CARNET DI MARCIA 2010 1

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CarnetdiMarcia

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Rivista mensile, gennaio 2010 • n. 1 anno XXXIV • Sped. in abb. post. Art. 2, Comma 20/c, Legge 662/96 Filiale di Padova • ISSN 1127-0667

Scout d’Europa PER ROVER E SCOLTE

Dolore

SALE IN ZUCCA Ma perchè Capitano tutte a me pag. 6 - 9

APERTA-MENTE Fango pag. 16 - 17

CADENDO DA CAVALLO... Non la mia ma la tua volontà pag. 12 - 13

VITA DA ROVER/DA SCOLTA Una storia in 12 clic pag. 23 - 25


IMPRESA

CAPITOLO

INCHIESTA

Sommario Carnet di Marcia • A - 2010 Parole all’immagine.........................................................3 Editoriale Quando stiamo male.........................................................4 Sale in zucca Ma perchè capitano tutte a me?....................................6 Benedetta Bianchi..........................................................10 Cadendo da cavallo... infuocando il mondo Non la mia ma la tua volontà........................................12 Treppiedi, una proposta Impariamo dall’ostrica...................................................14 Apertamente Fango................................................................................16 Giocare il gioco Il tuo autoroscopo...........................................................18

RUBRICHE

Vita da Rover... vita da scolta Vita da Rover...................................................................19 Anno 2007/2008................................................................20 Con i tuoi occhi................................................................22 Una storia in 12 clic........................................................23 I custodi Viva il pane fatto in casa...............................................26 Scienza dei boschi Orientamento, GPS e Scoutismo..................................28 Vita associativa Il Consiglio Nazionale.....................................................30 Piano redazionale 2009 - 2012........................................................................31 L’altracopertina Riflettendo sul… dolore.................................................32

SCOUT D’EUROPA Rivista mensile Associazione Italiana Guide e Scouts d’Europa Cattolici della Federazione dello Scautismo Europeo. Anno XXXIV • n. 1, gennaio 2010 - Carnet di Marcia per Scolte e Rover Direttore Responsabile Giuseppe Losurdo Direttori Michela Bertoni, Gipo Montesanto REDAZIONE DI CDM Coordinamento redazionale Tullia Di Addario, Giorgio Sclip RESPONSABILI RUBRICHE • APERTAMENTE: Vania Ribeca, Martino Piovesan. • CADENDO DA CAVALLO...infuocando il mondo: Don Fabio Gollinucci e fra Basito. • SALE IN ZUCCA: Monica D’Atti, Aline Cantono di Ceva ed Elena Pillepich. • VITA DA ROVER, VITA DA SCOLTA: Elena Bratti, Paolo Morassi. • CUSTODI DELLA TERRA: Marco Fioretti. • SCIENZA DEI BOSCHI E OCCHIO!: Marco Fioretti. • TREPPIEDI, UNA PROPOSTA: Commissari di Branca • L’ALTRACOPERTINA: Giorgio Sclip In redazione anche Elena Bratti, Micaela Moro, Gipo Montesanto, Carla Palermo. Hanno collaborato in questo numero: Aline Cantono di Ceva, Tullia Di Addario, Giorgio Sclip, Don Fabio Gollinucci, Micaela Gentilucci, Nicola Pozzobon, Gipo Montesanto, Paolo Morassi, Fuoco San Francesco TS2, Vania Ribecca, Martino Piovesan, Marco Fioretti. Progetto grafico simone.salamone@email.it Direzione, Redazione e Amministrazione Via Anicia 10 • 00153 Roma Aut. del Tribunale di Roma n. 17404 del 29/09/1978 • Sped. in abb. post. Art. 2 Comma 20/c, Legge 662/96 • Fil. di Padova ISSN 1127-0667 Stampa T. Zaramella - Selvazzano PD

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anoscritti e foto, anche se non pubblicati, non si restituiscono, salvo diverso accordo precedente con la Direzione. Tutti i collaboratori hanno la responsabilità e conservano la proprietà delle loro opere. La riproduzione di scritti comparsi in questa rivista è concessa a condizione che ne venga citata la fonte. Chiuso in Redazione febbraio 2010

Ringraziamo tutti coloro che ci hanno scritto e che ancora non vedono pubblicato su questo numero il loro contributo! Tranquilli, sarete sul prossimo!! 2

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Parole all’immagine da "IL PROFETA"di Kahlil Gibran La vostra gioia è il vostro dolore senza maschera. E il pozzo da cui scaturisce il vostro riso è stato sovente colmo di lacrime. E come può essere altrimenti ? Quanto più a fondo vi scava il dolore, tanta più gioia potrete contenere. La coppa che contiene il vostro vino non è forse la stessa bruciata nel forno del vasaio? E il liuto che rasserena il vostro spirito non è forse lo stesso legno scavato dal coltello?

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Editoriale di Tullia Di Addario.........................................................................................

Quando stiamo male

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n questo numero affrontiamo un argomento molto serio; Il suono della parola che lo denota è dolce e armonioso, ma il suo senso è decisamente inquietante. Oggi parliamo di DOLORE. Ti sarà chiesto perché mai la redazione di C.d.M abbia scelto di trattare un tema così difficile, poco attraente e davvero non facile da digerire. La risposta è semplice e già la conosci: una piccola voce dentro di te deve avertela suggerita, si deve essere acceso un lumicino che ti ha messo in allarme. E questa sensazione non ti piace. Non ti piace per niente. A questo punto sei di fronte ad un bivio, non hai che due strade da seguire: 1) Puoi decidere che questo è troppo per i tuoi “fragili nervi”, già messi a dura prova dalle incombenze di questo periodo (compiti in classe, esami, lavoro, genitori, servizio, amore); chiudi questo numero di C.d.M., lo riponi nello scaffale che (speriamo) accoglie tutti gli altri e prometti a te stesso che un giorno, quando ti sentirai un pò più sereno, leggerai quanto abbiamo pensato possa essere utile a te riflettere su questo argomento. Sai bene, in realtà, che non lo toccherai mai più, dal momento che non ci saranno tanti periodi meno caotici di questo che stai vivendo ora, né, tanto meno, che avrai voglia di leggere qualcosa sul dolore proprio in quei giorni in cui ti senti un pò più in pace con te stesso. Messo via questo numero, lo cancellerai dalla tua testa e amen.

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2) Puoi invece decidere che, pur sentendo un certo malessere ribollire nello stomaco, non è evitando di pensare al dolore che si possa evitare il dolore medesimo. Tanto vale scoprire se, proprio in questo periodo di particolare confusione interiore ed esteriore, questi “quattro bigotti” di C.d.M. possono offrire uno spunto di riflessione e (perché no?) di speranza. In questo caso, cercati un angolino tranquillo, riservati un’oretta scarsa di pace e lascia risuonare con tono più forte quella voce che prima sentivi sussurrare debolmente, lascia brillare con più vigore quella tenue fiammella che prima aveva prodotto un vago bagliore. Lo sai bene perché vogliamo parlarti del dolore: affrontare il dolore è come affrontare una brutta bestia: fa paura, può far davvero male, ne potremmo essere annientati, ma ne conosceremo i tratti, i modi di agire, saremo preparati al suo assalto e, se ben “armati”, la potremo sconfiggere; se invece volteremo le spalle, la “bestia” avrà davvero buon gioco a sorprenderci e a fare di noi quello che mai vorremmo essere. Buona Strada

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Sale in Zucca Aline Cantono di Ceva...................................................................................

“MA PERCHÉ CAPITANO TUTTE A ME?” Intervista a Giobbe.

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na massa di cotone, imbevuto d’acqua nera e torbida, mi si piazza dentro al cuore e vuole prenderne il posto. Il cuore si stringe, si fa piccolo piccolo, e questa compressione fa male. Il batuffolo, pesante e denso, sale su. Passa accanto ai polmoni e arresta il respiro. Si ferma nella gola, non riesco più a deglutire, a parlare, il cotone assorbe un urlo disperato e resto muta. Poi prosegue e raggiunge la testa. Sopra il naso, in mezzo agli occhi, crea delle piccole ma profonde rughe, la fronte non è più capace di distendersi. Nel cervello la pericolosa palla maciulenta è una spugna imbevuta, la strizzo aggrottando, e dagli occhi mi escono le lacrime. Intanto, nel cuore, di cotone-ragnatela soffocante se ne è già riformato altro, destinato allo stesso viaggio, si ricomincia…non posso far nulla… Ecco il DOLORE. “Perché?” e “Quando finirà?” le sole domande. Parlare del Dolore è una cosa estremamente seria. Ho perso amici a cui non ho saputo dare risposte esaustive al loro dolore; conosco molti che hanno perduto la Fede accusando e odiando Dio per le loro disgrazie ed il Suo mancato intervento; qualcuno è divenuto orfano ripudiando la famiglia, ritenendola responsabile delle proprie 6

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sofferenze; ci sono storie d’amore mai nate o avventure mai intraprese per paura di star male… il dolore condiziona le relazioni, le scelte importanti, il mio essere… L’intervista di oggi è singolare. Protagonista è un uomo buono e giusto vissuto circa 2500 anni fa. Scelgo lui perché modello universale di sofferenza inspiegabile, ingiusta e assolutamente concreta, a cui nessuno, come spessissimo capita, riesce a dare spiegazioni rasserenanti.

