Marco Martini
Dialettica dell’Assoluto e ontologia della soggettività nella Fenomenologia hegeliana: la “contraddizione necessaria”. EDIZIONI ISSUU.COM
GENESI E STRUTTURA DELLA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO COME DIALETTICA DELL’ASSOLUTO ED ONTOLOGIA DELLA SOGGETTIVITA’. Introduzione. Il termine “fenomenologia” deriva dal greco ed ha un duplice significato: 1)apparire, nel senso di disvelamento della verità, manifestazione del reale; 2)falsa apparenza, parvenza, inganno. Hegel tiene presenti entrambi i significati, che corrispondono ai due punti di vista fenomenologici: 1)quello della scienza, del sapere assoluto e 2)quello della coscienza volgare, comune, finita. Hegel, nel corso dell’opera, espone i due punti di vista con le espressioni “per noi” (il punto di vista della scienza) e “per la coscienza” (il punto di vista finito). La coscienza (Bewuss, cioè coscienza intellettuale quando compie esperienze teoretiche e Gewissen, cioè coscienza morale quando compie esperienze pratiche), deve compiere una serie di esperienze per arrivare al sapere assoluto, per far sì che coincidano i due punti di vista fenomenologici: tali esperienze costituiscono una serie di sconfitte, di smacchi per la coscienza, che in tali sconfitte vede solo “il puro nulla”. La scienza, il “per noi” sa invece che tali smacchi non sono inutili, ma che sono necessari per arrivare al sapere assoluto; non sono delle sconfitte fine a loro stesse, ma costituiscono un “fuoco rigeneratore”, sono quindi delle “negazioni determinate”; la via del dubbio e della disperazione è quindi anche un’ascesi. La scienza sa questo perché ha già percorso il “calvario” della coscienza, ha già versato “molto sangue”. Nel corso dell’opera, la funzione della scienza sarà quella di “lasciar fare la coscienza”, lasciare che essa compia le proprie esperienze: questo atteggiamento del “per noi” è da Hegel definito “astuzia della ragione”. Il sottotitolo dell’opera è infatti “scienza dell’esperienza della coscienza”. La Fenomenologia dello Spirito è stata definita anche come Anticritica della Ragion Pura perché Kant voleva introdurre la filosofia ‘dall’esterno’, con una critica alla Ragione da parte della ragione stessa. Scriverà, in proposito, Hegel: “La filosofia di Kant è paragonabile all’atteggiamento di colui che vuole imparare a nuotare prima di buttarsi nell’acqua”. Per questo motivo Hegel scrive la Prefazione dopo l’opera, in quanto una “Prefazione”, particolare, non può introdurre la Filosofia, che è universale. Hegel distrugge anche le categorie kantiane di quantità, qualità, relazione e modalità come filosofia della finitezza, della separazione tra soggetto ed oggetto. La coscienza, nella Fenomenologia dello Spirito, compie un viaggio anticritico, che è stato paragonato a quello di Ulisse nell’Odissea: solo alla fine del viaggio la coscienza diventa Scienza. La serie di esperienze compiute dalla coscienza sono quindi dei “piccoli passi verso la meta finale”, costituiscono la “dialettica” (termine che Hegel usa esplicitamente solo due volte nel corso dell’intera opera). Le esperienze della coscienza sono definite da Hegel “figure”: tali figure hanno una corrispondenza storica, ovvero si collocano in periodi storici precisi, rappresentano lo “spirito del tempo” (Zeitgeist) e lo “spirito del popolo” (Volksgeist). Le figure sono raggruppate in “momenti”, che invece sono “astratti”, nel senso che non corrispondono a periodi storici. I momenti sono di due tipi: 1)teoretici e 2)pratici. Di conseguenza, abbiamo figure teoretiche e figure pratiche, secondo il seguente schema: MOMENTI TEORETICI
MOMENTI PRATICI
I)Coscienza;
IV)Spirito;
II)Autocoscienza;
V)Religione;
III)Ragione; SAPERE ASSOLUTO
