OrdinInvisibili

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ordininvisibili -inediti versi-

roberta d’aquino



“Happiness is like a butterfly; the more you chase it, the more it will elude you. But if you turn your attention to other things, it will come and sit softly on your shoulder.� H.D.Thoreau



“con un terrore da ubriaco�*

mi accosto alle parole col tremore di chi porta tra le braccia un bambino appena nato, col timore che mi cadano, la riluttanza per tutte quelle rughe – quando si dice che invecchiando si ritorna allo stato primordiale, vale anche il contrarioil volto livido, gli occhi (ancora d’acqua) e la paura di non conoscerle, la pelle rossa dallo sforzo, i varchi duri a cedere per tutte le volte che le ho credute mie. e non sapevo niente

*da un verso di Montale


* come nei momenti in cui si sente forte la vita avvitarsi al muro sgretolare ciò che resta -una polvere la brace dal cemento- ancora calda la mia palpebra si schiude gonfia mi hai perforato gli iridi, parola con la voce della golarotta e ora sei silenzio, nero nella notte della luna rossa, dietro al mare dalla costa sorta come Eva


bianco è il silenzio

succede, se ci spostiamo un millimetro appena dalla barriera del suono di udirne il clamore bianco è il silenzio e il colore vi è dentro tutto e unico come l’ovale di un utero pieno sta ai vuoti incrinare le rughe al velo così come allo scoglio frangerci in schizzi di sale che al mare non torna


dopo le nubi sopra il Golgota

ho bisogno, vedi, di parlare per non lasciare al caso certe coniugazioni i verbi delle azioni, le congiunzioni e perdere definitivamente il senso piccolo e profondo, nel pozzo nell'acquitrino in cui siedo sola e in cui scavo con i piedi sono la ricerca, l'incudine, il piccone e il secchio. sono l'acqua e mi riverso bevendomi di viscere. sono il cercatore ho bisogno di sentire la tua voce di specchiarmi nei tuoi vetri fin giÚ dove il silenzio non è piÚ brusio dove l'abbraccio delle parole si tende come una catena e cigola intorno alla carrucola delle risalite e tu sei dopo le nubi sopra il Golgota, la pietra rotolata dal sepolcro, il sudario vuoto, la testimonianza nel modo di dirmi che sono anche io dono e sacrificio come tutti a questo mondo frattale, duplicato originale di infinito. ripetizione senza limite di tempo e forma siamo raggiunti nell'unico punto che nessuno vede


singolare presente passato

mi fermo ad una verità io sono, sono stata non posso dire neanche che sarò per un bruciore d’occhi repentino per un fascio di luce, un assassino arriva e ti deruba d’ogni altra verità non posso dire al tavolo “sei tavolo” o alle innumerevoli matite, alle loro punte affilate o tonde che cerchiano i percorsi della pioggia nei canali di conoscerle come un nome giusto se non fosse che mi rigano l’incolumità come un bisturi e il foglio rileva una piega in cui infilare dita, sbirciare come una finestra non posso dire che durerà un giorno perderò il fanciullo che ha tanto bisogno di parlare smetteranno di piovere colori di nascere nomi per quello che mi occorre nominare si resterà dimentichi, di corsa su altre mille strade e un me affacciato come un vecchio con le gambe stanche


un’ora in più

le mani attardate sui fianchi ci dicono che non si torna ai posti di partenza quando in gioco c’è il profumo dei gelsomini e non dispiace alle mie anche, né ai tuoi polpastrelli, questa sosta dice “vieni, oggi è il primo giorno lungo: il sole giace sulla primavera un’ora in più” e tu cammini sulla fuga degli occhi, in equilibrio


*

dovrebbe essere, il tuo libro come ogni libro, cosparso di pensiero come di scintille che atterrano sul viso sotto le palpebre, oppure sulle labbra parlavo di libri giĂ anni fa quando le pagine erano quasi tutte bianche ora molte sono sporche, macchiate da pollini e succo di ciliegie a volte ne regalo alcune, a volte tu le prendi in cambio di altri fogli infondo siamo sempre libri- piccoli rifugi scintillanti se sapessi parlare di noi, le parole sarebbero fiumi, invece nel vento a caso ritornano, o partono o restano


