XVII Biennale di Penne

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BCC CREDITO COOPERATIVO Provincia di Pescara

Città di Penne

Promozione e organizzazione Amministrazione Comunale di Penne Fondazione Musap Comitato organizzatore Fernando Di Fabrizio Antonio Zimarino Mario Costantini Laura Cutilli Installazioni ambientali di video arte Antonio Zimarino con Ilaria Caravaglio, Mario Casanova, Rossella Iorio, Valeria Ronzitti Video screening Playscapes/Workscapes/Innerscapes Appunti di viaggio al confine fra arte e urbanistica Marco Antonini Segreteria organizzativa Laura Cutilli Allestimento Pino Di Bernando Gabriele Delle Monache Ringraziamenti MACT/CACT Arte Contemporanea Ticino - Bellinzona (CH) Museo Archeologico “G. B. Leopardi” - Penne MAMeC – Museo di Arte Moderna e Contemporanea - Penne Cooperativa Cogecstre Galerie Perrotin (Parigi – New York – Hong Kong) Associazione Nazionale Carabinieri Protezione Civile - Sez. di Penne Spazio inangolo Ufficio Stampa Rossella Iorio Progetto grafico Mario Costantini Stampa Arti Grafiche Cantagallo COGECSTRE Edizioni - Penne (PE) edizioni@cogecstre.com

BANCA DI CREDITO COOPERATIVO CASTIGLIONE M. R. E PIANELLA

Fondazione

MUSAP


Unexpected stories between places and walls

XVII Biennale d’Arte Città di Penne

Penne 9 -19 novembre 2013


Rocco D’Alfonso Sindaco del Comune di Penne

Sono trascorsi dieci anni dall’ultima edizione della Biennale d’Arte Contemporanea di Penne, che si è svolta negli anni 2002-2003 col titolo Il Novecento nella donazione Galluppi. Dopo quell’importante evento, che ha posto le basi per la creazione di quel Museo d’Arte Moderna e Contemporanea che rappresenta una delle perle del ricco sistema museale del capoluogo vestino, la Biennale d’Arte ha cessato di esistere, lasciando un vuoto incolmabile nella vita culturale pennese. Fortunatamente, grazie agli sforzi della Fondazione dei Musei e degli Archivi di Penne, incoraggiati e sostenuti dall’amministrazione comunale e in particolare dall’Assessorato alla Cultura guidato da Paride Solini, la Biennale d’Arte Contemporanea torna a rivivere, recuperando quel ruolo di primo piano nel panorama artistico abruzzese che le era spettato sin dalla sua prima edizione nel lontano 1967. Il merito di questa rinascita va attribuito soprattutto ad Antonio Zimarino, apprezzato critico d’arte d’origine pescarese e curatore della nuova edizione della Biennale, che si baserà sulla formula assai innovativa e quanto mai interessante della video-arte, con i contributi di diciotto artisti già affermati o assai promettenti, la maggior parte dei quali di nazionalità straniera. Ma un apporto decisivo ai fini della riproposizione della Biennale d’Arte Contemporanea è stato fornito anche da Mario Costantini, profondo conoscitore del patrimonio artistico e culturale del capoluogo vestino e membro del Comitato Scientifico della Fondazione dei Musei e degli Archivi, da Laura Cutilli, direttrice dei musei di Penne, e da Fernando di Fabrizio, presidente della Fondazione Musap e direttore della Riserva Naturale Lago di Penne. Ognuno di loro ha lavorato con Zimarino nel progettare e nell’allestire la Biennale 2013, curando tutti i diversi aspetti della mostra con un gioco di squadra faticoso ma

ricco di stimoli e di gratificazioni. È a loro che si deve il merito di aver restituito a Penne e all’intero Abruzzo un evento di grande spessore culturale, destinato ad attirare nella “città del mattone” un gran numero di visitatori e di turisti attratti dalla bellezza e dall’originalità delle opere esposte. Ma la rinascita della Biennale d’Arte Contemporanea è anche il frutto di una promessa mantenuta. Nell’estate del 2011, nel presentare in Consiglio Comunale le Linee programmatiche di Governo per il quinquennio 2011-2016, la nuova amministrazione comunale da me guidata aveva inserito tra gli obiettivi da raggiungere in campo culturale la riproposizione della Biennale, al fine di portare a Penne artisti di calibro internazionale ed entrare nei circuiti delle mostre d’arte attirando visitatori ed esperti del settore. A poco più di due anni da quell’annuncio, l’auspicio di veder rinascere la Biennale d’Arte pennese è diventato realtà, grazie soprattutto alla proficua collaborazione tra la Fondazione dei Musei e degli Archivi e il Comune di Penne. Ed è anche grazie a questo importante evento che il capoluogo vestino può riscoprire la sua genuina vocazione di Città d’Arte, nota per la ricchezza del suo patrimonio storico e artistico e il prestigio delle sue iniziative culturali, tra le quali, oltre alla Biennale, occorre ricordare il Premio di Narrativa Città di Penne, giunto quest’anno alla trentacinquesima edizione e conosciuto e apprezzato ben al di fuori dei confini regionali. In qualità di Sindaco, oltre che come cittadino pennese, non posso che rallegrarmi, con una punta di orgoglio e di spirito campanilistico, per l’intensità e il dinamismo della vita culturale della mia Città, che anche per questa ragione è entrata a far parte, nel novembre 2011, dell’esclusivo Club dei Borghi più Belli d’Italia.


Laura Cutilli Direttrice del MAMeC

L’idea di intraprendere una nuova edizione della Biennale è nata all’interno del Comitato scientifico della Fondazione Penne Musei e Archivi con l’intento di proseguire nel solco di una tradizione consolidata nella città vestina. Inizialmente la Biennale era stata affidata a Gabriele Di Pietro, curatore di mostre d’arte internazionali e fondatore di ‘Trasalimenti - progetto per l’arte contemporanea’ a Castelbasso. Nella sua idea di Biennale la città di Penne, sarebbe stata la cerniera culturale e interscambio, di questo nuovo secolo tra il Sud e il Nord del Mondo, con la presenza sul territorio di artisti Asiatici, Europei e delle Americhe. La struttura dell’evento poteva dirsi in linea di massima pronta quando siamo stati colpiti dalla sua prematura scomparsa. Idealmente quindi la XVII edizione della Biennale viene dedicata a Gabriele Di Pietro. Il respiro internazionale della Biennale è stata l’eredità raccolta da Antonio Zimarino che ha deciso di sorprendere Penne attraverso ‘storie inattese’ che si snodano in più punti della Città. Le storie vengono raccontate attraverso video che svolgono più funzioni: una è quella di coinvolgere i nostri sensi alla visione e all’ascolto di ciò che non ci si aspetta, se non altro nell’uso di un linguaggio inconsueto che ci spinge a riflessioni più profonde. Un’altra funzione è quella di invitarci a riscoprire la Città, confrontandoci con altre visioni di città e realtà differenti, più o meno vicine o lontane dalle nostre. La videoArte nel suo rapporto con la città infatti crea un interessante connubio tra ciò che tradizionalmente è considerato statico, introducendo movimento laddove non c’è. I musei possono considerarsi sotto alcuni punti di vista luoghi immobili, fissi nelle loro collezioni e nella loro intrinseca staticità, mentre i video di per sé rappresentano l’idea stessa di movimento, pertanto il binomio che viene a formarsi crea recipro-

che influenze e nuove riflessioni. Bisogna poi aggiungere che le due precedenti edizioni della Biennale erano legate alla collezione Galluppi e alla nascita del Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Penne. Sono passati diversi anni dal progetto iniziale del Museo: alla sua nascita, le prime iniziative che la Fondazione ha intrapreso sono state la mostra sull’Arazzeria Pennese e la Biennale d’Arte in omaggio a quella che può considerarsi a ragione una forte vocazione artistica della Città. Investire nell’arte e, più in generale, nella valorizzazione del ricchissimo patrimonio culturale di Penne può sembrare un’operazione folle in questo particolare momento di crisi economica, ma la cultura è la nostra principale ricchezza che va salvaguardata e incentivata, perché fonte di rinascita economica, oltre Penne, veduta di Sant’Agostino e che rifugio nell’avversa sorte come sostene- Colleromano. Foto M. C. va Aristotele.