A) MOMENTI TEORETICI I) Coscienza. Sono queste le figure più basse, immediate ed ingenue, la “certezza sensibile” e la “percezione”, che credono che il sapere assoluto, l’oggetto sia “il questo” e “l’ora”: la coscienza crede ingenuamente che la conoscenza si trovi “immediatamente”, cioè senza mediazioni razionali. Il risultato di tale ingenua credenza è
ovviamente fallimentare. In un secondo momento la coscienza crede che l’oggetto da conoscere sia dentro di lei, crede cioè di possedere la verità e si piega su sé stessa, ma dentro la coscienza non c’è che lei, la coscienza con le sue presunzioni. Hegel, con questa figura, definita “forza e intelletto”, accusa tutta la “filosofia della riflessione” ed in particolare Fichte: la coscienza, con questa operazione di ricerca all’interno di sé, “ha soltanto giocato allo specchio”. Queste figure trovano corrispondenza nella preistoria. Accortasi della propria vacuità, la coscienza torna in sé, ed in questo autoriflessione si dà come Autocoscienza. II) Autocoscienza. La prima figura è “signoria e servitù”, nota come dialettica “servo-padrone”, ed è collocata storicamente nel dispotismo orientale, nel mondo asiatico. Il servo, inizialmente, lavora le cose, gli oggetti, per il padrone, che in cambio del lavoro gli garantisce soltanto la vita; in un secondo momento, però, il servo si accorge che il padrone non può fare a meno del suo lavoro, poiché è il servo che lavora le cose, e non il padrone. Così il servo si emancipa mediante il lavoro e riconoscendo come proprie le cose che lavora, fa cadere il padrone, e la situazione per la coscienza si capovolge: colui che essa credeva essere il servo è diventato signore e viceversa. Kojéve, critico marxista del ‘900 di questa figura, vede in essa il riscatto del proletariato dalla borghesia, ma Marx stesso, nell’Ideologia tedesca, smentendo in anticipo una interpretazione del genere, afferma che questa figura è soltanto una “robinsonata”: Marx non vede altro che il “rapporto astratto” tra Robinson Crosue ed il suo servitore Venerdì, e non trova alcun germe di lotta di classe. Anche per Hegel si tratta infatti della lotta tra due autocoscienze (la signoria e la servitù), di una dialettica speculativa volta soltanto a dimostrare la fallacia delle credenze della coscienza. Le figure dello Stoicismo e dello Scetticismo sono da Hegel storicamente collocate nel tardo impero romano e rappresentano quasi “un passo indietro” della coscienza, che è fortemente scissa: lo stoicismo, volendo liberare l’uomo da tutte le passioni, lo isola dalla vita, creando così una scissione; lo scetticismo invece, negando ogni certezza, svuota la coscienza e la porta alla scissione di sé con sé, le provoca quindi una scissione interna, un’autocontraddizione insanabile. La coscienza scettica nega, ad esempio, la certezza della percezione, ma percepisce, nega la certezza del pensiero, ma pensa, nega la certezza dell’agire morale, ma agisce. Sono comunque queste due figure che rivestono una funzione abbastanza transitoria all’interno dell’opera. La figura successiva, anche questa molto studiata come “Signoria e servitù”, è quella della “coscienza infelice”, che segna il passaggio della coscienza dal momento Autocoscienza al momento Ragione. La coscienza è infelice perché si accorge di essere eternamente scissa: per salvarsi da un’infelicità eterna, si rimette nelle mani della Chiesa, la quale, rappresentando il punto di vista del “per noi”, promette alla coscienza che il suo attuale sacrificio avrà un senso. Questa figura, storicamente inserita nel Medioevo, evidenzia la rivalutazione che Hegel ha fatto della Chiesa, rispetto agli Scritti teologici giovanili. Ma la coscienza non si rende conto di ciò e si accorge solo della sua infelicità; tuttavia, in tale accorgersi di essere infelice, in quanto scissa, la coscienza ha già compiuto un passo avanti verso l’assolutezza, e si offre così alla Ragione. III) Ragione. La Ragione è l’ultimo momento teoretico e si articola in due parti: a)Ragione Osservativa e b)Ragione Operativa. La Ragione Osservativa è quella