Sophia, la filosofia in festa. Il nichilismo. Festival della filosofia, edizione 2016

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MARCO MARTINI

SOPHIA, LA FILOSOFIA IN FESTA. IL NICHILISMO.

FESTIVAL DELLA FILOSOFIA – EDIZIONE 2016 FESTIVAL DELLA FILOSOFIA – EDIZIONE 2016 – VIAREGGIO (LUCCA), VILLA BORBONE – SAB. 5 E DOM. 6 NOVEMBRE 2016

SOPHIA, LA FILOSOFIA IN FESTA. FESTIVAL DELLA FILOSOFIA. EDIZIONE 2016. VIAREGGIO (LUCCA), VILLA BORBONE, SABATO 5 E DOMENICA 6 NOVEMBRE 2016. ATTI DEL CONVEGNO. Premessa.


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Sophia, la Filosofia in festa è il festival toscano che celebra e festeggia il pensiero filosofico in due giorni di pubblica gioia del pensiero, come il termine latino dies festus suggerisce. La manifestazione si svolge in due giornate di lavoro, sabato 5 e domenica 6 novembre, per un totale di 6 incontri, 4 il primo giorno e 2 il secondo. Il tema dell’edizione 2016 di “Sophia” è quello grandioso, estremamente complesso ed attualissimo del nichilismo, affrontato non solo dal più lucido punto di vista filosofico nel corso della storia della riflessione filosofica, ma anche dal più ampio punto di vista della politica, della letteratura, della società e della cultura in genere. L’impareggiabile scenario dell’evento è l’Accademia di Villa Borbone, il luogo più ricco di storia di Viareggio, dall’atmosfera regale, ma al tempo stesso familiare, edificata all’inizio del XIX secolo per la duchessa Maria Luisa di Borbone. Ringrazio il dott. Alessandro Montefameglio per aver invitato me ed i miei studenti. Marco Martini. PROGRAMMA SABATO 5 NOVEMBRE 2016 – PRIMA GIORNATA ore 10,30: SALUTI ED INTRODUZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE DEL FESTIVAL. ore 11,00: DAI GRECI ALL’ETÀ CONTEMPORANEA- Relatore SERGIO GIVONE ore 14,30: NICHILISMO ANTICO? - Relatore FRANCO TRABATTONI ore 16,00: NICHILISMO: SOCIETÀ E POLITICA. L’analisi del tema nell’ambito della filosofia politica e nel contesto sociale, con particolari riferimenti alla storia ed all’attualità. Relatore GIACOMO MARRAMAO ore 17,00: LA RIVELAZIONE CRISTIANA: IL SEGRETO DEL NULLA. I confini della filosofia si incontrano con quelli della teologia in una lezione sulla Rivelazione cristiana. Relatore PIERO CODA DOMENICA 6 NOVEMBRE 2016 – SECONDA GIORNATA ore 11,30: NIETZSCHE E IL NICHILISMO FRANCESE. Relatore GIULIANO CAMPIONI ore 16,00: ANATOMIA DEL NICHILISMO. HEIDEGGER, NIETZSCHE E IL PROBLEMA DEL NICHILISMO. Relatore ADRIANO FABRIS SABATO 5 NOVEMBRE 2016 – PRIMA GIORNATA ore 10,30: SALUTI ED INTRODUZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE DEL FESTIVAL. ALESSANDRO MONTEFAMEGLIO L’Accademia di Villa Borbone ospita quest’anno il primo festival versiliese della filosofia, una manifestazione presente da non molti anni ed in poche città italiane. Villa Borbone era il casino di caccia fatto costruire nei primi dell’Ottocento da Maria Luisa di Borbone. Jacques Derrida ha affermato che la filosofia è come una cartolina postale che non arriva mai a destinazione: ribadisce in tal modo il significato greco della filosofia come ricerca aperta. L’iter seguito sarà non soltanto cronologico, dai Greci ai giorni nostri, ma anche tematico ed abbraccerà la letteratura, l’arte, la religione, la politica: la difficile tema del nichilismo verrà quindi osservata con una visuale a 360 gradi.

