Come ogni altra cosa

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Marco Castellani

“Come per ogni altra cosa...”

Racconti, poesie, brevi saggi.

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A mia moglie Paola: senza il suo prezioso sostegno, probabilmente, questo libro non sarebbe mai stato realizzato.

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Racconti

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Angela “Sail on silver girl sail on by...” Bridge over Troubled Water, Simon & Garfunkel Così quella sera Angela era corsa in camera piangendo. Così si era buttata su letto, la testa premuta forte forte sul cuscino. Forte ad asciugare i lacrimoni. Solo perchè papà aveva detto quelle asprezze. Solo questo, solo. Sei grande, ormai. Ecco qui, la fregatura é quando ti dicono così. E sei grande, ecco, allora dici le parole aspre, sbuffiamo del niente, e la mamma, "papà ha ragione", la mamma, insomma. Il cuscino era zuppo. Angela durava fatica nel tentare di riordinare i propri pensieri. Ma voleva farlo. Pensare mi piace. Pensare di mio, non ripetere, ricordare frasi d'altri o della tv. Pensare mi rassicura. Mi rassicura trovare un pensiero, trovarlo e renderlo solido con pensieri tutti intorno a sostenerlo e illustrarlo. Pag. 6


A volergli bene come un gruppo di amici. Infatti il pianto già le si calmava. Allora si alzò e andò allo specchio. Le lacrime le rigavano la faccia, in mille rivolini che finivano in bocca, sulla lingua, che sapevano di salato. Lo diceva la mamma, "sei meno bella quando piangi, non piangere". Però a volte si ha tanta voglia, di piangere. Perchè, nemmeno si sa. Quante cose non si sanno, pensava Angela. Da piccola non lo sapeva, non si rendeva conto, delle cose che non si sapevano. Il suo mondo era intero, le sembrava che tutto quello che le serviva fosse lì, tranne che in quei pochi momenti che le sembrava di essere da sola, e allora aveva paura. Poi era un pò cresciuta, e che tante cose non si sanno, non si capiscono subito bene, le era diventato evidente. Pero' sotto sotto rimaneva la convinzione che i grandi le sapessero, queste cose. Adesso, forse nè piccola nè grande, si rendeva conto che certe cose non le sanno neppure i grandi. E il mondo le era diventato ai suoi occhi diverso, piu' bello tante volte di come lo vedeva da bambina, ma anche più strano, più complesso. L'avrebbe detto da piccola che talvolta neanche i grandi ci si raccapezzassero?

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No, certamente no, pensava mentre si raccoglieva i capelli dietro la nuca, un occhio allo specchio della cameretta, per vedere se si era un pò rimessa a posto. Ormai era chiaro, ormai l’aveva compreso: i grandi non tengono tra le mani un filo chiaro del fluire delle cose, anche loro fanno talvolta le cose dei piccoli, si sbagliano, cambiano idea, tornano indietro, e forse chissà fanno anche i capricci. Però quando guardano me sembra tutto definito, chiaro, molto ben delineato, anche troppo - rifletteva Angela. Devi studiare, andare a scuola, gli orari sono questi, ecco, torna a quest'ora, esci a quest’altra. Però un pò mi prendono in giro, l’ho capito che non è così chiaro come mi dicono, che c’è dell’altro. O che manca qualcosa, invece. Anche i libri che studiavano a scuola, sempre un po' noiosi, un pò lontani dalla vita reale, a volte però... però.... la prendevano di contropiede. Leopardi non si era proprio abituato, alla vita dei grandi, mi pare. E forse Pavese anche no, anche se non lo capisco molto. Insomma riservavano delle sorprese, questi libri, magari a leggerli un po' fuori dal modo solito, senza tutto l’apparato di commenti a piè di pagina, che ti dà l’impressione di riinquadrare tutto in uno schema. La cosa buffa è che ogni tanto ritrovava delle somiglianze con i testi di alcune canzoni. ...pero' quelli di matematica no, decisamente non le pareva facessero altrettanto.

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Ora che il pianto si era fermato, tamponato sapientemente con pochi gesti delle mani, si sentiva piu' calma. In fin dei conti ci arrabbiamo tanto per delle stupidaggini. Basterebbe che mi ricordassi che le cose belle esistono lo stesso, sempre, anche quando mi sento così. Come Francesco. Eh sì che ormai non poteva non pensare che ne era innamorata. E tutte le attenzioni che le riservava non le erano sfuggite. Poi in qualche modo c’era questo fatto nuovo, che lui - che questa faccenda - la faceva sentire importante, speciale. Che il suo corpo era diventato speciale, oggetto dell'attenzione di qualcuno, il suo modo di scherzare, di parlare, era guardato in maniera particolare. Quando le aveva preso le mani tra le sue, con quella dolcezza sicura, un brivido e un senso di riparo, dolce, troppo dolce, le era passato in un guizzo attraverso tutto il corpo, sì che ne era diventata consapevole in maniera da esserne quasi scossa. Una cosa strana, una pulsione di emozioni incontrollate, quasi che urlavano attenzione. Che complicatezza, inserite in questa vita che sembra organizzata, preordinata. Però che bello. Che cosa calda, che dolci pensieri. Passare la vita a guardare negli occhi suoi. Dolci e teneri, ma piu' forti e

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decisi, guizzanti di ragazzo aperto e diretto. Diretti negli occhi di lei, quegli occhi. A volte quando il sole fendeva le cose di taglio, spazzando l’aria nei mille pulviscolini sospesi, lei pensava a Francesco, e le pareva così puro, onesto, impavido ma gentile... Guardava le cose e pensava a lui. Sì, comunque, lui o non lui, non si può guardare le cose e pensare a niente, niente di bello, perchè è quasi un male, quasi un dolore sennò. Certi adulti, certi professori: d'accordo, anche bravi - così pareva però le sembravano così. Ecco lui guarda le cose in modo sbagliato. Accigliato, un pò stanco. Eppure anche lei a volte era così. Poi si riprendeva, però. Dalla porta semiaperta ora filtrava un filo di luce, della luce calda del salone. Le dava sicurezza, calore. Avere un posto, essere voluti, qui, in casa. Essere voluti bene. Ormai, placato il pianto, era ricettiva ai rumori, e percepì d’un tratto un brusio sommesso, la voce bassa e costante di papà, come un nastro di sottofondo piacevole, conosciuto, e poi, quasi come orpelli, decorazioni, le inserzioni irregolari in un tono più acuto, inconfondibilmente materno. Le due voci trasportavano nell'intonazione il desiderio di non disturbare, di non turbare, di non offendere. Lei con un moto improvviso dell’animo consentì e ringraziò mentalmente. Sì, forse era stata precipitosa nei suoi giudizi. Ma cavolo, che importa, che importa ora?

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Si svestì in fretta e si mise a letto. Ebbe allora la senzazione che tutte le cose, gli oggetti da lei amati, considerati, si acciambellassero ai piedi del suo letto, preparandosi al sonno anche loro. D’improvviso si chiuse il sipario della giornata, con un segnale convenuto tutto si preparava al riposo, un filo rosso amico ora tutto connetteva, coordinava. Non c’era disordine, dissipazione, tutto convergeva. Le cose diverse, i pensieri diversi, ora non si litigano più tra di loro, hanno fatto pace. C’è pace. Angela voleva capire meglio questa sensazione, pensare, ma era serena e dunque il sonno la prese delicatamente e lei si lasciò subito afferrare e non disse no e non affermò un suo parere o un suo puntiglio. Tanto fuori il mondo era pieno di cose amiche.

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L’accappatoio e le stelle. Accadeva talvolta che mi sporgessi sul balcone, verso sera, dalla parte della casa che si affacciava sulla rampa di discesa verso il magazzino. Bisogna dire che il posto dova abitavamo era assai gradevole, ciò servirà a comprendere meglio il seguito di questa piccola storia. Dunque, abitavamo in un piccolo paese a pochi chilometri da Roma. Se vi interessa dirò pure che il problema fondamentale era il traffico, alle ore di punta per andare e tornare dagli uffici. Questo, però, non è fondamentale da sapere. La cosa bella era, in quel periodo (quale periodo? L’inizio dell’autunno), l’aria tersa e cristallina che si respirava nelle ore serali. Si poteva indugiare sul balcone e guardare le luci della grande città, ancora liberi dai morsi del freddo invernale che di li a poco sarebbero inesorabilmete giunti. In particolare, poi, era bello guardare con che evidenza le stelle si stagliassero sul cielo serale, erano proprio barbagli vivissimi di luce chiara. Più volte, uscendo sul terrazzo dalla parte della nostra stanza da letto, mi aveva colpito immediatamente un dettaglio, che voi direste magari inessenziale. Contro la splendente volta del cielo Pag. 12


si paravano talvolta coperte, lenzuola, accappatoi, una variopinta parata di panni che piovevano dallo stendino del balcone sovrastante il mio. La cosa era buffa, buffo infatti era l'effetto di contrasto che ne derivava osservandoli su tale sfondo luminoso. Inoltre, devo confessarvi, mi comunicava quasi un senso di calore questo contatto involontario con gli oggetti più comuni della vita quotidiana di altre persone, quasi una familiarità in cui sentirsi a proprio agio. Chissà, forse senza accorgermene si riproiettavano nella mia testa antichi ricordi di queste grandi case dove si stava tutti insieme, mamme papà cugini zii zie nonni nonne e vari fratelli e cugini, forse quelle grandi case delle famiglie dei contadini, quando quasi tutti si era contadini. "Adesso lo dico a Franca, chissà se è una cosa che vale la pena dire". Pensai tra me, una volta che, uscito in balcone, mi si era presentato lo spettacolo descritto. Il problema era, in effetti, che tutta questa storia (ve ne sarete accorti anche voi) non era chiarissima. Voglio dire, che le vado a dire, che ho visto un accappatoio steso? A proposito, come forse si puo' evincere dal contesto, vi dirò che Franca è mia moglie. Insomma, per farla corta, mi decido, rientro. "Sai, ho visto un'accappatoio steso...", esordisco. Subitaneamente, prima di qualunque risposta, mi rendo sgradevolmente conto dell’inpatto piuttosto fiacco della frase di esordio. Un naso (carino, secondo me) spunta fuori dalla Settimana Enigmistica. "Qual è quello stato africano.... di undici