Chi è Giobbe? “C’era nella terra di Uz un uomo chiamato Giobbe: uomo integro e retto, temeva Dio ed era alieno dal male. Gli erano nati sette figli e tre figlie: possedeva 7000 pecore e 3000 cammelli, 500 paia di buoi e 500 asine, e molto numerosa era la sua servitù. Quest’uomo era il più grande fra tutti i figli d’Oriente” (Giobbe 1, 1-3).

• Dunque

in parole povere Giobbe è una persona buona, onesta e per bene, per di più è un riccone, e non solo, ha una bella famiglia numerosa che lo ama e lo stima, è in salute… non gli manca nulla… oserei dire che stando così le cose, così pieno di benedizioni e fortune è facile credere in Dio ed essergli fedele.

“Ora accadde che un giorno, mentre i suoi figli


interviste

troppo! Ridotto così, sua moglie, un pò per ribrezzo e un pò per esasperazione, lo abbandona. E gli amici? Avrà pur avuto qualcuno vicino pronto a consolarlo?

lle greggi di Giobbe

• Bhe… a questo punto quando è troppo è

n e de

“Satana allora colpì Giobbe con una piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo. Giobbe prese un coccio per grattarsi e stava seduto in mezzo alla cenere”. (Giobbe 2, 7-8).

a zio

negli averi e negli affetti… così, senza ragione, spaventosamente sfortunato; un colpo durissimo da cui riprendersi… ma proverbiale è la pazienza di Giobbe, la sua fede in Dio non vacilla… e poi: “quando c’è la salute c’è tutto” e ci si può sempre rialzare…

m in

• Colpito

Eli

e le sue figlie stavano mangiando e bevendo a casa del fratello maggiore, un messaggero venne da Giobbe e gli disse: “I buoi stavano arando e le pecore pascolando vicino ad essi, quando i Sabei sono piombati su di essi e li hanno predati e hanno passato a fil di spada i guardiani, Sono scampato solo io che ti racconto questo”. Mentr’egli ancora parlava, entrò un altro e disse: “Un fuoco divino è caduto dal cielo: si è attaccato alle pecore e ai guardiani e li ha divorati. Sono scampato solo io che ti racconto questo”. Mentr’egli ancora parlava, entrò un altro e disse: “I Caldei hanno formato tre bande: si sono gettati sopra i cammelli e li hanno presi e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato solo io che ti racconto questo”. Mentr’egli ancora parlava, entrò un altro e disse: “I tuoi figli e le tue figlie stavano mangiando e bevendo in casa del loro fratello maggiore, quand’ecco un vento impetuoso si è scatenato da oltre il deserto: ha investito i quattro lati della casa, che è rovinata sui giovani e sono morti. Sono scampato solo io che ti racconto questo”. (Giobbe 1, 13-19).

“Nel frattempo tre amici di Giobbe erano venuti a sapere di tutte le disgrazie che si erano abbattute su di lui. Partirono, ciascuno dalla sua contrada, e si accordarono per andare a condolersi con lui e a consolarlo. Alzarono gli occhi da lontano ma non lo riconobbero e, dando in grida, si misero a piangere. Ognuno si stracciò le vesti e si cosparse il capo di polvere. Poi sedettero accanto a lui in terra, per sette giorni e sette notti, e nessuno gli rivolse una parola, perché vedevano che molto grande era il suo dolore”. (Giobbe 2, 11-13).

• Ah!

Ecco, meno male! Gli amici si vedono nel momento del bisogno… Ma quali le parole di conforto davvero in grado di risollevare il morale?

È facile riconoscere negli amici di Giobbe le caratteristiche comuni alle persone che si trovano nella difficile situazione di dover dare valide motivazioni a chi urla chiedendo il perché della sua sofferenza. C’è l’amico saggio, quello più impulsivo e quello più “bacchettone”… e anche le risposte son quelle classiche: - “Ammettilo Giobbe! Se soffri vuol dire che in A - 2010

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fondo in fondo hai peccato e qualcosa di male lo hai fatto… questa forse è la punizione che Dio ti ha voluto dare: “ Per quanto io ho visto, chi coltiva iniquità, chi semina affanni, li raccoglie” Gb 4,7; “Felice l’uomo che è corretto da Dio: perciò tu non disdegnare la correzione dell’Onnipotente” Gb 5, 17. - “Forza e coraggio Giobbe! Abbi fiducia nel progetto di Dio: “Se puro e integro tu sei… piccola cosa sarà la tua condizione di prima, di fronte alla grandezza che avrà la futura.” Gb 8,6-7. - “Su! Non lamentarti troppo, non serve: la vita a volte va così e Dio è troppo lontano perché si occupi di te… Dio è troppo grande, non sei certo tu in grado di fargli cambiare idea: “Credi tu di scrutare l’intimo di Dio o di penetrare la perfezione dell’Onnipotente? È più alta del cielo: che cosa puoi fare? È più profonda degli inferi: che ne sai?... Se Egli assale e imprigiona e chiama in giudizio, chi glielo può impedire?” Gb 11,7-10.; “Quale interesse ne viene all’Onnipotente che tu sia giusto? O che vantaggio ha, se tieni una condotta integra?” Gb 22,3

• Basta davvero sapersi rassegnare per sentirsi meglio? Basta avere una grossa capacità di sopportazione per accettare le cose negative? Davvero Dio vuole mettere alla prova la mia fedeltà a colpi di disgrazie? Se ciascuno deve essere trattato secondo il suo comportamento personale, come può essere che le persone buone soffrano? Si può sopravvivere all’idea che i giusti vengano puniti insieme ai malvagi? Che senso ha cercare di essere una persona migliore? Dio è davvero così distante e incurante dei suoi figli? È Misericordioso o Vendicativo? Le disgrazie sono sue punizioni? Me le merito?

Giobbe sbotta! Va bene essere corretto dal Signore, ma a tutto c’è un limite! Davvero non può aver fatto tanto male da attirarsi tutto ciò! 8

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La perdita delle ricchezze, la morte dei figli, l’abbandono della moglie e ora pure la malattia! E che cavolo! Giobbe protesta la sua innocenza, maledice il giorno in cui è nato, si dispera, vorrebbe morire, si ribella, il mondo è pieno di ingiustizie, non riconosce quel Dio che ha sempre servito. Agli amici: “Siete tutti medici da nulla!” Gb 13,4; “Siete tutti consolatori molesti!” Gb 16,2. A Dio: “Perché dare la luce ad un infelice?” Gb 3, 20; “Volesse Dio schiacciarmi, stendere la mano e sopprimermi!” Gb 6, 9; “Preferirei la morte piuttosto che questi miei dolori!” Gb 7, 15. “Dio, perché mi hai preso a bersaglio?” Gb 7,20.

• Poi succede qualcosa… c’è un salto: quando tutto sembra perduto, Dio risponde e incre-


dibilmente la storia prende tutt’altra piega e si conclude con il Signore che benedice la nuova condizione di Giobbe più della prima: esattamente il doppio delle ricchezze, figli e figlie di rara bellezza, 140 anni di vita e la grazia di una morte sazia di giorni… un miracolo dunque! Ma quando le cose si son ribaltate e il dolore si è trasformato in gioia? Qual è il trucco? Dove la salvezza? Manca un passaggio atto a giustificare un così repentino cambio di rotta! C’è un azione che Giobbe compie in più, rispetto a quanti si trovano in situazioni difficoltose… come è lecito, e comune a tutti, si dispera, si ribella, non capisce, si lamenta ma c’è dell’altro: URLA e PRETENDE UN INCONTRO CON DIO, lui non ci sta a restare in una condizione di mal

sopportazione e vuole parlare direttamente con il “Principale”, vuole che gli si mostri, guardarlo faccia a faccia: “Ma io all’Onnipotente vorrei parlare, a Dio vorrei fare dimostranze!” Gb 13,3; “Oh, potessi sapere dove trovarlo… esporrei davanti a lui la mia causa… se almeno mi ascoltasse!” Gb 23, 3-6 Giobbe, Dio, lo vuole vedere non ignorare, lo vuole vicino non tra le nuvolette!!! Ed è a questo forte desiderio di Incontro che Dio risponde. Il rapporto di Giobbe con il suo dolore cambia nel momento in cui sente di non essere stato abbandonato dal Padre. La sua salvezza non è un premio per “esser stato bravo”, la sua salvezza è piuttosto la riscoperta di un nuovo tipo di relazione basata sull’esperienza personale e non su cose dette da altri “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono” Gb 42, 5. Spesso mi sono allontanata dalla fede per dare retta a pettegolezzi sia di fuori, sia della mia stessa coscienza es: “attenzione che Dio ti frega… occhio che da qualche parte il Signore mi nasconde la sòla… guarda che è l’Onnipotente che ti manda le sventure o, almeno, sebbene possa tutto, non fa nulla per evitartele… devi avere pazienza… tutto ha un prezzo e prima o poi Dio mi presenterà il conto da pagare…”. È come credere alle dicerie sul tuo ragazzo e lasciarlo senza chiedere a lui un chiarimento diretto… Il regalo che cambia la vita non è trovare un Dio che ti dia spiegazioni, ma scoprire un Padre che ti fa fare un’esperienza diretta di Lui e del suo Amore, mica “in generale” e virtualmente, ma proprio a te e concretamente! No parole, ma fatti! Incontrare persone che hanno sofferto è facile, oserei dire tutte… Conoscere persone che son andate oltre trasformando la domanda “Perché tutte a me?” in “Signore dove sei?” è una Luce. Rimani insabbiato nel dolore e c’è la morte, senti la vicinanza di Dio e trovi la meraviglia. È il caso di dire “provare per credere”. A - 2010

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Sale in Zucca di Marco Fioretti............................................................................................

