Marco Martini
Modi novecenteschi del raccontare
Edizioni ISSUU.COM
ATTI DEL CONVEGNO DI LETTERATURA ITALIANA SUL NOVECENTO
• (C. I. D. I. VERSILIA) - FORTE DEI MARMI (LU) - VEN. 6, SAB. 7, DOM. 8 APRILE 2001 ( 20 H. COMPLESSIVE). SEMINARI: l) LA FIGURA FEMMiNILE NEL '900 LEI1ERARlO ( Pl!.'RCORSO T'EMATICO ). RELATRlCE: DOTT. SSA VALENTINA TINACCI, DOTTORANDA DI RICERCA, UNIVERSIT A' DI SIENA 2) n. ROMANZO TRA OTTO F; NOVF,CF;NTO ( PF;RCORSO PF;R GF;NF.Rl). RELATRICE: DOTT. SSA DANIELA BROGI, DOTTORANDA DI RICERC~ UNIVERSITA' DI SIENA; 3) LA FOLLIA ( PERCORSO INTERDISCIPLINARE CON GRUPPI DI LAVORO SUI TESTI ). RELATORE: DOTT. RAFFAELE DONNARUMMA, DOTTORATO DI RICERCA E BORSIST ~ SCUOLA NORMALE SUPERIORE DI PISA. 1) La figura femrrùnile nel (900 letterario. Ci si propone di studiare le figure femminili comprese tra il 1880 ed il 1938/39, owero fino agli albori della seconda guerra mondiale. Le figure femminili sono però analizzate da scrittori, e non da scrittrici, perché in questo periodo gli scrittori hanno un peso culturale più rilevante. In questo arco di tempo emergono tutti i "topo" della figura femminile, ad eccezione di quello femminista, che farà il suo ingresso sulla scena soltanto negli anni '70. Alla fine dell'Ottocento la donna ha un ruolo casalingo, ma si riscatta già con Casa di bambola di Ibsen: Nora si riscatta dalla funzione "decorativa" che prima il padre e poi il marito le avevano assegnato. Già Darwin aveva considerato la donna un essere inferiore all'uomo, fisicamente ed intellettualmente, e simile aUa struttura mentale degli esseri extraeuropei. L'esclusa di Pirandello s'inserisce sulla stessa linea del dramma di Ibsen, anche se a Pirandello interessa il tema specifico della drammatica ricerca dell'identità. Angiolina in Senilità di Svevo è una figura che sfugge allo sguardo maschile, come Ghisola in Con gli occhi chiusi di Federico Tozzi. Il protagonista maschile non riesce a comprendere la complessità della donna. S'inizia a concepire la donna non come alterità: l'alterità è falsa. Ciò trova dimostrazione concreta negli anni della "grande guerra": la donna lavora e l'uomo va in guerra: è la donna che porta avanti la famiglia, e non è quindi "altro" o inferiore rispetto all'uomo. Una tipologia di donna del periodo considerato è quella della "femme fatale", della "donna fatale", come "La lupa" verghiana: è la donna desiderosa di sessualità, che diventa "madre assassina", come in Tortura di Capuana, in cui la madre uccide il figlio. Alla "donna fatale", riconosciuta in Eva dall'immaginario collettivo, si oppone la "madre accogliente", il cui prototipo è Maria. A Maria si affianca la "dea-madre", ad Eva la "bambina". Eva e la bambina sono entrambe sterili, ma entrambe "infuocate" di sessualità, mentre Maria e la "dea-madre" sono figure benevole, amorose, materne. Si può affermare, quindi, che lo schema è il seguente: femme fatale: Eva-r+bambina (amante); Maria (madre accoglientej-r+dea-madre Negli anni del fascismo la donna riprende la propria funzione domestica, di essere sottomesso all'uomo. La "donna forte", che diventa uomo, sin dalla fine dell'Ottocento, è invece identificata con la vedova. Anche la musica, ed in particolare il melodramma, sono importanti per la donna: la "Lulu" di Berg è il prototipo della "femme fatale", mentre Debussy va ricordato per la "donna-bambina"; la "Maria" di Berg e la "Donna senz'ombra" di Hoffmann rappresentano la donna vittima e carnefice al tempo stesso; Odille ne "11lago dei cigni" di Chaykovskij è la "femme fatale", contrapposta a Odette, che è la brava madre; la "femme fatale", in campo teatrale, trova magnifica rappresentazione in Salomè di Oscar Wilde. La "bambina" è una figura "appiattibile", non pericolosa, bramata dall'uomo maschili sta, è la donna di Umberto Saba (cfr., dal Canzoniere, "Sovrumana dolcezza", "A mia moglie", "lo non credo alla donna" ). La "donna-angelo" è invece simile alla "dea-madre" ed è completamente diversa dalla
