesaggio permettono di osservare come nelle evoluzioni successive si sia verificato un cambio di paradigma: se all’iniziale principio della continuità si era sostituito il tema della frammentazione, il paesaggio contemporaneo si fonda sul nuovo paradigma della contaminazione. Questo significa che lo spazio ordinario non aspira a una forma finale, ma si contraddistingue per il suo carattere aper-


2. MAPPING E TOPOGRAFIA. STRUMENTI PER LA RICOSTRUZIONE DEL PAESAGGIO

to, in fieri, non finito, come risultato scaturito da un contrappunto di situazioni diverse. E’ uno spazio fluido in cui si assiste anche a un’inversione di senso nella dinamica natura-cultura con un ritorno in città della natura in tutti quegli spazi di scarto, residui abbandonati dalla città contemporanea. Con il cambiamento di paradigma delle nozioni fondative del concetto di paesaggio, si verifica anche un cambiamento dello sguardo: da univoco si fa molteplice, dinamico e intermittente, volto a cogliere le diverse stratificazioni e contaminazioni che costruiscono gli spazi della contemporaneità. “Vedere è costruire il mondo”6: lo sguardo riporta inevitabilmente l’attenzione sul tema della forma. In un certo senso si può affermare che lo sguardo sul mondo viene condotto attraverso tre livelli: un primo momento di lettura dei fenomeni, un secondo di trascrizione, intesa come valutazione critica della realtà percepita e un ultimo di composizione, nel senso di prefigurazione di un mondo differente rispetto a quello di partenza. In questi tre passaggi si riassume l’attività del progetto inteso come processo di lettura, interpretazione e trasformazione del paesaggio. Se vedere è costruire il mondo, rimane allora da chiedersi cosa guardare. Il primo sguardo deve essere a tale proposito uno sguardo limitato. Di fronte ala complessità del paesaggio contemporaneo diventa fondamentale definire il campo visivo, circoscri-

vere i fenomeni a cui viene rivolta l’attenzione. Per fare questo è necessario fissare un orizzonte, concetto che va oltre al limite e che permette di cogliere la via d’uscita del limite stesso. Una volta fissato un limite è poi necessario capire come guardare. Come detto in precedenza, lo sguardo non può che essere dinamico. In un certo senso oggi si coglie il paesaggio muovendosi all’interno del paesaggio stesso. Lo sguardo da fisso diviene in movimento e di conseguenza si parla oggi di orizzonti mobili. Da un lato lo sguardo di chi osserva il paesaggio mentre si sta muovendo, dall’altro lo sguardo di chi osserva il paesaggio mentre si sta fissi, allora è il paesaggio che si muove verso di lui. Tutto questo porta alla radicale trasformazione del paesaggio contemporaneo da uno spazio statico a uno spazio dinamico. Secondo David Harvey 7, esistono tre tipi di spazio. Il primo è lo spazio assoluto, lo spazio di Euclide e Newton in cui la prospettiva la prospettiva fissa l’immagine della sua stabilità e certezza assoluta. Il secondo tipo è quello dello spazio relativo, quello di Einstein, la cui esistenza è possibile solo nella relazione con gli altri spazi: l’oggetto viene concepito sempre nella sua relazione con un altro oggetto. Il terzo modo di concepire lo spazio è quello che invece caratterizza la contemporaneità: lo spazio relazionale. Quest’ultimo tipo proposto concepisce non solo la relazione con gli spazi che stanno accanto all’oggetto, ma anche

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8 H. Focillon, Vita delle forme, prefazione di Enrico Castelnuovo, trad. Sergio Bettini, Einaudi, Torino 1987

Nella pagina accanto: 6. V. Vitali, MEDI TERRANEO, “una barca tra cielo e terra”

tra le parti stesse dell’oggetto. E’ uno spazio per così dire interiore. Si viene così a delineare un interessante salto di scala nell’elaborazione concettuale del paesaggio. Con l’introduzione dello spazio relazionale, l’ambito della nozione di spazio si allarga non solo in direzione orizzontale, attraverso lo scivolamento fluido dei diversi sistemi, ma anche in quella verticale con le diverse sovrapposizioni e relazioni tra le diverse parti dello stesso sistema. Ne deriva un’immagine stratificata e complessa che necessita di essere smontata e ricostruita successivamente attraverso tre diversi tipi di sguardo che ricompongono alla fine l’architettura del paesaggio nella sua interezza. Attraverso la pianta, è possibile cogliere le gerarchie orizzontali dei diversi sistemi, cogliendone i diversi ordini di grandezza e dimensione. E’ questo lo sguardo del geografo. Attraverso il prospetto viene poi restituita la terza dimensione: è uno sguardo frontale che ricostruisce l’aspetto delle cose. Infine, grazie alla sezione si scoprono le cose nel loro spessore e vengono rivelate le diverse stratificazioni che strutturano i diversi layers del paesaggio. E’ lo sguardo del geologo che capta attentamente le relazioni tra le parti. Da quanto detto fino ad ora emerge dunque tutta la complessità che caratterizza il paesaggio della contemporaneità. Questo aspetto è particolarmente evidente quando si cerca di avvicinare la struttura di questo tipo di spazi: non è più attraverso un’a-

nalisi scientifica, ma attraverso uno sguardo aderente alla concretezza dei fenomeni e aperto a uno scenario di volta in volta differente che si può cogliere il racconto complesso della realtà. La struttura del paesaggio è oggi una narrazione che si costruisce attraverso l’alternanza di densità e rarefazione dello spazio: solo grazie ai punti rarefatti è possibile cogliere i limiti tra i diversi sistemi. E’ l’idea che è proprio attraversando il paesaggio che si possono cogliere le sequenze di luoghi in virtù dell’opposizione densità-rarefazione. Emerge dunque la nozione di sequenza che rappresenta oggi uno dei principali strumenti identificativi di un paesaggio. Al posto del concetto di forma si è ora sostituito il concetto di massa, e cioè di una forma dinamica: le diverse masse, muovendosi, formano le sequenze. E’ un movimento trasformativo continuo e in costante rinnovamento quello che struttura oggi il paesaggio contemporaneo. “La forma è una realtà complessa con un interno movimento fenomenologico attraverso cui si determina e manifesta nella stratificazione costitutiva del suo essere. Ogni scienza dell’osservazione, specialmente quella che ha per oggetto il movimento e le creazioni dello spirito umano, è essenzialmente una teoria formale. […] L’opera d’arte – e, di conseguenza anche l’architettura – è un tentativo verso l’unico, si afferma


come un tutto, come un assoluto e, nello stesso tempo, appartiene a un sistema di relazioni complesse�.8

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2.3

Discorso intorno alle cose. Verso un nuovo realismo

“Bisogna entrare nel merito dell’essenza delle cose, nella loro esistenza, nella loro concretezza”. (Galileo) “L’oggetto è il risultato di un elaborazione concettuale”. (Foucault)

M. Ferraris, Manifesto del nuovo realismo, Laterza, Roma-Bari 2012

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Nella pagina accanto: 7. Richard Hamilton, “Ma che cos’è che rende le cose di oggi così diverse, così attraenti?”, collage (1956) 26*25 cm

Le due frasi sopra riportate racchiudono il senso di un percorso verso la realtà che si configura come una ricerca attenta e senza preconcetti volta a riscoprire i caratteri profondi della realtà stessa. Questo percorso rappresenta una sorta di ritorno al piano concreto e materiale dei fenomeni, in seguito alla delegittimazione avvenuta in particolar modo con la Rivoluzione industriale. A quell’epoca infatti, l’attenzione per le cose concrete era stata degradata in termini di valore d’uso e valore di scambio, un’operazione che ne aveva intaccato per certi versi anche il valore morale. Occorre dunque oggi fare un passo indietro e recuperare la dimensione concreta della realtà, proprio per avvicinarsi il più possibile alle cose e all’essenza profonda dei fenomeni. Solo così è possibile avviare un percorso di rilettura della complessità che trova il suo fondamento sull’esperienza diretta e libera da preconcetti o teorie. E’ il tentativo di non accontentarsi di quello che delle cose viene detto, ma di entrare nel merito delle cose. A questo proposito risulta interessante la riflessione che Maurizio Ferraris raccoglie nel suo libro Ma-

nifesto del nuovo realismo9, in cui avverte la necessità di un ritorno ai valori della realtà e della verità. Negli anni ’70, il Postmodernismo aveva elaborato un pensiero molto critico avanzando l’ipotesi che la realtà era in gran parte socialmente costruita dai nostri schemi concettuali, dalle nostre teorie, dalle nostre ideologie e dai nostri pensieri. Queste posizioni avevano diffuso un atteggiamento generalmente nichilistico: non ci sono fatti, ma solo interpretazioni. In questo modo, la realtà veniva costruita dai mezzi di comunicazione di massa, da chi aveva più potere, dall’economia dominante. Di fronte alla confusione introdotta da queste correnti di pensiero, Ferraris invita a riflettere su tre parole chiave. La prima è ontologia, e cioè quella realtà indipendente da quello che si pensa della realtà stessa e, per questo, assolutamente diversa dall’epistemologia: quello che noi pensiamo non ha un valore costitutivo della realtà. La seconda è critica, e cioè l’auspicio che la realtà venga semplicemente accertata ma che questo non corrisponda a un’accettazione passiva del mondo. Infine illuminismo, termine che spesso la Modernità ha osteggiato dando maggiore spazio a posizioni immaginative e artistiche, ma che in questa fase è opportuno riprendere. E venendo poi al significato profondo del concetto di realtà, il filosofo invita a immaginare che ci siano diversi livelli di realtà e diversi tipi di oggetti. Se è vero che


2. MAPPING E TOPOGRAFIA. STRUMENTI PER LA RICOSTRUZIONE DEL PAESAGGIO

gli oggetti sociali (come le crisi economiche o i matrimoni) sono socialmente costruiti, lo stesso non si può dire per gli oggetti naturali (come laghi o montagne) che restano indipendenti dai nostri schemi concettuali. Se un sasso è bianco, anche se io lo penso nero, rimane bianco. Si arriverebbe così a scongiurare il pericolo di far dipendere la realtà dal sapere raggiungendo in questo modo la verità, e cioè la corrispondenza della proposizione alla cosa. Se dunque l’orizzonte delle cose concrete viene recuperato come ambito di movimento dello sguardo, e con esso anche del progetto, rimane da chiedersi quali siano le caratteristiche delle cose. Ma parlare di cose, significa, ancora una volta parlare di forme. Si può affermare che esistano due tipi di forma: la forma-tipologia e la forma-topologia. La prima è una produzione di matrice culturale legata a una visione più storica fondata sul contesto e sulla città dialettica. Questa nozione rimane però confinata a al concepimento delle cose come concetto, limitando così la nostra capacità di un confronto con la realtà. A questo tipo di forma sarebbe dunque da preferire la forma-topologia, e cioè una visione più diretta sulle cose che parte dal riconoscimento della complessità dell’oggetto. Si lavora in questo modo sull’eterogeneità delle cose in sé e si ragiona per grandi figure di oggetti e non per figure precostituite di oggetti elaborate dai diversi modelli culturali.

Questo lavoro riprende l’approccio topologico considerando la realtà come un sistema complesso. Per coglierlo, è necessario fissare in una cornice di riferimento i limiti labili del paesaggio contemporaneo. A tale proposito, lo strumento impiegato è quello della cartografia che, attraverso l’elaborazione di mappe, permette di smontare e ricostruire la realtà rintracciando le grandi figure di oggetti e riconoscendo le relazioni tra i diversi fenomeni.

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2.4

Topografia e complessità

I. de Solà-Morales, Diferencias. Topografia de la arquitectura contemporanea, Editorial Gustavo Gili, Barcellona 1995

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11 Ibidem Nella pagina accanto: 8. Juan Navarro Baldeweg, Palacio de Congresos y Exposiciones, Salamanca

“La arquitectura no es un arbol sino un acontecimiento resultante del cruce de fuerzas capaces de dar lugar a un objeto, parcialmente significante, contingente. La critica no es el reconocimiento o la manifestacion de ramas, tronco y raices sino que elle misma es tambien una construccion, producida deliberadamente para iluminar aquella situacion, para llegar a dibujar la topografia de aquel punto en que se ha producido alguna arquitectura”.10 In Diferencias. Topografia de la arquitectura contemporanea, Ignasi de Solà-Morales riflette sul tema della contingenza e delle diverse stratificazioni che caratterizzano il paesaggio urbano e il territorio. La tesi fondamentale è che l’architettura non sia un albero, e cioè la logica successione di strutture diverse e tra loro interconnesse, bensì un evento che deriva dall’incontro delle forze contingenti. Attraverso una breve casistica mostra come il principio generatore della forma sia in ultima analisi da ricondurre a una specifica topografia di circostanze particolari. Questo aspetto si può ad esempio riscontrare in diverse produzioni appartenenti agli anni ’50 del secolo scorso. Tanto il technical core dello spazio trasparente di Mies, quanto la dialettica degli spazi serventi-spazi serviti di Kahn, entrambi riuniti sotto l’etichetta comune di forma funzionale, sarebbero al contrario nati da esigenze particolari originate da diversi fattori. E del resto, come specifica l’autore, anche il con-

cetto stesso di funzionalismo non aveva la pretesa di assolvere a un incubatore di spazi e forme: funzionale non è sinonimo di pratico, utile, efficiente, ma indica piuttosto l’esistenza di una forma funzionale come ragion d’essere dell’edificio, esplicitazione del suo ordine razionale. Non si tratta di adattare la forma alla chiara definizione di un programma, ma di rendere il programma funzionale un principio a sostegno della forma degli edifici. Questo stesso discorso volto a riportare l’attenzione sulle differenze e le specificità della produzione architettonica può anche essere applicato a un periodo successivo che risale agli anni intorno al 1980. Si assiste qui a uno spostamento dalla superficie alla profondità: le architetture di Gehry, Siza, Ando, Herzog & De Meuron, complici anche le arti visive e plastiche, si fondano piuttosto sulle strutture profonde della nostra psiche, su immagini archetipe, sulla nozione di essenza e carattere. Nonostante questo cambio di rotta, quello che colpisce è come, al di là di un comune filo denominatore, ancora una volta si possa facilmente distinguere i diversi elementi che compongono queste architetture. Come per quanto detto prima a proposito degli anni ’50, anche in questo caso ciò che viene mantenuto è il fatto che ognuno degli edifici analizzati è un evento a sé, nato da una specifica topografia di circostanze particolari. L’architetto catalano si sofferma poi sulla natura delle modalità at-


2. MAPPING E TOPOGRAFIA. STRUMENTI PER LA RICOSTRUZIONE DEL PAESAGGIO

traverso cui l’evento si presenta ai nostri occhi e sugli strumenti che si rendono necessari per cogliere tali manifestazioni. Se negli anni ’50 si assiste a una sempre più evidente dissoluzione dell’oggetto nel paesaggio, in una sorta di panteismo organicista in cui il terreno dell’architettura veniva considerato nella sua generale continuità, con gli anni ’80 si mette in moto un processo di deterritorializzazione. Questo processo, che raggiunge il suo apice nella città contemporanea, ha dato luce a una sorta di ateismo senza radici in cui si constata una maggiore disconnessione tra gli oggetti e il loro ambito di riferimento spaziale e concettuale. L’architettura di oggi porta con sé un’immagine mediata, computerizzata, con poco di stabile e molto di possibile. In quest’ottica di progressivo impoverimento della realtà, anche il meccanismo della percezione del mondo e dei fenomeni subisce alcuni sconvolgimenti. Il primo periodo di riferimento analizzato, quello del panteismo organicista, aveva arricchito il significato dell’esperienza verso una percezione sinestetica. Si parlava allora di una fenomenologia della percezione con l’idea che l’esperienza che si ha del mondo derivi dal corpo nella sua totalità ( non solo dalla dicotomia visivo-tattile): spazio temporale, sessuale, mobile, espressiva. Ma quando il rapporto dell’uomo con il paesaggio e con il mondo entra in crisi, in prossimità degli anni ’80, anche il meccanismo percettivo è costretto

a cambiare. “ Hoy vivimos en la extraneza entre el yo y los otros, entre el yo y el mundo, en el limite incluso entre el yo y uno mismo”.11 La percezione da strutturante si fa nomade. L’architettura si mostra oggi come insieme caotico di particelle difficili da ricomporre, frammenti, non finito e accumuli. Per coglierne il senso e i rapporti tra le parti, diventa quindi necessaria un ricostruzione e non più una semplice descrizione. Lo strumento di questa ricostruzione è proprio la topografia, intesa come regressione alla concretezza degli oggetti e rimappaggio dei fenomeni per leggere e interpretare la complessità del territorio.