XVII Biennale di Penne Restituire un orizzonte e riprendere una storia Antonio Zimarino

A chi lo percorre venendo da altri luoghi, appare chiaro: il centro storico di Penne ha oggettivamente tutti gli elementi storici, urbanistici, architettonici, artistici per essere riconosciuto come uno dei più ricchi e importanti del Centro Italia: chiese, medioevali, barocche, ricche di decorazioni e suppellettili, archivi documentari, palazzi storici privati e pubblici, strutture urbanistiche (mura, cortili, botteghe), musei archeologici, medioevali, contemporanei. Penne è anche una città economicamente e socialmente dinamica e ciò l’ha portata a vivere e a mostrare, anche nel suo tessuto urbano e sociale, il contrasto tra la percezione della sua storia e la sua necessità di “rincorrere” la contemporaneità, le sue esigenze e i suoi stili di vita. Tale contrasto è chiaramente (e in taluni casi, tristemente) leggibile nei suoi sviluppi urbanistici recenti, così come nello spopolamento del suo splendido centro storico e nei contrasti tra impianti moderni e strutture antiche. Se le complicazioni delle condizioni economiche, i tagli alla cultura, lo stravolgimento di molti modelli culturali hanno aperto nuove ferite nel nostro Paese, non poteva essere diversamente per la realtà del territorio Vestino e della Città di Penne. Lo sviluppo di nuove aree urbanizzate intorno al centro storico ha posto però un nuovo problema: gran parte degli stessi cittadini sembra oggi riconoscere a fatica la bellezza e l’importanza dell’identità cittadina della quale non sempre hanno percezione. Le amministrazioni locali e regionali e molti suoi cittadini hanno lottato come hanno potuto e voluto per mantenere visibile questa grande storia e questa precisa identità cittadina tra storia e contemporaneità, ma finora non sono riuscite a curare questo degrado e a sviluppare le potenzialità che invece questa identità culturale offrirebbe, sia in termini di coscienza civile che di impresa culturale.

Questa antica città ha un rapporto con l’arte contemporanea lungo più di cinquant’anni: iniziato timidamente nel 1958, con una primissima mostra di arte figurativa di autori dell’area vestina e pescarese, nel 1967 comincia a strutturarsi in un progetto più definito grazie anche al sostegno di Remo Brindisi la cui famiglia era originaria pennese e com’era frequente in quegli anni, si propose un premio. La manifestazione vide la partecipazione di molti artisti operanti o formatisi in regione e tale formula si mantenne l’anno successivo, il 1968 che vide la partecipazione dei migliori artisti operanti sul territorio, alcuni dei quali, allora quasi agli esordi hanno raggiunto oggi anche rilevanza internazionale. Dal 1969 al 1974, quella di Penne divenne “Mostra Regionale” perdendo l’elemento competitivo e precisando le sue strategie culturali: divenne sempre più forte, come tipico di quegli anni, la sperimentazione, la ricerca formale, scultorea e pittorica e i cataloghi di quegli anni documentano tutta l’evoluzione della ricerca realizzata dai più interessanti artisti regionali. Nel 1986, dopo un’interruzione di dodici anni dovuta alle difficoltà economiche e politiche di quegli anni, il progetto riprende ad altri livelli: si prova a far superare alla manifestazione il carattere regionale aprendo la rassegna a temi, questioni e problematiche nazionali. Dal 1988-89 la mostra assume il nome di “Biennale” da intendersi però in modo “rovesciato” rispetto a quello della famosissima Biennale nazionale: non si tratta di una mostra ogni due anni, ma di una sorta di progetto continuativo su due anni, in cui accadono altre cose e si sviluppano vari progetti espositivi:“omaggi” ad artisti di origine vestina, progetti e studi sul territorio, sulla storia e sull’architettura e persino, prime sperimentazioni di mostre virtuali.


Se l’edizione del 1988-89 appare legata a una serie di relazioni ancora in buona parte regionali, quella del 1990-91 acquisisce invece, grazie al progetto di Antonio Gasbarrini e Renzo Margonari, una piena identità nazionale sia nella complessità e profondità culturale che nella partecipazione di artisti. L’Edizione del 1992-93 offre ancora uno spunto ulteriore: la mostra coordinata ancora da Gasbarrini, si arricchisce di un team curatoriale composto da Marcello Venturoli, Lucia Spadano, Andrea Carnemolla; si esplorano diverse aree di ricerca dell’arte italiana, proponendo davvero uno spaccato interessantissimo della creatività di quegli anni. La dimensione nazionale si riconferma ancora con la rassegna del 1994-95 nella quale Enrico Crispolti espose le raccolte dei collezionisti della Regione che offrirono eccezionalmente in mostra le loro opere. Nel 1996-97, a cura di Lucia Spadano e Paolo Balmas, la rassegna pennese raggiunge uno dei suoi vertici qualitativi e culturali presentando linguaggi performativi, installazioni, sculture di qualità assoluta, insieme ad una riflessione sulla progettualità dell’architettura contemporanea. Nel 1998-99 la rassegna prova anche la sua internazionalizzazione allestendo e portando in mostra a New York l’archivio fotografico di Pasquale De Antoniis, uno dei più importanti fotografi di scena (cinematografica e teatrale) dell’Italia del secondo dopoguerra e la mostra dei ritratti dei grandi artisti americani del secondo Novecento, realizzata da Gianfranco Gorgoni. Nel 2000-01 la rassegna inizia la progettazione della sua “stabilità” presentando, a cura di Crispolti, Gasbarrini e Bojani il progetto del Museo di Arte Moderna e Contemporanea, presentando la donazione Galluppi, che costituisce il nucleo fondamentale del Museo MAMeC. Nel 2002-2003 la presentazione al pubblico della collezione del museo si approfondisce con studi e analisi e il progetto museale trova migliore definizione Il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Palazzo Castiglione, sede oggi della Collezione Galluppi, va a completare una rete museale civica unica per le città abruzzesi e ricchissima rispetto ad altri luoghi ita-

