Sante Gava Piergiovanni Biffis
MAREN e dintorni
Piccole e grandi storie di persone
2010 ________ Pagina 1
“Maren” è il nome, ricavato dalle antiche mappe, che qualificava il territorio tra il “Montegano” ed il “Plavis”, che in seguito prenderà il nome di “Mareni” e quindi “Mareno”. Solo con il Regio Decreto n. 4098 del 10/11/1867 viene aggiunto “di Piave” al nome del paese, che diventa definitivamente “Mareno di Piave”.
Prima edizione novembre 2009 Seconda edizione gennaio 2010
E' vietata la riproduzione salvo preventiva autorizzazione degli autori
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INDICE Prefazione
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5
Presentazione
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7-9
PARTE I
PARTE II
PARTE III
PARTE IV
PARTE V
PARTE VI
Cap. I
I Veneti
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15
Cap. II
Secoli bui
Pag.
23
Cap. III
L'anno 1000
Pag.
29
Cap. IV
Organizzaz. amministr. e sociale
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39
Cap. V
Mobilità e conduzione fondi
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44
Cap. VI
Territorio pubblico
Pag.
47
Note sulle unità di misura
Pag.
51
Cap. VII
Nuove famiglie
Pag.
52
Cap. VIII
Famiglia Tron
Pag.
56
Famiglia Donà
Pag.
57
Lepanto
Pag.
63
Conegliano
Pag.
66
Cap. IX
Periodo napoleonico
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71
Cap. X
La dominazione austriaca
Pag.
80
Cap. XI
I Savoia e l'unificazione italiana
Pag.
87
Cap. XII
Situazione economica nel 1800
Pag.
93
Cap. XIII
Prima Guerra M. e conseguenze
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101
Cap. XIV
Il primo dopoguerra
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122
Cap. XV
Autarchia
Pag.
133
Cap. XVI
La Repubblica
Pag.
147
Cap. XVII
Attività commerciali e artigiane
Pag.
169
Uno stile di vita
Pag.
201
Appendice Amministratori, Segretari, Medici, Giudici e Farmacisti
Pag.
205
Stemmi e simboli
Pag.
215
Conclusione
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234
Bibliografia
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236
Indice dei nomi
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238
Ringraziamenti
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244
Pagina 3
Foto aerea centro di Mareno anni '60
L'intelligenza: la facoltĂ di giudicare, altrimenti detto buon senso, senso pratico, iniziativa, capacitĂ di adattarsi alle circostanze, giudicar bene, comprendere bene, ragionar bene. A. Binet
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PREFAZIONE Questo volumetto vuole essere esattamente quello che gli autori hanno pensato dovesse essere: un insieme di notizie che desse l’idea di com’era Mareno
e il territorio di cui faceva e fa parte, della vita quotidiana dei suoi abitanti, delle persone che hanno contribuito al miglioramento della vita, del valore e delle capacità di molti dei suoi cittadini. Non è un libro di storia, non ci siamo ritenuti tanto dotti da poterlo fare. E’ solo l’esposizione di ciò che è avvenuto e l’evidenziazione delle vicende amministrative.
Consentiteci però l’ambizione di pensare che tutto questo lavoro possa essere utile, come base di partenza, a chi vorrà cimentarsi a scrivere la Storia del Paese. Abbiamo aggiunto dei brevi cenni storici per dare al lettore un’idea dei nostri progenitori, di ciò che accadde loro, delle stravolgenti variazioni della loro vita e di quello che le ha determinate. Della vita religiosa e politica abbiamo solo accennato qua e là, cercando il più possibile di restarne fuori per due motivi: –
primo è che di questi argomenti si è già scritto,
–
secondo abbiamo ritenuto di lasciare ad altri, più competenti in materia di noi, di sviluppare tali tematiche in modo più ampio ed esaustivo. Abbiamo ricordato i fatti e le persone di nostra conoscenza o che ci sono
stati segnalati. Ci scusiamo per eventuali dimenticanze non volute. Speriamo di aver fatto un lavoro interessante, piacevole e facilmente leggibile per tutti coloro che, in Paese, sono interessati a conoscere le proprie radici e lo svolgersi della vita civile e amministrativa della nostra comunità.
Se saremo riusciti nell’intento di appassionare qualche lettore, avremo raggiunto lo scopo di aver predisposto uno strumento di facile informazione. Gli Autori
Mareno, Gennaio 2010 Pagina 5
“Visto da sopra sarai pure uno scriba, ma visto da sotto non sei che un uomo.� Tavola sumerica ca. X sec. a.C.
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“Gli uomini di cultura devono seminare dubbi, non raccogliere certezze.� N. Bobbio
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PRESENTAZIONE Negli ultimi decenni sono molte le pubblicazioni di storia locale che, con varia fortuna, sono arrivate al pubblico; al punto che chi è abituato a frequentarle - per interesse personale o professionale - può ormai riconoscere diverse tipologie ricorrenti. Si va così dalle grandi opere collettive, con articoli fortemente specializzati e quasi accademici, ai modesti riassunti costruiti su altre pubblicazioni; dagli esperimenti a cavallo tra storia documentata e narrazione, ai volumi che concentrano tutto l’interesse sul ricco corredo illustrativo. Sante Gava e Piergiovanni Biffis, nel volume che avete tra le mani, hanno scelto una via tradizionale, onesta, lineare: consapevoli di rivolgersi prevalentemente ai loro concittadini, si sono proposti di render conto ai lettori delle numerose testimonianze lasciate nel corso dei secoli dagli abitanti di Mareno, e di inquadrare queste notizie nel più ampio quadro delle vicende storiche. Per raggiungere questo risultato hanno saputo cogliere una delle ricchezze delle fonti locali: la loro varietà, la possibilità di delineare figure e ambienti attraverso testimonianze molto diverse tra loro, che possono provenire anche da settori non sempre frequentati: e eccoli servirsi di racconti orali come di vecchie cartoline, di manifesti come delle licenze commerciali del comune o delle fotografie. “Piccole e grandi storie”, hanno chiamato con discrezione questo lavoro: ma non dobbiamo aspettarci un generico racconto del tempo passato, un consolatorio “c’era una volta...”. Il ritratto che costruiscono è attento, scrupoloso. Davanti al lettore sfila il quotidiano lavoro e le difficili condizioni di vita dei marenesi nei secoli passati e le ville dei ricchi proprietari che a partire dal Seicento si stabilirono in loco approfittando della vendita dei beni comunali; e via che ci avviciniamo all’epoca più recente si incontrano le guerre e la vita quotidiana, i ritratti di personaggi che hanno segnato la “piccola” storia del paese - amministratori, benefattori, eroi di guerra - e certe figure schive e appartate come il letterato Ettore Pellizzon ed il vulcanico artigiano Tullio Vendrame con le sue avveniristiche carrozzerie di automobili. Gli ultimi decenni, disegnati attraverso lo sviluppo delle attività commerciali e artigiane, ricostruiscono nei particolari vicende che per molti lettori rappresentano concreti ricordi, tanto che qualcuno potrebbe stupirsi di incontrarli in un libro di storia, per quanto a scala ridotta: ma è uno dei pochi tentativi finora svolti di mostrare nella sua ricchezza il tessuto di iniziative economiche che hanno trasformato, con uno sviluppo tumultuoso, tutto il mondo che ci circonda. Gli autori hanno saputo leggere la loro realtà nelle pieghe dei documenti, rendendola con un tono rigoroso ma allo stesso tempo affettuoso; e offrono il loro lavoro ai concittadini con l’intento di renderli più consapevoli del loro passato: in un’epoca in cui si parla molto di riscoperta delle proprie radici e si ricorre a comode leggende per meglio separarsi dagli altri, lavori come questo, che permettono di riconoscersi con intelligenza, devono essere accolti con sollievo da tutti coloro che hanno ancora a cuore il senso della comunità. Giuliano Galletti Pagina 9
La cultura è quel che resta all'uomo del suo passato, ancora operante nel presente per modellare il suo futuro. J. Myres
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A Mariateresa Giuliana Cristina
Una persona che pensa è qualcuno che dubita, che capisce, che concepisce, che afferma, vuole e non vuole, che immagina, e anche che sente. R. Descartes
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“Credo fermamente che la prima condizione per rendere possibile un dibattito culturale è accettare la qualità di coloro che non la pensano come noi.” Th. Maldonado
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PARTE I
Il tempo è una grande medicina che fa dimenticare le vecchie sofferenze, anche per lasciare spazio alle nuove. U. Gregoretti
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Lo studio del passato: il passato è un aspetto o una funzione del presente; è cosÏ che deve sempre apparire allo storico che riflette intelligentemente sul proprio lavoro. R.G. Collingwood
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Cap I I VENETI - Brevi cenni storici “Venetos troiana stirpe ortos auctor est cato” (Catone ipotizza che i Veneti siano di stirpe troiana) così scriveva Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia per presentare la popolazione della X Regio (Decima Regione Italica). Fin dai tempi antichi i Veneti amarono presentarsi come discendenti da ANTENORE il Troiano, il quale, fuggito da Troia in fiamme (insieme ad Enea fondatore poi della Città di Roma), prese una via di fuga diversa da Enea e percorso l’Adriatico con una nave greca si stabilì nella pianura oggi denominata veneta. Antenore principe troiano, parente di Priamo re di Troia, durante la guerra omonima consigliò di chiudere il contenzioso con i Greci restituendo Elena a Menelao. Non fu ascoltato e Troia fu distrutta. La leggenda ci tramanda che dopo l’incendio di Troia Antenore s’imbarcò su una nave greca e percorse il mare Adriatico fino alle coste dell’attuale Veneto. Ad accompagnarlo c’era un gruppo di ENETI della Plafagonia che, perso il loro re in battaglia presso Troia, decisero di trovare un’altra terra in cui vivere. Trovato quello che a loro parve un buon territorio, a NordOvest dell’Adriatico, vi sbarcarono e, dopo aver scacciato la popolazione locale e cioè gli Euganei, vi si stabilirono fondando la città di Padova. Nel luogo dove sbarcarono costruirono un “Pagus” a cui diedero il nome di Troia (Tito Livio). Oggi c’è chi presuppone che la denominazione di “Veneti” derivi dagli “Eneti”. Spada veneta del VII sec. a.C.
Il territorio era ricco di corsi d’acqua, di ampie foreste e di un litorale marino adatto a facili approdi. Posto adatto per un insediamento stabile. Pagina 15
Nel tempo a seguire, dopo il mille a.C., i Veneti si crearono una solida struttura territoriale e sociale tanto da essere considerata seconda solo agli Etruschi. Protetti dai grandi fiumi e dalla consolidata e valida organizzazione politico-economica, riuscirono ad evitare per secoli la penetrazione del vicino popolo degli Etruschi, le invasioni dei Greci e dei Galli e soprattutto l’invasione dei Celti del VI e V secolo a.C. Tra il III ed il II secolo a.C. iniziarono i contatti con i Romani. I rapporti furono sempre pacifici, proficui e continuativi, improntati soprattutto su un interesse strettamente economico. Nel tempo i rapporti di vicinato furono tanto stretti che la romanizzazione prese piede fino a diventare punto di riferimento. Successivamente iniziò anche la collaborazione militare; i Veneti aiutarono i Romani in molte occasioni consolidando un rapporto che fu sempre più stretto. Paletta bronzea veneta del V sec. a.C.
Riportiamo di seguito qualche fatto ben documentato. Nel V secolo a.C. durante l’invasione dei Celti, che arrivarono fino a Roma, i Veneti aiutarono Roma, che stava per essere espugnata, attaccando a Nord il territorio di partenza dei Celti, obbligandoli così ad abbandonare Roma d’urgenza ed a rientrare nelle loro terre. Nell’anno 225 a.C. nella guerra Romano-Gesotica i Veneti ed i vicini Cenomani inviarono un contingente di ben 20.000 soldati. Dopo la battaglia di Talamone la collaborazione continuò anche nelle offensive romane volte all'eliminazione della minaccia dei Galli nella pianura padana, con la vittoria sul campo di Clastidio (222 a.C.) e la presa di Milano (città fondata dai Biturigi tra il VII e il VI secolo a.C.). Armi venete del VI sec. a.C. Pagina 16
Anche durante l’invasione cartaginese dell’esercito di Annibale i Veneti inviarono un contingente di soldati. SILIO ITALICO, storico dell’epoca, racconta del giovane patavino PEDIANO che “novello Antenore” si distingue nella battaglia di Nola (216 a.C.) riconquistando le armi del Console LUCIO EMILIO PAOLO caduto a Canne (probabilmente un ricordo poetico della presenza di un contingente della “Juventus Patavina). Altro riscontro si trova nella partecipazione di frombolieri veneti, i “funditores opitergini”, agli eventi dell’ 89 a.C., l’assedio di Ascoli, durante la guerra civile italica tra Mario e Silla. I Veneti tentarono di considerare questo tipo di collaborazione e alleanza come un rapporto paritetico tra loro e i Romani, senza voler accettare che in effetti continuava l’inarrestabile avanzamento di Roma e della sua influenza nel “Venetorum Angulus”. Viene realizzata una rete stradale razionale che collega i territori ed i vari insediamenti controllati da Roma, per mantenere un facile controllo del territorio. Il Console Marco Emilio Lepido nel 175 a.C. fa costruire la strada da Bologna ad Aquileia. Il Console Spurio Postumio Albino nel 148 a.C. fa tracciare e costruire la Postumia da Genova ad Aquileia. Tra il 132 ed il 131 a.C. viene costruita la Popillia-Annia da Rimini ad Adria fino a Padova. Di seguito vengono realizzate tutte le strade consolari della “Venetia”. Con la riforma di Diocleziano, Imperatore di Roma, come riportato da Plinio, il territorio veneto venne classificato come la “Decima Regione d’Italia” (Provincia Venetia et Histria). I legami erano tanto stretti che questa conseguenza fu considerata naturale. Certo è che parecchi avvenimenti accaduti in continuità, anche nei secoli precedenti, hanno favorito l’unione tra Veneti e Romani. Pagina 17
Molti propendono a pensare, a parte tutto, che fu una prevaricazione del più forte nei confronti del più debole. Ma le attività fiorivano; i rapporti commerciali con i Romani aumentavano continuamente portando ricchezza. I molti corsi d’acqua favorivano i trasporti, ed erano anche preziose fonti di energia per le molte fucine che lavoravano il ferro. SI RACCONTA ... Nel 106 a.C. divenne Console a Roma Quinto Servilio Cepione. Costui, che era stato governatore della Spagna Ulteriore, aveva udito una storia che si tramandava da molti anni (qualche generazione), che tutti però ritenevano essere una leggenda come tante altre: a Tolosa esisteva un favoloso tesoro. Cepione, che aveva necessità di denaro per mantenere lo status sociale a Roma, volle crederci anzi convincersi che fosse tutto vero. Perciò quando divenne Console, con la scusa di andare a combattere i Germani stanziati in Gallia, si fece assegnare dal Senato un esercito di otto legioni e partì per quella regione. Ebbe la fortuna di trovare un immenso tesoro in lingotti d’oro e d’argento. Il tesoro era stato messo insieme da diverse tribù galliche che anni prima avevano invaso la Grecia facendo razzie nei Templi, usati come depositi bancari, ed era stato consegnato in deposito a coloro che avevano espresso il desiderio di rientrare in Gallia. Il deposito era stato accettato dalla tribù dei Volci Tettosagi stanziatasi a Tolosa. Cepione, sconfitti i Volci Tettosagi recuperò il tesoro, poi fece versare nelle casse dello stato i lingotti d’argento e fece sparire i lingotti d’oro. (Si sussurrava di 50.000 lingotti di Kg.7 cadauno). Il Senato romano, non trovando prove concrete del furto, condannò Cepione all’esilio. Perché raccontare un fatto simile? Si disse che il figlio di Cepione, Cepione il Giovane, anni dopo e di nascosto, abbia trasferito in Gallia Cisalpina e in Venetia il tesoro, e abbia usato le ingenti somme per creare una catena di produzione, in monopolio, di armi per l’esercito romano. Favorì lo sviluppo delle fonderie esistenti, l’apertura di nuove fabbriche e sviluppò una capillare rete commerciale. In ogni caso lungo i fiumi della Gallia Cisalpina e della Venetia sorsero e funzionarono egregiamente numerosissime fonderie e si sviluppò un fiorentissimo mercato delle armi, principalmente per i Romani, che qui divennero di casa.
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Grande impulso venne dalle molte guerre combattute dai Romani e dalla grande necessitĂ di armi che venivano prodotte in questo territorio. Infatti la zona venne considerata per secoli la fonte di approvvigionamento di armi di ogni tipo.
Coppe funerarie venete del VI sec. a.C.
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Il territorio di Mareno di Piave è stato sicuramente abitato sin da tempi remoti e durante l'Impero Romano faceva parte dell'agro opitergino. Tracce di centuriazione romana sono state evidenziate da Adolfo Vital (1873-1944) nella sua pubblicazione “Traccie di romanità nel territorio di Conegliano” edito a Venezia nel 1931. In questo libro si afferma che secondo Domenico del Giudice, studioso della storia di Conegliano della fine del settecento, nel mese di luglio del 1771, sono state ritrovate a Mareno di Piave in un campo poco lontano dalla strada Ongaresca, frecce, spade nonché tre monete dell'età imperiale attribuibili a Magno Massimo (335 – 388 d.C.). Le tre monete, secondo il Del Giudice, passarono in proprietà una a sè medesimo, un'altra al Vescovo di Ceneda Agostino Gradenigo e l'ultima al conte Giacomo Collalto. Successivamente il Vital cita un'altra scoperta fatta nel 1901 durante i lavori di scavo in un terreno agricolo di proprietà della famiglia Dall'Antonia, in località Campagnola, nei pressi dell'incrocio della strada comunale che porta da Mareno a Conegliano, con quella campestre che porta verso il Monticano (detto crocicchio Wiel). In questo sito vennero trovati due piccoli bronzi dell'età imperiale. Sul primo c'è il busto dell'imperatore Costantino il Grande (274 – 337 d.C.) mentre nel secondo l'effigie di Costante I° (333 – 350 d.C.). Questi bronzi divennero proprietà del prof. Ettore Pellizzon di Mareno di Piave.
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Nel passato sono stati recuperati altri reperti nel nostro territorio: a Ramera venne ritrovata una edicola funeraria databile al II – III secolo d.C. ora conservata al Museo civico presso il Castello di Conegliano. Durante dei lavori lungo la strada che conduce da Bocca di Strada a S. Lucia di Piave, nel 1962, venne ritrovata una tomba ad inumazione del II-III sec. d.C. e recuperati mattoni ed embrici. Dal materiale recuperato si deduce che si trattava di una tomba detta alla Cappuccina. La Cappuccina era una semplice modalità di sepoltura senza cremazione o con una parziale cremazione in loco e venne utilizzata assai intensivamente in epoca romana e per tutto il medioevo. Il defunto veniva adagiato in una fossa, in posizione supina con le braccia distese lungo il corpo o raccolte sul petto e dopo la eventuale cremazione veniva ricoperto con tegole (le classiche tegole romane piane, le embrici) e coppi. Come si è già detto, il territorio marenese era stato diviso in centurie sulle quali furono edificate le ville rustiche che con ogni probabilità avevano l'aspetto della costruzione che si vede nell'immagine qui sotto.
Anche se non risultano esserci stati rinvenimenti specifici nel comune di Mareno di Piave, nel vicino territorio di S. Vendemiano in località borgo Saccon e S. Felice sono stati ritrovati i siti di 5 ville rustiche a conferma di insediamenti sparsi un po' ovunque nella zona.
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Noi chiediamo ai racconti di mitologia e di storia di fornirci una immagine rassicurante di ciò che eravamo, per superare l'inquietudine, l'incertezza che offuscano l'orizzonte dei nostri valori e delle nostre credenze M. Detienne
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Cap II I SECOLI BUI Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (data ipotetica di riferimento 476 d.C.) si chiude un ciclo di circa 1.200 anni di storia di una civiltà che ha inciso profondamente sul più vasto territorio del mondo allora conosciuto. E' una civiltà che ha lasciato profonde radici nella cultura, nell'organizzazione della vita sociale, nella legalità e giustizia con adeguate leggi e codici (di riferimento ancora oggi), nelle comunicazioni, nei trasporti, nei commerci, etc. Tutto veniva regolato da un potere che si basava su un organo pubblico, il Senato, che legiferava per tutto il territorio dell’Impero, e da un apparato burocratico che amministrava in loco. Mantenere questo sistema implicava avere grandissima energia e fermezza, che col tempo purtroppo si allentarono per poi venir meno. Il processo di decadimento s’insinuò lentamente, il lassismo imperversò senza che i Romani ne avvertissero i sintomi. Erano tanto sicuri della loro superiorità intellettuale e organizzativa, delle loro capacità e delle loro ricchezze che non vollero Pagina 23
considerare che veniva meno la forza per mantenerle. Trovarono conveniente delegare sempre più compiti agli stranieri, senza pensare che prima o dopo questi avrebbero approfittato della situazione. Anche nella difesa si affidarono sempre di più a truppe ingaggiate tra i barbari e si arrivò ad avere legioni intere composte da non Romani. Croce Longobarda
Insomma la vita comoda e la mancanza della dovuta forza morale minarono nel tempo l’autorità ed il potere di Roma. Avvenne anche un altro fatto che si rivelò devastante: l’Imperatore Costantino fondò una nuova Città sul Bosforo, che fece costruire sull’area dell’antica Bisanzio, a cui diede il nome di Costantinopoli e vi trasferì la capitale dell’Impero nel 333 d.C. Roma perse poco alla volta la sua importanza e con essa il territorio italiano. Una città che aveva circa un milione di abitanti ai tempi della gloria, passò ai circa 40.000 del 556 d.C. Ai confini, soprattutto quelli orientali, le popolazioni provenienti dalla Russia e dalla Mongolia spingevano per entrare nei territori controllati dai Romani e dai loro alleati. Finché Roma fu grande le legioni fermarono i nemici con la forza, poi, con il decadere dell’autorità e del potere politico-militare, cercarono di trattare il Pagina 24
pagamento di tributi in cambio della pace. Fu un errore madornale, infatti alla fine Roma soccombette. Moneta d'oro e armi longobarde del VI sec. d.C.
Iniziarono le invasioni della Venetia, porta aperta e passaggio naturale per l’Italia, e le devastazioni sistematiche su larga scala. Cominciarono in grande stile alcune tribù dei Vandali, degli Svevi, degli Alani intorno al 405/406 d.C. comandati da Radagasio. Vennero sconfitti e se ne andarono. Seguì qualche anno dopo nel 408/410 d.C. la calata dei Visigoti con Alarico. Le distruzioni più gravi, se così si può dire, furono provocate dagli Unni comandati da Attila. Benché molti guerrieri Unni avessero combattuto per i Romani, Attila compreso, e conoscessero bene gli usi e costumi romani, quindi non erano affatto barbari, decisero di sfidare Roma attaccando in Gallia.
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I Romani misero in campo l’ultimo capace generale rimasto: EZIO, il quale, alleatosi con i Visigoti di Teodorico, affrontò Attila nella zona dei “Campi Catalaunici” in Francia, in una battaglia sanguinosissima che fermò l’esercito Unno. Ma Attila, che conosceva la situazione militare dell’Impero, ricostituì l’esercito ed invase l’Italia con 300.000 uomini attraverso la VENETIA nel 452 d.C. usando la via romana Postumia e la strada secondaria “Ongaresca”. (La strada prese il nome Ongaresca nei secoli successivi e venne così chiamata dalle genti del posto, memori delle continue devastanti incursioni degli Ungari durate fino al 955 d.C., quando vennero definitivamente sconfitti da Ottone I Re dei Germani). GLI UNNI Antico popolo barbaro, una delle tribù scitiche, di razza mongolica. Devastarono la Cina nel 3° secolo e vi spadroneggiarono per circa un secolo. Contro di essi fu eretta LA GRANDE MURAGLIA (lunga 3.800 km, più 3.200 km di diramazioni, alta 8 metri, larga da 4 a 7 metri). In Europa apparvero nel 4° secolo e si stabilirono in Pannonia (attuale Ungheria). Giunsero al massimo della loro potenza sotto Attila, nel V° secolo, alla morte del quale perdettero ogni dominio. ATTILA Nel 433 d.C. moriva RUA Re degli Unni ed il Regno passava ai due nipoti Attila e suo fratello Bleda. Due anni dopo, Attila uccise il fratello ed iniziò la devastazione dell’Impero d’Oriente. Venuto a patto con l’imperatore d’oriente Teodosio, che s’impegnò a pagare un cospicuo tributo, partì verso Ovest con l’intenzione di conquistare l’impero d’Occidente ormai senza difensori capaci e forti. Ma in Francia trovò a contrastarlo il grande generale romano Ezio, che si era alleato con Teodorico ed il popolo dei Visigoti. A seguito della battaglia sanguinosissima (162.000 caduti), che avvenne in Francia del Nord e fu chiamata dei “Campi Catalaunici”, Attila dovette ritirarsi. Si preparò per l’anno seguente (452 d.C.) e calò in Italia attraverso la VENETIA, senza incontrare resistenza, dove saccheggiò e distrusse tutto ciò che era sul suo cammino, tanto da essere ricordato con l’appellativo di “flagello di Dio”. Morì nel 453 d.C. durante la festa di matrimonio. Pagina 26
I popoli cosiddetti “barbari” avevano una struttura sociale molto semplice. Erano sempre in movimento e non coltivavano la terra. Prendevano possesso di un territorio, lo usavano finché c’era da mangiare, poi si spostavano in un altro territorio mettendosi in conflitto con i residenti. Vivevano di ciò che il territorio poteva dare e di razzie. Uccidere era una pratica dettata dalla necessità. Niente prigionieri, niente bocche da sfamare inutilmente. Ogni tribù era composta da centinaia di migliaia di individui che si muovevano ed agivano con le stesse dinamiche delle cavallette. Una quarantina di anni dopo (nel 489 d.C.) arrivarono i Goti di Teodorico. Erano circa 250.000 e lasciarono nuovamente una scia di morte e distruzione. Una ottantina di anni dopo, nel 568 d.C., giunsero i Longobardi.