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2.5

Mappe e cartografia

Nella pagina accanto: 9. Mapping come strumento di ricostruzione del paesaggio. Il contesto di area Expo

Quando ci si approccia al paesaggio contemporaneo, non si può fare a meno di notare che il modello a cui si fa riferimento è essenzialmente diverso rispetto ai canoni tradizionali di un unico ambiente organico. La società è oggi composta da gruppi molteplici ed eterogenei che si muovono in uno spazio sempre più globale in cui si assiste da un lato all’identificazione di tali gruppi con una rete di luoghi, dall’altro a un conseguente processo di deterritorializzazione. Quest’ultimo determina la caduta della categoria di vicino inteso come simile e lontano inteso come diverso così come della distinzione tra l’insider, abitante di un luogo e l’outsider, osservatore di passaggio. In sintesi è caduta oggi la legge della prossimità: la denstà di oggetti eterogenei è il prodotto di usi del territorio contradditori da parte di gruppi sociali differenziati. Questo fatto introduce nell’organizzazione del paesaggio due nuove categorie di riferimento: individualità e mixité. La prima si esprime attraverso il pulviscolo odierno generato dai molteplici tentativi di sovraesposizione delle identità dei singoli oggetti. L’architettura accetta l’indeterminatezza di un paesaggio frammentato e dinamico con il conseguente abbandono del tradizionale ideale di coerenza albertiano. La seconda, la mixitè, è l’esito della crisi della visione frontale sul mondo ( quella della tradizione pittorico-figurativa) e della costruzione dello spazio entro precise cornici. Il di-

sordine diventa così un dato strutturale dei paesaggi contemporanei delle identità collettive. Non l’assenza totale di ordine, ma la coabitazione di diversi frammenti, ognuno con il proprio ordine individuale, che si sostituiscono al concetto di continuità. Il lavoro di mapping condotto nelle fasi preliminari del progetto cerca a questo proposito, di rilevare l’eterogeneità dei diversi sistemi che costituiscono il paesaggio di riferimento dell’area presa in esame. Per fare questo viene fin da subito fissata una scala per così dire intermedia tra quella territoriale e quella locale, con l’obiettivo di cogliere la dialettica delle interazioni tra il territorio e la città. All’interno di questo orizzonte vengono poi stabiliti una serie di layers attraverso cui si cerca di riscoprire i segni del paesaggio e quelli delle masse urbane, inizialmente nella loro autonomia e successivamente nella loro interazione. E’ così che attraverso il ridisegno dei campi agricoli, delle infrastrutture, delle enclaves, delle placche industriali e ancora, dei parchi urbani e regionali e degli agglomerati residenziali, si cerca di restituire il contesto di riferimento attraverso quelli che sono i suoi elementi fondamentali. Questa operazione consente di ricostruire una successiva immagine di sintesi in cui la realtà appare più chiara e comprensibile, proprio in virtù del processo di smontaggio e riassemblaggio precedentemente condotto.


2. MAPPING E TOPOGRAFIA. STRUMENTI PER LA RICOSTRUZIONE DEL PAESAGGIO

9

97


2.6

Combinazione Contaminazione Ibridazione

M. Kaijima, J. Kuroda, Y. Tsukamoto, Made in Tokyo, Kajima Institute Publishing Co, Tokyo 2006

12

13,14,15

Ibidem

Nella pagina accanto: Cross categorical hybrids. Legenda e zoom, in particolare: 10. Distretto industriale Mazzo di Rho 11. Area in trasformazione di Pero 12. Cimitero Maggiore e Parco di Cascina Merlata

Una volta mappati i principali sistemi che caratterizzano il contesto di Expo, il lavoro cerca di compiere un passo ulteriore attraverso la considerazione integrata dei diversi elementi analizzati. I sistemi precedentemente individuati in modo separato vengono ora rimescolati insieme al fine di individuare alcuni ambiti di trasformazione. Il concetto di ambito si fonda sulla compresenza di oggetti e tessuti eterogenei: l’attenzione viene riportata sulla combinazione e contaminazione dei diversi sistemi. E’ così che campi agricoli, placche, cascine, pezzi di tessuto residenziale, singoli oggetti, si trovano ora a coesistere in virtù di una logica di coerenza spaziale e del ruolo che tali ambiti rivestono nelle dinamiche urbane e nelle trasformazioni. Lo studio condotto trova il suo riferimento teorico nel volume Made in Tokyo, realizzato da Atelier BowWow nel 200612. Il testo è l’occasione per i progettisti di confrontarsi in modo diretto con quello che viene considerato uno dei luoghi più caotici e senza pudore tra le diverse esperienze urbane della contemporaneità. “ Roads and trainlines run over buildings, expressways wind themselves over rivers, cars can drive up ramps to the rooftop of a 6 storey building, the huge volume of a golf practice net billows over a tiny residential district”13. Il paesaggio metropolitano di Tokyo deve la sua confusione

all’origine relativamente recente, tra i trenta e i quaranta anni fa, della maggior parte dei suoi edifici. Le nuove tecnologie utilizzate nella costruzione hanno infatti costituito la possibilità di fondo per la generazione di composizioni spaziali senza pudore e combinazioni funzionali inedite rispetto ai paradigmi europei. Questo diversificato paesaggio urbano rappresenta il terreno perfetto per una ricerca che si interessa alle contaminazioni tra i diversi oggetti, in particolare con riferimento a quella classe di edifici anonimi, ribattezzata con l’espressione “Da-me architecture – no good architecture”. Si tratta di edifici di scarso valore estetico esclusi dal riconoscimento della cultura architettonica attuale. Ma quando l’interesse culturale è basso, inevitabilmente aumenta l’interesse dal punto di vista pratico. “By treating the relation between elements as the major issue, we tried to see the object without pre-conditioned meaning and categories”14. Questo approccio, che riprende la corrente del pensiero topologico, è indirizzato a mettere in luce i diversi metodi attraverso cui vengono costituiti e utilizzati quelli che vengono chiamati “coherent environments” all’interno della città. A questo proposito, vengono inclusi nell’analisi tutti quegli elementi che parlano di adiacenza delle funzioni, coesistenza, contaminazione e ibridazione. Sono i cosiddetti Cross categorical hybrids15, che non possono essere classificati specificatamente come archi-


2. MAPPING E TOPOGRAFIA. STRUMENTI PER LA RICOSTRUZIONE DEL PAESAGGIO

N.

Nome aree

Posizione

1. 2.

Area Expo Casa di reclusione di Milano-Bollate Area ospedale Sacco Cimitero Maggiore Parco di Cascina Merlata Area in trasformazione ( Pero) Quartiere S. Leonardo Bosco in cittĂ Aree agricole Cava Bossi Rho Fiera Distretto industriale Mazzo di Rho Cascina Papis e aree agricole Distretto industriale Baranzate Area residenziale Novate Milanese

D4-D5-D6 C5

3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14.

10

Agricolo

Industriale

Servizi

D7 E6-E7 E5 E4 F5-F6 F3-G3-G4 E2 C2-D2-D3 C2-C3-C4 B3-B4-C4 C5-C6-D6 B8-B9-C9

11

12

99


In queste pagine: assonometria dei diversi sistemi intorno all’area Expo


101


tetture, pezzi di ingegneria civile, di città o di paesaggio. Vengono pertanto definiti come delle “unità ambientali” a sottolineare ancora una volta, quel principio di coerenza che le tiene insieme. Ed è proprio il tentativo di ritrovare nel paesaggio di riferimento dell’Expo le diverse unità ambientali, quello che muove la seconda fase dell’analisi, ripercorrendo il paesaggio metropolitano in cerca delle diverse figure di oggetti che si mostrano in un qualche modo unite da un principio di coerenza spaziale e di significato.


3. DEFINIZIONE DEL MASTERPLAN. TERMINI E CONCETTI DI RIFERIMENTO 3.1 Quale idea di progetto. Parole chiave 3.2 Il concetto di ecologia 3.3 Resilienza e trasformazione: Adaptable City 3.4 Sostenibilità e decrescita 3.5 Legacy e identità di Expo 2015 3.6 L’idea del parco agricolo 3.7 Mixitè come strategia insediativa 3.8 Sul principio di attrattività 3.9 Infrastruttura e accessibilità


3.1

Quale idea di progetto. Parole chiave

Progetto di suolo

B. Secchi, Progetto di suolo, in Casabella n. 520-521 , gennaio-febbraio 1986, pp. 19-23

1

2,3,4

Ibidem

M. Sorkin, Pensieri sulla densità, in Lotus n. 117 , giugno 2003, pp. 4-11

5

6

Ibidem

Nella pagina accanto: Diverse ipotesi di densità per l’area Expo, 1. Area completamente vuota 2. Saturazione delle figure principali 3. Ricomposizione del bordo urbano 4. Nuovi innesti

Nell’articolo pubblicato su Casabella nel gennaio-febbraio 19861, Bernardo secchi mette in luce come l’urbanistica abbia progressivamente condotto un cambio di direzione nell’ultimo periodo: da una ricerca che in qualche modo aspirava a essere universale, basata su istanze di giustizia e riscatto sociale, a un programma investigativo e progettuale molto più frammentato il cui esito sono “l’assenza di servizi e di spazi collettivi, l’assenza di forma, l’assenza di rappresentatività”2. Nella riflessione del periodo precedente lo spazio veniva visto nella sua omogeneità e nella sua isotropia: nelle descrizioni cartografiche e concettuali veniva abbandonato ogni carattere allusivo o metaforico e qualsiasi rapporto analogico. La comunicazione si fondava su una corrispondenza biunivoca tra parola e disegno in cui l’una era a sostegno dell’altro secondo una relazione non soggetta all’interpretazione contingente. Nel corso del tempo questo modello è progressivamente entrato in crisi: “Se osserviamo tutto ciò, ad esempio attraverso i disegni degli urbanisti, possiamo renderci conto della progressiva perdita di importanza, lungo questa storia, della progettazione del suolo: della sua costruzione, non solo come edificazione, ma anche come formazione, ordinamento secondo dipendenze logiche e concordanze grammaticali, come composizione di singoli elementi

differenti o di loro serie, insomma come definizione dei caratteri della superficie sulla quale gli edifici in primo luogo si impiantano”3. Il suolo è stato dunque accantonato sempre di più dalla riflessione urbanistica ed è possibile riassumere questo disinteresse secondo tre atteggiamenti principali. Il primo consiste nella sostituzione del ruolo che il suolo aveva tradizionalmente avuto nella città attraverso l’introduzione di edifici multifunzionali che aspirano a farsi essi stessi città. Il secondo atteggiamento riduce il suolo a un supporto passivo dei diversi sistemi di flussi che caratterizzano oggi la città: reti, terminali, scambi di informazioni. Da ultimo la tendenza a concepire il suolo come somma di estensioni metriche su cui distribuire di volta in volta le funzioni secondo una logica di matrice economica. A fronte dell’impoverimento dei significati e della moltitudine dei punti di vista sulla città che caratterizza la situazione attuale, le considerazioni di Secchi invitano a una riflessione più ampia preveda il ritorno alla concretezza del progetto di suolo. Il suolo in quest’ottica ritornerebbe il campo di indagine di riferimento, proprio in quanto ambito di elaborazione delle relazioni e delle articolazioni tra le diverse parti della città. “(Il progetto di suolo) deve potersi costituire simultaneamente alle diverse scale e deve, infine, potersi definire processualmente, attraverso atti la cui successione sia determinata interattivamente. […] Esso acquisisce senso entro un


3. DEFINIZIONE DEL MASTERPLAN. TERMINI E CONCETTI DI RIFERIMENTO

più generale progetto sociale ed diverse densità il presupposto delacquista valore attraverso un pro- la qualità di una città. A questo getto di architettura”4. proposito infatti, si può dire che la densità generi la formazione di Densità una comunità, nel senso di mettere in connessione tra loro diversi Quello della densità è senza attori e diverse possibilità. Densità dubbio un tema centrale nella come densità d’uso intorno alla disciplina architettonica e urba- quale ruota la vita di un quartiere, nistica contemporanea. La storia di una città, che è portata sempre recente ha visto un continuo e di più a condividere interessi e derapido processo di accrescimen- sideri comuni. to ed espansione delle città che Se dunque da un lato si assiste a ha causato un inarrestabile con- uno slancio verso l’autosufficiensumo di suolo. Per far fronte alla za dei diversi nuclei, incoraggiato ormai evidente insostenibilità di dalla densità, non va però dimentale espansione incontrollata, gli ticato che oggi la città è anche urbanisti hanno fatto affidamento un luogo continuamente attraal tema della densità per riportare versato da oggetti e soggetti in un certo ordine e limitare i danni movimento. Automobili, mail, dati, sull’ambiente e sul paesaggio. La informazioni, merci circolano atdensità diventa quindi strumen- traversano continuamente il pato per razionalizzare i consumi ed esaggio metropolitano. Densità evitare gli sprechi, per mettere in come densità di flussi. contatto persone, informazioni e Tutto questo contribuisce all’ioggetti secondo un principio che dea di una città come organisi sforza allo stesso tempo di mi- smo complesso animato dalla gliorare la qualità della vita urba- continua dialettica autosufficienna. Non solo densità fisica quindi, za-scambio che regola i rapporti ma anche densità economica, tra le parti stesse della città e tra sociale e culturale. quest’ultime e le realtà esterne. Il Di seguito viene riportata quella risultato porta a una certa densiche può essere la definizione più tà dell’esperienza urbana sempre semplice di densità, postulata da più sostenuta da una densità di Michael Sorkin in un articolo su Lo- differenze: “Se nella vita, anziché tus: “La densità è un agente, sia averne paura, apprezzassimo la fisico che sociale e ambientale. E’ densità della differenza, la città nella sua definizione più elemen- che potrà maggiormente sodditare ciò che consente la vicinan- sfare i nostri bisogni sarà quella più za, il riunirsi dei corpi nello spazio”5. colma di possibilità”6. Densità come densità di incon- Il progetto del Masterplan si fa catri prima di tutto. E’ l’idea che sia rico di queste riflessioni cercando proprio il progetto dell’acciden- fin dall’inizio di definire una protalità degli incontri realizzato dalle pria strategia declinando nel caso

1

2

3

4

105


particolare il concetto di densità. Fin dall’inizio lo sforzo progettuale viene diretto alla ricerca di un equilibrio tra densità e spazio vuoto, nella definizione delle logiche relazionali dell’area con gli ambiti esterni di riferimento e nelle gerarchie tra spazi costruiti e spazi aperti all’interno del sito Expo. Scale

M. Ricci, Nuovi paradigmi: ridurre riusare riciclare la città ( e i paesaggi), in P. Ciorra, S. Marini, Re-cycle. Strategie per l’architettura, la città e il pianeta, Electa, Milano 2011

7

Nella pagina accanto: 5. Concept per il Masterplan del post-Expo 6. Definizione concettuale di aree tematiche e funzionali

In precedenza è emerso più di una volta il tema della complessità della realtà come ambito di indagine dell’architettura. Per cercare di ristabilire un legame progettuale con un contesto di riferimento non è possibile oggi operare in una logica monoscalare. Il paesaggio contemporaneo è un pulviscolo caotico composto da una pluralità di frammenti che interagiscono tra loro. La dimensione prevalente è quella dell’evento, della casualità, dell’incoerenza. I diversi fenomeni si susseguono tra loro staccandosi momentaneamente dall’amalgama nel quale si trovano mescolati insieme indistintamente. La riconoscibilità dei diversi frammenti è un fatto momentaneo e occasionale e la struttura della realtà appare nascosta dietro a un’apparente omogeneità e piattezza. In questo contesto il progetto fatica a trovare dei punti di riferimento e non può fare altro che ricorrere a un metodo basato sul continuo confronto tra scale diverse per cercare di discernere i fenomeni. E’ questa un’analisi di tipo comparativo dunque, che

cerca di ricostruire le dinamiche della realtà partendo proprio dalle diverse facce che tale realtà presenta a seconda dell’orizzonte scalare individuato. L’architettura non è più riconducibile a un sistema di relazioni che prevede l’intorno come il solo ambito di studio. Cade per certi versi l’onnipotenza dell’idea di contesto in favore di un’analisi che si pone al contrario l’obiettivo di ricostruire di volta in volta un contesto di riferimento. Nell’avvicinarsi al tema dell’Expo e del Post-evento, questo lavoro opera dunque secondo diverse cornici scalari che corrispondono a diversi ambiti spaziali. E del resto non poteva essere altrimenti: l’area si trova infatti al centro di una terra di nessuno in cui è impossibile ritrovare le categorie che caratterizzano la tradizionale idea di città (isolato, contesto, quartiere, unità di vicinato, sulle quali fondare). Vengono quindi individuate alcune soglie all’interno delle quali l’area Expo viene analizzata nelle sue relazioni con il territorio e la città ricostruendo ogni volta un quadro di insieme interpretativo. Attraverso questo metodo emergono i diversi punti di vista che saranno poi la base per gli sviluppi successivi del progetto. Vuoto Lo spazio che caratterizza l’area di Expo si può considerare tendenzialmente come uno sfondo confuso e disordinato. L’obiettivo iniziale del progetto risiede quindi nel tentativo di trovare un princi-


pio ordinatore dello spazio su cui successivamente intraprendere le diverse strategie insediative e sviluppare un programma. A questo proposito il lavoro viene impostato sulla declinazione del tema del vuoto come elemento incaricato di ristabilire in modo chiaro ed efficace le gerarchie e le relazioni tra le diverse parti che gravitano sull’area. Attraverso l’elaborazione di modelli fisici, è stato possibile osservare la nascita di diverse sinergie semplicemente variando i rapporti pieno-vuoto all’interno dell’area Expo. In questa chiave dunque, il vuoto è un mezzo di significazione, il cui valore si ottiene attraverso il carattere di eccezionalità in ambiti omogenei. E’ il concetto della radura nel bosco, o per dirla con le parole di Guya Bertelli, quel rapporto dialettico di densità e rarefazione che permette di discernere le sequenze di luoghi. L’esito di queste ricerche ha portato alla decisione di impostare il disegno del Masterplan su un grande spazio vuoto intorno a cui si concentrano i diversi edifici dedicati ad ospitare il programma funzionale. Tale spazio prende le forme di un parco agricolo dal disegno regolare, visto come continuità fisica e concettuale con il paesaggio circostante. E’ interessante sottolineare come il parco presenti in realtà una doppia faccia: se da un lato è uno spazio che può essere considerato vuoto, in quanto caratterizzato dall’assenza di edifici o di superfici dure, è però anche vero che sia da un

punto di vista percettivo che fisico, il parco si costituisca come un luogo denso la cui esperienza non può andare oltre alla dimensione del passare attraverso. Ed è proprio questa densità del vuoto l’elemento che consente di stabilire un legame con gli spazi circostanti e di tenere insieme l’eterogeneità degli oggetti presenti nell’area. Re-cycle “Kyoto, il Nobel ad Al Gore, il surriscaldamento globale, le emissioni di CO2, il costo del petrolio, le energie rinnovabili, le grandi migrazioni sociali, l’esplosione della città, la fragilità delle grandi concentrazioni di fronte agli eventi naturali che si trasformano in catastrofi, la difesa dei contesti locali assunti a baluardi di identità. Tutto il mondo si preoccupa e lavora su queste urgenze”7. Qualsiasi progetto sul mondo non può oggi prescindere dalle considerazioni sopra riportate. In un orizzonte che vede il continuo inasprimento della frattura tra uomo e ambiente, tra città costruita e natura (poca) incontaminata, l’architettura deve ripensare le sue strategie a partire dal riutilizzo del patrimonio esistente ridefinendo luoghi e usi dei diversi contesti degradati o abbandonati. Ridurre, riusare, riciclare; questa la formula proposta da Mosè Ricci nel testo Re-cycle. Strategie per l’architettura, la città e il pianeta. L’espansione urbana è un fenomeno che raggiunge oggi livelli insostenibili. “In Europa il consumo

