Quaderni di Azimuth 2011 5

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A S S O C I A Z I O N E

I T A L I A N A

GUIDE E SCOUTS d’EUROPA CATTOLICI DELLA FEDERAZIONE DELLO SCAUTISMO EUROPEO

Don Aristide Fumagalli

UNA VISIONE CRISTIANA DELLA FAMIGLIA QUADERNI DI AZIMUTH ON LINE

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uaderni di Azimuth on line è una collana di testi ad

esclusivo uso delle Capo e dei Capi dell’Associazione Italiana Guide e Scouts d’Europa Cattolici, per lo svolgimento delle attività associative. E’ disponibile mediante download dal sito dell’Associazione. Ogni diritto di pubblicazione è riservato agli autori e all’Associazione.

Supplemento ad Azimuth n. 5/2011 (ottobre 2011). Direttore Responsabile: Giuseppe Losurdo Direttori: Marialuisa Faotto e Pietro Antonucci A cura di Pier Marco Trulli Collaborazione grafica: Donegrafica


Don Aristide Fumagalli

UNA VISIONE CRISTIANA DELLA FAMIGLIA

QUADERNI DI AZIMUTH ON LINE

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UNA VISIONE CRISTIANA DELLA FAMIGLIA Intervento tenuto dal Prof. Fumagalli all’Assemblea Diocesana di Belluno il 18/9/2011. SOMMARIO: 1. L'ALLENTAMENTO DEI LEGAMI FAMILIARI; 2. IL CONSOLIDAMENTO EVANGELICO DELLA FAMIGLIA; 3. L'ALLEANZA MATRIMONIALE; 4. LA RELAZIONE GENITORIALE; SPUNTO CONCLUSIVO.

L’uomo avverte i cambiamenti nel presente avendo come riferimento le situazioni del passato. Non tanto il passato studiato dagli storici, il cui prezioso servizio consiste nell’ampliare la memoria degli uomini, quanto il passato che l’uomo stesso ha vissuto, se non proprio direttamente, almeno tramite i suoi diretti ascendenti, i genitori e i nonni. Per quel che riguarda la famiglia, il passato recente che la memoria dei viventi conserva è quello di una famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna, che generano e crescono i figli nati dalla loro unione. In termini sintetici, la famiglia è presente nella memoria recente come intreccio di due legami: il legame coniugale e il legame genitoriale. Rispetto a questo modello di famiglia sono intervenuti e sono tuttora in corso notevoli e rapidi cambiamenti, tali per cui ciascuno degli elementi che lo caratterizzano risulta posto in discussione. Sullo sfondo dell'allentamento dei legami familiari in corso (1), questo contributo vorrebbe mettere in luce il consolidamento che il vangelo apporta alla vita di famiglia (2), sia a riguardo dell'alleanza matrimoniale (3) che della relazione genitoriale (4).

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1. L’ALLENTAMENTO DEI LEGAMI FAMILIARI Il legame coniugale tende oggi a sciogliersi in pura relazione eroticosentimentale1. Non che manchino i legami amorosi; essi però si presentano “allentati”. Si anela al legame amoroso perché impauriti dalla solitudine; lo si desidera, però, “non troppo stretto”, perché si teme di soffocare. Un legame allentato con più facilità si presta a essere slacciato e riallacciato: l’attuale tendenza, soprattutto giovanile, a moltiplicare i partner, intrattenendo contatti amorosi (parlare di “relazioni” sembrerebbe troppo impegnativo) talvolta anche contemporaneamente, sembra confermarlo. A seguito dell'allentamento dei legami, la relazione amorosa stenta a consolidarsi e a prender forma. Il mancato consolidamento già si evidenza nella diffusa rinuncia al matrimonio o, quanto meno, nella sua dilazione in età più avanzata, e ancor più nella preferenza accordata a forme di coniugalità che ammettono, pur a diverse condizioni, la dissolubilità: matrimoni civili, unioni di fatto, e soprattutto semplici convivenze. In modo anche più eclatante, la labilità amorosa trova riscontro nel consistente incremento di separazioni e divorzi che si collocano ben prima, ma anche ben dopo, la proverbiale crisi del settimo anno, lungo tutto l'arco di vita che una coppia può percorrere. L’inconsistenza dei legami amorosi fa sì che essi si compongano in forme diverse, nemmeno più caratterizzate dalla differenza di genere maschile e femminile. Certa cultura omosessuale promuove l'equiparazione del legame omosessuale con quello eterosessuale, anche rivendicando il diritto al matrimonio. L'allentamento dei legami familiari riguarda, oltre che la relazione coniugale, la relazione genitoriale. Tra le due si nota diffusamente una divaricazione, cosicché la figura del genitore non necessariamente coincide con quella del coniuge. Ciò accade, per esempio, nelle convivenze, in cui il legame genitoriale nasce in assenza di un sicuro legame coniugale; oppure a seguito del divorzio, quando il legame coniugale e quello genitoriale seguono percorsi diversi; o ancora nelle situazioni monogenitoriali, da taluni subite ma da altri scelte.