ore 11,00: DAI GRECI ALL’ETÀ CONTEMPORANEA- Relatore SERGIO GIVONE. Ordinario di estetica all’Università di Firenze, Givone ha collaborato a varie riviste, tra cui “Micromega”. Il nichilismo è, per dirla con Nietzsche, “l’ospite inquietante” della nostra esistenza, il compagno inseparabile della nostra vita; Nietzsche distingue un nichilismo attivo, proprio


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di colui che vuole distruggere la metafisica ed i falsi valori dello storicismo, ed un nichilismo passivo, tipico degli spiriti sfiduciati, che disprezzano la vita. “Siamo tutti figli del nichilismo”, affermava Doestoevskij. Il nichilismo affiora a metà Ottocento in Russia, poi approda, nel primo ‘900, in Europa con Nietzsche. In Russia il nichilismo è un fenomeno storico, legato all’assassinio dello zar Alessandro II da parte di un gruppo di anarchici che si definivano appunto “nichilisti” o “populisti”, seguaci delle idee di Bakunin. Germi nichilistici sono già presenti in Parmenide, come afferma Severino. Parmenide si mostra nichilista quando afferma che non esiste il pensiero di nulla. Ma Platone, nel Sofista, chiede che cos’è il non-essere, quindi dissente da Parmenide. Il non-essere è per Platone il “diverso”, il “movimento”, che come tale esiste. E’ questo il “parricidio” di Platone verso il maestro, “venerando e terribile”, operato nel Sofista, parricidio necessario a Platone per affermare la sua filosofia come dialettica. Nietzsche aveva letto Leopardi, che nelle prime pagine dello Zibaldone, aveva già negato in anticipo il pensiero nietzscheano, affermando che l’essere è comunque un non senso, nel destino di sofferenza e di morte che accomuna tutti gli uomini. Leopardi è quindi un vero nichilista, non Nietzsche, che con la sua visione tragica della vita accetta entusiasticamente la vita, l’essere, in qualsiasi forma si presenti. Il termine “nichilismo” compare per la prima volta in Padri e figli (1860) di Turgenev, i protagonisti sono Arcadi e Vasarov, due brillanti studenti della Facoltà di Medicina negli anni ’50-’60 dell’Ottocento; al tempo la Facoltà di Medicina comprendeva i corsi di diritto, teologia e scienze naturali. Turgenev proviene da una remota zona della Russia, anche se ha trascorso molti anni in Europa occidentale. Arcadi e Vasarov si dichiarano “nichilisti”, in quanto affermano di non credere a nulla se non a ciò che la scienza accerta, ai fatti concreti, empiricamente verificabili; la scienza viene dunque esaltata ad unica verità ed in questo il nichilismo trova espliciti contatti con la cultura positivistica del tempo. Il nichilismo sarebbe quindi figlio della scienza. Ma il nichilismo si trova già nella lettera del 3 marzo 1799 che lo studente Jacobi scrive a Fichte, l’autore della Dottrina della scienza (1794), nella quale il futuro filosofo Jacobi ringrazia il suo maestro per avergli fatto comprendere che esiste solo ciò che è. In questo senso Fichte riprende Parmenide come filosofo dell’identità, dell’essere, dell’A=A: esiste soltanto il pensiero dell’essere perché “l’essere è e non può non essere”. E se A=A  A=/= non A, affermerà Aristotele. Secondo Jacobi, il nichilismo è quindi figlio della Dottrina della scienza di Fichte. Leopardi affermerà, nelle prime pagine dello Zibaldone, che la scienza ha ghettizzato gli uomini in un “serraglio di disperati”. Stesse idee emergono nel romanzo di Turgenev quando descrive l’agonia e la morte di Vasarov. Antonio Negri, docente universitario di filosofia a Padova negli anni piombo e terrorista rosso, in Lenta ginestra, concorda con le tesi di Leopardi ed il prof. Fenzi, docente di letteratura italiana all’Università di Genova negli stessi anni ’70 e capo della colonna genovese delle brigate rosse trova tracce di nichilismo già in Petrarca, autore del quale Fenzi è uno dei massimi studiosi italiani. Negri e Fenzi hanno dirottato