5

6

107


di energia ascrivibile agli edifici rappresenta ormai oltre il 40 %. Più della metà della linea costiera italiana è ormai occupata dalle costruzioni”8. L’urgenza di una decrescita sembra ormai l’unica possibilità per evitare il collasso del pianeta. Alla decrescita si coniuga inoltre il concetto di riuso: in quest’accezione riusare è più sostenibile di riciclare, in quanto implica una riappropriazione diretta dello spazio senza un precedente dispendio energetico volto alla trasformazione dello spazio stesso. Sulla base di questa logica, il Masterplan cerca di recuperare le strutture principali di Expo, alcuni padiglioni e tutta l’infrastruttura dei servizi sviluppata lungo l’asse centrale della piastra. Da ultimo, il riciclo, inteso come il riutilizzo dei materiali di scarto che hanno perso valore: “Riciclare vuol dire, in altri termini, creare nuovo valore e senso. Un altro ciclo di vita. […] L’architettura e la città si sono sempre riciclate”9.

8,9

Ibidem

Nella pagina accanto: 7. Mostra Re-cycle. Strategie per l’architettura, la città e il pianeta, Roma, Museo MAXXI, novembre 2011-febbraio 2012


7

109


3.2

Il concetto di ecologia

G. Devoto, G. C. Oli, Dizionario della lingua italiana, Dizionari le Monnier, Firenze 1971

10

M. Kaijima, J. Kuroda, Y. Tsukamoto, Made in Tokyo, Kajima Institute Publishing Co, Tokyo 2006

11

R. Bahnam, Los Angeles. The Architecture of Four Ecologies, University of California Press, London 1971

12

Nella pagina accanto: 8. Huntington Beach Pier 9. Smith house, West Los Angeles, 1955, Craig Ellwood, architect 10. The view south from Griffith Park 11. Freeway signs

*Ecologia:lo studio delle funzioni Ricorrendo all’ecologia come di relazione degli organismi con chiave di lettura della complessità dei fenomeni è dunque possil’ambiente e tra di loro bile riscoprire strato dopo strato *Ambiente: lo spazio circostante, alcune unità ambientali dense di l’insieme delle condizioni chimi- significato. Queste sono formaco-fisiche e biologiche che favo- te non solo dalle tradizionali categorie che appartengono alla riscono la vita degli esseri viventi. città consolidata ( edifici, isolati, *Organismo: struttura fisiologica strade, parchi ecc…), ma anche in quanto essenzialmente carat- dalle persone che abitano questi terizzata da una forma e da una luoghi, dai flussi di oggetti, dagli costruzione biochimica specifica, elementi del paesaggio e dalla e dalla facoltà di conservare la variabile del tempo che, come è emerso in precedenza, riveste un propria forma e riprodurla. ruolo centrale nella vita della città Le definizioni10 appena riporta- contemporanea. La città divente consentono di avviare alcune ta dunque un ecosistema in cui considerazioni preliminari sul tema quello che conta non è più il sindell’ecologia. Per prima cosa è golo oggetto concepito nella sua necessario spostare lo sguardo da autonomia e singolarità, quanto un atteggiamento passivo e for- piuttosto le relazioni tra le diverse temente critico rispetto al chaos parti e tra le parti e l’ambiente di che regola la città contempora- riferimento. nea, a una disposizione d’animo Nel 1971 Reyner Banham, critico che invece cerca di cogliere atti- d’arte e teorico dell’architettura vamente i modi del funzionamen- britannico, fu inviato a Los Angeto di tali realtà complesse. A tal les dalla BBC, per girare un docuproposito vengono qui riportate mentario sulla città. Inizialmente alcune osservazioni che sono sta- confuso e spiazzato dal chaos te avanzate su Tokyo, richiamata della metropoli californiana, Bahin questa sede in quanto “piitful nam comprese fin da subito che urban landscape”: una delle me- non era possibile descrivere la cittropoli più dinamiche e sregolate tà secondo il punto di vista dello del mondo. storico tradizionale. A LA il rap“Tokyo is interesting in its own way porto tra regola ed eccezioni era of functioning. It resembles the un- continuamente sovvertito e questructured forms of the rainforest, sto determinava l’impossibilità di within which there is in fact many elaborare una qualsiasi teoria fortypes of creatures co-existing, male con pretese di universalità. whilst each constructing their own Ma lo studioso inglese non si perse world. This is ecology which under- d’animo e cominciò a percorrere stands the creature itself in relation Los Angeles alla ricerca delle sue to its living environment”11. logiche di funzionamento.


3. DEFINIZIONE DEL MASTERPLAN. TERMINI E CONCETTI DI RIFERIMENTO

Lo studio che egli intraprese rivelava un tipo di lavoro sulla città che per la prima volta lasciava da parte l’indagine sui principali monumenti ed edifici storici e sulle diverse fasi della pianificazione urbana, ma che si concentrava sullo studio dell’architettura urbana come palinsesto della nuova metropoli globale. “Not incidentally, they also entirely redifined the architecture that scholars were used to studying, now embracing all forms if human structure from the freeway to the hotdog stand, and a plurality of forms of expression not simply confined to the aesthetic codes of architecture”12. Per alcuni aspetti si può vedere in questo lavoro anche un laboratorio di lettura e descrizione della cultura Pop americana di quell’epoca. L’intenzione non era quella di realizzare un “historical monograph”, termine ormai obsoleto secondo Bahnam, quanto piuttosto raccogliere le architetture polimorfe di LA in una “comprehensible unity” che trovava il suo posto nel loro contesto di riferimento: le quattro ecologie. Furono così individuati quattro sistemi a cui vennero attribuiti nomi rappresentativi delle loro identità principali. Surfurbia, il sistema della costa e delle spiagge in cui si riversa un popolo nomade che si allontana anche simbolicamente dai valori della società dei consumi; Foothills, la fascia di colline pedemontane caratterizzata da profonda riservatezza in cui si concentra la maggior parte del red-

dito medio di LA; The Plains of Id, la grande pianura dei servizi che sostiene il gravoso sviluppo della costa e delle colline; Autopia, luogo identificativo del sistema dei trasporti e delle superstrade, una sorta di utopia dissacrante della nuova metropoli globale. Con il lavoro di Bahnam fu possibile per la prima volta mettere in luce le diverse anime che stratificano la città contemporanea e che ne costituiscono il senso profondo. La ricerca sul post Expo riprende questo punto di vista e cerca di concepire le trasformazioni dell’ex sito espositivo attraverso uno sguardo ecologico: l’area Expo potrebbe così diventare una parte di città in cui i diversi elementi si contaminano e si sovrappongono tra loro ricomponendosi in una più generale unità intellegibile ( comprehensible unity). E’ ancora una volta la visione della città come teatro delle diverse spinte e della dialettica tra le sue diverse parti. Quella che si presenta per Milano è infatti un’occasione irrinunciabile: indipendentemente dalla funzione che verrà ospitata, l’area di Expo deve presentare sé stessa come un unità in grado di dialogare con le altre realtà alle diverse scale, urbana, metropolitana, nazionale e internazionale. Ma in questo caso unità non significa unità di vicinato, isolato o quartiere: Expo è stato costruito in uno dei tanti non luoghi della contemporaneità e, per questo motivo, non può che essere rifondato sul concetto di ecologia come file rouge dei diversi oggetti e dei diversi tes-

8

9

10

11

111


suti che si trovano riuniti insieme. Attraverso l’inserimento del parco agricolo il progetto ricerca un tessuto connettore che restituisca il senso del luogo e ricostruisca le relazioni tra i diversi frammenti di urbanità, placche industriali, servizi che si ritrovano attualmente sconnessi e separati tra loro. Dare in questo caso un nome identificativo a questa nuova unità ecologica sembrava presuntuoso e inefficace. Questo non significa però rinunciare a definire i caratteri e le identità principali per l’area in questione. Il ricorso al parco agricolo non è infatti dovuto esclusivamente alle sue modalità insediative e spaziali, ma anche alla ripresa di tutti quei temi che caratterizzano la struttura del paesaggio su cui si è sempre fondata la realtà urbana di Milano. Architettura degli spazi aperti, ritmo lento del paesaggio, fluidità, sospensione, ciclicità delle attività vengono qui richiamati come elementi principali e di unione tra il significato culturale e intrinseco del luogo e i temi di Expo 2015 in un ottica di rigenerazione dello spazio e legacy del post evento.

Nella pagina accanto: 12. Maps of LoS Angeles freeways and airports


12

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3.3

Resilienza e trasformazione: Adaptable City

D. Rebois, THEME EUROPAN 12. ADAPTABLE CITY, Europan, Francia 2011

13

Nella pagina accanto: 13. Europan 12, menzione, Team reference Francisco Pomares Pamplona, Rouen on the Move

La città contemporanea ha visto negli ultimi anni un progressivo aumento della velocità con la quale si susseguono le trasformazioni. Anche il ritmo della vita quotidiana si è fatto via via sempre più veloce e la città ha cominciato a crescere sempre di più sfuggendo ai tradizionali metodi di pianificazione. Questo accrescimento incontrollato risulta però oggi del tutto insostenibile e si fa sempre più urgente una riflessione che modifichi profondamente i paradigmi su cui strutturare una nuova idea di urbanità. Tali cambiamenti devono riguardare tanto la morfologia, intesa come lo sviluppo formale, quanto il metabolismo, e cioè l’apporto e l’utilizzo di energia in una visione di impatto ambientale e impronta ecologica. “The emphasis is on reflecting the rhythms and life cycles of urban spaces so that they can adapt to change, without losing their identity, can slow down and speed up, adjust to cycles and transformations in the context of an uncertain future. So it is about anticipating the inevitable impacts of change, allowing a plurality of uses, but also being capable of making creative use of what already exists. And therefore adjusting to what is already there while developing visions of the possible that take account of both permanence and variation”13. Il tema dell’adattabilità entra così nell’ambito della progettazione: una città adattabile è una città che lavora senza rompersi, capace di alternare fasi di sviluppo

a fasi di decrescita nello spazio e nel tempo. In questo senso emerge anche un’altra parola chiave: resilienza. Quest’ultima esprime un concetto ripreso dalla scienza dei materiali e viene definita come la capacità di assorbire un urto senza rompersi. Si tratta dunque di mettere in atto uno scenario adatto alle trasformazioni in cui alla legacy vengano associate l’invenzione, cioè l’innovazione delle configurazioni spaziali parallela alla ridefinizione degli usi, e la reversibilità, concepita come sviluppo nel tempo. Il progetto per il post Expo riflette su questi termini cercando di attribuire all’area una struttura non rigida e aperta alle trasformazioni future. Il parco agricolo si presta infatti a diversi scenari di sviluppo ed è in grado di modificare facilmente la sua morfologia pur senza rinunciare ai significati e all’identità che lo caratterizzano. Lo stadio poi, visto come elemento polarizzante, diviene in quest’ottica il punto di riferimento dello spazio nel corso della trasformazione facendosi promotore di una più generale idea di urbanità.


3. DEFINIZIONE DEL MASTERPLAN. TERMINI E CONCETTI DI RIFERIMENTO

13

115


3.4

Sostenibilità e decrescita

“La arquitectura contemporeanea se encuentra con la necesidad de construir sobre el aire, de construir en el vacio. Las propuestas del arte contemporaneo se deberan construir no a partir de una referencia inamovible, sino con la necesidad de proponer para cada paso, simultaneamente el objeto y su fundamento”14.

I. de Solà-Morales, Diferencias. Topografia de la arquitectura contemporanea, Editorial Gustavo Gili, Barcellona 1995

14

S. Latouche, Come sopravvivere allo sviluppo, Bollati Boringhieri editore, Torino 2005

15

16

Ibidem

Nella pagina accanto: 14. Copertina del libro Come sopravvivere allo sviluppo sopra cit.

Attraverso queste parole, Solà-Morales riassume la sua idea di fondo riguardo all’architettura contemporanea. L’architettura è oggi un’esperienza complessa e pluriforme che non è più possibile leggere in modo lineare. Nel mondo Classico, era possibile parlare di una certa universalità del pensiero che aveva portato tanto la filosofia, quanto l’arte alla formazione di sistemi unitari. Questa idea di unità è però oggi caduta: “Dio è morto” afferma senza esitare Nietzsche, per chiarire al mondo che è finita l’era dei grandi sistemi universali e che è invece urgente l’esigenza di un “fondamento senza fondamento”. Il Movimento moderno, continua l’architetto catalano, non aveva fatto altro che diffondere una grande Illusione quando aveva cercato di ristabilire un ordine generale basato sulla razionalità come principio regolatore. Niente di più errato, come dimostra la crisi che il Movimento moderno ha subito: l’architettura oggi non può che configurarsi come un pensiero debole, una ontologia debole che si ricostruisca sul territorio in modo meno assertivo e pretenzio-

so rispetto alle esperienze precedenti. Parlare di architettura debole rimanda inevitabilmente a una corrente di pensiero che promuove un intervento meno invasivo e più calibrato sulla realtà. Se in passato si era sempre inseguito il mito del progresso per promuovere lo sviluppo dell’umanità, oggi prende piede una concezione che si basa al contrario sull’idea di decrescita e sviluppo sostenibile. Il concetto di sviluppo è in realtà un concetto impostore, come spiega Serge Latouche15 , che si fonda su alcuni paradossi. Il primo è quello dell’accumulazione, dove se l’idea è quella che è più conveniente per il benessere di tutti aumentare le risorse, è però appurato che l’accumulazione non è possibile senza una grande disuguaglianza. E allo stesso modo il paradosso della crescita, il paradosso della creazione dei bisogni e molti altri ancora. “E’ arrivato il momento di smascherare l’ipocrisia dello sviluppismo. […] Come dice Vandana Shiva, sotto la maschera della crescita si dissimula in realtà la creazione della penuria”16. Su queste considerazioni si fonda l’idea della decrescita: il carattere limitato delle risorse richiama nuovamente l’attenzione su come gestire il patrimonio esistente e limitare l’impatto sull’ambiente. In questo è bene sottolineare che la decrescita non implica un ritorno al passato o una diminuzione del benessere, ma che veicola invece un punto di vista secondo cui


3. DEFINIZIONE DEL MASTERPLAN. TERMINI E CONCETTI DI RIFERIMENTO

“di più” non significa “meglio”. Il progetto per il post Expo ragiona su queste tematiche cercando di riflettere attentamente sulle preesistenze del sito e sul loro recupero e riattivazione. Questo atteggiamento che consiste più nel ridefinire le logiche tra gli oggetti presenti piuttosto che nell’introduzione di nuovi elementi aspira a contrastare l’impatto negativo dal punto di vista della sostenibilità riferito alla costruzione dello stadio. E tuttavia, anche le scelte operate nella definizione dello stadio cercano di limitare i diversi elementi ai soli aspetti fondamentali: nello stadio manca ad esempio l’involucro, accantonato in favore di una più concreta corrispondenza tra forma e struttura. Anche la scelta delle soluzioni tecnologiche è stata condotta nell’ottica di un limitato dispendio di energia attraverso il ricorso alla prefabbricazione e successivo assemblaggio in cantiere. Da ultimo l’attenzione a materiali sostenibili, come ad esempio il cemento fotocatalitico della gradinata superiore. Una sorta di strategia di compensazione dunque che si muove nell’ottica di uno sviluppo almeno in parte più sostenibile.