Benedetta Bianchi

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gni epoca ha i suoi poeti, i suoi scienziati, i suoi profeti, i suoi santi: una grande creatura si è affacciata alla nostra storia: Benedetta Bianchi Porro. Il suo messaggio è una risposta all’uomo di oggi inquieto e solo, in cerca di luce: il bunker della solitudine si spezza con l’amore. Benedetta irradia su noi la sua più fulgida luce quando, attingendo il vertice del suo sacrificio in assoluta comunicazione col Cristo, la parola si tramuta in un silenzio che supera i limiti del finito: il silenzio immoto della crocifissione. E chi vive accanto a lei non si trova escluso dal segreto di questo silenzio: Benedetta celebra anche per lui la sua Messa. Nacque l’8 agosto 1936 a Davola, piccolo paese della valle del Montone, in provincia di Forlì dove trascorse i primi anni della sua vita. Colpita in tenera età dalla poliomelite, rimase con una gamba menomata. Quando ne fu consapevole, cercò di vincere il suo turbamento e, sebbene fanciulla, s’impegnò nella conquista della sua serenità interiore. Nel 1944, durante la II guerra mondiale, sfollò con la famiglia a Casticciano, presso Bertinoro. Nel 1949 con la famiglia si trasferì a Sirmione ove il padre, uomo di carattere mite e di ingegno vivace, era direttore delle Terme. Nel momento in cui la vita sorride palpitante di luminose speranze e di sogni, si manifestarono in lei i primi sintomi, sordità e atrofia delle gambe, di un’oscura malattia che le lese a poco a poco tutti i centri nervosi. “Oggi sono stata interrogata in latino. Ogni tanto non capivo quello che il professore mi chiedeva. Quando ho alzato la testa ho visto che i compagni ridevano. Che figura devo fare ogni tanto! Ma cosa importa? Un giorno forse non capirò niente di quello che gli altri mi dicono, ma sentirò sempre la voce dell’anima mia; è questa la vera via che devo seguire.” (dai Diari) Benedetta 10

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amava la vita come immenso dono di Dio e, operava le sue scelte, contro l’avanzamento più deciso del male. Al liceo classico ottenne la maturità con ottimi voti. Nel 1953 s’iscrisse, anche per compiacere a suo padre, alla Facoltà di Fisica presso l’Università degli studi di Milano, passando poi ben presto a quella di Medicina. Si recava all’Università sorreggendosi col bastone e accompagnata dalla giovane amica Anna, che rispondeva in sua vece all’appello. La sua fermezza non conosceva cedimenti e soste, neppure dinanzi a difficoltà quasi insormontabili. Ormai totalmente presa dal male, lasciò l’Università, dopo aver sostenuto comunque parecchi esami. Il suo grande sogno di diventare medico, era spezzato per sempre. Da qui ebbe inizio il momento più doloroso e luminoso del suo calvario. Dopo numerosi consulti, dimostrati peraltro vani a definire il genere di malattia, Benedetta da sola diagnosticò il suo terribile male: una neurofibromatosi diffusa. L’oscuro morbo l’aggrediva e a nulla giovavano le lunghe degenze in clinica, le cure e gli interventi chirurgici. A poco a poco tutte le facoltà sensitive si atrofizzavano: perdeva l’olfatto, il gusto, il tatto. Il 27 giugno del ’57 subiva una grave operazione al cervello. Alla vigilia dell’intervento soffrì molto quando le radevano il capo: “Mentre mi tagliavano i capelli, mi sentivo come un agnello cui tagliano la lana e pregavo il Signore perché mi facesse forte e piccola. Il Signore, mamma, vuole da noi grandi cose. Ho sofferto tanto e ho domandato al Signore di essere una pecorella nelle sue mani”. L’intervento le lasciò il volto semiparalizzato per lesione al nervo facciale. Il 7 agosto del ’59 veniva operata alla spina dorsale e restava paralizzata agli arti inferiori. Scriveva a Maria Grazia, fedele, dolcissima amica: “Quanto a me, faccio la vita di


muore intuisce i problemi, le ansie, sempre; eppure mi sembra così i dubbi di quel mondo giovane che la completa! cerca. Parla semplicemente di Dio, È però vero che la vita in sé e per sé ed essi sentono Dio accanto a lei…” mi sembra un miracolo. E vorrei inBenedetta ha vissuto la suprema nalzare un inno di lode a Chi me l’ha realtà dell’amore: l’oblio di sé per gli data. Come vorrei farti capire quello altri. “… il mio compito non è solo e che provo!” Nell’autunno del ’62 le non deve essere solo quello di scruvenivano asportati quasi tutti i dentarmi dentro, ma di amare la softi. Poi, dopo qualche mese, il Signoferenza di tutti quelli che vengono re la chiama all’altare per un’altra attorno al mio letto e mi danno o mi grande offerta. Il 27 febbraio 1963 domandano l’aiuto di una preghieè il giorno delle S. Ceneri, l’ultima ra”. Dalla sua cecità irradiava luce operazione. Benedetta ha paura. sulle tenebre degli altri. Bastava Maria Grazia le è accanto. andare da lei e porsi in ascolto. Segue all’intervento una notte di Il volto della speranza Fasciata dal silenzio e dalla notte, sofferenza straziante. Al mattino nella sua stanza è celebrata la scritti di Benedetta Bianchi Porro in quella condizione umana che e testimonianze trasporta l’animo fuori da ogni Santa Messa. Gli amici le sono a cura di Anna Maria Cappelli esperienza conosciuta, quante accanto. Ormai da cinque ore volte si è trovata dinanzi il deserha perso la vista e non vedrà più to! Ma come Abramo, dopo il fino alla morte. La bellezza fine pieno abbandono alla volontà di Dio, Benedetta ha dei suoi lineamenti si perdeva in un volto spento, riudito la Sua voce, e ha ripreso, piena di sovrumama misteriosamente luminoso. Si era aperto il più na letizia, il faticoso cammino. “Ritta ai piedi della profondo solco per la più feconda germinazione. croce”, ha elevato al Signore le sue mani colme Le rimaneva solo un fil di voce penosamente did’offerte. Ha donato tutto: “si dona come si ama”, stinguibile e la sensibilità in una mano con la quale spesso ripeteva. Affondata nel buio, ha creduto le venivano fatti percepire sul volto o sul corpo i nella luce; dilaniata dalla sofferenza, ha provato segni dell’alfabeto muto. l’estasi d’essere fatta per una gioia senza fine. Così scrive di lei G. Casolari: “Ciò che sorprende In quella stanza, accanto al suo lettino divenuto alin questa creatura fasciata dalla notte, circondata tare, la fede, nel segreto di tanti cuori, ha dischiuso dal deserto, non è l’evasione verso l’alto, in un mondi sconosciuti. Il 23 gennaio 1964, giorno delcontatto con Dio a cui Benedetta era preparata lo Sposalizio della Vergine, si chiudeva a Sirmione e come assuefatta da tempo e che ora, tacendo la sua storia terrena. tutte le cose attorno, poteva essere favorito. SorPer chi vuole approfondire la storia di questa raprende invece e commuove il suo meraviglioso gazza straordinaria è stato fatto un libro dove sono espandersi verso gli altri, non cercati per rompere raccolti i suoi scritti e molte testimonianza di amio consolare la sua solitudine, ma per confortare la ci, parenti e di chi l’ha conosciuta. Dicono che la loro pena; fioriscono attorno a lei, anzi lei stessa fa sua vita è stata una meteora che ha brillato troppo fiorire, stupende, limpide amicizie.” forte; certo è che chi l’ha incontrata non è rimasto E una sua amica scrive: “Andare da lei non è più come prima ed era limpido ed evidente che in un’opera di bene da compiere con rassegnazione: lei il volto del dolore lasciava posto al volto della è un interesse ed una gioia, fresca, inesauribile. Speranza. Dolcemente, misteriosamente, la ragazza che A - 2010

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Cadendo da Cavallo... don Fabio Gollinucci......................................................................................

Non la mia volontà ma la Tua Luca, cap. 22 Uscì e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: "Pregate, per non entrare in tentazione". Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà". Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: "Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione".