dedicata all’osservazione ed alla descrizione delle leggi e dei rapporti tra mondo organico ed inorganico. In secondo luogo, la Ragione Osservativa si pronuncia sulla logica e la psicologia, criticate da Hegel in quanto troppo astratte e matematiche. In terzo luogo, la Ragione Osservativa esamina la fisiognomica e la frenologia, considerate da Hegel due “pseudoscienze”: la prima pensa di ricostruire i tratti interiori dell’individuo ricostruendo i tratti somatici (si pensi alla chiromanzia, allo studio della mano e del viso). Per la frenologia, invece, afferma Hegel con ironia, “lo spirito è un osso”: essa intende studiare il rapporto fra esterno ed interno, psiche umana e scatola cranica, riducendo lo spirito a “mera cosa”. Al termine di questa figura la coscienza si è resa conto di non poter stabilire il rapporto tra l’esterno e l’interno della cosa con la sola osservazione: è necessario adesso che la ragione agisca nel mondo, diventi quindi Ragione Operativa. ( Si noti come la Fenomenologia dello Spirito sia “un’anticritica della ragion pura” in quanto parte dal presupposto di voler conoscere, a costo di tutte queste esperienze, la cosa in sé, ritenuta da Kant inconoscibile). La Ragione Operativa, in primo luogo, agisce I)contro il mondo: con la
“legge del cuore” si arriva però al “delirio della presunzione”, perché la legge del cuore, individuale, non può lottare contro il mondo, universale. Nella figura successiva, “Il cavaliere della virtù e il corso del mondo”, il cavaliere della virtù, identificato con il Don Chisciotte di Cervantes nel mondo moderno, non può pretendere di fermare il corso del mondo, che procede per la sua strada, ritenuta una via del male da parte del cavaliere della virtù, che pensa di essere nel giusto. Il cavaliere della virtù, accortosi dell’inutilità di lottare contro il mondo, vuole ora realizzare la Ragione Operativa II)nel mondo. Realizzarsi nel mondo, per la Ragione, vuol dire incarnarsi nel mondo concreto, calarsi praticamente (nel senso di “moralmente”) in esso, e darsi come Spirito. B) MOMENTI PRATICI IV) SPIRITO. Con il “momento Spirito” iniziano le figure pratiche della Coscienza e terminano quelle teoretiche. Le figure di questo momento s’inseriscono storicamente nell’Illuminismo della Rivoluzione francese, di cui Hegel critica “la cultura puramente intellettualistica che produce uno spirito che si è reso estraneo a sé”, e nel Romanticismo. Hegel inizialmente saluta la Rivoluzione francese come “l’alba di una nuova era”, ma in seguito ne critica le degenerazioni giacobine e robespierriste (affermerà che “lo Spirito si è insanguinato”). Lo Spirito culmina con la condanna del Terrore montagnardo e della Rivoluzione francese nella sua fase terminale. La Rivoluzione giacobina, tutta teorica, vuole rovesciare il mondo sulla ragione, sul pensiero, sulla “metafisica” quindi, nonostante e paradossalmente con l’ateismo che sbandiera in nome del culto della Dea Ragione: ha quindi fatto un “lavoro filosofico” in cui il mondo è distrutto per essere posto solo sulla ragione, in cui “le teste vengono tagliate come se fossero dei cavoli”, in cui il particolare viene sacrificato per l’universale. Il cattivo rapporto tra universale (ragione) e particolare (mondo)è il punto debole della rivoluzione: il terrore. Tale Illuminismo corrisponde alla morale kantiana, in cui si assiste al dominio della ragione sui sensi, dell’universale astratto sul particolare concreto, della Legge Morale, formale, vuota, Assoluta, sulle inclinazioni dei singoli individui. In particolare Hegel critica i postulati della Ragion Pratica, la libertà (solo quella di obbedire alla legge morale), l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio, in quanto tali postulati, necessari per raggiungere rispettivamente la Santità ed il Sommo Bene, non si trovano nel corso del mondo. E’ questa la coscienza morale (Gewissen), è il punto