Anche questi circa 300.000. Si fermarono un bel po’, finché arrivarono a più riprese i Franchi, nel 539, nel 576 e nel 590. Ogni volta c’erano distruzioni e morte. Gli Ungari furono di casa, si fa per dire, per circa 200 anni. A tutto questo si aggiungono i disastri pandemici. Al seguito delle invasioni arrivavano le epidemie di tifo, di peste, di colera, etc. Non bisogna poi dimenticare le condizioni meteorologiche. Lunghi periodi di piogge che rendevano acquitrinose le terre e difficoltosa la Pagina 27
maturazione dei legumi e dei cereali. “A quel tempo ci furono così tante piogge, così grandi tuoni come mai, a memoria d’uomo, si ricordava. Migliaia e migliaia di uomini e animali rimasero uccisi dai fulmini. E non si poterono raccogliere i legumi guasti.” (dallo Storico PAOLO DIACONO). Questi racconta anche di una pestilenza gravissima seguita da una catastrofe spaventosa. “I morti erano tanti che erano lasciati insepolti e gli animali vagavano abbandonati ed i prodotti della terra non potevano essere raccolti. Aumentarono le terre abbandonate, i boschi e gli acquitrini. In proporzione diminuirono sensibilmente le terre coltivate con sempre minor produzione di viveri”.
E i Veneti? Ne rimasero certamente pochissimi. Chi riuscì a salvarsi si rifugiò nei boschi, nelle paludi, nelle isolette della laguna, dando poi origine a Venezia. Le città si spopolarono, la vita sociale venne compromessa. Le strade, divenute pericolose, persero d’importanza. Si instaurò un sistema di vita nuovo in cui sparì quasi completamente il denaro, i pochi commerci avvenivano per baratto, cambiò radicalmente la concezione di vita sociale. Si andò verso un sistema feudale, una unione di gruppi autosufficienti e in grado di proteggersi chiusi in cittadelle o siti fortificati. Gli anni bui durarono parecchi secoli e della vita fiorente dell’Impero si persero le tracce, così come dei Veneti.
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Cap. III L'ANNO MILLE ANNO MILLE. In un certo senso rappresenta un confine tra lasciarsi andare, non fare in attesa della morte ed il vivere, magari male, ma con nuove speranze. Era stato inculcato nella mente delle genti che nell'anno mille ci sarebbe stata la fine del mondo, il giudizio universale. Il diavolo, si diceva, presentava il conto per i molti peccati commessi. Si pensò che era inutile lavorare, inutile costruire, inutile fare tutto e così tutto rallentò. Per decenni il fatalismo imperversò e ci si rifugiò nelle preghiere e nel digiuno anche se la gente era già quasi morta di fame. I religiosi fecero la loro parte, sfruttando la situazione per mantenere uniti i fedeli e usare al meglio le risorse terrene pro Chiesa. Passato il millennio e tirato un sospiro di sollievo, si riprese a vivere pur nelle solite difficoltà. La nuova struttura sociale venutasi a creare sulle ceneri dell' Impero Romano riprese vigore. Il sistema feudale in atto si affermò ancor di più. Se da un lato il sistema feudale aveva salvato le genti dalla scomparsa, creando un sistema di vita chiuso, autonomo e indipendente, dall'altro aveva accentuato talmente i Pagina 29
personalismi, le divisioni, le autonomie vere o presunte, da renderlo debole di fronte ai pericoli esterni alla comunità. Da qui le diatribe continue tra vicini, tra comunità, tra città, ecc. che evidenziano al limite la necessità di appoggiarsi sempre ad una entità più forte. A questo punto anche Maren inizia la sua vita come nucleo umano, seppur piccolo e di poca importanza. Per qualche secolo ancora farà parte di un territorio e di un insieme politico più ampio. Prima Treviso, poi Ceneda, quindi Conegliano, infine, su tutti, la Repubblica Serenissima di Venezia, con la rioccupazione del territorio nel 1388, che aveva già tentato nel 1372 quando, venuta in soccorso del territorio Trevigiano contro il Re d'Ungheria, alleato dei Carraresi, venne severamente sconfitta in una sanguinosa battaglia presso Lovadina sul Fiume Piave. Le principali strade romane che attraversano la Venetia
Ogni tanto c'era un intermezzo con occupazioni momentanee, dai Tedeschi, agli Austriaci, ai Francesi ed altri e si continuò così per oltre quattro secoli. Fu principalmente territorio d'influenza di Conegliano dove c'era il Podestà, partecipando, al pari dei cittadini coneglianesi, alla vita sociale ed Pagina 30
amministrativa e difensiva della Città, condividendone gli interessi e le necessità. I dati più salienti della vita della comunità creatasi a Maren si possono ricavare da scritti di religiosi dell'epoca, che qui vissero ed operarono, in grado di tenere dei diari con le cronache degli avvenimenti, anche se visti quasi sempre con occhio di parte. Per questi dati rimandiamo al libro “Mareno di Piave – Storia di un popolo e della sua Pieve” di don Rino Bruseghin. Noi ci occuperemo principalmente della parte laica. Durante questo lungo periodo, qualche secolo, la vita della gente lentamente cambia e migliora. Crescono le città, nelle campagne aumentano la produzione di viveri e degli animali da allevamento. Si costruiscono difese attorno alle città, ci si difende con la costituzione di milizie, aumentano i commerci. Nel 1484 l'artigiano lanario Filippo di Conegliano riferì al Padre Domenicano Felix SCHMIDT, di passaggio per Conegliano (HUNGLIM in tedesco cinquecentesco): “Il territorio ha abbondanza di grani, di animali bovini e di sale ed i boschi sono talmente fitti che si può andare da un albero ad un altro senza discendere in terra per lunghi tratti”. “Quando tutto va bene – continuò – e i pellegrini o i mercanti non portano la peste, la guerra batte alle porte, la fortezza non deve essere restaurata, il Monticano sta dentro gli argini”. In effetti non va sempre bene, anzi va bene ogni tanto tra una catastrofe e l'altra, tra una guerra o una invasione e l'altra. Pagina 31
Nel 1347 arriva la peste che colpisce tutta l'Europa uccidendo un quarto della popolazione. Prima della fine del secolo la peste si ripresenta ancora quattro volte. LA MORTE NERA Durante la metà del XIV secolo i ratti diffusero questa malattia in tutta Europa. La gente la chiamava MORTE NERA, o talvolta peste bubbonica, a causa dei vistosi bubboni neri che comparivano sui corpi delle vittime. La peste colpiva persone già indebolite dal freddo e dalla fame, la maggior parte di coloro che ne venivano contagiati moriva entro una settimana. Quando la malattia finì aveva ucciso un quarto della popolazione europea. L'epidemia scoppiò nel 1347 probabilmente nel porto di Caffa sul Mar Nero. La città era assediata, e l'esercito mongolo che l'attaccava catapultava oltre le mura di cinta i cadaveri degli appestati. Al loro ritorno in Italia le navi portarono con loro i ratti infetti che diffusero la malattia. Le persone a quei tempi viaggiavano pochissimo, ma i ratti si diffusero celermente portando con sè le pulci infette. La cultura igienico sanitaria inesistente, le case fatte di paglia e fango ed un po' di legno favorirono una diffusione tanto veloce che nell'arco di quasi tre anni colpì tutta l'Europa, provocando la morte di circa 25 milioni di persone.
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Nel 1411 gli Ungari arrivano fino a Serravalle dove vengono fermati. Lasciano distruzioni infinite. Nel 1472 i Turchi attraversano l'Isonzo. Nel 1473 ci fu tanto di quel caldo che l'uva maturò a giugno. Nel 1477 i Turchi attaccano nuovamente ai confini con il Friuli. Venezia chiede anche a Conegliano di inviare 50 soldati della milizia cittadina (formata anche con giovani provenienti da tutte le zone limitrofe, Maren compreso). Durante il trasferimento verso una fortificazione, lungo il confine, la formazione viene attaccata dai Turchi e distrutta. Si salvano solo due giovani che, rientrati, riferiscono l'accaduto. Nel 1489 un'altra terribile pestilenza investe tutta la Marca con gravissimi effetti. Nell'inverno dell'anno successivo (1490) arriva un freddo intensissimo. “[...] fu un freddo straordinario […] con gran quantità di neve che durò da dicembre ad aprile e si seccarono gli olivari e li figari e gli aurari e assai vide, melogranati, figari, mori e le vide per fredo si secava via per lu anno [...]”. Nel 1498/1499 i Turchi attraversano il Tagliamento e mentre a Conejan ci si prepara alla difesa parte delle mura del castello frana per il mancato restauro degli anni precedenti. La milizia cittadina viene posta parte a difesa della città, dove stavano confluendo tutti gli abitanti degli insediamenti vicini compresi quelli di Maren, Soffratta, S. Michele di Ramera, Cittadella, e parte viene inviata nelle fortezze lungo il confine con il Friuli. L'ordine di Venezia è di mantenere le posizioni, così che i Turchi arrivarono fino alle porte di Orsago. Dopo aver distrutto anche Cordignano e le sue difese, carichi di bottino, di animali, di prigionieri ripartono per ritornare in Istria. Pagina 33
Le molte piogge cadute in quei mesi ingrossano talmente il Tagliamento da creare grosse difficoltà all'attraversamento. Decidono di abbandonare parte del bottino, di uccidere i cavalli per non lasciarli nelle mani dei veneziani, uccidono un migliaio di prigionieri, per loro ingombranti, e se ne vanno. Ad un certo punto, dato l'elevato numero di persone da sfamare rifugiatesi a Conejan, il Podestà ed il Consiglio decidono di censire gli estimi, cioè i terreni ed i proprietari, e porre una nuova tassa. In questi documenti si trovano gli estimi delle 440 famiglie coneglianesi. Considerando i rifugiati, gli elenchi danno notizia di 528 famiglie con 3.168 persone, a cui vanno aggiunti i forestieri. Subito dopo si aggiungeranno dalle campagne altre 1.500 persone circa. Viene riportato dagli annali che il Meriga o “sindaco” CARLO di Maren con 300 contadini confluisse verso la loggia con l'intenzione di uccidere i rappresentanti del Consiglio (furono fermati in tempo), mentre altri 50 contadini di Maren andavano a Venezia a protestare. Passato il pericolo turco si provvede alla sistemazione ed al rinforzo delle mura cittadine (da Consiglio dei Nobili 21/1/1500: “Furono deputadi Domenego Coderta et Hercole Maserata a veder, et trovar modo con manco spesa sia possibile et incomodo del territorio di Conejan a far calcina et orie cote per reparar le mura ...”). Così Conegliano si prepara a diventare un'importante piazza militare, sempre dipendente da Venezia. Mentre gli abitanti marenesi tornano alle loro terre. Porteranno avanti poco alla volta, anno dopo anno, le condizioni per diventare un paese autonomo con una amministrazione propria. Ma ci vorrà ancora parecchio tempo. Pagina 34
Per l'amministrazione della giustizia i Marenesi facevano riferimento alla Corte di Conegliano. Da atti processuali ritrovati, però, si ricava che nel 1562 la Famiglia Biffis Gerolamo e figli entrò in causa con il Parroco di San Cassan, membro di una potente famiglia locale di ecclesiastici e notai, presso la Corte di Cordignano per competenza territoriale. La causa durò fino al 1565 e poi passò in appello, sempre presso la Corte di Cordignano. La terza istanza venne presentata nel 1568 in Venezia presso la Corte della Serenissima. Inoltre, da un contratto del 10 giugno 1568, si ricava che “... domina Bona uxor ser Antonii Biffis ...” è stata testimone e garante in un contratto di nascita di una potente famiglia locale. Questi atti dimostrano che la Famiglia Biffis esisteva in loco a quel tempo a conferma dei dati dell'Albero Genealogico famigliare redatto da Don Domenico Biffis, cappellano a Mareno nel 1817.
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Dall'Alto medioevo all'etĂ comunale continuitĂ storica e insediativa nel territorio tra Piave e Livenza.
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PARTE II
Nazionalità: una società naturale di uomini dà unità di territorio, di origine, di costumi e di lingua conformati a comunanza di vita e di coscienza morale P. S. Mancini
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Lo Stato: unione perfetta di uomini liberi costituita per godere del diritto e per la comune utilitĂ . U. Grozio
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Cap IV ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA E SOCIALE
Confini della Podesteria di Conegliano nel XVII secolo
Nel XVI secolo l'autoritĂ della Repubblica di Venezia nella terraferma era ampiamente consolidata ormai da diverso tempo. Il territorio dell'attuale comune di Mareno di Piave faceva completamente parte della Podesteria di Conegliano, la quale confinava ad est col territorio friulano, la Patria del Friuli, a nord con la Podesteria di Pagina 39
Serravalle e la Contea di Ceneda e Tarzo, ad ovest con la Contea di Collalto e San Salvatore mentre a sud si trovava la Contea di San Polo e le Podesterie di Oderzo e Portobuffolè.
La Podesteria di Conegliano aveva un'estensione abbastanza modesta rispetto ad altre realtà del trevigiano e il suo territorio si estendeva sulla collina pedemontana ed in pianura. Le ville, come erano definite le aggregazioni urbane, sono di seguito elencate in base alla loro collocazione sul territorio: Pianura Campolongo, Cimetta, Cosniga, Fossamerlo, Lazzarè, San Fior di Sotto, San Vendemiano, Visnadello, Zoppè, Cittadella, Mareno, Quattro Comuni, San Michele di Ramera, Sarano, Soffratta, Vazzola e Visnà . Quattro Comuni comprendeva territori di Campolongo, Sarano, Ramera e Cittadella.
Collina Bagnolo e Canago, Conegliano, Marcorà, Monticella, Ogliano, Scomigo, Collalbrigo, Costa, Santa Maria di Feletto, San Michele di Feletto e San Pietro di Feletto. Pagina 40
A Conegliano risiedeva il Podestà che veniva coadiuvato da un Consiglio di maggiorenti locali. Il Consiglio era composto da un massimo di 72 Membri i quali ogni due anni eleggevano due Sindaci e sei Anziani, quest'ultimi con funzioni consultive. I Sindaci preparavano le deliberazioni che sarebbero poi state portate in Consiglio per il voto. Accanto a queste istituzioni vi erano istituti laici e religiosi che rivestivano una notevole importanza nell'attività sociale ed economica. Questi erano il Monte di Pietà, regolatore dell'attività creditizia al pari delle attuali banche, il Fondaco, gestore del rifornimento annonario, la Scuola dei Battuti che si occupava di funzioni caritativo-assistenziali e il Collegio dei Notai. Nelle altre ville e villaggi della Podesteria la vita sociale era strutturata in base al censo e l'autorità di riferimento era il Meriga, figura che assomiglia nelle funzioni all'odierno Sindaco. Altra figura importante è quella del Parroco. Il sacerdote tiene infatti, per precise finalità religiose, i registri di nascita e morte, di matrimonio, brevi resoconti per i fatti più importanti che avvengono nel villaggio oppure rilascia la “fede di sanità”, certificato, per persone e animali, il quale permetteva di spostarsi da una villa all'altra durante i periodi di epidemie, ad esempio la peste. Nelle chiese era inoltre custodito il “privilegio di investitura”, il documento con cui la Serenissima concedeva l'uso dei terreni pubblici, che veniva rinnovato annualmente con la sua lettura ai fedeli. Pagina 41
IL TERRITORIO La maggior parte della Podesteria è formata da terreni pianeggianti e sono presenti vari corsi d'acqua a carattere torrentizio come il Monticano ed il Crevada, oltre naturalmente al fiume Piave. Il corso dei torrenti e fiumi si spostava in continuazione a seguito di esondazioni, in quanto sprovvisto di adeguate opere di contenimento delle acque. Ma a dispetto dell' abbondanza di acqua non vi sono corsi navigabili cosicchÊ lo spostamento di uomini e merci avveniva principalmente lungo le strade, anche se alcune volte si faceva uso dei fiumi navigabili piÚ vicini come il Piave e il Livenza, soprattutto per le merci e i prodotti agricoli diretti a Venezia. Il territorio della Podesteria era ben fornito di strade direttrici per il traffico extra-locale e locale. Abbiamo la strada detta Ongaresca che collega Treviso con la Patria del Friuli e che attraversa per tutta la sua lunghezza l'attuale territorio di Mareno di Piave. Questa strada, dal passo delle barche di Lovadina sul fiume Piave, attraversava il feudo dei Collalto ed entrava nella Podesteria di Conegliano presso Cittadella, poi proseguiva verso Mareno per dirigersi verso San Michele di Ramera dove passava il Monticano. Pagina 42
L'altra strada importante aveva in comune con l'Ongaresca, detta anche strada Regia, il percorso dal fiume Piave fino a Bocca di Strada. Qui però deviava per Conegliano, lo attraversava e proseguiva per le colline di Scomigo e Colle Umberto passando per Serravalle e Ceneda. Proseguiva poi verso il Cadore, l'Ampezzano fino a raggiungere i territori tedeschi. Questa strada è chiamata via dell'Alemagna. I corsi d'acqua presenti nel territorio della Podesteria presentano un carattere torrentizio e pertanto erano di grosso impedimento per lo sfruttamento dell'energia idrica per far funzionare gli opifici. Si erano fatti lavori idraulici tali da limitare gli effetti delle piene invernali, così come la mancanza di acqua in estate. A metà del XVI secolo esistevano nel territorio della Podesteria una quarantina di mulini, quasi tutti di modeste dimensioni e alcuni funzionanti solo nei mesi invernali. Sul Monticano a Conegliano e Campolongo c'erano 4 mulini. A Visnà e Vazzola, sul torrente Favero e Vazzola, c'erano 7 mulini. Esistevano però anche altri tipi di opifici, sempre alimentati dalla forza motrice data dall'acqua. Alcuni erano dediti alla produzione di panni di lana (folli da panni), altri alla lavorazione del ferro (uno a Cimetta e uno a Mareno) ed infine alcune segherie.
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Cap. V MOBILITA' E CONDUZIONE DEI FONDI Negli anni 1518 e 1542 la Serenissima Repubblica redige due estimi in cui sono state censite le proprietà private ed i beni comunali, al fine di stabilirne le rendite che i privati e le ville e villaggi dovevano versare a Venezia. La proprietà privata fondiaria nel territorio coneglianese nell'anno 1542 ammontava ad oltre 10.000 ettari ed il maggior proprietario era l'Abbazia di S.Maria di Lovadina con 451,6 ettari. Dai dati degli estimi si deduce una forte frammentazione delle aziende agricole, in quanto quasi il 90% aveva una superficie inferiore a 10 campi, circa 5 ettari. Insediamenti dal neolitico all'età romana nella zona del “Locus Colim Glane” 1. Eta' neolitica (4.000 a.C.) Località Ferrera 2. Età del bronzo recente (XVII sec. a.C.) Casa Cima 3. Età del bronzo recente (XVII sec. a.C.) “Castelliere” di via Molmenti 4. Età del bronzo finale (X-VI sec. a.C.) periodo paleoveneto 5. Ville rustiche romane (V-III sec. a.C.) San Vendemiano 6. Area di possibile insediamento in età imperiale 7. Punto di vedetta e presidio in età tardo-romana … Corso attuale dei fiumi Monticano e Cervano
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Quindi in questo caso si può dedurre che queste aziende erano condotte in proprio. Le proprietà private erano coltivate principalmente per la produzione di cereali, vino e foraggio, oltre che essere lasciate a pascolo. Per gli appezzamenti di terreni di maggiore estensione venivano stipulati contratti a canone fisso, in denaro o in natura. Esisteva una tipologia di contratto detta “a metà” o “alla parte” la quale prevedeva la ripartizione a metà dei prodotti principali, frumento e vino, mentre la percentuale per eventuali altri tipi di coltivazione era oggetto di un accordo tra il proprietario ed il conduttore. La forma di conduzione più diffusa nella Podesteria era però l'affitto misto. In questo caso il conduttore doveva corrispondere una quantità di prodotti del suolo mentre quelli del soprassuolo, uva e frutta, venivano divisi a metà anche se a volte una parte dell'affitto veniva corrisposta in denaro. Il canone di affitto veniva pagato a scadenze prestabilite: entro il 10 Agosto, San Lorenzo, per il frumento, segala, orzo etc. mentre entro l'11 Novembre, San Martino, per il sorgo, il miglio, i fagioli, il vino. Durante l'anno e nelle festività religiose di Pasqua, Natale e così via, il contadino consegnava le onoranze (pollame, carne di maiale, uova, formaggio, agnelli etc.). La consegna del canone di affitto era a totale carico e rischio del conduttore presso il luogo convenuto nel contratto. Infatti se durante il tragitto parte di questo veniva perso o rubato il conduttore doveva reintegrarlo. Se il proprietario non comunicava la scissione del contratto (l'escomio) almeno tre mesi prima della scadenza di fine giugno, a mezzo del messo comunale, lo stesso era rinnovato per un altro anno. Altrimenti al conduttore non restava che abbandonare le terre e la casa non appena effettuato il raccolto e comunque entro il giorno di S. Martino, l'11 di Novembre. Nel territorio della Podesteria è presente inoltre un ampio patrimonio demaniale pubblico che la Repubblica di Venezia dava in usufrutto agli Pagina 45
abitanti delle varie ville e villaggi a mezzo dell'atto chiamato “privilegio di investitura”. Questo documento veniva custodito in una cassetta nella chiesa la quale aveva due chiavi, una tenuta dal Parroco e l'altra dal più anziano della villa o villaggio. I terreni pubblici erano destinati esclusivamente al pascolo degli animali da carne e da latte nonché alla produzione di foraggio. Tutte le persone che risiedevano nelle ville e villaggi potevano portare i propri animali al pascolo pubblico, ma questo diritto era subordinato al pagamento delle imposte, che non venivano pagate dalle singole persone ma bensì dalla villa e al dover prestare la loro opera per le servitù a cui la villa era soggetta, ad esempio la manutenzione delle strade. Il pascolo degli animali non avveniva però per tutto l'anno, in quanto un terzo dei terreni demaniali era destinato alla produzione del foraggio per l'inverno, ma precisamente dal giorno di San Giorgio (23 aprile) fino a quello di San Michele (29 settembre). Questa parte di territorio non era però accessibile a tutti in quanto vigeva la regola che prevedeva la suddivisione in tante quote uguali chiamate PRESE. Le PRESE venivano poi distribuite alle varie famiglie mediante un sorteggio annuale in modo che nessuno ne potesse reclamare l'eventuale proprietà con la scusa dell'uso prolungato. Questa consuetudine, per quanto curioso possa sembrare, è ancora oggi in vigore nelle “regole” a Cortina d'Ampezzo. I contadini non erano però un gruppo omogeneo ma si suddividevano in ricchi e poveri a seconda del numero di animali posseduti. Il proprietario di un buon numero di capi di bestiame era detto MAZIERE, mentre chi ne era sprovvisto era detto PISNENTE o REPETINO e poteva aspirare al lavoro di bracciante. Le PRESE quindi venivano ripartire in questo modo: una intera ai MAZIERI che conducevano aziende tra i 6 e 12 campi, mezza presa per i MEZI-MAZIERI con aziende inferiori a sei campi e un quarto ai REPETINI che non hanno bestiame.
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Cap. VI TERRITORIO PUBBLICO Altro territorio pubblico era quello coperto dal bosco. Agli inizi del XVII secolo nel territorio della Podesteria, i boschi sono ormai rari e quelli pubblici sono cinque: il bosco GUIZZA tra Costa e Campolongo, il FRATTUZZA a San Fior, il RONCADE a Soffratta, il bosco di VAZZOLA e quello di VISNA'. Su questi boschi assieme a quelli privati la Repubblica di Venezia vantava il monopolio dei roveri, legname essenziale per la costruzione delle navi. Gli alberi con i tronchi più grossi e i roveri venivano bollati col Leone di San Marco perché nessuno li potesse abbattere. Come per i prati e i pascoli pubblici, gli abitanti delle ville potevano liberamente accedere al bosco per fare provvista di legna, raccogliere i frutti e le erbe nonché cacciare la selvaggina.