in senso terroristico i presupposti del nichilismo. Kant nella Critica della ragion pura (1781) afferma che il noumeno, il non conoscibile, il non pensabile quindi, è comunque essere, esistente e la libertà, di cui parla nella Critica della ragion pratica (1788) va comunque sempre ammessa e pensata, almeno postulata quindi, anche se limitata dai comandamenti della legge morale. Se non poniamo la libertà, allora siamo radicalmente nichilisti, perché non troviamo alcuna ragione per essere al mondo. Queste tracce di nichilismo nel filosofo prussiano spiegano il recente ritorno di molti studi filosofici a Kant. ore 14,30: NICHILISMO ANTICO? - Relatore FRANCO TRABATTONI


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Trabattoni ha scritto molto su Platone e dopo un’esperienza di professore liceale, Ha studiato storia della filosofia in varie università, italiane e straniere. Il titolo della sua conferenza presenta un interrogativo: è legittimo parlare di nichilismo antico ed in caso affermativo, in quale misura? Per Trabattoni non è possibile. Per Nietzsche il nichilismo è “la ricerca di un senso che non c’è” (Frammenti postumi). Il nulla è una nozione già affrontata nel mondo antico: Parmenide affermò che non è possibile discutere ed affermare il nulla, il non-essere: ciò che si pensa, esiste. La via della verità, si legge nei soli 19 frammenti parmenidei pervenutici, mi porta ad affermare che il nulla non esiste, non è quindi pensabile, né discutibile. Dal nulla non può provenire nulla, come affermava anche Melisso di Samo. Platone affermava che le idee sono la garanzia che non è possibile il passaggio dall’essere al nulla; anche per Aristotele non c’è il passaggio dal non-essere al nulla, ma solo quello dall’essere in potenza all’essere in atto. Nel Sofista Platone ci presenta il “parricidio” del “venerando e terribile” padre Parmenide: Platone sostiene che se esiste il falso, ciò che non-è, quindi il non-essere, allora posso pensare il non-essere come qualcosa, dunque come qualcosa che necessariamente è, che esiste. Platone afferma perciò la pensabilità del non-essere, del nulla, del vuoto, che è invece negata da Aristotele nella Fisica, scritto in cui lo stagirita polemizza con Democrito e gli atomisti. Se l’essere è uno, come affermava Parmenide, il molteplice deve derivare dal non-essere: questa è la tesi di Platone, ribaltata da Aristotele. Gorgia rappresenta invece un’eccezione: nell’opera Intorno al non-ente o interno alla natura dichiara che nulla esiste e che anche se esistesse non sarebbe conoscibile, quindi pensabile, né comunicabile. Con la tesi che nulla esiste, quindi che nessun ente esiste (ente = in grecoGorgia afferma il suo nichilismo “pre-nietzscheano”. Per Parmenide l’essere è finito, per Melisso infinito, per Gorgia non è un soggetto: in questo senso “nulla è”. Platone, nella Repubblica, quando parla dell’idea del bene, afferma che tale idea è “al di là dell’essere”; anche gli stoici hanno sostenuto una tesi analoga ed hanno identificato essere ed esistere, con un evidente forte pragmatismo. Platone, nella Repubblica, conferisce quindi dignità al non-essere. I neoplatonici, a partire da Plotino (III° sec. d. C.), cercano un principio trascendente, al di là dell’essere, l’Uno, sotto il quale ci sono Intelletto, Anima del mondo (una sorta di demiurgo platonico), mondo terreno. Dell’Uno posso affermare solo ciò che non è, sosteneva Plotino nelle Enneadi, quindi posso affermare solo il non-essere: è questa la cosiddetta “teologia negativa” plotiniana. A partire dal IV° sec. d. C., ad Atene viene ricostruita l’Accademia platonica, che cerca di resistere al dilagante cristianesimo, ma nel 529 l’imperatore bizantino Giustiniano chiude tutte le scuole filosofiche greche tranne quella cristiana: il 529 è infatti la data convenzionale della fine della filosofia antico-pagana., anche se ad Atene