MARCO MARTINI
IL CASO BREXIT Le conseguenze economiche, politiche e sociali EDIZIONI ISSUU.COM
IL CASO BREXIT Le conseguenze economiche, politiche e sociali Nessuno se lo sarebbe immaginato. Il futuro della Gran Bretagna era chiaro già nel 1952 quando Winston Churchill, presidente americano, affermò: “Il Regno Unito ha due possibilità. O diventa la 50° stella degli Stati Uniti d’America o provvede a costruire la nascita di un’Europa Unita in collaborazione con gli altri stati europei.”. La Gran Bretagna ha sempre fatto fatica ad immaginarsi come parte di un’ organizzazione sovranazionale ed è stata spinta all’ingresso nell’Unione nel 1973 quando i valori di crescita del PIL dei paesi membri viaggiavano intorno al 7/8 %.
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Il caso Brexit ha sconvolto l’Europa. Il referendum del 23 giugno 2016 ha visto il trionfo degli Euroscettici nei confronti di chi invece riteneva necessario mantenere rapporti di ogni genere con L’Unione Europea. In Gran Bretagna ha vinto il populismo di Boris Johnson, l’estrema destra di Farage, la xenofobia e l’ultranazionalismo. Sono riaffiorati il conservatorismo e il nazionalismo dell’età Vittoriana ed Elisabettiana che, tutto sommato, si sono sempre manifestati nell’animo degli inglesi. Dal referendum escono sconfitti gli ideali di libertà, di fratellanza, di cosmopolitismo ma anche i valori ed i diritti dei cittadini. Ha trionfato inaspettatamente il Leave con il 52% contro il 48% del RemaIN (parola chiave della campagna elettorale dei laburisti che gioca su due parole: Remain ed In). Al voto il 72% della popolazione, l’80% nella fascia tra i 30 ed i 50 anni mentre appena il 37% nella fascia tra i 18 ed i 30 anni. Ma coloro che hanno influito maggiormente nella votazione sono i “vecchietti” britannici, con oltre il 60% a favore dell’uscita dall’UE. I giovani si sono dimostrati i più europeisti anche se più della metà di essi ha preferito non votare lasciando alle vecchie generazioni il compito di prendere una decisione che molto probabilmente non influirà sulla loro vita privata, economica e politica. Infatti a seguito del referendum saranno necessari dai 2 ai 10 anni prima che il Parlamento Europeo e quello britannico trovino un accordo e la Gran Bretagna riesca a rinegoziare con i paesi dell’Unione i traffici economici. Un altro dato importante è quello geografico: ha trionfato il Remain in Scozia ed in Irlanda del Nord mentre il leave ha trovato più sostenitori Inghilterra, in particolare nelle campagne, fuori dai grandi centri urbani. Situazione difficile da interpretare in Galles dove il gap è stato inferiore al 3%. Londra si è schierata apertamente a favore dell’UE, solo il 40% ha votato per l’uscita. Questo se lo aspettavano tutti in quanto Londra è attualmente uno dei più grandi centri di globalizzazione mondiale e gran parte della popolazione ha beneficiato dei diritti europei
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per integrarsi nel paese e nella città. In modo simile da un punto di vista geografico, in questo rapporto tra campagne e città, ma molto differente per caratteristiche, dinamiche e da un punto di vista cronologico, accadde nel diciottesimo secolo durante la Rivoluzione Francese. Se a Parigi, capitale, il popolo era insorto e aveva dato vita ad una rivoluzione dimostrandosi aperto ad ideali modernissimi ed avanzatissimi per quel tempo, nelle campagne circostanti, in particolare in Vandea, stava avvenendo una contro-rivoluzione che aveva l’intento di instaurare nuovamente un regime monarchico e conferire nuovamente potere alla classe clericale. Un altro dato importante è quello che riguarda l’istruzione; secondo l’Huffington post l’85% di chi ha studiato fino a 20 anni ha preferito rimanere all’interno dell’Unione Europea. Quello che però sta sconvolgendo l’Europa non è tanto il referendum in sé ma ciò che può accadere adesso all’Europa e alla Gran Bretagna.