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Al catasto del 1605 risultavano iscritti al demanio pubblico quasi 5.300 campi (2.756 ettari) dati in usufrutto a 17 delle 27 ville. Di questi 906 campi erano destinati a prato, 4.073 a prato/pascolo, 296 a bosco e solo 17 a coltivazione. Per quanto riguarda Mareno e Soffratta, l'area dei migliori pascoli pubblici si estendeva a cavallo del Monticano. Le comunità locali incaricavano e stipendiavano i “salteri”, i quali dovevano controllare e far rispettare le regole e le consuetudini nell'uso dei terreni a pascolo, prato e dei boschi pubblici. Da questi dati risulta un'economia quasi esclusivamente votata all'allevamento degli animali nei terreni demaniali, mentre in quelli privati si effettua la produzione di cereali, vino e quant'altro destinato al sostentamento della popolazione locale, al rifornimento di Venezia e per il commercio. Nel 1605 i Provveditori ai beni comunali censiscono abitanti ed animali. Nell'attuale comune di Mareno di Piave questi erano così ripartiti: Villa Mareno
Fuochi
Anime
Bovini
Ovini
126
751
500
1.487
Cittadella
28
134
96
300
S.Michele di Ramera
41
243
147
246
Soffratta
115
590
389
670
Totale
310
1.718
1.132
2.703
L'usufrutto da parte degli abitanti dei terreni pubblici costituiva perciò un importante aspetto di quella società e della sua economia. I terreni a prato e quelli a pascolo assieme ai campi coltivati a cereali, vite etc. costituivano un'equilibrata economia agraria perché consentivano il mantenimento della fertilità del suolo ed inoltre anche un ulteriore reddito proveniente dai prodotti caseari e dalla macellazione. Pagina 48
In questo modo si era formata una più omogenea stratificazione sociale. Tutto questo però è destinato a cambiare nell'arco di pochi decenni a seguito delle vicende storiche che contrapponeva Venezia ai Turchi nel Mediterraneo. Nel 1647 i Turchi avevano attaccato Candia nell'isola di Creta, importante avamposto per i commerci di Venezia, e per questo motivo la Repubblica aveva bisogno di una grande quantità di denaro per fronteggiare la situazione. Questa impellente necessità spinse il Senato veneziano alla decisione di vendere ai privati la settima parte dei terreni demaniali pubblici di ogni singola villa. Dopo la stima i Provveditori pubblicavano le polizze d'incanto a Rialto, dove venivano aggiudicate al miglior offerente. Nel corso degli anni successivi verrà di fatto alienata ai privati la rimanente parte del demanio pubblico. In questo modo cambierà profondamente l'economia dei territori della Podesteria in quanto i privati verranno in possesso di quasi 4.600 campi. C'è da notare che all'inizio del XVII secolo i terreni demaniali ammontavano a quasi 5.300 campi. Verrà cambiato il regime fondiario della campagna che passerà dal pascolo/prato alla coltivazione. Questi 4.600 campi sono stati così suddivisi per classi sociali: • nobili veneziani circa 2.620 campi 57,0 % • nobili sudditi circa 770 campi 16,7 % • altri circa 1.158 campi 25,2 % • comuni circa 43 campi 0,9 % • ecclesiastici circa 9 campi 0,2 %.
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In particolare nell'attuale territorio del comune di Mareno di Piave la quota è cosÏ suddivisa : Villa Nobili Nobili Altri Comuni EcclesiaVeneziani sudditi stici Mareno
817
281
218
0
0
Cittadella
56
28
122
0
0
Soffratta
52
113
35
0
0
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NOTE SULLE UNITA' DI MISURA A titolo informativo bisogna dire che le unità di misura, a differenza del giorno d'oggi, variavano a seconda del luogo. Ad esempio il campo coneglianese aveva una superficie di mq. 5.441,39 mentre quello trevigiano di mq. 5.204,69. Nella tabella sotto riportata sono indicati i raffronti tra le unità di misura coneglianesi, trevigiane e veneziane.
Misure di superficie 1 campo coneglianese = 4 quarti = 1.250 tavole = 5.441,39 mq 1 campo trevigiano = 4 quarti = 1.250 tavole = 5.204,69 mq Misure di capacità per gli aridi 1 staio coneglianese = 4 quarte = 93,5077 litri 1 quarta = 2 calvie = 4 quartioli = 23,3769 litri 1 quartiolo = 4 minelle = 5,84423 litri 1 staio trevigiano = 4 quarte = 86,812 litri 1 staio veneziano = 4 quarte = 83,3172 litri Misure di capacità per liquidi 1 carro coneglianese = 10 conzi o mastelli = 701,82 litri 1 conzo o mastello = 2 conzuoli = 6 secchi = 70,18 litri 1 orna = 2 conzi 1 carro trevigiano= 10 conzi = 779,8 litri 1 barila veneziana = 6 secchie = 643,859 litri 1 mastello veneziano = 7 secchie = 751,170 litri
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Cap. VII NUOVE FAMIGLIE Presentiamo ora le nuove famiglie nobili veneziane e non che hanno acquisito le proprietà a Mareno e hanno dato la loro impronta economica e sociale giunta per molti aspetti fino ai giorni nostri. La famiglia Tron con Loredana Mocenigo Tron, a partire dal 1665, acquistò nei villaggi di Mareno, Sofratta e Vazzola circa 820 campi, e precisamente 216 a Mareno e 25 a Soffratta, pagandoli 13.000 ducati. Il figlio Zuanne nel 1671 acquista altri 204 a Mareno e dopo circa 20 anni Andrea Tron ne acquista altri 270 tra Vazzola e Mareno. I Tron mantengono l'utilizzo a prato e pascolo in molti dei terreni acquistati anche se si lamentano della scarsa fertilità perchè ghiaiosi e costruiscono il loro palazzo dominicale che successivamente passerà per eredità alla famiglia Donà dalle Rose. La famiglia Tiepolo nel 1647 acquisisce 86 campi tra Ramera, San Fior e Sarano. I Tiepolo cambiano il regime fondiario mettendo le proprietà a coltivazione e costruendo il loro palazzo dominicale a Sarano. La famiglia Gradenigo acquista 129 campi nella campagna dei Quattro Comuni e a Cittadella hanno il loro palazzo dominicale, costruzione a tre piani con facciate eleganti circondato da un vasto brolo. Pagina 52
La famiglia Malanotti a partire dal 1670 acquista terreni a Sofratta, prima 34 campi circa e poi nel 1694 altri 34 campi, mentre nel 1712 a Mareno acquisisce 108 campi circa. Nelle loro proprietà si coltivavano cereali e viti e a Mareno circa 80 campi erano ancora a prato e pascolo, condotti in economia ed il foraggio era segato da diversi soggetti, mentre circa 10 campi erano ghiaiosi. La famiglia Caronelli già dal 1647 si era aggiudicata 75 campi ripartiti tra i villaggi di Sofratta, Zoppè e Sarano. La famiglia Zanuchi, che non era di nobili origini ma che proveniva dalla borghesia, nel 1647 acquista terreni a Ramera ed ha il proprio palazzo dominicale a S.Lucia di Piave. Veduta del palazzo dominicale della Famiglia Zanuchi a Santa Lucia di Piave
Altra famiglia borghese, i Laverzari, nel 1647 con Zan Paolo Laverzari, acquista un lotto di 60 campi a Mareno dove la sua famiglia possedeva già un palazzo dominicale con un cortile delimitato da un muro e con fabbricati colonici. Ancora nel 1740 questa è tra le più ricche famiglie borghesi del Coneglianese. L'attuale complesso di Villa Laverzari, poi Villa Mantese, il cui corpo originario si vede nella bella facciata verso il fondo dell'immagine
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Oltre alle famiglie nobili e a quelle borghesi che hanno fatto la parte del leone nell'accaparrarsi i terreni comunali, solo qualche borghese di campagna e solo il villaggio di Visnà si inseriscono nella lista degli acquisti del demanio pubblico con acquisizione minime o modeste. Questo è il caso di Gerolamo Manfernuzzo o Manfrenuzzo, agente del Monastero degli Angeli di Murano, ordine religioso che controllava a Lovadina il transito sul fiume Piave, che acquista un campo a Soffratta. Sempre a Soffratta un certo Menin acquista 8 campi. Oppure il villaggio di Visnà che nel 1647 acquista circa 43 campi. A seguito delle ripetute cessioni protrattesi per circa 40 anni, nel 1684 si può stimare che il 68% dei beni pubblici sono passati in mano ai privati e quelli rimasti sono i meno produttivi e sterili. In questo modo sono stati tolti i terreni migliori per i pascoli che le comunità locali avevano utilizzato per secoli. Nel 1684 a Mareno i terreni pubblici ammontano a 524 campi, nei Quattro Comuni a 236 campi circa e a Soffratta a 94 campi. Dei 524 campi a Mareno, 236 sono un unico grande lotto chiamato “la campagna delle grave” perché lambita dal fiume Piave.
Cartolina di Palazzo Montalban, indicato come Balbi, poi successivamente acquistato dalla Famiglia Paoletti
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Con una tipologia di terreno sassoso e ghiaioso era impossibile coltivare i campi a foraggio e quindi verranno di fatto utilizzati solo per il pascolo di pecore. Per concludere, nel 1713 tra Mareno e Soffratta si trovano solamente 153 campi e questo indica che il processo di acquisizione delle terre è ormai finito. A Mareno in mezzo al vasto ex-terreno pubblico, fonte di sostentamento della popolazione per secoli, ad indicare il profondo cambiamento avvenuto si ergono il palazzo Tron e quello Laverzari, mentre a Soffratta quello Montalbano. Il cambiamento nella conduzione fondiaria delle nuove proprietà così formatesi produsse l'effetto di uno sfruttamento intensivo del terreno con colture a frumento, mais e vite per ottenere alte rese senza però integrarne la fertilità. Assieme ad un drastico ridimensionamento dell'allevamento di bestiame, questa nuova situazione porterà ad un sempre maggiore impoverimento dei contadini.
Villa Balbi, oggi Paoletti
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Cap. VIII FAMIGLIA TRON NICOLO' TRON (n. 1399 - m. 1473) Doge dal 1471 al 1473 Dopo un dibattuto conclave, il 25 novembre 1471 Nicolò Tron fu eletto doge con il minimo del quorum; aveva 72 anni. I festeggiamenti per il suo insediamento furono particolarmente fastosi con elargizione di monete non solo al popolo ma anche a chierici e canonici. Il primo impegno del doge fu quello di rimettere in ordine, ancora una volta, il dissesto nelle finanze pubbliche dovute alle perdite contro i turchi. A tal riguardo la cronaca riportò molta soddisfazione sull'operato del doge che nel maneggio del denaro era sempre stato molto abile. Non furono toccate le fasce di popolazione meno abbienti ma fu introdotta invece una imposta sui patrimoni più consistenti, furono ridotti gli stipendi pubblici più elevati e fu "svalutata" (forse per la prima volta nella storia) la moneta veneziana mediante l'introduzione della "lira", chiamata Trono, della "mezza lira" d'argento e del "bagattino" di rame. I turchi intanto si fecero sempre più audaci con spedizioni sino in Friuli dove misero a ferro e fuoco interi comuni della Carnia. Nicolò Tron morì il 28 luglio del 1473 e fu sepolto a Santa Maria dei Frari. Vecchia cartolina di Villa Donà delle Rose, già Palazzo Tron
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FAMIGLIA DONA' Questa famiglia dette a Venezia tre Dogi, Francesco Donà (dal 1545 al 1553), Leonardo Donà (dal 1606 al 1612) e Nicolò Donà (dal 4 aprile al 9 maggio 1618).
FRANCESCO DONA' (n. 1468 – m. 1553) Doge dal 1545 al 1553 Il 24 novembre 1545 arrivò al soglio dogale il settantasettenne Francesco Donà. Era stato podestà in diverse città, aveva presieduto più volte il Consiglio dei Savi (o Consiglio Ducale) ed in fine Procuratore di San Marco. Anche da parte del re Ferdinando I di Aragona gli furono riconosciute delle benemerenze fino a nominarlo "conte di Belvedere" (titolo trasmissibile agli eredi). Nove giorni dopo il suo insediamento ebbero inizio i lavori del Concilio di Trento, promosso da papa Paolo III con l'inevitabile controriforma nei confronti dei protestanti, mentre a Venezia la "peste luterana" era considerata solo un modo diverso di vedere il cattolicesimo (d'altro canto erano ancora vive le scissioni avignonesi e pisane) e gli ebrei, seppur confinati nel "ghetto" erano non solo tollerati ma rispettati. La laicità della Repubblica non riuscì però a far prevalere totalmente il proprio spirito e nell'aprile del 1547 Monsignor Dalla Casa riuscì ad ottenere il suo bravo "Sant'Ufizio" con tanto di inquisitore, alle condizioni che questo fosse affiancato da tre "savi laici", che il tribunale potesse insediarsi solo con il consenso del doge, che il tribunale si occupasse solo ed esclusivamente di eresia e che comunque i giudicati potessero essere tali solo se non dovessero rendere conto alla Repubblica in qualità di cittadini.
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Le restrizioni imposte dalla Serenissima al tribunale portarono quasi subito alle contestazioni giuridiche: la prima e più importante fu quella del 1550 che avrebbe voluto vedere sul banco degli imputati il Patriarca di Aquileia (nemico-amico), accusato di eresia perché sosteneva la giurisdizione di Venezia, anziché di Roma su Ceneda. L'arringa del doge stesso presso il tribunale dichiarò le pretese di Roma solo "molestie" e il Patriarca fu prosciolto. In campo militare, sulle vicissitudini italiche Venezia rimane neutrale e si dedica invece alla propria sopravvivenza nell'abbattimento delle palizzate a sostegno delle rive, sostituite con opere in muratura. In questo oratorio si trovano le spoglie di Francesco Donà, Doge dal 24 novembre 1545 al 23 maggio 1553, giorno della sua morte. Le sue spoglie furono traslate dalla Chiesa dei Servi a Venezia nel 1817 a seguito della demolizione della chiesa e tumulate appunto in questo posto.
In quest'ottica a carico dell'erario furono parzialmente costruite le "fondamenta nuove" (lato nord dell'isola prospiciente la laguna di Murano, Burano e Torcello). Così come furono continuate le opere di abbellimento della città che vide ultimata anche la costruzione della "Zecca", così come ancor oggi si può vedere. Inquisizione o meno, i "bagordi veneziani" però continuarono e a conferma il dogado di Francesco Donà vide uno dei più efferati omicidi rimasti impuniti solo per il fatto che la famiglia coinvolta era la signoria di Pagina 58
Firenze, infatti una mattina di febbraio del 1548 Lorenzino de' Medici (detto anche Lorenzaccio) fu pugnalato dai sicari di Cosimo il "Vecchio" (suo cugino), mentre stava recandosi nel salotto della "honesta nobil donna" Elena Barozzi. Francesco Donà morì il 23 maggio 1553, dopo aver inutilmente tentato di abdicare e fu sepolto nella chiesa dei " Servi". Le sue spoglie furono traslate nel 1817 a seguito della demolizione della chiesa e tumulate nella cappella di famiglia a Mareno di Piave.
LEONARDO DONA' (n. 1536 – m. 1612) Doge dal 1606 al 1612 Il 10 gennaio 1606, all'età di 70 anni, venne eletto il Procuratore di San Marco Leonardo Donà. Di famiglia benestante, ma non ricca, Leonardo riuscì a costruire una fortuna amministrando e rinvigorendo una cospicua eredità lasciata da Chiara da Mosto vedova di un prozio. Laureato a Padova e a Bologna in filosofia e morale, erudito e fine paleografo aveva ricoperto parecchi incarichi pubblici: Bailo a Costantinopoli, Podestà di Brescia, Savio del Consiglio Ducale, Provveditore Generale per la terra ferma ed Ambasciatore presso la Santa Sede dove Sisto V, suo grande estimatore, arrivò a proporgli il vescovado di Brescia e la porpora cardinalizia. Lapide posta a ricordo del pensiero di Leonardo Donà, futuro Doge della Serenissima, espresso nel 1577 sostando a Conegliano, che si trova nel piazzale del Castello
La sua investitura avvenne nel segno della più severa austerità tanto da non compiere nemmeno il giro in pozzetto, con grande disappunto del popolo. Pagina 59
Essendo scapolo, dopo l'insediamento portò a vivere con sè, nel Palazzo Ducale tutta la famiglia del fratello Nicolò, con il quale per altro non andava d'accordo, ma forse fu una mossa calcolata per tenerlo più sotto controllo. La sua intransigenza sull'autonomia di Venezia portò presto allo scontro con lo Stato Pontificio che chiedeva invece l'abrogazione delle leggi "anticlericali" promulgate sotto il suo predecessore e la scarcerazione dei due prelati incarcerati per delitti comuni. Da parte di Papa Paolo V vi fu l'ultimatum letto in concistoro il 17 aprile 1606 che dava tempo a Venezia di ottemperare entro 24 giorni, pena la scomunica alla città, al doge, al senato e l'interdizione di tutti i territori. Prima della scadenza il doge fece affiggere a tutte le porte delle chiese il Protesto redatto da Paolo Sarpi. (I "protesti" erano delle delibere del Senato mediante le quali non solo si contestava l'operato dei pontefici ma a questi la Repubblica opponeva la propria ragion di Stato, motivata da elaborati giuridico-teologici, era accompagnato spesso da divieti e vere e proprie ritorsioni, sia amministrative che penali). Leonardo Donà, da profondo conoscitore degli ambienti romani qual'era, aveva voluto accanto, fin da subito, quale consulente "in jure", il famoso teologo e giurista canonico, proprio in previsione di poter parare eventuali colpi da parte dello Stato Pontificio che da sempre mal vedeva la scelta libertaria di Venezia, nei confronti di tutte le religioni. Il Protesto fu inoltre diramato in tutti i territori accompagnato da specifiche delibere senatoriali con le quali si faceva obbligo a tutti i presuli di tenere aperte le chiese e di mantenere l'ordinaria celebrazione delle funzioni religiose. L'inosservanza di tali disposizioni avrebbe comportato l'immediata esecuzione della pena capitale, mediante impiccagione, senza alcun processo. La reazione da parte del clero non si fece attendere ed i primi ad abbandonare Venezia furono i Gesuiti, seguiti dai Cappuccini e dai Teatini, mentre per frate Servita Paolo Sarpi (Pietro, il nome secolare, oltre che Pagina 60
teologo fu anche scienziato, stimato da Galilei, e insigne medico scopritore del sistema valvolare cardio-circolatorio) arrivò la scomunica "ad personam". La situazione incandescente fu relativamente raffreddata dalla mediazione della Francia, tramite il cardinale Joyeus, con l'accordo del 21 aprile 1607. Venezia consegnò i due presuli incarcerati agli emissari di Enrico IV, sottoscrivendo la rinuncia a processarli, non senza alcune riserve e ritirando il Protesto, mantenendo però la prerogativa sulle leggi già promulgate. Il Papa, dal canto suo e molto a malincuore, ritirò le scomuniche e l'interdetto. Il risentimento del popolo veneziano, aizzato dalla nobiltà nei confronti di questo doge integerrimo, che pur di mantenere alta la testa della Repubblica aveva intaccato qualche interesse personale, si manifestò con l'aggressione a Paolo Sarpi. Questi la sera del 5 ottobre 1607 fu aggredito (nei pressi del ponte di Santa Fosca) con tre pugnalate al collo. La risposta del Senato fu il rifiuto di far rientrare i Gesuiti in città e nel 1612 un editto vietò in tutti i territori la possibilità di far educare i propri figli presso quella confraternita; l'inosservanza, anche questa volta, avrebbe comportato l'immediata esecuzione della pena capitale per i trasgressori. Leonardo Donà si spense il 16 luglio 1612 e fu sepolto a San Giorgio Maggiore (detto anche San Giorgio in isola, di fronte al Palazzo Ducale).
NICOLO' DONA' 1618 (n. 1539 – m. 1618) Doge solo nel 1618 per cinque settimane Nicolò Donà fu eletto il 4 aprile 1618 all'età di 79 anni. Il 9 maggio si spense durante il pranzo offerto ai quarantuno elettori ed agli ambasciatori. Fu sepolto a Santa Chiara di Murano, ma le sue spoglie andarono disperse nel 1826 durante l'occupazione napoleonica (a caccia di tesori sepolcrali), quando la chiesa fu sconsacrata ed adibita a vetreria. Pagina 61
Dopo la battaglia di Lepanto (o meglio sarebbe chiamarla di Patrasso), le galee o galere e quindi galeazze terminarono il loro ciclo vitale. Non era più possibile considerare l'uomo come unica forza meccanica di propulsione. Galea veneziana Nel '600 iniziò infatti a prevalere la logica di armare le navi "tonde", che sebbene fossero nate come navi da trasporto, ben si addicevano all'imbarco di pezzi pesanti di artiglieria anche in numero consistente, cosa impossibile per una galea che veniva manovrata quasi esclusivamente dai remi. Insomma i pesi trasportati avevano cambiato indirizzo al modo di navigare passando dall'uomo al vento tramite una miglior concezione delle vele e dell'alberatura. Galeazza veneziana lunga da 80 a 100 metri, anche il doppio di una galea o galera.
Le galere continuarono ad esistere in Adriatico e Mediterraneo Orientale ancora per un secolo. La scoperta dell'America accelerò il cambiamento verso i nuovi velieri a vela. Nuovo veliero
La fucina di idee e la trasposizione di queste in fatti concreti, a Venezia non poteva avvenire che in Arsenale. Quasi sempre la professione veniva tramandata da padre in figlio, come succedeva anche fuori dalle mura dell'Arsenale. Quando si iniziava a lavorare la prima cosa che si costruiva era la propria bara (un po' in segno scaramantico, considerato l'altissimo numero di incidenti, un po' perché rappresentava la prova d'arte), così come, subito dopo l'elezione del nuovo doge, veniva dato inizio alla costruzione della sua bara. Nel caso di Nicolò Donà gli "arsenalotti" non ebbero molto tempo a disposizione per costruirla e adornarla. Pagina 62
LEPANTO MEHMED II, sultano turco, dopo aver conquistato Costantinopoli nel 1453 (caduta dell'Impero Bizantino) allargò i suoi orizzonti e iniziò la conquista del Mediterraneo. I cantieri e le maestranze specializzate, lasciati dai Bizantini, gli permisero di far costruire una flotta importante, con la quale spostare un grande esercito. In mente aveva un grande disegno, che verrà portato avanti anche dai suoi successori: “Un solo Dio in cielo, un solo Re sulla terra”. Perseguì al massimo le idee di Maometto esposte nel Corano ai “Veri credenti”, che si possono così sintetizzare: “Fate la guerra a coloro che non professano la credenza della verità. Combatteteli tutti senza eccezione finché non paghino il tributo e che siano umiliati .... Combatteteli dovunque li troverete .... Quando incontrerete gli infedeli uccideteli senza pietà, con grande spargimento di sangue e stringete forte le catene dei prigionieri .... Chi cade sulla strada della Jihad avrà i favori e la misericordia di Allah .... Allah mette le anime dei guerrieri caduti nei corpi di uccelli verdi che berranno nei fiumi del paradiso e mangeranno i suoi frutti”. (da “La Croce e la Mezzaluna” di Arrigo Petacco). Solo due secoli dopo a Lepanto i Cristiani riuscirono a fermarli sul mare. Ci volle ancora un secolo per fermarli sulla terraferma. Avvenne sotto le mura di Vienna nel 1683 con l'aiuto essenziale del Re di Polonia Giovanni III Sobieski. Nel 1697 vennero definitivamente sconfitti dal Principe Eugenio di Savoia a Zenta in Ungheria. Pagina 63
La Battaglia di Vienna del 1683
Il 7 Ottobre del 1571 è una data essenziale per la sopravvivenza dell'Europa. E' l'inizio della riscossa cristiana nei confronti dell'Islam, che la stava conquistando. Dopo tante e snervanti trattative condotte dal Papa PIO V si formò la Lega Santa a cui aderirono Venezia, il Papato che affittò una flotta, Genova, la Spagna ed altre città marinare (complessivamente 206 galee e 6 galeazze, grandi navi da battaglia e 60/70.000 uomini). Lo scontro contro la flotta turca venne predisposto nell'area di mare vicino a Lepanto in Grecia, con i Veneziani comandati da Agostino Barbarigo sulla sinistra della formazione, al centro gli Spagnoli anche con navi di Venezia e pontificie con il comandante in capo Don Giovanni d'Austria e a destra un insieme di navi imperiali, di Genova, di Savoia, di Toscana e di Malta al comando di Gianandrea Doria. Da parte dei Turchi la flotta era comandata da Alì Pascià che si avvaleva come comandanti anche di tre feroci e sanguinari corsari, cristiani rinnegati, conosciuti con orrore in tutto il Mediterraneo: Barbarossa di origini Pagina 64
greche, Dragut e Occhialì di origini calabresi (225 galee, 60 galeotte e un imprecisato numero di imbarcazioni più piccole e 70/80.000 uomini). La battaglia durò cinque ore e la flotta turca venne completamente distrutta o catturata. Si constatò che il maggior peso della battaglia e le perdite maggiori furono sopportati dai Veneziani, mentre l'ala destra del Doria, prima della battaglia, lasciava il suo posto e si ritirava inseguita dall'ala sinistra dei turchi comandata da Occhialì. Tutte e due non si scontrarono e non subirono danni. Le Perdite: La Lega perdette 14 galere (10 veneziane, una di Malta, una di Savoia, una genovese e una pontificia. I caduti furono 7.000 ed i feriti 4.500. I Turchi perdettero 170 galere e 20 galeotte che furono catturate, 25 furono distrutte o affondate. I caduti furono tra i 20 e i 30.000, tra cui 4/5.000 rematori cristiani incatenati alle navi adibiti ai remi. Altri 10/15.000 schiavi cristiani furono liberati dalle catene e salvati.
Lepanto: flotte in posizione per la battaglia Pagina 65
CONEGLIANO Si formò probabilmente intorno al castello sorto intorno al secolo decimo, o anche prima, contro le invasioni di popoli germanici e soprattutto degli Ungari. Nel 1016 quando l'Imperatore Enrico II lo donò al Vescovo di Belluno era già una città. Essa si costituì a libero comune nel 1112. Fu in lotta con Treviso che la prese nel 1148. Si ribellò nel 1153 ma il tentativo fu duramente represso e la città fu saccheggiata. Dal 1231 al 1236 si unì a Padova mantenendo quasi una completa indipendenza. Nel 1239 fu ripresa da Treviso, poi occupata da Ezzelino II da Romano, poi nel 1239 ancora da Treviso. Nel 1317 la assediò inutilmente Guccellone da Camino; fu presa invece nel 1319 dai Conti di Gorizia e conquistata nel 1329 dagli Scaligeri. Nel 1337 si diede a Venezia. Nel 1356 fu occupata da Ludovico re d'Ungheria e nel 1381 dai Carraresi. Nel 1389 tornò definitivamente a Venezia che ne favorì lo sviluppo. Nel 1808 Napoleone istituì il titolo di Duca di Conegliano per il Maresciallo Adriano Moncey. Durante la Prima Guerra Mondiale fu gravemente danneggiata e dal novembre 1917 all'ottobre 1918 fu occupata dagli Austriaci. Anche durante la Seconda Guerra Mondiale fu danneggiata da bombardamenti aerei. Pagina 66
Fu casa natale del Pittore Gianbattista Cima da Conegliano (1459/1517 o 1460/1518). La casa Carpenè appartenne al re di Cipro Giovanni II (Lusignano 1398/1432). Del Castello restano solo la torre mozza, la torre della campana e la porta di Ser Belle. Ci sono resti anche del Convento di San Antonio Abate, dei Canonici Lateranensi, demolito all'inizio del secolo XIX, e del Convento dei Dominicani (soppresso nel 1808). La Torre Carraresi fu eretta dai Da Carrara nel 1384.
