Marco Martini
Lezioni sul Risorgimento a 150 anni dall’unità d’Italia
Edizioni ISSUU.COM
1 LEZIONI SUL RISORGIMENTO A 150 ANNI DALL’UNITA’ D’ITALIA: 17 marzo 1861/17 marzo 2011. Periodo di svolgimento del corso. al 24/09/2010 al 03/12/2010). Programma delle lezioni: 1.Alberto M. Banti (Università di Pisa), Le origini della nazione italiana, ven. 24/09/2010 h. 17,0018,00, Sala di rappresentanza del Comune di Viareggio; 2.Pietro Finelli (Domus mazziniana di Pisa), Mazzini, Gioberti, Cattaneo (1830-1849), ven. 08/10/2010 h. 17,00/18,00, Aula Magna del Liceo Classico “G. Carducci”, Viareggio; 3.Zeffiro Ciuffoletti (Università di Firenze), Origini e caratteri del costituzionalismo risorgimentale. Dallo Statuto albertino all’Italia liberale, ven. 22/10/2010 h. 16,00-17,00, Sala di rappresentanza del Comune di Viareggio; 4.Lenzo Lenzi, (Studio Teologico Interdiocesano di Camaiore), Chiesa e Risorgimento, ven. 19/11/2010 h. 17,00-18,00, Sala di Rappresentanza del Comune di Viareggio; 5.Stefano Bucciarelli (Istituto Storico della Resistenza e dell’età contemporanea in Provincia di Lucca), Realtà e mito di Garibaldi, ven. 03/12/2010 h. 17,00/18,00, Sala di Rappresentanza del Comune di Viareggio. 1.Alberto Banti (Università di Pisa), Le origini della nazione italiana. Si celebra nel 2011 il 150° anniversario dell’unità d’Italia (cfr. A. Banti, L’amore della nazione e Il Risorgimento italiano). Banti è ordinario di storia contemporanea all’Università di Pisa. Lo Stato unitario che si fonda nel 1861 è del tutto particolare e diverso da quelli dinastici europei già formati in precedenza. L’Italia si forma come Stato-nazione: per comprendere cosa sia lo Stato italiano dobbiamo quindi prima comprendere cosa sia la nazione italiana e se esisteva. Le nazioni non sono istituzioni spontanee esistenti in natura. Per nazione s’intende, originariamente, un gruppo affine per identità culturale, ma nel ‘700 questo termine si carica di un significato politico, soprattutto durante la Rivoluzione francese: è la nazione che determina lo Stato. Nella Rivoluzione francese il termine “nazione” diventa sinonimo di “popolo” e in questa accezione viene coniato, per la prima volta nella “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” del 26 agosto 1789: da questo momento il termine nazione entra nel vocabolario politico: nessuna autorità è legittimata se non fondata sulla nazione. Dalla Francia il termine “nazione”, inteso in questo significato, dilaga in Olanda, in Italia, in tutta l’Europa. Intellettuali italiani, come Foscolo e Cuoco usano il termine nazione in riferimento alla loro rispettiva “patria”, Venezia e Napoli. Con il termine nazione si rinnova quindi il linguaggio politico. In patrioti che muoiono nelle guerre d’indipendenza hanno tra i 15 ed i 30 anni di età, sono migliaia di volontari che smentiscono, secondo Banti e Paul Ginsborg, la tesi di un Risorgimento di elite, portato avanti solo da pochi intellettuali o politici, quali Cavour e Vittorio Emanuele II. Le masse sono coinvolte, come afferma lo storico Mosse, perché “si parla al cuore più che alla ragione”, si parla ai sentimenti, alle emozioni del cuore romantico, e non alla ragione, come nell’Illuminismo settecentesco. Mosse spiega questo affermando che c’è stata un’ “estetica della politica”, presente nei romanzi di ampia divulgazione, nei melodrammi, molto popolari al tempo (i biglietti del teatro, in “piccionaia” costano poco), nelle pitture, vendute come stampe per pochi centesimi, nelle canzoni. Berchet è sicuramente un intellettuale che contribuisce a questa “estetica della politica”; nell’Ottocento, inoltre, si assiste ad una prima fase di disoccupazione intellettuale per cui gli scrittori si cimentano in temi “più caldi” e più sentiti dal popolo, come quello della nazione, della patria. I temi che toccano il cuore della gente sono, per Banti, essenzialmente tre: 1.Si parla della nazione come di una famiglia e non a caso si usa il termine “sangue”, che accomuna i nostri avi con noi. La nazione è la famiglia e siamo legati ad essa da un vincolo di sangue. La patria è il “pater” e nell’ “Inno di Mameli”, che diventa molto importante dopo il 1848, si usa il termine “fratelli”. 