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3.5

Legacy e identità di Expo 2015

Nella pagina accanto: 15. Legacy | Resilienza | Identità per il progetto del post evento Manufatti mantenuti nel nuovo Masterplan, 16. Passerella PEF 17. Padiglione Zero 18. Expo Center 19. Cascina Triulza 20. Palazzo Italia 21. Albero della vita

A fronte delle considerazioni sopra esposte il progetto non può che partire dai lasciti di Expo in un’ottica di legacy e di riuso dell’area. Questo atteggiamento cerca di desumere dall’esperienza dell’Esposizione Universale quelli che sono i suoi aspetti fondamentali in termini di identità e significato. Per questo motivo la scelta è quella di mantenere tutti quegli edifici ad alto significato simbolico che saranno presenti nell’area alla riapertura del sito dopo la fase di smaltimento dei padiglioni nazionali. Il padiglione zero continuerà a rappresentare un punto di riferimento importante anche nella fase del post evento; come lui anche Expo Center, con i suoi 129 000 mc di spazi dedicati a spettacoli e conferenze, Palazzo Italia, principale eredità simbolica in cui viene mantenuta l’idea di una piazza aperta dedicata alla ricerca sui temi dell’energia e dell’alimentazione, e da ultimo la cascina Triulza, che resterà in eredità alla città come avamposto di cooperazione per associazioni e organizzazioni non governative. Verrà poi mantenuta anche la Lake Arena insieme all’Albero della Vita e tutto il sistema paesaggistico di Expo, comprendente l’anello verde periferico, le 100 000 specie arboree e vegetali piantate, i canali d’acqua e le vasche di fitodepurazione. Il recupero degli elementi paesaggistici viene qui concepito in una logica di integrazione con il nuovo spazio aperto del parco agricolo, nel tentati-

vo di realizzare una nuova sinergia che si fonda sul riuso dell’esistente attraverso la messa a sistema con il nuovo. Al di là delle eredità fisiche di Expo, il progetto riflette inoltre sulle eredità immateriali dei temi della manifestazione. L’area nel suo complesso vedrà infatti un progressivo riavvicinamento con il territorio circostante e il rilancio del paesaggio antropico della pianura come punto di riferimento spaziale e culturale per le nuove formazioni. Da ultimo il tentativo di mantenere viva l’energia che Expo ha saputo raccogliere durante i sei mesi della manifestazione: è così che legacy si unisce a innovazione nel tentativo di estrapolare un’idea di futuro per questa parte di città e per Milano in generale.


3. DEFINIZIONE DEL MASTERPLAN. TERMINI E CONCETTI DI RIFERIMENTO

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3.6

L’idea del parco agricolo

Nella pagina accanto: 22. Caratteristiche del Parco agricolo e coltivazioni scelte 23. Scenario di trasformazione

L’introduzione del parco si pone l’obiettivo di applicare all’area un tessuto connettivo e resiliente che sia in grado di accogliere le trasformazioni future senza particolari sconvolgimenti identitari e morfologici. E’ l’idea di un grande vuoto denso di spazio e di significati che si ponga come principio ordinatore delle diverse realtà che si affacciano in modo confuso sull’area Expo. La scelta del parco richiama poi i temi della costruzione del paesaggio tipici della Pianura e di Milano in generale. A questo proposito è bene sottolineare che il ruolo del parco è in un certo senso culturale: non vi è qui nessuna pretesa di ricreare un contesto agricolo produttivo come era prima della trasformazione dell’area in sito espositivo. Questa soluzione si mostrerebbe infatti inefficace come facilmente deducibile dalla condizione di degrado e semiabbandono in cui giacevano i terreni prima di essere convertiti. Del resto rimane pur sempre un luogo circondato da infrastrutture che non avrebbe la possibilità di essere reinserito in un vero e proprio circuito produttivo. Il parco viene concepito dunque secondo un’idea che era già presente nel Concept Masterplan della Consulta di architetti, esaltandone il ruolo paesaggistico e tematico che permetterebbe una ricucitura effettiva con il contesto agricolo circostante. Una sorta di grande vetrina sull’agricoltura nel quale è possibile toccare con mano i prodotti della terra e riflettere su nuovi scenari di produzione

e consumo di suolo. Per quanto riguarda la struttura dello spazio, il parco è immaginato come un sistema semplice che desume le sue misure dal paesaggio della pianura circostante. Viene elaborata una maglia di lotti ortogonali attraversata dai percorsi dedicati alla mobilità dolce. Considerata l’estensione notevole del parco, sono state introdotte quattro principali aree attrezzate che condensano i servizi a supporto dei diversi percorsi pedonali e ciclabili. Riguardo alle colture scelte, viene ripresa la ripartizione tradizionale tipica del territorio milanese con una prevalenza di cereali ( 45 %), riso ( 22%) e floricultura ( 33 %). Da ultimo viene sottolineata la semplicità della gestione del parco agricolo rispetto a un parco urbano, con un notevole abbattimento dei costi di manutenzione.


3. DEFINIZIONE DEL MASTERPLAN. TERMINI E CONCETTI DI RIFERIMENTO

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3.7

Mixitè come strategia insediativa

Nell’elaborazione della proposta insediativa la scelta è stata quella di richiamare il concetto di mixitè come elemento di riferimento per la costruzione del programma funzionale. L’idea è quella di evitare il pericolo di chiusura e autoreferenzialità che un ambito monofunzionale di questa estensione avrebbe sicuramente introdotto. La proposta prevede dunque diverse categorie d’uso dello spazio accostate tra di loro secondo una sequenza fluida che accoglie il visitatore e lo guida all’interno dell’area. A una iniziale zona dedicata a funzioni di accoglienza, si sussegue un’area di ricerca sui temi dell’alimentazione e dell’energia che sfrutta il parco come campo di indagine privilegiato. Da qui si giunge a cascina Triulza, elemento che cambia il ritmo dell’esperienza fisica dello spazio introducendo una scala più minuta. Seguono poi spazi pensati per le start up e incubatori di impresa che riprendono, per quanto possibile, il sedime dei padiglioni. Il Palazzo Italia e il retrostante Albero della Vita segnano il punto di approdo principale del visitatore e lo introducono a un’area in cui alla funzione di piazza e luogo di incontro si unisce quella del leisure e degli spazi aperti attrezzati. E’ questa l’area dello Stadio, luogo più iconico e rappresentativo del progetto. Nella pagina accanto: 24. Aree tematiche e funzionali della nuova proposta insediativa

La compresenza di usi e funzioni diverse all’interno dell’area è pensata nel tentativo di ricreare un dinamismo di fondo in cui possano

avere luogo molteplici esperienze proprio in virtù dell’incontro tra categorie di utenti anche molto distanti tra loro. Ricercatori, esponenti del mondo cooperativo, professionisti vari, famiglie, tifosi di calcio e amanti delle passeggiate a cavallo si trovano raccolti in un condensatore spaziale e funzionale ad alte prestazioni. Area Expo come luogo di incontro e sperimentazione.


3. DEFINIZIONE DEL MASTERPLAN. TERMINI E CONCETTI DI RIFERIMENTO

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3.8, 3.9

Sul principio di attrattività Infrastruttura e accessibilità

Stadio come oggetto polarizzante strade ( A4, A8), l’alta velocità, il passante ferroviario e una linea L’esperienza di Expo è stata senza della metropolitana. Trascurare dubbio molto significativa da un l’alto potenziale derivante dalle punto di vista della partecipazio- infrastrutture sarebbe un grande ne. La sapiente gestione dell’e- errore. Il progetto riflette su queste vento ha dimostrato come sia tematiche operando nella direziopossibile mobilitare grandi masse ne di un ulteriore potenziamento di persone attraverso un generale delle infrastrutture prevedendo e superiore principio di attrattività. la costruzione di due nuove pasIl progetto riflette sulle strategie serelle pedonali di collegamento per mantenere alto il ruolo attrat- tra l’area e i contesti urbani contivo dell’area attraverso il ricorso finanti. E’ inoltre ipotizzata la reaa un grande oggetto polarizzan- lizzazione di una nuova fermata te: lo stadio. A questo proposito del passante ferroviario nella zona lo stadio è concepito come un prossima allo stadio per garantire elemento che si afferma in modo un’ulteriore collegamento con la chiaro e preciso all’interno dell’ex città. All’interno dell’ex sito esposito espositivo e che funge da sitivo sono presenti anche diversi punto di riferimento principale per parcheggi e punti di deflusso per l’area. Questo meccanismo è do- il traffico veicolare. Una navetta vuto all’elevato grado di chiarez- percorre infine il perimetro dell’aza di questo manufatto in termini rea agevolando gli spostamenti di riconoscibilità spaziale, funzio- locali. Da ultimo viene immaginanale ed estetica che lo rendono ta una linea di tramvia leggera, facilmente distinguibile dagli altri mezzo di collegamento diretto tra elementi del contesto. lo stadio e l’uscita della metropoliAttraverso lo stadio è poi possibi- tana di Rho Fiera. le effettuare il necessario salto di scala per rilanciare l’area come nuova centralità nel contesto metropolitano. In quest’ottica lo stadio si afferma come catalizzatore della trasformazione permettendo un efficace e rapido riutilizzo dell’area. Il ruolo dell’infrastruttura Nella pagina accanto: 25. Nuove polarità 26. Accessi e sistema dei trasporti

Come detto in precedenza, l’area Expo è oggi una dei luoghi più infrastrutturati di Milano e probabilmente dell’intero nord Italia: nell’area confluiscono due auto-


3. DEFINIZIONE DEL MASTERPLAN. TERMINI E CONCETTI DI RIFERIMENTO

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CAPITOLO III

Lo stadio contemporaneo


Indice 1. Lo stadio come luogo di aggregazione 1.1 Sport: evoluzione e significato 1.2 Evoluzione dello stadio

2. Uno stadio nel post expo

5. Le caratteristiche dello stadio 5.1 Lo stadio nel masterplan 5.2 Le misure dello stadio 5.3 Controlli di sicurezza, emergenza 5.4 Gli spazi e gli usi dello stadio 5.5 Gli utenti

2.1 Un’occasione da cogliere 2.2 Perché uno stadio

3. Bigness e scale di progetto 3.1 Bigness 3.2 La grandezza come tema di architettura

4. Gli elementi fondamentali 4.1 Rapporto interno-esterno. Integrazione e natura 4.2 La permeabilità dell’edificio e l’assenza dell’invo- lucro 4.3 Architettura e scultura. La cavea del secondo anello 4.4 Un’idea di orizzontalità. La leggerezza della copertura 4.5 I materiali del progetto

Bibliografia - R. Mandell, Storia culturale dello sport, Laterza edi- - G. John, R. Sheard, B. Vickery, Stadia, the populous tore, Bari - Roma 1989. design and development guide, Elsevier Limited, Oxon 1994. - S. Facchini, I luoghi dello sport nella Roma antica e moderna, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1990. - F. Dunne, Divisiones de Competiciones, de Comunicacione, de Relaciones Pùblicas y de Mercadotec- M. Bianchi, E. Martera, P. Setti, Progetti per lo sport, nia de la FIFA, Estadios de Fùtbol, Bruhin AG, Suiza Alinea Editore, Firenze 1991. 2011. - S. Sermissoni, San Siro storia di uno stadio, Electa Edi- - R. Sheard, Sports Architecture, Taylor & Francis, Lonzioni, Milano 1989. don 2000. - R. Koolhaas, B. Mau, S, M, L, XL, Jennifer Sigler, Rot- -S. Rotondi, La transizione tra interno ed esterno terdam 1995. nell’architettura contemporanea, Gangemi editore, Roma 2010. - R. Koolhaas, Junkspace, Quodlibet, Macerata 2006. -A. de Botton, Architettura e felicità, Guanda Edito- E. Faroldi, P. Chierici, D. Allegri, M.P. Vettori, Proget- re, Parma 2006. tare uno stadio, Maggiolini Editore, Milano 2008. - S. Nixdorf, Stadium Atlas, Technical Recommendations fot Grandstands in Modern Stadia, Ernst & Sohn, Berlino 2008.


1. LO STADIO COME LUOGO DI AGGREGAZIONE 1.1 Sport: evoluzione e significato 1.2 Evoluzione dello stadio


1.1

Sport: evoluzione e significato

R. Mandell, Storia culturale dello sport, Laterza editore, 1989 Ibidem

1

2, 3

Nella pagina accanto: 1. Discobolo, Mirone, 455 a.C. 2. Torneo di re Manfredi, Michele De Napoli, Olio su tela 3. Primi giochi Olimpici Moderni, Atene, 1896 4. Cerimonia di apertura dei giochi Olimpici, Atene, 2004

“Molti filosofi e pensatori, sono convinti che lo sport, il gioco e l’attività fisica, in generale, siano, per così dire, nati con l’uomo; sono sempre esisti, anche se la loro importanza è cambiata nel corso della storia. [...] Inoltre, molti studiosi dello sport, ritengono che le manifestazioni atletiche originassero dalle cerimonie funebri, per far sì che l’animo del defunto si placasse e non portasse sventure ai vivi.”1 Nell’Antica Grecia, le Olimpiadi erano la più importante celebrazione religiosa che veniva fatta, infatti, non erano semplici manifestazioni sportive ma erano corredate di tutta una serie di riti e sacrifici alle divinità. Per di più, durante questi eventi tutto il popolo greco era in pace, ogni guerra veniva interrotta e veniva indetta la così chiamata “Sacra tregua olimpica“2, in cui ogni cittadino godeva della completa protezione di Zeus. Gli atleti, d’altro canto, con il loro talento e fisico scultoreo agivano quasi in un’atmosfera di sacralità e spesso gli veniva conferito lo status di semi-dio. In Grecia, fino all’arrivo dei barbari, nel III sec, i ginnasi e le palestre assunsero un’importanza centrale nella vita di tutti i giorni di ogni cittadino, contribuendo alla costruzione di una solida cultura dello sport. Questa si diffuse enormemente in Italia e in tutto l’impero di Alessandro Magno, il cui mentore fu Aristotele. Le invasioni barbariche portarono alla distruzione di tutti i siti pagani e quindi, di riflesso, alla scomparsa

delle manifestazioni sportive. Tuttavia continuano ad essere praticate le corse con le bighe trainate da cavalli, che, successivamente, nel Medioevo verranno trasformate in veri e propri tornei, le giostre. Nel Medioevo si pensava che questi eventi sportivi, più legati alla classe aristocratica, fossero un modo per mantenere in allenamento i cavalieri e non una manifestazione religiosa o ludica. Le giostre si diffondono in tutta Europa, lo sport è cosmopolita e aristocratico; lo sport non aristocratico era quello che si esprimeva nelle piazze e nelle corti con feste annuali e tradizioni locali. Con il Rinascimento si guarda allo sport in modo diverso, lo si studia in modo approfondito, per renderlo un mezzo di civilizzazione e propaganda ideologica. Nasce un concetto di “uomo nuovo completo”3, si studiano nuovi metodi educativi basati sui principi di Platone. Nel 1700 Jean-Jacques Rousseau, rielabora questi concetti nel suo libro “Émile“ in cui propone un’educazione naturale che si basi sulla corretta formazione della morale dell’individuo, al fine di renderlo capace di rapportarsi correttamente con la comunità. Queste ideologie furono condannate in Francia, ma nella vicina Germania attecchirono in fretta. Qui, infatti, lo sport torna ad essere visto con un elemento importante nella formazione dell’individuo e ben presto si vedrà la nascita di numerosi club sportivi sia negli am-


1. LO STADIO COME LUOGO DI AGGREGAZIONE

bienti dei lavoratori sia tra le classi nale, gli esercizi, ma soprattutto lo sociali più elevate, diventando, sport è l’atleta e lo spettatore, lo spesso strumento di propaganda sport è coinvolgimento di massa. ideologica e politica. Con la Rivoluzione industriale e lo sviluppo tecnologico, nascono 1 nuove tipologie di sport, vengono realizzate nuove attrezzature e fioriscono nuove attività professionali. La diffusione dello sport è ormai irrefrenabile e la domanda di eventi e manifestazioni sportive per le masse è sempre maggiore. Alla fine del 1800 rinasce l’interesse per le Olimpiadi e grazie al Barone Pierre de Coubertin, nel 1896, ad Atene, verranno organizzate le prime Olimpiadi moderne. Con il passare degli anni, verranno coinvolte le donne, i neri e sempre più Nazioni vi parteciperanno, diventando così un fenomeno di aggregazione mondiale. Gli atleti vincitori venivano considerati degli eroi nazionali, degli esempi da seguire e il pubblico, sempre maggiore, si riuniva in loro 4 sostegno sia durante gli allenamenti che durante le gare. Lo sport moderno incoraggia il principio del successo democratico e della meritocrazia, viene visto come fattore di progresso, arricchimento ed ispirazione per la società moderna. Come accadeva nell’Antica Grecia, così oggi, lo sport è un momento di spettacolo ma anche di unione, aggregazione tra le persone di ogni ceto sociale; oggi lo sport ha molte sfaccettature, ci sono le gare individuali, in gruppo, l’attività fisica per piacere perso-

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1.2

Evoluzione dello stadio

Gli impianti sportivi, nel corso della storia hanno subìto molte trasformazioni ed hanno avuto ruoli e importanze molto diverse; ora cercheremo di vedere come si sono evoluti e che scelte è possibile prendere per costruire correttamente un impianto sportivo oggi.