CORDIGNANO Appartenne al Vescovo di Ceneda. Nel 1089 fu infeudato ai Caminesi che vi costruirono un castello. Venezia se ne impadronì nel 1389 e vi confermò i Caminesi, poi lo infeudò al Conte Guido Rangoni di Modena. Nel 1499 fu saccheggiato dai Turchi e tra il 1508 e il 1511 fu occupato dagli Imperiali. La Villa Brandolini Casa Nuova è del secolo XVIII mentre Villa di Villa risale al V secolo. Pagina 67
Religione: una libera societĂ di uomini che si uniscono spontaneamente per servire Dio in quel modo che giudicano essergli piĂš accetto per conseguire la salute delle loro anime. J. Locke
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PARTE III
Noi non viviamo piÚ sotto la signoria di persone, siano esse naturali o costituite (persone giuridiche), ma sotto la signoria di norme, di forze spirituali. In ciò si manifesta l'idea moderna di Stato. H. Krabbe
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E' una illusione attendere il regno della pace perenne e predicare un diritto dei popoli, quando è solo la potenza a decidere della loro sorte. R. Hilferding
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Cap. IX PERIODO NAPOLEONICO La storia di Mareno di Piave come amministrazione locale autonoma ebbe inizio una decina d'anni dopo la fine della Repubblica di Venezia. Infatti fino alla sua caduta, il 12 maggio 1797, Mareno era semplicemente una villa della podesteria di Conegliano e aveva due frazioni, San Michele di Ramera e Soffratta. La popolazione che viveva in questi tre nuclei abitati era di modesta entità visto che nell'anno 1771 in totale era di 1.939 unità così suddivise: Mareno 1.061, San Michele di Ramera 493 e Soffratta 385. Per risalire alle origini che hanno portato Mareno di Piave al rango di Comune è necessario fare un salto indietro nella storia quando nacquero le nuove idee liberali ed economiche che sarebbero diventate la base della moderna società. Il periodo immediatamente successivo alla fine della Serenissima è stato per i nostri territori denso di molteplici e rapidi cambiamenti che hanno modificato regole e consuetudini vecchie di secoli. Il Trattato di Pace di Campoformido, firmato da Napoleone con l'Austria il 17 ottobre 1797
Negli anni 1796–1797 ci fu il repentino susseguirsi di occupazioni militari ora dei francesi, ora degli austriaci, accettato dal Senato veneziano in nome di una neutralità che ne avrebbe decretato la fine, che tollerarono le Pagina 71
istituzioni amministrative veneziane. La gente veneta si trovò così suo malgrado nuovamente nel mezzo di angherie, spogliazioni e violenze dei due eserciti che si scontravano muovendosi sul territorio della Serenissima. All'interno della società veneta ci furono persone che invece salutarono l'arrivo dei francesi portatori delle nuove idee rivoluzionarie che erano l'esatto opposto del conservatorismo della Serenissima. A Mareno si tentò di fare un plebiscito per l'annessione alla Repubblica Cisalpina distribuendo materiale propagandistico ai Parroci (errore madornale, essendo i parroci allineati al Vaticano conservatore e fautore dello status quo). Il risultato fu infatti deludente in quanto Mareno riconsegnò solo 18 schede, Ramera 3 e Soffratta le restituì tutte in bianco.
Avviso del Provveditore straordinario di Treviso Anzolo Giustinian Recanati con cui si rende noto alla popolazione che non deve prendere parte in nessun modo alle operazioni belliche tra i Francesi e gli Austriaci
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Nonostante vigesse ancora ufficialmente la sovranità della Serenissima, anche se di fatto ormai non era più vero, il 2 maggio 1797 il generale Antonio Fiorella, comandante della 3° divisione dell'Armee d'Italie, proclamò a Treviso una Municipalità provvisoria e la provincia trevisana venne suddivisa in cinque cantoni da cui fu escluso il Coneglianese.
Successivamente il 16 giugno 1797 il Coneglianese venne riaccorpato col resto della provincia trevisana. Il 23 luglio 1797 lo stesso generale Fiorella organizzò con decreto l'assetto amministrativo del dipartimento Trevigiano-Coneglianese secondo la tabella riportata qui di seguito. Pagina 73
Dipartimento Trevisano-Coneglianese Secondo il Decreto 5 termidoro anno V – 23 luglio 1797 – del generale Fiorella Cantoni Treviso
Municipalità e componenti Treviso 15
Tribunale di Appello Treviso
Giudici di 1° istanza Treviso
Giudici di Pace Valdobbiadene
Valdobbiadene 3
Quero
Quero 2
Pieve di Soligo
Pieve di Soligo 3
Montebelluna Nervesa Roncade Casale Vidor
Conegliano
Oderzo
Conegliano 7
Conegliano
Conegliano
S.Salvatore e Collalto 4
S.Salvatore
S.Salvatore
S.Cassiano 3
S.Cassiano
S.Cassiano
S.Polo
S.Polo
Oderzo 7
Oderzo
S.Donà 3
Oderzo S.Donà
Motta
Motta 7
Motta
Motta
Portobuffolè
Portobuffolè 7
Portobuffolè
Portobuffolè
Ceneda e Tarzo
Ceneda 7
Ceneda
Ceneda
S.Donà
Tarzo 3 Cison 5
Cison
Cison
Mel 5
Mel
Mel
Serravalle
Serravalle 7
Serravalle
Serravalle
Castelfranco
Castelfranco 7
Castelfranco
Castelfranco
Asolo
Asolo 7
Asolo
Asolo
Noale
Noale 7
Noale
Noale
Dopo la firma del trattato di Campoformido il 17 ottobre 1797, le truppe austriache tornarono nel trevigiano ed il 6 febbraio 1798 venne emanato a Padova il “Regolamento provvisorio per la terraferma” col quale vennero ripristinati tutti gli enti e le autorità esistenti al 1 gennaio 1796, praticamente la precedente organizzazione veneziana, mentre il 16 marzo 1803 un editto imperiale suddivideva il Ducato di Venezia in 7 provincie rette da un Regio Capitano. Pagina 74
Ma la situazione politica e militare era molto instabile e le truppe francesi occuparono di nuovo il Trevigiano dal 6 Novembre 1805 al 2 novembre 1813. In questi anni i Francesi realizzarono un assetto totalmente nuovo della pubblica amministrazione . I territori della ex Repubblica di Venezia furono annessi al Regno d'Italia con un decreto datato 30 marzo 1806 e ordinati secondo le “disposizioni dell'amministrazione pubblica e sul compartimento territoriale del regno� (Decreto 8 giugno 1805). Il provvedimento n°55 del 29 aprile 1806 suddivideva il territorio in 7 Dipartimenti (Venezia, Belluno, Udine, Vicenza, Padova, Treviso e Istria) ma conservava le ripartizioni fatte dagli Austriaci. Successivamente, con Decreto firmato da Napoleone del 22 dicembre 1807, venne realizzata quella che sarebbe dovuta essere la sistemazione definitiva del territorio.
Fotografia del decreto di Napoleone Bonaparte del 22/12/1807 conservato presso la biblioteca comunale di Treviso
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Con questo provvedimento vennero creati sette Dipartimenti denominati dell'Adriatico, del Bacchiglione, della Brenta, dell'Istria, di Passeriano, della Piave e del Tagliamento. Quest'ultimo comprendeva i territori dell'attuale provincia di Treviso e parte del Friuli. La conseguenza piĂš importante di questo atto fu l'elevazione al rango di Comune di una moltitudine di localitĂ molte delle quali erano solo borgate o agglomerati addirittura piĂš piccoli e tra questi Mareno. Fotografia della tabella allegata al decreto di Napoleone Bonaparte del 22/12/1807 conservato presso la biblioteca comunale di Treviso e relativa al Dipartimento del Tagliamento dove alla voce del Distretto di Conegliano sono elencati i Comuni di giurisdizione e tra gli altri Mareno, San Michele di Ramera e Soffratta
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Così nel nostro territorio i comuni erano tre: Mareno, San Michele di Ramera e Soffratta.
Da una annotazione fatta da un contemporaneo, 8 Maggio 1809, e giunta fino a noi: “Giorni di spavento. Un corpo di 100.000 tedeschi accampati di qua del Piave e ai confini di questa provincia; al di la' 100 e più mille francesi che li inseguono. Il dì 8 maggio li francesi colla solita sua bravura passarono il torrente, attacaron l'inimico, lo batterono di modo che perduta l'artiglieria, munizioni e lasciati una quantità di morti e prigionieri, si diede alla fuga ed inseguito nei suoi stati. Le nostre campagne furono nel centro della battaglia.” Austriaci
Francesi
Piano di battaglia di Lovadina dell'8 maggio 1809 del Gen. Eugenio Barbarich
I Francesi entrarono a Vienna il 13/5/1809 e dovettero combattere a Wagram il 5 e 6 luglio 1809 sbaragliando ancora il nemico nella più sanguinosa battaglia napoleonica.
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A breve distanza, precisamente nel 1810, questa situazione cambierà radicalmente in quanto viene fatta una serie di accorpamenti dei paesi più piccoli a favore delle ville più importanti e delle città creando in alcuni casi enormi entità funzionali solo al centralismo napoleonico. Ad esempio il Comune di Treviso comprendeva anche Carbonera, Melma (ora Silea), Villorba, Paese, Casier, Ponzano, Quinto e Preganziol. In quell'anno quindi Soffratta e San Michele di Ramera vengono unite a Mareno e il territorio comunale assume i confini di quello attuale. Dunque, dal 1805 al 1813 compreso, l'Amministrazione del Regno d'Italia cambiò nuovamente la vita sociale delle genti venete. L'apparato burocratico rivalutò gli estimi veneziani, impose tasse personali e sulle professioni e introdusse il servizio militare obbligatorio per cinque anni. Periodicamente vennero imposti contributi in denaro alle città maggiori per finanziare le campagne di guerra napoleoniche. Per la vita delle famiglie rurali venete la perdita della forza lavoro dei figli ebbe conseguenze pesanti sulla loro sopravvivenza generando così un gran numero di renitenti alla leva. Nel 1809 venne introdotta la tassa sulla macina similmente a quanto diversi decenni dopo sarà riproposto dall'Amministrazione piemontese, mentre contemporaneamente continuava l'offensiva laica dello stato contro la religiosità e i simboli della Serenissima, specialmente il leone di San Marco che venne fatto rimuovere dagli edifici pubblici. Questo insieme di fattori portò a rivolte generalizzate dei contadini e del clero contro il governo. I renitenti si erano riuniti in bande le quali, con l'aiuto della popolazione inferocita per la tassa sulla macina, si ribellarono all'Autorità occupando le sedi municipali e dando alle fiamme le liste dei coscritti e quelle del censo oltre ai documenti catastali. Pagina 78
La reazione fu però dura e i tribunali speciali mandarono a morte e in prigione moltissime persone tra cui anche un sacerdote. La protesta della popolazione durò qualche mese ed ebbe delle punte di virulenza nelle provincie di Vicenza e Verona, ma poichÊ si trattava di manifestazioni spontanee, tese solo a chiedere l'annullamento delle imposizioni fiscali e senza alcun coordinamento, si spense a poco a poco.
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Cap. X LA DOMINAZIONE AUSTRIACA Alla fine del 1813 le truppe austriache scendono nuovamente in Veneto e sconfiggono l'esercito del Regno d'Italia. Con la pace di Parigi del 30 maggio 1814 iniziava l'ultima dominazione austriaca che durerà sino al 1866 salvo la breve pausa nel 1848-1849 dell'effimera Repubblica di San Marco. E' anche un periodo con gravi problemi di sussistenza a seguito di diverse annate di scarsa produzione agricola. Sembra che l'anno peggiore sia stato il 1817, visto quanto scritto da Don Domenico Biffis sull'Albero Genealogico di Famiglia: “1817 l'anno della grande famme”. Il 17 marzo 1848 Venezia si ribellò agli austriaci e pochi giorni dopo venne proclamato un governo provvisorio guidato da Daniele Manin. Le idee per la nascita di uno stato italiano unitario e sovrano infiammarono il popolo e così molti volontari partirono per dare il loro contributo alla causa nazionale. Però dopo la sconfitta di Custoza del 27 luglio 1848 i pochi aiuti piemontesi a Venezia cessarono e anche la flotta sarda partì, cosicché già alla fine del 1848 le truppe austriache avevano rioccupato la terraferma e si avvicinavano sempre di più alla città mettendo in atto anche un blocco navale. Il 4 maggio 1849 le difese veneziane si posizionarono al forte Marghera dove al comando del generale napoletano Guglielmo Pepe tennero testa alle truppe del generale Radetzky fino alla capitolazione firmata il 22 agosto 1849.
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Anche un cittadino di Mareno, Pinese Francesco
di
Dionisio
e
Vendrame Antonia, nato l'11/10/1826,
partecipò
alla difesa di Venezia e morĂŹ a Marghera il 26 maggio 1849, come si legge nella lapide che si trova a Treviso in Piazza dell'Indipendenza.
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Biffis Pietro (1841/1880) di Giovanni . “Nell’anno 1859 fu tra i primi nostri volontari ad accorrere nelle file dell’Esercito Sardo 13° Regg. Fanteria e prese parte alla memoranda giornata di S. Martino, dove rimase gravemente ferito. Benché non ancora perfettamente chiusa la ferita, di nuovo si arruolò nell’esercito dell’Emilia 46° Regg. e lì ben presto si guadagnò il grado di Sott’Ufficiale; ebbe pure occasione di trovarsi nell’Italia meridionale per lungo tempo contro i briganti. Nel 1865 infuriando in Ancona l’epidemia cholerica, co’ suoi fratelli d’armi prestossi a lenire i patimenti di tanti infelici. Finalmente ebbe la contentezza di partecipare alla guerra della Venezia nel 1866, terminata la quale ritirossi in seno alla Famiglia sua.”
[da “La Gazzetta di Treviso”, 29/30 Novembre 1880] ∼∼∼∼ Zandonella Ferdinando rientrato e morto a Conegliano nel 1875 a 37 anni, fratello di Chiara Filomena che ha sposato il Prof. Girolamo Biffis, originario di Mareno abitante a Conegliano (1817/1900).
Erano in gran parte studenti e appartenenti a famiglie della borghesia o della nobiltà che si arruolarono volontari nelle file dell’esercito sabaudo o garibaldino. Vennero considerati disertori e traditori dalle autorità austriache. I sopravvissuti rientrarono dopo il 1866 a seguito dell’annessione del Veneto all’Italia.
Secondo bando austriaco di chiamata al servizio militare del 15 Maggio 1860. Tra i chiamati Biffis Pietro originario di Mareno, abitante a Treviso che si era già rifugiato in Piemonte e arruolato nelle file dell'Esercito Sardo. Pagina 82
Fotografia della tabella allegata all'atto datato 30/11/1815 dell'Imperial Regio Governo conservato presso la biblioteca comunale di Treviso dove sotto il Distretto di Conegliano vengono elencati i Comuni di giurisdizione tra cui Maren con S. Michiele di Ramera e Soffratta Pagina 83
Il cambiamento effettuato dai Francesi e dagli Austriaci nei due decenni successivi alla caduta della Serenissima è stato radicale nell'organizzazione del territorio.
Attraverso i secoli ed i rapporti di potere che si erano creati tra le famiglie e gli abitanti, le città ed i villaggi si erano dati una regolamentazione e un assetto che la Repubblica di Venezia aveva di norma accettato, sempre che non fosse in contrasto col suo ordinamento ed i suoi interessi lasciando ampia autonomia alle comunità locali. Sul territorio si formarono così realtà molto diverse tra loro le quali rispetto alla precisa e rigida amministrazione napoleonica o austriaca non erano certamente un modello di organizzazione, nel senso moderno del termine. Col nuovo corso, il territorio era invece regolato in Province, Distretti e Comuni in cui operavano Uffici ordinati gerarchicamente. Pagina 84
Non bastava più avere antiche prerogative feudali o abitare nel territorio da molte generazioni per esercitare il potere locale. Adesso bisognava essere proprietari fondiari ed essere iscritti alle Tavole censuarie. La generalità del popolo che non aveva censo o ne aveva troppo poco, pagava comunque le tasse al Comune, ma restava esclusa dalla volontà politica e gestionale. Al Comune erano state definite in dettaglio le competenze. Le principali, per impegno finanziario, erano le acque e le strade, le opere pubbliche, la sanità, l'assistenza e l'istruzione e nelle città l'illuminazione. Anche le spese per gli edifici e le attrezzature scolastiche delle scuole elementari erano a carico del Comune così come gli stipendi degli insegnanti. Per questo motivo nelle piccole realtà come Mareno il primo livello di istruzione verrà svolto ancora per diverso tempo dai Parroci. Solo nel 1853 si hanno notizie di due scuole comunali con due insegnanti. Un altro campo dove il Comune era tenuto ad intervenire era quello militare in quanto doveva dare alloggio agli Ufficiali delle guarnigioni stabili, affittare case o in caso di necessità imporre addirittura l'ospitalità forzata agli abitanti. Nel contempo erano state abolite tutte le imposte e i dazi che non fossero stati previsti per legge. In questo modo il Comune non era più un'entità generica che agiva quando si presentava una problematica o una necessità ma un moderno ente pubblico con prerogative, doveri e un apparato burocratico disciplinato dalle leggi. Lo Stato organizzava nei minimi dettagli la struttura e le competenze amministrative dei vari Enti e Uffici ed interveniva direttamente in ogni ambito; ad esempio il Podestà o il Sindaco erano di nomina regia oppure del Prefetto, esecutore locale della volontà statale. Tutta la vita della società era pesantemente condizionata dalla Polizia Pagina 85
che teneva ogni cosa sotto stretto controllo al fine di prevenire ogni possibile pericolo, vero o presunto, per la sicurezza dello Stato. Durante il Regno Lombardo-Veneto l'organizzazione amministrativa era divisa tra l'autorità politica statale rappresentata dal Governatore, dal Delegato provinciale e dai Commissari distrettuali e quella di autogoverno locale con la Congregazione centrale, provinciale e le Amministrazioni comunali. I comuni vennero divisi in tre classi: 1° - capoluogo di provincia, 2° capidistretto e 3° - paesi minori. Il Consiglio comunale era composto da 60 membri a Venezia, 40 nelle città regie e capoluogo di provincia e 30 per gli altri comuni. Il Consiglio era designato dalle categorie economiche e approvato dall'autorità politica. A rappresentare il comune era il Podestà o il Sindaco a seconda della popolazione residente. Nei paesi più piccoli come Mareno esisteva invece un'assemblea delle persone che pagavano le tasse, il Convocato degli estimati, detta Deputazione comunale la quale era rappresentata da tre Deputati eletti dall'Assemblea. Gli affari del Comune venivano trattati in Consiglio ma nessun atto poteva essere assunto senza il benestare del Delegato provinciale o del Governo. In pratica il Consiglio comunale era solo un organo propositivo e le cariche municipali non erano retribuite con la sola eccezione del Podestà di Venezia . La sfera delle competenze comunali era ampia ad iniziare dalla costruzione e manutenzione delle strade, degli spazi pubblici, dei cimiteri, dei macelli. Il Comune si avvaleva dei propri Uffici per tenere aggiornata l'anagrafe della popolazione e riscuotere le imposte. Le Guardie comunali, l'attuale Polizia Locale, avevano compiti di supporto a quelli statali preposti all'ordine e sicurezza pubblica ma intervenivano direttamente nelle materie di igiene e sanità, annona, viabilità e prevenzione incendi.
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Cap. XI I SAVOIA E L'UNIFICAZIONE ITALIANA La dominazione austriaca continuò sino al 1866 quando, a seguito della 3° Guerra d'Indipendenza, il Veneto entrò a far parte del Regno d'Italia.
Il primo atto di adesione fu il plebiscito per l'annessione del 21 e 22 ottobre 1866, il quale ebbe in provincia di Treviso il seguente responso: Sì 84.526 - No 2 - Nulli 11. La votazione per le parrocchie di Mareno e Soffratta ebbe luogo dalle ore 8 alle ore 16 nel piazzale della chiesa di Mareno di Piave. Pagina 87
Il manifesto che chiamava al voto era firmato da Luigi Bidoli (di Pietro e di Chech Angela, nato nel 1812 e morto il 10/5/1886, sindaco nel 1871), da Francesco Vendrame (di Angelo e Spellanzon Anna, nato nel 1800 e morto l'8/1/1875) e da Giovanni Polacco di Bonaventura (conosciuto come Giovan Battista, nato nel 1808 e morto nel 1888, poi Assessore) e recitava così: Concittadini, richiamate alla memoria ancora una volta i dolori e gli oltraggi del dominio austriaco. Rammentatevi la nostra ferma volontà di scuotere il giogo, le perseveranti congiure, le continue proteste, alle quali si rispondeva colle persecuzioni e colle condanne, all'esilio, al carcere, al patibolo! Estremo sacrificio di sangue, la guerra nazionale raccolse i più eletti figli d'Italia intorno alla nostra bandiera decisi di vincere o di morire. Siamo usciti da tante prove col trionfo dell'indipendenza e finalmente anche i nostri oppressori ci riconoscono liberi. Ora siamo invitati alla finale dimostrazione di patriottismo la quale deve coronare tutte le aspirazioni del passato e consolidare i nostri sacri diritti. La Storia scriverà nelle eterne pagine i voti raccolti nella solenne giornata che inaugura la nuova epoca della conquistata libertà. La generazione, infelice per tante sventure, coglie alfine il frutto dei suoi lunghi dolori, radunandosi intorno alle urne dalle quali deve uscire la NAZIONE UNITA e la CORONA D'ITALIA pel primo soldato della nostra Indipendenza. Gli stranieri ci guardano contando i nostri voti, i posteri giudicheranno della nostra energia, anche da questa estrema protesta. Chi oggi manca al suo compito è un cattivo Cittadino, il suo nome non sarà iscritto tra i fondatori della nostra Nazione Italiana. I buoni cittadini accorrano alle urne a deporvi questa solenne parola scritta col sangue dei nostri martiri: SI! “Dichiariamo la nostra unione al regno d'Italia sotto il Governo monarchico-costituzionale del re Vittorio Emanuele II e de' suoi successori”. Li 19 ottobre 1866 VIVA L'ITALIA - VIVA IL RE La Rappresentanza Comunale Pagina 88
Il Parroco del tempo Don Biagio Dassiè affisse questo manifesto alla porta maggiore della chiesa del Capoluogo e in calce annotò che la votazione venne compiuta con voto unanime (per l'annessione all'Italia). E' interessante notare che questo anelito di unità nazionale è tutt'ora rimasto probabilmente nella memoria del paese con l'intitolazione di due strade, via Bidoli e via Polacco. Il condizionale si impone in quanto, a causa della distruzione dell'archivio comunale nel 1944, non è possibile rintracciare documentazione in proposito. Il Veneto venne quindi formalmente unito al Regno d'Italia con Regio Decreto n° 3300 del 04/11/1866. L'amministrazione piemontese prese il posto di quella austriaca con la “Legge per l'unificazione amministrativa del Regno” n°2248 del 20 marzo 1865, la quale conteneva le disposizioni che regolavano le province e i comuni e che venne estesa al Veneto col Regio Decreto n°3352 del 2 dicembre 1866. Successivamente con Regio Decreto n°4098 del 10/11/1867 Mareno cambiò il suo nome aggiungendovi “di Piave”. Le disposizioni della legge comunale e provinciale sopra citata, con tutta una serie di aggiornamenti che si sono susseguiti nel tempo, hanno regolato la vita amministrativa dei comuni fino alla caduta della monarchia sabauda e tuttora molte leggi sono ancora in vigore nell'ordinamento repubblicano. Pagina 89
Le vicende storiche delle nostre terre dopo l'annessione del 1866 registrano una disastrosa situazione economica aggravata ancor più dalle tasse imposte (tassa sul macinato e sul sale), la quale portò verso la fine del 1800 ad una grande ondata migratoria. Durante il Regno d'Italia, i cittadini eleggevano direttamente il Sindaco ed il Consiglio comunale fino al 21/04/1927. Da questa data il regime fascista modificò questo sistema e sostituì il Sindaco con il Podestà nominato dal Prefetto. Spesso a capo dei comuni si trovava un Amministratore nominato dall'alto, che non era del posto e non conosceva direttamente le dinamiche della comunità e del territorio. In questo modo si creava una barriera di diffidenza tra la pubblica amministrazione e la cittadinanza.