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lettere...?...dai!", mi fa Franca, seduta sul letto. Io non rispondo, un pò seccato perchè il mio esordio era flebile, un pò perchè non è stato

raccolto,

e

non

ultimo

perche' non

conosco

sufficientemente gli stati africani. Poi inaspettatamente mi dice: "Quale accappatoio? Ho lasciato la roba fuori? Ma è impossibile, io stendo sempre dall’altra parte..." "No, no, quello del piano di sopra, sai...", e' ora di mettere tutto in campo, penso. "E allora?", fa Franca, con una ineccepibile logica. "Beh, sai, niente in particolare, ma... Con queste stelle in cielo, fa un effetto

buffo,

con

questa

luminosita'

un

po'

diffusa,

quest'arietta...", mi butto. Siamo al dunque. Franca mi guarda con quel fare professionale, che mi spaventa alquanto. Lei lavora come assistente presso un famoso neurologo della capitale... OK, visto che ci siamo buttati, tanto vale buttarsi completamente (ma non dal balcone, penso), al massimo domani mi porta dal dottore. "Dai, vieni a vedere, usciamo in balcone". "Vengo, d’accordo", mi asseconda. Beh, che altro dire. Voglio dire, stava lì. Il contrasto di quella zona scura, molto vicina, contro quella miriade di puntini sfavillanti, lontani lontani, era... era "qualcosa". Lei guardò quel qualcosa.

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Lei guardò me. Si vide poi che tentava di mettere in relazione logica l’intera faccenda. Si vide infine che la relazione logica era di difficile reperibilità. Da ultimo si vide che probabilmente pensava di portarmi dal dottore. Fece la faccia rassicurante: funzionò, infatti mi preoccupai immediatamente. Mentre cercavo di cominciare a cercare di pensare ad una transizione sufficientemente smoot ad un altro argomento, un trillo balzò nell’aria proveniente dall'interno. “Just then the phone ring...” pensai ricordando una canzone dei Pink. Mentre Franca andava a rispondere, mi sorpresi a pensare se mi avrebbe preso un appuntamento già per l'indomani.

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Alice Apri le tue vele ad accogliere il vento, che ancora molto per te deve accadere. Angelo Branduardi, Il Viaggiatore. Dunque finalmente solo. Un brivido percorse la sua schiena mentre lo attraversava un tale pensiero. Era un taglio netto, una ferita profonda, ma anche un'apertura. Era forse troppo tutto insieme, troppo per decidere se bene o male. Che Alice avesse detto "forse e' meglio cosi'" e che se ne fosse andata, mai lo avrebbe pensato possibile, prima di allora. Ma era dunque proprio cosi', che quello che c'era, semplicemente c'era, ed era acquisito ed in un certo modo definito ed assimilato, non piu' solo valutato o valutabile, o soggetto a (oggetto di) riflessione. Ma ora Alice non c'era piu'. Con lui, non c'era piu'. Dunque solo, e questo si sbalzava ex abrupto alla mente come argomento dominante. La luna si specchiava sul canale, il riflesso si slargava in una gialla scia luminescente. La notte era fredda e stellata, pungente era l'aria ed una delicata brezza gli arrossava le guance. Era uscito di casa, neanche sapeva bene perche', per passeggiare all'aria, per schiarirsi le idee. Sembrava finito tutto, Pag. 16


ed ora provava il brivido che sempre avvertiva davanti alle transizioni improvvise, agli scossoni della vita. Beh, in fin dei conti non era niente, era forse cosi' che doveva finire, era il termine naturale della faccenda, forse. O forse era una scommessa persa. Forse, quando la posta si faceva troppo alta, si metteva paura e abbandonava il tavolo da gioco. Un eccessivo orgoglio, un rimarcare troppo la propria (stranamente) intoccabile autonomia, era stato questo a precipitare il tutto? Inutile, addentrarsi nei pensieri non chiariva, nanche questa volta. Come sempre era stato, pensare troppo annuvolava e stemperava tutto in un magma indistinto senza piu' chiarezza. Piu' utile era guardare. Guardare fuori. Fuori di se. E' li' che veramente succedono le cose. Ma cosa succedera' adesso? Si alzo' e si allontano, lentamente, dal canale. La vista dell'acqua, il tremolio della luce e i mille contorni luminescenti che generava sulla molle superficie dell'acqua, in un certo modo come fuoco baluginante di un camino, placavano il risentimento piu' pungente, l'angoscia piu' aspra. Nella notte plumbea spiccava cristallina la luce del bar all'angolo, dilagava languidamente una striscia luminosa che lambiva l'asfalto umido, una luce calda che invitava ad avvicinarsi.

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Conosceva bene quel bar. Gia' la vetrina attirava, era quasi una festa per l'occhio, aveva pensato altre volte (ma con stupore noto' come fosse vero anche in questo momento): tante belle bottiglie di varia foggia e colore messe, con bella arte, in due file parallele che correvano lungo la vetrata (cosi', come se per loro niente fosse successo), poi delle decorazioni per il Natale (era infatti la fine di dicembre) rosse e di un argentino quasi squillante, quindi qualche confezione di caffe' di varie marche e tipologie, con antiche fogge e orpellosi disegni. All'interno, qualche tavolino rotondo e infine un lucido bancone lungo e ampio faceva bella mostra di se. Si decise ad entrare. Una vampata di caldo lo raggiunse in piena faccia. Antonio stava pulendo dei bicchieri, due persone giovani sedevano al tavolo vicino alla parete, apparentemente intente a tracannare onesti boccali di birra e a parlare fitto, una televisione parlava in tono persuasivo ai pacchettini di caramelle colorate - che peraltro non mostravano segni di un chiaro interesse - rischiarandoli a tratti di luce azzurrina. Antonio diede una prima occhiata rapida (come faceva sempre quando si apriva la porta del bar), poi senza che il suo viso cambiasse minimamente, si rimise intento al suo lavoro. Poi pero' inaspettatamente sorrise. "Ciao Sandro, offro io oggi, la vuoi una birra? Ne berrei una con te, poi mando via quei due e

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chiudo, e' un po' tardi, ormai." "Grazie Antonio, ma non serve..." "Serve, serve, te lo dico io che serve, lo so io. Basta guardarti..." I baristi sono tutti un po' dottori, penso' Sandro, sara' per mestiere che riescono a capirti solo con un'occhiata. Ed era stato il preludio ad una aperta chiaccherata, franca ed anche un tantino liberatoria, con Antonio che ripeteva piu' volte "Io credo che non dovresti prendertela, davvero". E lo diceva con un tono, e rimarcando quel "davvero", che avresti pensato che solo un folle avrebbe potuto disattendere un simile consiglio. "E' che si vive cosi', un po' cosi', oggi. Io, tu, un po cosi'..." "Scusa Antonio, mi fai il filosofo!" ad un certo punto infatti lo aveva quasi preso di petto, non gli andava proprio giu' quel fatto di buttare due parole li' facendo intendere chissa' cosa e poi, quasi, al dunque non dire niente... "Ma poi, cosi', cosi'! Come, cosi'?" Antonio lo guardava con la faccia un po' stupefatta. Come a dire "ma non lo sai, sono solo un barista". "Un po'... un po' in disordine, ecco. Non c'e una cosa... non c'e' piu' una cosa che..." "Che? che cosa?" "Una cosa. Una cosa intorno a cui fare ordine, penso. Quando io ero bambino... era... Insomma, non so, che vuoi che ti dica!" "Vabbe' vuol dire che ora ci finiamo 'sta birra e me ne vado a casa, sara' meglio, va." E inspiegabilmente gli era venuta quasi voglia di ridere. Buffo: se ne sorprese quasi subito. Forse una birra di troppo. Indagando mentalmente scopri' ancora immediato e forte il dolore, ancora

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incompreso, non metabolizzato, che pungeva forte. Ma poi lo dimenticava e sorrideva. Gli occhi annebbiati annaspavano su quel che sembrava un quadro pastello di bottiglie colorate sugli scaffali. Tanti colori, tante informazioni diverse – troppe perche'? La rabbia trattenuta si scioglieva in stanchezza, sana. Si' che fissava Alberto e quasi perdeva il fuoco agli occhi come una fotografia stramba, perche' era troppo vicino e inoltre, a tratti, brani di discorso erano persi, ma Alberto apparentemente non ci faceva troppo caso. E a tratti come da un gorgo della memoria si riprendeva brandelli di passato troppo prossimo, che ancora lo turbavano: i vestiti di lei, i suoi odori, i profumi e anche l'odore del suo corpo, che lui pensava sempre "sono al sicuro" quando era a lei vicino, il suo corpo come tenera tana e riparo conosciuto... Pensieri che non erano pensieri ma che stringevano lo stomaco forte proprio perche' erano fatti concreti - odori, emozioni, felicita' trattenute o teneramente rivelate, a lei, a lei sola... Ma io gli voglio bene lo stesso, decise in un lampo. Certo, non era logico. No, non era quello che ci si sarebbe aspettato da lui, ora. Forse non era lucido, ora. Ma sorrise come se avesse pensato una cosa molto furba. Anzi di piu', le voglio bene di piu', anche se nella testa e' tutto in disordine e non c'e piu' il sentiero usato...Le abitudini acquisite, le convenzioni stabilite, le