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A. GIDDENS, La trasformazione dell’intimità. Sessualità, amore ed erotismo nelle società moderne, (= Intersezioni 141), Bologna, Il Mulino, 1995.

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Una delle forme più emblematiche dell'allentamento del legame genitoriale sino alla sua dissociazione da quello coniugale deriva dalla tecniche di procreazione artificiale, e più precisamente dalla fecondazione eterologa, in cui almeno uno dei genitori biologici non coincide con quello sociale, quello che si occuperà della crescita del bambino. I fenomeni cui abbiamo accennato, facilmente costatabili nella società odierna, manifestano e favoriscono un processo di dissolvimento dei due legami che, incrociati, costituivano la carta d'identità della famiglia: il legame matrimoniale tra due generi (maschile e femminile) e il legame genitoriale tra due generazioni (genitori e figli). All’allentarsi dei legami caratterizzanti la famiglia del recente passato consegue il fenomeno della «pluralizzazione delle famiglie», ossia l’affermarsi di una pluralità di forme di vita sociale alle quali viene attribuita o che rivendicano per sé la qualifica di «famiglia». Non più scolpito dalle leggi del costume sociale e del diritto civile e canonico, il concetto di famiglia appare fluido e sfumato, multiforme e polivalente. Un simile concetto, che già crea apprensione in ambito civile per via dei problemi che comporta nella tessitura della società, interpella la comunità cristiana circa la valutazione del processo in corso e l'atteggiamento da assumere a riguardo. Le posizioni ondeggiano, dentro e fuori la Chiesa, tra l’approvazione incondizionata e la condanna inappellabile. I fautori della «fine del matrimonio» considerano l’evoluzione della famiglia inarrestabile e propongono quindi di assecondarla, fino ad ammettere anche sul piano legislativo l’uguaglianza di qualsivoglia forma di convivenza. Al contrario, i paladini del «matrimonio di un tempo» considerano l’allentamento in corso una regressione nell’evoluzione della famiglia, che, come tale, va contrastata mediante un ritorno alla famiglia di un tempo, promosso anche mediante le leggi dello Stato. Dal punto di vista specificamente cristiano, lo sguardo sulle relazioni amorose non riguarda anzitutto il permanere o il dissolversi del matrimonio e della famiglia in quanto istituzioni naturali o culturali, ma la sintonia o meno delle relazioni coniugali e familiari, naturalmente e culturalmente plasmate, con l’amore annunciato e vissuto da Cristo. Come si amano un uomo e una donna? Come essi amano i figli? Si amano ed amano corrispondendo al comandamento nuovo di Gesù di amare non genericamente, ma «come» Lui ha amato (cf Gv 13,34)?

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All'ascolto del vangelo di Cristo, anzitutto, sono quindi richiamati i cristiani, per evitare di finire preda di diagnosi infauste e di terapie ideologiche. L’attuale situazione delle famiglie è frequentemente valutata come “critica”. Diffusamente si parla di “crisi della famiglia”, di “famiglie in crisi”, recensendo i problemi e imputando responsabilità. Senza misconoscere la legittimità di tali analisi, sembra quanto mai opportuno riconoscere la potenzialità nascosta nell’attuale crisi della famiglia. La potenzialità è quella di essere più predisposta alla notizia di una vita buona. La sofferenza e il dolore che non mancano certamente nelle attuali crisi familiari, né ai coniugi e genitori, né ai figli, non sono solo e necessariamente il peso che opprime, ma possono anche divenire il crogiuolo dentro il quale matura l’invocazione e la ricerca di una vita migliore. «Ecco, verranno giorni – si legge nel libro del profeta Amos – in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma di ascoltare la parola del Signore» (8,11). Non sono giorni, i nostri, in cui anche le tribolate vicende di famiglia invocano una parola nuova, che permetta alle relazioni coniugali e genitoriali di fuoriuscire dai ruoli ingessati del passato, senza dissolversi nell'individualismo di chi non si lega a nessuno e pensa solo per sé? 2. IL CONSOLIDAMENTO EVANGELICO DELLA FAMIGLIA L'insegnamento evangelico a riguardo della famiglia è tutt'altro che scontato, e anzi, decisamente provocante, come si evince da un noto episodio della vita di Gesù. «Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: “Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano”. Ma egli rispose loro: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”. Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre”» (Mc 3,31-35).