si stava assistendo ad una forte ripresa del platonismo con Giamblico, Damascio, Olimpiodoro, Proclo. Damascio si era recato allora in Persia, con l’intento, che fu già di Platone in Sicilia, di “inculcare” l’idea di “filosofo re” nell’Impero persiano, ma fallì anche il progetto di Damascio. Damascio ci ha lasciato due opere, un Commento al Parmenide e il De principiis, quest’ultima studiata da Francesco Patrizi da Siena, un umanista del primo ‘500. In questo scritto Damascio si chiede se il Principio del Tutto appartenga al Tutto oppure no. Per Damascio si, ma in tal caso tale Principio sarebbe immanente, e non trascendente al Tutto. Seguendo il pensiero di Giamblico, Damascio afferma che tale Principio non può essere l’Uno, che in quanto tale è necessariamente coordinato con il Molteplice, quindi con il Tutto. Bisogna quindi ricercare un Principio trascendente al Tutto, ed esso non può essere che l’indicibile, l’ineffabile, è quindi ciò che non si può dire, ciò che non si può discorrere. E’ come “sospeso nel vuoto”, senza punti di appoggio, è come un acrobata, che cammina nel vuoto. Ma tale Principio indicibile, che è negazione dell’essere, è quindi anche negazione dell’Uno ed anche negazione del non-essere. Il nulla è il “vuoto”, il


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“Kenos” (in greco, l’achenesi per il cristianesimo è infatti lo “svuotarsi”). Per comprendere tale principio bisogna quindi “camminare nel vuoto”, con il conseguente rischio di precipitare: la filosofia sfocia quindi nello scetticismo, nell’atteggiamento del silenzio, dell’afasia ( in greco), come sosteneva lo scettico Pirrone di Elide. Bisogna quindi “attraversare il nulla”, la “negazione”, come affermava Hegel: questo, per trabattoni, è il punto di approdo di tutta la metafisica ontologica greca. Nemmeno nella prospettiva religiosa ci sono certezze, come hanno affermato, in tempi diversi tra loro, Pascal e Kierkegaard: bisogna quindi necessariamente “camminare nel nulla”. ore 16,00: NICHILISMO: SOCIETÀ E POLITICA. L’analisi del tema nell’ambito della filosofia politica e nel contesto sociale, con particolari riferimenti alla storia ed all’attualità. Relatore GIACOMO MARRAMAO. La nozione di “causa” è ricavata dal diritto: Hume risolve la causa nello scetticismo, Nietzsche invece mette fortemente in discussione la nozione di causa come ricerca metafisica, critica il divenire per rimettere al centro la vita nella sua semplicità. Lo scenario heideggeriano è molto diverso: Heidegger riprende da Nietzsche il termine “nichilismo”, ma per Heidegger, a differenza di Nietzsche, gli effetti della metafisica si sono tradotti in dominio della scienza e della tecnica. Il problema, per Heidegger, non è più quello nietzscheano dell’impotenza della vita di fronte alla potenza della storia, alla quale bisognava rispondere con la “volontà di potenza”. Nietzsche è stato un grande lettore di Leopardi, che considerava un pessimista alla stregua di Schopenhauer, e brinda, a differenza, di Leopardi, al crollo delle illusioni. In Heidegger il problema non è l’impotenza, ma l’oblio dell’essere: il nichilismo coincide con l’originaria dimenticanza dell’essere. L’essere è distinto dagli enti: l’essere non ha luogo, a differenza degli enti, che sono invece sempre determinati perché gli enti sono il luogo in cui si verificano gli eventi. L’ente è quindi un oggetto reale. Il nichilismo non è impotenza, ma anzi un eccesso di potenza: è questa un’idea presente anche in Wittgenstein ed assai diffusa tra le due guerre mondiali. Il nichilismo ha come referente la vita, non l’esistenza (“da-sein” in Heidegger come “esserc-ci”, “essere nel mondo come progetto”) di cui parla Heidegger, che accusa Sartre di aver confuso vita ed esistenza. Per Heidegger dall’oblio dell’essere proviene una relazione di dominio della tecnica sul mondo: in questo l’umanesimo