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complicita' sottese agli sguardi di due innamorati, e desiderosi l'uno dell'altro. Non c'rano più, era tutto saltato. Divelto. Scoppiato di bomba furibonda e brutale. Era in strada. Antonio, e l'aveva salutato? Si' forse si', senza dubbio l'avro' salutato. Le luci della strada si spandevano agli occhi, forse qualche lacrima. Si passo' una mano sul volto. Era dispiaciuto ma in qualche modo rasserenato. Rasserenato? Spero' d'un tratto tutto il bene per lei, augurio tacito ma sentito. E per lui stesso, anche. Già, perche' fare economia di bene? Perche' un po' e non tutto? E anche per lei, che erano stati bene insieme. Anche bene: anche le liti, certo, ma anche bene. Era uno dei momenti in cui voleva tutto per tutti. E per se anche, si', ma senza asprezza, piuttosto era quasi una richiesta. Continuava a non capire come fosse proprio andata, per colpa di chi, in seguito a cosa. Pure sentiva che quella sera non era importante, in qualche modo. "C'e' tanto che deve accadere", pensò, e lo pensò non con angoscia, ma con curiosità. Lo penso' proprio con aperta curiosità. "Già, ma domattina sarà diverso", riflettè Sandro. "Mi sveglierò, lucido, mi alzerò e starò male, sarò a pezzi, lascia solo che ci pensi un pò." Per il momento però sembrava in fase interlocutoria, la realtà lo aggirava approfittando della sua confusione, guizzava via non inquadrata, schematizzata come al

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solito. Quasi sull'uscio di casa incrociò una giovane donna. Era intabarrata per il freddo e procedeva spedita ma aveva un aspetto dolce. Forse intuendo qualcosa (le donne intuiscono queste cose - ed altre) gli sorrise. O così sembrò solo per un gioco di luci e di riflessi? Anche questo pero' a lui non importava. Infatti, pensava Sandro, doveva accadere molto. Ancora.

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Lavinia “E niente mai perduto va, al centro tornerà” (Angelo Branduardi, Rifluisce il fiume) La sorpresi nel salotto, seduta sul divano, lo sguardo fisso, ma profondo, sulla ampia vetrata che dava sulla spiaggia. Il sole ormai arrossava l'acqua di un inquieto riverbero, e l'aria era frizzante. Scolpiva quell'aria - fresca dopo l'afa della giornata estiva - sbalzava ogni momento, ogni gesto come in un altorilievo della memoria. Cosi' ora sorprendo la sequenza dei miei gesti e dei suoi, delle sue parole come fissata su un nastro. Il suo volto era bello. Attraverso lei, mi accorsi, respirava il mare, la spiaggia rossa. La calma sostanziale delle cose. Aveva un libro posato in grembo. Non mi parlo' subito, ma attese. Anch'io, attesi. Poi volto' il viso lentamente. Volevo uscire dalla stanza, tutto era quieto, armonico, non volevo portare il mio disordine, desideravo allontanare la mia irruente impazienza. L'insoddisfazione di me per me stesso strideva con l'armonia del resto. Rispettare l'ordine naturale delle cose, limpido e profondo. Pag. 23


Parlo' e le sue parole vibravano per la quieta aria estiva, e la piana femminea sua voce arrampicava senza sforzo apparente per il pulviscolo sbalzato a vivo tratto in una stria dalla finestra avvampata di sole - al divano ove tante volte avevamo parlato, parlato e sorriso. “Sai, leggevo una poesia...” “Si'? Quale.” “Una poesia. Una.” Si alzo' e lentamente si porto' alla finestra. Riprese a parlare osservando la scia vermiglia che brillava sul mare. “Sai, e' tutto questo cosi'... vero.... piu' vero ma sempre sempre nascosto. Anche quando fa male, quando pur mi fa male, e' sempre meglio che nascosto. Amore mio!” Mi guardo' teneramente, e rimasi commosso. Tutto accadeva ed era bello. Bello come accadeva. “Di'. Dimmi.” “Non voglio morire.... Cioe' essere morta. Voglio morire, ma soltanto quando muoio. Non essere morta mentre vivo. Capisci, tutto manca di... una parola vera, come un quadro senza colore. No, non manca” continuo' stringendo gli occhi verso il mare, ”lo

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facciamo mancare.” Levo' lo sguardo verso il cielo vermiglio e un'espressione di bellezza fiera si dipinse sul suo volto. Rimasi un poco ad osservare la sua sagoma stagliata contro l'ampia vetrata irradiata dal sole. Era deliziosa. Pensai che mai in nessun modo avrei potuto comprenderla appieno. Ma era questo il fascino, mi dissi. Non risposi, per il momento. Ne' mi parve che lei attendesse una risposta, ed era meglio cosi'. Io ero appagato da quanto vedevo, e da come mi sentivo, non desideravo dire altro. Riprese il suo libro, di nuovo quello sguardo assorto. Attesi un momento in silenzio, il quadro aveva ripreso la sua compostezza. L'ampia vetrata che dava sulla spiaggia era parzialmente aperta. Filtrava una brezzolina sottile e fresca. Uscii lentamente sulla spiaggia. Camminavo con calma, ascoltando il rumore stesso dei miei passi, insieme all'eco dei rumori lontani che riverberavano per l'intera estensione della spiaggia. Essa formava un ampio semicerchio, che sembrava stringere il mare in un limpido amoroso abbraccio. La bellezza del mare di sera colmava il cuore di calma e di una punta acuta di felicita', cosi' spesso trattenuta. Sempre camminando piano giunsi al bagniasciuga. Li' vi scorsi Lavinia, la bimba dei nostri vicini, che giocava assorta con la

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sabbia. Avra' avuto sei anni, di certo aveva dei limpidi occhi azzurri, uno sguardo vivo e frizzante. Stava facendo un castello, proseguiva con attenzione e meticolosità, senza fretta. Rimasi per un attimo affascinato dalla calma della piccola bimba. Lei registro' la mia presenza, si fermo' un attimo, poi si rimise al lavoro. Alla fine mi chiese: “Ti piace allora?” “ E' molto bello” dissi osservandola. “Beh, si, e' bello.” Indugio' un attimo, pensando. “Pero' poteva venire meglio. Guarda! Poteva venire cosi' e cosi' “ E muoveva rapidamente le piccole mani, descrivendo una struttura che era nel suo pensiero “Pero' era difficile, in realta' volevo fare cosi'... Pero' anche cosi' va bene.” Era palesemente contenta del suo lavoro, mi guardava come per rendermi partecipe di quel piccolo spettacolo, il suo piccolo lavoro di fronte al mondo. Parlando con lei mi sentivo curiosamente sereno e i miei sensi si acuivano piano piano. Posavo i pensieri che frullavano nella testa pian pianino tutti al loro posto, sentivo il mondo esterno chiamarmi come per un timido invito: la risacca del mare, la fresca brezzolina ora quasi

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pungente. Un invito tiepido e tramante a dire "Si!" a tutto, ma pur timido e rispettoso della mia volonta'. Per Lavinia era tutto quasi spontaneo, per me si trattava di riaprirsi, di sentire col cuore, di nuovo. Nel frattempo Lavinia, seguendo qualche suo pensiero segreto, aveva

deciso

alcune

modifiche,

e

le

stava

ponendo

accuratamente in opera. Certo, domani il vento e il mare avrebbero portato via il castello, lei pure avrebbe fatto altri giochi, ma qualcosa rimaneva. Qualcosa sempre rimane, pensai. I bimbi gia' lo sanno, qualcosa sempre rimane. Niente mai perduto va... Una voce da una casa, una finestra da cui veniva una luce gialla calda, chiamo': "Lavinia, rientra. E' tardi, prendi freddo". Dalla voce riconobbi la mamma di Lavinia, una bella signora dal volto curioso e aperto. "Ciao! Corro!"mi disse, lasciando il suo castello e rientrando nella casa. Oramai il mare era rosso vermiglio, era quasi sera. Tornai sui miei passi, la porta di casa era semiaperta e percepii chiaramente gli odori della cena. Lei stava preparando, mi aspettava. Rientrando chiusi la porta. Tra poco, di fuori, sarebbe esploso,

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silenzioso, un cielo di stelle terse, specchiato su un piccolo castello di sabbia, costruito da una piccola bimba.

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Luisa E se l'amore che avevo non sa più il mio nome. Come i treni a vapore come i treni a vapore di stazione in stazione e di porta in porta e di pioggia in pioggia di dolore in dolore il dolore passerà. Ivano Fossati, I treni a vapore

La luce del quieto mattino, ormai filtrava sempre piu' decisa, sempre piu' insistente, tra le imposte. Luisa si girava nel letto e assorbiva il tepore della calda giornata estiva, appena all'inizio. Finalmente, si mise a sedere sul letto, e si stropiccio' gli occhi, fissando la finestra. I suoi lunghi capelli, di un bel colore biondo dorato, le scendevano docilmente a coprire le spalle. Il pensiero della giornata precedente passo' come un'ombra nella sua mente. "Gli uomini sono strani" penso'. "Gli uomini non ti parlano. Non ti parlano mai abbastanza. Non ti fanno capire, capire cosa Pag. 29


pensano. Piuttosto, se c'e' qualcosa, loro se ne vanno. Se non se ne vanno, se ne vanno con la mente, con il cuore. Con il cuore ti tradiscono, ti feriscono. E non attendono, non sanno attendere, ti schiacciano..." Per una curiosa circostanza, ripenso' a quando era bambina. Quando, su quella bella spiaggia luminosa dell'Adriatico, giocava con la sabbia, vicino alla mamma, a sua mamma. Spesso, in quelle circostanze, terminato il gioco, indugiava, seguendo con gli occhi il corpo di lei, disteso al sole: quel bel corpo armonioso, curato (anche da bimba, Luisa se ne accorgeva), ordinato, fino alle braccia, alle mani. Alle volte, poi, il suo sguardo, seguendo la linea delle mani affusolate, si posava infine sull'anello, l'anello di matrimonio. Scintillava al sole quell'anello, sulla mano di mamma. Cos'era, perche' mamma non se lo toglieva mai? Era piu' di un vestito, di un ornamento, si diceva. Quelli, del resto, la mamma spesso li toglieva, li cambiava. Non la vedevi mai, due giorni di seguito, con gli stessi. Ma l'anello, l'anello era li', alla mano di mamma. Allora, aveva deciso ad un certo punto, non era cosa solo di mamma. Ma di mamma e papa', di loro insieme, di una storia insieme. Una storia che la sorpassava, che sorpassava la sua storia, che nasceva prima, di cui lei non conosceva l'inizio.