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PARTE IV
Al di sopra delle nazionalità: non ho mai amato nella mia vita alcun popolo o collettività … in realtà amo solo i miei amici e il solo tipo di amore che conosco e in cui credo è l'amore per le persone. H. Arendt
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Sono le classi economicamente dominanti che influiscono cosÏ nella designazione dei bisogni che devono essere soddisfatti dallo Stato ‌ come nella ripartizione del costo. E. Barone
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Cap. XII SITUAZIONE ECONOMICA NEL 1800 Durante il 1800 la situazione economica nella provincia di Treviso era in piena regressione a causa di un tessuto economico degradato e di una mentalità arretrata. Si potrebbe tentare di ricercarne le cause nello sfruttamento della terraferma operato nei secoli precedenti da Venezia e poi continuato con le successive dominazioni francese e austriaca. Sicuramente però la crisi arrivava da più lontano. Venezia non ha mai fatto una vera politica economica per la terraferma, vista solo come riserva di risorse da sfruttare al bisogno, ma si era sempre e solamente preoccupata della sua realtà commerciale a cui subordinava tutto il resto. Il tessuto produttivo si era perciò sempre più degradato ed era privo di quella forza necessaria per ammodernarsi. L'agricoltura era di gran lunga l'attività prevalente, mentre l'industria era quasi assente, spesso di dimensioni poco più che artigianali e concentrata nei centri abitati di maggiori dimensioni. Il ceto più povero sopravviveva alla giornata e la situazione precipitò quando furono tolte anche quelle minime protezioni assistenziali che nei secoli erano state garantite dagli ordini religiosi, soppressi a partire dalla seconda metà del 1700 dalla Repubblica di Venezia e poi da Napoleone Bonaparte. Da un lato queste riforme dettero inizio alla modernizzazione dello Stato e alla riduzione dell'influenza della Chiesa nella società ma dall'altro tolsero un aiuto indispensabile alle fasce più deboli della popolazione.
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A completamento di questo quadro a fosche tinte per le famiglie più povere, si aggiunse anche la trasformazione dell'assetto fondiario con il passaggio delle proprietà tra la vecchia classe nobiliare e quella nuova borghese emergente. Nel 1800 ci troviamo quindi di fronte ad un territorio destinato a coltivazioni per il puro sostentamento, con una pressione demografica crescente che non poteva trovare sbocco nell'agricoltura e tanto meno nelle rare imprese industriali. Nel 1886 vennero pubblicati i risultati di un'inchiesta sulle condizioni igienico-sanitarie nei comuni del Regno. Da questi dati si evince che le classi povere che vivevano in città aggiungevano alla polenta, piatto principale, anche il riso, i legumi, i formaggi e saltuariamente il pesce, mentre le famiglie rurali sopravvivevano solo con la polenta di mais o sorgo. Se a questo si sommano le pessime condizioni igieniche delle abitazioni e magari annate meteorologicamente sfavorevoli, troviamo la causa delle principali malattie del secolo: la tisi in città e la pellagra in campagna. In provincia le case coloniche erano spesso fatiscenti mentre ancora molte famiglie abitavano nei casoni. Immagine del Casone Badet che si trova in comune di Codognè (TV) ed è stato costruito verso la metà del 1800
Le autorità austriache nel 1816 avevano chiesto ai parroci notizie circa la situazione sanitaria e grazie a queste sappiamo che la pellagra colpiva circa la metà della popolazione rurale. Verso la fine del secolo in provincia di Treviso la situazione era leggermente migliorata anche se la malattia era ancora presente ovunque con percentuali dal 10 al 25%. Pagina 94
A Mareno di Piave, secondo uno studio fatto dall'Ateneo di Treviso nel periodo 1875-1877, la pellagra era “assai” diffusa. Nel 1886 a queste due patologie ormai endemiche si aggiunse il colera, anche questo legato alle pessime condizioni igienico-sanitarie ed alimentari. Per completare il quadro delle precarie condizioni delle famiglie contadine, dobbiamo ora accennare alle rigide norme che regolavano i contratti tra il proprietario e l'affittuario. Il raccolto del grano serviva come pagamento del canone dominicale, il vino e i bozzoli venivano venduti ed il ricavato diviso a metà, mentre il granoturco rimaneva per intero alla famiglia per il suo sostentamento. L'alimentazione veniva inoltre gravata dalla tassa sul macinato che si pagava quando il cereale veniva portato al mulino. Inoltre era consuetudine consegnare al padrone le cosiddette “onoranze”, animali da cortile allevati a questo scopo. La situazione diventava drammatica per le famiglie contadine quando l'annata veniva rovinata dal cattivo raccolto o dalle malattie. A partire dal 1850 la crittogama, la peronospora e la filossera decimarono la raccolta dell'uva e l'atrofia del baco da seta quella dei bozzoli. Le tecniche di coltivazione non si erano mai modernizzate e continuavano con gli stessi metodi usati nei secoli addietro. L'uso del denaro era scarsissimo e gli scambi avvenivano tramite il baratto. A fronte di un raccolto insufficiente si ricorreva agli usurai che anticipavano la fornitura dei cereali in cambio della cessione di una parte del futuro raccolto. Come logica conseguenza, la miseria nera e l'usura produssero su vasta scala il fenomeno dei furti campestri. In questa condizione, per i piccoli proprietari terrieri non era pensabile effettuare i dovuti investimenti per migliorare la quantità e qualità dei raccolti in modo da ottenere un reddito maggiore. Pagina 95
I grandi latifondisti, pur avendone invece la possibilità, si accontentavano del reddito fornito dalle loro terre. Si trattava di una economia che non era neanche completamente autosufficiente in quanto comunque si importava frumento e granoturco. Per le famiglie contadine la vita era durissima, stretta com'era tra un raccolto che, se portato a buon fine, consentiva la sopravvivenza quotidiana ed un padrone sempre pronto a reclamare il frutto del loro lavoro. Solo le ricerche di Giuseppe Pasqualis e di Antonio Carpenè iniziarono a portare rimedio a questa situazione. Il primo riuscì a produrre seme di bachi resistente alle malattie ed aprì a Vittorio Veneto il primo stabilimento bacologico. Antonio Carpenè inventò il sistema di spumantizzazione che rese pregiati e famosi i vini di Conegliano nel mondo. Assieme ad Angelo Malvolti fondò la prima casa vinicola e con la nascita della scuola di enologia a Conegliano nel 1876 vennero messi in commercio tutti quei prodotti che debellarono le malattie della vite, rendendo in questo modo certa la qualità e la quantità di questo prodotto così importante per l'economia della nostra zona. Le famiglie contadine non avevano altri mezzi per uscire da queste crisi in quanto le prime Società operaie di mutuo soccorso sorsero solo nella seconda metà dell'800 così come le Cooperative rurali cattoliche. Risulta evidente che una tale situazione fosse avvitata in una spirale perversa e che vi fosse una crescente agitazione nella popolazione rurale. La conseguenza della fame e della miseria fu l'emigrazione che raggiunse dimensioni grandiose in provincia di Treviso. Infatti si registrarono oltre 80.000 emigranti permanenti nell'arco degli anni tra il 1876 ed il 1901 a cui se ne devono aggiungere circa altrettanti di carattere stagionale, quasi un quarto dell'intera popolazione. Questo fatto contribuì positivamente alla soluzione delle problematiche sopra esposte in quanto allentò le tensioni sociali e successivamente le Pagina 96
rimesse di denaro degli emigranti consentirono un deciso miglioramento delle condizioni di vita delle famiglie rimaste.
LA PELLAGRA La pellagra (o peagra) è una malattia causata dalla carenza o dal mancato assorbimento di vitamine del gruppo B, in particolare niacina (vitamina PP), o di triptofano, amminoacido necessario per la sua sintesi. Questa vitamina è presente in genere nei prodotti freschi: latte, verdure, cereali. È una patologia frequente tra le popolazioni che facevano della polenta di sorgo o di mais il loro alimento base. I sintomi della pellagra sono la desquamazione, perdita della pelle delle mani e del collo, diarrea, perdita di appetito e di peso, lingua arrossata e gonfia, depressione e ansia. Particolare rilievo hanno i sintomi neurologici, che si manifestano inizialmente come una sindrome polinevritica con disturbi principalmente sensoriali. Risultano essere associati frequenti disturbi psichici (confusione e deterioramento intellettivo) e cutanei (eritemi ed eruzioni bollose). I sintomi della pellagra possono essere erroneamente interpretati come sintomi di una malattia mentale, e se non curato, questo disturbo può portare alla morte nel giro di pochi anni. Il primo e più grande pellagrosario d'Italia fu realizzato nel 1883 a Mogliano Veneto dal Sindaco Ing. Costante Gris (1842-1925)
Il nuovo Regno d'Italia inizia la sua esistenza con gravi difficoltà finanziarie. Man mano che il Piemonte annette i nuovi territori italiani, ultimo dei quali è il Veneto, si fa carico dei loro disavanzi finanziari, che complessivamente ammontano nel 1861 a 2.402 milioni di lire. Considerato il sistema rigido di bilancio usato fino a quel momento, si ritiene essenziale adottarlo anche ora che l'Italia è unita. E' quindi evidente che il maggior problema a cui deve dedicarsi il nuovo Stato, anche negli anni a seguire l'unità d'Italia, è raggiungere il pareggio di bilancio. Pagina 97
La situazione si presenta alquanto difficile considerata la mole delle necessità: le maggiori spese per la lotta contro il brigantaggio, la III guerra d'Indipendenza e la spedizione contro Roma (1869/1870), le spese aggiuntive per il doppio trasferimento della Capitale da Torino a Firenze (1865) e poi Roma (1871), le importanti ed indispensabili trasformazioni e riforme militari, per cui fu creato il nuovo Corpo degli Alpini, la riorganizzazione del Genio e dell'Artiglieria, l'introduzione dei Distretti Militari, la creazione di un nuovo Arsenale a Taranto. Tutto questo, ed altro, in un Paese arretrato in tutti i settori produttivi, con poche risorse di materie prime, con una industria agli inizi dello sviluppo e soprattutto con un alfabetismo di bassissimo livello. Nel 1871 il 68,8% della popolazione (61,8% maschi e 75,8% femmine) non sapeva né leggere né scrivere. Per tentare di porvi rimedio, i governi che si susseguirono aumentarono la tassazione fino ad arrivare nel 1868, con il Ministro Quintino Sella, ad introdurre la “tassa sul macinato”. Una tassa talmente invisa alla popolazione da creare diverse sommosse specie al Nord e nel Veneto. Era già stata istituita da Napoleone sessant'anni prima, ed anche a quel tempo suscitò indignazione e rivolte sanguinosamente represse. La stretta fiscale definita “fino all'osso” portò al pareggio il bilancio dello Stato del 1876, ma accentuò ancor di più le difficoltà di vita ed il degrado delle genti di campagna (la tassa venne poi abolita con il 1° gennaio 1884 ed il mancato introito fu coperto dall'aumento della tassazione di alcuni beni meno popolari come il caffè, l'alcool, lo zucchero, il petrolio). Pagina 98
Nel settennio 1881/1887 la base del reddito nazionale restava sempre l'Agricoltura, che con il 51,68% del prodotto lordo superava il prodotto industriale (20,72%) e le attività terziarie (27,59%) messe insieme, anche se i dati erano leggermente più favorevoli all'industria rispetto al decennio precedente (1871/1880). La produzione del grano, però, andava progressivamente diminuendo di anno in anno, mentre l'importazione dall'estero aumentava con grande dispendio per le casse dello Stato. La causa principale dei mali produttivi di grano in Italia proveniva dall'America, dove l'aumento considerevole delle terre coltivate a grano e l'aumentata capacità di trasporto terrestre e marittimo fecero abbassare il prezzo d'acquisto al di sotto dei nostri costi di produzione (il grano americano costava 30 lire il q.le nel 1881 e sole 20 lire il q.le nel 1885). Anche il prezzo del pane diminuì in proporzione favorendo certamente gli operai, i professionisti, gli impiegati, ma colpì duramente gli agricoltori, sia i proprietari che i mezzadri e affittuari, già al limite della sussistenza. Nel contempo, pur con tutti i decessi per malattie e denutrizione, la popolazione aumentava: da 27.059.000 di abitanti del 1871 (94 per Km quadrato) a 30.059.000 nel 1887 (105 per Km quadrato). L'insostenibilità della vita portò all'odissea dell'emigrazione; massiccia anche dal Veneto. Furono pagine tristi quelle scritte dai nostri emigranti nei Paesi d'oltremare, essendo quasi tutti analfabeti, poverissimi e privi di qualsiasi specializzazione. I Paesi d'oltremare che ne accolsero di più furono l'Argentina, gli Stati Uniti e il Brasile, mentre quelli europei furono la Francia, la Svizzera e la Germania. Lentamente, molto lentamente, e sempre con minor risultati rispetto alle altre nazioni europee, si sviluppa l'era industriale. L'emigrazione italiana all'estero ha rappresentato, tra l'800 e il '900 un fatto importantissimo che ha inciso profondamente sull'economia del paese. I dati attendibili inerenti si hanno dal 1876 con 19.756 partenze, mentre già nel 1879 erano 40.824. Pagina 99
Emigrazione italiana dal 1876 al 1948 Periodi
Per Paesi d'Europa Numero espatri
Media annua
Per Paesi extraeuropei Numero espatri
Media annua
Totale Numero espatri
Media annua
1876-1886
971.688
88.335
510.830
46.439
1.482.518
134.774
1887-1900
1.656.518
118.323
2.118.875
151.348
3.775.393
269.671
1901-1913
3.404.245
261.865
4.740.333
364.641
8.144.578
626.506
1914-1918
451.448
90.289
390.894
78.179
842.342
168.468
1919-1927
1.440.711
160.079
1.425.667
158.407
2.866.378
318.486
1928-1940
726.192
55.861
528.554
40.658
1.254.746
96.519
1946-1948
488.606
162.869
184.339
61.446
672.945
224.315
Le partenze continuano ad aumentare tanto che nel 1906 sono 787.977, raggiungono il vertice nel 1913 con 872.598. Allo scoppio della prima Guerra Mondiale viene emesso un decreto di sospensione dei visti per emigrare per tutti gli iscritti alla leva ed ai militari, cosicché poterono partire solo 479.152 soggetti. Con la guerra si chiude un periodo contrassegnato da un vero e proprio esodo. CRONOLOGIA DEI PAPI Leone XIII, di Carpineto Romano (Gioacchino Pecci), 3 marzo 1878 – 20 giugno 1903 Pio X Santo, di Riese presso Treviso (Giuseppe Melchiorre Sarto), 9 agosto 1903 – 20 agosto 1914 Benedetto XV, genovese (Giacomo della Chiesa), 6 settembre 1914 – 22 gennaio 1922 Pio XI, di Desio (Achille Ratti), 12 febbraio 1922 – 10 febbraio 1939 Pio XII, romano (Eugenio Pacelli), 12 marzo 1939 – 9 ottobre 1958 I RE D'ITALIA Carlo V d'Asburgo (1519-1556), l'ultimo imperatore del Sacro Romano Impero ad essere incoronato Re d'Italia nel 1530 Napoleone I Bonaparte, Imperatore dei Francesi dal 1804, incoronato re d'Italia nel 1805. Abdicò nel 1814 Vittorio Emanuele II di Savoia, 1861-1878 Umberto I di Savoia, 1878-1900
Vittorio Emanuele III di Savoia, 1900-1946 Umberto II di Savoia, maggio-giugno 1946 Pagina 100
Cap. XIII Iª GUERRA MONDIALE E CONSEGUENZE Ci si avvicina alla Grande Guerra e l'Italia è ancora molto indietro in tutti i campi rispetto alle altre nazioni europee. I dati sono chiari: il reddito medio per abitante era, tra il 1911 e il 1913, tenendo base 100, di 549 per gli Stati Uniti, 481 per la Gran Bretagna, 301 per la Germania e soltanto 158 per l'Italia. Siamo meno ricchi delle altre potenze, siamo un paese prevalentemente agricolo. L'industria è quasi tutta accentrata in Piemonte, in Lombardia, in Liguria e non all'altezza di quella europea, tranne che in alcune nicchie specifiche, mentre nelle altre regioni e nel Veneto la realtà è che si vive di agricoltura, anche se molto arretrata. Nel 1911 della gente occupata nei campi, circa 10 milioni di individui, il 2% sono proprietari, il 3,2% sono affittuari e mezzadri, il resto è formato da braccianti senza terra con moltissimi sottoccupati e disoccupati. Intanto i rapporti tra Italia e Austria si deteriorano sempre di più. Ci sono molte divergenze tra le due nazioni dovute principalmente all'espansionismo austriaco verso i Balcani e alla paura dell'Italia di perdere influenza in quei territori. Uno degli attriti più gravi è originato dai decreti Hohenlohe del 1913, con cui il Governatore di Trieste, principe Conrad Hohenlohe, applicando una legge del 1867, ormai in disuso, ordina il licenziamento di tutti i cittadini italiani dagli impieghi pubblici. Quando il 14 Giugno 1914 lo studente Gavrilo Princip, nazionalista serbo, uccide il Granduca Francesco Ferdinando d'Asburgo, nipote dell'Imperatore d'Austria ed erede al trono, e sua moglie Contessa Maria di Chotek, scoppia la guerra tra Austria e Serbia. L'Italia prende le difese della Serbia, alleandosi con Francia ed Inghilterra. Gravilo Princip
Nessuno pensò che fosse una cosa grave, invece quella che arrivò fu una vera catastrofe. C'era gente che voleva ardentemente la guerra per la liberazione di quelle terre considerate italiane fino allo spartiacque alpino, e Pagina 101
si sarebbe così completato il Risorgimento con l'unificazione dell'Italia. Molti non volevano la guerra e si batterono per quest'idea. Altri furono contro, poi furono a favore spinti da interessi i più diversi. In ogni caso la guerra arrivò e con essa morte e distruzione per la nostra terra. I GAS ASFISSIANTI Attacco austro-ungarico con i gas sul Monte S. Michele del 29/06/1916 che portò a morte oltre 5.000 soldati italiani in poco tempo. Le maschere
antigas,
purtroppo, non funzionavano. I gas impiegati erano sempre diversi e le protezioni erano sempre non adeguate e anche quando i gas non uccidevano, i soldati subivano atroci sofferenze. Il nemico poi si calava sulle trincee e con delle mazze ferrate uccideva tutti coloro che erano ancora vivi. Questi fatti contribuirono a costruire l'immagine del nemico crudele e assassino che non risparmiava neanche i feriti inermi.
Eravamo poveri, senza risorse, impreparati militarmente, con un'industria insufficiente e carenti in ogni settore dei mezzi adeguati per una guerra, eppure si mandò a morire la gente, ebbri dello spirito goliardico ottocentesco, con le vecchie tattiche, vecchie strategie, con le divise a colori e inadatte e le bandiere al vento, non accorgendosi o non volendolo fare che tutto era cambiato, superato. A dimostrarlo le nuove armi micidiali come la mitragliatrice, l'aereo, il gas, il sottomarino e i nuovi Pagina 102
cannoni contro cui si mandavano soldati impreparati e senza adeguate protezioni. Quando se ne avvidero era ormai troppo tardi e centinaia di migliaia di soldati mandati allo sbaraglio erano morti o feriti e la nostra terra completamente rovinata. Noi non vogliamo entrare in merito alle motivazioni pro o contro la guerra, desideriamo solo mettere in evidenza un paio di aspetti: i nostri soldati partirono, patirono e molti morirono consci e sicuri di fare il proprio dovere verso la Patria; la guerra si combatté per quattro anni in Veneto, e quindi sul nostro territorio, creando alle nostre genti indicibili sofferenze e distruzioni materiali e sociali. Mareno fu prima territorio vicino al fronte e transito di uomini e mezzi, poi nel 1917 fu invaso dal nemico dopo la ritirata da Caporetto e la vita si fermò. Gli Austro-Ungarici, che scarseggiavano di viveri e di ogni altra cosa e avevano in Patria grossi problemi di sussistenza a causa del blocco navale inglese, quando arrivarono rapinarono tutto quello che trovarono, viveri e beni materiali, lasciando la nostra gente spogliata di tutto e a morir di fame. Ci furono ordinanze del tipo: “Tutti i viveri sono sequestrati, ogni vendita è proibita. Sono pure sequestrati per conto dell'autorità militare tutti i foraggi, fieno, paglia, foglie di granoturco, frumenti di ogni genere, metalli, rame, zinco ecc, filature, tessiture, stoffe, pellami di ogni genere, olii e grassi, gomma, sughero, vini. La libera vendita del vino è proibita. Ogni cosa deve essere denunciata pena le sanzioni più gravi”. La ruberia fu completa. Si usarono i bozzoli come strame per i cavalli, si mandarono i cavalli a pascolare nei campi coltivati a mangiare il granturco fresco, che fermentava nello stomaco e provocò una vasta moria di quadrupedi. La fame assunse una gravità spaventosa. Da un ricordo giunto fino a noi: “Sono tanti mesi che si vive senza trovare nulla, perché negozi non ce ne sono più. Siamo senza pane, senza polenta, senza olio, lardo, Pagina 103
burro, medicine e medici. Non c'è possibilità di raccolto visto che il frumento è stato tagliato per darlo da mangiare ai cavalli. Le patate appena piantate sono state tolte dalla terra dai soldati e mangiate. I vecchi ed i bambini muoiono continuamente e le donne non hanno più lacrime per piangere”. La gente è costretta a mangiare l'erba e le radici più tenere; si crea un mercato delle ortiche, anche perché il Comando austriaco le paga a 10 centesimi al kg. quelle intere e 25 centesimi al kg. le sole “cime”. Fu una razzia spietata soprattutto da parte dei tedeschi, e così per un anno intero con la continua strenua lotta per nascondere qualche patata, un pugno di grano o qualcosa altro per sopravvivere. Potremmo scrivere un libro e più solo per raccontare le testimonianze giunte a noi, ma crediamo che quanto su esposto sia sufficiente per farsi un'idea della difficile vita vissuta in quel periodo dai nostri nonni.
Inoltre le persone che sono debilitate dal poco cibo ed i militari che vivono nel fango delle trincee si ammalano con facilità: “Numerose furono le vittime (militari e civili) causate da malattie in forma epidemica. Sottoposti a fatiche ed emozioni inconsuete gli organismi si indeboliscono e ci si ammala con più facilità. Durante il periodo bellico furono numerosi i perniciosi casi di colera, peste bubbonica, vaiolo (giunto dal Medio Oriente), tifo esantematico o petecchiale (trasmesso dai pidocchi), meningite cerebro spinale epidemica, malaria, tifo, tubercolosi e malattie intestinali diverse”. La peggiore fu la “influenza spagnola” che si propagò tra il 1918 e il 1919 in forma pandemica e provocò un numero di vittime assai elevato, nel mondo circa 20 milioni, in Europa circa 6 milioni. Pagina 104
L'INFLUENZA SPAGNOLA Il primo conflitto mondiale è vissuto dai contemporanei come un'immensa carneficina. Ma tra il 1918 e il 1919 il mondo è attraversato da una tremenda malattia, che nel giro di pochi mesi miete più vittime della guerra: la “spagnola”. Secondo le stime, le vittime della pandemia influenzale del 1918 sono venti milioni, forse di più (6 milioni solo in Europa). La strage è causata da un virus rimasto sconosciuto ancora oggi, che gli scienziati non riescono a isolare e che in quattro mesi contagia la metà della popolazione mondiale. Forse si tratta di un virus animale associato ad uno umano. Questa combinazione micidiale genera un altro virus in grado di colpire i polmoni degli uomini. Fra i tanti misteri che avvolgono la “spagnola” c'è anche quello della sua origine. Nonostante il nome la malattia non è originaria dalla Spagna. E' probabile che la prima manifestazione del virus sia avvenuta in Kansas (USA) all'interno di un sovraffollato campo militare. Nel marzo del 1918 vengono ricoverati 107 pazienti con i sintomi di una forte influenza. In breve il virus si diffonde nel campo, mentre i sopravvissuti sono mandati a combattere in Europa diffondendo la malattia. Misteriosamente come è arrivato il virus scompare senza lasciare traccie. Da alcuni anni si è tornati a studiare la “spagnola” a seguito del ritrovamento in Norvegia dei cadaveri di sei vittime dell'influenza sepolte oltre il Circolo Polare Artico e conservate dal clima freddo.