liani che si compone anche di un Museo Archeologico con straordinari reperti italici, preromani e romani e un Museo Civico Diocesano, con una raccolta di affreschi, dipinti, statue lignee e oreficeria che va dal IX al XVI secolo. Dal 2003 a oggi, l’attività d’arte ha comunque continuato ad avere i suoi piccoli e grandi episodi nati tra gli stessi artisti e intellettuali cittadini fino alla realizzazione della grande mostra inaugurata nel 2012 dedicata al laboratorio dell’Arazzeria Pennese che ha realizzato e sta riprendendo a tessere opere di grandissimi maestri (Afro, Balla, Capogrossi, Accardi, Spalletti etc.) La proposta Quando ci è stato proposto di ripartire con il progetto della “Biennale d’Arte Contemporanea” abbiamo iniziato ad analizzare le opportunità, le esigenze, le problematiche e le possibilità che questa città continua comunque ad offrire. Percorrendo la città con alcuni amici e collaboratori, siamo rimasti incantati dalla ricchezza che ancora si mantiene a fatica in monumenti chiusi da anni, dagli angoli, piazze e palazzi che in altre Regioni forse ospiterebbero file di turisti e attività economiche ad essi legate. È emerso quindi il desiderio di poter “restituire” a chi guarda, la bellezza, l’identità, la storia che si respira all’interno dei suoi luoghi e delle sue mura. Restituire ai cittadini, agli Amministratori, alla Regione, all’Italia stessa quanto è possibile qui ritrovare in suggestione, identità, storia, creatività e proposta. I nuovi linguaggi d’arte possono aiutare a far vedere, scorgere o ridonare una bellezza tale per cui valga davvero la pena di impegnarsi, ritrovare orgoglio e idee di fronte alla rimozione o all’ignoranza. Mostrare cosa è veramente questa identità e cosa si è capaci di dire, fare ed essere nonostante crisi economiche o culturali, sperimentando con l’arte come attraverso questo recupero di coscienza e di identità si possa iniziare a pensare a vie di uscita esistenziali e sociali a quello


stato di apatia a cui le difficoltà tendono a costringerci. In questa prospettiva si colloca oggi il nostro progetto per l’Arte Contemporanea a Penne che riprende il percorso delle sue “Biennali” con una rassegna di video arte internazionale “Unexpected Stories” (between places and walls) - Storie inattese tra i luoghi e le mura. Proprio per la storia appena raccontata e per la bellezza della città, non ci sentivamo di proporre una mostra “regionale o locale” ma piuttosto un progetto che fosse il più possibile aperto all’Italia e all’internazionalità, chiamando in aiuto artisti, critici, curatori, operatori sensibili per tentare di riaprire gli occhi dell’opinione pubblica regionale e italiana, ritrovare stimoli e progetti che l’arte e la cultura sempre offrono per uscire dal “buio” di prospettive e di orizzonti a cui ci costringe la rimozione di quello che realmente siamo e siamo stati. La nostra edizione della Biennale di Penne riparte da questa storia puntando ad una riflessione sui linguaggi e modi che si sono definiti nell’Arte Contemporanea dei primi decenni del 2000: riparte dall’internazionalità, dall’apertura alle relazioni con artisti e curatori, riparte con la video arte, inedita o quasi nelle rassegne precedenti e con un progetto a lungo termine che intende proseguire con mostre anche di altro tipo che hanno l’obiettivo di far incontrare e confrontare il “genius loci”, l’identità di un luogo, con il Mondo, sempre meglio collegato e sempre più aperto a comprendere e a confrontare le identità.

Veduta di San Giovanni Evangelista. Foto M. C.


Dalle Unexpected stories al progetto del possibile Antonio Zimarino

In questa rassegna presentiamo una selezione complessa e significativa delle declinazioni della video arte contemporanea che si esprimono con modalità diverse: analitica, documentaristica, narrativa, onirica, simbolica, iconica, performativa, analogica e digitale. L’internazionalità “geografica” e mentale delle proposte mostra sensibilità e sguardi diversi dal nostro e testimoniano diverse mentalità e contesti con cui, se lo desideriamo, possiamo confrontarci facendo un’esperienza densa e profonda del valore della creatività contemporanea. L’arte contemporanea, poiché si manifesta in un tempo, in uno spazio e in un contesto che condividiamo con l’artista, può essere incontrata se non ci si arrende al facile “non capisco – non mi piace”, se la osserviamo come “problema” e ipotesi, piuttosto che come dato. Di fronte a cose che “stanno accadendo”, di fronte a forme che non hanno il supporto di una lettura e definizione storico – culturale stabile, non possiamo rinunciare al compito realmente umano di diventare consapevoli delle ragioni e dei motivi che il “Problema” ci pone: non possiamo esimerci dunque dal “pensare” sull’Arte Contemporanea comprendendone prima di tutto le sue forme e i suoi mezzi, poiché costruire, combinare, confrontare, ipotizzare e identificare significati è la quintessenza dell’Umano. In una mostra d’arte contemporanea (e quindi anche di videoarte, che è uno dei linguaggi più recenti dell’espressione artistica, pur avendo già i suoi 40/50 anni di storia) non si dovrebbe mai cercare, subire e accettare “verità”, ma piuttosto si dovrebbe essere disposti a riflettere e confrontarsi con qualcosa che ha bisogno di essere elaborato e riflesso per essere colto nel suo senso. Del resto, a cosa servirebbe mai un’arte che sappia solo ridire ciò che già sappiamo? A cosa mai può servire vedere

ciò che ci aspettiamo di vedere? Se accettiamo di considerare attentamente sensi e significati inattesi, possiamo scegliere consapevolmente la nostra posizione rispetto a essi: la capacità di comprendere ci da la possibilità di capire, di ampliare sensibilità e quindi di definirci; l’Arte Contemporanea è per sua stessa intima condizione e struttura, un interrogativo, una “provocazione” al nostro sapere e quando essa nelle sue declinazioni migliori e nella sua qualità visiva, diviene una domanda complessa, ci costringe a mettere in moto il processo del pensiero e della definizione. Del resto l’arte esprime la forma di un “pensare” e di un “essere” e quella contemporanea in particolare, con la sua complessità di linguaggi e rimandi è lì per permetterci di pensare ed essere “diversamente”. Di fronte a opere e a linguaggi espressivi complessi e non convenzionali, dovremmo avere il coraggio e la pazienza di cambiare atteggiamento: al di là di quello estetico/ estatico che riserviamo all’arte a noi familiare (che è pur sempre un modo di interiorizzare e pensare l’opera) dobbiamo relazionarci con un linguaggio e una sua logica specifica per capire cosa e come il resto viene “detto”, ma questo implica “tempo e pensiero”, ponderazione e ascolto operazioni che vengono molto prima dell’affermare qualcosa. Dentro questa logica del confronto c’è il senso di una rassegna che intende aprire ai pensieri, all’immaginario, alle conoscenze e alle riflessioni; per alcuni queste opere potranno risultare insolite, per altri forse solo decorative, per altri ancora addirittura, “non –arte”, ma solo incontrando queste culture e confrontandosi con forme e pensieri differenti si possono elaborare pensieri e posizioni differenti. La condizione di contemporaneità richiede costantemente la capacità dell’intelligenza