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Profondita' insodabile di intesa e di promessa, tra la mamma ed il papa', una profondita' che, lei bambina, intuiva appena appena come in superficie, che quasi percepiva, ma ancora non capiva. Ancora, ricordo' il sorriso indulgente della mamma, risposta alle sue frasi impulsive di bimba risoluta, "Io mamma non mi sposero' mai, sto bene cosi' " e veramente lo pensava, di star bene da sola, di star bene cosi', con mamma e papa', e con il loro insondabile legame, che tante volte si chiedeva quanto fosse profondo, su cui tanto si era interrogata. Un accordo profondo, un'intesa come un calmo mare azzurro, una profondita' al cui confronto tanti litigi, asprezze, risultavano tutt'al piu' come gli schizzi del mare di tempesta, rimanevano in superficie, non scalfivano la sostanza, il centro, il nucleo. Quell'arco di accordo nel quale, ad esempio, lei aveva sempre trovato spazio, il suo spazio. Ora che l'uomo che amava, che lei completamente amava, davanti al quale lei non si nascondeva, non fingeva piu', or che quest'uomo scappava in malo modo sbattendo la porta - e di seguito di parole ingiuste - lei era abbandonata, si sentiva abbandonata, si sentiva cadere e si appoggiava, col ricordo di lei bambina, si riappoggiava alla figura di sua madre. Tanto piu' che

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con lui si era aperta, con lui non fingeva, lasciava intravedere la sua anima, tanto piu' il freddo e l'incomprensione le dolevano. Cosi' a tratti, d'improvviso, la figura della mamma quasi svaniva, mentre le saliva il sangue alla testa di risposte non dette, di frasi piu' dure sorte per rispondere, per distinguere, per affermare. "Se io ti do' il mio amore tu non puoi, non puoi trattarmi cosi'..." Ma non avrebbero esaurito il suo dolore. Anche se avesse avuto ragione, riconosciuta. Era un'altra cosa ormai, era rimasta scossa, ferita nella sua fiducia. La sua fiducia ora la raccoglieva nei pezzettini in giro per la stanza. Ma ancora, dal fondo di se', ancora sentiva le parole della madre, e gli scherzi lieti dell' infanzia. E si accorse che l'inganno e l'amarezza non sarebbero state le ultime parole, le fila di questa storia, chissa' come, sarebbero state diverse. Portandosi appresso il dolore, in una prospettiva imprevista. Ora che il sole filtrava gagliardo tra le imposte, e i rumori della vita di fuori invadevano giocosamente la stanza, Luisa, quasi interrompendo il flusso dei suoi pensieri, si porto' alla finestra. Si' sarebbe uscita. Il tempo di vestirsi. Cercarlo? Poi, si sarebbe visto poi. Per intanto, sarebbe uscita. Infatti, c'era il sole, fuori.

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La vera rivoluzione informatica. Un divertissement su computer, internet e sistemi operativi. Tutto era stato pensato con cura: un incontro cosi' importante doveva assolutamente rimanere segreto. Se solo la voce avesse girato un minimo, giornalisti e televisioni avrebbero senz'altro affollato all'inverosimile il luogo dell'incontro, quell'appartato ristorante nella periferia di Montreal, mandando certo tutto in malora. Il riserbo era più che motivato, d'altronde: l'argomento era quanto mai delicato. La fitta trama di abboccamenti preliminari tra gli staff dei due personaggi, e mesi e mesi di paziente e segretissima trattativa, avevano portato finalmente all'incontro fatidico, che avrebbe forse infine definito lo storico accordo. Incredibile a dirsi, tuttavia, le pur mirabolanti misure precauzionali atte a far si' che il segreto rimanesse tale, avevano inspiegabilmente trovato il modo di essere eluse. Qualcuno aveva saputo. Qualcuno aveva saputo del luogo dell'incontro, di quel ristorante poco noto nei sobborghi della citta' canadese. Questo qualcuno (o qualche amico suo) era riuscito a piazzare delle microspie e addirittura, registrare le conversazioni avvenute a quel tavolo. Strano. Stranissimo a ripensarci, oggi: sappiamo che niente, proprio niente infatti era stato lasciato al Pag. 33


caso. Per fare un esempio, financo i nomi dei due grandissimi personaggi, l'uomo d'affari, il ricco businessman alla testa di una solida impresa di software, la piu' grande, la piu' estesa, l'uomo che aveva imposto il suo sistema operativo sui computer di tutto il mondo, dall'America alla Cina - e il creativo geniale ed eccentrico, colui che aveva sbalordito gli esperti di tutto il mondo con il suo software di scrittura ideato, prodotto, scritto pazzesco a dirsi nel mondo attuale! - da una sola persona, da lui solo... dunque anche i nomi erano stati sapientemente celati. Bill si era spacciato per un uomo d'affari italiano, il cui nome, Roberto Cancelli, mai e poi mai avrebbe in alcun modo tradito la sua vera identita'. Ma non era tutto, oh non lo era davvero! Anche il suo settore di attivita' era sapientemente celato. Roberto infatti operava nell'ambito dell'edilizia, gestendo una fantomatica

ditta

di

nome

"Finestre".

Insomma

un

camuffamento geniale. O almeno cosi' egli riteneva... Dall'altra parte del tavolo, il creativo, il famoso Flaviotto De Flaviolis, si celava sotto il semplice pseudonimo di "flavioski". Si diceva pero' della fuga di notizie. Beh, c'e' sempre una fuga di notizie. Quando non c'e' proprio, d'altra parte, vuol dire che nessuno ne sa nulla, dunque nessuno ne parla, nessuno ne scrive, e voi in questo istante, non state leggendo queste righe, ma magari il giornale di oggi. O quello di ieri, che oggi pioveva e magari non vi andava di fermarvi in edicola. D'altronde

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l'ombrello in macchina potevate pure lasciarlo, no? Ma questa e' un'altra faccenda, torniamo pure alla storia.... C'era stata la fuga di notizie. Bene, diciamo più esattamente: di qualche notizia. Un post su Slashdot.org due giorni prima aveva ventilato la cosa. L'autore del post d'altronde, celatosi sotto il misterioso nick Trenino Ciuffettero, era stato subissato da commenti sarcastici, e non si era piu' fatto avanti, ne' tantomeno aveva indicato in che modo avrebbe avuto tali mirabolanti notizie. Su Osnews il mattino dopo era apparso un commento redazionale che pure informava di queste voci, ma nel contempo prendeva le distanze, indicandole con piena ragione come difficilmente verosimili. D'altra parte la cosa aveva veramente dell'incredibile. Un accordo per inserire il favoloso programma di wordprocessor nella futura versione di "Icspi" (detta in codice "Plusminus", estrapolando una tipica risposta di Bill a chi gli chiedeva se era finalmente pronta siffatta versione nuova del popolarissimo sistema operativo) non sembrava poi rasentare la fantascienza. No, sembrava oltrepassarla alla grande. Si pensi solo al gelido isolamento e all'algido distacco che per tutti questi dieci anni, dalla data di rilascio di Skifprocessor 1.0 in poi, avevano accompagnato il possente lavoro di flavioski: tale isolamento, lo sappiamo bene, era stato alla base dello svilupparsi incontrollato di miti e leggende: ricordiamo solo quella che voleva che il vero autore del mirabolante software

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non fosse flavioski, o alcuno del suo staff, bensi' il suo gatto persiano, capace - secondo tale leggenda metropolitana - di miagolare linee di codice in assembler e C++ tra un croccantino e l'altro... OK, bisogna capire che in effetti c'era di che pensare. Un programma che fin dalla sua prima uscita aveva impressionato tutti gli esperti: leggero e funzionale, preciso, efficace. Per anni era rimasto un mistero: come funzionasse cosi' bene, dove mai si appoggiasse la sua ormai proverbiale affidabilita'. Erano state formulate le piu' bizzare ipotesi al riguardo. Fino a quando, tre anni dopo, i ricercatori del Dipartimento di Alta Matematica della Morena University in Illinois avevano dimostrato come Skifprocessor si giovasse, nelle ruotine piu' importanti, di un sapido impiego di algoritmi markowskiani pentanormati. Ma anche cosi' l'abilita' di flavioski rimaneva impressionante: gli algoritmi

markowskiani,

anche

nell'approssimazione

settemetrica di Johnson Vax, sono intrinsecamente cosi' complessi che anche l' ideatore dei medesimi, come'e noto, un giorno si' e l'altro no, girava i dipartimenti di matematica chiedendosi se c'era in giro qualcuno che potesse spiegarglieli. Ma non c'era. E che dire poi delle difficolta' impervie di tradurre tali algoritmi in codice di computer? Uno studio aveva predetto che gli algoritmi markowskiani sarebbero stati impiegati solo dopo circa settantacinque anni e due mesi dalla scoperta (era