heideggeriano contesta l’approccio fenomenologico del suo maestro Husserl. Il dominio della tecnica è il vertice dell’oblio dell’essere, ma a questo punto l’essere si rivela per quello che realmente è: evento. Anche Wittgenstein, all’inizio del Tractatus logico-philosophicus, afferma che “il mondo è tutto ciò che accade”. Marramao sostiene che la questione del nichilismo è oggi storicamente superata. Il problema della fine del senso della storia, di memoria antica ed anche hegeliana, si è ribaltato con la tesi di un mondo finito, come già aveva sottolineato Paul Valery tra le due guerre mondiali. Il mondo è un sistema ormai chiuso: le antiche escatologie che avevano affidato al tempo il problema della fine del mondo si sono esaurite, ed il problema della fine del mondo è oggi affidato allo spazio. Dobbiamo quindi cambiare il nostro modo di pensare e di interagire: i rapporti umani hanno anche risonanza su altre “scale” di valori, quali gli aspetti pubblici e privati della collettività. Quanto più il mondo è unito, tanto più produce effetti diasporici: la globalizzazione è dovuta, soprattutto nelle metropoli occidentali, ad una compressione, come è il caso dei migranti nelle nostre metropoli. Mondo finito non significa mondo uniforme: i migranti sono compressi nel nostro mondo, ma vivono una loro dimensione esistenziale, hanno una visione delle cose completamente diversa; la rimozione dell’identità ha comportato un ritorno, da parte dei giovani migranti, alla loro identità, alle loro tradizioni, che rifiutano la categoria europea ed occidentale di “integrazione”, come è il caso dei giovani asiatici o islamici. I giovani islamici in Occidente avvertono che la vita che vivono è un non-senso, perché priva di identità. Hannah Arendt,


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l’allieva prediletta di Heidegger, affermò che l’Occidente, a partire dalla modernità, ha stabilito con il mondo solo una relazione di dominio, ed in tal modo ha smarrito il suo rapporto con il mondo. ore 17,00: LA RIVELAZIONE CRISTIANA: IL SEGRETO DEL NULLA. I confini della filosofia si incontrano con quelli della teologia in una lezione sulla Rivelazione cristiana. Relatore PIERO CODA Il Logos () giovanneo (cfr. Giovanni, Prologo al Vangelo) è il Cristo, che non è contrapposto al nulla, afferma Coda nel suo studio Il logos e il nulla. Sono due elementi tra loro in interazione. Il Logos (Cristo) si fa carne, uomo quindi, e muore, gridando dalla croce il nulla, l’assurdo della vita. Nel VI° sec. a. C. la figura del Budda ha lasciato all’umanità, per bocca di Siddharta (cfr. H. Hesse, Siddharta, Adelphi) un messaggio di fuoco: l’esser-ci (il “da-sein” heideggeriano) può spingere lo sguardo solo verso ciò che può presupporre, non conoscere; il Budda ha cercato di scardinare, oltrepassare questo limite dell’esser-ci ed ha colto il nulla, che è nascosto, ma affiora ed urla la sua verità indicibile. Qual è il volto del nulla, che non è quello delle maschere sotto le quali si nasconde? L’ex-sistere. Lo sporgersi verso il nulla lascia intravedere un doppio volto del nulla, che avvolge l’esser-ci: quel nulla dal quale l’esser-ci infatti proviene è lo stesso nulla al quale l’esser-ci tende. La constatazione del nulla come dimensione dell’esser-ci è il punto di approdo delle filosofie di Heidegger e Sartre, degli esistenzialisti, ma il Budda scorge un senso in questo nulla: è la luce, infatti Budda stesso significa “l’Illuminato”. E’ questa l’eredità più ricca che ci proviene dal VI° sec. a. C. che è stata raccolta dal cristianesimo, è l’incontro-scontro tra buddismo, la “religione dell’ateismo”, ed il cristianesimo. Budda ci ha quindi rivelato il nulla e tale nulla penetra nella cultura ebraica nell’evento, unico ed impareggiabile, della creazione. Ma come si concilia il nulla rivelatoci dal Budda con l’evento della creazione della tradizione