di guardare in profondità ipotesi visive instabili, molto simili al nostro sguardo che osserva il quotidiano o all’immaginazione che fluisce dalle cose in noi e viceversa. La domanda è: possono essere capaci di fornire stimoli e suggestioni al nostro costruire e sviluppare pensiero? Che cosa sono davvero questi “quadri” che vivono? Che cosa dicono queste “storie inaspettate” e che cosa ci propongono con i loro momenti di straniamento, intensità, ironia o poesia? La videoarte né più né meno, fa, quello che qualsiasi medium artistico ha sempre fatto: proporre sensi e interpretazioni da sperimentare visivamente e intellettualmente, operazioni che richiedono tempo, intelligenza e attenzione per essere recepite e valutate e così sedimentarsi nella cultura che andiamo costruendo ed elaborando. Tuttavia, la nostra rassegna non è solo questo: abbiamo voluto provare a cambiare logica anche nel criterio della sua organizzazione, scegliendo di lavorare a uno scambio costruttivo con realtà ed esperienze curatoriali ed espositive nazionali e internazionali; discutendo e condividendo temi del progetto in una logica collaborativa e di scambio, tentando una “costruzione collettiva” di significati, strategie, allestimenti, soluzioni, per spingere dove e come possibile, alla costruzione di circuiti virtuosi di scambio di pensieri e risorse tra artisti, curatori, strutture espositive, pubblico e committenti. La crisi finanziaria ha profondamente indebolito se non annullato le tradizionali fonti economiche a sostegno della cultura artistica del contemporaneo; le maggiori risorse sono attirate dalle istituzioni più grandi e sono sempre meno i collezionisti che possono permettersi grandi acquisti. In conseguenza le stesse medie/grandi gallerie devono sopravvivere nel mercato con strategie sempre più selettive e/o spregiudicate; tali condizioni mettono in discussione la credibilità culturale delle proposte del sistema dell’arte del postcapitalismo dal momento che le strategie di promozione sono sempre più condizionate da logiche di marketing. Di fronte ai limiti culturali evidenti di tale modello, c’é oggi la necessità di una maggiore coerenza culturale, di mentalità

collaborativa, di logiche di confronto più che di supponenza, e queste nuove modalità appaiono le condizioni necessarie alla stessa sopravvivenza degli operatori e degli artisti. Esse a loro volta generano anche nuovi modi di ripensare la funzione delle arti nella società e il rapporto tra pubblico, operatori e artisti e quindi, i criteri della selezione e visibilità dell’arte stessa. La reciprocità, la visione solidale costruita nel desiderio comune di condividere capacità, professionalità, esperienze, conoscenze appare anche agli studiosi, una delle poche vie percorribili per riorganizzare un’etica dei sistemi dell’arte, (e quindi della promozione e valutazione dell’arte stessa, così come della costruzione della cultura) finora organizzati prevalentemente nelle strategie e nelle regole del marketing e nei diktat dei diversi poteri economici o consortili che li organizzano e controllano. Abbiamo provato allora a sperimentare questo modello, in antitesi a quanto prevalentemente si osserva nella promozione regionale e italiana dell’arte contemporanea, proponendo di verificare in Abruzzo, delle strategie già praticate con notevoli risultati da molte istituzioni e operatori internazionali. Le possibilità che può offrire un “sistema dell’arte” che lavori sulla reciprocità e sulla qualità della proposta e del senso, piuttosto che su forme speculative di promozione è qui di fronte al pubblico. In questa logica appare inutile fare distinzioni tra locale, italiano, regionale, nazionale, internazionale: gli artisti vanno presentati per ciò che è la qualità della loro ricerca e l’arte, per ciò che ci offre da leggere, esperire e riflettere. Abbiamo aperto quindi il nostro progetto, a partire da un linguaggio (video arte), inedito o quasi nelle rassegne pennesi ma tra i più praticati a livello mondiale; riguardo la città stessa e la sua storia, abbiamo aperto all’arte contemporanea uno splendido e suggestivo luogo storico, la chiesa di S.Giovanni Evangelista; abbiamo aperto le strutture dei Musei all’intersezione con la creatività contemporanea. La chiesa di S.Giovanni Evangelista appare un luogo ideale per dare un futuro al progetto: dispone di molteplici ambienti, è urbanisti-


camente localizzata come “pendant” ideale rispetto al Polo museale composto dal MAMeC, dal Museo Archeologico e dal Museo Diocesano, collocati sul colle opposto dei due che raccolgono lo sviluppo urbano della città antica. Si realizza così una linea concettuale che unisce i due colli, legando idealmente le due “anime” vivissime della storia culturale della città: la conservazione d’identità (Polo Museale) e la proposta di ricerca d’identità (Polo Espositivo di S.Giovanni). Le “Unexpected stories” sottolineano con la propria, l’identità, la specificità e la necessità che tali luoghi possano tornare a vivere: il nostro progetto originario ipotizzava anche che torri, campanili e mura fossero animate dai colori e dal movimento per mostrare come la città antica e la cultura che ha costruito nel tempo, possa ancora attirare e offrire bellezza inattesa, ma abbiamo potuto soltanto far sì che le opere andassero ad animare di suoni e di vita il luogo che le ospita, proponendo allo spettatore di confrontarsi con “l’inatteso”. Questa XVII edizione della Biennale di Penne vuole mostrare che tutto questo può accadere: sviluppare un luogo in grado di ospitare mostre e discussioni, uno spazio dove immaginare e confrontare, nel quale il territorio incontri il mondo e il mondo il territorio, dove sia possibile contraccambiare esperienze artistiche e culturali, far incontrare, conoscere, far crescere pensieri ed esperienze in una logica di reciprocità, di collaborazione e di confronto, in modo assolutamente non competitivo e costruire un luogo di relazioni culturali che aprano ulteriori possibilità d’idee, di arte e di creatività.

Chiesa SS. Annunziata. Foto M. C.


Mirko Aretini A quiet moment, 2009

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l video è in realtà una sorta di clip della durata di poco più di un minuto. Statico, ma ipnotico nell’uso dell’immagine e del suono, il filmato vuole rappresentare una piacevole riflessione sui mezzi di comunicazione audio-visivi, svelando il suo significato non già attraverso un impianto narrativo, bensì grazie alla bellezza dell’immagine e a una colonna sonora in continuo passaggio tra due gradi fondamentali della musica; il primo e il quinto. Un video corto, che ha in sé il concetto universale di bellezza.

Mirko Aretini (1984 - Sorengo, Svizzera) È scrittore, video maker, artista, blogger, regista. Opera attraverso il mezzo video in maniera non più multimodale (…) annulla le barriere stilistiche e le etichettature tra artista video, film maker o regista di documentari, facendo sue altre forme espressive quali quelle di scrittore di racconti, copioni etc, (…) Figura irriverente, recupera abilmente, attraverso un lessico solo in apparenza impersonale e distaccato, il concetto di transmedialità per rifare il percorso inverso verso una coscienza e una responsabilità cognitiva dell’individuo.

Proiezione video: 1’30’’ Master Digital Betacam (Videocompany, Zofingen), colore+audio, edizione 1/5 collezione privata, Svizzera. Courtesy MACT/CACT Suisse


Flavia Bigi Greenwave, 2005 – 2013

Flavia Bigi (1965) vive e lavora tra Roma e Proiezione video: 03.00 Parigi. Nella sua ricerca il più classico e il più contemporaneo coesistono e si giustificano a vicenda. Colore, forma, e movimento mimano lo stesso tema, il divenire e l’immutabile trapassano l’uno nell’altro, sottintendono lo stesso meccanismo nell’infinita, ineluttabile, varietà delle sue metamorfosi. La sua preoccupazione si incentra sulle varie forma di interazione e conflitto tra ambiente e genere umano. www.flaviabigi.com

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reenwave è una sorta di autoritratto liquido, un riciclo vitale, dove si incontrano pittura e video, emozione e introspezione, stasi e movimento. “Anziché usare i pennelli, ho usato il software per dipingere il video, quindi si tratta di pittura in movimento/moving painting. La metafora dell’acqua fa riferimento alle variabili reali e metaforiche della trasformazione e metamorfosi umana. Tutto l’universo rientra nell‘ordine della poesia come emozione e sentimento”.


