Marco Martini
L’anima: i percorsi della ragione e l’abisso della follia.
Edizioni ISSUU.COM
L’anima: i percorsi della ragione e l’abisso della follia. Sabati letterari dell’A.C.I. (Associazione Culturale Italiana), presso il teatro dell’Oriuolo, via dell’Oriuolo, Firenze. Sabato 19/11/1988. Conferenza del Prof. Umberto Galimberti. La parola anima deriva dal greco “psiukè” come “regione non controllabile”; nel cristianesimo popolare, cioè in quello diffuso, si riconosce il dualismo anima/corpo, in modo ingiustificato, perché il termine è di origine greca. Omero invece tratta l’anima come una parvenza, un’ombra che non ha spessore e che “vola”; la corporeità è simbolo della vita. Nel mondo poetico, l’anima entra in rapporto con il tempo (in Pindaro, ad esempio), che non viene inteso come lo intendiamo noi attualmente, in senso lineare, continuo, ma ciclico; la morte è la chiusura del ciclo, l’anima è quindi finalità. La poesia dispone, dice Pindaro, della lode e del biasimo: la nozione di anima nasce in compagnia della morte. Grazie alla lode ed al biasimo, la poesia fa vivere o meno le varie anime. L’anima, nella cultura greca, è coniugata con la verità o con l’oblio; questo lo si ritrova soprattutto nei misteri orfici e pitagorici. Qui l’anima è collocata nel dualismo tra bene o male. Le pratiche di iniziazione a tali riti misterici consistevano in esercizi di memoria o di oblio. Questo lo si ritrova anche nella cultura islamica. Nel mondo politico emerge una nuova concezione della parola anima: i politici devono essere i filosofi, perché soltanto i filosofi hanno presente il bene comune. La parola “comune” nasce proprio in seno alla democrazia greca: i beni vengono messi in comune (“Koinòn”). Si mettono in comune anche le parole: le parole possono essere private o pubbliche, le stesse parole. Mettere in mezzo 8in comune) le parole vuol dire far sì che esse possano servire alla comunicazione. Platone afferma che le parole hanno sensi diversi a seconda di come si usano e di chi le usa (sacerdoti, filosofi, popolo). Platone mette in dubbio, nella sua continua aporia, la possibilità della comunicazione e del linguaggio (cfr. i dialoghi Cratilo e Parmenide). Platone intende, in tal senso, ricercare la santità, e con questa il problema della definizione. Per arrivare ad una comunicazione completa occorre definire le parole, ricercare le essenze (“ousìa” significa “essenza”, ciò senza la quale un ente non è tale), le cause prime (“aitìa” significa “causa prima”) delle parole. L’anima ha tale compito: è il laboratorio per la ricerca del sapere, a differenza, invece, del corpo, che è follia, prigione del corpo. Il corpo è in preda alle passioni e non sta alle regole dell’identità. Per Cartesio non è sufficiente definire le parole: si devono anticipare i significati delle parole. Ciò si ritrova poi in Kant (Platone aveva riassunto i significati orfici, politici e poetici dell’anima). Nel nostro secolo, la ragione deve armarsi concretamente, la ragione deve misurare la verità con la sua efficacia. Per Cartesio, invece, la ragione deve misurarsi con la natura soltanto. La ragione ha inoltre contatti con la follia; la ragione rende leggibili i significati che la follia enuncia senza leggere. In questo contesto s’inserisce l’anima, così concepita nel mondo contemporaneo. La ragione esprime simboli, la follia esprime simboli codificati. Sono differenti elementi di comunicazione.