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uca ci racconta di quella notte in cui Gesù lottò con Dio facendo risuonare nell’oscurità del mondo il vero nome di Dio: Abba, Padre. Durante il battesimo nel Giordano e sul monte Tabor il Padre si era fatto sentire chiamando Gesù: «Figlio». Ora invece è il Figlio che, chiamandolo «Padre», non esclude Dio dalla notte disumana del dolore e nemmeno lo incolpa di assenteismo. Anzi, proprio il modo di affrontare il dramma del dolore da parte di Gesù, con la nostra stessa paura e angoscia, introduce nella storia umana un aspetto completamente nuovo del mistero del dolore e della morte. Da parte nostra è solamente a causa del peccato che guardiamo a questo evento come alla fine della vita. E proviamo un senso di ab12

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infuocando il mondo bandono al nulla, forse anche da parte di Dio che non si fa sentire. Dall’enorme abisso del dolore umano ora sale invece la voce del Figlio che si rimette con fiducia nelle braccia del Padre. La tristezza e l’angoscia di Gesù rappresentano l’incontro definitivo dell’uomo con il male: attraverso l’esperienza dell’abbandono di Dio, siamo invitati, con i discepoli, a rimanere svegli per scoprire e conoscere in Gesù il DOLORE DI DIO per l’uomo e per il mondo. Il punto cruciale di questo racconto è la lotta di Gesù per passare dalla «mia» alla «Tua» volontà. La grande menzogna subita dall’uomo fin dal principio, il peccato radicale, è quel sospetto che agisce nel cuore come un tarlo, impedendo al discepolo di consegnarsi a Dio, di affidarsi a Lui, non vedendolo più come nemico, ma riconoscendolo come Padre. Gesù alla fine della prova fu esaudito dal Padre, non nel senso che fu esonerato dal dolore e risparmiato dalla morte, ma con la Risurrezione. Il suo affidamento totale, fino alla morte, ha

fatto entrare la luce della vita nelle tenebre della morte, liberando finalmente l’uomo dalla paura di soffrire. La preghiera, di cui Gesù dà l’esempio e invita i discepoli a fare lo stesso, è la vera chiave per poter vivere il dolore e non subirlo. Non per superarlo, sforzandosi di resistere, ma per incontrare, proprio nel dolore e nella morte, la vittoria della morte stessa e la liberazione definitiva. Non si tratta quindi di evitare il dolore: spesso non è possibile! E comunque ritornerebbe in altra maniera. Non è bene nemmeno illudersi di potergli resistere: in fondo non ne siamo capaci. La grande rivelazione di Gesù è che Dio soffre con noi, come noi e più di noi. La nostra vittoria passa dall’entrare e rimanere in esso con il Signore della Vita, il Padre di Gesù che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva. Dio non vuole la sofferenza del Figlio o dei figli. Dio soffre se i figli soffrono. Dio soffre per i figli. Dio muore per l’uomo perché lo ama senza limiti e condizioni. Questo Dio non lo avremmo mai conosciuto se non fosse passato per il nostro dolore! don Fabio Gollinucci

O PER NOI OGGI QUESTO VANGEL isco? Perchè? scepoli, come reag i l'agonia/lotta di Gesù di oi su i n co i liv gli u entarc Gesù sul monte de a Chiesa nel pres • Mentre guardo di fronte al contributo della prim • E come reagisco su quel monte? è per me: cosa • In particolare, Gesù? la prova? per non cadere nel a sudare come sangue? Perchè? " re ga • "L'ora" di re "p a ù es di G ù, fino • Il ripetuto invitooscia, la tristezza mortale di Ges n la mia volontà!" no ng a l'a ssibile... M • Il terrore, Padre, tutto ti è po à, bb "A : re pu scepoli? Ep di i • ù ha preso con sè o"? es G e ch o tt fa Il lora? • si invece " dormon Dormiamo? Su chi? Perchè? E al es e ch o tt fa il E • Su chi? Perchè? • Noi: preghiamo? A - 2010

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Treppiedi... Gipo Montesanto...........................................................................................

Impariamo dall’ostrica…

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l modo più sicuro di rendere le cose difficili ai figli è di rendergliele facili”. Una battuta famosa, attribuita ad Eleanor Roosevelt, che risulta attuale in questo nostro tempo di incertezze educative. Quanto appena detto interessa da vicino anche tutti noi. Quanti di noi non desiderano, per le persone che amano, un cammino senza asperità, privo di dolore e di fatica. L’esempio lo abbiamo davanti agli occhi ogni qual volta guardiamo ai nostri genitori. Ma dobbiamo renderci conto che, inevitabilmente, dal momento stesso in cui nasce, l’uomo comincia a soffrire. Il dolore fa parte dell’esistenza umana, come il caldo e il freddo, la paura e la sete, la crescita e la decadenza. Una vita senza sofferenze può anche essere una vita senza gioie. II vero problema di tanti giovani, oggi, è proprio la noia per mancanza di sfide. Tanti ragazzi e ragazze sono abituati allo zapping quotidiano: scelgono quello che vogliono e quando vogliono, in base ad un unico criterio: “mi piace o non mi piace”. Il piacere (anche per molti adulti) è diventato la misura di tutto. La parola d’ordine è “tutto e subito”, possibilmente senza sforzo... Gli idoli sono

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coloro che “ce l’hanno fatta”: ricchi, famosi, belli, potenti... Il valore “piacere” si trascina dietro le nuove virtù: la vanità e l’ostentazione, il successo e la ricchezza, la violenza e la competitività. In una situazione come questa si rende necessaria una “educazione al dolore”. Il dolore fisico e quello morale. Tutti noi dovremmo, almeno un pò, imparare a dominare il dolore fisico. I bambini di oggi sono talmente inscatolati e protetti che appena uno si fa un graffietto pare che caschi il mondo. Non solo il dolore vero e proprio, ma il disagio fisico viene sempre più temuto e puntigliosamente evitato. Anche a causa della pubblicità che mette sempre più l’accento sulla forma fisica, sulla necessità di “star bene”, di essere sempre agili, scattanti, atletici. Gli armadietti dei medicinali delle nostre famiglie straripano di prodotti chimici assortiti e “stampelle chimiche” che hanno sostituito le pozioni magiche: “Bevi lo sciroppo e ingoia la pillola e subito ti sentirai meglio, sembrerai più in forma”. Corriamo il rischio di contribuire a formare un essere umano così disarmato che qualsiasi tipo di impegno fisico verrà eliminato, compresa la


una proposta fatica. Quanto ha da insegnarci la nostra cara Strada da questo punto di vista… “Allenarlo anche a perdere è più importante che allenarlo a vincere”. È lo slogan di una campagna contro la droga ed è un consiglio saggio. Sopportare il dolore morale per la perdita di qualcuno, di un affetto o di qualcosa è difficilissimo. Amare significa inevitabilmente soffrire. Ma vivere significa anche saper reagire. La decisione ed il coraggio con cui affronteremo i colpi nell’età adulta devono essere costruiti proprio durante l’età Rover; dopo sarà già tardi. Dobbiamo adesso imparare a riconoscere la realtà e a distinguerla dai sogni. Una sera, durante una riunione di Clan vennero fuori parecchie domande: Perché il dolore? Perché tutta questa sofferenza? Perché questo “freddo” di amore che noto in giro? Perché per arrivare a Lui bisogna portare tutte queste croci… Stride immensamente la parola “amore” con la parola “dolore”. La risposta fu che l’unica cosa che non stride con la parola amore è proprio il vocabolo incriminato: dolore. E viceversa! Riflettiamo un pò: amore senza dolore è puro divertimento, superficialità, gioco, e spesso volgarità. D’altronde, dolore senza amore è scoraggiamento, frustrazione, avvilimento, disperazione. L’amore è la conquista più alta della vita e della storia. In assoluto. Ogni conquista vera esige un faticoso (leggi pure doloroso) approccio e altrettanta fatica per mantenerla. E ve lo dice chi ha celebrato il sacramento del matrimonio una settimana fa! La tendenza di oggi, nell’Occidente opulento, è l’abbattimento del dolore da raggiungere a qualunque costo: o per via farmacologica, o attraverso tecniche psicologiche, o ancora con il rifiuto di ogni vincolo morale... “Rendere tutto facile”. È la fatica e il mito dei ricercatori di settore; preparare la pappa fatta, vivere in una specie di eutanasia perenne sarà, forse, anche bello (benché ne dubiti), ma certamente può avere risvolti drammatici, come la crescita di

individui senza spessore, incapaci di affrontare qualsiasi impresa. Mentre scrivo queste righe il mio pensiero corre ad altri luoghi del mondo, lontani dal nostro ricco Occidente, dove la sofferenza è il quotidiano.

Penso a Don Robert, il nostro ex Assistente di Branca. Adesso è in Niger per fondare una nuova missione e sul suo blog racconta che laggiù manca tutto, dalle materie prime alle medicine per curarsi… e a noi cosa manca? “Il dolore ci è maestro”, diceva con verità Eschilo 2500 anni fa! E Seneca, cinquecento anni dopo, ribadiva: “L’oro si prova con il fuoco, l’uomo con il dolore”. Anche Don Bosco insegnava ai suoi ragazzi che le spine che ci pungono nel tempo saranno fiori per l’eternità. Attenti ragazzi… non pensate che io sia un sadico: combattiamo il dolore, soprattutto quello superfluo, inutile, gratuito, insensato, ma con intelligenza, perché liquidare il dolore, significherebbe dare il benservito alle emozioni, inaridire l’uomo. Bisognerebbe imparare a fare come l’ostrica: quando un granello di sabbia le entra dentro e la ferisce, non si dispera; giorno dopo giorno trasforma il suo dolore in una perla! Proprio come Don Robert in Niger. A - 2010

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Apertamente Vania Ribeca & Martino Piovesan..................................................................