Silvia Camporesi 2112, 2012

112 è un progetto video interamente realizzato sull’isola di Gozo. Il titolo è un diretto riferimento alla presupposta fine del mondo del 21 Dicembre 2012. Il giorno che il mondo sarebbe dovuto finire Silvia Camporesi ha passeggiato in giro per l’isola di Gozo, cercando di registrare tutto quello che poteva succedere nell’arco di questo importante giorno. Il video della Camporesi è un tributo alla tranquillità. Ogni cosa nel video è statica, c’è solo il movimento del mare. Guardando il video possiamo percepire il tempo che passa, nell’attesa di qualcosa che non accadrà mai.

Silvia Camporesi (Forlì 1973) laureata in filosofia, vive e lavora a Forlì. Attraverso i linguaggi della fotografia e del video costruisce racconti che traggono spunto dal mito, dalla letteratura, dalle religioni e dalla vita reale. Dal 2003 tiene personali in Italia (l’ultima nel 2011 - La Terza Venezia alla Galleria Photographica fine art di Lugano) e all’estero - all’Istituto italiano di cultura di Pechino nel 2006; alla Chambre Blanche in Quebec (CAN) nel 2011; al Saint James Cavalier di Valletta (Malta) nel 2013. Nel 2007 ha vinto il Premio Celeste per la fotografia ed è fra i finalisti del Talent prize nel 2008, del Premio Terna nel 2010.

Durata: 2.42 anno: 2012 www.silviacamporesi.it

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Pier Giorgio De Pinto Digital fingerpaint, 2013

utoritratto inteso come trasformazione. Un tentativo di trasformare i pixel digitali in una sorta di pittura digitale/digitalizzata. Un omaggio al mio lavoro dove solitamente combino performance dal vivo con i nuovi media digitali interattivi. Il titolo è un gioco di parole sul nome dei “colori per dita” o “colori digitali” usati dai bambini che non sono nocivi per la salute. Di solito i bimbi smettono di giocare sulla carta con i colori e cominciano a mettere la pittura su di loro. Il contrasto tra il set di bianco e nero e la vernice colorata flou rende l’idea ancora più forte.

Pier Giorgio De Pinto (1968) vive e lavora Proiezione video: 2’52” video: HD tra Italia e Svizzera performer: P.G. De Pinto Artista transdisciplinare, nel suo lavoro attraversa differenti media: il video, il disegno, l’arte digitale ed interattiva, la performance, l’installazione. Solitamente i suoi progetti coinvolgono altri autori, come musicisti, coreografi, performer e artisti provenienti da diversi background culturali, di stile e identità di genere. Grazie a queste collaborazioni De Pinto ha la possibilità di realizzare nuovi progetti sperimentali e radicali, in grado di stimolare la discussione su stereotipi e pregiudizi, ponendo domande scomode negli ambiti di cultura, politica e religione. www.depinto.it 58indicesonthebody.wordpress.com/

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Paolo Dell’Elce View, 2013

Il progetto di un lavoro su Penne, sui residui di identità urbana e paesaggistica, si è inceppato sulla prima visione che ho avuto arrivando nella città, mentre parcheggiavo. Non mi sento di fare altro e la mia ricerca collassa in un fermo immagine. Quel punto di vista casuale che coincide con l’area di un parcheggio pubblico si è aperto per me sul luogo dell’immaginario. Il nucleo urbano prospiciente respinge lo sguardo che ripara e si distende nella direzione opposta, verso Colleromano e il convento. Penne è lontana: abbandonata a se stessa, immemore di se stessa. Di questo luogo resta nei miei occhi qualcosa di inalienabile che nessuna incuria umana potrà mai intaccare: la bellezza e il calore della sua luce che persiste nel cielo immanente e nel vasto respiro di un lungo pomeriggio d’estate”.

Paolo Dell’Elce fotografo, teorico e docente dei linguaggi visivi, dal 1978 ha tenuto centinaia di mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Sue opere figurano in collezioni pubbliche e private di tutto il mondo. Nel 1996 è stato invitato alla Mostra “Fotografia Italiana 1900-1990” presso la Fototeca Nazionale di Cuba. Ha collaborato come docente di Estetica del linguaggio della Fotografia con il National Centre of Photography of Russian Federation e nel 2002 all’Università di La Plata (Argentina) dove realizza la mostra antologica “Il sentimento del paesaggio”. Nel 2007 è stato invitato a tenere la mostra personale presso il National Centre of Photography of Russian Federation di San Pietroburgo.

Proiezione video: 2’.46’’ musiche: Maurice Ravel - Ma mère l’oye, Pavane de la belle au bois dormant video: Ipod/Colore


Ryan Spring Dooley O’Conner, 2013

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l video è ispirato alle atmosfere metamorfiche che avvolgono i racconti della scrittrice americana Flannery O’Connor. Le visioni si compenetrano continuamente, le figure danzano, le associazioni di immagini paradossali vivono dentro il ritmo veloce di un unico movimento. Lo stop-motion permette di percepire il montaggio dei disegni schizzati da un tratto netto ed essenziale, come favola cosmica e surreale con immagini che sembrano partorirsi l’una con l’altra. Ogni cosa si connette al tutto e continuamente percorre (anche graficamente) la suggestione di quello stimolo fino a placarsi nell’intimità di una casa, nel calore di un abbraccio. Il suono accompagna emotivamente e percettivamente la narrazione: da una work-song degli schiavi neri d’America, al blues più puro (parte della cultura nativa di Flannery O’Connor), al rumore di una puntina su un vecchio vinile che lega le sequenze del video, ai rumori della città, al finale tepore del silenzio. Ryan Spring Dooley (1977 Madison, Wisconsin, USA). Cresce in una comunità di artisti insieme alla madre, pittrice e ballerina di danza contemporanea. Frequenta l’accademia di belle arti del Minnesota e sviluppa la ricerca di un’arte totale in cui tutte le espressioni si contaminano. Si laurea nel 1999 a Pavia, e si dedica anche al teatro incontrando Peter Schuman e il Bread and Puppets theatre. Rientrato negli Stati Uniti si avvicina al mondo della Street Art fino ad entrarne a far parte ufficialmente con la tag di Marvin Crushler. Nel 2000 si stabilisce in Italia , tra la campagna pavese e Milano. Partecipa a numerose jam , mostre collettive e personali , in cui ha l’opportunità di confrontare i propri punti di vista e di misurarsi con il pubblico, con il quale vuole creare un rapporto di intenso scambio di emozioni e idee, trovando soprattutto nella pittura, così come nel video, un modo dinamico e completo di comunicare. Durata: 08’.08’’ tecnica: stop-motion/ animazione anno: 2010-2013


Franco Fiorillo 4200 cmq, 2013

Franco Fiorillo vive e lavora a Roma, L’Aquila, Pescara. Allievo di Fabio Mauri, partecipa a mostre, performance, pubblicazioni e progetti operando con diverse Istituzioni. Fa parte del comitato scientifico del CeDRAP dell’Università La Sapienza, Roma. Collabora a progetti internazionali partecipando a diversi Multiple Name. I lavori più recenti: “L’Arte delle relazioni La pratica partecipata nell’arte (a cura di P. Ferri e S. Baroni, Accademia BBAA, Museo MACRO Roma), ”One enemy of mine” personale a cura di Patrizia Ferri (Studio d’Arte Contemporanea Pino Casagrande, Roma)

Proiezione video: 5.00 doppia proiezione (affiancata) formato avi 4:3 www.francofiorillo.net

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200 cmq è lo spazio vitale utilizzato per pensare questo lavoro. Partendo da una riflessione su “che cos’è un museo d’arte contemporanea” ho iniziato un viaggio virtuale attraverso il web. A voler visitare tutti i musei, seguendo mostre ed esplorando tutti gli spazi, non basterebbe una vita d’artista (considerando al di là delle esigenze vitali, anche la produzione di opere, i tempi, le distanze, i costi, il jet lag). Ho esplorato un museo che non conosco (Mimesis, in Korea del Sud, progetto architettonico di Alvaro Siza) e che non ho mai visitato. La scelta è stata casuale, dettata da un tema comune a molti musei di respiro internazionale: dopo averne realizzato il plastico, basato sulle planimetrie e i dati dettagliati estrapolati da siti d’architettura, ho tentato di arricchire il video con materiali girati in studio, sovrapponendoli a documenti video-fotografici preesistenti.