2.Si valorizzano le donne da parte degli intellettuali risorgimentali, perché alle donne è affidata la prolificazione dei figli della patria; si mescolano amore passionale ed amore per la patria, come ci illustra Foscolo ne Le ultime lettere di Jacopo Ortis. Le donne diventano quindi le eroine della nazione, spesso stuprate dai nemici. Acquista dunque importanza il tema dello stupro delle donne,
2 che vanno difese dagli uomini. Anche Manzoni ci parla di stupro ne I Promessi Sposi quando un invasore straniero, don Rodrigo, tenta di stuprare una contadina, Lucia Mondella. 3.Coloro che militano nel movimento risorgimentale hanno il dovere del sacrificio: il “sacrificio” rende “sacro” il comportamento di una persona. Coloro che combattono, soffrono, muoiono per la nazione sono “martiri”: il tema del martirio è traslato dalla tradizione cristiana. Questo è importante per comprendere la “religiosità” risorgimentale e mazziniana, “Risorgimento” significa infatti “Resurrezione” in termini teologici. L’Italia è caduta e deve risorgere politicamente e moralmente. “Risorgimento” significa “Resurrezione” anche nell’ultima definizione del Vocabolario dell’Accademia della Crusca. Il libro Cuore di Edmondo De Amicis esalta l’amor di patria con un vero e proprio turbinio di emozioni: si ama l’Italia perché gli avi sono italiani, la lingua è italiana, il paesaggio è italiano, il tricolore è italiano, i martiri con le teste bendate ed i moncherini fasciati sono italiani. Il nazionalpatriottismo sostiene che è meglio morire che essere vili o traditori, indegni figli d’Italia. 2.Pietro Finelli (Domus mazziniana di Pisa), Mazzini, Gioberti, Cattaneo (1830-1849). Mazzini rappresenta l’idea democratica e repubblicana, Gioberti è promotore del federalismo neoguelfo, Cattaneo, pur trovando in Mazzini un punto di riferimento per l’energia dell’azione, è il teorico del federalismo laico, distanziandosi, in questo dalla tesi mazziniana dello Stato unitario. Dopo il fallimento dei moti del ’20 e del ’30, Mazzini subisce il carcere e l’esilio in Francia; dalla Francia studia ed intravede i limiti della Carboneria nei seguenti due: a) l’eccessiva segretezza, che riguardava lo stesso programma politico, consistente in una gerarchia ferrea all’interno dell’organizzazione, in riti di iniziazione ed in un linguaggio segreto, che aveva caratterizzato anche l’associazione dei “Sublimi Maestri Perfetti” di Buonarroti; b) nell’esclusione delle masse popolari, in quanto i membri delle società segrete risorgimentali precedenti alla “Giovine Italia” erano perlopiù intellettuali, giornalisti, studenti universitari e docenti. Mazzini fa della “Giovine Italia”, fondata da lui nel 1831, il prodromo di un futuro moderno partito politico; Mazzini fonda anche un periodico, “La Giovine Italia”,, pubblicato per 4 anni, nel cui 1° numero stabilisce il programma dell’associazione: costituire un’Italia unita, libera, indipendente, repubblicana. Mazzini abbandona l’eccessiva segretezza che aveva caratterizzato la Carboneria, segretezza ereditata dalla massoneria della Francia rivoluzionaria.Bisogna passare, secondo Mazzini, dalla tecnica del colpo di Stato a quella dell’insurrezione, che necessita delle “masse”, cioè del popolo intero, e non delle pari di esso, come Mazzini stesso scrive nel 1834. Mazzini e Gustavo Modena, altro patriota, fondano il periodico “L’educatore popolare”: è necessario educare attraverso l’azione, ossia