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stato notato che la precisione temporale era il punto forte di tale studio). Smentito smaccatamente dai fatti: il programma c'era e funzionava. Solo il prezzo, necessariamente alto, impediva la diffusione incontrollata di tale mirabile software. Si comprendera' quindi come anche solo la possibilita' dell' inclusione di tale software nella versione prossima ventura di Icspi (perche' di questo si trattava!) sarebbe risultata senz'altro la killer

application

dell'intero

sistema

operativo,

quella

applicazione cioe' che avrebbe "fatto la differenza", sbaragliando i concorrenti. Era facile prevedere lo scenario: la Sun avrebbe chiuso i battenti, Linux sarebbe tornato un sistema operativo per eccentrici studenti universitari in vena di complicazioni. Basti solo pensare che nel piccolo intervallo di tempo in cui la voce aveva avuto un qualche credito, il prezzo delle azioni di Redhat sul mercato americano era tracollato, e il presidente della MandrakeSoft aveva annunciato, in una botta di incontrollata sincerita' "Icspi con Skifprocessor? Ragazzi, allora qui si chiude i battenti. E io mi rimetto a vendere noccioline." Palesando in siffatto modo un particolare della sua passata attivita' imprenditoriale, che un tempo avrebbe preferito rimanesse nell'ombra. Bene, inutile dettagliare uleriormente quanto ormai sanno gia' tutti assai bene. La fuga di notizie funziono' a dovere. Dopo due

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ore dallo svolgimento del fatidico incontro, i particolari piu' dettagliati si potevano gia' leggere su vari newsgroups, su LinuxToday (accanto ad un editoriale che rilanciava il proponimento del presidente della MandrakeSoft e lo estendeva allo staff che gestiva il famoso sito web), su CNN.com e su una miriade di altri siti. E poi non c'era storia, stavolta. Non c'era spazio per lo scetticismo, nossignori. Tanta era l'abbondanza dei particolari del mitico, storico accordo (si' sembrava che l'accordo sarebbe avvenuto!) che la comunita' informatica fece presto a capire che la cosa non poteva essere una bufala. Icspi PlusMinus con Skifprocessor New Edition incluso stava per invadere il mercato. Dallo studio del post su Usenet contenente la notizia, si deducono una serie di altre preziose informazioni su argomenti non schiettamente informatici bensi' legati in qualche modo al mercato economico, come il seguente (riportiamo un brano della conversazione svoltasi all'ormai famoso tavolo del ben noto ristorante, l'intera conversazione e' andata in onda diverse volte in formato integrale su vari network, e proprio l'altro giovedi' e' stata ritrasmessa su RaiSat) Cancelli : "Bene, e quanta RAM ci vuole per far girare al meglio Skifprocessor?" flavioski: "RAM? Uhmm... Skifprocessor gira benissimo -

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poniamo - anche su uno ZX80" C.: "Eh? No, non e' possibile. Cosa dico a quelli di Grintel, che non serve che la gente cambi computer? Ma poi e' impossibile, come fa... " F. : "Vede, il bello degli algoritmi pentanormati e' proprio che..." C. (un po' brusco) : "Si' senz'altro starei ore a parlare di algoritmi pentanormati, sono la mia segreta passione, ma putroppo oggi non ho molto tempo. Facciamo cosi', io dico al mio staff di inserire qualche ciclo a vuoto mangiamemoria in Icspi (qualche altro ciclo, intendo...) e lo facciamo buono solo sui processori Turbo-Logici con 2 Mega di RAM Superbrum Galattik" flavioski:"Ehm...Turbo-Logici? Superbrum Galattik?" C. (ridacchiando) : "Eh? Niente, siglette per dire che abbiamo cambiato un'inezia in modo che le vecchie memorie non vanno bene e bisogna ricomprarne nuove..." F. (un poco deluso) "Ah pero' ... qui il mercato ci condiziona alquanto, vedo... Forse forse, prima di accettare di parlare con lei, avrei dovuto esplorare le prospettive di collaborazione con sistemi tipo Unix, oppure Linux...." C. (stranamente calmo) "Linux eh? Si' certo... Ma dimmi, secondo te cosa ci vuole per far girare in maniera brillante il desktop environment di linux Gnome su un PC?" F. "Beh un bel po' di RAM ci vuole. Brillante e' una parola grossa su Gnome... E' noto che Gnome succhia parecchie risorse

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e poi..." C. non parlo', ma trasse semplicemente fuori dalla tasca un piccolo oggetto. "Il mio telefonino... vecchio, ma sempre funzionale. Guarda che succede se spingo questo tasto...." F. non credeva ai suoi occhi: l'intero sistema a finestre di Gnome stava funzionando in maniera impeccabile su un normale telefonino (per giunta, di fascia medio-bassa, o almeno cosi' gli parve, come racconto' in seguito). F. "Ma cosa... ma come......?" C. (ridacchiando) "Beh anche noi mica siamo nati ieri... basta strippare dal codice i cicli inutili aggiunti ad arte... e non c'e' bisogno che del tuo vecchio computer che ora sta in soffitta per far girare tutte le applicazioni che vuoi.. Credi che solo noi sponsorizziamo Grintel e compagnia bella? Sveglia flavioski! Ancora mi parli di buoni e cattivi....? " E per quanto si sa ora, tale argomento dovette risultare persuasivo, poiche' spiano' la strada alla definizione dei particolari dell'accordo. Cio' che successe dopo non c'e' bisogno di raccontarlo, poiche' e' piu' che noto. Icspi PlusMinus usci' tre mesi dopo con Skifprocessor incluso. Una settimana dopo gli sviluppatori Linux in blocco avevano dato un sostanziale nuovo impulso al florido mercato della vendita al dettaglio di noccioline, due settimane dopo la Sun aveva convertito la sua

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produzione in occhiali da sole griffati (cosi' tanto per non dover cambiare il marchio), Java era tornato ad essere solo un posto, e Icpsi girava anche sul portachiavi.... Tutto merito di Skifprocessor, senz'altro.

Version : 1.0.0 (release 2003) Credits: originariamente scritto con Abiword e Mozilla Composer (Oooops! volevo dire...Skifprocessor 4.7 su Icspi...!)

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Poesie

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Possibilità della poesia (Come una premessa) Come un'onda serena che sorge da profondità remote, o forse magari, da lidi deserti e lontani ove mi fingo, tripudio di natura bellissima e selvaggia, come una modulazione amica del reale quotidiano, bussa al mio cuore stasera, sì come ha fatto altre volte già, timida e cortese, l'eventualita' della poesia, e piano mi chiama, paziente ma tenace chiedendomi albergo e proponendosi amica,

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rischiarando leggera la via, quasi come potrebbe un filare di piccole luci buone nell'oscurità di un sentiero ignoto.

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Vita Familiare - I

Ti ho apparecchiato in tavola perche' tu mangiassi, amore mio. Di tenui colori pastello ho scelto la tovaglia ed i piatti che tu potessi mangiare serena nella quieta e piccola cucina. Dalla finestra l'azzurro terso del cielo e la serena distesa del parco al tramonto del giorno, mi facevano muta e dolce compagnia. Poi, mentre tu mangiavi, ho attraversato con la mente la chiassosa irruenza dei bimbi

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ripensando al tuo tenero viso alla calma di tanti nostri giorni insieme. Ora infine che hai sparecchiato nella cucina pulita regna solo, - silenziosa la notte affogata di stelle, quieta ed immensa.

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Pineta

Una ragazza vestita di bianco attraversa leggera l'ombrosa pineta. Gli alberi quasi a disegnare volte ed arcate di chissà quale antica civiltà, sotto le quali lei procede, silente.

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Aria

Festa di serene campane a sera Un cielo blu, come scherzo di pastelli di un bimbo che disegna Cammino respirando quest'aria tersa e mi vedo improvvisamente timoroso e schivo pensando alla mia storia quasi con timore di una possibile grandezza che null'altro poi e' che la grandezza di ogni uomo che accetta di esser uomo, e della sua storia, della sua consistenza e in tutto questo, Pag. 49


senza nessuna abilita' e nessun merito in tutto questo, riconoscersi vivo.

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Pomeriggio di domenica

Una striscia di sole si appoggia piano sul balcone della finestra, davanti al divano. Io docilmente ripongo i pensieri e le preoccupazioni della mia mente ai loro posti (ognuno al suo posto) per poterli riprendere - dopo e non buttar via nulla e non irriderli o perderli, anche se grigi, infine levo l'ancora e timido mi immergo nell'esplosione lieta di colori della domenica pomeriggio.

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La terra e il sorriso

Ma se sapessi a me stesso dire la piana distrazione di certi istanti, di certa vita. Se una carezza, un corpo, una carne - un sorriso squarciassero il cielo di polvere verso un respiro piu' ampio e dopo tanto aspro soffrire vedere il sole dipanare la sua luce su verdi valli e alti monti e godere infine della pace della buona terra, e del sorriso delle donne, cosi' soave, cosi' pieno cosi' in amore con la terra.

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Oriente Fine di perle e intarsi ti vestiresti, tu forse come Oriente suggerirebbe al tuo cuore in attesa come soffio di provvida luce nel giorno che pure ti pare di già sapere. Ma non è, e non sai finochè finalmente non vedi - come in un lampo, attonita in un sopreso istante di quale nostalgia segreta ti parla il cuore e di Oriente credi forse allora esser timida preda

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nei grani scintillanti del giorno che scorre, che sul tuo viso scen dono, che i tuoi begli occhi lambiscono, a non svelare sorprese ti sembra, a non schiudere altri scrigni oltrechè su ciò che già sai. Ma non è, e non sai: proprio nell' esile istante in frullìo di segreti colori e suoni che i tuoi orecchi ancora non intendono misteriose trame si dipanano ed insieme, nascoste armonie, proprio nell'attimo che - diresti - di te dimentico, sfilano lievi tra le tue mani e di ampi riflessi

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sì come damascati d'Oriente e colorate trame in cui l'occhio si sperde docili si avvolgono i tuoi arti, nella timida e paziente attesa (paziente quasi d'Oriente) di te che vedi, e nella dolente e dolce pietà di te quasi culla di colori d'infanzia alfine ti acquieti.