d’incontro tra particolare ed universale, ma “non è ancora” il Sapere Assoluto, perché tale coscienza morale non riesce ad agire, l’azione gli sfugge di mano, “il sasso è lanciato dalla mano dell’uomo, ma il suo volo è fatto proseguire dalla mano del diavolo”: a questo fallimento corrisponde la filosofia di Jacobi, a cui Hegel, implicitamente, si riferisce. Questa figura che non riesce ad agire è quella dell’anima bella di Schiller: la figura dell’ ”anima bella” è quindi storicamente inserita nel primo Romanticismo. In Schiller il bello s’identificava con il buono, l’estetica con l’etica. Schiller, esprimendosi contro la morale kantiana, aveva definito Kant “il Mosè tedesco” (cfr. F. Schiller, Sulla grazia e sulla dignità). Sono questi anni in cui in Germania l’arte appare come il momento più alto, con Schiller, l’idealismo estetico di Schelling, i fratelli Schlegel e la rivista “Atheneum”, Holderlin, che idealizzò la Grecia, anticipando, in un certo senso, la visione nietzscheana. Hegel vuole smontare qui la certezza che l’arte sia il momento più alto dello Spirito, vuole screditare il Genio Romantico, che “tutto dissolve in nome dell’ironia” e che rischia, a causa dello scoramento, dovuto alla consapevolezza dello scarto tra l’Arte, l’Artista da una parte, e la produzione artistica dall’altra, di condurre al nichilismo. Hegel anticipa qui la morte dell’arte, intesa come soggettività chiusa in sé stessa. Nell’agire l’individuo si separa dagli altri: vi è quindi una coscienza agente ed una coscienza giudicante, la prima rappresenta l’azione del male, che porta al contrasto, alla scissione tra particolare ed universale, la seconda si sente incarnazione del dovere, non agisce, ma si limita a guardare ed a condannare l’azione del male, rappresentata dalla coscienza agente, e se ne distacca, esprimendo così una nuova separazione tra particolare ed universale ed assumendo un atteggiamento così miope da dare ragione al proverbio francese per cui “non c’è eroe per il suo cameriere”; la coscienza giudicante ha così assunto l’atteggiamento del cameriere. La coscienza agente si riconosce nella scissione e confessa la propria singolarità: con tale confessione s’innalza così all’universale. La coscienza agente si aspetta un reciproco atteggiamento da parte della coscienza giudicante, ma questa, certa di sé, “con cuore duro”, non risponde e crede di essere solo lei nel bene. La coscienza agente è questo “cuore duro”, questa mancanza di risposta. In un secondo momento, mentre “le ferite dello spirito si rimarginano senza lasciare cicatrici”, la coscienza giudicante perdona la coscienza agente, il bene perdona il male: perdonare significa rinunciare alle pretese assolutistiche di universalità e riconoscersi uguale all’altra
coscienza. Come la coscienza agente si riconosce nella confessione, la coscienza giudicante si riconosce nel perdono: la coscienza, così scissa, è quindi ora pronta per darsi alla Religione. V) RELIGIONE. Hegel distingue in proposito la religione naturale, la religione artistica e la religione rivelata. La religione naturale è immediata, “Dio viene “cosalizzato” con il lampo ed il tuono”. Sembra un “tornare indietro”. La religione artistica concepisce “Dio come il sé unilaterale”, un punto di vista schellinghiano, in quanto di Dio si considera solo l’aspetto estetico, esteriore. Queste prime due figure del momento Ragione sembrano quindi smentire il concetto di “negazione determinata”, ma non è così: malgrado tali sconfitte, la coscienza prosegue infatti nelle sue esperienze e scopre la religione rivelata (Offenbar = rivelata), che esprime un contenuto vero, che è il Sapere Assoluto, nella forma inadeguata del concetto, che è “campo di dominio dell’intelletto”. Il Sapere Assoluto va invece espresso come rappresentazione, Idea, e non come concetto. La religione rivelata viene definita da Hegel “l’anticamera dell’Assoluto”.