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donna angelicata dello stilnovo. Ne La casa di Bernarda Alba di Federico Garcìa Lorca emerge invece la "donna fatale". Prendiamo in esame le suindicate poesie sabiane. "Sovrumana dolcezza": è una poesia erotica, considerata la migliore dallo stesso Saba, in cui l"'eros" è legato al "tanatos", l'amore alla morte perché l'amore porta alla morte. "A mia moglie": Lina è la moglie di Saba. Lina ha salvato Saba, che era stato arrestato, chiedendo la grazia al governatore d'Austria. La donna è paragonata ad una gallina che si lamenta, è paragonata alla giovenca, altro animale lamentoso. Saba ironizza qui sulla rondine, che in autunno parte: ma la donna non parte, resta, è una "donna bambina", che della donna presenta solo "movenze leggere". "lo non credo alla donna": le fanciulle di Saba ( Paolina e Chiaretta sono le donne del Canzoniere ) sono tutte appiattite su un 'unica fanciulla: la donna o è madre o è bambina. Le donne sono tutte simili ( cfr. ''Forse un giorno diranno", Su Paolina). Si noti che le poesie di Saba, sul piano metrico, sono tutte molto curate. In una quarta poesia sabiana che possiamo citare, il poeta si apre ad un'evoluzione, c'è quasi un rapporto paritetico con Lina: si tratta dì "Donna". Il Canzoniere di Saba è un'opera autobiografica che necessita di un approccio psicoanalitico di tipo freudiano e junghiano che ritroviamo in Tozzi, come emerge nella novella "Un'allucinazione". Si notano qui forti tratti di espressionismo, si tratta di una "donna fantasma", di un'astrazione, che nasce e muore per il protagonista. La moglie è il "principio di realtà", ma vive a Siena ed il protagonista si accontenta di scriverle, mentre l'amante è il "principio del piacere", ma non esiste, o meglio esiste solo nell'angosciosa immaginazione del protagonista, che non arriva ad una piena maturità, ma s'innamora di una "cornice vuota". In Con gli occhi chiusi la figura del padre è castrante, e la madre, Ghisola, mette il figlio in gara con il padre. In questo senso si comprende l'importanza di Tozzi, un autore che non entra nel "canone" degli autori trattati sui banchi di scuola. Gabriele D'Annunzio, nei suoi romanzi, fa continui riferimenti alla "femme fatale": tra l'uomo e la donna, ne Il trionfo della morte, vince però la donna, o meglio la sensualità, sull'uomo, ovvero sul superuomo. Questo romanzo segna infatti la sconfitta del superuomo di fronte ai sensi. Giorgio Aurispa è il protagonista, aspirante superuomo dionisiaco sconfitto. Il superuomo dannunziano è il sostenitore di una politica di dominio sul mondo, supera le comuni categorie morali di bene e di male, facendo propria, in questo caso, la vulgata nietzscheana ( in seguito da D'Annunzio fraintesa, come è noto ). La donna è una creatura panica, è identificata con i sensi, la voluttà, è superiore all'uomo ( "La superiorità di quell'esistenza era palese", afferma D'Annunzio ). Il linguaggio dannunziano in questo romanzo è aulico, raffinatissimo e musicale ( " apparire simile ai simulacri della Bellezza antica inchinati sul cristallo armonioso di un ellesponto ", scrive D'Annunzio ). La '<t'emmefatale" dannunziana è però sterile ( "Mancava alla donna amata il più alto mistero del sesso: « la sofferenza di colei che partorisce ». La miseria di entrambi proveniva appunto da questa mostruosità persistente", sostiene l'autore ). Sul piano linguistico, il brano è ricco di allitterazioni e di figure retoriche. Si noti che nella lirica dannunziana il tema della sconfitta del superuomo è assente, mentre è presente nei romanzi. Eugenio Montale, in un ''Mottetto'' tratto da Le occasioni, sostiene che la donna è un angelo che rappresenta il tramite per l'evoluzione intellettuale: la concezione montaliana della donna angelicata è diversa da quella stilnovista. Il poeta, nei confronti della donna-angelo, è nella condizione di colui che deve imparare, perché l'uomo è lacerato dal turbine della storia ( "hai le penne lacerate dai cicloni", scrive Montale ). In D'Annunzio ed in Montale, nonostante le indubbie differenze sulla visione della donna, si nota un elemento comune: la donna come "alterità", come "altro" dall'uomo; sia per D'Annunzio che per Montale l'uomo apprende dalla donna, non c'è comunicazione. Nello stilnovo, invece, la donna era un mezzo di elevazione morale da non descrivere neanche fisicamente. 2) Il romanzo tra Otto e Novecento. Verga, in una nota intervista rilasciata ad Orietti, difende il romanzo naturalista; nel passaggio dal paradigma ottocentesco del romanzo a quello novecentesco le certezze naturalisti che entrano in crisi, perché "la coscienza è una piazza", come affermava Pirandello. Cambiano i concetti di "eroe",