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Aria di pioggia Cosi' ora con la mente e il corpo mi immergo in aria di pioggia.

Tra le cose luminose e i vivi colori del mattino brunito rigato di candide gocce, solcato dal tenero lamento di pioggia, come pianto di bimbo, cammino. Tutto sia semplice, tutto sia semplice, da ora.

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Il mare a sera Un piccolo bimbo ha lasciato sulla quieta sabbia del mare estivo un lieve filare di passi. Gli occhi si posano e la mente ricorda gli allegri schiamazzi del giorno che l'aria ancora trattiene sospesi Mentre volgo i miei passi alla casa esplode silente un blu immenso di cielo e di mare e la sabbia e il sole vermiglio e i passi, ora tutto appartiene ad un piccolo bimbo, tenero infante che gia' dorme, sereno.

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La mia vera domanda Ma la mia domanda - mia, piu' intimamente mia la mia piu' vera domanda nello slancio dell'istante di gioia che porta a chiedere un orizzonte piu' vero per se', come nella chiusura dei tempi tristi la mia domanda reiterata domanda vibrata domanda della mia anima, e' che ogni piu' piccolo istante ogni pur minima sensazione

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della mia vita ogni quasi impercettibile impressione non vada perduta ma legata all'eterno sia per sempre amorevolmente custodita.

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Mattino d'estate Luminescente il cielo in quest'azzurro d'aria evanescente e tersa. Le case, inondate dal sole, stupore di questa mattina, ormai non più gravitano sull'umida terra ma lievi brillano invece, aggrappate sul cielo. E il cuore è leggero, per l'idea di un viaggio, o per una melodia serena ascoltata sul viale.

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Quieto amor costante (A mia moglie... la mia sposa) Tra noi l'amore, tenero fiore dell'inizio, ha poi messo ampie radici così che anche nella pioggia, vedi, è rimasto. E in tutto questo, amore mio, in tutto ciò che insieme siamo il mio compito adesso, prima d'altro qualsiasi, sta nel guardare: si' nel guardarlo radicarsi sicuro tra le profondità dei giorni, e il mistero dei nostri limiti,

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ora che nei preziosi, nascosti istanti di grazia, riconosco nella storia di noi (piccola se vuoi) il segno di un Destino buono e grande e che con entusiasmo di spavaldo oblio della mia povertà, - a me stesso cosi' amara tento, con slancio di un antico amante, la corrispondenza e lo speculare intreccio con cio che tu - dal fondo di te silente e timida mi chiedi, amor mio. Tu che mi chiedi solo - ora lo so quieto amor costante.

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Revoca dalla polvere Lo sento, lo capisco, Le cose son di polvere: Polvere resta tra le dita per il troppo amarle e solo acre polvere resta nella bocca per il cieco possesso Si' da sole le cose son di polvere: in polvere finirebbero pure i giorni. E da sola, sola a se stessa (digiuna di sguardi d'amore) la vita stessa finirebbe nella polvere Tranne che per la mano che le tiene insieme

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che riscatta le cose dal loro esser polvere e sempre le perdona si' che risplendano nuove al loro essere. Allora si' che le cose, le cose stesse, la stessa polvere in segno discreto mutano, d'intima meraviglia e di segreti colori: l'intima, riposta meraviglia per l'abbraccio di gioia alla fine dei giorni Un solo abbraccio, come perenne revoca dalla polvere.

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Cèzanne Stamattina poi che la strada - oltre il punto d'orizzonte si staglia su un cielo che sembra proprio un quadro di Cézanne, a timidi passi mi arrampico sull'orlo di questo mattino, pur carico della mia perenne e fredda imperfezione, pero' attento a non spostare nulla per non disturbare il giorno, limpido e terso di robusti colori, e per non dispederne i tesori, poiche' mantengo in cuore un riposto desiderio: ch'essi siano disponibili sempre, per la pura gioia di chi sappia guardarvi con animo semplice

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Miei sogni Come una speranza tranquilla è barca sopra l'acqua dei miei sogni così si sperde il riflesso dei colori nella profondita' di un magico lago, di ricordi e speranze si' ch'io trattengo il fiato preso da tanta meraviglia e con tenerezza docile, d'improvviso e repentino istante, alfine torno bambino, e del mio cuore ritrovo casa e dimora.

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Perenne resa al canto Vi dico: cosi' tra me - cosa segreta! ho pensato d'esser piu' furbo piu' moderno e forse anche piu' audace e di calcolate distanze e di un misurato astio, poter riempire gli interspazi del giorno, come pure, le silenti stellate notti d'autunno. Ma tal proposito ormai quasi afferrato - e fatto mio di un soffio d'inconsistenza d'improvviso mi beffa, e dopo tanto cercare, trovo vuote le mani.

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Sicche' ora, di mia corazza spoglio, di sottecchio spio lo specchio d'occhi altrui, ove si' povero mi rintraccio: fragile, ingenuo e (piu ancor di prima) d'amor quasi affamato, di un tenero cuore e pure di riveder negli occhi tuoi d'affetto gli splendidi e giocosi riflessi. E tant'e' la vergogna di me che tosto imbastisco, quale saggio riparo, il mio proposito di resa.

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E con poche parole, con poche parole solo, dico pertanto la resa mia (ne' punto mi curo se ad alcuno parra' proposito solo ammantato d'ingenuo ardore che questa e' la verita', la realta' per il mio cuore): non si puo' smettere di cantare il mondo non si puo' smettere di cantare il cielo ne' di chiedere - chiedere almeno d' essere di nuovo come bambino ancora e sempre.

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Imprevisti. Mi dico che quello che serve e' trovare un metodo un protocollo una procedura uno schema cui rimanere attaccati tenacemente attaccati e guardare cio' che filtra: la luce che passa la mia protezione il mio schema e collezionare esperienze come persona che del mondo ormai conosce sensazioni odori e sapori lungo una strada che pero' gia' so che non brilla piu' della gioia che brillava il cuore quando - come imprevisto - mi innamorai Mi dico questo ma la gioia piu' vera, in cuor mio attendo.

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Alberi. Alti maestosi alberi sotto i quali cammini dipingono ora di un caldo giallo d'autunno il cielo e l'orizzonte, e l'attesa tua silente. Fascia il sole coi suoi raggi il suolo brunito, riscattando la fresca umidita' della nascosta terra, di un tenero calore, tanto che su un magico tappeto di foglie e di luce diresti quasi di muoverti ora. E di un pensiero lieto

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e di un piu' deciso respiro riprendi ed istruisci il tuo corpo immerso ora, con quieto stupore, nel silente tripudio della natura d'autunno.

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Tutta la vita Cosi' d'un tratto la notte stellata richiama sentimenti antichi. Non piu' schiacciato sul presente, non piu' immemore del passato, la fragilita' si scioglie in un piu' ampio orizzonte. Che bello pero' avere la possibilita' di avere pazienza, per tutta la vita.

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(Piccola poesia) Cosi' vasto il foglio bianco prima di posarvi i miei pensieri: tutto puo' accadere in questa candida superficie Che gioia scrivere cioe' amare cioe' esistere! E tu amore mio, tu che sempre mi esorti, in ogni cosa, "non esitare!" tu amore mi perdonerai se oggi avanzo piu' timido basso lo sguardo a cercare la terra? Ancora avrai parole piano sussurrate

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e per me uno sguardo d'amore cresciuto e custodito con cura, con la forza del tempo, nei tuoi dolci occhi di donna? Fredda puo' essere a volte delle cose la superficie, e nascosto il significato Ma come i colori giocano nel cuore per un solo si', per un povero arrendersi!

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Per una mattina serena Chiuso nel cassetto sta un fascio di fiori e foglie variopinte, aspettando "tempi migliori". Tutti i nostri sorrisi e tutti i nostri affetti - aspettano. Che una franca risposta e uno sguardo cordiale spezzi le guardinghe attese (che non attendono veramente) che ci impastano oggi. Impareremo il sole di una mattina serena?

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Mattino Oggi il mattino ha colmato l' aria. Ho contato allora stelle e stelle nel primo mattino, ho cercato stella a stella e nel cuore, e di cuore. Ho cercato e aspetto di trovare Anche durante il giorno aspro di fatica. Aspetto di trovare, si'.

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Alla mia sposa Principessa dei miei sogni questa poesia e' per te. Per la gioia che trovo nei tuoi occhi, principessa del mio cuore, quando nei miei occhi leggi (anche solo un cenno leggi) dell'amore che ho per te, Allora che ti apri di grato respiro e di tenera gioia verso me povero. Generosa come il mare verso il mio piccolo inadeguato amore Donna di pane e gioia, tenera femmina che ami, primavera di cose liete che chiedi, amore, a me chiedi e il tuo sguardo soave

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nel chiedere apre e dissolve le mie ombre. Nel primo giorno di primavera, come puo' la mia povera arte, questo ti dono.

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Primavera Primavera nelle cose nuovamente deste, aperte verso l'abisso sorridente del nuovo mattino, ebbro di rugiada. Anche nei campi esplosi di fiori di colori orgogliosi sfavillanti nel caldo sole. Nei nuovi fiori, anche primavera, nei nuovi fiori sui volti delle donne, nei loro nuovi colori. Nelle promesse credute o solo sperate nei loro volti, nella loro (richiesta) tenerezza. Anche nell'attesa, che e' speranza, del bene per se'.