l’insurrezione, cioè provocare quante più insurrezioni possibili, anche se di modesta entità ed anche se destinate al fallimento. Dopo gli anni ’30, in Mazzini, è sempre più presente il misticismo: come la religione, anche la patria ha bisogno di martiri, di persone pronte al sacrificio, pronte a testimoniare (“martire” in greco significa proprio “testimone” ) con il sacrificio della propria vita. Tali insurrezioni, indipendentemente dall’esito, saranno di istruttivo esempio. Nel 1834, nell’Italia centro-settentrionale, ci sono circa 50000 aderenti alla “Giovine Italia”; teniamo presente che il P.S.I., nel 1901, ha 70000 iscritti; la “Giovine Italia” è quindi un movimento di massa. Consideriamo anche che per aderire alla “Giovine Italia” era necessario saper leggere e scrivere, per leggere le disposizioni che Mazzini inviava dalla Francia. La continua propaganda mazziniana all’insurrezione provocherà, all’interno della “Giovine Italia”, un certo allontanamento dell’ala più moderata e liberale del movimento. Il fallimento della spedizione dei fratelli Bandiera nel 1844 porta anche la base della “Giovine Italia” a considerare inutili le spedizioni mazziniane. L’abate torinese Vincenzo Gioberti aveva fatto parte,da giovane, della “Giovine Italia”. Nella sua celeberrima opera, Del primato morale e civile degli italiani, Gioberti afferma che a)l’Italia ha un primato morale sulle altre nazioni italiane; b) questo primato fa sì che l’Italia abbia una missione da compiere; c) questo primato consiste nell’avere il papato, “non si può essere buoni italiani senza essere buoni cattolici, e non si può essere buoni cattolici senza essere buoni italiani”; d) è necessario difendere le “piccole patrie”, cioè i comuni, contro la visione dello stato unitario promulgata da Mazzini, e tali “piccole patrie” sono testimoniate dalle differenze etnico-culturali presenti nella
3 penisola e studiate dal Gioberti; e) è quindi necessaria una federazione di “piccole patrie” presieduta da un “primus inter pares” che Gioberti intravede, per dignità morale e spirituale, nel pontefice. Il popolo italiano senza il pontefice, scrive Gioberti riprendendo una terminologia aristotelica, è un popolo “solo in potenza”, il popolo in quanto tale è per Gioberti un “non senso”. Il pensiero di Cattaneo si collega invece alla tradizione europea di opposizione alla tesi dello Stato centralista: l’alternativa è per Cattaneo la costruzione di uno Stato federale laico sulla base degli Stati Uniti d’America, l’alternativa è una sorta, quindi, di “Stati Uniti d’Europa”. Tra la fine degli anni ’30 ed i primi anni ’40 Cattaneo muove una critica agli Stati nazionali unitari esistenti e cerca di portare dalla sua parte tutti quelli che non si rinascevano, in Italia, nell’ipotesi mazziniana. Il dibattere ed anche il precipitare di posizioni tra loro così discordanti sarà un movente ideologico che scatenerà l’azione rivoluzionaria, in Italia, tra il 1846 ed il 1848. 3.Zeffiro Ciuffoletti (Università di Firenze), Origini e caratteri del costituzionalismo risorgimentale. Dallo Statuto Albertino all’Italia liberale. Nel 1848 molti italiani hanno eletto i loro rappresentanti, sono andati alle urne, sia pure con un sistema elettorale limitato e censitario; lo stesso capita in Prussica, con la Dieta di Francoforte. Attualmente, in Italia, ci sono oltre 156 proposte di revisione della Costituzione. Le Costituzioni rivestono un ruolo fondamentale nel passaggio da “suddito” a “cittadino”, come affermò persino il conservatore Benito Ricasoli. Nello Statuto albertino il re si rivolge al popolo italiano con l’espressione “miei carissimi sudditi”. Due sono gli aspetti essenziali di una Costituzione democratica: 1)i diritti implicano anche dei doveri; 2)i poteri sono separati, per evitare il rischio di cadere in un