L’atteggiamento di Gesù, raccontato dai vangeli, suscita non poco sconcerto. Egli, scompaginando il modo comune di intendere, afferma che i legami familiari non dipendono dalla carne e dal sangue, ma dalla comune pratica della volontà di Dio.

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La familiarità non si risolve alla consanguineità e agli affetti: il sangue e i sentimenti non sono tutto e nemmeno l’essenziale. La convinzione che lo slancio spontaneo dell’istinto e il trasporto naturale degli affetti sia un terreno abbastanza solido per costruire la casa dei legami familiari è ancora oggi il sogno di tanti innamorati e coniugi. Il sogno, però, oggi più che in altri tempi, assume i contorni del miraggio, continuamente rincorso e mai raggiunto. L’illusione dell’amore naturale, fatto di attrazione erotica e affetto sentimentale, ma anche di buona volontà e intelligente impegno, non dura, finendo presto o tardi in rassegnata delusione o in rabbiosa evasione. Nella logica evangelica di Gesù non basta che una famiglia nasca dal sentimento spontaneo e naturale perché diventi tale: deve «rinascere dall’alto». Anche per la famiglia vale l’insegnamento rivolto a Nicodemo: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. Non ti meravigliare se t’ho detto: dovete rinascere dall’alto» (Gv 3,1-7). «La radice ultima, da cui scaturisce e a cui continuamente si alimenta la comunione della coppia e della famiglia cristiana, – osservano da tempo i vescovi italiani – non sta dunque nell’amore dell’uomo verso la donna e viceversa, e neppure nell’amore reciproco tra genitori e figli: sta nel dono dello Spirito»2. Come l’acqua e il lievito impastano la farina, così lo Spirito consente ai legami naturali di lievitare sino a divenire della stessa qualità dell’amore di Cristo. Affinché in famiglia regni un amore che sia come quello di Cristo si dovrà cercare anzitutto e soprattutto il legame con Lui. Proprio su questo punto Gesù è stato perentorio: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me» (Mt 10,37) La sconvolgente novità cristiana, secondo cui l’amore per i propri cari non è al primo posto, ha per riscontro il fatto che non è per nulla immediato e spontaneo accettarla: non tutti in famiglia sono disposti a viverla. Gesù stesso non ne fa mistero: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa» (Mt 10,34-36). 2

Episcopato Italiano, Documento pastorale «Comunione e comunità: II. Comunione e comunità nella Chiesa domestica (Roma, 1 ottobre 1981)» n. 8, in Enchiridion CEI/3, Bologna, EDB, 1986, nn. 707-742.

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Ci sono matrimoni e famiglie in cui il desiderio dell’uno di vivere cristianamente l’amore viene contrastato dall’altro, che ostenta indifferenza, scredita la fede, irride la pratica religiosa, talvolta giunge sino a proibire ogni forma di vita cristiana. Il tradimento del sacramento del matrimonio – che nel pensiero di Dio dovrebbe fare dell’unione di un uomo e di una donna l’immagine vivente di come Cristo ha amato – non si consuma solo nell’adulterio e nel divorzio, ma anche nel rifiuto di uno dei due ad amare come Lui ha amato. Allora il matrimonio può anche continuare, ma alla grazia del sacramento è impedito di portare il frutto per cui è stata donata. La perentoria richiesta di Gesù di cercare anzitutto e soprattutto il legame con Lui non è motivata da gelosia o disprezzo nei confronti dei legami familiari, ma al contrario dal desiderio che essi fioriscano del suo stesso amore. Gesù non intende privare l’uomo di affetti familiari, ma al contrario qualificarli. Lo testimonia la sua promessa: «Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna» (Mc 10,29-30). Non sembra impossibile intendere l’esuberanza della ricompensa in termini anche qualitativi: i legami coniugali e familiari vissuti nell’amore di Cristo divengono cento volte più amabili! Nel tentativo di lasciar intravvedere come l’amore di Cristo possa innervare e vitalizzare i legami familiari, consideriamo distintamente l’alleanza matrimoniale e la relazione genitoriale. 3. L’ALLEANZA MATRIMONIALE L’amore coniugale, prima di essere reciprocamente trasmesso tra i coniugi, viene da essi accolto. Tale è, perlomeno, la visione cristiana del matrimonio, che comporta l’innesto dell’amore di coppia nell’amore di Cristo. Come un tralcio nella vite, così la storia d’amore di un uomo e di una donna, nella misura in cui è attraversata dallo Spirito di Cristo, racconta realmente dell’amore Suo, diviene cioè ciò che in termini propri si dice «sacramento», ovvero un segno efficace di tale amore, una sua parabola vivente.