ebraico-cristiana? La religione buddista è l’ateismo, appunto il nulla. Anche nel concetto cristiano di creazione è insito il nulla: la creazione viene infatti dal nulla, ex nihil. La creazione ebraico-cristiana non è l’opera del demiurgo platonico (, che plasma una materia pre-esistente da sempre, nonostante in alcuni testi dell’Antico Testamento risalenti al I° sec. a. C. si parli di “demiurghein” (Il mistero cristiano dà senso al nulla, la rivelazione di Cristo dà senso al nulla, “chiama all’essere le cose che non sono”, si legge nell’Epistolario paolino. Il concetto cristiano di creazione è quindi fortemente collegato alla categoria ontologica del nulla. Si nota, nella creazione cristiana, la collisione con il pensiero greco, nel quale resta ignota l’idea della creazione: basti pensare ad Aristotele, quando afferma che “dal nulla non può provenire altro che nulla” (cfr. Metafisica, XI). Questa tesi aristotelica è condannata a morte dal concetto cristiano di creazione, che è un dono libero e gratuito di chiamata all’essere dal nulla. Il Logos partecipa al nulla dell’esser-ci, e ne vive anche il senso nell’incarnazione, nel suo farsi uomo, come ci spiega Paolo di Tarso (cfr. Lettera ai Filippesi, cap. II°): il Logos svuotò sé stesso divenendo simile agli uomini, questa è l’achenesi cristiana, afferma sempre Paolo (“achenesi”, significa infatti “svuotarsi”). Il Logos svuotò sé stesso divenendo nulla. Questo “svuotarsi” del suo aspetto divino è agape (), amore in senso cristiano, ben diverso dall’eros (), dall’amore greco, pagano, ebbro e indisciplinato. “L’agape è l’eros crocefisso”, afferma Ignazio di Antiochia nel II° sec. d. C. Il Logos, facendosi nulla, si mostra all’uomo, si fa uomo, si fa “esser-ci”, che è avvolto dal mantello del nulla: il Logos è quindi anche nulla, ma un nulla relazionale che apre alla creazione come dono gratuito, amore, agape. Questo nulla è dunque la soglia della Luce. Cristo aiuta ad attraversare questo nulla e scopre il segreto di questo nulla, appunto l’agape, l’amore. E’ come l’ombelico, che mi rimanda all’idea che provengo da un altro essere, appunto la madre. Il dono di Cristo, si è detto, è un libero atto d’amore: l’uomo che non abbraccia questo nulla


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relazionale, questo nulla relativo, si annulla nel nulla assoluto, si chiude, implode in sé stesso. La risposta a questo libero atto d’amore, che è la Rivelazione di Cristo, è l’obbedienza da parte del cristiano, perché il cristiano trova la sua libertà nell’obbedienza al Cristo, che non è mera obbedienza, ma risposta “incanalata” nel solco dell’offerta divina. L’eros non è, infine, necessariamente in netta antitesi con l’agape: l’eros può redimersi soltanto se si apre all’agape, come si legge nella prima enciclica di Benedetto XVI, Deus Caritas Est, pubblicata nel Natale 2005. DOMENICA 6 NOVEMBRE 2016 – SECONDA GIORNATA ore 11,30: NIETZSCHE E IL NICHILISMO FRANCESE. Relatore GIULIANO CAMPIONI Nietzsche, fin da giovane, già ne La nascita della tragedia, si confronta con il nichilismo ed il tema del nulla, riprendendo le tesi di Schopenhauer (anche Nietzsche, come Schopenhauer, parla di “Nirvana” e di “nulla”); affermerà in seguito di non credere più a nulla, nemmeno a Schopenhauer (si allontanerà completamente dal filosofo di Danzica in Umano, troppo umano, dopo aver ascoltato la “Carmen” di Bizet a Nizza, definita da Nietzsche “vera musica”). Negli anni ’80 appaiono esplicitamente in Nietzsche i termini di “nichilismo” e “nichilista”. Forte è il rapporto di Nietzsche con i rivoluzionari russi, ma anche con la cultura francese. Anche Wagner, nel 1882, legge Padri e figli di Turgenev e definisce Schopenhauer “padre del nichilismo”. Il crepuscolo degli idoli è un’opera nietzscheana con forti accenti nichilistici. Negli stessi anni ’80 molte riviste francesi parlano esplicitamente