totalitarismo. Questo è assente nell’impero asburgico, mentre in Spagna dal 1808 al 1814 si assiste alla lotta, di indipendenza nazionale, contro i francesi. La rivoluzione napoletana del 1799 fu invece astratta, come afferma Cuoco nel Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, perché copiata dal modello francese senza tener conto della diversa tipologia di popolo e di condizioni, e per questa destinata al fallimento; il popolo, come emerge invece dalle pagine de “Il Conciliatore” e dallo slogan mazziniano “Dio e Popolo”, si sostituisce all’alleanza trono-altare con la Rivoluzione francese. Il popolo, in Mazzini, assume una valenza religiosa: così si spiega lo slogan mazziniano “Dio e Popolo”.L’Inghilterra è un modello di democrazia: dalla fine del ‘600 non ha mai più conosciuto una dittatura, come sottolineano Foscolo, Cavour e Mazzini e come già aveva affermato Voltaire nelle Lettere sugli inglesi del 1733. Mazzini vede nel popolo il vero potere costituente: la Costituzione deve provenire dal popolo e non dev’essere concessa dall’alto, dai sovrani, perché è il popolo che è sovrano. Nel 1849, a Roma, si costituisce il triumvirato con Mazzini, Armellini e Saffi e Pio IX viene cacciato; viene redatta una costituzione repubblicana molto avanzata e moderna, laica, anche se non entra mai in vigore perché nello stesso 1849 Pio IX torna a Roma con l’aiuto dei francesi. Il triumvirato toscano, formato da tre democratici, Mazzoni, Guerrazzi e Montanelli, invece fallisce per colpa degli stessi triumviri e Guerrazzi viene imprigionato da Mazzoni e Montanelli, che richiamano il granduca, nella speranza che questi mantenga la costituzione, ma il granduca, tornato a Firenze, stronca la resistenza e revoca immediatamente la costituzione. L’unico Stato che mantiene la carta costituzionale è il Piemonte, che non revocherà mai lo Statuto albertino: il Piemonte è uno Stato avanzato e laico, si pensi alle leggi Siccardi, che limitano i privilegi ecclesiastici, e si pensi alla battaglia, combattuta da Massimo D’Azeglio, per il matrimonio civile. Cavour allarga l maggioranza di governo, aprendosi ai liberali più progressisti ed ai progressisti più moderati: è la politica del connubio, che consentì a Cavour di esercitare non solo il potere esecutivo, ma anche legislativo. Sia Cavour che Ricasoli hanno tuttavia un punto debole nella loro politica: non conoscono il mezzogiorno, che ignorano. Cavour, come emerge dal periodico da lui fondato, “Il Risorgimento”, concepisce la politica come “servizio” personale. Cavour, nel 1859, intuisce che bisogna provocare l’Austria per entrare in guerra ed avere l’appoggio della Francia di Napoleone III. Diversi sono i problemi del nuovo Stato liberale: il decentramento, inizialmente concesso, viene revocato in occasione dell’esplosione del fenomeno del brigantaggio, vi è poi il problema della partecipazione, in quanto poco più della metà degli
4 italiani hanno diritto di voto, i rapporti con la Chiesa non sono sempre facili, lo squilibrio tra nord, centro e sud è ancora molto forte. 4.Lenzo Lenzi (Studio Teologico Interdiocesano di Camaiore), Chiesa e Risorgimento. Il rapporto tra Chiesa e Risorgimento non è molto noto tra gli storici. Lenzi, prete pisano nato nel 1931, ha insegnato “Storia italiana ed ecclesiastica” e si è interessato alla storia ecclesiastica lucchese, come dimostrato dalle sue numerose pubblicazioni. La Chiesa non s’identifica con la Santa Sede, ma anche con i parroci ed i laici. I vescovi della Chiesa, nei vari Stati regionali, non comunicano, appena si conoscono:c’è quindi una molteplicità di chiese. Gli Stati regionali sono Stati confessionali: la religione cattolica è la religione degli Stati. La Chiesa gode di particolari favori, che ricambia riconoscendo l’operato dei sovrani. In alcuni Stati la Chiesa