Le uniche pandemie
paragonabili a quella del 1918 sono la Peste dei tempi di Giustiniano (VI sec. d.C.) che sembra abbia ucciso 100 milioni di persone, e la Peste Nera del 1347/1350 che uccise 25 milioni di individui. Fra le inutili precauzioni contro la “spagnola” c'è anche quella di spargere disinfettante per le strade
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Nell'estate del 1918 l'esercito italiano e quello austro-ungarico si fronteggiavano sulle opposte rive del fiume Piave. La conformazione tipica del nostro territorio (vigneti, siepi di gelso, campi di mais e filari di acacia) rendeva difficili le osservazioni militari a terra. Per questo motivo venivano sfruttati tutti i punti del territorio più rialzati come i campanili e gli alberi più alti assieme alle ricognizioni aeree ed a quelle fatte dai palloni frenati. Il Comando austro-ungarico stava predisponendo sul fiume Monticano una seconda linea difensiva chiamata “del re” e sul ponte a Soffratta aveva installato una postazione di palloni frenati per l'osservazione della linea del fronte. Sempre a Soffratta, il palazzo Balbi da pochi anni passato in proprietà alla famiglia Paoletti, venne requisito ed utilizzato come magazzino e deposito di mezzi militari mentre nella vicina cappella venne insediata una birreria. Pallone frenato austriaco
Le zone a ridosso del fiume Piave furono sottoposte a feroci bombardamenti da parte dell'esercito italiano che fecero fuggire i civili e rasero praticamente al suolo interi paesi. Nella zona di S. Maria del Piave gli Austriaci installarono postazioni di mitragliatrici lungo la strada via Distrettuale, Ungheresca e Colonna. Furono inoltre scavate molte trincee le cui tracce sono visibili ancora al giorno d'oggi. Vennero realizzati anche bunker come quello vicino alla casa Doimo in via Grave oppure sotto l’edificio che si trova all'incrocio tra via Ungheresca Sud e via S. Michele. Il 27 ottobre l'esercito italiano e quello inglese lanciarono un attacco che riuscì scardinare la linea difensiva austriaca nel settore delle grave di Papadopoli. I giorni successivi, incalzato da italiani e inglesi, l'esercito austroungarico si ritirò sulla linea del Monticano dopo aver fatto saltare i campanili delle chiese di Mareno di Piave e Soffratta. Pagina 106
Truppe Italiane sul Piave
Così descrive i giorni della liberazione Don Antonio Turbian, parroco di Mareno: “Alla mezzanotte fra il 26/27 ottobre 1918 incomincia l'offensiva italiana sul Piave. L'allarme tedesco fu una vera rivoluzione in paese; i borghesi tutti si alzano. I tedeschi masticando “italiano bestia” abbandonano le nostre case per recarsi al fronte. Intanto il cannone tuona. Il giorno dopo, che era di domenica, una bomba piomba presso la chiesa e la casa canonica. L'Arciprete è costretto a ritirarsi in casa di Casagrande Domenico per essere fuori del tiro. Appena ritiratosi una bomba piomba sopra il tetto della canonica ed un'altra nel cortile. Nel pomeriggio il paese è diventato un vero campo di battaglia terribile e spaventoso. I parrocchiani corrono all'impazzata per trovarsi un luogo meno pericoloso. Che giornata! Alle 5,30 p.m. senza preavviso i tedeschi fanno saltare il Campanile che era costruito nel 1902. Il Presbiterio e la sagrestia diventano un mucchio di macerie. Il SS. Sacramento ed il simulacro della Madonna vi restano seppelliti. La lotta continua. I tedeschi vi oppongono disperata resistenza, ma alla sera del 28 ottobre i primi inglesi sono già in paese. Il giorno 30 il paese è completamente liberato.” Pagina 107
Passaggio del Monticano da parte delle truppe italiane
I primi a giungere furono gli Inglesi e dopo qualche ora gli Italiani. Erano tutti della 10° Armata che aveva l'operatività tra Ponte della Priula e Ponte di Piave. Furono fermati sul Monticano, tra Ramera e Cimetta dagli Austriaci trincerati in una strenua e sanguinosa difesa che durò due giorni. Le nostre truppe superata la difesa poterono poi proseguire verso Vittorio ed il Friuli.
Per i Marenesi la guerra finì. Si chiude quest'anno terribile e spaventoso di dura dominazione austro-tedesca con 95 morti in parrocchia, 39 fuori parrocchia, e solo 30 nati. Tutto il paese è disseminato di sepolture di soldati morti: tedeschi, inglesi, italiani. Tra i diversi ospedali da campo presso l'asilo e le vecchie scuole, questo è posto nella casa dei f.lli Vendrame Girolamo e Luigi in via Molino
La torre campanaria della chiesa fu costruita nel 1902 e durò fino alla sera del 27 ottobre 1918 “quando le retrovie austriache in ritirata minarono il campanile, che nella rovina cadde sul presbiterio e la sagrestia, rovinando ogni cosa”. Pagina 108
“DEN FUR IHR VATERLAND GEFALLENEN ERRICHTET IM JAHRE 1918” Lapide del cimitero tedesco davanti al Cimitero civile di Mareno di Piave
“MORTUIS PRO PATRIA ERECTUM A.D. 1918” Lapide del Cimitero Militare italiano posta davanti al Cimitero civile di Mareno
Esistevano quattro cimiteri militari: uno davanti al cimitero comunale, il secondo vicino al cimitero comunale nel campo del Sig. Pancotto Francesco di Ceneda, il terzo presso l'Asilo Pio X°, il quarto poco più in giù nel campo di Biffis Giuseppe. Passato l'argine del Piave in fondo alla parrocchia, davanti alla distrutta casa Tonon, gli Inglesi allocarono un cimitero per i loro caduti.
Cimitero militare inglese a Tezze di Piave
I caduti La guerra costò alla provincia di Treviso circa 15.000 morti di cui 5.000 circa civili. I profughi censiti a Mareno sono stati 227. I deceduti furono a Mareno 55, a Soffratta 40, a Ramera 32, a Santa Maria 12. Con l'affondamento del piroscafo Principe Umberto, silurato nel basso Adriatico nel 1916, perirono cinque soldati marenesi ricordati nelle lapidi dei Monumenti ai Caduti: Capt. Giovanni Pellizzon, Capt. Giuseppe Prizzon, Sold. Giuseppe Pase, Sold. Giuseppe Boscariol e Sold. Giuseppe Zanardo → Pagina 109
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IL VALORE DEI MARENESI NEL CONFLITTO '14-'18
BARRO GIUSEPPE La lotta nella zona del Cristallo si acuì con l'attacco iniziato all'alba dell'11 settembre 1915. Una compagnia del Battaglione “Cadore”, partita da Tre Croci e superato il Somforca, risalì la Grava di Staunies e raggiunse Forcella Grande, Malgrado la nebbia gli Alpini si portarono avanti e una squadra attaccò la cresta occupata dagli Austriaci, ben celata e protetta dalle artiglierie, e dopo aver travolto le posizioni di guardia assaltarono di sorpresa un ridotto e si impadronirono della Cima. Gli austriaci reagirono furiosamente con i cannoni e gli alpini tentarono di ripararsi scavando con le baionette la neve. In quel nucleo di prodi c'era l'alpino Giuseppe Barro di Mareno di Piave, che era giunto spontaneamente dall'America allo scoppio del conflitto. Per questa azione si era offerto volontario contribuendo notevolmente alla conquista della posizione prima, poi avanzando ulteriormente per inseguire gli avversari finchè cadde colpito a morte. Il suo corpo non venne mai ritrovato. Alla sua memoria venne conferita la medaglia di bronzo.
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POLACCO LUIGI CASIMIRO Nato a Soffratta di Mareno il 4/3/1886 – Morto il 18/12/1949 Promosso Maresciallo capo per merito di guerra per le azioni condotte alla guida del suo plotone nel maggio del 1913 in Cirenaica, il sottotenente Luigi Casimiro Polacco, da Mareno di Piave, si distinse più volte sulla contesa posizione di Monte Pal Piccolo. Meritò la medaglia di bronzo il 14 giugno 1915, un encomio solenne il 30 luglio dello stesso anno (commutato in Croce al Valor Militare), e altra medaglia di bronzo nei giorni 26 e 27 marzo 1916. Luigi Polacco, che fu successivamente in Albania fino al 1920, venne collocato a riposo nel 1940 col grado di Tenente Colonnello. Tra le altre decorazioni, oltre a quelle già menzionate, vanno ricordate due Croci di Guerra al Merito, la Croce d'Oro di servizio (1924), la Croce con Corona Reale (1938), le insegne di Cavalierato (1933) e di Cavaliere Ufficiale (1940).
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BIFFIS PIERO Piero Biffis, nato a Mareno di Piave il 20 Maggio 1883, si è laureato in medicina a Padova prestando poi servizio all'ospedale di Torino in qualità di assistente di patologia speciale medica. All'inizio delle ostilità si trovava già mobilitato alla 268ª compagnia del battaglione “Val Piave”, e partecipò ai combattimenti di Forcella Lavaredo, di Monte Paterno, di monte Piana, della Dreizinnenhutte e, dal 17 al 29 agosto 1915, al Toblingher Riedel e Sexstenstein, dove meritò la prima medaglia di bronzo per aver ripetutamente prestato la sua opera di medico sulla linea di combattimento, calmo ed incurante del fuoco che vi imperversava. Dopo essere stato sul Monte Cengia, sul Forame, sul Monte Cristallo, ed aver infine combattuto al Passo del Fadalto, dal dicembre 1917 al febbraio 1918 Biffis Pietro svolse l'incarico di dirigente del Servizio Sanitario del XII Gruppo Alpini sul Monte Grappa, all'Assolone e sul Monte Oro. Tra marzo e maggio 1918 fu comandato all'Università di Torino per l'istruzione degli studenti di medicina. Dal giugno a dicembre fu dirigente del Servizio Sanitario del XIII Gruppo Alpino col quale prese parte ai combattimenti sul monte Altissimo, in Val Lagarina, nuovamente sul Grappa (in particolare ai Solaroli, sul Valderosa, a Col dell'Orso, a Monte Fontanasecca), continuando a comportarsi valorosamente anche nella dura avanzata per Val Seren fino a Feltre e Pagina 113
giustamente meritando la seconda medaglia di bronzo. Nell'ottobre 1918 gli venne conferita anche la Croce Militare Inglese. Libero docente all'Università di Torino nel 1921, nel seguente anno il Prof. Biffis, che fu pure Deputato al Parlamento, divenne primario della 2° Divisione medica dell'Ospedale Civile di Treviso. Partecipò alla Campagna d'Africa quale Maggiore e poi Tenente Colonnello, ottenendo una ricompensa al Valor Militare. Dopo essere stato insignito dell'onorificenza di Cavaliere Ufficiale della Corona d'Italia, nel 1936 venne nominato Commendatore dell'Ordine Coloniale della Stella d'Italia. Rientrato dall'Africa riprende il suo lavoro come Primario presso l'Ospedale di Treviso, dove muore, per cause di guerra, il 24 aprile 1937.
BIFFIS ANTONIO Nato a Mareno 28/5/1881 - Morto 18/4/55 Allo scoppio della guerra, non essendo stato richiamato benché mobilitato e assegnato al 7° Reggimento Alpini con il grado di Sottotenente, partì volontario. Incluso momentaneamente nel Battaglione “Val Natisone” dell'8° Reggimento Alpini, sull'Altipiano di Asiago in località Sette Comuni, il primo luglio del 1916 venne mandato con i suoi uomini all' attacco di un saliente trincerato austriaco, posto in posizione più elevata, in pieno giorno, nel pomeriggio. Pagina 114
Inutile fu lo slancio e la volontà, vennero tutti falciati dalle mitragliatrici. Ferito 4 volte cadde e rimase prima svenuto e poi immobile sul terreno scoperto fino a notte inoltrata quando venne recuperato dal servizio sanitario (i nemici sparavano anche sui feriti che si muovevano o chiamavano aiuto, per poter colpire anche gli eventuali soccorritori). Gli venne conferita la Croce al merito di Guerra (Decreto Ministeriale del 10.10.1918) e fu autorizzato a fregiarsi del Distintivo d'Onore (Circ. 182 del 9 Marzo 1917). All'ospedale, dopo le operazioni subite, gli fu data una delle pallottole tolte dalla schiena a ricordo della fortuna avuta (archivio privato). L'appartenenza al 7° Regg. degli Alpini è sempre stata sentita con fierezza; partecipò a tutti i raduni alpini finché la salute lo permise. Nel 1925, insieme ad altri commilitoni, contribuì alla fondazione del Gruppo Alpini di Conegliano. Apre la filiale della Banca Cattolica del Veneto a Mareno di Piave e poi a Vazzola. E' nominato Podestà nel 1926 fino al 1933, poi facente funzioni fino al 1937. Nel 1933 riceve la nomina di Cavaliere della Corona d'Italia. E' volontario in Africa nel 1936/1937 come Primo Capitano e aiutante maggiore del X° Raggruppamento Speciale. Durante il periodo africano, per mantenere vivi i cordiali rapporti con i suoi paesani, intrattiene una corrispondenza con ben 553 capifamiglia (copia degli scritti in archivio privato), e dispone, per sua salvaguardia, che la corrispondenza con la sua famiglia e sua moglie sia recapitata a Cimadolmo, presso un suo cognato, perché si era accorto che le autorità marenesi del partito aprivano e leggevano la sua corrispondenza. Avendo giurato sulla bandiera sabauda al momento della nomina ad Ufficiale degli Alpini nel 1916, ritenne di non poter giurare ulteriormente né per la Repubblica di Salò nel 1944, né per la Repubblica Italiana nel 1946. Pagina 115
Mitragliatrice Fiat Revelli mod.1914, calibro 6,5 con caricatore da 50 colpi, è raffreddata ad acqua ed ha una cadenza di tiro di 200 colpi al minuto.
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Sopra: il celebre triplano Fokker Dr I del “Barone Rosso” Manfred Von Richthofen, asso tedesco sul fronte occidentale.
A sinistra: Francesco Baracca, l'asso italiano
Sotto: Bombardieri
italiani
“Caproni” del 1915
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biplani
trimotori
“Dirigibile” o aeronave della classe “M” di tipo semirigido partecipò a 600 azioni di guerra per la Marina e l'Esercito.
Magro Ruggero il primo pilota marenese nato a Mareno di Piave il 20/09/1892 – morto il 20/03/1968
Magro Ruggero, figlio di Giovanni e Michielon Chiara, era un giovane avventuroso che all'inizio della I Guerra Mondiale è entrato nella “Giovane Arma Aeronautica”. Benchè sott'ufficiale (i piloti erano quasi tutti ufficiali provenienti dall'Esercito) si iscrisse al “Battaglione Scuole Aviatori” e conseguì il brevetto di pilota di primo grado (n. CMXVIII - 918) nel 1916 su un aereo “M. Farman”.
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A quei tempi per volare bisognava essere disponibili a svolgere incarichi diversi, così anche Ruggero fu di volta in volta cacciatore, bombardiere o anche solo osservatore. Combattè per tutto il periodo della guerra e nel 1919 venne congedato. Necessità di vita e traversie varie lo tennero lontano dagli aerei, avendo però sempre uno struggente desiderio di riprendere a volare. L'occasione si presentò dopo 50 anni quando un vecchio amico, il Presidente dell'Aero Club di Treviso, gli ha fatto riassaporare la gioia del volo su un aereo da turismo, sul campo di volo di S. Giuseppe.
Aereo M.Farman del 1914 con a bordo Magro Ruggero durante il volo per il brevetto nel 1916
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Autoblindo italiana Lancia Ansaldo IZ con una mitragliatrice nella torretta circolare.
Autocarro italiano Fiat 18 BL con motore a benzina da 40 cavalli. La velocità massima è di 22 km orari, capacità di carico 40 quintali.
Il primo carrarmato, il Mark 1 inglese Pagina 120
L’amore supera tutti gli ostacoli E' una storia accaduta durante la prima guerra mondiale in un piccolo borgo di campagna poco fuori Mareno di Piave. Nelle retrovie le giornate delle famiglie venivano scandite dal duro impegno per la sopravvivenza. Ma niente può fermare i sentimenti che legano le persone e quindi anche in questa drammatica situazione emerge la più potente forza umana, l’amore. Nel borgo Dall'Armellina viveva la famiglia di Dall’Armellina Maria Italia, figlia di Dall’Armellina Vittorio e Biffis Marina, nata il 15 febbraio 1900. La guerra vede Maria nel fiore della gioventù e il caso vuole che nel 1917 passino nel borgo dei soldati austro-ungarici comandati dall'ufficiale Josef Carel Smidek. Il fascino dello straniero in divisa, con modi eleganti ed affabili conquista il cuore di Maria. Anche l’ufficiale rimane colpito da lei e nasce così quel filo invisibile che lega per sempre le vite di due innamorati. La famiglia di Maria è però contraria alla relazione perché l’ufficiale austro-ungarico è il simbolo del nemico che ha sparso lutti e rovine. Ma la forza del loro legame è tale che le pressioni familiari non riescono ad intaccare l’amore di Maria per Josef. Intanto la storia scrive la parola fine all’impero austro-ungarico e così Josef prima di partire per la ritirata promette a Maria di ritornare e di sposarla. Terminata la guerra Josef torna in Italia dove combatte contro il Parroco ed il Vescovo che pretendono il rispetto delle regole canoniche. Alla fine, vinte le ultime resistenze, il 9 ottobre 1919 Maria e Josef si sposano e immediatamente si trasferiscono in Cecoslovacchia che nel frattempo è diventata uno stato indipendente. Il nuovo governo però non vede di buon occhio quelli che hanno seguito fino in fondo il loro giuramento di fedeltà all’Impero austro-ungarico come ha fatto Jozef. La loro vita si svolge ai margini della società fino al 1938 quando le truppe tedesche occupano il loro paese. Josef viene imprigionato, ma, riconosciuta la sua appartenenza all’esercito austro-ungarico e la conoscenza del tedesco, viene impiegato come interprete. Le leggi razziali entrano in vigore anche in Cecoslovacchia con tutta la loro devastante crudeltà travolgendo ebrei, zingari e le persone diverse. Anche Maria viene scaraventata in questa follia e deve dimostrare di non essere ebrea. Inizia allora, da parte della sua famiglia in Italia, un’affannosa ricerca genealogica i cui risultati esibiti alle autorità naziste le evitano il destino di essere internata in un campo di concentramento. Ma le traversie di Maria e Josef non sono ancora finite perché dopo l'invasione tedesca, nel 1948, ci fu quella dell'Armata Rossa e l'ingresso della Cecoslovacchia nel blocco comunista del patto di Varsavia. Anche questa nuova situazione non è favorevole alla famiglia Smidek che viene nuovamente emarginata in quanto Josef ha lavorato con i tedeschi. Una sorte peggiore tocca al loro figlio Josef jr. che svolgeva la professione di giudice: viene arrestato e internato in un campo di concentramento. In questi anni Josef e Maria sono riusciti a venire in Italia qualche volta, ma da soli perché i figli erano trattenuti in Patria in ostaggio, per evitare fughe all'estero. La loro è stata una vita tormentata, ma piena d'amore. Pagina 121
Cap. XIV IL PRIMO DOPOGUERRA 4 Novembre 1918 La guerra è finita e con l'esercito liberatore arrivano viveri ad alleviare in parte la fame. La gioia è incontenibile, finisce infatti l'incubo dell'invasione austro-germanica e arriva la possibilità di conoscere la sorte dei soldati partiti per il fronte e dei prigionieri. Pian piano si fa la conta di chi è rimasto, dei danni, dei lavori da fare, dei pochi viveri rimasti per tirare avanti in attesa della nuova produzione agricola. L'esercito per un breve tempo aiuta, ma vige la massima “aiutati che Dio ti aiuta”. Arrivano a casa i soldati segnati nello spirito e molti anche nel corpo. Al fronte, nelle trincee, sono stati vicini a migliaia di altri soldati provenienti da tutta Italia. Hanno parlato, gioito, pianto, patito insieme e molti sono morti insieme. Si è creato un legame tra loro, hanno parlato molto anche del dopoguerra, della vita difficile, delle ineguaglianze e di ciò che pensano essere i soprusi patiti. Si diffondono idee ed aspettative di rinnovamento, di miglioramento della vita sociale, di uguaglianza, di una più equa ripartizione delle poche ricchezze. Una delle idee che più circola, anche nelle campagne tra coloro che sono a casa, è che la terra diventi proprietà di chi la lavora. Gli Austriaci, per far lavorare i contadini favoriscono e rafforzano questa convinzione aggiungendo che ai proprietari che sono sfollati non sarà concesso il ritorno a casa. L'euforia per la fine della guerra dura poco. La gente si guarda intorno e vede i danni da riparare. Si aggiungono la disorganizzazione, la fame, le malattie ed il collasso delle Istituzioni e delle strutture Pagina 122
amministrative obsolete (tra il 1913 e il 1920 la produzione di beni è diminuita del 25% circa). Finita l'invasione e forti delle nuove idee, i contadini ora chiedono quello che credono essere un loro diritto. Grande è la disillusione quando, rientrati i proprietari, ogni cosa ritorna come sempre è stata. Durante il periodo bellico inoltre molte donne entrano nel ciclo lavorativo al posto degli uomini partiti per la guerra. Adesso molti di questi uomini non hanno più il posto di lavoro. A questo malcontento si aggiungono un milione circa di mutilati, gran parte dei quali vive ai margini della sopravvivenza e quindi pronti e capaci di contestazioni organizzate. In questo momento la crisi economica italiana è gravissima ed i debiti con l'estero ingenti. Cominciano in grande stile le sommosse, gli scioperi, le violenze a cui il Governo fa fronte chiedendo ed ottenendo massicci prestiti da Inglesi e Americani che permettono di acquistare grano (la produzione di grano era diminuita di un quarto per motivi bellici), e materie prime per le industrie e la loro riconversione a produzione civile. L'inflazione però aumenta continuamente ed il potere d'acquisto diminuisce, da qui la necessità di pensare a provvedimenti utili a fermare questa spirale distruttiva: la difesa della lira, la battaglia del grano, i grandi lavori pubblici. (l'indice del costo della vita pari a 100 nel 1913, nel 1923 è di 480/500 e nel 1926 di 657). Per acquistare una sterlina nel 1925 ci vogliono lire 145 e all'inizio del 1926 ce ne vogliono 154 di lire.
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A questo si aggiunge un crollo della Borsa e si scrisse “... si poté temere che una immane tragedia, simile a quella vissuta da altri paesi, stesse per essere inflitta al popolo italiano...” La lira, a quota 90 fino al 1922, era balzata in alto aumentando ancora l'inflazione in modo preoccupante. Si prese la decisione di risanare la lira e la notizia ebbe un effetto drastico sul mercato finanziario. Nel dicembre 1926 una sterlina valeva 107 lire e nell'Aprile successivo appena lire 86. Nel dicembre 1927 fu fissata una quotazione stabile di lire 92,46 per una sterlina, 19 lire per un dollaro. Le conseguenze furono catastrofiche. Molte aziende chiusero, altre fecero orari dimezzati e le paghe dei dipendenti furono decurtate fino al 20%. Meno denaro e meno potere d'acquisto impoverirono ulteriormente i lavoratori. Si maggiorarono i dazi doganali e si obbligarono per legge tutti gli Enti Pubblici ad acquistare solo materiale prodotto in Italia. Fu aumentato anche il dazio sul frumento diminuendone così l'importazione (lire 27,50 il q.le nel 1925, lire 40 nel 1928, lire 75 nel 1931). Le misure drastiche adottate portarono ad un impoverimento generale molto marcato, ma diedero impulso ad un barlume di ripresa per tutto il 1927 che continuò anche nel 1928. Si cominciava a tirare un sospiro di sollievo quando arrivò dall'America il crac finanziario del 1929 che annullò in parte gli effetti positivi raggiunti. Si varò ”la battaglia del grano” per raggiungere l'autosufficienza che ebbe buoni risultati all'inizio, ma che poi dimostrò il suo limite dato che ci si basò sulla quantità e non sulla qualità (più rendimento per ettaro), non utilizzando concimi in quantità sufficiente ed estendendo le colture in terreni antieconomici e a discapito di colture (vite, olio) che avrebbero reso di più. Mentre l'agricoltura annaspava per dare da mangiare a tutti, l'industria progrediva pian piano sviluppando l'elettrificazione del paese; fu istituita l'Anas con il compito di costruire strade e ponti, la rete telefonica, gli acquedotti, le ferrovie, e bonificare i terreni acquitrinosi. Per salvaguardare i bambini e le mamme fu istituita l'Opera Nazionale per la protezione della maternità e la crescita dei nuovi nati. Pagina 124
E' un periodo in cui, per coprire le gravi e reali carenze esistenti, si crea l'illusione di essere una potenza planetaria e lo si dice con grande e martellante pubblicità. Le trasvolate aeree che riscuotono applausi in tutto il mondo, la conquista del “Nastro Azzurro” nell'attraversare l'Atlantico con una nostra nave, l'avventura dell'Impero per poter esportare manodopera ed alleggerire l'Italia di bocche da sfamare. Tutti avvenimenti che infiammano gli animi. Si arriva a dire degli Inglesi, diventati ora il nemico: “... siano stramaledetti gli Inglesi, popolo di debosciati che mangia 5 volte al giorno”, cercando di far dimenticare alla nostra gente che da noi non si mangiava a sufficienza. Il desiderio di vivere però è sempre grande, come pure la voglia di lavorare e la speranza non muore mai. A Mareno si vivono tutte le sofferenze e le difficoltà del territorio. Non ci sono industrie, ci sono pochi artigiani e tanti contadini che vivono nei borghi con le loro famiglie numerose. Si cerca di essere autosufficienti per quanto possibile adottando spesso il baratto al posto del denaro che scarseggia. Con fatica e tanta buona volontà si iniziano a riparare i danni agli edifici pubblici e privati. Nel dicembre 1918 con l'aiuto del 6° Reg.to Alpini si sgomberano le macerie della Chiesa e del campanile, mentre militari della 24° zona del Genio costruiscono un baraccamento in legno per proteggere provvisoriamente la Chiesa dalle intemperie. Pagina 125
A Mareno di Piave nel novembre del 1919 si inaugura il Monumento ai Caduti che viene collocato nel vecchio cimitero vicino alla Chiesa. Vengono anche poste a dimora le tre campane depredate dagli austriaci in ritirata. Nel 1921 finalmente si può provvedere all'ampliamento della Chiesa ed alla costruzione del campanile. Si costruiscono baracche in legno per i” meno abbienti”, piazzandole nei posti più impensati. Le ultime rimaste saranno smantellate negli anni 60. Tra il 1928 ed il 1932 si costruisce la Chiesa di S. Maria del Piave.
Viene costruito il ponte detto “Zanardo” sul Fiume Monticano a Soffratta e risistemato l'Asilo di Mareno di Piave. Vengono anche realizzati la nuova piazza vicino alla Chiesa del capoluogo (denominata piazza Vittorio Emanuele) e il Parco della Rimembranza, dove il Monumento ai Caduti è spostato dalla vecchia sede. Le spese vengono coperte in parte con i contributi dello Stato; il resto viene raccolto con “collette” tra i cittadini. Spesso per completare i lavori, non essendo sufficiente quanto raccolto, interviene il Podestà che copre i disavanzi con denaro proprio. Pagina 126
Rimborsi per la ricostruzione In Provincia di Treviso 28 Comuni furono completamente distrutti o gravemente danneggiati. La ricostruzione iniziò subito alacremente, ottenendo risultati apprezzabili. Il denaro venne anticipato dalle banche locali con cessione dei crediti verso lo Stato. L'unica azienda (principalmente nel Comune di Susegana) che non venne risarcita fu quella del Conte di Collalto, cittadino austriaco, che rimase incolta. Dopo la protesta della popolazione agricola e le sobillazioni di agitatori politici, il Commissariato governativo deliberò la ricostruzione di 130 case coloniche completamente distrutte. Il tutto venne messo in carico all'azienda Collalto.