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Per la fede cristiana, il divenire «una carne sola» nel matrimonio non è il prodotto della diretta unione tra uomo e donna, ma il frutto della comunione che Cristo realizza con ciascuno di essi. I due divengono uno in Cristo: la comunione con il suo corpo li rende «una carne cosa». Cristianamente inteso, il matrimonio non è il legame amoroso che un uomo e una donna stabiliscono in proprio, ma il legame amoroso che tra loro sorge a causa dell’amore di Cristo e gli consente di vivere un amore come il Suo. La grazia di potersi amare come Cristo ha amato non dispensa l’uomo e la donna dal disporsi ad amare, corrispondendo con il proprio impegno alla potenzialità ricevuta in dono. La disposizione richiesta affinché l’amore ricevuto da Cristo venga trasmesso da un coniuge all’altro trova adeguata espressione nel cosiddetto «consenso», da cui, non a caso, scaturisce il matrimonio cristiano: «Io … accolgo te … come mio/a sposo/a. Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti ed onorarti tutti i giorni della mia vita». La disposizione amorosa richiesta ai coniugi affinché si comunichino l’amore di Cristo è suggestivamente espressa nelle formula del consenso dal nome «sposo/a». Esso rappresenta uno scrigno capace di custodire il senso profondo dell’amore propriamente matrimoniale. Il verbo sposare, da cui i nomi sposo/a, deriva dal latino spondére, che significa promettere. A sua volta, il termine latino deriva dal greco spéndô (= libare, fare una libagione), il cui significato potrebbe essere reso dalla frase: Io verso goccia a goccia. Prendendo spunto dall’etimologia, possiamo definire gli sposi coloro che, giorno dopo giorno, si donano reciprocamente la vita, versandola ciascuno in quella dell’altro/a, affinché abbia la vita in abbondanza. La disposizione dello sposo e della sposa di donarsi totalmente all’altra/o, esprime la corrispondenza con la qualità dell’amore di Cristo. Se, a conclusione di questi accenni all’amore matrimoniale, dovessimo dire qual è la prima responsabilità degli sposi, non dovremmo indicare subito le pur essenziali esigenze della totalità, della fedeltà, dell’indissolubilità o della fecondità. Più decisivo è che la coppia cristiana, ciascuno dei due e insieme, ricerchino il contatto vivo con l’amore di Cristo e lo mantengano saldo, così da trasmetterselo vicendevolmente. Come si potrà infatti amare come Lui ha amato, credere che un amore come il Suo sia possibile se non se ne sente il racconto, se non si è da esso intimamente raggiunti, se non lo si vede all’opera nella concretezza della vita amorosa?