FANGO

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ifficile. È davvero difficile trovare il modo per presentare con una attività il tema del Dolore. Difficile anche scriverne. Sono giorni che ci pensiamo e ripensiamo. Poi qualcosa si muove. Uno sta tranquillamente girando in macchina ed in radio passa quella canzone. L’abbiamo ascoltata mille volte, l’abbiamo cantata ancora di più, magari anche ad un concerto. L’abbiamo scelta per metterla sul nostro Ipod.

ci si sente soli dalla parte del bersaglio e diventi un appestato quando fai uno sbaglio un cartello di sei metri dice tutto è intorno a te ma ti guardi intorno e invece non c' è niente Ma che c’entra con il dolore tutto questo? In fin dei conti tutti abbiamo provato del dolore. Fisico sicuramente, ma anche morale; dolore per un torto subito, per una amicizia finita, per un amore negato, per una parola di troppo detta o non detta, per la scomparsa di una persona cara. E allora perché parlare di dolore se ognuno di noi ne ha fatto esperienza? In realtà non vogliamo parlare della causa del dolore, ma degli effetti e del modo di affrontarlo. Allora anche una canzone ci può aiutare a curare qualche ferita, a lenire alcuni dolori. Capita spesso di sentirci soli, di dover affrontare situazioni che sembrano insormontabili. Il dolore ci segna 16

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profondamente, ma ci insegna anche a vivere. Il dolore ci forgia come il martello di un fabbro forgia un pezzo di ferro rovente. Ma il dolore, se condiviso, pesa la metà. È l’unico vero modo per vincere il dolore è quello di affrontarlo. Ci sentiamo soli in particolare nel momento del dolore ma…

Io lo so che non sono solo anche quando sono solo io lo so che non sono solo io lo so che non sono solo anche quando sono solo Dite bene voi… ma sono io che sto male!!! Facile parlare quando si sta bene!!! Avete ragione. Anche noi pensiamo così quando qualcosa non va. Tutto è riposto in noi. Nella nostra volontà di affrontare il nostro malessere. Cantiamo, piangiamo, gridiamo, facciamo silenzio, ridiamo, chiacchieriamo… Ognuno di noi affronta in modo diverso il proprio dolore. Poi per tutti è davvero necessario capire che non siamo soli. Davvero… Vi invitiamo a riascoltare la canzone Fango di Jovanotti e poi guardarne attentamente il testo, anche in Fuoco o Clan. E leggere magari questo libro: “L’ultima lezione. La vita spiegata da un uomo che muore”. Autore Pausch Randy ed. Rizzoli. È il racconto dell’ultima lezione di un professore universitario che comincia cosi: Bene, eccoci qui. Nel caso in cui ci fosse qualcuno che è capitato qui per caso e non conosce la mia storia, mio padre mi ha insegnato che quando c’è un grosso problema bisogna affrontarlo. Nelle mie Tac compaiono una decina circa


di tumori al fegato e il dottore mi ha detto che mi restano dai tre ai sei mesi di buona salute. Considerato che me l’ha detto un mese fa, i conti sono presto fatti. Ho i medici migliori al mondo. Le cose stanno così. Non possiamo cambiarle. Possiamo soltanto decidere in che modo reagiremo alla situazione. Non possiamo cambiare le carte che ci sono date, possiamo soltanto decidere come giocare la prossima mano. Se non vi sembro depresso o cupo come pensate che dovrei essere, mi dispiace deludervi! Quello che vorremmo comunicarvi attraverso lo spunto di una canzone, la lettura di un libro, è che, anche dal dolore può nascere un fiore, che c’è sempre la Luce alla fine del tunnel. Prendiamo ancora in prestito le parole di altri per trovare speranza: “Nel duomo vecchio di Molfetta c’è un grande crocifisso di terracotta. L’ha donato, qualche anno fa, uno scultore del luogo. Il parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l’ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: collocazione provvisoria. La scritta, che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell’opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il crocifisso di lì, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito. Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire

la croce. La mia, la tua croce, non solo quella di Cristo. Coraggio, allora, tu che soffri inchiodato da una malattia. Animo, tu che provi i morsi della solitudine. Abbi fiducia, tu che bevi al calice amaro dell’abbandono. Asciugati le lacrime, fratello, che sei stato pugnalato alle spalle da coloro che ritenevi tuoi amici. Non tirare i remi in barca, tu che sei stanco di lottare e hai accumulato delusioni a non finire. Coraggio. La tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre collocazione provvisoria. Anche il Vangelo ci invita a considerare la provvisorietà della croce. C’è una frase immensa, che riassume la tragedia del creato al momento della morte di Cristo: “Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra”. Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una delle più luminose: il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla Terra. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota. Al di fuori di quell’orario, c’è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio. Coraggio, fratello che soffri. C’è anche per te una deposizione dalla croce. Coraggio. Mancano pochi istanti alle tre del tuo pomeriggio. Tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga.” Buona strada e buon lavoro Vania & Martino

LINK UTILI:

• http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2007/10/08/lultima-lezione-di-randy-pausch/ • http://it.wikipedia.org/wiki/Randy_Pausch

• http://www.angolotesti.it/J/testi_canzoni_jovanotti_168/testo_canzone_fango_728749.html

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Giocare il Gioco a cura del Mago G.........................................................................................

Il tuo autoroscopo Per diventare Qualcuno. Per fare della tua vita qualcosa di bello. Per iniziare e portare avanti grandi cose. Cose che cambiano il mondo. Un segreto: conosci te stesso. Sì, ma come? Leggi quanto segue e lo scoprirai...

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er conoscere i segreti del tuo autoroscopo rispondi alle domande qui di seguito (non di fretta, ma sforzandoti di rispondere a ciascuna delle domande con un sì o con un no). Se hai potuto rispondere lealmente almeno 8 volte su 10 con un “SÌ”, allora possiedi molto bene la qualità di cui si tratta. Se hai da 5 a 7 “SÌ” possiedi solo benino tale qualità. Se hai 6 o più “NO” è perché scarseggia veramente. Nessuna esitazione allora. Mettiti presto a coltivare, per almeno un mese, o anche di più se necessario, questa famosa qualità.

“Sistema D”… Ci sono delle persone che passano la loro vita a fare delle piccole o grandi macchinazioni per riuscire, senza troppo sforzo, ad occupare i posti che non meritano, ad ottenere tutto per niente, ecc. Insomma sono coloro che applicano il “Sistema D”, che altro non è che un comportamento di menzogna o disonestà, a seconda dei casi. Spesso ci arrabbiamo e ci lamentiamo quando i nostri occhi incontrano comportamenti del genere. Ma tu, Scolta o Rover, che ti prepari ad essere un buon cristiano e un buon cittadino, sei senz’altro contro un sistema così sleale. Verificalo rispondendo a queste domande:

• A scuola studio (o studiavo) bene le mie lezioni, anziché fare conto su chi mi suggerisce o su chi mi fa copiare?..... □ • Cerco di rintracciare il proprietario degli oggetti smarriti che trovo?............................................................................□ • Preferisco perdere al gioco piuttosto che barare?...........................................................................................................□ • Avverto il negoziante se, nel darmi il resto, mi ha restituito più soldi del dovuto?.......................................................□ • So assumermi le mie responsabilità piuttosto che mentire per trarmi d’impaccio?.....................................................□ • Preferisco rinunciare a qualcosa che mi piace davvero, piuttosto che prenderla “senza permesso”?........................ □ • Quando ho dato la mia parola che farò qualcosa, considero un disonore il non mantenerla?......................................□ • Sono convinto che alcuni silenzi sono menzogne?...........................................................................................................□ • Ho il coraggio di confessare anche le cose difficili a dirsi?.............................................................................................□ • Quando dico, nel Padre Nostro, «rimetti a noi i nostri debiti», mi sforzo di perdonare coloro che mi hanno fatto dei torti?........... □

Numero dei “SÌ”: ... Sostituendo i “NO” con dei “SÌ” diventerai: .-.. | . | .- | .-.. | . 18

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SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI

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NO NO NO NO NO NO NO NO NO NO

“La Guida è leale - Lo Scout è leale” (B-P)


Vita da Rover... vita da Scolta Fabrizio, Clan Emmaus - Palermo 12.............................................................