Nella pagina accanto: 5. Stadio Panatenaico, Atene, 560 a.C. 6. Colosseo, Roma, 70 d.C. 7. Olympiastadion München, G. Behnisch, F. Otto, C. Weber, H. Peltz, Monaco di Baviera, 1972 8. Emirates Stadium, HOK Sport, Londra, 2006

I primi prototipi di impianti sportivi nascono in Grecia intorno all’VIII secolo a.C. , qui venivano disputate gare sportive e Olimpiadi. Gli stadi greci avevano una tipica forma ad U, con le gradinate disposte su tutti e tre i lati, spesso erano scavati nel terreno così da avere delle gradinate naturali. Il primo stadio ad Atene fu eretto nel 331 a.C. e aveva una capienza di 45.000 - 50.000 posti a sedere. Lo stesso schema tipologico veniva usato per gli ippodromi, in cui venivano disputate gare con i cavalli. Per i Greci lo sport era una prassi fondamentale nella vita quotidiana, per questo gli impianti ad esso dedicati venivamo sempre eretti all’interno della città, ne erano una parte integrante. I Romani, popolo più militarizzato, invece, erano maggiormente interessati ai combattimenti tra uomini e a far si che fossero visti dal maggior numero di persone possibile. A tal fine misero a punto un impianto ellittico, l’anfiteatro, ripreso dal teatro greco, che consentiva di avere un pubblico maggiore, perchè disposto lungo tutto il perimetro e una buona visuale per tutti. Il primo grandioso esempio di anfiteatro a Roma, è stato il Colosseo, rimasto insuperato per

architettura e comfort per secoli. Ci vollero 12 anni per costruirlo, dal 70 d.C. all’82 d.C. , aveva una capienza di 48.000 posti, disposti su 4 anelli e un velarium di protezione dagli agenti atmosferici. Un altro tipo di impianto tipologico venne definito dai romani, partendo dallo schema dell’ippodromo greco, e fu quello del circo. Il Circo Massimo a Roma ne è una rappresentazione, aveva dimensioni maestose 660m di lunghezza per 210 di larghezza posizionato nel cuore della città. Nei secoli successivi lo sport, e quindi gli stadi non ebbero più un ruolo così importante, nessun impianto sportivo rilevante fu costruito per 15 secoli, anzi spesso accadeva che quelli esistenti venivano o demoliti o abbandonati o riconvertiti in abitazioni o mercati. Nel Medioevo e nel Rinascimento i luoghi delle attività sportive e dello spettacolo in generale, diventano le piazze, le corti, le vie della città. La nascita delle monarchie segna un ritrovato, seppur minimo, interesse nei confronti delle attività ludiche e sportive, sebbene fosse appannaggio di un’élite. Solo con la Rivoluzione Industriale si avrà una forte domanda di eventi, spettacoli per le masse. È in questo clima che ci sarà un forte sviluppo nell’architettura degli impianti sportivi, soprattutto merito delle nuove scoperte tecnologiche. Inoltre, la nascita delle Olimpiadi moderne porterà notevole attenzione sugli impianti sportivi, sul loro design, sul comfort, per


1. LO STADIO COME LUOGO DI AGGREGAZIONE

questo molti degli edifici esistenti verranno rimodernati e migliorati sotto diversi aspetti. Secondo una classifica stilata da Rod Sheard, esperto progettista di impianti sportivi, è possibile individuare cinque generazioni di stadi in Italia e nel resto dell’Europa: - la prima generazione di stadi si sviluppa a cavallo tra le due guerre mondiali ed ha un carattere fortemente monumentale e celebrativo, viene adottato uno schema tipologico ellittico - anulare, prevale l’uso del cemento armato ed i progetti sono frutto di pura ingegneria e perciò di funzionalità. - la seconda generazione ha un carattere più sperimentale, si apre con la realizzazione dello stadio Olimpico di Roma e con il progetto della copertura dello stadio di Monaco di Baviera ad opera di Otto Frei; si inizia a vedere gli impianti non solo come contenitori ma come luoghi in cui deve essere piacevole vivere, si inizia a pensare a coperture parziali o totali degli stadi. - con gli anni ‘90 si apre la terza generazione di stadi, ovvero luoghi progettati per soddisfare i bisogni e le esigenze delle famiglie tradizionali, in cui l’uomo può recarsi allo stadio per assistere alla partita, lasciando i propri figli in aree pensate apposta per loro, mentre la moglie può fare shopping negli esercizi commerciali presenti nell’edificio. Lo sport non rappresenta l’unico income di queste strutture. - La quarta generazione è quella degli “stadi di proprietà”. Essi,

grazie ad un design accattivante e ad espedienti tecnologici all’avanguardia, rappresentano vere e proprie opere architettoniche, luoghi d’interesse, meta di flussi turistici. Lo stadio diventa un investimento per il club proprietario, un bene immobile che permette alla società di godere dei proventi da esso originati come ad esempio, la vendita dei biglietti per le manifestazioni sportive, l’affitto di spazi a società terze, la possibilità di ospitare eventi culturali come concerti o fiere. Questo permette ovviamente un costante afflusso di denaro nelle casse delle squadre, un’elevata vivibilità dell’impianto durante la maggior parte dell’anno e delle buone ricadute occupazionali. - la quinta generazione vede gli stadi come catalizzatori della crescita strategica delle città, delle vere e proprie icone della nostra cultura e delle nostre aspirazioni. Lo stadio, quindi, da luogo “contenitore monofunzionale” e teatro di innumerevoli episodi di guerriglia urbana, si è trasformato in luogo di aggregazione sociale nonché in uno strumento di rigenerazione urbana. L’ultima frontiera è l’utilizzo dell’impianto sportivo come elemento di ricucitura sociale e urbana. Sulla scia di questa quinta generazione si inserisce il nostro progetto di stadio: un ambiente polifunzionale, catalizzatore sociale, un grande oggetto per riconnettere i tessuti sfrangiati della città e per dare un nuovo impulso all’ex sito di Expo.

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6

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2. UNO STADIO PER IL POST - EXPO 2.1 Un’occasione da cogliere 2.2 Perchè uno stadio


2.1

Un’occasione da cogliere

Nella pagina accanto: 1. Immagine di repertorio di Expo 2015 2. Rimozione degli alberi del padiglione austriaco, novembre 2015 3. Smantellamento del padiglione spagnolo, novembre 2015

Le esposizioni universali così come le Olimpiadi o i Mondiali di calcio sono occasioni di sviluppo per le città che le ospitano, sono propulsori di nuove sinergie, nuove relazioni, nuove connessioni. Questo è stata Expo 2015 per Milano; tuttavia una volta chiusi i cancelli dell’esposizione non ci si può dimenticare di ciò che è stato fatto, ma anzi, lo si deve sfruttare per continuare su quella scia di trasformazioni e fare del proprio meglio per portare la città al passo con i tempi. In questa logica è bene sottolineare come l’area di Expo sia strategica sotto molti punti di vista e per questo non sfruttare le potenzialità che ha, sarebbe davvero un peccato per Milano e per la popolazione stessa. In occasione dell’evento internazionale è stata potenziata la rete infrastrutturale, soprattutto svincoli autostradali e strade secondarie di connessione alla reta urbana, la rete ferroviaria, con l’introduzione della fermata, presso la stazione di Rho, dell’alta velocità, sono state realizzate due passerelle ciclopedonali di collegamento tra il sito espositivo e l’area di Rho e quella di Cascina Merlata. Inoltre, nell’area è stata realizzata una piattaforma tecnologica contenente tutte le opere di urbanizzazione necessarie ai vari padiglioni durante l’esposizione. Questi elementi di sviluppo, non possono essere semplicemente abbandonati, devono essere sfruttati per creare qualcosa di nuovo che arricchisca ancora di

più l’area e Milano stessa. È anche un’occasione irripetibile di rilancio del sistema urbano del Sempione che costituisce uno degli assi portanti dell’area metropolitana milanese, e di tutte quelle frange di urbanità, fino ad oggi rimaste ai confini della città e mai inserite davvero nel sistema urbano. Identità come Baranzate, Pero, Rho sarebbero definitivamente un tutt’uno con il sistema milanese, sia a livello di connessioni che territoriale. Per Milano e l’Italia tutta, l’Expo 2015 è stata un grandissimo successo, i numeri parlano chiaro, l’Italia ha vinto la sua sfida agli occhi del mondo e ci è riuscita in grande stile, inoltre, il tema scelto per l’esposizione è stato fondamentale e decisamente attuale nelle sue problematiche, per questi motivi il futuro che attende l’area deve avere lo stesso respiro e interesse internazionale. Sin dall’inizio sono stati molti i progetti presentati per il post - Expo e tutti di alto livello: da un grande polo tecnologico e di ricerca, ad una cittadella del gusto, dal trasferimento dell’Università Statale di Milano alla città dello sport. Ed è proprio qui, vista la costante richiesta di sport e la necessità di spazi ed edifici appropriati, che si inserisce il nostro progetto. Un grande catalizzatore sociale, un edificio polifunzionale e non il classico stadio all’italiana, ovvero lo stadio fatiscente ed esclusivamente contenitore di tifosi, un’area corredata da tutta una serie


2. UNO STADIO PER IL POST - EXPO

di strutture sportive in grado di dare a Milano quel respiro internazionale tanto cercato, ma, allo stesso tempo, tutti i giorni, fornire dei servizi al cittadino di alto livello. Si potrebbe ipotizzare che l’area, con i nuovi impianti sportivi, possa candidarsi alle Olimpiadi del 2024, o alle para olimpiadi, e, allo stesso modo, ospitare gli eventi internazionali legati al mondo del calcio. In questo quadro generale, gli elementi sono chiari: Una grande area a disposizione, ben infrastrutturata sotto il punto di vista tecnologico e delle connessioni, un luogo con una legacy importante sia a livello architettonico che di fama, infatti è universalmente conosciuto e riconosciuto. Questi elementi devono essere la base per un grande progetto, un’occasione che Milano non può perdere.

1

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2.2

Perchè uno stadio

E. Chiapasco, “La funzione socio - educativa dello sport“, tratto da http://www. psicopedagogika.it/view.asp?id=599, 2012

1

N. Porro, definizione della concetto di sport, Enciclopedia Treccani

2

E. Turcato, “Addio stadio, in Italia il calo degli spettatori continua”,tratto da http://www. wired.it/economia/business/2015/01/05/ stadi-italiani-deserti-spettatori-in-calo-continuo/, 2015

3

Nella pagina accanto: 4. Vittoria dell’Italia alla finale dei Mondiali di calcio, Berlino, 2006 5. Evento “Sensation into the wild“ presso l’Amsterdam Arena

Il tema delle grandi attrezzature sportive è uno degli strumenti, spesso utilizzato, per intervenire in aree urbane marginali, escluse della città, affinché ritrovino dei ruoli e significati in grado di reinserirle nel più complesso sistema della città. Lo sport, per definizione, è quella pratica che “unisce i cittadini del mondo, indipendentemente dalla loro età e dalla loro origine sociale; […] rappresenta dei valori (parità di opportunità, solidarietà) e fornisce un contributo decisivo all’educazione ed alla formazione dei giovani, nonché alla vita democratica e sociale […] . Lo sport è educativo e va percepito come risorsa nella lotta alla devianza giovanile o al recupero dalla marginalità. […] le attività sportive devono pertanto trovare un loro posto nel sistema educativo di ogni Stato”1; con queste parole lo psicologo e psicoterapeuta Eddy Chiapasco, fornisce una chiara ed esplicita definizione di cosa dovrebbe essere lo sport e di che valore sociale e culturale si rendere portatore. “Pochi fenomeni contemporanei sono così “ingombranti” come lo sport. Spettacolo principe delle società di massa - come confermano la sua centralità nell’intrattenimento televisivo e la sua rilevanza commerciale -, lo sport è insieme manifestazione espressiva, stile di vita, modello di comportamento, veicolo comunicativo, ideologia, passione popolare, tecnologia, nonché chiacchiera quotidiana. [...] Un fatto sociale

totale, capace di mettere in luce la trama sotterranea che regola le relazioni collettive. In altre parole, un vero e completo sistema sociale.”2 Queste le parole con cui il giornalista Nicola Porro definisce, lo sport. Sembra chiaro come l’importanza dell’attività sportiva sia centrale nella quotidianità e nell’educazione di ognuno di noi. Ma ora chiediamoci, perchè uno stadio, che impatto può avere oggi ? Lo stadio è di per sé un grande oggetto che può svolgere il ruolo di catalizzatore sociale e di promotore di trasformazioni e di nuovi significati. È un oggetto dalle grandi potenzialità, un luogo di aggregazione, un centro polifunzionale di servizi, un motore economico, soprattutto se consideriamo gli stadi di nuova generazione e di impronta più europea. In Italia, infatti, il recarsi allo stadio per vedere la partita di calcio è sempre stato quasi un rito, da non poter dissacrare con distrazioni inutili; un luogo in cui ci si recava in tempi limitati e prestabiliti, e il tipo di utenti era decisamente ristretto. Questo però, ha portato alla realizzazione di strutture meramente funzionali negli anni passati, dotate dei minimi comfort e servizi, nelle quali oggi non si investe più visto il basso potenziale di rientro economico. Oggi si può osservare un drastico calo della presenza dei tifosi negli stadi, proprio a causa delle strutture fatiscenti e prive di comfort. Tuttavia, l’unico caso positivo, è quello della squadra della Juven-


2. UNO STADIO PER IL POST - EXPO

tus; di recente, infatti, ha realizzato uno stadio di proprietà che ad ogni partita riesce quasi a fare il tutto esaurito, ha una media di spettatori pari a 38.475, 16.000 in più da quando è stato costruito lo stadio3. È evidente come gli italiani abbiano voglia di tornare allo stadio, ma in uno stadio nuovo, con i comfort appropriati, aperto ad un pubblico eterogeneo e che renda piacevole trascorrere la giornata al proprio interno per la molteplicità di servizi ed eventi offerti. “Credo che lo stadio sia oggi un simbolo della civitas. In passato lo sono stati il municipio, la sala dei congressi, la biblioteca, il museo; adesso il simbolo della città è lo stadio. Esprime una grande carica di energia”. Le parole dell’architetto Peter Eisenman evidenziano come stia cambiando il ruolo della tipologia “Stadio” all’interno del processo evolutivo della città contemporanea. La crescita urbana punta, oggi, alla ricerca – o alla riscoperta – di nuovi e diversi centri di attrazione, di luoghi mutevoli, capaci di offrire servizi diversi e di essere dei grandi condensatori e attivatori sociali. Tutti questi presupposti, implicano, però, una distribuzione bilanciata delle competenze tra il settore pubblico e quello privato sia per quanto riguarda la realizzazione e l’uso degli impianti, sia per la capacità tecnica di controllo formale della grande dimensione, sia per l’esigenza di un piano correttamente progettato affinché le

connessioni e le relazioni possano effettivamente esplicarsi. Tutto ciò sottintendendo una progettazione sostenibile e soprattutto partecipata, perché un progetto non può funzionare se non è voluto, accettato e rispettato dai cittadini. Lo stadio, pur presupponendo che sia privato, deve rimanere un luogo pubblico, consegnato alla città e per la città.

4

5

141



3. BIGNESS E SCALE DI PROGETTO 3.1 Bigness 3.2 La grandezza come tema di architettura


3.1

Bigness

R. Koolhaas, Junkspace, Quodlibet, Macerata 2006

1

2,3,4,5,6,7,8,9

Ibidem

Nella pagina accanto: 1. R. Koolhaas, London could-be junkspace in Koohlaas, Exodus, or the Voluntary Prisoners of Architecture, The Strip, Project, 1972.

Lo sviluppo tecnologico e culturale ha portato ad un “Big Bang architettonico”1. Accorciando le distanze, riducendo i volumi, accelerando la costruzione, velocizzando gli spostamenti, esaltando le dimensioni degli oggetti si è innescata la nascita di una nuova “specie” architettonica. Gli effetti di queste innovazioni hanno prodotto strutture sempre più grandi, più alte, più profonde e con grandi potenzialità. Come spiega Rem Koolhaas, questo nuovo genere di architettura, che lui definisce Bigness, è rimasto privo di teorizzatori per circa un secolo. Tuttavia gli esperimenti che venivano parallelamente fatti, riguardavano approcci di integrazione e concentrazione o di rassegnazione alla dissoluzione dell’architettura. In questo scenario di fallimento generale, si pongono due strategie: lo smantellamento e la sparizione. La prima, immagina un mondo frammentato, i cui pezzi sono incompatibili l’uno con l’altro; la seconda affronta i temi della simulazione, virtualità e smaterializzazione della realtà. Con la fine del secondo millennio, come scrive Koolhaas, “si assistette ad una corsa totale verso la riorganizzazione, il consolidamento e l’espansione, ad una richiesta a gran voce di mega-dimensioni“2; urgeva la necessità di una teorizzazione del nuovo genere architettonico, ed è qui che si inserisce quella proposta da Koolhaas basata su 5 punti fondamentali: 1. “Superata una certa massa cri-

tica, un edificio diventa un Grande Edificio“3 , tale massa non può essere gestita da un unico, o più gesti architettonici, ogni parte è autonoma rispetto all’altra ma tutte restano legate insieme; non c’è frammentazione delle parti. 2. “L’ascensore [...] e il complesso di invenzioni che da esso derivano, annullano e svuotano il repertorio classico dell’architettura“4,i concetti di proporzione, composizione e scala metrica sono concetti non più applicabili. 3. “Nella Bigness, la distanza tra nucleo e involucro cresce al punto che la facciata non può più rivelare ciò che avviene all’interno“5 4. Gli edifici con le loro grandi dimensioni “entrano in una sfera amorale [...]. Il loro impatto è indipendente dalla loro qualità“6. 5. Questi quattro punti complessivamente rappresentano una rottura radicale con l’architettura precedente. “La Bigness non fa più parte di alcun tessuto“7. La Bigness viene descritta come il mezzo attraverso il quale ricostruire l’unità e la realtà di un paesaggio di caos, dissociazione, separazione e rifiuto. È lo strumento di riconnessione e di dissociazione dai vecchi movimenti ideologici del modernismo e del formalismo. Questo è un nuovo inizio per l’architettura, si entra in un campo di sperimentazione che si basa su regimi di libertà e sull’assemblaggio delle massime differenze, solo così sarà possibile creare contenitori in grado di accogliere eventi eterogenei, indipendenti l’uno dall’altro


3. BIGNESS E SCALE DI PROGETTO

ma allo stesso tempo interdipendenti all’interno di un’entità più ampia. Con la Bigness “l’architettura diventa massimamente e minimamente architettonica”8, con queste parole Koolhaas descrive sia la grandezza dell’oggetto che la sua perdita di autonomia, infatti, l’oggetto diventa dipendente da altre discipline, importanti tanto quanto l’architettura; diventa qualcosa di complesso e composito; nuovi settori e relazioni entrano a far parte del progetto, dagli appaltatori, alla tecnologia, dagli ingegneri ai politici; diventa un organismo composto da tanti pezzi singoli ma che non possono esistere l’uno senza l’altro. Questa nuova generazione di architettura modifica le città, la Bigness diventa la città, non possono relazionarsi le due cose, eventualmente possono coesistere; “La bigness è l’ultimo baluardo dell’architettura [...]. I contenitori della Bigness saranno i punti di riferimento in un paesaggio post architettonico“9.