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Ciò rimanda alla responsabilità degli sposi nel mantenere vivo il sacramento del matrimonio, con una vita cristiana che consideri adeguatamente l’ascolto della Parola, la pratica dei sacramenti (in particolare della Riconciliazione, dell’Eucaristia, dell’iniziazione cristiana dei figli), la partecipazione alla vita di carità della comunità cristiana. 4. LA RELAZIONE GENITORIALE La stessa logica amorosa che innerva l’alleanza matrimoniale – il fatto cioè che l’amore cominci non quando lo si trasmette all’altro ma quando lo si accoglie da Dio – vale per la relazione genitoriale. L’amore per i figli non è prima di tutto un’attività da svolgere, ma una potenzialità da accogliere. I genitori sono anzitutto chiamati a cercare e amare, prima che il figlio, Dio. Non per amare meno il figlio, ma, al contrario per poterlo amare di più. Parafrasando il vangelo potremmo dire: «Cercate prima la paternità di Dio e quella dei vostri figli vi sarà data in aggiunta» (cf Mt 6,33). Se la comunione familiare ha nell’amore divino la sua sorgente e la sua forza allora ai genitori, prima ancora che essere padri e madri dei loro figli, è chiesto di essere e di rimanere figli del Padre celeste. Si è tanto più padri e madri, quanto più si rimane figli di Dio. In questa luce, forse, proprio i figli tenuti fra le braccia e a lungo presi in cura sono l’immagine più eloquente di cosa significhi essere totalmente affidati a Dio. Il segreto della comunione familiare, che pur si esprime nella relazione dei genitori con i figli, risiede nel fatto che gli uni e gli altri hanno Dio per Padre. Questa originaria relazione di ciascuno con Dio è tra l’altro il fondamento della pari dignità di tutti in famiglia e il principio che vieta lo spadroneggiare dell’uno sugli altri. L’amore per i figli, attinto da Dio, non scorre attraverso i genitori senza coinvolgerli totalmente. A loro non è chiesto di meno che di amare i figli come Cristo ha amato i suoi, dando loro la vita. La generazione e la crescita dei figli non consiste solo nel metterli al mondo e fornirgli le cure necessarie, ma nel dare loro la propria stessa vita. Quanti sacrifici e fatiche sono richieste ai genitori per il bene dei figli? Quante mortificazioni sono necessarie perché i figli abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza? Normalmente avviene in modo meno drammatico di un martire che muore per la fede o di un uomo che perde la vita a causa della giustizia, ma certo anche un genitore è invitato a perdere la vita a causa del vangelo, perché anche per lui non c’è amore più grande del dare la vita per la vita di altri (cf Gv 15,13).

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La grazia e l’impegno di amare i figli si gioca nei gesti meno appariscenti e più normali, meno evidenti ma più essenziali: «Chi avrà dato anche solo un bicchier d’acqua a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa» (Mt 10,42). Questa prospettiva dovrebbe aiutare i genitori a vivere nel loro modo proprio il vangelo. Non si tratta di inventare chissà quale spiritualità per essere genitori cristiani, si tratta di riscoprire nei gesti che sono normalmente a loro richiesti la profondità di ciò che in essi si gioca: l’amore stesso di Dio. SPUNTO CONCLUSIVO L'allentamento in atto dei legami familiari ci ha indotto all'ascolto del vangelo di Cristo, il cui amore trasforma e consolida gli affetti familiari. Ci si potrebbe chiedere se questa non sia una prospettiva intimistica ed elitaria, riservata cioè ai pochi, sempre più pochi, che sembrano essere raggiunti dall'annuncio evangelico da parte della Chiesa e, soprattutto, sono disposti a improntare le loro relazioni amorose, coniugali e familiari, dal vangelo di Cristo. Non sono impietose le statistiche circa il calo dei matrimoni religiosi e i loro fallimenti? La sproporzione tra un pugnetto di sale e l'estensione del mondo, come insegna lo stesso vangelo di Gesù (cf Mt 5,13), non è però il vero problema, costituito piuttosto dal sapore del sale. Di fronte alle ardue sfide odierne, in cui la qualità dell’amore cristiano per la vita di famiglia stenta a trovar credito, una famiglia in cui lo si viva costituisce la risorsa più feconda per annunciare il vangelo, la cui attrattiva, più che nell’eloquenza dell’uno o dell’altro maestro, traspare dal vissuto concreto di coniugi e genitori, padri, madri e figli che apportano «la “buona novella” del “bell’amore” non soltanto con le parole, ma anche e soprattutto con la loro testimonianza personale»3. Se è vero, come insegnò Gesù subito dopo aver comandato ai suoi di amarsi «come» lui li aveva amati, che: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35), allora certo la vita di famiglia, nella misura in cui rinascerà dell’alto dell’amore di Cristo e germoglierà nella società civile, consentirà ancora a uomini e donne, oggi spesso delusi e feriti in amore, di poter credere nella bellezza dell’amore cristiano.

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Pontificio Consiglio per la Famiglia, «Famiglia, matrimonio e ‘unioni di fatto’», Città del Vaticano, 26 luglio 2000» nn. 40-41, Il Regno - documenti 46/1 (2001) 6-20.

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