aveva il monopolio delle scuole di ogni ordine e grado e detiene il potere della censura delle opere a stampa. I vescovi vengono però scelti dal sovrano ed il papa doveva accettarli. E l’operato del vescovo doveva essere approvato dal sovrano, che si spacciava per “protettore” della Chiesa dai nemici interni ed esterni. La Chiesa accetta questa protezione per una debolezza che la caratterizza fin dal ‘700. Tra il 1852 ed il 1856 tutti i sudditi degli Stati regionali italiani si recano alla Messa e quasi tutti fanno la comunione. Nel 1843 Vincenzo Gioberti pubblica Del primato morale e civile degli italiani in cui espone la sua tesi sul federalismo neoguelfo e sulla necessità che la federazione di Stati sia presieduta dal papa, persona che gode di prestigio morale mai messo in crisi da 18 secoli. Gioberti sostiene una linea moderata e sdegna la rivoluzione; nel 1845, nella II edizione dell’opera, auspica il passaggio dalla federazione di Stati allo Stato unitario e costituzionale. Niccolò Tommaseo ed Antonio Rosmini sono grandi cattolici del primo ‘800; Rosmini condanna la democrazia intesa come “dittatura della maggioranza”, che non può sovvertire le leggi costituite. Nel 1846 viene eletto papa Pio IX, un uomo umile, semplice, non particolarmente colto, molti non lo ritenevano adatto a ricoprire quel ruolo. Successe al pontificato di Gregorio XVI, che aveva lasciato la Chiesa in una situazione disastrosa: non aveva fatto alcuna opera pubblica, né costruito strade o ferrovie. Appena eletto, Pio IX emana una grande amnistia dei prigionieri politici, a patto che questi dichiarino per iscritto la loro obbedienza al papa, è quindi un’amnistia molto ‘particolare’. Promosse alcune riforme, anche se modeste, fu considerato, inizialmente, un “papa illuminista”, ma che rivelerà luci ed ombre. Nella sua enciclica inaugurale del 1846 condanna ogni idea di libertà e ritira l’amnistia concessa. Nel febbraio 1848 circola la voce che Pio IX non voglia rafforzare l’esercito, nell’imminenza di una guerra contro l’Austria ed il papa emana subito un documento in cui afferma l’opposto. Quando, nel 1848, molti Stati regionali concedono la Costituzione, Pio IX non sa cosa fare e quando il triumvirato di Mazzini, Armellini e Saffi lo caccia da Roma, va in esilio a Gaeta, ospite dei Borboni, e tornerà a Roma con l’aiuto francese, ponendo fine alla repubblica romana, che aveva una Costituzione, anche se mai entrata in vigore, molto avanzata, ispirata ai principi di uno Stato laico. Con lo scoppio della prima guerra d’indipendenza, promette l’aiuto della Chiesa, ma ritira le truppe con l’allocuzione del 29 aprile del 1848, sostenendo che la Chiesa non può far guerra ad uno Stato cattolico come l’Austria e che la Chiesa, inoltre, per sua natura, ripudia la guerra, come era emerso nella riunione di cardinali da lui convocata per l’occasione. Ciò solleverà un “polverone” anticlericale da parte dei liberali. Nel 1850 furono aboliti i privilegi ecclesiastici con le leggi Siccardi, che Pio IX condannerà, insieme al pensiero liberale; in particolare, viene soppresso il Foro ecclesiastico. Nel 1855 vengono soppressi tutti i conventi di vita contemplativa e vengono incamerati i loro beni perché Cavour ha bisogno di finanze per rafforzare l’esercito. Nel 1857 furono eletti molti preti alle elezioni politiche e Cavour si adoperò perché venissero annullati i voti che avevano portato a ciò, in quanto temeva che potesse essere messa a repentaglio la sua politica del “connubio” con Rattazzi. Dopo la breccia di porta pia del 20 settembre 1870 i rapporti tra Chiesa e Stato sono regolati dalla “Legge sulle Guarentigie” del 1871 (subìte dalla Chiesa) e nel 1874, con il “non expedit”, Pio IX afferma che i cattolici si ritirano dalla vita politica e che non saranno più “né elettori, né eletti”.