di nichilismo: Mercier definisce nichilista colui che non crede a niente, mentre Victor Cousin appella Locke come “rappresentante di assoluto nichilismo” e Jean Bouldot sostiene che “la scienza ha inebriato le menti dei giovani come l’acquavite”. Sulla rivista “Le monde” è pubblicato il Romanzo del nichilismo, che Nietzsche leggerà; nel 1873 legge, in traduzione francese, Padri e figli di Turgenev. Nel 1884 si confronta con La mia religione di Tolstoij, dove, nella prima pagina, il narratore russo dichiara il proprio nichilismo giovanile. “Nichilismo” e “malattia” sono due termini accoppiati da Wagner: Matilde Mayer sottolinea l’importanza del Nietzsche wagneriano, quindi del giovane Nietzsche, per comprendere ilo nichilismo nietzscheano. Nietzsche sa bene che il più grave rischio del nichilismo è l’approdo alla letargia, allo scoraggiamento e questo spiega la sua reazione con il “nichilismo attivo”, quando affermerà di aver “tanto bisogno di salute”. Ma soltanto nell’agosto 1881 userà per la prima volta, esplicitamente, il termine “nichilismo”; simbolicamente, affermerà di essere polacco e di chiamarsi “Nieki”, che significa appunto “niente”. Nietzsche scopre quindi in ritardo il proprio nichilismo, già presente nei suoi pensieri giovanili. Ma il nichilismo nietzscheano è anche dovuto all’incontro con Flaubert e la cultura parigina, che Nietzsche rifiuta perché incapace di trascendere i valori. Paul Bourges vede nella sua epoca la fine di ogni valore, della divinità come della scienza, come emerge nei suoi saggi e romanzi: Bourges è uno psicologo, ed anche Nietzsche, concordando pienamente con Bourges, si definirà uno “psicologo”, mentre lo scrittore cattolico reazionario Blois criticherà fortemente Bourges, definendolo un “cicisbeo”. E’ evidente cime emerga, nel Nietzsche nichilista, anche un Nietzsche cosmopolita: più volte si confronta infatti con il nichilismo occidentale, affermando che non si può paragonare al nichilismo slavo, russo in particolare, molto più radicale di quello europeo e tendente a precipitare verso la morte ed il martirio, come abbiamo detto a proposito della descrizione dell’agonia di Vasarov nel già citato romanzo Padri e figli di Turgenev. Nietzsche critica fortemente anche Baudelaire e Stendhal, che sono sprofondati nel nulla senza alcun desiderio di reazione: è un senso del nulla, quello di questi francesi, degno di stare accanto a quello orientale, ma proprio per questo incapace di “trasvalutare” tutti i valori.


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Nietzsche critica anche il Positivismo, definito una nuova forma di Romanticismo, al quale contrappone il viandante, sempre in cammino, ma senza una meta. Soltanto l’eterno ritorno, per Nietzsche, cancella anche l’ombra di Dio ed ogni forma di nichilismo passivo. “Si vive per il domani, perché il dopodomani è già incerto”, scrive Nietzsche, e “Solo gli uomini più forti sono in grado di attraversare il deserto che si apre davanti ai nostri occhi dopo la scomparsa di ogni valore”. ore 16,00: ANATOMIA DEL NICHILISMO. HEIDEGGER, NIETZSCHE E IL PROBLEMA DEL NICHILISMO. Relatore ADRIANO FABRIS. Adriano Fabris insegna filosofia morale all’Università di Pisa. Fabris afferma che lo stesso Heidegger riconosce come fondamentale il confronto con Nietzsche sul tema del nichilismo, confronto che si svolge tra la fine degli ’30 ed i primi anni ’40 del Novecento. Sul suo diario privato, nel 1938, Heidegger annota “Nietzsche mi ha distrutto” e riconosce in Nietzsche “un vero, grande filosofo”. La riflessione heideggeriana coincide con una crisi personale che il filosofo sta vivendo all’interno dell’ateneo di Friburgo, del quale era rettore. Già in Essere e tempo (Sein und Zeit) afferma che la crisi del nichilismo è una crisi di senso, che è il senso dell’essere, che ci consente di comprendere gli enti e di intrattenere rapporti