Vita da Rover

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utti sappiamo chi è il Rover... ma solo chi è Rover può comprendere cosa si vive. Io sono ormai giunto al mio ultimo anno di Clan, essendo prossimo alla Partenza, e non posso nascondere che tutto ciò che ho vissuto e vivrò ancora da Rover è qualcosa di unico ed indescrivibile: l’energia che lo Scoutismo riesce a dare e a trasmettere e, allo stesso tempo, la possibilità che offre al Rover di aprirsi all’altro e crescere insieme ai fratelli che il buon Dio mette accanto ad ognuno di noi. Ricordo con piacere quando iniziai il mio cammino all’interno della comunità del Clan... già la parola Comunità mi faceva intendere fin da subito che avrei trovato dei ragazzi uguali a me, legati da pensieri comuni e da un unico stile di vita. Di Scoutismo non conoscevo nulla, ma ero cosciente che far parte di una Comunità significava dover essere parte integrante e attiva di un gruppo che da ogni suo componente vuole il proprio contributo. Fu subito motivo di grande responsabilità ma anche di voglia di fare e di mettermi in gioco. Il nostro tanto caro treppiedi costituito da Strada, Comunità Servizio e Spiritualità, è davvero un utile strumento per la crescita personale di ogni ragazzo. A lui devo quello che sono oggi. A lui devo se oggi posso vedere e ad affrontare i problemi con un occhio diverso. La Strada... quante difficoltà s’incontrano durante ai nostri campi? Eppure, nonostante ciò, non ci fermiamo... continuiamo a calpestare chilometri su chilometri fino a quando non raggiungiamo la nostra meta, la tappa che ci eravamo prefissati. Superiamo così i nostri limiti, le nostre paure, tutto ciò che difficilmente ci capitava di fare nella vita di ogni singolo giorno. Non significa essere supereroi, o possedere poteri sovrannaturali per essere felici, ma sapere che, nella vita di tutti i giorni,

la salita che dal basso appare a noi impossibile, se fatta con un ritmo constante, passo dopo passo può condurre in cima. E la Strada fatta e quella ancora da fare risulta sicuramente essere meno difficile se insieme a noi c’è la Comunità, la nostra famiglia. Quella Comunità che fa forza su tutti i componenti, che sa di poter contare su ogni singola persona, quella Comunità che ci fa sentire tutti membri di una grande famiglia, sempre pronta ad aiutare e a non lasciarti da solo. E poi il Servizio. Cosa c’è di più appagante, per un cristiano che fare qualcosa per altri, per il nostro prossimo?? È toccante ricevere in dono i sorrisi sinceri di una persona che ti ringrazia, è qualcosa che non ha prezzo, che ti riempie anche dalla fatica provata nell’adempire al servizio svolto. Sono doni che Dio ci regala, sensazioni ed esperienze che si conservano gelosamente nel proprio cuore, da portare con sè nella vita di tutti i giorni. Donarsi gratuitamente all’altro, dare senza ricevere nulla in cambio è qualcosa di davvero speciale!! Pochi mesi mi separano dalla mia Partenza dal Clan e al Roverismo devo dire solo grazie perchè per mezzo di esso sono diventato un uomo, sono cresciuto e ho imparato a superare gli ostacoli che la vita ci mette davanti ogni giorno, ma soprattutto mi ha insegnato ciò che Madre Teresa di Calcutta era solita dire, parole a me tanto care: «Fate che chiunque venga a voi

se ne vada sentendosi meglio e più felice. Tutti devono vedere la bontà del vostro viso, nei vostri occhi, nel vostro sorriso. La gioia traspare dagli occhi, si manifesta quando parliamo e camminiamo. Non può essere racchiusa dentro di noi. Trabocca. La gioia è molto contagiosa.»

Buona Strada Squalo Audace A - 2010

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Vita da Rover... Fuoco San Francesco - Trieste 2.....................................................................

Anno 2007-2008

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uesto, per noi Scolte, è stato l’anno delle domande, l’anno dei dubbi, delle sfide ma è stato anche l’anno delle scoperte e, a mio avviso, un anno di grande gioia! Il tema che ci ha guidato lungo il cammino è stata una frase di Giovanni Paolo II: “Prendete la vita nelle vostre mani e fatene un capolavoro!” Una bella sfida! Durante tutto l’anno abbiamo cercato di rispondere alle domande, ai dubbi; abbiamo cercato di parlare, di discutere su chi siamo, cosa vogliamo veramente dalla nostra vita, su quali sono i nostri obiettivi, su quali sono i nostri valori, e abbiamo parlato, abbiamo cantato, abbiamo riso… Abbiamo cercato di capire quale posto ha Dio nella nostra vita, quale importanza e quanto spazio gli diamo… Abbiamo parlato di servizio, abbiamo fatto servizio, insieme, singolarmente… E poi c’è stata la Route: il nostro campo esti20

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vita da Scolta vo! Il tema era sempre lo stesso, quello di tutti i mesi precedenti: “Prendete la vita nelle vostre mani e fatene un capolavoro”. Faceva caldo, troppo caldo e la strada saliva, scendeva e saliva nuovamente, quando ormai non cerano più forze, quando ormai lo zaino pesava sulle spalle e non c’era acqua, anzi avevamo poca acqua, ogni volta che vedavamo una fontanella, riempivamo tutte le boracce e le bottiglie a disposizione per non rimanere senza dopo… Ma abbiamo imparato a condividere ogni cosa, abbiamo imparato che quando una è stanca deve essere aiutata, che quando una non ce la fa più, a volte basta un sorriso… Abbiamo imparato a scoprire preziose le più piccole cose, abbiamo imparato a godere per un filo di vento che ci rinfresca, a inebriarci del profumo di ciclamini nel sottobosco, ad assaporare un sorso d’acqua offertoci dalla compagna. E quando ci fermavamo a parlare insieme, le parole che uscivano sembravano più sincere, più vere, e le riflessioni erano più sentite. Ci siamo ritrovate più forti, più coraggiose, più noi stesse. Durante la Strada c’è stato anche il silenzio: or-

mai quasi dimenticato e, lo abbiamo riscoperto a forza perché eravamo troppo stanche per parlare, ma quanto ha saputo “dirci” quel silenzio! E tutte insieme ci siamo sentite costruttrici di questo campo dove ognuna aveva il suo compito, ognuna lavorava per il bene di tutte, e dormivamo negli stessi posti, e mangiavamo le stesse cose… e abbiamo così scoperto che la nostra è una vera Comunità dove si sta bene, dove c’è posto per tutte! E abbiamo riscoperto il Signore, nel silenzio della Strada, nel canto della gioia, nel sorriso di chi ci sta accanto, nelle riflessioni giornaliere, nelle veglie serali, nel contemplare le stelle! E poi c’è stata Federica che ci ha lasciato: è partita dal nostro Fuoco per continuare il suo cammino da sola, per portare il suo impegno e il suo amore alle coccinelle, ma anche a tutti gli altri nella sua quotidianità, per rendere la sua vita un vero servizio al prossimo alla luce del Vangelo. Ora un nuovo anno ci attende, ci riserverà nuove sorprese e nuove sfide, impareremo a crescere e a riservare sempre un sorriso nella speranza di poter migliorare la giornata a qualcuno!

“L’amore mi ha spiegato ogni cosa, l’amore ha risolto tutto per me. Perciò ammiro questo amore ovunque esso si trovi. Spendete bene la vita, è un tesoro unico. L’amore non è una cosa che si può insegnare, ma è la cosa più importante da imparare. Prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro.” (Giovanni Paolo II) A - 2010

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Vita da Rover... Paolo Morassi................................................................................................

Con i tuoi occhi “Una parola non dice niente, e allo stesso tempo nasconde tutto, come il vento che nasconde l’acqua, come i fiori che nascondono il fango. Una immagine non dice niente, e allo stesso tempo dice tutto, come la pioggia sul tuo viso, o la vecchia mappa di un tesoro.” (C. Varela – “Una palabra”)

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oco più di un anno fa, lanciammo su Carnet di Marcia un concorso aperto a tutti i Clan d’Italia, intitolato “Una storia in 12 clic”: chiedevamo ai Clan di comporre, con dodici fotografie ed i relativi commenti, una storia fatta da parole e immagini che – attraverso il racconto di una attività – sapesse rappresentare al meglio uno degli aspetti che caratterizzano la nostra vita da Rover: Strada, Comunità, Servizio oppure Spiritualità. Diversi Clan hanno risposto all’appello: tutti si sono impegnati parecchio ad elaborare storie non banali, e così sia la qualità fotografica che la creatività compositiva sono risultate veramente notevoli. Per questo motivo, arduo è stato il lavoro della Pattuglia Nazionale, che alla fine di una lunga discussione ha selezionato due lavori: quello del Clan “Tuaregh” del Palermo 8 e quello del Clan “Stella Alpina” del Frosinone 1. Dopo… un’altra lunga discussione, ha prevalso – a maggioranza – quest’ultimo, che infatti è stato premiato all’Incontro Nazionale Capi Clan del Settembre scorso. Pubblichiamo ora il lavoro del

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Clan “Stella Alpina”, e lo facciamo nella rubrica “Vita da Rover… vita da Scolta” per due motivi: il primo è che si tratta del racconto di un’attività, e quindi quale collocazione migliore delle pagine che ospitano in ogni numero i vostri racconti? La seconda, più importante motivazione, è che questo è anche un suggerimento: un’idea nuova per voi Rover, Scolte, Clan o Fuochi, un nuovo modo di contribuire alla rubrica che fa sentire la vostra voce. Prendilo quindi come un preciso invito, cara sorella Scolta, caro fratello Rover: raccontare, condividere, in due parole far vivere una attività, una riflessione, un’idea, una sensazione, anche a noi che non siamo con te nel tuo Fuoco o nel tuo Clan, può allargare gli orizzonti della tua Comunità, ed estenderli a tutti i Fuochi e i Clan d’Italia! Questo già lo fai, e questa è la rubrica giusta per farlo, ma non è detto che vada fatto solo con un testo: non mettere limiti alla tua potenza espressiva – e scelgo di proposito il termine potenza! Lascia che ci meravigliamo come te ai colori di un paesaggio; che ci soffermiamo a riflettere sul tuo modo di raccontare con un’immagine un’esperienza di Servizio; che condividiamo con voi un istante di fraternità… Facci capire, facci vivere, facci sentire quello che tu senti con le tue parole e con le tue immagini.


vita da Scolta Alberto, Clan Stella Alpina - Frosinone 1......................................................