5 A Pio IX, figura molto discussa, successe Leone XIII, che, nonostante l’attenzione verso gli operai, che devo condurre una vita dignitosa, sia pure nella salvaguardia della proprietà privata, come nell’enciclica “Rerum Novarum” del 1891, si chiuse in clausura per protestare contro la costruzione del monumento a Giordano Bruno in Campo dei Fiori a Roma. A Leone XIII successe la Chiesa reazionaria di Pio X, che ridusse allo stato laicale un prete impegnato nel sociale, come Romolo Murri, ed ostacolò un altro religioso impegnato nel sociale come Luigi Sturzo. 5. Stefano Bucciarelli (Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea in Provincia di Lucca), Realtà e mito in Garibaldi. Stefano Bucciarelli ha studiato Carducci e la storia locale viareggina; è autore di un manuale di storia per i licei, scritto in collaborazione con altri storici. E’ membro dell’Istituto Storico lucchese; è attualmente preside del Liceo Classico di Pisa, dopo aver insegnato molti anni storia e filosofia nei licei di Viareggio. In Garibaldi storia e mito s’intrecciano: è un eroe romantico che è costruttore del suo stesso mito, vive di mito. E’ una figura ancora popolarissima, la cui biografia è fondamentale per la conoscenza del personaggio. Nasce a Nizza nel 1807 e muore nel 1882. Prima del 1848 è un marinaio, un mozzo prima, un capitano poi, rifiuta lo studio disciplinato al quale il padre voleva educarlo. Studia l’italiano, elemento non indifferente per un uomo del primo ‘800, poi apprenderà anche lo spagnolo ed il portoghese, ma resta assente in Garibaldi la formazione intellettuale. Compie un viaggio ad Istanbul con un gruppo di saintsimoniani. Nel 1834 partecipa, a Genova, ad un complotto mazziniano, che fallisce e, condannato a morte, fugge prima a Marsiglia, poi in Sud America, ove inizia la sua attività di guerrigliero, sempre a favore dei popoli, per la libertà. Oltre al marinaio, intraprende la “carriera” di corsaro. S’innamora di Anita, con cui si sposa ed ha 4 figli. In Sud America costruisce la sua fama di uomo cavalleresco, da leggenda, condivide le fatiche delle battaglie con i suoi uomini, rispetta i nemici vinti ed i prigionieri. Nel 1848 arriva in Italia, viene accolto freddamente da Carlo Alberto e trova posto come generale, provvisoriamente, nell’esercito milanese contro Radetzkij. Garibaldi ripara poi in Svizzera, perché ricercato come condannato a morte, ma nel 1849 è a Roma, ove resiste strenuamente fino all’ultimo, anche se inutilmente, per difendere la Repubblica romana. Riprende la via del Sud America, poi torna in Italia, a Caprera, in Sardegna. Ora Garibaldi è convinto, in contrasto con Mazzini, della necessità dell’aiuto dei Savoia per la liberazione nazionale, nonostante dichiari esplicitamente la sua fede repubblicana. E’ a favore, con Cavour ed in contrasto con Mazzini, della guerra di Crimea e, sempre in contrasto con Mazzini, critica l’impresa di Pisacane. Nel 1859, con i “Cacciatori delle Alpi”, provoca l’Austria nella II guerra d’indipendenza, su incarico di Vittorio Emanuele II e di Cavour. Tra i 1089 garibaldini, che saranno 50000 a Napoli, vi sono molti settentrionali e molti intellettuali (medici, avvocati, studenti). Garibaldi ottiene l’appoggio della popolazione ovunque, tranne che a Messina. Neòl 1861 consegna, nel freddo incontro di Teano, le terre liberate al re. Nel 1867, dopo aver partecipato alla III guerra d’indipendenza nel 1966, viene fermato dai francesi a Mentana, nel Lazio, mentre stava tentando di entrare a Roma. Nella più recente storiografia Garibaldi è stato definito “un vincitore vinto ed un vinto vincitore”. Antonio Gramsci, nei Quaderni dal carcere (cfr. Il Risorgimento) critica Garibaldi, che ha contribuito a fare del Risorgimento un fatto di elite e del nord. Al mito di Garibaldi s’ispirarono forze politiche molto eterogenee, socialisti, repubblicani, le brigate partigiane, D’Annunzio nell’enfasi interventista durante la prima guerra mondiale, i fascisti nella marcia su Roma, riprendendo il motto garibaldino “O Roma, o morte!”