1

145


3.2

La grandezza come tema di architettura

R. Arnheinm, Arte e percezione visiva, Feltrinelli Editore, Milano 2008

1

Nella pagina accanto: 2. Piazza del Campidoglio,Roma 3. Ponte progettato da Antonio Citterio per Expo 2015, Milano 4. Passerella di collegamento tra Rho fiera e il sito di Expo 2015, Milano 5. Palazzo Italia, Expo 2015, Milano

Rem Koolhaas con la parola Bigness si riferisce alla dimensione del Grande edificio, dimensione che non può più essere ricondotta a un solo fatto architettonico ma deve essere considerata come un insieme di parti autonome legate al tutto. La crescita esponenziale delle dimensioni delle architetture può, oltre che migliorare lo sfruttamento spaziale, diventare anche una sorta di confronto tra loro stesse, cercare il miglioramento, fino a divenire simbolo del luogo in cui è situata l’architettura stessa. Partendo da queste considerzioni si è poi cercato di sviluppare il tema della grandezza dal punto di vista architettonico, cercando di andare oltre la concezione della Bigness di Koolhaas. “La grandezza può essere considerata, un concetto relativo, in quanto, il vedere è un atto creativo così come il giudizio visivo è tutt’ uno con l’ atto del percepire”1. La storia ci insegna che spesso, in architettura, vengono adottati dei sistemi per ingigantire le dimensioni o per ridurle, in ogni caso per modificare, proprio, la percezione che si ha degli oggetti. Michelangelo spesso adotta l’ordine gigante per enfatizzare degli elementi architettonici o giochi di luce ed ombra; nel caso del Palazzo dei Conservatori in Campidoglio quella che mette in atto è una smaterializzazione del portico, gli viene data una profondità tale per cui si creano forti zone d’ombra che fanno risaltare le grandi

paraste; anche la piazza su cui si affaccia il palazzo viene progettata seguendo quest’ottica: la forma trapezoidale e l’inclinazione fanno si che si accorci la distanza tra l’osservatore e gli edifici, accentuando la monumentalità degli stessi. Viceversa, quello che viene ricercato nel progetto è riportare la percezione del grande edificio su un piano più realistico, evitando immagini distorte e ingrandite; si aspira ad un rapporto chiaro e veritiero con gli edifici dell’intorno, nell’ottica di un dialogo architettonico. Il rapporto tra forma e struttura non deve essere alterato, perciò la volontà è quella di prendere coscienza delle dimensioni che un grande oggetto, come lo stadio, deve avere, per poi ricercare una mediazione tra la grandezza intrinseca dell’edificio e il paesaggio circostante, costituita da oggetti eterogenei che lavorano a diverse scale. Il contesto architettonico in cui si inserisce lo stadio è molto ricco, da un lato ci sono le passerelle (PEF e PEM) costruite in occasione dell’esposizione universale, dall’altra le torri del villaggio Expo a Cascina Merlata, e poi ancora gli assi autostradali, il grande ponte progettato dall’archistar Antonio Citterio e infine, ma non ultimo, Palazzo italia. Questi oggetti si rapportano in modi diversi alla città: Palazzo Italia è diventato un’icona non solo di Milano e di Expo, ma anche dell’Italia agli occhi degli stranieri, il ponte di A. Citterio ha una potenza architet-


3. BIGNESS E SCALE DI PROGETTO

tonica tale da renderlo una grande porta di accesso alla città e le autostrade che racchiudono l’area, rappresentano i principali collegamenti del nord Italia sull’asse est - ovest. A questi si aggiunge il grande parco agricolo che caratterizza l’intero sito di Expo e si confronta alla scala territoriale con i grandi parchi della Lombardia e a livello urbano con il sistema del verde milanese e dei raggi verdi. Tutti questi grandi oggetti cercano di relazionarsi tra di loro, in un nuovo rapporto architettonico di integrazione e dialogo.

2

3

4

5

147



4. GLI ELEMENTI FONDAMENTALI 4.1 Rapporto interno-esterno. Integrazione e natura 4.2 La permeabilità dell’edificio e l’assenza dell’involucro 4.3 Architettura e scultura. La cavea del secondo anello 4.4 Un’idea di orizzontalità. La leggerezza della copertura 4.5 I materiali del progetto


4.1

Rapporto interno-esterno. Integrazione e natura

S. Rotondi, La transizione tra interno ed esterno nell’architettura contemporanea, Gangemi editore, Roma 2010

1

2

Ibidem

3 Mies van der Rohe, citazione ripresa da C. Zimmerman, Mies van der Rohe 1886-1969, la struttura dello spazio, Taschen, edizione italiana, Bologna 2006

Nella pagina accanto: 1. Immagine esterna dello stadio

Il capitolo precedente ha evidenziato le derive autoreferenziali e iconiche che molto spesso contraddistinguono le realizzazioni di grandi oggetti. A questo proposito, il progetto dello stadio riflette attentamente sulle azioni da impiegare per scongiurare tale pericolo nell’ottica di una generale integrazione tra l’edificio e il masterplan. Il contesto del parco inoltre sembra suggerire questa strategia in quanto offre la possibilità per realizzare un paesaggio inedito in cui riassorbire la grandezza dell’architettura. “Si può forse dire che, in generale, è la dialettica natura-architettura a riaffermarsi con particolare intensità di sperimentazione nell’epoca della cultura ecologica e della sostenibilità ambientale; dialettica che a volte è modulata fra apollineo e dionisiaco”1. Questo atteggiamento riprende un approccio per certi versi in contrasto con la maggior parte delle nuove costruzioni, in cui il rapporto tra edificio e contesto-realtà viene sempre più messo in crisi con la produzione di oggetti molto spesso iconici e atti a suscitare stupore in chi li osserva. “Il circuito mediatico favorisce una comunicazione fondata sull’immagine e sullo slogan metaforicamente descritti; fatta salva naturalmente l’ovvia necessità dell’immagine e l’utilità del lampo conoscitivo fornito dalle metafore, resta il fatto che a questo tipo di messaggio corrisponde un’approssimazione semantica nella ricezione …”2.

Per contrastare le immagini sfocate e labili tipiche della produzione architettonica contemporanea, il progetto riflette sulle azioni attraverso cui ricucire il rapporto dello stadio con il parco e con la natura circostante. Ecco dunque che la grandezza dell’edificio diventa tema di architettura da declinare attraverso le forme e gli elementi scelti. In questo senso la decisione fondamentale è stata quella di rinunciare all’involucro dello stadio che, se da un lato permette la messa in scena di effetti molto suggestivi che ben esprimono la spettacolarità implicita in questa tipologia di edifici, dall’altro rischia di creare una barriera con l’intorno costituendosi come limite. Lo stadio viene così avvicinato il più possibile al parco nell’ottica di una continuità spaziale e del paesaggio. E’ il tentativo di riprendere un atteggiamento tipico ad esempio della produzione di Alvaro Siza in cui il nuovo viene declinato a partire dalla topografia del luogo in cui viene inserito cercando una logica di dialogo piuttosto che di rottura e imposizione. A completamento di questo concetto vengono riportate le parole di Mies sul rapporto tra architettura e natura: “Dovremmo invece sforzarci di ricondurre a un’unità superiore la natura, le case e gli uomini. Se si osserva la natura attraverso le pareti vetrate di Casa Farnsworth, essa acquista un significato più profondo rispetto a quando vi trovate all’esterno. Così si esprime maggiormente la natura – essa diventa parte di un tutto più vasto”3.


4. GLI ELEMENTI FONDAMENTALI

1

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4.2

La permeabilità dell’edificio e l’assenza dell’involucro

B. Zevi, Saper vedere l’architettura, Einaudi, Torino 1951

4

S. Rotondi, La transizione tra interno ed esterno nell’architettura contemporanea, Gangemi editore, Roma 2010

5

A. de Botton, Architettura e felicità, Guanda Editore, Parma 2006

6

7,8,10

Ibidem

Nella pagina accanto: 2. Soglia di dell’edificio

transizione

interno-esterno

L’intenzione di recuperare un’architettura quanto più possibile legata al luogo si traduce in una riflessione puntuale sul tema della transizione interno-esterno dell’edificio. Questo ambito di ricerca è centrale nel corso del XX secolo nel dibattito architettonico. A partire da un iniziale approccio che vedeva sempre più problematico il rapporto tra le coppie antagoniste nuovo-contesto e esterno-interno ( è il caso dell’ermeneutica spaziale: “ la cosa più importante è stabilire che tutto ciò che non ha spazio interno non è architettura”4 ), si è giunti oggi ad una autonomia di fondo dei due ambiti che si ripercuote nelle varie manifestazioni legate al tema dell’involucro. Lo sviluppo tecnico-costruttivo ha permesso infatti, nel corso del tempo, una graduale emancipazione del pacchetto di chiusura degli edifici dalla struttura: “questa autonomia libera l’involucro dal vincolo della struttura complessiva dell’organismo e lo rende capace di relazionarsi come mai prima con il sistema degli spazi esterni”5. Tuttavia, all’aumento delle possibilità linguistiche e comunicative dell’oggetto-involucro non è corrisposta una nuova riconcettualizzazione del rapporto tra interno ed esterno, e questo ha in ultima analisi inasprito la criticità del dualismo autonomia-eteronomia che caratterizza l’architettura contemporanea. Il progetto riflette su tutto questo cercando fin da subito di recuperare una relazione fluida e immediata tra lo stadio e il parco

agricolo. Per raggiungere questo obiettivo, viene fin da subito accantonata l’idea di un involucro esterno che avrebbe introdotto una maggiore distanza tra l’architettura e il paesaggio circostante. E’ importante sottolineare che la rinuncia all’involucro non si traduce nell’accostamento casuale e approssimativo dei diversi ambiti spaziali e scalari. Il progetto riflette a questo proposito con molta attenzione sulla definizione di una soglia di transizione tra l’interno e l’esterno dell’edificio, da perseguire non attraverso l’affidamento della questione a un elemento aggiuntivo (l’involucro), ma attraverso gli elementi più irrinunciabili dell’architettura: forma e struttura. E’ così che vengono studiati tutta una serie di spazi filtro che pur nella rivelazione diretta dello stadio agli osservatori esterni, riassorbono le grandi dimensioni dell’edificio nel contesto dolce del parco circostante. A questo si deve l’introduzione di una struttura di copertura leggera , sostenuta da una pilastratura snella e slanciata che riduce il peso visivo dello stadio. Al di là di questa viene definito il grande volume scultoreo della cavea superiore, sospeso da nervature in cemento armato al di sopra della gradinata inferiore. Attraverso le relazioni di questi elementi tra di loro e, tra loro e il contesto circostante, viene definita l’immagine dello stadio: un’immagine di equilibrio in cui architettura e natura vengono riunite insieme nella ridefinizione del paesaggio. Come scrive Alain de Botton, “ Nel


4. GLI ELEMENTI FONDAMENTALI

piacere prodotto dalla sovrapposizione di ordine e complessità possiamo rintracciare la virtù architettonica accessoria dell’equilibrio”6. Questa frase ben riassume la compresenza di elementi diversi tenuti insieme da una generale idea di ordine che caratterizza lo spazio dello stadio. “Se certi edifici costruiti con sottile equilibrio ci emozionano è perché sono esemplificazioni di una possibile scelta tra aspetti conflittuali del nostro carattere, della legittima aspirazione a trasformare le nostre preoccupanti contraddizioni in qualcosa di bello”7. 2

153


4.3

Architettura e scultura. La cavea del secondo anello

Nella percezione dell’immagine dello stadio, come detto sopra, i due elementi fondamentali sono la cavea del secondo anello, modellata come una linea morbida che entra in relazione con le forme della natura, e la copertura, superficie piatta e sospesa, che riprende il tema formale dell’orizzontalità assimilabile al paesaggio agricolo della pianura. “La tensione tra curve e linee rette di una facciata porta con sé l’eco della tensione tra ragione ed emozione che avvertiamo dentro di noi”8. Per quanto riguarda la gradinata superiore la scelta è stata quella di definire un oggetto in un certo senso scultoreo, proprio riguardo alla definizione che viene comunemente data della parola scultura: “L’arte e la tecnica di ricavare da un materiale una forma”. Il volume della cavea viene infatti generato dall’intersezione di un volume rettangolare con gli angoli smussati attraverso un piano di taglio ellittico. Questa operazione geometrica definisce l’aspetto ondulato della gradinata che si configura come una forma morbida e organica in continuità con il paesaggio circostante. P. Rice, An Engineer Imagines, Artemis, London 1944

9

Nella pagina accanto: 3. Dettaglio dell’ancoraggio tra il pilastro e la cavea 4. Sezione tecnologica della struttura della gradinata superiore

“Non è l’angolo retto che mi attrae, e nemmeno la linea retta, dura, inflessibile, creata dall’uomo. Ciò che mi attrae è la curva libera e sensuale. La curva che incontro nelle montagne e nei fiumi del mio paese, nelle nuvole del cielo, nelle onde del mare, nel corpo della donna preferita. Di

curve è fatto tutto l’universo. L’universo curvo di Einstein”. (Oscar Niemeyer) Una volta ottenuto il volume, il progetto riflette su quale sistema strutturale sia più adatto alla realizzazione di questa forma complessa. L’idea è quella di ricreare una scocca in cemento armato che ricostruisca il solido di rotazione ottenuto per via geometrica. La sezione della gradinata, dal momento che viene pensata come una struttura a guscio, presenta dunque uno spessore contenuto che contribuisce alla generale riduzione del peso proprio della struttura. In questo la sezione è assimilabile concettualmente a un’ala di un aereo. Per quanto riguarda la tecnologia messa in atto, viene stabilito di ricorrere il più possibile alla prefabbricazione dei diversi pezzi eseguita in cantiere attraverso il sistema del cosiddetto titl-up. Questo consente un miglioramento generale della logistica, un abbassamento dei costi di produzione e trasporto, e una riduzione dell’impatto ambientale della costruzione in chiave sostenibile. Nella definizione globale della gradinata appare dunque chiara l’intenzione di fondare l’architettura sulla sua realtà costruttiva secondo un atteggiamento che trova in Pierluigi Nervi un punto di riferimento. In questo senso l’estetica dell’edificio non dipende da una ricerca astratta sulla forma, ma è il risultato dello sviluppo tecnologico. Architettura e ingegne-


4. GLI ELEMENTI FONDAMENTALI

ria si trovano così avvicinate dal progetto:

3

“Distinguerei l’attività dell’architetto da quella dell’ingegnere dicendo che le risposte dell’architetto sono principalmente creative mentre quelle dell’ingegnere sono essenzialmente inventive[…] La distinzione fra creazione e invenzione è la chiave per capire la differenza fra ingegnere ed architetto e di come entrambi possono lavorare sullo stesso progetto e contribuire in modi diversi”9.