Chiese e Campanili ricostruiti Ricostruzione campanile in frazione Soffratta Riatto chiesa e campanile del capoluogo Riatto chiesa frazione Soffratta
Lire Lire Lire
91.350 330.000 14.900
Totale
Lire
436.250
Fabbricati che hanno avuto finanziamenti per i danni di guerra a fine 1922 Fabbricati n. 22 per un importo di Riatto n.3 fabbricati della Congregazione di Carità di Conegliano in Mareno Riatto passerella sul Monticano
Lire
594.506,30
Lire Lire
19.800,00 4.008,65
Persone di Mareno “requisite” dal nemico per lavori militari per lavori agricoli inviati in Austria e Germania Pagina 127
250 500 300
Giuseppe Mantese Giuseppe Mantese nasce il 14 ottobre 1848 e sposa Scrizzi Maria. Acquista il palazzo dominicale costruito dalla famiglia Lavezzari che si trova vicino a Villa Donà delle Rose e viene eletto sindaco dal 1899 al 1916. Durante questi anni realizzò diverse opere pubbliche che sono riassunte nel testo di un manifesto redatto a suo favore in occasione delle elezioni che si tennero nel 1914. Elettori del Comune di Mareno di Piave Ricordare le benemerenze di chi indefessamente e premurosamente ha prestato per 15 anni consecutivi l'opera sua a vantaggio del nostro Comune, quale Sindaco, è dovere di tutti gli amministrati, i quali, specie in questo momento, devono sentirsi spinti dal sentimento della riconoscenza, accorrendo numerosi alle urne per dare il loro suffragio al cav. Giuseppe Mantese, e agli altri componenti l'amministrazione comunale in cui si impersonificano i grandi vantaggi morali e materiali, di cui oggi il nostro Comune risente i benefici che vanno così riassunti. Nei 15 anni del suo ministero, il Sindaco Cav. Giuseppe Mantese, coadiuvato dalla Giunta e dal Consiglio, appianò irregolarità amministrative, e sistemò le finanze del Comune in modo da pareggiare i debiti che gravavano sul bilancio, e chiudere l'ultimo consuntivo con un avanzo di L.5.500. Avendo speso L. 15.000 per la costruzione del ponte di Soffratta sul Monticano. Diede corso alla costruzione del campanile di Mareno, concorrendo colla spesa di L.3.000, e al restauro della casa canonica, questa e quello di ragione comunale. Vennero costruiti dal Comune, e senza sussidio governativo, quattro nuovi fabbricati scolastici, rispettivamente a Mareno, Soffratta, Ramera e in località Tron. Va ricordato il Lazzaretto, che costò al Comune la somma di L. 4.000 circa. Avanti che il torrente Monticano passasse fra le opere idrauliche di II categoria, due rotte furone ostruite, e alcuni manufatti vennero sistemati a cura e spese del Comune. E con tutto questo, il bilancio comunale – come sopra è detto – presenta un utile di L.5.500. Ed è unicamente all'interessamento spiegato personalmente dal Sindaco cav. Mantese, appoggiato dall'amministrazione comunale, nel non interrotto decorso di dieci anni, se oggidì il torrente Monticano è passato fra le opere idrauliche di II categoria, che è quanto dire che ogni e qualunque spesa di espropriazione ricostruzione e manutenzione degli argini è a carico del Governo per una spesa approssimativa di due milioni. Il sindaco Cav. Mantese ha incontrato di propria tasca tutte le spese inerenti (quelle di viaggi comprese), sostenute lunghe pratiche e brighe per conseguire lo scopo. Si può pertanto concludere che, a questo riguardo, il nostro territorio è stato salvato così da un flagello tanto pernicioso all'agricoltura. Ammiratori pertanto dei benefici che oggidì risente il Comune dall'amorosa, proficua e intelligente opera del sindaco Cav. Mantese e dei suoi collaboratori, il suo nome specialmente deve essere tenuto presente nelle elezioni di domenica 19 corr. dagli elettori coscienziosi ed onesti, in prova di gratitudine e di riconoscenza, e pel benessere del Comune. Mareno di Piave, 17 luglio 1914 Un Gruppo di Elettori del Comune Pagina 128
La figlia Celia Anna sposò il Conte Mario Agosti e dal matrimonio nacquero due figli Luigi e Giuseppe i quali durante la lotta di resistenza, entrarono a far parte della Brigata partigiana “Piave” e furono uccisi nel comune di Refrontolo nel mese di ottobre 1944. Giuseppe Mantese muore l'8 luglio 1924 ed è sepolto nella tomba di famiglia nel cimitero di Mareno di Piave. A suo ricordo è stata intitolata la strada comunale che conduce a S. Maria del Piave e che passa davanti alla villa ancora oggi ricordata come Mantese. Questa cartolina datata 3/7/1917 raffigura il fabbricato scolastico di Mareno di Piave, opera realizzata durante il periodo in cui fu sindaco Giuseppe Mantese
In questa fotografia si vede la Villa Mantese com'è al giorno d'oggi
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Pellizzon Eugenio Il nome di Eugenio Pellizzon (1848/1934) si trova di frequente nei registri di stato civile della seconda metà del 1800 dove viene indicato come testimone e di professione maestro. Dal matrimonio con Zanardo Maria Elisabetta (1863/1942) nascono Giovanni Ferdinando (1890/1916), Ettore Ferdinando (1895/1933) e Ferdinando Domenico (1899/1974). Giovanni intraprende la carriera militare, Ettore segue le orme paterne dell'insegnamento mentre Ferdinando svolge la sua attività professionale nel settore del turismo, commercio e bancario. Eugenio Pellizzon ha insegnato per quarant’anni nella scuola elementare a Mareno di Piave e per questo motivo ha ricevuto in data 01.02.1917 il Diploma di Benemerenza con facoltà di fregiarsi della medaglia d’oro. Nella foto a lato vediamo in primo piano Eugenio Pellizzon con la moglie Zanardo Maria Elisabetta mentre alle spalle i figli Ferdinando (dietro la madre) ed Ettore (dietro il padre)
Pellizzon Giovanni Pellizzon Giovanni nasce a Mareno di Piave il 06/02/1890 e muore l’8/6/1916 in Adriatico a seguito dell’affondamento della nave Principe Umberto. Come il padre intraprende la professione di maestro, ma subito dopo si dedica alla carriera militare. Partecipa col grado di Sottotenente di complemento del 1° Reggimento Fanteria alla guerra italo-turca meglio nota come Campagna di Libia (28/09/1911-18/10/1912). Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, è Capitano nel 55° Fanteria. ELOGIO SCRITTO DAL FRATELLO ETTORE IN OCCASIONE DELLE ONORANZE FUNEBRI CHE SI SVOLSERO PRESSO LA CHIESA DI MARENO DI PIAVE: BELLA PROMETTENTE VIGOROSA PUGNACE / CON MILLE ALTRE E MILLE / UNA GIOVINEZZA / PERFIDA LA TEDESCA RABBIA STRONCAVA / IN / GIOVANNI PELLIZZON / CAPITANO NE LE PATRIE FANTERIE / TRAGICAMENTE / O GIOVANNI / QUANDO ITALIA DA GLI ESPERIDI GIARDINI SOGNAVA / NOVA STAGIONE DI GLORIA / OLTREMARE TE SPINSE / IL TUO CUORE DI CONVINTO SOLDATO / ONDE RIDARE A LA PATRIA / LA TERRA CHE FU DI ROMA / NON DANNO / NE LE ROGGE PLAGHE BU-KAMEZINE / DI CONTRO L’ARABO E ‘L BEDUINO FEROCI / NON DANNO / NE GLI ASPRI CIMENTI DE LA PIU’ GRANDE GUERRA / SU LE ERTE INSANGUINATE / DI MONTE PIANA E DI MONTE SABOTINO / T’INCOLSE / SOLO LA SCELLERTA PERFIDIA / DE I GALEOTTI DE L’IMPICCATORE / SEPPE / COL PIU’ VILE DE I TRADIMENTI /
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SPEGNERE I TUOI GRANDI OCCHI CILESTRI / NE’ FREDDI ABISSI DE ‘L TRISTE ADRIATICO / BARBARAMENTE / RIPOSA O DOLCISSIMO / SERENO NE LA GLORIA DE 'L TRICOLORE / TUA GRANDE FIAMMA SUPREMO SACRIFICIO TUO / LA NEMESI TRIONFATRICE NE’ SECOLI / GRABERA’ INESORABILE SU I MOSTRI UMANI / CHE A QUEST’INAUDITA TRAGEDIA DI SANGUE / CACCIARONO I POPOLI DELLA MISERRIMA EUROPA / IN TE QUANTI L’ATRO FATO PERCOSSE / ONORIAMO / NE LA RELIGIOSITA’ DE I CUORI NOSTRI / L’AMATA FIGURA DI NATO E CONGIUNTO / CON L’IMMENSITA’ DE ‘L NOSTRO DOLORE / MARENO DI PIAVE OTTOBRE MCMXVI
Pellizzon Ettore Pellizzon Ettore Ferdinando nasce a Mareno di Piave il 30/07/1895 e perde la vita a Conegliano nel borgo della Madonna il 18/09/1933 a causa di un incidente stradale occorsogli mentre guidava la sua motocicletta. Conseguì due lauree, una in lettere, l’altra in legge ed insegnò Belle Lettere al Ginnasio pareggiato di Conegliano. Fece costruire e abitò nel palazzo in stile veneziano che si trova in via Campagnola e che si vede nell'immagine qui a lato. Fin da giovane scrisse delle liriche d'ispirazione dannunziana che furono pubblicate nel libro “Trilogie” edito a Treviso nel 1916 e altre nel “Libro di Lazzaro” edito a Venezia nel 1924 e nel Libro della passione e della fede edito sempre a Venezia nel 1930. A sinistra vediamo la copertina della sua pubblicazione datata 1916 e a destra un saggio della sua vena poetica vergato sul retro di una cartolina: “E dalla pace del mio studio di larve popolato, di dolci sogni d'amore e dall'acropoli tumultuosa di Mareno il mio pensiero sull'ali della riconoscenza e de l'affetto a lei viene frequente. Con ossequio l'allievo Ettore Pellizzon Mareno di Piave 22-VIII-1912”
Partecipa alla Prima Guerra Mondiale dove viene ferito seriamente alla schiena. Agli inizi del 1900 viene in possesso di due bronzi con le effigi dell'Imperatore Costantino il Grande (274–337 d.C.) e Costante I (333–350 d.C.) ritrovati a Campagnola in un campo poco lontano da villa Wiel e dal palazzo dove abitava. Sposa Ziliotto Rosina anche lei un'insegnante e figlia Pagina 131
del segretario comunale di Mareno di Piave, Ziliotto Antonio tragicamente scomparso a seguito di un incidente stradale nel 1932.
Pellizzon Ferdinando Pellizzon Ferdinando Domenico nasce a Mareno di Piave il 02/08/1899 e muore a Venezia il 21/05/1974. Partecipa alla Prima Guerra Mondiale col grado di Tenente di Fanteria e successivamente con quello di Capitano di complemento. Nel 1919 gli viene conferita dal Comandante del XII Corpo d’Armata la Croce al Merito di Guerra. Sposa Ines Geremia e dopo la laurea in economia e diritto, negli anni '20, inizia la sua attività professionale come Consulente amministrativo dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti di Venezia. Dal 09/12/1929 è iscritto all'Albo degli Esercenti la professione in materia di economia e commercio per il Veneto. Successivamente diventa Segretario generale della Compagnia Italiana Grandi Alberghi C.I.G.A. Spa di Venezia a decorrere dal 1 gennaio 1938. Nel 1945 viene nominato Consigliere di Amministrazione della Cassa di Risparmio di Venezia. Come rappresentante di questo Istituto di Credito entra nel Consiglio di Amministrazione dell'Istituto Autonomo Case Popolari di Venezia dal 1948 al 1956. Nonostante non risieda più a Mareno di Piave, il legame che lo unisce al paese lo porta ad essere nominato rappresentante del comune in seno al Consorzio di Bonifica e Irrigazione Sinistra Piave di Conegliano per oltre 14 anni. In questo periodo ne diventa Presidente e sotto il suo mandato vengono realizzati molti lavori di bonifica e di costruzione di opere irrigue importanti per un territorio a vocazione agricola. Inoltre ha promosso e fatto approvare la costruzione dell'acquedotto Sinistra Piave che interessava 28 comuni in provincia di Treviso con una popolazione servita di circa 200.000 abitanti. Ha fatto parte anche del Consiglio di Amministrazione del Caseificio Sociale di Mareno di Piave negli esercizi dal 1947 al 1951. Oltre all'attività professionale ampia e variegata, Pellizzon Ferdinando si è impegnato nella vita politica del Comune e nella lista dell'Unione Democratica Indipendente, nella quale è stato eletto Consigliere Comunale nelle elezioni del 20/10/1946 e del 27/05/1951. Pagina 132
Cap. XV AUTARCHIA La crisi economica del 1929 fu senza precedenti anche perché non c'erano riferimenti certi a cui riferirsi per superarla. Di sicuro la situazione non poteva essere fronteggiata con provvedimenti di normale amministrazione. La crisi portò alla discesa dei prezzi mettendo in grave imbarazzo le imprese, le aziende agricole e anche le banche. Per risollevare il sistema bancario si istituì l'I.M.I. (1931) con il compito di dare finanziamenti a medio e lungo termine con garanzie statali. Nel 1933 venne fondato l'I.R.I. (Istituto per la Ricostruzione Industriale), il quale aveva la possibilità di disporre di tre banche (Commerciale, Credito Italiano, Banco di Roma) e il compito di aiutare le attività industriali. Nel 1934 si cominciarono ad intravedere i segni di ripresa e l'anno successivo il reddito nazionale si rafforzò di un buon 10% con un aumento di manodopera lavorativa. L'economia migliorò, ma la politica, che dominava l'economia, si gettò in una serie di imprese belliche all'estero che sottoposero ad uno sforzo immane le modeste risorse. Le guerre di Spagna, di Abissinia, di Albania con il loro costo altissimo misero nuovamente in crisi l'economia con una impennata dei costi non supportata dai ricavi. Pagina 133
Le sanzioni poi, decretate dalla Società delle Nazioni per l'aggressione all'Abissinia, favorirono l'accentuarsi dell'isolamento e dell'autarchia (produrre e consumare solo merci e prodotti italiani). Inizia così l'allontanamento dell'Italia dai vecchi alleati Inghilterra e Stati Uniti per unirsi sempre di più alla Germania nazista e con essa verso il disastro della II Guerra Mondiale.
Guerra d'Africa 1936/1937: partecipanti Dai dati in nostro possesso, hanno partecipato alla guerra di Abissinia i seguenti soldati: Caporale Zanardo Emilio Soldato Dario Pietro Soldato Tomasella Bortolo Soldato Zanchetta Enrico Quadro posto nella chiesetta del cimitero di Mareno di Piave
S.Tenente
Biffis Ennio (originario di Mareno e abitante a Vicenza) Comandante Gruppo Indigeno Cammellato. Gli vengono conferite 2 Medaglie di Bronzo al Valor Militare più altre onorificenze
Primo Capitano Maggiore
Biffis Antonio (Aiutante maggiore del X° Regg. speciale) Biffis Pietro – Medico (Responsabile Ospedali da campo)
Una speciale menzione per: S.Tenente Concini Guido (Comandante Bande armate di confine) decorato con Medaglia di Bronzo al Valor Militare, 2 croci di Guerra al Valore e altre onorificenze. Deceduto nel 2008 con il Grado di Generale di Corpo d'Armata. Abitante a Conegliano. Frequentatore assiduo dei cugini Biffis di Mareno e dei cugini Polacco di Soffratta. Nipote di Don Firmino Concini, Parroco per anni a Soffratta ed edificatore della Chiesa, del Capitello della Salute e della casa (oggi di proprietà di Manfrenuzzi) dove pose il Centro studi astronomici. SONO TORNATI SANI E SALVI
Mentre Aramini Angelo Romano è caduto a Mal Beles (A.O.I.) il 21/1/1936 meritandosi la Medaglia d'Argento al Valor Militare. Pagina 134
Nel 1938 il regime fascista promulgò le Leggi razziali e, a seguito del censimento che ne conseguì, si ha notizia di 147 ebrei che vivevano in provincia di Treviso. Negli anni successivi molti lasciarono il territorio e quelli rimasti erano solo anziani che non potevano andare via. Nel 1941 accadde però che molti ebrei si riversassero in Italia dal confine di Trieste in fuga dai paesi dell'Europa centro-orientale conquistati dai nazisti. Dopo essere stati schedati furono internati nei vari comuni del Veneto. Con la circolare n° 7403-1943-XXII il Questore di Treviso Mascioli suddivise quelli assegnati alla provincia assegnandoli ad alcuni comuni. Mareno di Piave ne ebbe in carico 48 e fu secondo solo ad Asolo con 67. Nel territorio non vi era una struttura unica per il confino degli ebrei come i tristemente noti campi di concentramento ma le persone erano alloggiate in case private e ricevevano un sussidio giornaliero dal Comune presso cui dovevano presentarsi due volte al giorno per firmare. Agli ebrei infatti era vietato esercitare alcuna attività e i loro figli non potevano frequentare la scuola. Questa situazione si protrasse fino alla data dell'armistizio l'8 settembre 1943 quando gli ebrei approfittando del momento di confusione cercarono salvezza nella fuga. La Nazione è povera, con insufficienti materie prime, con una industria che non riesce a mantenere il passo di quella straniera, una agricoltura appena sufficiente a sopravvivere. Inoltre la preparazione militare è quasi inesistente, i quadri di comando Pagina 135
militari hanno tanti lustrini e poche capacità, le armi sono inadeguate, vecchie ed obsolete (si usano quelle della prima guerra mondiale), le scorte sono insufficienti e di scarsa qualità (le divise prevedono ancora le fasce alle gambe e la qualità del cibo è inadatta e con poche calorie). Non abbiamo il radar e per le comunicazioni ci fidiamo degli alleati tedeschi che hanno un sistema (Enigma) segretissimo, ma che a loro insaputa gli inglesi hanno già decifrato e che ci procura la distruzione di quasi tutta la flotta in due disastrose battaglie navali. La nostra inadeguatezza si scoprirà presto sul campo di battaglia, dove il coraggio, la capacità di adattamento, la volontà e lo spirito di sacrificio dei nostri soldati non saranno sufficienti. I caduti di Mareno di Piave sono 9, 29 i dispersi in Russia e 4 i partigiani, a Ramera 1 caduto, a Soffratta 4 caduti, a S. Maria 10 caduti e 5 dispersi in Russia. Come era prevedibile, la guerra finisce in un disastro economico e umano con l'occupazione di truppe combattenti, il tallone di ferro dei Tedeschi e degli ultimi seguaci del vecchio regime, la guerra civile, che insanguina le nostre terre per un paio d'anni. Dopo l'armistizio del 3 settembre 1943 ci fu l'occupazione tedesca e le Amministrazioni locali continuarono ad operare sotto il controllo dell'occupante mentre contemporaneamente esisteva una struttura clandestina che faceva capo al Comitato di Liberazione Nazionale. Durante questo periodo, la società si divise nettamente tra i sostenitori del fascismo, spalleggiati dai tedeschi, e i partigiani. Le azioni armate contro gli occupanti e i loro fiancheggiatori ed i rastrellamenti della controparte sparsero sangue rafforzando antichi e nuovi odi. Negli anni dall'armistizio alla fine della guerra, diverse persone persero la vita. Sono rimasti ancora vivi nella memoria dei marenesi i fratelli Luigi e Giuseppe Conti Agosti uccisi nei pressi di Refrontolo il 14/10/1944. Pagina 136
A loro è stata infatti intitolata la scuola elementare di Mareno di Piave e la strada principale che porta a Conegliano la quale era prima denominata via Littorio. Le tragiche conseguenze della guerra portarono anche alla distruzione della memoria storica contenuta negli archivi del Municipio che venne incendiato dai partigiani agli inizi del mese di luglio 1944.
Del periodo 1943/45 abbiamo riportato solo due avvenimenti, purtroppo brutali. Per il resto abbiamo ritenuto di soprassedere per la delicatezza dei casi da raccontare, dato che gli strascichi di quel periodo si allungano ancor oggi. Lasciamo ad altri, magari da fuori paese, il compito di raccontare, quando sarĂ ritenuto possibile. Alla caduta della Repubblica Sociale Italiana e con la cacciata delle truppe tedesche a partire dal 28 aprile 1945, il Comitato di Liberazione Nazionale assunse il potere, fino all'arrivo delle forze armate alleate, che formarono il Governo Militare Alleato rimasto in vigore per diversi mesi fino a quando nel 1946 vennero indette le elezioni per i Comuni. Pagina 137
Con il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica (referendum del 1946) e le successive consultazioni elettorali inizia, per l'Italia e la nostra terra, un nuovo periodo storico che finalmente ci dà una vita migliore ed un cambiamento radicale nel pensare, nel produrre, nel dividere le risorse, nelle speranze, nelle certezze.
La fotografia ritrae il Conte Ernesto Donà dalle Rose, in piedi a braccia conserte sotto l'asta della bandiera, assieme agli Ufficiali americani che sono entrati in Mareno di Piave dopo la Liberazione. L'immagine è stata scattata presso l'Asilo Pio X° che si vede nello sfondo. Sul retro della foto è autografata la seguente frase: “Mareno di P. 6/5/1945 In ricordo di una giornata cara a noi tutti E.Donà dalle Rose”
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Giuseppe e Luigi Conti Agosti Riguardo al triste periodo della Seconda Guerra Mondiale e della liberazione, merita un ricordo particolare la vicenda dei fratelli Giuseppe e Luigi Agosti. Il padre Mario era presidente del Tribunale di Treviso, stimato per le sue doti umane e professionali e la madre Celia Anna Mantese fu donna dal forte carattere, sorretta da un profondo e convinto sentimento religioso basato sui valori del Vangelo. Celia Anna Mantese nasce a Mareno di Piave il 19 settembre 1885 e si sposa con Agosti conte Mario all'età di ventotto anni il 21 gennaio 1914. Nell'atto di matrimonio Agosti conte Mario viene indicato come giudice, di anni 35, nato a Cuneo, residente a Montebelluna e figlio del conte Giuseppe della contessa Maria Anna. Celia Anna Mantese è figlia del Cav. Giuseppe Mantese il quale fu sindaco di Mareno di Piave dal 1899 al 1916 e di Scrizzi Maria. Rimasta vedova in giovane età si dedicò interamente all'educazione dei figli e dopo l'armistizio sostenne fermamente il movimento di liberazione a cui si unirono i due figli che avrebbero perso la vita per questi nobili ideali. Con l'inizio della Seconda Guerra Mondiale i fratelli Agosti furono chiamati alle armi e pertanto dovettero interrompere gli studi universitari. Giuseppe divenne ufficiale di artiglieria a Caserta mentre Luigi di artiglieria alpina. Quando arrivò l'armistizio i due fratelli si trovavano in posti lontani: Luigi in Francia sfugge alla cattura e a piedi arriva a Refrontolo dalla zia materna, poi tornato anche Giuseppe, si ricongiungono con la madre a Mareno di Piave. Iniziò allora la loro vicenda nella Brigata partigiana “Piave” dove Giuseppe assunse il nome di battaglia di “Claudio” e Luigi di “Tiberio”. I partigiani si erano riuniti in piccoli gruppi e si erano dislocati nel territorio tra Refrontolo e San Pietro di Feletto occupando casolari e stalle sparse. Nella mattinata del 14 ottobre 1944, i fascisti operarono l'ennesima operazione di rastrellamento che portò all'accerchiamento della stalla dove si trovava il gruppo di partigiani tra cui i fratelli Agosti. Pagina 139
Incendiata la stalla gli occupanti dovettero uscire e furono uccisi. Il parroco di Refrontolo Don Carlo Ceschin fece trasportare i corpi nella cella mortuaria del cimitero. Le salme furono poi portate a Mareno di Piave. La madre Celia morì subito dopo la fine della guerra nel 1947 all'età di 56 anni. L'intera famiglia Agosti è ora sepolta nel cimitero di Belluno. In memoria dei fratelli Agosti, il Comune intitolò loro la strada principale del paese, quella
che
porta
a
Conegliano
e
successivamente nel 1973 la scuola elementare del Capoluogo apponendovi una lapide che recita: “A Giuseppe e Luigi dei conti Agosti / che nel fosco ottobre 1944 fecero olocausto di sè al nuovo Risorgimento d'Italia / il Comune di Mareno 6-5-1973” I loro compagni della Brigata Piave posero sulla loro casa di via Mantese
la lapide
che
si vede
nell'immagine qui a lato. Sempre a ricordo delle vicende di quegli anni, è stata intitolata una strada alla Brigata Piave, formazione partigiana in cui militarono i fratelli Agosti. Ebbero entrambi la Medaglia d'Argento al Valor Militare (alla Memoria) con la seguente motivazione: “Entrato generosamente e sin dai primi giorni a far parte del movimento patriottico, serviva con esemplare abnegazione come semplice gregario distinguendosi in ogni azione ed in ogni attività. Sorpreso, col fratello e con altri partigiani, da un'azione notturna del nemico, rifiutava sdegnosamente di arrendersi e continuava a battersi da valoroso sino all'estremo sacrificio.” (zona di Refrontolo TV, 14 ottobre 1944) Pagina 140
Il caso Borgo Chiesa Il giorno 4 ottobre 1944 il Borgo Chiesa viene circondato da uomini armati che si dice siano della X° Mas di stanza a Villa Viel, ma travestiti da tedeschi. Piazzano tutt'intorno alle case del borgo delle balle di paglia pronti a dar fuoco a tutto. Dicono di cercare giovani partigiani o renitenti alla leva, ma soprattutto danno la caccia, su segnalazione di un vicino di casa, ad una giovane ragazza di nome Bruna Zanetti, a cui hanno già bruciato la casa non avendo trovato i fratelli che si erano nascosti in paesi vicini. Bruna viene immediatamente avvertita da persone che la nascondono nelle case, nei campi, nei fossi, anche se qualcuno brontola preoccupato della eventuale perdita della casa. Nessuno però parla, ed alla fine Bruna si salva. Nel frattempo gli abitanti del Borgo molto preoccupati della situazione, che rischia di precipitare, cercano il Parroco perché si faccia carico di una mediazione, ma questo non si fa trovare. Perciò vanno a chiamare chi ritengono sia sempre stato un amico e una persona affidabile, l'ex Podestà Antonio Biffis, che si precipita ad affrontare la situazione in prima persona. Dopo una ferma e vivace discussione, con la paura nel cuore convinto fossero dei banditi in divisa incontrollabili, ma forte della sua Autorità di ex Podestà e di Ufficiale degli Alpini, riesce a farli desistere dall'azione criminale, accettando di versare in cambio della non distruzione del Borgo Lire 50.000 entro un'ora. Un'affannosa e veloce “colletta” e l'aggiunta di tasca propria del denaro mancante concludono la transazione. Il Borgo è salvo. Ancora oggi Bruna Zanetti ricorda vividamente il fatto che la riguarda personalmente, e quando ne parla lo fa con tanta
rabbia
e
tanta
amarezza
soprattutto
per
comportamento e l'odio di qualcuno che conosceva bene.