con il mondo: se manca il senso non possiamo vivere, non possiamo “da-sein”, essere nel mondo. L’essere indica il Grund, il fondamento dell’esistenza: questo vale da Parmenide ad Aristotele, a Tommaso d’Aquino. Heidegger ribalta tutto questo: per Heidegger l’essere è evento, è accadimento, e come tale è temporale, è tempo. Non è il tempo irreversibile dell’orologio, ma è dinamicità, divenire con il quale dobbiamo rapportarci. Contrariamente a Sartre, Heidegger nega l’equivalenza essere=nulla. L’essere è invece senso. Nietzsche ritiene invece che la riduzione dell’essere al tempo non è affatto fondamentale: per Nietzsche non ha senso ricercare il senso. Questo è il punto di approdo del nichilismo occidentale. Dato il non-senso del senso, a questo punto resta solo l’auto-affermazione della propria potenza, la “volontà di potenza”. Politica, storia, religione non possono dare senso. La teoria dell’eterno ritorno ribadisce questa tesi nietzscheana del non-senso della ricerca del senso: se le cose, infatti, si ripresentano infinite volte, non ha senso ricercarne il senso. Dalla metà degli anni ’30 Heidegger tiene, per un decennio, una serie di seminari universitari su Nietzsche e la “Volontà di potenza”, con riferimento al noto scritto pubblicato postumo dalla sorella Elizabeth e probabilmente ampiamente da lei “rimaneggiato”. I Contributi alla filosofia (1936-38) è un’opera di Heidegger scritta in “stile nietzscheano”, per aforismi, e pubblicata postuma, negli anni ’60. I suoi appunti privati e i “diari intellettuali” vengono pubblicati postumi con il titolo di Quaderni neri. In queste due opere postume, Heidegger cerca di contrastare Nietzsche sul non-senso del senso. Consideriamo adesso lo scritto heideggeriano Nietzsche e la volontà di potenza, pubblicato postumo e frutto di un corso universitario del 1936-37: Nietzsche è per Heidegger, come si è detto, un grandissimo filosofo, che ha chiuso la metafisica occidentale iniziata con Platone. Ma mentre per Nietzsche la storia della metafisica era la storia di un errore, per Heidegger è la storia dell’essere, dell’ontologia. Per Heidegger, “essere” in Nietzsche significa “volontà di potenza”, auto-affermazione, condizione per raggiungere qualsiasi obiettivo. “Essere” è quindi “volere”. La teoria dell’ “eterno ritorno” dimostra il fallimento dell’intera filosofia occidentale: Nietzsche prende atto del “tramonto dell’Occidente”, per usare un’espressione di Spengler (l’ “Occidente” è, peraltro, già il “luogo del tramonto” per definizione). La dottrina dell’eterno ritorno può però per Heidegger essere rifiutata: Heidegger vuole ora ribaltare Nietzsche. Heidegger afferma in proposito che tale “eterno ritorno” dev’essere accolto, e questo non è affatto scontato.


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Heidegger, sostenendo che tutto è decisione, scopre che anche l’eterno ritorno ed il nichilismo nietzscheani offrono orizzonti di senso nel momento in cui decido, dato che tale decisione non è mai casuale o arbitraria. Pertanto, anche affermando nietzscheaneamente che “nulla ha senso”, ciò mi consente di orientarmi nel mondo e quindi di dare un senso al non-senso. Cos’ Heidegger ‘regola i conti’ con Nietzsche nel momento in cui dobbiamo decidere. Leibniz e Spinoza si erano già posti il problema del senso e dell’essere e lo avevano trovato, rispettivamente, nella monade e nella sostanza, nota Heidegger nei Contributi alla filosofia (Adelphi, a c. di F. Volpi), in cui cerca di andare oltre il nichilismo, “oltre Nietzsche” per ricercare il senso dell’essere, e proprio a questo punto emerge la categoria heideggeriana di “evento”. E’ l’evento infatti che apre nuovi orizzonti, nuove possibilità. Per questo Heidegger resta il punto di partenza con il quale la filosofia di oggi deve inevitabilmente fare i conti.


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