Hrvoje Hirsl 3 colors (RGB), 2012

rvoje Hirsl attua la sua sperimentazione video sul doppio livello della materialità e del concetto. Il materiale è quello trovato nella memoria collettiva della cultura cinematografica. Il concetto è quello che permette alla materia di detournarsi e diventare prima di tutto colore. Il video screening tripartito in rosso, grigio e blu riprende la successione cromatica della bandiera francese, esplicito riferimento al background filmico delle pellicole di Kieslowsky. Hirsl propone un ulteriore riflessione sul tempo. La proiezione simultanea dei film aggiunge una stratificazione temporale alle pellicole originarie e aggiunge un completamento a quei link visuali che già vi esistevano. La memoria di una visione non simultanea si trasforma in presenza attuale. Quindi non si tratta solo di un esperimento estetico, ma anche di una rielaborazione dei tempi possibili della visione.

Hrvoje Hirsl è nato nel 1982 a Dubrovnik, Croazia. Si è laureato all’Accademia di Belle Arti dell’Università di Spalato in Design e Comunicazione visiva. Attualmente sta studiando Storia dell’Arte dei Media presso la Donau-Universitat Krems (Austria). I suoi lavori si trovano nella zona di attraversamento fra arte contemporanea e media art. I principali temi di riflessione sono la materialità di un oggetto, l’energia che può diffondere nello spazio e i limiti insiti nel medium artistico stesso.

Durata: 1h 35” 08’ tecnica: video modificato con il modello additivo di colore RGB anno: 2012 www.hrvojehirsl.com

H


Franco Losvizzero FAT ZER, 2013

V

ideo inedito della Performance del Coniglio Bianco avvenuta a Berlino nell’inverno 2012. Lo spettacolo performativo ambientato internamente ed esternamente nel grande teatro Volksbühne (Rosa Luxemburg Platz ) ha visto, il personaggio simbolo delle performance dal vivo dell’artista Franco Losvizzero, aggirarsi esplorando le “umane gesta”. Tra guerra dell’impossibile e la “impossibile guerra” del Fatzer di Bertolt Brecht, il bianconiglio appare come fantasma cristico con le nudità extraterrestri, dalle profondità della terra, di noi stessi. Un viaggio nell’inconscio accompagnati da quel coniglio che in Alice Nel Paese Delle Meraviglie ci portava oltre il “buco”del reale nell’abisso delle “meraviglie” dell’Arte. Franco Losvizzero (Andrea Bezziccheri) (1973) vive e lavora a Roma. Regista sperimentale, fotografo, disegnatore, videoartista, scultore, performer, le opere evocano spesso figure rassicuranti: giocattoli, favole per bambini, carillon alterati nell’essenza o nell’apparenza, capaci di risvegliare suggestioni dell’infanzia e inquietudini sopite. La deformità, esteriore e interiore, l’infanzia e le sue trasfigurazioni, il mondo del circo, simboli e immagini ancestrali, la maschera, sono tutti elementi ricorrenti nella sua opera.

www.francolosvizzero.com

Durata: 8’.00” musiche originali “Frangiflutti” di Ottomano e Ludovico Van Piazza performer: Anna Bastoni regia: Andrea Bezziccheri effetti e post production: Tommaso Sabatini


Serena Porrati E rb, 2008

Serena Porrati è nata nel 1981 a Milano. Si è laureata in Arti e Tecnologia all’Accademia di Belle Arti d Brera (Milano) ed ha lavorato nel Dipartimento di Arti Visuali. Il suo lavoro è stato scelto per festival come Milano Noir e Giald, e Good Luck vs Bad Luck (Istambul). Ha ottenuto numerosi riconoscimenti: Il premio La seconda Luna e il riconoscimento Fair Play per il film ed il video. Serena Porrati è co-curatrice del progetto 222222 La più triste musica del Mondo, il cui set è ispirato al paesaggio della periferia milanese. L’artista è stata selezionata per partecipare al BJCEM 2011.

Proiezione video: 5.00 doppia proiezione (affiancata) formato avi 4:3 www.serenaporrati.com

E

rb è un progetto audiovisivo che prende spunto dalla flora che cresce nell’ambiente urbano. I frame video e le scene sono invase da piante in fiore, comunemente chiamate erbacce (erbe infestanti). Questi organismi non voluti, conosciuti per avere la capacità e la forza di crescere e riprodursi in condizioni estreme, vengono spiate da una telecamera da una distanza molto ravvicinata. Le piante sono state filmate e poi presentate con il loro nome botanico. Ogni singola sequenza è stata montata osservando l’ordine alfabetico dei nomi. E rb è un piccolo video-catalogo di quelle forme di flora che possono adattare il loro sistema biologico ed il loro comportamento agli elementi innaturali della città, come la luce elettrica, l’inquinamento ed il rumore. Il risultato di questo processo potrebbe essere anche visto come un’analisi non convenzionale della biodiversità urbana.


Massimo Vitangeli FUALI, 2010

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l Progetto FUALI parte dall’ermeneutica di Heidegger (Essere e tempo), dalla Fenomenologia della percezione di Merleau-Ponty, e dalle teorizzazioni filosofiche - antropologiche di Franco La Cecla nel suo concetto del Perdersi. Il progetto è costituito da quattro video Geble–Sarg Sahel–Tell. Per i Gourmantchè di Gobnangou del Burkina Faso, Fuali non è un territorio definibile, ma uno spazio i cui confini si muovono, variano in funzione del momento. i Mauri, che popolano i vasti spazi del Sahara Occidentale, danno dei nomi ai diversi spostamenti del terreno delle dune. Questa nomenclatura è in considerazione dell’orientamento e del fatto che il terreno è pensato come un essere vivente e come tale sempre in movimento e orientato nelle quattro direzioni, in cui è diviso l’orizzonte, geble, tell, sahel, sarg.

Massimo Vitangeli. (1950) vive e lavora a Polverigi, Ancona. La verità non sta in un solo sogno ma in molti sogni, Pier Paolo Pasolini. Artista, insegna all’Accademia di Belle Arti di Urbino. Autore di varie esposizioni nazionali e internazionali e di numerosi work experience, lecture e conferenze realizzati per musei e centri di arte contemporanea. Opera con diversi linguaggi come il video, la fotografia e l’installazione. Il suo lavoro si orienta in una sorta di sentimento antropologico del contemporaneo, in cui comprendere la questione identitaria esplorandone le relazioni e i codici che frammentano lo spazio sociale e culturale, conferendo una forma alla visione del mondo, a un’idea, a una filosofia.