4

155


4.4

Un’idea di orizzontalità. La leggerezza della copertura

Nella pagina accanto: 5. Vista complessiva degli elementi di coperura 6. Attacco della trave di funi sull’anello di cavi interno 7. Dettaglio della parte superiore del puntone 8. Attacco trave di funi, trave di bordo e pilastri

Alla forma dinamica e ondulata della gradinata, il progetto contrappone il disegno semplice e lineare della copertura. Questa è pensata come una superficie piatta che in qualche modo possa definire una linea d’orizzonte del progetto inquadrando tutti gli elementi principali. Estensione e vastità sono a tale proposito i concetti guida. In questo modo si cerca anche di recuperare una continuità di paesaggio con il parco agricolo, concepito come una sequenza di luoghi piatti e densi di coltivazioni. Per rendere concreti questi presupposti il progetto si interroga riguardo alle scelte strutturali e tecnologiche. Una soluzione a sbalzo per elementi puntuali sembrava irrigidire troppo l’architettura dello stadio a causa dello spessore delle sezioni delle diverse componenti. Al fine di evitare di introdurre nuova massa e peso tanto nella struttura, quanto nella percezione dell’immagine dell’edificio, il progetto ricorre all’impiego di una struttura leggera che si costituisce come cable-roof. Il concetto è quello di realizzare un reticolo di travi di funi che, come una sorta di tessitura-ragnatela, faccia levitare la copertura al di sopra della cavea del secondo anello. Le diverse travi di funi sono ancorate a una trave di bordo in acciaio sostenuta dai pilastri. Questo sistema rende, ancora una volta, esplicita la struttura contribuendo alla definizione della copertura come elemento integrato al paesaggio. Sostenuta dal reticolo di funi vi è

poi posata la membrana in PTFE (fibra di vetro), un materiale leggero e impermeabile che contribuisce ad evitare la sensazione di oppressione spesso caratteristica dei posti alti della gradinata superiore. Se da lontano l’elemento di copertura appare nella sua orizzontalità, ad una distanza più ravvicinata, tuttavia, il telo non risulta essere totalmente piano, poiché assecondando la forma della struttura si crea un leggero movimento utile alla raccolta dell’acqua piovana e ad avere una percezione migliore dell’intradosso della copertura. Gli aspetti compositivi, non vogliono però, tralasciare quelli legati alla sostenibilità e alla tecnologia; Il sistema di illuminazione a LED assicura un’elevata efficienza energetica, il telo fotocatalitico consente una diminuzione del livello di smog nell’intorno ed infine la raccolta delle acque piovane e il loro riuso per l’irrigazione comporta una riduzione notevole dei consumi.


4. GLI ELEMENTI FONDAMENTALI

5

6

7

8

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4.5

I materiali del progetto

10 A. de Botton, Architettura e felicità, Guanda Editore, Parma 2006

A. de Marco, presentazione del testo di E. Sicignano, Architetture in cemento armato, Edizioni CLEAN, Napoli 2007

11

Nella pagina accanto: 9. Principio di funzionamento del cemento fotocatalitico

“Se il nostro interesse per edifici e oggetti è davvero determinato tanto da quello che ci dicono quanto da come svolgono le loro funzioni ,materiali, allora vale la pena di riflettere sul curioso processo con cui la disposizione della pietra, dell’acciaio, del cemento e del vetro sembra esprimere qualcosa, dandoci in rare occasioni l’impressione di parlarci ci cose importanti ed emozionanti”10. Dalle parole di Alain de Botton sopra riportate è ancora una volta desumibile l’importanza che le scelte architettoniche in generale, e quelle relative all’uso dei materiali in particolare, rivestono nella lettura dei luoghi. A tale proposito, il progetto si fonda sull’alternanza di due ambiti materici principali: la gradinata in cemento armato, e la struttura della copertura che vede la collaborazione tra i pilastri in acciaio e il telo in PTFE. E’ interessante sottolineare che il ricorso ai diversi materiali si costituisce come una fondamentale scelta di coerenza con gli elementi spaziali e volumetrici del progetto: “Uno stesso problema si può risolvere in modi diversi […] Archi, travate rettilinee, strutture reticolari semplici o complesse possono ugualmente servire a vincere una portata e a sopportare carichi, ma ognuna di tali soluzioni ha intrinsecamente un proprio e specifico carattere, una propria inconfondibile identità…”11. La cavea del secondo anello, volumetricamente definita come oggetto scultoreo non poteva

che essere tradotta in termini materici se non attraverso il ricorso alla poetica del cemento armato. Sensibilità statica in accordo con sensibilità estetica nella generazione di una figura coerente nella sua semplicità. Nello specifico si tratta di un aggregato cementizio fotocatalitico. Tra i vantaggi principali di questa scelta l’autopulizia, la riduzione dei costi di manutenzione, l’abbattimento degli agenti inquinanti. Il trattamento protegge il calcestruzzo da eventuali ossidazioni e dall’annerimento per effetto dello smog. Il processo di fotocatalisi consente di trasformare le polveri sottili in sali solubili non tossici per l’uomo e l’ambiente, riducendo così il livello d’inquinamento. Per dare un’idea, basti sapere che 1.000 mq di superficie fotocatalitica depurano circa 200.000 m3 di aria in 10 ore di irraggiamento solare. Da ultimo alcune brevi considerazioni sulle caratteristiche specifiche del calcestruzzo: al fine di ottenere la finitura e la lavorabilità desiderate, il composto scelto è ad alta densità (ca. 300 mm), alta resistenza (60 MPa), alta resistenza a flessione (10 MPa), basso assorbimento dell’acqua e infine alta durabilità. Per quanto riguarda invece la copertura, la struttura di supporto è prevista in acciaio. Il ricorso a questo materiale è determinato dalla volontà di alleggerire l’immagine visiva dei supporti per non intaccare il carattere sospeso del telo. La lunghezza dei pilastri e la loro snellezza conferma ulteriormente la scelta anche dal punto di vista


4. GLI ELEMENTI FONDAMENTALI

meccanico. Per quanto riguarda il telo, come detto in precedenza, viene impiegata una membrana in PTFE, anch’essa fotocatalitica. Il colore bianco del telo distingue anche dal punto di vista cromatico i diversi componenti raggiungendo così un’immagine composita e chiara.

9

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5. LE CARATTERISTICHE DELLO STADIO 5.1 Lo stadio nel masterplan 5.2 Le misure dello stadio 5.3 Controlli di sicurezza, emergenza 5.4 Gli spazi e gli usi dello stadio 5.5 Gli utenti


5.1

Lo stadio nel masterplan

Recinti, tessuti, grandi oggetti

Nella pagina accanto : Vista a volo d’uccello sull’area di progetto

Il masterplan si interroga fin dalle prime fasi su quale sia la posizione più appropriata per collocare lo stadio che si distingue a livello scalare e formale da tutti gli altri elementi del progetto. Da un’analisi del paesaggio circostante emerge una commistione di elementi e frammenti eterogenei molto diversi tra loro che lavorano a scale diverse. Piccole propaggini di urbanità si estendono verso il bordo dell’area raccogliendo le zone periferiche di Milano e di Baranzate e tutto l’ambito di trasformazione di Cascina Merlata. A questi diversi tessuti si affiancano tre grandi recinti che si pongono a tutti gli effetti come enclave rendendo il sito di Expo un recinto tra recinti: il polo fieristico di Rho, il carcere di Bollate e il Cimitero Monumentale. Da ultimo l’infrastruttura che con la sua rete impietosa di viadotti taglia brutalmente tutte le possibili connessioni dell’area con il contesto più prossimo. Si può dire che nel posizionamento dello stadio si sia tenuto in conto di due aspetti principali: l’accessibilità, e la volontà di inserire lo stadio nel parco agricolo. Per quanto riguarda il primo punto si è cercata una zona del masterplan che ben fosse collegata con la rete trasportistica a tutti i livelli (urbano, extraurbano, territoriale) e che al tempo stesso fosse facilmente raggiungibile dai singoli utenti in auto, pullman o bicicletta. Per quanto riguarda il

tema dell’inserimento nel parco si è deciso di evitare la strada di un possibile camouflage dello stadio assumendo in modo trasparente e chiaro la consapevolezza della grande dimensione dello stadio; inoltre a livello compositivo si è optato per un’ integrazione con l’ambiente naturale, scegliendo forme e principi costruttivi che andassero in quella direzione. Un altro aspetto tenuto in considerazione è stato l’orientamento, questo in parte è stato determinato dalla posizione del campo di gioco prescritta delle normative, ma anche dalla volontà di agganciarsi al maggiore asse infrastrutturato e di sviluppo della città, ovvero l’asse dell’autostrada A4. A questo asse si vanno ad innestare, inoltre, gli altri grandi oggetti presenti nell’area: la torre di Cascina Merlata, il ponte progettato dall’architetto A. Citterio, Palazzo Italia e la passerella PEM; creando così una forte polarità all’interno dell’area. L’accessibilità Rispetto al tema dell’accessibilità si è scelto di prendere una posizione ben definita, ovvero privilegiare la mobilità lenta e quella pubblica. Lo stadio è posizionato in prossimità dei parcheggi per i pullman, della stazione del passante ferroviario e delle passerelle di collegamento a cascina Merlata e a Baranzate; è inoltre stata mantenuta la navetta che circumnaviga l’ex


5. LE CARATTERISTICHE DELLO STADIO

163


sito espositivo ed è stato inserito un tram che collega la stazione di Rho fiera - Expo allo stadio. È interessante sottolineare che questa stazione prevede fermate della metro, del passante, dei treni regionali e della tav. In prossimità del parcheggio dei pullman è prevista una fermata degli autobus urbani e una fermata per i taxi. Questa scelta di sostenibilità, ha un risvolto negativo per coloro che scelgono di raggiungere il sito con i propri mezzi, infatti, sono stati previsti un totale di circa 3.000 stalli per uno stadio da 50.000 posti. Per fare un confronto, allo Juventus Stadium, che conta 41.000 posti è stato progettato un parcheggio da 4.000 stalli. Tuttavia si è tenuto conto del fatto che potrebbero crearsi problemi di viabilità e traffico in caso di partite e grandi eventi, per questo i parcheggi sono stati distribuiti in zone diverse del sito, le quali hanno punti di accesso differenti. Per le persone disabili è stato previsto un apposito parcheggio con ingressi controllati nel piano interrato dello stadio. Nello stesso livello sono presenti posti auto sia per i media che per i V.I.P. e le autorità.

Nella pagina accanto: 1. Orientamento e assi principali 2. Accessibilità


1

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5.2

Le misure dello stadio

Il numero perfetto

Nella pagina accanto: 1. Limiti di visione FIFA 2. Forma delle gradinate 3. Opzioni forma ellisse 4. Forma attesa della cavea

L’Italia, nel resto d’Europa, è all’ultimo posto per la qualità degli stadi. Per lo più si tratta di strutture fatiscenti, datate, spesso prive di copertura e della giusta protezione dagli agenti atmosferici, con pochi servizi per i tifosi e spesso sono edifici lontani dalla città e mal collegati. Tutto ciò sta portando ad un progressivo calo delle presenze durante le partite. Tuttavia si riscontra un trend in positivo, ovvero il caso della Juventus, che dalla realizzazione del proprio stadio è riuscita a fare quasi sempre il tutto esaurito, con un aumento di 16.000 tifosi a partita in media (stag. 2010-2011 21.966 tifosi, stag. 2014-2015 38.475 tifosi). Questo è merito del potere attrattivo che ha suscitato lo stadio ma anche dai comfort e servizi offerti al tifoso. Oggi ci si interroga, perciò, su quale possa essere la capienza giusta per uno stadio di nuova costruzione e per assicurare dei guadagni alla squadra. Secondo i report dell’Osservatorio Calcio Italiano i tifosi del Milan sono i più fedeli, il Meazza detiene, infatti, il primato stagionale con 45.978 spettatori in media e con un aumento del 15,3% rispetto alla stagione precedente. Ad oggi, osservando anche i casi europei, la tendenza è quella di ridurre il numero di posti a favore di un guadagno costante sicuro, per questo, in Italia, si consiglia la realizzazione di stadi con capienza tra i 45.000 e i 55.000 posti.

In questa ottica, la realizzazione di uno stadio per il Milan, sarebbe supportata da una presenza media di 45.000 spettatori. Per questa serie di informazioni si è scelto di realizzare una struttura con una capienza di circa 50.000 posti a sedere. Le misure Dopo aver fissato il numero di posti è stato necessario definire la forma dell’edificio, che, nel nostro caso, ben si integrasse con il parco; da qui la scelta di una forma ellittica. Questa è stata utile per determinare il movimento della cavea. Partendo dallo schema di visione proposto dalla FIFA, in cui sono indicati il limite di visione e la linea di visione ottimale, abbiamo stabilito una forma ellittica intermedia. Modificando l’ampiezza dell’ellisse è possibile definire movimenti più o meno accentuati e graduali della cavea, per questo sono state fatte diverse prove, al fine di trovarne una che fosse sinuosa e armoniosa. A lato è possibile vedere come, scegliendo una forma circolare la sinuosità della cavea diventi molto accentuata e poco armoniosa, al contrario adottando una forma ellittica, come è stato fatto, l’andamento risulta più armonioso ed equilibrato. Il passo successivo è stato il progetto delle gradinate; come si dice in gergo, “ il tifoso è il dodicesimo uomo in campo “, da qui la scelta di mantenere le gradinate


5. LE CARATTERISTICHE DELLO STADIO

più possibili vicine al campo ed evitando la presenza di una pista d’atletica, come spesso accede negli stadi. La forma da cui siamo partiti è stata proprio quella del campo, cercando di ammorbidire gli angoli e di rimanere il più vicino possibile, rispettando i limiti dati dalla normativa. La prima fila di posti dista, perciò, 10 metri dalla linea del campo. Per quanto riguarda le gradinate, queste sono state studiate andando a verificare il C value. Questo parametro indica la distanza che deve esserci tra gli occhi di uno spettatore e quello davanti. Il valore raccomandato dalla FIFA è compreso tra 8 e 12. Nel progetto siamo partiti valutandolo nei punti più vicini al campo, poiché sono quelli più sfavorevoli per la visione. Complessivamente, nel progetto, il C value varia da 9 a 16, così da garantire, anche nei punti più sfavorevoli una visione discreta.

1

Limite visione Linea di visione ottimale

2

3

4

167


Gli anelli

Nella pagina accanto: 1. Schemi inerenti l’anello 1: numero di posti, numero di accessi, percentuale di spazi per servizi igienici e ristoro, percentuale dei vari servizi igienici 2. Schemi inerenti l’anello 2: numero di posti, numero di accessi, percentuale di spazi per servizi igienici e ristoro, percentuale dei vari servizi igienici

Lo stadio è stato organizzato su due anelli, di cui il primo è parzialmente interrato, in modo da avere un’altezza complessiva dello stadio contenuta. L’accesso al primo anello avviene direttamente alla quota zero, mantenendo così una continuità con l’esterno, al secondo anello si accede, invece tramite delle risalite che partono della quota zero. Ogni gradinata è stata divisa in settori, la prima in 5 e la seconda in 4. Nella prima è presente un intero settore dedicato agli ospiti, il quale ha degli ingressi separati rispetto agli altri ed ha servizi propri. La normativa impone delle dimensioni minime per i vomitori e che questi siano dimensionati secondo il flusso di persone che vi deve passare; per questo nelle curve sono stati disposti 6 vomitori e nelle tribune 8, questi sono anche vie di fuga in caso di emergenza. Ogni modulo di 1,20 m consente il deflusso di 500 persone; per garantire delle vie di fuga proporzionate, queste sono larghe minimo 4 metri. I tifosi, nei vari settori, hanno a disposizione sia spazi di ristoro che servizi igienici, dislocati secondo quanto prescritto dalle norme, ovvero devono essere raggiungibili con un percorso massimo di 50 m ed essere presenti nel numero di 1 wc ogni 125 donne, 1 wc ogni 250 uomini e 1 orinatoio ogni 125 uomini. Sono presenti, inoltre, delle aree di primo soccorso, nell’ordine di 1 ogni 10.000 persone.


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5.3

Controlli di sicurezza, emergenza

Nella pagina accanto: 1. Sistema di accesso durante la partita cancelli chiusi 2. Sistema di accesso in assenza della partita - cancelli aperti 3. Pianta quella quota zero in cui è possibile vedere i cancelli di accesso e i vomitori

Gli impianti sportivi devono essere dotati di un’area di massima sicurezza in prossimità dei varchi d’ingresso, per questo motivo nel progetto è prevista una zona che circondi lo stadio che ha una larghezza di 30 metri ed è priva di ostacoli, in modo che i mezzi di soccorso possano facilmente avvicinarsi agli ingressi e in caso di deflusso forzato non ci siano problemi. Oltre questa zona, c’è quella che viene definita dalla normativa “zona riservata“, ovvero uno spazio a cui possono avere accesso solo le persone munite di biglietto e in cui sono libere di circolare. Queste due aree devono essere separate da una recinzione. A questo proposito è stato progettato un sistema di cancelli che si integra nel ritmo strutturale dei pilastri della copertura, e che è caratterizzato da parti fisse, mobili e parti con tornelli e metal detector, questo per rispondere alla necessità di disporre di diversi livelli di controllo. Per poter accedere allo stadio sono stati studiati 3 livelli di controllo: il primo, fuori dal cancello, in aree dedicate, avviene un controllo di zaini e borse, successivamente lo spettatore deve passare i tornelli e metal detector e qui viene fatto un controllo del biglietto, l’ultimo livello è quello che si ha in prossimità del vomitorio, dove il personale addetto controllerà nuovamente il biglietto e indicherà il posto acquistato. Si è scelto di accorpare i primi due livelli di controllo nel perimetro dello stadio affinché, una volta superati,

si potesse circolare liberamente all’interno e godere dei servizi offerti ai vari piani. Ci sono poi altre categorie di tifosi che hanno accessi separati: è il caso di disabili, V.I.P. e media. In questi casi, l’accesso avviene nel piano interrato, dove sono presenti dei posteggi a loro dedicati, e sono previsti due livelli di controllo: il primo all’ingresso del parcheggio dove viene controllato il biglietto e il secondo nella rispettiva reception, dove vengono controllate borse e zaini e nuovamente il biglietto. Una volta superati i controlli è possibile circolare nello stadio e accedere alle gradinate; per il primo anello sono disponibili un totale di 28 vomitori, così come per il secondo. Gli ingressi sono stati dimensionati per essere anche vie di fuga in caso di emergenza e sono stati studiati dei percorsi liberi da ostacoli per il deflusso. Tutte le scale che dal piano zero portano al secondo anello sono state dimensionate per garantire un corretto deflusso, inoltre, non essendo presente un involucro sull’edificio, la messa in sicurezza delle persone è facilitata e anche le scale non necessitano di compartimentazioni in quanto risultano all’aperto. Sono state previste scale d’emergenza solo dal piano interrato al piano zero e dai locali V.I.P. al piano zero. Quando non c’è la partita, è possibile aprire il cancello perimetrale in alcuni punti: sono presenti, infatti, delle parti mobili che posso ruotare su se stesse e consentire l’accesso all’interno.