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Reazione immediata e negativa per i mercati azionari che hanno perso dai 7 ai 10 punti percentuale in tutti i paesi dell’UE. Si è verificato in tutta Europa un fenomeno di paura causato dall’instabilità dei mercati finanziari e molti imprenditori o azionisti hanno pensato bene di ritirare gli investimenti in Gran Bretagna a causa del forte deprezzamento della sterlina (da 1,4 a 0,8 rispetto all’Euro). Ma quello che più preoccupa è l’aspetto civile e umano in quanto i diritti che i cittadini avevano ottenuto fino ad ora saranno spazzati via nel giro di pochi anni. Per prima cosa i cittadini britannici dovranno chiedere un visto per poter viaggiare in Europa e le loro vacanze saranno sicuramente più care. Questo diminuirà i flussi turistici in tutti i paesi dell’Unione andando a danneggiare anche molte economie locali. Ci sono attualmente 1,3 milioni di cittadini britannici traferiti in Europa ed essi dovranno sottostare a lunghi procedimenti burocratici per regolarizzare la loro posizione di extracomunitari. Inoltre i cittadini britannici non potranno usufruire della sanità gratuita nei paesi europei in quanto essa è garantita dall’Unione stessa solo per i paesi membri. Per il Regno Unito ci saranno problemi anche da un punto di visto di occupazione in quanto molte banche ed imprese straniere lasceranno l’isola per ovviare a maggiori spese economiche aumentando il numero dei disoccupati di 1,6 milioni. C’è inoltre il rischio che si costruiscano muri o recinzioni in quei territori come la Gibilterra, sotto il controllo inglese ma lontano dal territorio nazionale, al confine con la Spagna ma anche tra Irlanda ed Irlanda del Nord. A seguito dei risultati Farage ha affermato che il Regno Unito è ancora unito (United Kingdom is still united) ma il dissenso scozzese e irlandese si sta facendo sentire. Il peso della popolazione inglese, di gran lunga superiore, ha schiacciato quello di Scozia ed Irlanda del Nord e stanno affiorando pensieri come l’uscita dei due paesi dalla Gran Bretagna per un ritorno in Europa.
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Il referendum ha spaccato in due la Gran Bretagna ma anche il partito dei conservatori. Cameron si è dimesso e ha anticipato a settembre le elezioni del governo per trattare con l’Unione Europea. Intanto Farage ha smentito ciò che aveva promesso durante la campagna elettorale affermando di non poter garantire maggiori fondi ai servizi e alla sanità britannica avendo risparmiato sui costi annuali previsti dalla BCE e Johnson sembra aver cambiato opinione sulla necessità dei rapporti economici con l’Europa. Il clima è molto confuso e ha fatto innervosire il Parlamento Europeo, c’è la necessità di una decisione precisa e chiara da parte della classe dirigente inglese. Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea dal 1° novembre 2014, si è schierato apertamente contro Farage e le sue posizioni. “Out is out”, chi è fuori è fuori, ha dichiarato a seguito dei ripensamenti da parte del leader dei conservatori che teneva un discorso a Bruxelles, in parlamento, pochi giorni dopo il referendum. Juncker ha stabilito che la Gran Bretagna dovrà assicurarsi una posizione entro settembre altrimenti sarà il Parlamento Europeo a decidere sul suo futuro. Il coltello dalla parte del manico lo ha sicuramente il presidente della commissione europea in quanto con il referendum è stato violato il 4° articolo della costituzione (leale cooperazione tra stati membri) e si potrebbe ricorrere al 7° che prevede la sospensione dei diritti in caso di violazione di un articolo fondamentale. Queste sono però ipotesi estreme in quanto verrebbero attuate solamente se la Gran Bretagna rompesse definitivamente i rapporti con gli altri paesi europei. L’estrema destra europea ha accolto positivamente il risultato del referendum. Potrebbe verificarsi un effetto domino in molti i paesi dell’Unione. Tra i paesi più Euroscettici troviamo Grecia, Repubblica Ceca e Cipro mentre i paesi più Europeisti sono Lituania, Lussemburgo e Romania. In Italia meno di un cittadino su due si sente europeo e, a differenza della Gran Bretagna, sono i giovani i più Euroscettici. Secondo Eugenio Scalfari la politica antieuropea portata avanti da Farage ha scatenato un sentimento negativo in tutta Europa. Basti pensare alle parole del leader della Lega Matteo Salvini “adesso tocca a noi” o a quelle della francese Marie Le Pen “anche noi dobbiamo riprenderci la nostra sovranità”. I nazionalismi ottocenteschi e novecenteschi hanno scatenato guerre d’indipendenza e guerra mondiali. L’Europa non può permettersi un ritorno al sentimento nazionalistico, l’Europa deve imparare dalla storia per costruire un futuro sicuro e basato su ideali di pace e alleanza che sono garantiti in primo luogo dall’Unione Europea e dalla sua costituzione.
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Bibliografia: -Quotidiani: La Nazione, Il sole 24 Ore, La Repubblica Articoli di: Eugenio Scalfari, Andrea Bonanni, Francesca De Benedetti, E. De Felice -Dentro la Storia – Z. Ciuffoletti & U. Baldocchi Sitografia: -www.LaRepubblica.it -www.HuffingtonPost.com -www.SkyNews.com
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-www.Geopolitica.com
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