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Donna Donna, donna madre. Da subito mi hai amato. Mi hai cresciuto nella tua carne So che l'amore con cui fui amato, con cui da te lo sono, madre, e' amore che non ha mai misura ne' possibilita', per me, di darti mai una giusta ricompensa. Donna, donna di fascino e bellezza. Negli slanci dell'adolescenza, nello struggimento del cercare l'amore e la corrispondenza al calore e all'affetto che anelavo, e pur gia' presentivo. Donna, donna sposa. Che gioia quando anni fa lessi sul tuo volto, nella mia timorosa sorpresa il tuo limpido assenso: hai detto si' alla mia richiesta

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hai donato e piegato te stessa aprendomi il cuore portandomi nel tuo tenero abbraccio. Donna donna madre. Madre ora dei miei figli (io padre dei tuoi) rinnovato stupore. Esser padre, per tuo merito, per il tuo amore, solo. Donna, donna moglie. Io che arrivo sempre a te stanco, come dopo una corsa, e cosi spesso, col cuore nascosto - e le risposte secche. Ma il peso della mia poverta' cosi' insopportabile a me stesso, si scioglie infine nei tuoi teneri occhi nel tuo sguardo trepido di amore, amore ancora: come un rinnovato inizio.

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Piccole considerazioni... E' noto che la stanchezza e la dimenticanza favoriscono la formazione di strutture ghiacciose sulle zone periferiche del cuore. E' noto altresi'. (dice la scienza) che tali strutture - lasciate a loro stesse avanzano e ramificano verso la parte centrale del cuore, verso il sangue vivo. Aggiungo io pero', - in questo arido scenario la mia piccola scoperta (che magari tu sai gia'): che basta una bella canzone un sorriso di donna, una festa di colori in un vaso di fiori o un fuggevole pensiero di speranza,

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o anche (a parer mio) il sovvenire di un tenero ricordo che il ghiaccio si scioglie che gli occhi brillano nello sguardo sereno, che si vive - di nuovo si vive - da uomini.

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Frammenti

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Frammenti I. (Frammento estivo, di pomeriggio romano.)

Semaforo, dal lavoro verso casa, lamiera di metallo rovente, auto e cemento di caldo - all'incrocio di strade. Quasi passivamente registro le sensazioni. La radio. Persone camminano attraversano la strada, il semaforo blocca la mia auto nel cemento e nell'asfalto blu ma come riflesso imprevisto apre i miei pensieri vagabondi i quali cercando un approdo sicuro, piu' sicuro, cercando migrano. Ambienti in movimento quali sfere in rotolamento casuale appaiono gli abitacoli delle macchine. Scorgo una ragazza con la faccia assorta, mi passa vicino ma non mi vede. Nell'attimo mi pare bella. Piu' ancora, l'espressione. Ma la sua auto va in direzione opposta. Ci lasciamo senza esserci quasi incontrati. L'idea di esistenze che si incrociano in maniera imprevedibile e inorganizzabile per un istante mi rapisce. Inserisco la freccia e giro. Nessun tempo e' sprecato, se io sono cosciente. Se io fossi.

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Frammenti II. (Discorso immaginato, sognato, tra donna ed uomo)

"No, tu non mi vuoi bene, non mi vuoi bene veramente!" Seduta al bordo del letto asciugava le lacrime. "Se tu non hai speranza, neanche un briciolo di speranza (in mezzo a tanta disperazione), un briciolino di speranza viva, no! - non ti voglio vicino." Non voglio il tuo tocco, ne' voglio che tu abbia di me il mio odore, il mio odore nascosto, da me, al mondo rubato e portato al mondo. violato e mostrato al mondo. Mio solo rimane, mio solo. La notte, cosi' stellata l'aria dolce d'estate la calda luce di una mansarda che avresti detto, ora, galleggiava tra le stelle. Lui stava, in silenzio. Attesa. "Se tu non hai speranza, non voglio il tuo tocco, Pag. 87


ne' che tu sappia il mio odore, ne' mai io voglio sapere, del tuo. Se non vedo neanche una briciolina di speranza, tu -- tu mi macchi, soltanto." Lei si volse, si volse fronte alla luce delle stelle. Piano poi continuo' nel tono suo piu' dolce: "Ma se nei tuoi occhi solo scorgo (nei tuoi occhi che amo) solo una fiammella di quella luce, (appena un po') lo sai tu, tu di me... ... hai tutto."

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La Scatola Musicale

Fogli di “Appunti sparsi” sulla perenne meraviglia della musica...

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Il vino di Shiraz (piccolissima storia branduardiana) Come al solito, stamattina esco per portare tre (dei miei quattro) bimbi a scuola: Claudia, Andrea e Simone. All'uscio, passata la porta a vetri del palazzo, Roma ci accoglie col freddo pungente tipico di questi giorni. Ci affrettiamo dunque ancor piu' svelti, verso l'automobile. Tanti pensieri stamattina, ma mi sono ricordato... in tasca ho la cassetta dove ieri sera ho trovato il tempo per riversare il mio nuovo CD, l'ultimo di Branduardi. A casa non trovo il tempo di sentirlo, forse in auto, chissa'... Porto l'auto fuori dal garage, faccio salire l'equipaggio. Si parte e dopo pochissimi istanti... tutto come al solito! Nel sedile posteriore, Andrea e Simone si stanno gia' allegramente... pestando (neanche a dirlo, per futili motivi, proprio come ogni altra mattina), lagnandosi uno dell'altro senza trovare pace. Gia', e chi mette un piede troppo in la', e chi non si siede bene e disturba l'altro... e poi uno si deve portare appresso anche i propri pensieri... metti che magari si e' alzato storto di suo... che pazienza ci vorrebbe! La confusione intanto in macchina sta aumentando in maniera esponenziale... come domarli? A corto di risorse, provo a mettere la cassetta nello stereo, e dopo pochi istanti la calda Pag. 90


voce di Angelo sta gia' intonando "Laila Laila" dagli altoparlanti. E in un attimo succede l'incantesimo. Ovvero... il silenzio! Completo! Assoluto silenzio ! Tutti i bimbi come d'incanto, assorti ad ascoltare. Perfino Simone, di quattro anni, non si perde una nota. Rimango basito. Sapevo che Branduardi piaceva anche ai piccoli (ricordo bene come Claudia - circa alla stessa eta' di Simone - ascoltasse rapita "Si puo' fare"), ma non mi aspettavo certo un effetto cosi' subitaneo e marcato... Per farla breve, prima di arrivare ad accompagnare tutti alle rispettive scuole, ho gia' risentito "Laila Laila" almeno cinque volte: difatti, arrivati alla fine della canzone, la rivogliono ascoltare immediatamente, mi ingiungono di riarrotolare subito il nastro. "Ma dov'e' Shiraz ?" Mi chiede alla fine il piccolo di quattro anni, l'ultimo a dover scendere "E perche' e' cosi' importante?" Io che proprio non so rispondergli (beh il disco l'ho appena comprato, dopotutto!) butto li' una cosa, tanto per

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dire..."Importante? Beh... ma certo! Sara' importante per ... per via del vino. Certo, fanno un vino buonissimo laggiu'" Lui ci pensa su, e poi mi dice "Ah! Ma forse e' perche' laggiu' fanno anche il vino dei bambini...?"

Postfazione Bene, tutto qui. Perdonate se ho voluto raccontare col tono di una "storia" un piccolissimo semplice accadimento familiare. In ogni caso, sono rimasto veramente colpito dal vedere quanto e' piaciuto da subito "Laila Laila" a tutti i bimbi. Io che ho una certa eta' ormai, ricordo una vecchissima intervista - era appena uscita “Alla Fiera dell'Est” - nella quale Angelo sottolineava la sensibilita' musicale dei bambini... Beh aveva ragione!

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Angelo Branduardi II. Riflessioni in liberta', a margine dell'acquisto del CD “Alla Fiera dell’Est”. Vi sono persone, artisti, musicisti... verso i quali mi pare che i conti non tornino. Voglio dire, tra me e loro. Nel senso, che mi trovo di gran lunga in debito. I soldi che posso aver speso per acquistare un CD: non sono nulla in confronto alle emozioni, alla percezione di bellezza, di armonia, che quel CD mi ha potuto dare, e che ancora mi da' le volte che lo ascolto. Roba che se dovessi incontrare di persona uno di loro, non dovrei (solo) dire “ciao”, ma “cosa posso fare per te? Cosa ti serve?”. Difatti, mi ha dato cosi' di più, così tanto di più (senza conoscermi punto) che devo trovare qualcosa per ripagare, in qualche modo. Non avete mai provato questi sentimenti? Uno di questi musicisti di oggi, è Angelo Branduardi (un altro potrebbe essere Mike Oldfield). Il mio primo disco di canzoni acquistato in assoluto nella mia vita, lo ricordo con chiarezza, e' stato il suo “Alla fiera dell'est”. Il suo terzo disco, annata 1977. Poi ho preso subito “La luna”, su cassetta, e poi dopo lunga ricerca ho trovato con grande gioia anche il primo “Angelo Branduardi”, sempre su audiocassetta. E poi... Pag. 93