5. LE CARATTERISTICHE DELLO STADIO

1

3

GATE A

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2

171


In queste pagine: Planivolumetrico


173


5.4

Gli spazi e gli usi dello stadio

Lo stadio è composto da 4 livelli, di cui uno interrato; in questo capitolo verranno presentate le caratteristiche principali di ognuno di essi, mentre i dettagli verranno affrontati in quelli successivi. Piano interrato

Nella pagina accanto: Pianta del piano interrato

L’accesso a questo livello è riservato ai giocatori, alla stampa, ai fotografi, ai V.I.P., alle persone con disabilità motorie, ai soccorsi ed al personale tecnico. Sono presenti due rampe di accesso: - una per accedere alla zona riservata ai disabili e ai V.I.P. - una per i soccorsi, le squadre e i media. Il numero di parcheggi è stato dimensionato secondo quanto prescritto dalla normativa. Inoltre i parcheggi sono separati a seconda dei diversi utenti e sono locali tutti ambienti compartimentati. In caso di emergenza è possibile defluire verso il piano superiore attraverso delle scale di emergenza compartimentate e raggiungibili da ogni punto con un percorso massimo di 50 metri. Ogni categoria di utente ha a disposizione una reception in cui verrà accolto e in cui verranno verificate le credenziali di ognuno. L’ala destra del piano è quasi interamente dedicata alle squadre e agli spazi a loro necessari, così come per i media. Sono infatti presenti gli spogliatoi, le zone di riscaldamento, il locale soccorso e antidoping, un centro medico, un deposito; mentre, per la stampa e

i fotografi sono disponibili aree di lavoro attrezzate, uffici, sale conferenza, studi TV. Al centro dell’ala destra, troviamo la zona mista, ovvero l’area in cui gli atleti, terminata la gara, incontrano i giornalisti e concedono brevi interviste.


5. LE CARATTERISTICHE DELLO STADIO

175


Nella pagina accanto : Assonometria del piano interrato

1. Parcheggio stampa 2. Scala d’emergenza 3. Parcheggio squadra 4. Porta di compartimentazione 5. Zona riscaldamento 120 mq 6. Area soccorso 50 mq 7. Area antidoping 55 mq 8. Spogliatoio arbitri 25 mq 9. Spogliatoio allenatori 25 mq 10. Area intervista breve 25 mq 11. Spogliatoio squadra 200 mq 12. Sala conferenze 125 mq 13. Studi TV 70 mq

14. Uffici media 130 mq 15. Reception stampa 228 mq 16. Zona mista 200 mq 17. Sala giornalisti 240 mq 18. Deposito 53 mq 19. Centro medico 92 mq 20. Videosorveglianza 48 mq 21. Rampa mezzi soccorso 22. Area primo soccorso 23. Parcheggio VIP 24. Reception VIP 650mq 25. Parcheggio disabili 26. Reception disabili 460 mq


23

Ingresso VIP 25

Ingresso disabili

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24

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1

Ingresso media

3

Accesso VIP e disabili

Accesso soccorsi, giocatori, stampa

177


In queste pagine : Vista dal terreno di gioco


179


Piano terra

Nella pagina accanto: Pianta del piano terra

La quota zero è quella degli accessi; la pianta è stata studiata in modo che ci fosse una continuità con l’ambiente esterno in modo da non perdere il contatto né visivo né fisico. L’intero perimetro è circondato dai cancelli che in alcuni punti si aprono per permettere l’ingresso dei tifosi. Lo stadio nei momenti in cui non c’è una partita rimane comunque aperto al pubblico, in quanto offre una serie di servizi che prescindono dalla partita di calcio, per questo i cancelli, in determinati punti possono essere completamente aperti e consentire l’ingresso del pubblico. La pianta è stata studiata per anelli: - Un anello esterno per la libera circolazione delle persone - Un anello intermedio che contiene tutta una serie di funzione pubbliche che fanno dello stadio un luogo non solo per vedere la partita ma che propone diverse attività collaterali che cambiano il modo di vivere l’esperienza calcistica - Un anello interno che contiene i servizi per i tifosi (punti ristoro, servizi igienici e aree di soccorso) Questo livello consente un accesso diretto ai vomitori della prima gradinata così da consentire una continuità visiva tra il parco agricolo esterno e il campo di gioco interno. A questa quota sono, inoltre, presenti i posti riservati alle persone

con disabilità ed ai loro accompagnatori. Questi posti sono previsti lungo la tribuna ovest e sono calcolati in ragione di 1 ogni 500 posti; avendo circa 50.000 spettatori, i posti dedicati ai disabili saranno circa 100. Nella parte sud dello stadio è localizzato il settore ospiti, a cui è possibile accedere da un determinato gate e inoltre contiene tutti gli spazi e servizi necessari alla tifoseria ospite.


181


Nella pagina accanto: Assonometria del piano terra

1. Museo squadra 1140 mq 2. Biglietteria 145 mq 3. Caffetteria - hub 530 mq 4. Club tesserati 530 mq 5. Ristorante 580 mq 6. Store squadra 950 mq 7.Spazio commerciale 530 mq 8. Biglietteria 430 mq 9. Soccorso 45 mq 10. Area hospitality 590 mq

11. Soccorso 45 mq 12. Spazio espositivo 550 mq 13. Biglietteria 330 mq 14. Spazio bambini - famiglia 610 mq 15. Ristorante 550 mq 16. Palestra - benessere 1050 mq 17. Biglietteria 250 mq 18. Spazio di circolazione 19. Tornelli - metal detector 20. Cancelli apribili 21. Cancelli fissi 22. Ingresso vomitori


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183


In queste pagine : Vista dall’esterno dello stadio


185


Piano primo

Nella pagina accanto: Pianta del piano primo

Questo piano offre un’ulteriore serie di servizi e attività che completano l’offerta del piano sottostante, sono presenti inoltre due grandi ristoranti aperti al pubblico con vista direttamente sul campo. Per raggiungere questa quota sono a disposizione degli spettatori una serie di scalinate e degli ascensori posti in prossimità degli ingressi. A questo livello è localizzato il primo piano di skybox per i V.I.P. ed i locali dedicati alla stampa e ai giornalisti. Troviamo, infatti, 22 skybox con metrature diverse a seconda delle esigenze e del numero di persone da ospitare, un’area lounge per le autorità con i rispettivi posti in tribuna, un grande studio TV con vista campo e uno spazio di lavoro attrezzato con tavoli, sedie, computer e connessione internet per i media sempre vista campo. Ogni skybox ha dei posti riservati in tribuna, ai quali è possibile accedere solo tramite il locale stesso. Questo piano presenta un grande anello di circolazione che consente di spostarsi liberamente tra le varie attività commerciali e servizi, ma consente anche di avere un punto di vista diverso, in quota, per ammirare l’esterno e il parco agricolo; è come se fosse la continuazione dello spazio aperto, soltanto ad una quota più alta. Da qui è possibile proseguire alla seconda gradinata prendendo delle scale, distribuite su tutta la superficie del piano.


187


Nella pagina accanto: Assonometria del piano primo

1. Museo squadra 360 mq 2. Area soccorso 80 mq 3. Ristorante vista campo 450 mq 4. Studio TV vista campo 60 mq 5. Area media vista campo 480 mq 6. Posti riservati media 7. Ristorante vista campo 450 mq

8. Soccorso 80 mq 9. Spazio commerciale 130 mq 10. Spazio commerciale 80 mq 11. Spazio commerciale 60 mq 12. Posti riservati skybox 13. Posti riservati autoritĂ 14. Skybox V.I.P. 15. Area lounge V.I.P. 150 mq


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13

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12 11

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3 4

5 10 7

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189


In queste pagine : Vista dal piano primo


191


Piano secondo

Nella pagina accanto: Pianta del piano secondo

sostenuta soltanto dai setti portanti e da una fila di pilastri A questo livello troviamo principal- - Per creare uno spazio che fosse come un ponte tra due ambienti, mente due elementi: quello interno e quello esterno, un - Il secondo piano di skybox punto in cui traguardare il parco - Un percorso turistico/belvedere Gli skybox sono in totale 24 e, an- da un lato, e dall’altro ammirare che in questo livello, sono presenti lo stadio e la sua architettura. diverse metrature per ospitare un numero di persone diverso a seconda delle necessità. Ogni locale è dotato di un angolo cottura più o meno grande, un bagno e un soggiorno con una piccola area relax. Tutti gli skybox hanno dei posti in tribuna riservati, a cui è possibile accedere solo tramite il locale. Lo spazio che collega i vari skybox è una grande area lounge che accoglie spazi di lavoro, aree di relax e punti ristoro, per una superficie totale di quasi 1500 m2. I due livelli di skybox sono collegati, verticalmente, da due corpi scala compartimentati e da una serie di ascensori. I corpi scala consentono il deflusso fino al piano terra in caso di emergenza. Per quanto riguarda il belvedere, questo è stato pensato come un percorso per i turisti che visiterranno lo stadio, per poter ammirare l’interno ma anche l’esterno che circonda lo stadio e, inoltre, come uno spazio che possa ospitare degli spettatori in piedi muniti di regolare biglietto. Questo spazio, tuttavia, è stato pensato per due motivi principali: - Per staccare la cavea del secondo anello dalla struttura sottostante, quasi come se fosse sospesa e


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Nella pagina accanto: Assonometria del piano secondo

1. Area lounge V.I.P. 1050 mq 2. Skybox V.I.P. tipo A 26 mq 3. Skybox V.I.P. tipo B 40 mq 4. Posti riservati skybox 5. Belvedere - percorso turistico


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In queste pagine : Vista dal belvedere dello stadio


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La copertura Il progetto della copertura nasce dall’idea di avere un elemento molto leggero e sottile, come un velo che si posa delicatamente sull’elemento architettonico; questo aspetto viene sottolineato dalla scelta di adottare una tensostruttura ispirata al cable roof. Alla scala della città il telo di copertura appare come un elemento perfettamente orizzontale che accentua la forma sinuosa della struttura del secondo anello e che dialoga con la linearità del parco agricolo. Ad una distanza più ravvicinata, tuttavia, il telo non risulta essere totalmente piano, poiché assecondando la forma della struttura si crea un leggero movimento utile alla raccolta dell’acqua piovana e ad avere una percezione migliore dell’intradosso della copertura. Gli aspetti compositivi, non vogliono però, tralasciare quelli legati alla sostenibilità e alla tecnologia; Il sistema di illuminazione a LED assicura un’elevata efficienza energetica, il telo fotocatalitico in PTFE (fibra di vetro) consente una diminuzione del livello di smog nell’intorno ed infine la raccolta delle acque piovane e il loro riuso per l’irrigazione comporta una diminuzione notevole dei consumi.

Nella pagina accanto: Pianta del secondo anello e della copertura


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Nella pagina accanto: Assonometria del secondo anello e della copertura


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In queste pagine : Vista dalle ultime file del secondo anello


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5.5

Gli utenti

Nelle pagine che seguono viene fatto un approfondimento sugli spazi, i percorsi, i posti, i servizi dedicati alle principali categorie di utenti che è possibile trovare nello stadio. V.I.P. e autorità

Nella pagina accanto: 1. Schematizzazione dei percorsi compiuti dai V.I.P. 2. Posti e superfici dedicate ai V.I.P. 3. Caratteristiche degli skybox 4. Pianta tipo dello skybox B 5. Vista dallo skybox 6. Vista interna dello skybox

Negli stadi contemporanei, quello che si cerca di fare è riservare una porzione degli spazi ad un target più facoltoso; tuttavia, si tende ad aumentare sempre di più questi ambienti poiché portano a dei ricavi sicuramente maggiori, e questa soluzione è adottata soprattutto nei casi in cui lo stadio è di proprietà della squadra. Inoltre, per far si che l’impianto sia vissuto 365 giorni all’anno spesso accade che lo stadio diventi sede di meeting, di pranzi e cene di lavoro, e che quindi ci siano degli spazi che possono essere affittati da parte di aziende esterne e privati. Nel nostro caso, si è cercato di bilanciare il peso degli spazi riservati ai V.I.P. e ai tifosi, cercando comunque di avere, ad esempio, un numero di skybox elevato rispetto alla media. Quando il V.I.P. arriva allo stadio ha immediatamente a disposizione un’area parcheggio riservata, con 250 posti auto, divisi su due zone. Viene poi accolto in un’ampia reception (450 mq circa) dove vengono effettuati i controlli di sicurezza e dove sono disponibili aree relax e spazi di lavoro. Attraverso delle risalite verticali si accede direttamente ai diversi piani

di skybox. Sono, infatti, disponibili due piani di skybox, per un totale di 46 locali, in ognuno dei quali è presente un angolo cottura più o meno grande a seconda della metratura del locale, un bagno, un soggiorno con un piccolo salotto e l’accesso diretto a dei posti in tribuna esclusivi. Il taglio degli skybox è diverso, sono state studiate due tipologie, una da 26 mq e l’altra da 40 mq. La prima può ospitare fino ad otto persone, mentre la seconda fino a dodici persone. Inoltre è possibile richiedere un catering per i pasti e scegliere a proprio piacimento l’arredamento dello skybox. Al primo piano è presente un’area lounge di 400 mq dedicata alle autorità, da cui è possibile accedere alla tribuna d’onore, che comprende 380 posti a sedere. Al secondo piano è invece disponibile una grande area lounge, circa 1100 mq, situata alle spalle degli skybox, nella quale sono disponibili aree relax, di lavoro, di svago e spazi di ristoro.


5. LE CARATTERISTICHE DELLO STADIO

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Media Gli spazi dedicati ai media sono concentrati nel piano interrato e al primo piano. Nel livello interrato è a loro disposizione un ampio parcheggio con 110 posti auto, una reception in cui è possibile fare i controlli di sicurezza e tutta una serie di locali di lavoro attrezzati. Sono presenti aree adibite ad uffici, studi TV, una sala conferenze da 150 mq, una sala per giornalisti e fotografi da 200 mq, due zone per le interviste brevi e infine la zona mista, in cui, al termine della partita, i giornalisti possono intervistare i giocatori. A questi ambienti si aggiungono quelli predisposti al piano primo con vista campo. Una grande superficie, circa 550 mq, comprende uno studio TV, un’area attrezzata con pc e tavoli da lavoro, un o spazio per ristoro e relax. I collegamenti tra i due livelli avvengono per mezzo di scale compartimentate ed ascensori, che consentono il deflusso anche in caso di emergenza. Nella pagina accanto: 7. Schematizzazione dei percorsi compiuti dai media 8. Ambienti dedicati ai media 9. Posti in tribuna dedicati ai media 10. Schematizzazione dei percorsi compiuti dai disabili 11. Schematizzazione dei percorsi compiuti dai tifosi 12. Schematizzazione dei percorsi compiuti dai giocatori

Persone con disabilità motoria La normativa prescrive che sia a disposizione di questa categoria di tifosi, un parcheggio con accesso indipendente, per questo nel piano interrato sono stati posizionati una serie di posti auto, opportunamente dimensionati, a loro disposizione. I disabili e i loro accompagnatori vengono poi accolti in una reception in cui vengono svolti i controlli di sicurezza e dalla qua-

le possono accedere, per mezzo di risalite meccaniche, al primo anello. È qui, infatti, che sono stati collocati i posti a loro dedicati. Il totale dei posti viene conteggiato in ragione di 1 ogni 500 posti, nel progetto sono stati previsti, quindi circa 100 postazioni. inoltre, gli ascensori predisposti per disabili possono arrivare fino al piano uno, in modo che anche essi possano godere di tutti i servizi offerti e della vista che si può avere da quella quota verso il parco. Tifosi I tifosi possono accedere allo stadio sono dalla quota zero, dove avvengono tutti i controlli di sicurezza; una volta superati questi, possono circolare liberamente nello stadio ed usufruire di tutti i servizi offerti. Alla quota zero si ha l’accesso diretto al primo anello, che conta un totale di 15.894 posti, mentre per accedere al secondo anello è necessario percorre delle scalinate o fruire delle risalite meccaniche; la seconda gradinata conta un totale di 33.640 posti a sedere. Giocatori Gli ambienti a loro dedicati sono concentrati esclusivamente nel piano interrato, nell’ala destra, a cui accedono con un ingresso indipendente. Qui hanno a disposizione oltre ad ampi spogliatoi, una zona per il riscaldamento, un centro medico, un’ area di primo soccorso e un’area per l’antidoping.


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In queste pagine : Sezione prospettica dello stadio


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