SAPERE ASSOLUTO E’ il luogo di nascita della Scienza, espressa adeguatamente come rappresentazione: nel sapere assoluto sono scomparse le figure, perché sono finite le esperienze della coscienza finita, il cui punto di vista coincide ora con quello della Scienza, del “per noi”. La Scienza appare solo dopo tutte queste esperienze. Ma cos’è il Sapere Assoluto ? E’ qualcosa di “estremamente semplice, non di astratto, bensì massimamente concreto”. Da quanto detto si comprende come storicamente il Sapere Assoluto sia incollocabile, perché non comprende più figure. Tutte le precedenti figure, tutte le dolorose esperienze che la coscienza ha compiuto e che credeva inutili, in quanto esperienze finite, nel loro aspetto di finitezza, sono tolte, eliminate, ma sono conservate come momenti positivi di crescita verso il Sapere Assoluto, che non è altro che “l’identità dell’identità e della non-identità”, il soggetto che ingloba in sé l’oggetto e che lo conosce completamente, senza dominarlo o separarlo, senza scissioni interne o atti di violenza. Il Sapere Assoluto è la “pura conoscenza” in cui le esperienze precedenti sono quindi “tolte come conservate” ( = aufgehoben ). Si nota l’importanza che Hegel conferisce alla filosofia della storia: le figure sono conservate dal Sapere Assoluto come “memoria”. Sono terminate le figure, sono terminate le esperienze della coscienza, storicamente collocate nei vari periodi, perché è terminata la storia: la Scienza si affaccia quindi alla fine della storia. Afferma infatti Hegel: “La civetta di Minerva spicca il volo solo al tramonto” (la civetta di Minerva è la Scienza, che si manifesta solo al tramonto della storia). Afferma Hegel in conclusione: “E’ questo del Sapere Assoluto il calvario e la certezza del suo Trono, senza di cui Esso sarebbe soltanto l’inerte solitudine. E soltanto dalla Coppa di questo Regno dello Spirito spumeggia la sua Infinità”. PREFAZIONE. E’ stata scritta da Hegel dopo l’opera, perché una prefazione, che è “particolare” per sua natura, non può esprimere in sintesi la Scienza, che è universale. Il falso, dice Hegel, è un momento del vero, e quindi falso e vero non vanno presi dogmaticamente e distintamente, ”come l’olio e l’acqua”, perché “la verità è l’intero”. Hegel critica inoltre il “buon senso”, che dell’Assoluto coglie solo “punti luminosi”, perché “la filosofia non si fa in maniche di camicia”, ma necessita di un rigoroso metodo razionale che è la dialettica, e la dialettica dell’Assoluto non è “immediata come un colpo di pistola”: Hegel critica qui Schelling, per il quale l’arte coglieva l’Assoluto, a differenza della filosofia, grazie all’ intuizione immediata. Ma la filosofia è mediazione (esperienza nel senso di “fenomenologia” di “figure”) e non immediatezza. La filosofia schellinghiana pensava invece di ricondurre tutto all’arte, dimenticando che il mondo empirico, caduco, non appartiene a quello artistico: tale confusione operata da Schelling è “la notte in cui tutte le vacche sono nere”. Si nota come Hegel, che nella Differenza tra i sistemi filosofici di Fichte e di Schelling difendeva Schelling accusando Fichte (affermò infatti Hegel “La filosofia di Fichte è come la birra, mi fa schifo; tuttavia i suoi studenti farebbero meglio ad assaltare le birrerie di Jena piuttosto che a sentire le sue lezioni”), ha ora preso nette distanze anche dall’idealismo estetico. La mediazione necessaria di cui parla Hegel è la dialettica dell’Assoluto, in cui avviene l’automovimento del soggetto, che esce fuori da sé, conosce la cosa in sé ( = Ding an sich ), l’oggetto, e ritorna in sé: l’Assoluto è quindi in sé e per sé, perché
1)è in sé, 2)è altro da sé, 3)ritorno in sé (è in sé e per sé). SCHEMA DELLA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO.
MOMENTI TEORETICI
FIGURE
A) Coscienza
a) certezza sensibile;
b) percezione; c) forza e intelletto.
B) Autocoscienza
a) signoria e servitù;
b) stoicismo; c) scetticismo; d) coscienza infelice.
C) Ragione
C/1) Osservativa:
a) mondo organico ed inorganico; b) leggi logiche e psicologiche; c) fisiognomica e frenologia.
C/2) Operativa: I) contro il mondo: a) la legge del cuore e il delirio della presunzione; b) il cavaliere della virtù e il corso del mondo.
II) nel mondo: à D) Spirito.
MOMENTI PRATICI
D) Spirito
FIGURE
a) l’Illuminismo (“la cultura che si è resa estranea a sé”) e
la Rivoluzione francese; b) l’anima bella.
E) Religione
a) naturale;
b) artistica; c) rivelata (“anticamera dell’Assoluto”). SAPERE ASSOLUTO