Ricordo che facevo la terza media. Praticamente, l'eta' che ha adesso Claudia, la mia figlia più grande. Era tanto che non lo ascoltavo più... come succede, la tecnica è bella ma ti frega, a volte. Un bel giorno ti trovi con una pila di bei dischi in vinile... e il giradischi ormai smontato, oppure dovresti farlo riparare ma... c'e' il CD... insomma, rimane a prender polvere. E i dischi rimangono li', pure loro. Pensare che c'e' gia' chi in vita sua non ha mai messo la puntina sul solco iniziale di un bel Long Playing... quegli scricchiolini introduttivi, mentre gia' pregustavi l'ascolto... e poi i solchi di un nero lucido che separavano le canzoni: gia' alla prima occhiata capivi qualcosa del disco – se c'erano una o due canzoni belle lunghe, di solito era buon segno – non era troppo “commerciale”, insomma c'era della sostanza... Ora che ti vuoi capire guardando un CD? Ti riflette il tuo faccione in un arcobaleno multicolore e basta, in caso la luce sia quella giusta. E poi ci ha questa cosa quasi “inumana” del digitale.. o funziona perfetto o non funziona per nulla, e lo butti... non c'e' piu' la via di mezzo, del disco pieno di scricchiolini, ascoltato tante tante volte... Vabbe' dicevo, facevo la terza media. “Tanti anni fa...”. E oggi non ci pensavo per nulla, e stavo in un grande magazzino, con due dei miei figli, cercando l'olio di marca a prezzo basso. Mi sono avvicinato per curiosita' ad un settore

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dove c'era un mucchio di CD e DVD a prezzi stracciati... tanto non si trova mai nulla... e invece raspando un attimo, sbuca fuori questo...”Alla fiera dell'est”, ad una manciatina di euro. Beh, non potevo mica lasciarlo li', no? L'ho sentito la sera, dopo cena. E mi sono riemozionato. Il mio primo disco acquistato... e ancora mi piace. Tanto. Alcuni pezzi sono strabilianti, mi lasciano ancora senza fiato. La bella musica non svanisce in una stagione... E di me che dovrei dire? Sono cresciuto, ho un lavoro, ho una famiglia e dei figli. All'acquisto del vinile invece ero un adolescente che si affacciava a cercare di capire il mondo e la sua strada in esso... Eppure non sono cambiato cosi' tanto, evidentemente. Certe corde risuonano come allora... questa pacificante percezione di bellezza... Insomma, pochi pochi euro per tutto questo? E vogliamo dire che non mi devo sentire in debito...?

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Peter Gabriel Riflessioni dopo l’ascolto dell’album “Up” di Peter

Life carries on in the people I meet in everyone that's out in the street... Una cosa e' il tempo. Una cosa che prende il suo tempo, il tempo necessario a svilupparsi. Una cosa come una canzone, di questo si parla qui. Le canzoni dell'album Up di Peter Gabriel. Growing up, oppure I Grieve, ad esempio. Sky Blue dalla sua si mostra nei primi 30" e ti pare di averla capita tutta. Poi dopo quattro minuti ti accorgi come si e' sviluppata, dove ti ha portato. Al tempo viene dato spazio. Di esprimersi, di intrecciarsi nell'esistente, di provocarne i cambiamenti, di raccogliere, registrare, le modificazioni. Dopotutto, è semplice: passa il tempo e non e' come prima. Negarlo e' una nevrosi. Una coazione a ripetere, anche musicale, strofa/ritornello/strofa in una metrica temporale asfitticamente rigida. Ed il permettersi di fare una canzone di sette, otto minuti è una sana liberta', nonchè dimostrazione d'indubbio talento. Vi sono difatti, canzoni che dopo 120 secondi non vedi l'ora che terminino. Invece ascolti Up e ti giri per guardare il tempo sul lettore, beh sono passati cinque minuti di I Grieve e a te pare sia appena cominciata. Questo è il clima. La festa dei suoni si andrà Pag. 96


a chiudere con Signal to Noise, insieme tributo esplicito alle influenze musicali della terra d'Africa, ed ambiente aperto ancora! - alla sperimentazione, e la suggestiva e raccolta The Drop, che chiude l'album. Un'altra cosa, ma la prima cosa tra tutte le cose, qui e' il grido. Quel grido che è una domanda, una domanda di senso verso le cose stesse. Lo senti dall'intonazione, sofferta e così conosciuta, da noi, della voce di Peter. Anche nel sentimento dell'angoscia, che trova luogo in Darkness, il pezzo che apre l'album: non si respira rassegnazione, ma un combattimento, una sorta, ultimamente, di richiesta... "it's not the way it has to be". Si chiede che le cose abbiano un senso, si chiede anche se il senso sembra non apparire, affiorare, ancora. Non ancora. Il grido di senso su cui le cose stesse finalmente, trovano un riposo ed una giustificazione alla stessa loro esistenza che, altrimenti, sarebbe un'insostenibile ostentazione senza ragione alcuna. Mentre ascolto in cuffia mi si profila più chiaro l'inganno consueto e supinamente accettato, da me prima di tutto, del bonario adattarsi alle cose e alla loro esistenza, a prescindere da un senso. Da una richiesta di senso così sentita dal cuore, così urgente, d'essere d'ogni minuto. Così poi devi lottare nel vedere le cose sprofondare nella polvere... Digging in the dust... ingabbiate dalla loro stessa mancanza del senso. Non sono al loro posto le cose se non c'e' un senso. Un senso globale...

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Troppo bello per essere vero? No, semplicemente necessario. Loro stesse, le cose, d'altronde non chiedono questo "privilegio". Solo se rientrano al loro posto in uno scenario grande esse stesse ritrovano una pace, e così il rapporto dell'uomo con esse. Cosi' penso ascoltando, e ripensando poi, rientrando nell'esperienza dell'ascolto. Accanto a questo, registro come questa musica, allacciandosi a simile musica che tanta parte ha avuto nella mia crescita, nel passaggio misterioso dall'adolescenza all'eta' della ragione, nel ritrovato senso di queste note, giochi piacevolmente con le mie passate impressioni, e cio' che il ricordo di tanti entusiasmi poteva far passare come entusiasmi giovanili - oh che mirabile ri-scoperta ! - nel girare intorno ad essa, e trovare, ritrovare, una base consistente, una perdurante consonanza, dopo tutti questi anni. Dopo tante tante cose accadute nel microcosmo cosi' onnicomprensivo, della mia esistenza particolare. Dopo tanti sogni, tanti momenti di scelta, di gioia, di dubbio, di tormento, d'indecisione, di tristezza. Dopo il lento sedimentarsi, anche, di un quadro di affetti, sempre da confermare e riscavare nell'esperienza quotidiana, nella lotta per far emergere la realta fuori dalla polvere. Cosi' una qualunque sera estiva metto il disco nel lettore, indosso la cuffia e d'inprovviso istante, sono in vicinanza evidente, con il me stesso di tanti, tanti anni fa. Ma non nel senso di un ripiegamento effimero, nostalgico o

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puramente sentimentale, piuttosto, nella luce di un lavoro di recupero e consolidamento - paziente di necessita' - di se nel rapporto con le cose, e le emozioni. Che emozione, essere cresciuti ma mai, mai, veramente cambiati, nella struttura originaria del proprio cuore. Che poi, ultimamente non puo' cambiare, credo. Puo' solo aprirsi, vincere la timidezza, poi magari, ripiegarsi per un poco, tornare ad aprirsi. D'accordo, si sarà pur capito: a me piace questa musica, il quadro di riferimento ch'essa definisce, a cui rimanda. E sono incapace di tacere ciò che mi piace. Né, tutto sommato, troppo mi preoccupa quest'incapacità. Naturalmente v'è molto spazio ancora da coprire, oltre questa soggettiva "quasi-recensione", e molte cose non ancora accennate, senza dimenticare la (inevitabile) dotta disquisizione sul genere specifico di questa musica, l'analisi dei rapporti col mercato; infine, la ponderata valutazione sull'essere o meno in all'interno di un quadro di "musica di consumo" (brutta locuzione invero), musica anche detta "commerciale". Ora non voglio entrarci. Dico solo, in modo un poco provocatorio: però anche fosse? Qui parlo di cose non d'una astratta cultura, ma mischiate con la vita, con le sue contraddizioni, con le sue speranze, col suo camminare.... "Life carries on in the people I meet".

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Indice

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Racconti brevi

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Angela L'accappatoio e le stelle Alice Lavinia Luisa La vera rivoluzione informatica

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Poesie

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Possibilità della poesia Vita familiare I Pineta Aria Pomeriggio di domenica La terra e il sorriso Oriente Aria di pioggia Il mare a sera La mia vera domanda Mattino d’estate Quieto amor costante Revoca dalla polvere Cezanne Miei sogni Perenne resa al canto Imprevisti Alberi Tutta la vita

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Piccola poesia Per una mattina serena Mattino Alla mia sposa Primavera Donna Piccola considerazioni Ombra di luna Misericordia dell’Essere Sentirsi amati E’ lei Piove oggi... Dell’appartenenza E’ proprio il nostro amore

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“Frammenti” Frammenti I Frammenti II

“La scatola musicale” Angelo Branduardi I Angelo Branduardi II Peter Gabriel

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Appendice. Composizioni apparse in antologie poetiche a stampa (I volumi sono editi da Aletti Editore).

“Piccolo spicchio di creato”, in “Poesie del nuovo millennio, Vol II”, 2003 (pag. 29)

“Agnese”, in “Tra un fiore colto e l'altro donato”, 2003 (pag. 76)

“Lo spazio di una domanda umile”, in “Orizzonti di Guerra”, 2003 (pag. 29)

“Quieto amor costante”, in “Tra un fiore colto e l'altro donato, Vol. II”, 2004 (pag. 33)

“Occhi”, in “Verrà il mattino e avrà un tuo verso”, 2004 (pag. 57)

“Sentirsi Amati”, in “Internauti”, 2005 (pag. 19)

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Marco Castellani vive a Roma, dove è nato nel 1963. E' ricercatore astronomo, marito e papà. Il suo contatto web è http://card.ly/mcastel Il suo indirizzo email è m.castellani@gmail.com

A questo volume è associata una pagina web, raggiungibile tramite l'indirizzo http://cli.gs/come-ogni-altra-cosa

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