polveri e fioriture

torna a sporcarci le mani il limo che invade le pianure se raccogliamo le ombre sfuggite all'andirivieni delle nuvole e ci appendiamo ad asciugare come dubbi svaniti tra passi ed epifanie di sensi l'invasione dei fiati – solco nella carne- ara deserti pronti a fioriture di sabbia nell'attesa che si schiudano le piene


le attendono i tetti

una pioggia che scompagina, un infrangere di vetri il vuoto che tracima dalle foglie di un giovedÏ da tagliare, come quelle steppe ancora secche, residue dall'inverno questo è il tempo del mio tempo una primavera che ancora strozza i lacci alle dita e scolora i cieli, sempre cosÏ grigi questo è l'eterno marzo fatto di potenze (dimenticai le azioni nei bulbi delle calle) lento, come i mesi di una gravidanza aspetta e forse ammanca di fuliggini le attendono i tetti, le attendo io nella tua voce


un'ancora di vento

rimane sempre qualcosa di insoluto un'ancora di vento a rimboccare i fiati quando la pioggia s'interrompe e tu mi guardi. febbraio nasconde la tristezza sotto le architravi, noi a demolire muri noi a scavarci dentro, a riposare gli imbarazzi nelle mani. i gerani le foglie umide i balconi ripartiamo dai riflessi e sospendiamo gli anni ad una panca di sole, o ad una camelight -cosa ci costa leghiamo un'amaca ai piedi della notte per tutte queste briciole di pelle, per le stelle che sgranai tra i datteri di palma.


(lettera del presente alle vite nuove)

Il liceo si vende, sai e l’asta dei silenzi parte da tre milioni I gradini sono parcheggi, le parole sotto le ruote non si stendono Ad averceli, ci girerei solo per liberare quei fruscii dalle tue spille da balia Ma noi non eravamo fatte di volti maldestramente incollati sugli annuari, né di spiccioli per sigarette comprate sfuse, del loro bruciare dissolversi in volute tremolanti Piuttosto come San Domenico e la sua piazza ancora lì, nell’immutare splendido della storia o come Mozart: Alto a rintracciare passaggi furtivi e cavalcate di confidenze appannate nei sing me to sleep* di un treno Tutto, tutto quanto Ilaria nel fluire di percorsi troppo sghembi ci riporta alle vicinanze alle mani fotocopiate e ai bracciali alla consapevolezza dei miracoli e questo imbrattare furibondo assume la forma della mia voce …s i s p e z z a -prima non credevamoGuardami ora, come ti guardo e come luccica, come risuona l’inchiostro sulle mie palpebre nuove tra le tue dita nei tuoi seni gravidi


*

si vede che i legami si stringono come granelli di sabbia ai polpacci, quando soffia il vento non è l'ombra d'un ago a scalfire la persistenza ostinata del corpo ma sembra quasi un ciglio caduto ai bordi della bocca, nei non detti tra i buchi di schiuma in cui s’infila il sole [dobbiamo vederci consumarci dentro le ossa, perché solo il vuoto ci rende un posto all’impiedi stretti come in metrò, nel passaggio dal buio alla luce] e a restare negli occhi è solo un passo di fune


l’essenziale

lasciamo decantare un calice di mare con lo stelo tra due dita il tempo che ci vuole per la trasparenza ho la lingua che ricalca i bordi ed echi conquistati a prescindere dai vuoti forse io tu o ancora un altro noi riusciremo a prenderci i silenzi da trasformare in verbo con la precisione di una miniatura come su quei libri che parlano di miti a quattro teste e sapremo rintracciare vene su triangoli di verde aspersi al vento facendoci bastare poche gocce di un alfabeto spoglio


*

si ritorna per strade non mappate ai campi, sì ai campi, ai semi, alle case alle cose che furono già segni e il senso se lo portano incoscienti loro, negli atomi, per non scordarlo si ritorna così, parrebbe a zonzo come dimenticanze a un passo d’aria -cadendo il peso dalle ossa di nevee le voci risorte dall’inganno dall’inverno che beccava alla porta come risalire sangue dai solchi dell’aratro


controluce e d’intorni il controluce dà sempre l’impressione d’una cosa morta: il fiore appassito in ombra, il salice che raccoglie la pioggia ai piedi nudi. ma tutto ragiona in esse di intestini come radici che crescono nel grembo allora mi ricordo il rosa intenso che si espande in seguito al diluvio il raddrizzarsi delle ossa –petali di margherite scartocciate- lo stagliarsi d’alberi dal fondo del bulbo oculare come mani e rune




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