Durata: 22,40 musiche: Tum’n


Playscapes/ Workscapes/ Innerscapes Appunti di viaggio al confine fra arte e urbanistica Marco Antonini

I video selezionati per questo screening sono stati realizzati da un gruppo di artisti quanto mai disomogeneo, spesso distanti tra loro non solo geograficamente, ma anche per interessi personali, strategie artistiche e di comunicazione. Lo screening mette ciascun lavoro in comunicazione diretta, creando connessioni che ispirano una riflessione più ampia sui mutevoli cambiamenti di significato che i concetti di identità personale e collettiva assumono nel contesto della cittá contemporanea. La complessa realtá di contesti urbani distanti e per molti aspetti incomparabili, ognuno rivelato ed esplorato a partire da una serie di idee ora giocose, ora costruttive, comunque poetiche, diviene sia riflesso che motivo del lavoro degli artisti. Gli incontri con le comunitá locali vengono filtrati da un approccio che pone l’idea artistica, o quello che potremmo chiamare “urbanismo poetico”, nel principio dello scambio, in modo che “Playscapes/ Workscapes/ Innerscapes” non sia un manuale di soluzioni, ma un taccuino di appunti ed immagini. Qualunque sia la sua posizione geografica, importanza politica, ricchezza e composizione demografica, la cittá contemporanea é una luogo che richiede fiducia e consapevolezza in se stessi e negli altri. L’idea di collettivitá e partecipazione appartengono sempre meno alla strada o alla piazza e sempre più alla rete di connessioni interpersonali che viviamo e, in buona parte, subiamo quotidianamente. A livello urbano, l’idea di partecipazione sopravvive più che altro in forme rituali. Questi momenti di coesione sono una barriera, una bandiera alzata, un trampolino: celebrazione mnemonica e retroattiva di un presente sempre piú inafferabile. Ogni piccola e grande forma di “resistenza urbana” diviene laboratorio per possibili realtá parallele, ed é in questa chiave di lettura che i lavori presentati in questo

screening riescono a dare il massimo. Cinquant’anni fa René Clair suggeriva che il potenziale creativo del cinema fosse paragonabile a quello dell’architettura. Seguendo il suo ragionamento, in un era che ha visto Hollywood subire il sorpasso dell’industria dei videogame, l’astratta simultaneitá e multidimensionalitá dei new media puó essere paragonata alla flessibilitá e trasparenza dell’urbanistica odierna. Le linee di confine che demarcavano i vari livelli psicologici e affettivi dello spazio urbano sono andate via via sfumando, erose da una sovraesposizione generale in cui “vicino” e “lontano” sono appiattiti allo stesso modo di “mio” e “tuo” e, cosa forse ancor più importante, di “io” e “noi/voi”. Questa situazione si traduce in una macroscopica equivalenza: quella fra spazio pubblico e spazio privato. I lavori presentati in Playscapes/ Workscapes/ Innerscapes sono proiezioni di individualitá frammentate e mutevoli su una sfera pubblica essa stessa frammentata e mutevole. Le idee degli artisti, le loro domande e investigazioni, le loro soluzioni temporanee e i loro spunti di conversazione partono dalla comunitá (sia piccola che grande) e dallo spazio urbano, per arrivare alla realizzazione di un’opera d’arte che rifletta non solo il suo contesto d’appartenenza ma la singolaritá del suo creatore.


Ivan Argote Lovely, 2010 - The Pigeon, 2010 - Boom, 2007

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van Argote ha studiato a Bogotà design e new media presso l’Università Nazionale della Colombia e arti figurative presso la Scuola superiore nazionale di Belle Arti di Parigi. Argote lavora con media misti: video legate ad azioni performative, fotografia, scultura, pittura, arti digitali e video condividono spesso un particolare senso dell’umorismo, dall’accento ribelle verso le maniere con cui tradizionalmente ci si relaziona all’arte. “I miei lavori sono riflessioni sul comportamento, sul come riusciamo a comprendere il nostro ambiente più intimo, e su come questo stesso ambiente sia legato alla storia, alle tradizioni, all’arte, alla politica e al potere. Generare queste riflessioni attraverso uno spirito giocoso, mi permette di lavorare con grande libertà in diverse maniere, e questo rappresenta anche una considerazione su “come la maniera che un artista usa per operare sull’arte”, dice qualcosa sull’artista stesso. Ivan Argote è nato a Bogota nel 1983. Vive e lavora a Parigi. Lovely, 2010 durata: loop – 1’ edizione di 5 + 2AP The Pigeon, 2010 durata: 11’59” edizione di 5 + 2AP Boom, 2007 
 durata: 0.45” edizione di 5 + 2AP

www.ivanargote.com

Courtesy Galerie Perrotin


Alban Muja Blue wall red door, 2009

uesto video ha l’obiettivo di analizzare il modo attraverso cui la popolazione di Prishtina si orienta, individuando qual è per loro il principale oggetto o costruzione che usano per il loro orientamento. I nomi delle strade non sono assolutamente il modo con cui le persone si orientano nella città. A partire dall’ultimo decennio I nomi delle strade sono state cambiate molte volte e ad oggi sembra proprio che nessuno si orienti utilizzando I nomi delle strade. E tutto questo appare ancora più evidente quando l’autore chiede ad un taxi di portarlo fino ad una tale strada o in un certo posto, o nel caso in cui chiede loro di portarlo ad un indirizzo specifico, deve fornire ulteriori spiegazioni. Una grande sfida nella nostra società arriva quando qualcuno (ed è di solito uno straniero) con una cartina nelle sue mani chiede dov’è una strada o come fa a raggiungerla. Le difficoltà iniziano nel momento in cui soltanto qualcuno raramente può dare indicazioni per spostarsi da un postoad un altro attraverso l’indirizzo, eccetto le persone che vivono in quel quartiere.

Alban Muja è nato nel 1980, vive e lavora a Prishtina (Kosovo) Il suo lavoro copre un ampio raggio di media inclusi video installazioni, film corti, film documentari, disegni, pittura e fotografia. Le sue opere sono state esposte in mostre internazionali, in festival ed eventi inclusi un numero significante di mostre personali.

Film: 33 min, pal 16/9 www.albanmuja.blogspot.com

Q


Laura Napier Project for a street corner, 2006

Laura Napier è nata a San Diego nel 1976, lavora e vive nel Bronx, New York. È quindi un’artista di sede (trasferitasi) a New York che esplora comportamenti, società e luoghi attraverso performance partecipative e installazioni. Le sue installazioni personali sono state esposte alla PS122 Gallery e al Bronx Blue Bedroom Project, entrambe a New York. Recentemente ha proposto installazioni e performance presso NURTUREart, HERE Arts Center e No Longer Empty all’Andrew Freedman Home nel Bronx. Alivello nazionale ha esposto al The Contemporary Arts Center di Las Vegas e al The Hatchery Art Spaces in California. A livello internazionale fra le altre collaborazioni, ci sono state le mostre presso il MMX Open Art Venue di Berlino

Tecnica: video a colori e suono durata: 4’.37” anno: 2006 www.lauranapier.com

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ue azioni comportamentali in un angolo di strada congestionato di Manhattan, New York. Il filo conduttore è rappresentato da cinque storie sui telefoni cellulari. Il lavoro dell’artista fa parte di una serie di video tratti da performances segrete, ovvero in cui l’azione del pubblico non è consapevole, svolte in diversi spazi pubblici a New York, Berlino, Las Vegas e New Delhi.