Una Storia in 12 clic

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pesso, quando arriva una proposta di attività dal “Nazionale”, quest’entità un po’ metafisica e “minacciosa”, ci si aspetta un lunghissimo questionario da compilare, domande un po’ strane e ambigue, con scopi non specificati, alle quali rispondere, oppure qualche concorso a cui non si parteciperà perché tanto lo vinceranno sempre i soliti, che, si sa, sono sempre gli stessi e sarà organizzato sicuramente malissimo. In fondo ci si fa scudo di fragili scuse che impediscono di confrontarci e di metterci veramente in gioco. È stato facile recuperare tantissime foto; ogni Clan credo ne abbia una quantità industriale; più difficile selezionarle per il nostro scopo; ancora di più legarle a parole che possano trasmettere qualcosa. È stata una lunga riunione, qualcuno ha ceduto anche al sonno, ma ha portato i suoi frutti. Il risultato non è una storia o meglio, credo sia la storia che, probabilmente, appartiene a ciascuno di noi che abbiamo sentito la fatica nelle gambe, che abbiamo salutato amici e familiari dal finestrino di un treno, che ci siamo fermati sulla cima di una montagna, sopra le nuvole, e siamo rimasti in silenzio, che abbiamo sentito le nostre tende come una casa. La Strada ci unisce, la Strada si percorre, ma come si racconta la Strada? Noi abbiamo pensato di raccontarla così, attraverso foto che ci ricordassero luoghi, ma soprattutto momenti e persone con cui abbiamo condiviso e continuiamo a condividere tanto e attraverso parole che altri, con storie e percorsi differenti,

hanno scritto, ma in cui ci ritroviamo e viviamo nelle nostre esperienze quotidiane. Credo che, specialmente in periodi come questo, in cui lo Scoutismo può apparire ad alcuni un movimento anacronistico e spesso sconfitto dalla società, sia bene ricordarci che i suoi valori sono vivi, attuali e non solo all’interno delle associazioni, e che possono essere vissuti universalmente. Dietro l’esperienza del Campo Mobile, dietro gli aneddoti ripetuti negli anni, cosa c’è? Le storie si raccontano, ma poco ci si sofferma su quello che si è veramente vissuto, poco si riflette sul significato di ogni passo, di ogni attività; in modo particolare quando ogni cosa ci sembra ovvia, scontata perché si è sempre fatto così. Il simbolismo dello Scoutismo è qualcosa che spesso rimane chiuso nelle nostre sedi e difficilmente chi ci vede da fuori riesce a penetrare e ancora più difficilmente, a volte, riusciamo a spiegare. Ma come ci si può aprire all’esterno se rimaniamo diffidenti anche all’interno della nostra Associazione? Ecco l’importanza di attività come queste. Attività che ci permettano di comunicare quello che noi viviamo quotidianamente nelle nostre sedi, nei nostri campi e di confrontarci, almeno tra di noi che “parliamo la stessa lingua”. Riscoprire tutto questo è stato lo scopo del nostro lavoro, provare a rappresentare non una storia di strada ma la Strada e condividerla con voi. Buona Strada

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Custodi della terra Marco Fioretti................................................................................................

Viva il pane fatto in casa!

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l pane è un alimento indispensabile a tutti sia a casa che, per noi Scout, in Uscita. Se vogliamo essere bravi Custodi, non possiamo non chiederci se lo compriamo e consumiamo nel modo migliore. Il problema non è nè teorico nè irrilevante. Il pane è una delle voci principali della spesa alimentare di ogni famiglia e, inevitabilmente, un altro dei modi in cui spendiamo, sprechiamo e inquiniamo molto più di quanto sarebbe effettivamente necessario. Come avviene con tanti altri alimenti, fra il costo delle materie prime all'ingrosso e quello del prodotto finito al dettaglio, ci sono differenze impressionanti: un kg di farina costa (al dettaglio, quindi molto di più di quanto incassi chi la produce) intorno a 50 centesimi. Un kg di pane, almeno nelle grandi città, può arrivare a dieci volte tanto. E poi c'è lo spreco. Mentre scrivo queste righe ho di fronte a me diversi articoli secondo i quali (a gennaio 2010) solo a Milano si buttano via più di 180 quintali (non chili, quintali!) di pane al giorno! Cosa possono fare, di fronte a un problema come questo, Rover e Scolte che vogliano essere buoni Custodi, laboriosi ed economi come richiede la nostra Legge? Parecchio, in effetti, ed è anche piacevole. Un modo molto efficiente per combattere i costi e gli sprechi del pane è... farselo a casa da soli. Questa attività, come vi spiegherò fra un attimo, è molto più facile di quanto potrebbe sembrare e, per chi fa escursionismo, ha anche dei vantaggi extra. Fare il pane da sè significa farlo della forma che si vuole, quindi quella che entra meglio nello zaino senza rovinarsi. Soprattutto, il pane fai-date si può “arricchire” come si vuole, secondo i propri gusti (vedi sotto), facendone una bom26

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ba calorica supereconomica, genuina, facilmente digeribile e capace di resistere senza frigo per diversi giorni.

Se lo faccio io... I siti segnalati in fondo alla rubrica spiegano tutti i trucchi per fare il pane a casa come veri professionisti, ma è possibile fare del pane squisito anche in maniera molto più semplice. A casa mia mangiamo quasi soltanto pane fatto in casa da due anni e vi garantisco che se ci riusciamo noi... non è certo la difficoltà tecnica che vi impedirà di imitarci! Il pane si può fare a casa in due modi: comprando una delle apposite macchine in un negozio di elettrodomestici, oppure impastandolo a mano e cuocendolo nel normale forno da cucina. La macchina del pane è più semplice: basta infilarci dentro acqua, olio, farina, lievito, sale e zucchero, in questo ordine e nelle dosi giuste, chiudere il coperchio, regolare il timer e tirare fuori la pagnotta quando squilla la suoneria incorporata. Si può anche riempirla la sera e impostarla in modo che la cottura termini quando vi svegliate. Svegliarsi con l'odore del pane caldo che viene dalla cucina è un'esperienza grandiosa. Per quanto mi riguarda, le macchine del pane hanno comunque alcuni limiti, oltre al costo iniziale. Il sapore è ottimo ma si può fare solo una pagnotta alla volta, la consistenza non è (almeno secondo i miei gusti) ideale per fare panini e poi usandola tutti i giorni prima o poi si rompe. Quando questo è avvenuto a me ho provato a fare tutto da solo e i risultati, squisiti, sono quelli che vedete nelle foto. Nella prima foto, subito prima del forno, la pagnotta a destra è il “modello base”, quella a sinistra è insaporita con semi di sesamo e papa-


vero. Le altre due foto mostrano il risultato finale, che ha richiesto meno di venti minuti in tutto di facile lavoro manuale. La differenza di forma è dovuta a un errore comune ma semplice da evitare: per avere una pagnotta compatta e di forma regolare occorre fare un “taglio” superficiale nel senso della lunghezza, in modo che durante la lievitazione l'impasto cresca uniformemente sotto a quel taglio, anzichè di lato. Come dicevo, fare del pane così è semplicissimo. Quello che vedete nelle foto è stato ottenuto come segue:

Mischiare tutti i solidi insieme, aggiungere i liquidi, impastare tutto ben bene a mano per qualche minuto, lasciar lievitare due ore, impastare di nuovo aggiungendo eventuali “condimenti” e cuocere in forno a 200 gradi per un'ora. In pratica, non ho fatto altro che utilizzare le stesse dosi descritte nel manuale della mia defunta macchina del pane e ripetere (a mano) le stesse operazioni che le vedevo fare. Potete anche usare farine integrali o aggiungere di tutto: io ho già provato con pezzettini di noci, formaggi o salumi, briciole di peperoncino e olive. In ogni caso, questo è solo il mio modo di fare il pane: sta a voi sperimentare. Io posso solo confermarvi che ne vale la pena. Sono sei mesi che mangiamo solo pane preparato a mano, risparmiando un sacco di soldi e facendo un figurone ogni volta che abbiamo ospiti a casa oppure che porto le mie pagnotte speciali in Uscita! Buona Strada e Buona Custodia. Marco F. - Puma Audace marco@storiafse.net

foto 1

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(per ogni pagnotta) tenero tipo 0 - 250 gr di Farina grano tenero tipo 00 - 250 gr di Farina grano birra per pane e pizza - una bustina di lievito di o d'olio d'oliva - (facoltativo) un cucchiai - 270 ml d'acqua - sale e zucchero

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Da leggere:

• www.agi.it/food/notizie/201001051626-eco-rt10171-pane_fippa_da_gdo_troppo_spreco_si_a_collaborare_con_ noprofit • www.panefattoincasa.net • www.cibo360.it/cucina/scuola/fai_da_te/pane.htm

• www.lunario.com/index.php?Mod=2&Doc=42&Lev=6 • www.gennarino.org/pane.htm

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Scienza dei boschi Marco Fioretti................................................................................................