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"narratore", "lettore", "intellettuale". Nel '900, la realtà, da sola, non può più parlare: nasce il "narratore inattendibile" de La coscienza di Zeno di Ttalo Svevo. La realtà diventa sempre più inessenziale dal punto di vista del significato. Questo non proviene più dalla realtà, ma da un processo speculativo che il narratore deve costruire ( cfr. Kafka, Metamorfosi e Tozzi, Restie ). A partire dal secondo Ottocento fanno il loro ingresso nella letteratura romanzesca una serie di eroi intellettuali, sul tipo de T,'uomo di lusso, che Verga voleva scrivere, ma che non ha scritto perché non ha ultimato il Ciclo dei vinti. Si consideri che Svevo pubblica Senilità nel 1898, Gualdo pubblica Decadenza nel 1892 e D'Annunzio pubblica TI piacere nel 1889, stesso anno della pubblicazione di Mastro don Gesualdo di Verga. Sono romanzi che appaiono tutti nello stesso periodo. Nell'ultima parte del romanzo verghiano si anticipano tematiche già novecentesche, l'intreccio ha il sopravvento sulla fabula. Nella narrazione novecentesca, caratterizzata dall'umorismo, è sempre più importante il "come si dice" rispetto a "cosa si dice". In questo contesto assumono importanza gli incipit dei primi tre romanzi sopracitati e la conclusione del Mastro don Gesualdo, in cui si riflette sulla solitudine del protagonista al momento della morte. Non è fondamentale l'ambiente in sé, ma come il personaggio vive tale ambiente: il romanzo manzoniano del primo Ottocento è ormai completamente superato. 3) La follia. In Cosi è (e vi pare) di Luigi Pirandello l'accusa di follia è reciproca tra il signor Ponza e la signora Frola: la giovane donna è la figlia della signora Frola e la moglie del signor Ponza al tempo stesso. Ponza sostiene che la donna è la sua seconda moglie, perché la prima, la figlia della signora Frola, è morta da 4 anni, ma la mamma è impazzita in seguito ad un terremoto che le ha sconvolto il cervello e crede che la giovane donna sia sua figlia. La signora Frola, secondo Ponza, pensa che egli non voglia farle vedere la figlia se non da una finestra. L'atteggiamento di Pirandello, alla fine del dramma, è scettico, e la giovane donna appare velata al pubblico, al vicinato curioso di sapere la verità: la donna velata, in Pirandello, è l'allegoria della verità. "Velata" è infatti la duplice versione che la giovane dà al vicinato: ella si presenta come la figlia della Frola per la Frola e la seconda moglie del Ponza per il Ponza. La pazzia serve, in questo caso, per far saltare una visione univoca e razionale della realtà. La follia demolisce la veriti!, fa saltare le certezze. L'unico atteggiamento possibile è quello scettico: la follia ha quindi una funzione distruttiva, quella di scardinare le certezze. Nell'Enrico IV la follia distrugge addirittura l'identità: un signore impazzisce durante una cavalcata e crede di essere l'imperatore medievale Enrico TV di Germania; il signore uscirà da tale follia soltanto per uccidere il rivale amoroso, colui che, approfittando della sua pazzia, gli ha rubato la donna amata. Tn seguito rientrerà nella "maschera" del folle, dietro la quale trascinerà tutti i suoi giorni, sia per fuggire alla punizione che la società, come omicida, gli avrebbe dato, sia perché il suo destino, ed è questo l'aspetto fondamentale dal punto di vista pirandelliano, è quello di non potersi liberare dalla maschera. Il protagonista non saprà più se la sua follia è realtà, vita concreta o finzione) arte. Il regista Fritz Lang, in ''M. Il mostro di Dusseldorf' (1931) afferma il tema della follia in ambito cinematografico. TI 1931 è anche l'anno in cui esce L 'uomo senza qualità di Musil. Nelle sequenze finali del film, Lang fa passare l'idea che i veri mostri, i veri folli, sono i borghesi, i conformisti, i perbenisti moralisti, come in Svevo i veri malati sono quelli apparentemente sani, ment e quelli che appaiono malati sono coloro che godono di ottima salute: la follia serve a Svevo, ne La coscienza di Zeno, per capovolgere la realtà: si pensi a Zeno Cosini, considerato folle, ma che, di fatto, riesce a risollevare le sorti della ditta commerciale, ed a Guido Speier, considerato un uomo "tutto d'un pezzo", che muore, sia pure ironicamente, suicida.