Anne Percoco Test Drive, 2009

Anne Percoco è nata nel 1982 a Boston. Vive e lavora a Jersey City. Dopo la conclusione degli studi alla Rutgers University (MFA, 2008), l’artista ha ottenuto una borsa di studio presso l’Asian Cultural, con l’obiettivo di fare ricerca e produrre nuovi lavori in India. Anne Percoco ha presentato in eventi personali il suo lavoro al Chitrakala Parishath College of Art (Bangalore, India), al NURTURE Art e alla A.I.R.. Gallery, entrambe a Brooklyn. Recentemente ha partecipato al programma A.I.M. del Bronx Museum, che prevede l’esposizione dei lavori alla Biennale del 2014.

Durata: 01’. 41” anno: 2009 www.annepercoco.com

I

partecipanti a questa performance collettiva viaggiano come un’automobile pedestre, un veicolo guidato, un corpo-macchina in una strada pubblica del distretto di Vianjagar a Bengalore. Potendosi muovere ad una velocità maggiore che a piedi e ad una velocità minore di una macchina o una moto, i partecipanti alla performance negoziano il loro spazio e il loro percorso all’interno dei già esistenti circuiti del traffico automobilistico. Questi tragitti, esperimenti più ludici che funzionali, forniscono un’opportunità per un utilizzo non lineare degli spazi della città e uno spunto di riflessione sui cambiamenti della pianificazione delle città e delle sue infrastrutture per soddisfare l’incremento dei veicoli privati. La performance e il video sono stati sponsorizzati da Asian Cultural e dal Bengalore Artist Center.


Jan Pfeiffer Beyond Control, 2010

Jan Pfeiffer è nato a Praga nel 1984. Tra le sue mostre personali: Urbanism of Memory, Open Gallery, Bratislava, 2010; Limited Overlap, Galerie mladých BKC, Brno, 2010; Trough and Trough, Vernon Project Gallery, Praga, 2008. Già vincitore di premi e concorsi (Premio della giuria al Other Visions 2009, PAF – 8th festival of Film Animation, 2009; Primo premio al Essl Award CEE 2009) ha partecipato a numerose mostre collettive.

Tecnica: video assistenza tecnica e documentazione: Kristyna Milde durata: 12’ anno: 2010 www.janpfeiffer.info

B

eyond Control presenta una visione ironica della pianificazione urbana, che rovescia le sue regole al fine di creare uno spazio di possibilità e soluzioni inaspettate. Il costruttore è bendato e sta progettando un piano per una città fittizia. Le principali risorse utilizzate nella costruzione sono la memoria e l’intuito. La razionalità e la presupposta conoscenza della pianificazione urbana sono pertanto lasciate indietro, insieme alla necessità del controllo. Le strutture che appaiono sono variabili, irrazionali e non coerenti.


Daniel Seiple Missis Sippi, 2002

S

i tratta di un fiume che nasce da un rubinetto della Soap Factory, e scorre per 500 metri attraverso il paesaggio urbano, prima di congiungersi con il fiume suo omonimo, il Mississippi. L’opera è stata commissionata dalla Soap Factory in occasione della mostra Supernatural Satisfaction, curata da Joseph Del Pesco.

Daniel Seiple è un artista americano ad oggi di base a Berlino. Utilizza una vasta scelta di media artistici: scultura, performance, video e curatela. La sua ricerca sviluppa schemi visionari per attivare spazi pubblici e privati. Come strategia artistica, il suo lavoro traccia e trova forme negli interstizi e nelle rovine che caratterizzano la cultura contemporanea. Seiple è stato il fondatore di Homie, una spazio per mostre residenziali a Berlino (2005-2009), e un membro fondatore dei collettivi artistici eteam (20002002) e KUNSTtrePUBLIK, in cui lavora fin dal 2006 come curatore, artista, ricercatore e attivita presso lo Skulpturenpark Berlin_Zentrum e in altri contesti, inclusi il Werkleitz Festival (Halle/Saale, 2010), id Barri (Barcellona, 2009), Vasl Arts (Pakistan, 2008) e la 5th berlin biennial for contemporary art (2008). Seiple è Watson Visiting Collaborator presso la Syracuse University di New York.

www.travelhome.org

Tecnica: video; installazione interna/ esterna luogo: Soap Factory, Minneapolis (US) durata: 9’,12” anno: 2002-2009


Philippe Van Wolputte Give Off/Give Out, 2011

ive Off/Give Out documenta l’azione di Philippe Van Wolputte a Jakarta il 5 Gennaio del 2011. È parte di una serie di lavori dell’artista che affrontano la problematica dell’amianto, spesso presente nelle abitazioni abbandonate. Attualmente l’Indonesia è il secondo più grande importatore di amianto al mondo in cui la popolazione locale non è informata sui pericoli derivanti dalla sua inalazione. Nel video è possibile vedere una piccola squadra di lavoratori su un sito in demolizione, che cercano di impedire lo spargimento delle polveri sottili, portatrici di amianto, nell’aria innaffiando il terreno del sito. Questa azione viene ripetuta in diversi luoghi della città.

Philippe Van Wolputte 1982. Vive e lavora Durata: 04’.44” anno: 2011 ad Antwerp e Amsterdam. Le sue installazioni, azioni e collages mostrano e suggeriscono le possibilità insite in spazi abbandonati e in disuso, che hanno un’importante funzione nella memoria e nel paesaggio sociale di una città e in qualche modo possiedono una loro propria bellezza. Le sue fotografie, video e collages documentano e esprimono l’esperienza, l’azione e l’interpretazione dell’artista in questi luoghi. I suoi Temporary Penetrable Spaces (interventi site-specific) accadono in spazi dismessi e costruzioni che verranno presto demolite. Nella documentazione dei suoi interventi invece l’artista gioca con il feticismo della documentazione confondendo in essa finzione e realtà. www.vanwolputteprogress.eu

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Biennale d’Arte città di Penne: critici e organizzatori dal 1967 al 2002 R. Ciglia, G. D’Addazio, A. De Fabritiis, F. Di Nicola, G. Rossi, E. Accatino, R. Brindisi, C. De Fabritiis, G. Rosato, G. Sgattoni, A. Rubini, T. Sergiacomo, G. Misticoni, V. Di Nicola, N. Tonelli, A. Di Nino, A. Giammarino, C. Pilone, F. Fiore, E. Di Blasio, E. Di Carlo, S. Lauriello, G. Sgattoni, M. Costantini, V. Napoletano, N. Perilli, R. Petrucci, E. Modesti, E. Patacchini, L. Rossi, T. Di Teodoro, V. Pavone, D. Rasicci, F. Di Federico, R. Evangelista, L. Stroveglia, G. Di Vincenzo, M. Mariani, A. Rubini, N. D’Addazio, B. Di Fabrizio, F. De Fabritiis, M. Core, R. Di Fazio, F. De Fabritiis, D. Toppeta, N. D’Addazio, A. Gasbarrini, R. Margonari, N. C. Di Giorgio, F. Di Nicola, F. Pierdomenico, M. Venturoli, L. Spadano, A. Carnemolla, L. Marcotullio, E. Crispolti, L. Tomagè, S. Cardinali, E. Habicher, G. Mauri, F. Cutilli, P. Balmas, O. Buonamano, R. Minore, G. Di Bernardo, G. C. Bojani.

Fondazione Penne Musei e Archivi - Via C. De Caesaris, 18 65017 Penne (Pe) Tel/fax 085 8210745 www. musap.gov.it Museo Arte Moderna e Contemporanea - Via M. Pansa 37/39 Tel. 085 8210160 Museo Archeologico ‘G. B. Leopardi’ - P.zza Duomo, 8 Tel. 085 8211727, fax 085 8211068 Museo Naturalistico ‘N. De Leone’- Riserva Naturale Regionale Lago di Penne Tel. 085 8279489



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