ORIENTAMENTO, GPS e Scoutismo

E

ssere Rover e Scolte significa fare Strada. Da un punto di vista tecnico, fare Strada significa anche saper sempre trovare la... strada in montagna, o comunque su sentieri poco battuti, in qualsiasi stagione o condizione meteorologica. Per quasi cento anni gli Scout di tutto il mondo hanno trovato la strada “solo” con carta, bussola, altimetro e cervello; poi sono arrivati i navigatori GPS fatti apposta per escursionisti a prezzi relativamente abbordabili. Cosa dovrebbero farne Scolte e Rover? Ignorarli, odiarli, adottarli senza riserve o qualcos'altro? C'è posto per il GPS nella Scienza dei Boschi degli Scout del terzo millennio? Ecco alcune informazioni e pensieri sparsi per aiutarvi a rispondere a questa domanda.

Che cos'è il GPS? Prima di tutto, cos'è il GPS e cosa fa? GPS è una sigla inglese che sta per Global Positioning System, ovvero sistema globale per il calcolo della posizione. Come le reti DARPA, antenate di Internet, si tratta di un'altra tecnologia nata per usi militari e poi adottata con enormi vantaggi in tanti settori della vita civile. Il GPS si basa su decine di satelliti che orbitano intorno alla terra trasmettendo continuamente segnali radio particolari. Un ricevitore GPS, analizzando contenuto, intensità e direzione di provenienza di questi segnali, può calcolare in quale punto della Terra ci si trova, e a quale altitudine, con precisione ben inferiore al metro. 28

CarnetdiMarcia

Il GPS è perfetto? L'utilità del GPS in campo civile è indiscutibile e questa non è certo una tecnologia da rifiutare per partito preso. Come con qualsiasi altro strumento però è necessario essere ben consapevoli dei suoi limiti e del modo in cui svolge il suo lavoro. Tanto per cominciare, i navigatori GPS sono prodotti elettronici tanto quanto telefonini, TV e computer, quindi tutte le considerazioni sui rifiuti elettronici che avete letto nella rubrica “I Custodi” nel numero scorso di CdM valgono anche per loro. Per costruire qualsiasi navigatore si consuma una quantità enorme di energia e materie prime, ritrovandosi con un prodotto contenente parecchie sostanze tossiche che quasi mai vengono riciclate correttamente quando non ci serve più. Quando poi si è in cammino, il calcolo della posizione avviene solo quando almeno tre satelliti sono in vista dell'antenna del ricevitore. Edifici, montagne, foreste o sottobosco particolarmente fitto (tutti ostacoli difficilissimi da incontrare nelle nostre Uscite!) possono impedire al navigatore di ricevere abbastanza segnali da calcolare la posizione. Oltre a questo, anche se può sembrare banale ricordarlo, qualsiasi navigatore GPS va a batterie: quando queste si scaricano il navigatore non serve più nemmeno come fermacarte. Sempre a livello pratico i GPS possono creare altri due problemi all'escursionista che si sente preparato solo perché ha il navigatore in tasca. I navigatori più compatti ed economici hanno schermi che non possono mostrare mappe digitali, solo le coordinate geografiche del punto in cui ci si trova o la direzione in cui si trovano il punto da cui si è partiti o gli altri punti


e occhio! sul percorso di cui si sono memorizzate le relative coordinate. La prima informazione spesso è inutile o quasi, almeno da sola. Se siete in mezzo a un bosco sconosciuto, magari al buio, quanto vi servirà sapere che vi trovate esattamente a 42° 25' 57.66” N, 12° 11' 38.70” E (**)? A nulla, direi, a meno di non avere anche una cartina topografica e di sapere come individuare su di essa quelle coordinate. Anche sapere in che direzione si trova il punto da cui siamo partiti può essere inutile o quasi. La freccetta del navigatore può dirci con la massima precisione che la stazione ferroviaria si trova esattamente davanti a noi, ma non che, magari, in mezzo c'è un precipizio o una macchia talmente fitta da rendere difficilissimo camminare in linea retta. I navigatori con mappe incorporate migliorano la situazione, ma non di molto: farsi un'idea della natura del terreno circostante è molto più facile su un'economicissima fotocopia della mappa formato A4 che su un display da pochi pollici.

Guida da solo la tua canoa. I navigatori GPS sono inquinanti, come qualsiasi altro gadget elettronico, mai a prova di errore e anche molto più costosi e fragili di una bussola. La differenza fondamentale fra GPS e l'accoppiata carta-bussola però non è tecnica, ma psicologica. Carta e bussola non prendono iniziative: sono strumenti che lasciano a noi tutti i ragionamenti necessari, con le relative responsabilità, per scoprire dove ci si trova e da che parte si vuole o deve andare. Il GPS invece tende a prendere lui il comando, a pensare al posto nostro. Un navigatore ti dice solo e subito, senza passi o spiegazioni intermedie “sei qui, fidati, lo dico io!”, oppure “adesso gira a destra, perché lo

dico io!” Oltre alla responsabilità personale, con un GPS male usato può sparire anche il piacere di scoprire il territorio. Non serve guardarsi intorno, tanto sarà qualcun altro a ricordare da che parte siamo venuti. Questo è accettabilissimo e davvero utile quando si tratta di districarsi nel traffico in una zona sconosciuta. Guidare l'auto è una seccatura inevitabile, quindi qualsiasi cosa la renda più rapida e sicura è benvenuta. Lasciare il timone al GPS durante attività che invece dovrebbero aiutarci (soprattutto psicologicamente) a “guidare da soli la nostra canoa”, invece, può essere tutto un altro discorso.

Allora, GPS sì o no? Nonostante tutti i “se” e “ma” che avete appena letto, queste righe non sono e non vogliono essere una condanna senza appello del GPS nelle attività R/S, anzi! Per Clan e Fuochi ci sono parecchie occasioni di fare Servizio alla propria comunità che sono diventate possibili o almeno molto più facili ed efficaci che in passato, proprio grazie al GPS, come il tracciamento di sentieri! Questo è solo un promemoria; per imparare a usare un navigatore GPS basta leggere il manuale d'istruzioni, ma è tutto inutile se prima non avete risposto a domande come “mi serve davvero?” oppure “perché e quando va usato?”. Infine, ricordatevi che, anche quando serve davvero il GPS, NON siete esonerati mai dal portare sempre nello zaino carta e bussola e soprattutto dal saperle usare, e usarle, come si deve! Buona Strada Marco F. - Puma Audace (**) quanti sanno esattamente a quale punto corrispondono queste coordinate? Scrivetecelo!

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Vita associativa Cara scolta e caro rover, questo spazio è stato introdotto per parlarti di quello che succede nella nostra Associazione. Non solo eventi ma anche vita quotidiana, fatta di servizi come quello del Consiglio Nazionale che ti presentiamo ora. Ti aiuterà a scoprire dietro ogni “struttura” della nostra Associazione, un servizio che richiede una disponibilità, esattamente come quella che viene richiesta a te, e soprattutto

delle persone che si assumono, con un pizzico di coraggio e tanto aiutati dalla fede, delle responsabilità perché tutto funzioni al meglio. Ogni tre anni i Capi brevettati dell’Associazione si riuniscono insieme in un’Assemblea ed eleggono tra tutti 30 Capi che provengono da tutte le regioni (anche la tua!).

Il consiglio nazionale Assemblea Generale 2009

È

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CarnetdiMarcia

l’organo d’animazione e controllo dell’Associazione, responsabile del suo operato davanti all’Assemblea Generale di capi brevettati che si tiene ogni tre anni e che collabora con il Direttivo nel guidare l’Associazione e nell’affrontare i diversi problemi che giorno dopo giorno naturalmente si incontrano. Il Consiglio Nazionale, a sua volta, è suddiviso in commissioni, che hanno lo scopo di approfondire alcuni temi che interessano particolarmente l’Associazione, come ad esempio il problema della sicurezza nelle attività scout, oppure come modificare le nostre Norme Direttive per renderle sempre più utili per il nostro Servizio.


Piano redazionale

2009

2011

√ C - IO √ D - Sogni

A - Perdono B - Tempo C - Fatica D - IO PER L'ALTRO E - Vocazione

2010

2012

√ A - Dolore B - Coraggio C - Sfide D - IO E L'ALTRO E - Confronto

A - Paura B - Libertà C - Strada

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L'altracopertina... di Giorgio Sclip

Riflettendo sul... dolore. “Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloi, Eloi lema sabactani!, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”

“Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Rom 8, 18)

(Mc 15, 34) E una donna disse: Parlaci del Dolore. E lui disse: Il dolore è lo spezzarsi del guscio che racchiude la vostra conoscenza. Come il nocciolo del frutto deve spezzarsi affinché il suo cuore possa esporsi al sole, così voi dovete conoscere il dolore. E se riusciste a custodire in cuore la meraviglia per i prodigi quotidiani della vita, il dolore non vi meraviglierebbe meno della gioia; Accogliereste le stagioni del vostro cuore come avreste sempre accolto le stagioni che passano sui campi. E vegliereste sereni durante gli inverni del vostro dolore. Gran parte del vostro dolore è scelto da voi stessi. È la pozione amara con la quale il medico che è in voi guarisce il vostro male. Quindi confidate in lui e bevete il suo rimedio in serenità e in silenzio. Poiché la sua mano, benché pesante e rude, è retta dalla tenera mano dell'Invisibile. E la coppa che vi porge, nonostante bruci le vostre labbra, è stata fatta con la creta che il Vasaio ha bagnato di lacrime sacre. (Gibran)

Quanto tempo ci vuole per capire l’amore, e poi quanto dolore per capire me… Ho mille speranze batte il mio cuore più forte di ogni dolore (Cristiano De Andrè)


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