Pagina 141
il
IL VALORE DEI MARENESI NEL CONFLITTO '40-'45
BET ANGELO - partigiano Medaglia d'Argento al Valor Militare “Rientrato da poche ore da un'azione notturna di pattuglia durante la quale si era prodigato con grave rischio personale, per porre in salvo la salma di un caduto e tre feriti, si offriva volontariamente per una nuova azione ardita da compiersi in pieno giorno. Ferito gravemente in più parti del corpo, a breve distanza da postazione tedesca, rifiutava ogni soccorso e con indomito coraggio continuava a combattere. Solo in seguito ad ordine perentorio entrava in luogo di cura al termine dell'azione”. Stabilimento idroterapico Riolo Bagni (Ravenna), 24 febbraio 1945
DOIMO LUIGI - Cap. Magg. - 132° Bgt. Carrista Croce di Guerra al Valor Militare “Servente di carro armato, nel corso di aspro combattimento, sotto violento fuoco di artiglieria nemica, usciva ripetutamente dal mezzo per rimettere in efficienza l'arma inceppata. Si offriva, poi, per recupero di alcuni carri colpiti rimasti in zona battuta dall'avversario.” Africa Settentrionale, 19 novembre 1941
Croce di Guerra al Valor Militare “Durante un combattimento, rimasto il proprio carro colpito e sviluppatosi un principio d'incendio, si sostituiva al capo carro ustionato e continuava a sparare il cannone sino a quando le fiamme non lo costringevano a desistere” Africa Settentrionale, 30 novembre 1941
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CARNIELLI CESARE IGINO - Alpino 7° Rgt. Croce di Guerra al Valor Militare “Assegnato ad un plotone esploratore che in due giornate di combattimenti veniva più volte a contatto col nemico, si prodigava incessantemente sempre pronto ad accorrere dove maggiore era il rischio, dando esempio di coraggio e sprezzo del pericolo”. Le Crot-Le Misori, 21-23 giugno 1940
FLORIANI IGNAZIO
- Caporale 73° Fant. “Lombardia”
Croce di Guerra al Valor Militare Graduato esploratore, scontratasi la pattuglia, di cui faceva parte, con forte nucleo avversario e caduto ferito il proprio ufficiale, con azione pronta ed aggressiva eliminava alcuni elementi nemici e costringeva gli altri a ripiegare”. Lokvica (Slovenia), 21 maggio 1943
SACCON TERZO
- Fante 61° Rgt.Fant. Motorizzata “Trento”
Croce di Guerra al Valor Militare “Puntatore di mortaio da 81, in vari giorni di lotta dimostrava alto senso del dovere ed attaccamento alla propria arma, restando vicino ad essa fino all'esaurimento delle munizioni. Ricevuto l'ordine di ripiegare, nonostante la forte pressione del nemico, riusciva a portare in salvo la propria arma”. Bir El Heial (Fronte Cirenaico), 10 dicembre 1941
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Trattate ciascun uomo secondo il suo merito.
W. Shakespeare
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PARTE V
Credere nella propria patria: il patriottismo non consiste tanto nel proteggere la terra dei nostri padri, quanto nel tutelare la terra dei nostri figli.
S. Ortega Y. Gasset
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Uno Stato è innanzi tutto una organizzazione che procura beni pubblici per i suoi membri, i cittadini. M. Olson
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Cap. XVI LA REPUBBLICA Dopo l'entrata in vigore della Costituzione il 1 gennaio 1948, i primi Governi democratici che si succedettero alla direzione del Paese si trovarono ad affrontare una gravissima situazione: le rovine della guerra perduta, lo sconvolgimento economico, politico e morale della Nazione, il disagio sociale, la miseria e la disoccupazione. Tutto questo ed altro rappresentavano i problemi più assillanti da avviare ad immediata soluzione con una visione nuova, più completa e sistematica, dopo le affrettate e temporanee soluzioni dell'immediato dopoguerra. Le prime elezioni politiche del 1946, ma soprattutto le elezioni generali del 1948, diedero al partito della Democrazia Cristiana una schiacciante maggioranza che permise ad Alcide De Gasperi, con l'aiuto di volta in volta di altre rappresentanze politiche, di operare per la riorganizzazione dello Stato, la ricostruzione del Paese e per trovare la via della prosperità. Dal 1949 in poi l'Italia ha compiuto un vero “miracolo” con miglioramenti straordinari in tutti i campi dell'attività economica e commerciale, cui hanno dato il loro decisivo contributo l'intraprendenza e la volontà di tutte le più valide energie della Nazione. Bisogna ringraziare nuovamente gli Stati Uniti che, con il “Piano Marshall”, hanno inviato all'Italia aiuti di ogni genere ed in grande quantità, che permisero di alleviare la fame, di ricostruire le case e le aziende, favorendo così lo” sviluppo industriale”, anzi fu una vera e propria rivoluzione che portò prosperità a tutto il Paese. Pagina 147
Sul lato sinistro della facciata della sede municipale di Mareno di Piave è posto un piccolo scudo di bronzo donato dagli Stati Uniti d'America "per i popoli liberi". Si legge: "Il benessere rafforza la libertà ". La storia di questo stemma dovrebbe essere legata al fatto che per la ricostruzione del nuovo municipio sono stati utilizzati fondi del Piano Marshall.
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Dio, Patria e Famiglia Avvenimenti vissuti direttamente Nel 1946 vengono indette le prime elezioni amministrative dopo la guerra. La Democrazia Cristiana si prepara alla competizione predisponendo una lista ed un volantino di presentazione del Capolista, che pur anziano e ammalato, ma ben conosciuto da tutti, doveva essere una garanzia in tempi di forte preoccupazione. Il Parroco di Mareno di Piave, uomo fortemente ambizioso, pensa sia il momento di prendere in mano le redini anche della parte laica oltre che di quella religiosa. I tempi ed il sentimento religioso della gente lo permettevano. Predispone, anzi costituisce, non in prima
persona,
un
nuovo
partito
denominato “Dio, Patria e Famiglia”, facendo una lista di fedeli parrocchiani. In quel periodo si sparge una voce insistente che raccomanda di non votare Democrazia Cristiana per non incorrere nella scomunica. L'imbarazzo tra la gente è grande, così come lo sconcerto e l'incredulità. La domanda che ci si pone è: se la D.C. deve salvare l'Italia come mai a Mareno è il nemico? Una vecchia nonna, parecchio sorda, decide di saperne di più e si fa accompagnare in Chiesa dal nipote, un bambino di sette anni, dove incontra il Mansionario Don Mosè Da Broi, uomo di grande cultura ed ex Direttore de l'Azione, pure lui parecchio sordo. Pagina 149
Nella Chiesa vuota i due parlano ad altissima voce per capirsi ed il bambino, solo ed in disparte, ascolta senza volerlo tutta la conversazione e comprende tante cose. La situazione in paese si fa vivace e controversa. Allora il Vescovo chiama in Curia tutti i Parroci del Comune e dispone una linea di condotta. Un paio di Parroci amici del candidato D.C., che nel frattempo è diventato ex per il ritiro della lista, vanno a casa sua e gli spiegano quanto deciso dal Vescovo; sono ordini a cui non possono sottrarsi. Il bambino, quello che aveva accompagnato la nonna, è presente e sente tutta la storia. Non dimenticherà mai. Nel 1955 il Parroco viene a trovare l'ex candidato sul letto di morte e gli chiede scusa. Il bambino di allora, ora diventato ragazzo, è ancora presente, ascolta e se ne ricorderà per sempre.
La politica non mi dice niente. Non amo le persone che sono insensibili alla verità. [B. Pasternak]
A Mareno di Piave le elezioni si tennero il 20 ottobre 1946 e vi parteciparono due liste, la prima denominata “Dio, Patria e Famiglia” sostenuta dall'Arciprete di Mareno di Piave don Francesco Prezioso e l'altra “Unione Democratica Indipendente”. La lista “Dio, Patria e Famiglia” ebbe il maggior numero di consensi, vennero eletti i consiglieri comunali Baccichetto Natale, Serafini Guglielmo, Bornia Donato, Manfrenuzzi Giuseppe, Doimo Angelo, De Nardo Giuseppe, Borsoi Francesco, Dall'Armellina Ferruccio, Dal Bianco Abramo, Foscan Augusto, Lovisotto Luigi, Vendrame Antonio, Zanardo Pietro, Bozzetto Pietro, Fagaraz Raffaello, Possamai Angelo, Pellizzon Ferdinando, Polacco Giobatta, Dall'Armellina Angelo e Sanson Raffaele e come Sindaco Manfrenuzzi Giuseppe. Negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale, la situazione a Mareno di Piave era disastrosa, tra le peggiori dell'intera Pagina 150
provincia: il Municipio era stato distrutto assieme all'archivio, le strade e gli edifici scolastici si trovavano in stato di abbandono, i servizi pubblici erano quasi inesistenti, l'economia ristagnava con alti tassi di disoccupazione e le casse comunali erano vuote. In attesa della costruzione della nuova sede municipale, gli Amministratori si riunivano fino al 1950 presso locali privati in villa Viel a Campagnola e poi in via Molino presso il fabbricato dove abitava la famiglia Vendrame Girolamo. Poi sino all'insediamento nel nuovo Municipio, avvenuto nel 1953, spesso le riunioni avvenivano in canonica. La vita politica ed amministrativa di quel periodo non risentiva degli scontri ideologici come al giorno d'oggi, ma si preoccupava di risolvere gli innumerevoli problemi della cittadinanza con uno spirito unitario della maggioranza con l'opposizione. CosĂŹ negli anni dal 1951 al 1956 vennero programmati ed eseguiti molti lavori pubblici come la rettifica, le sistemazioni, gli ampliamenti e le asfaltature di strade (via Cal Larga, via Campi, la piazza del Municipio, via Liberazione, via Calmessa, la piazza di Ramera rettificando il tratto di via Ungheresca che passava davanti alla chiesa vecchia come si vede nella foto qui sotto).
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L'edilizia scolastica non se la passava meglio e per questo venne predisposto un progetto per la sistemazione e l'ampliamento della scuola del capoluogo mentre quello di Soffratta sarebbe stato ultimato alcuni anni dopo.
Fotografia della classe 3° elementare di Mareno centro del 1948
L'Amministrazione si prodigò per migliorare la qualità della vita delle famiglie marenesi portando la corrente elettrica un po' dovunque nel territorio: a Santa Maria del Piave nel borgo Carnielli, in via Ungheresca, a Soffratta e naturalmente al Capoluogo. Contemporaneamente il Comune appoggiò l'iniziativa del Consorzio Irriguo Sinistra Piave per la costruzione di un moderno acquedotto che avrebbe dovuto servire diversi comuni, tra cui Mareno di Piave. Vennero istituiti posti con telefoni pubblici nelle varie frazioni. Nel 1953 venne realizzata la Pesa comunale in piazza del Municipio. Sempre in quegli anni, a Soffratta, venne sostituito il ponte in legno sul fiume Monticano vicino alla confluenza col torrente Cervada con uno in muratura che viene oggi comunemente indicato come “pont Dall'Ava”. Pagina 152
Altro importante aspetto fu la realizzazione di case per le famiglie povere che vivevano ancora in baracche di legno concentrate nella maggior parte lungo l'attuale via Strada Nuova e via Sant'Antonio; nel 1954 vennero terminati sei alloggi INA-CASA a Mareno capoluogo e due anni più tardi altri otto alloggi di edilizia popolare in località Campagnola. Nei periodi storici che abbiamo preso in considerazione nei capitoli precedenti, lo Stato ha esercitato il potere considerando i cittadini come soggetti subalterni a cui negare o concedere a propria discrezione. La vera rivoluzione nei principi del rapporto tra lo stato e i cittadini si ha con l'approvazione della Costituzione il 27 dicembre 1947 e con la sua entrata in vigore il 1° gennaio dell'anno successivo. Siamo così arrivati ai giorni nostri in cui sono avvenuti cambiamenti epocali nella nostra società, basti pensare alla sola immigrazione ed integrazione degli stranieri. Il Comune è diventato a poco a poco il primo e sempre più importante anello della convivenza civile e della gestione del territorio. Il cambiamento più significativo nei rapporti tra stato e cittadini si è avuto con la Legge n°142/1990 con cui si è cercato di organizzare la pubblica amministrazione con modalità più corrispondenti alle nuove esigenze della società e si è stabilito il principio della trasparenza dell'azione amministrativa. Questa legge ha sottolineato che la pubblica amministrazione deve porsi al servizio del cittadino e non viceversa come invece era stato fino ad allora. Buona parte del cammino è stato intrapreso ma innovare la mentalità di una pubblica amministrazione abituata da sempre ad essere lenta e burocratica fino all'eccesso non è facile e necessita di tempi lunghi.
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In queste due fotografie possiamo vedere il vecchio ponte Dall'Ava in legno e quello in muratura come si presenta attualmente.
Qui a lato, in una foto degli inizi del 2000, vediamo forse l'ultima baracca ancora in piedi in via Strada Nuova, abbattuta per far posto ad una nuova costruzione.
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Gli emigranti e la tragedia di Marcinelle L’ultima fase di emigrazione dall’Italia avvenne negli anni '50 e la meta erano i paesi più sviluppati del Centro e Nord Europa. Fu però solo in forza di accordi bilaterali stipulati dal governo italiano con paesi come la Svizzera, il Belgio e la Francia che ebbe inizio un primo consistente ciclo di emigrazione operaia per i bacini minerari della Francia e del Belgio. Negli anni '50 nasce il MEC (Mercato Europeo Comune) e con l’ascesa economica della Germania Occidentale, rinata dalle ceneri della guerra, si verificò un ennesimo nuovo orientamento dei flussi di uscita dal nostro Paese. In prevalenza erano uomini e donne provenienti dal mondo rurale, ma destinati a trasformarsi in forza lavoro soprattutto nelle grandi fabbriche tedesche e svizzere. La vastità dell’esodo dal Veneto generò, come per le passate emigrazioni, un forte contributo alle trasformazioni socio-economiche in atto nelle nostre zone. Il Veneto, dal dopoguerra al 1961, contribuisce con la quota di gran lunga più alta di emigrazione fra tutte le regioni italiane, seguono la Sicilia, la Calabria e la Puglia. Nel 1946 l’Italia e il Belgio firmarono una convenzione che prevedeva, tra l’altro, l’invio di 2500 chili di carbone al mese ogni 1000 operai italiani emigrati. Un accordo “manodopera contro carbone” siglato dall’Italia che, uscita distrutta dalla guerra, non era in grado di assicurare lavoro a tutti. Così tra il 1946 e il 1957 arrivarono in Belgio 140 mila uomini, 17 mila donne e 29 mila bambini. A causa di un errore umano, l'8 agosto 1956 il Belgio venne scosso da una tragedia senza precedenti: a Marcinelle un incendio scoppiato in uno dei pozzi della miniera di carbon fossile del Bois du Cazier, causò la morte di 262 persone di dodici diverse nazionalità, soprattutto italiane, 136 vittime, poi belghe, 95. Fu una tragedia agghiacciante: i minatori rimasero senza via di scampo, soffocati dalle esalazioni di gas. Tra questi vi era anche un cittadino marenese, Mario Piccin la cui tragica fine è stata ricordata con la lapide che si trova presso il cimitero di Mareno di Piave. Pagina 155
Sede Municipale
In questa foto di gruppo, probabilmente databile 1930, si vede sullo sfondo la facciata del fabbricato che fu la sede del municipio fino al 1944, anno in cui venne incendiato e distrutto dai partigiani. Al centro, seduto, si vede Don Francesco Prezioso, arciprete di Mareno di Piave dal 1930, anno del suo insediamento in parrocchia (come si deduce anche dalla scritta posta sotto lo stemma del Comune) fino al 1965, anno della sua morte. Dietro al Parroco, in piedi, col vestito scuro e la farfallina, c'è il Podestà, Antonio Biffis. Alla sua sinistra con l'abito chiaro c'è il Cav. Giacomo Paoletti. Dietro al Podestà si intravvede la figura del dott. Signori, medico a Mareno di Piave. Sulla sinistra seduto, con l'ombrello in mano, c'è De Benedetti Angelo, presidente e fondatore della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Mareno di Piave, nonché amministratore comunale.
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Questa immagine mostra la cerimonia di inaugurazione della nuova sede municipale avvenuta il 28/06/1953
Il vecchio municipio fu incendiato nella notte tra l'1 e il 2 luglio 1944 dai Partigiani e andarono distrutti i documenti ivi contenuti. I registri di stato civile furono ricostruiti con le copie depositate presso la Prefettura di Treviso e con gli archivi parrocchiali. Il progetto del nuovo fabbricato è dell'architetto Meneghin. Durante l'inaugurazione venne scoperto un medaglione in bronzo a ricordo del Dott. Francesco Cavarzerani medico condotto a Mareno di Piave (TV) per oltre 40 anni. L'opera fu realizzata dallo scultore Carlo Conte. A seguito dei lavori di ristrutturazione della sede municipale eseguiti attorno al 1990-1991, la targa col medaglione venne spostata sempre all'interno della sede municipale, al piano terra, su una parete dell'aula consiliare. Nel fabbricato, oltre agli Uffici comunali del primo piano, avevano sede un ambulatorio medico e l'ufficio della posta e del telegrafo al piano terra. Pagina 157
Al secondo e ultimo piano erano stati ricavati tre alloggi, per il Segretario e per impiegati comunali.
Questa immagine mostra la facciata dell'attuale sede del Municipio a seguito dell'ultimo intervento di ristrutturazione ed ampliamento eseguito nel 1992
Organizzazione del Comune Regno d'Italia – dal 22/12/1807 al 1813 I Comuni sono divisi in tre classi. 1° classe numero di abitanti superiore a 10.000 - Podestà, Collegio di sei Savi (giunta municipale) e consiglio comunale di 40 Membri. 2° classe numero abitanti compreso tra 3.000 e 10.000 - Podestà, Collegio di quattro Savi (giunta municipale) e consiglio comunale di 30 Membri. Pagina 158
3° classe numero di abitanti inferiore 3.000 - Sindaco, due Anziani e 15 Consiglieri. I Podestà sono di nomina regia mentre i Sindaci sono nominati dal Prefetto e durano in carica un anno. I consiglieri comunali erano di nomina regia. I componenti comunali per i comuni di 3° classe erano designati dal Consiglio Distrettuale.
Regno Lombardo-Veneto – dal 1814 al 1866 I Comuni sono divisi in tre classi. Erano gestiti da un Primo deputato coadiuvato da altri due deputati e dall'Assemblea di quanti pagavano le tasse detta “Convocati degli Estimati”.
Regno d'Italia dal 1866 al 21/04/1927 Amministrazione elettiva: Sindaco, Giunta Municipale e Consiglio comunale. Dal 22/04/1927 al 1945 Podestà di nomina regia coadiuvato da una Consulta municipale di 10 o più Membri.
Repubblica Italiana dal 02/06/1946 Prima Sindaco e Giunte Municipali nominate dai Prefetti e poi Amministrazioni elettive: Sindaco, Giunta Municipale e Consiglio comunale. Il Comune di Mareno di Piave rientrava nel novero dei comuni con popolazione compresa tra 5.000 e 10.000 abitanti e quindi il numero dei Consiglieri era di 20 unità mentre la Giunta Municipale era composta da 4 Assessori oltre al Sindaco. Pagina 159
Stemma del Comune di Mareno di Piave Nelle immagini sottostanti si può vedere lo stemma comunale, il gonfalone e l'atto di approvazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica Leone in data 9 luglio 1975.
Immagine dei bozzetti originali vidimati conservati presso l'archivio comunale.
Stemma
Gonfalone
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Foto del decreto originale conservato presso l'archivio comunale
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Le vicende amministrative e politiche La società marenese era profondamente conservatrice e legata al mondo cattolico. Nelle prime due tornate elettorali, nel 1946 e nel 1951, vinse la lista contrassegnata dal motto “Dio, Patria e Famiglia”. Questa formazione era stata fortemente voluta e sostenuta dall'allora arciprete di Mareno di Piave don Francesco Prezioso. Il 2 giugno 1946 si tenne la consultazione per la scelta della forma di governo tra monarchia e repubblica. Il voto fu per la prima volta in Italia a suffragio universale e l'affluenza fu dell'89,1% degli aventi diritto. Il risultato è stato il seguente : MONARCHIA REPUBBLICA bianche/nulle Totale voti validi
voti 10.718.502 45,7% voti 12.718.641 54,3% 1.509.735 23.437.143 100,0%
A Mareno di Piave c'erano 4 sezioni elettorali in cui si ebbe il seguente risultato: Repubblica Monarchia sez. 1 Mareno di Piave piazza San Francesco 507 385 sez. 2 Ramera via Ungheresca 371 392 sez. 3 Santa Maria del Piave via Colonna 512 275 sez. 4 Soffratta via Diaz 318 282 totale 1.708 1.334 Nel 1951 ormai si era realizzata la Repubblica col suo nuovo ordinamento costituzionale ed amministrativo e gli italiani si erano nettamente divisi tra l'anima cattolica e conservatrice rappresentata dalla Democrazia Cristiana e quella popolare e socialista del Partito Comunista e Pagina 162
Socialista assegnando alla prima la responsabilità di governare il paese fuori dalle rovine e dalla miseria della guerra. A Mareno di Piave solo negli anni '60 ci fu l'aggregazione sotto il simbolo dei partiti maggiormente rappresentativi a livello nazionale e così alle elezioni comunali si presentarono liste della Democrazia Cristiana, del Partito Comunista, del Partito Socialista, del Partito Socialista di Unità Proletaria, del Partito Socialista Democratico e anche formazioni Civiche. Una nota curiosa piace sottolineare in questa situazione di conservazione delle tradizioni ed è quella dell'elezione a sindaco nel 1956 e fino al 1961 di una donna, Clarissa Dall'Armellina. Com'è facile intuire, la maggioranza dei consensi dei marenesi andò alla Democrazia Cristiana la quale, con l'eccezione della tornata elettorale del 1964, governò da sola fino al 1994, anno in cui ci fu il tifone di tangentopoli che portò alla fine dei partiti politici che fino ad allora avevano retto le sorti italiane. I partiti politici della sinistra marenese non riuscirono mai a minacciare la supremazia della Democrazia Cristiana, formazione che rappresentava i valori della società agricola allora prevalente. Infatti non c'erano nel comune fabbriche che avrebbero potuto essere occasione di proselitismo degli ideali socialisti e comunisti ma solo piccole attività artigiane dove l'imprenditore era anche operaio, spesso solo oppure con poche maestranze. A Mareno di Piave dentro la Democrazia Cristiana ritroviamo le correnti presenti a livello nazionale e queste avevano come referente i politici locali eletti in Parlamento: Mario Ferrari Aggradi, Marino Corder, Tina Anselmi etc. I contrasti erano quindi vivaci e si concretizzavano nell'acquisizione di tessere da far valere in sede di presentazione delle liste alle elezioni comunali e poi nella scelta del Sindaco. Nelle elezioni del 1964 ci fu il maggior numero di liste mai presentate a Mareno di Piave, cinque: Democrazia Cristiana, Lista Civica, Partito Socialista Italiano, Partito Comunista Italiano, Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. Pagina 163
La Lista Civica aveva come personalità di riferimento il dott. Angelo Peruzza. La situazione politica all'interno della Democrazia Cristiana, che aveva ottenuto la maggioranza assoluta, doveva essere molto travagliata se in quella tornata si avvicendarono tre sindaci: due della D.C. Ernesto Da Fies e Benedetto Bottecchia e uno della Lista Civica, il dott. Angelo Peruzza. In quell'occasione vennero coinvolti anche i Consiglieri di minoranza ad eccezione del P.C.I.: furono infatti nominati Assessori Buffo Luigi e Peruzza Angelo della Lista Civica, Peccolo Leo e Cattelan Carlo del P.S.I. e Padovan Giuseppe del P.S.I.U.P. Anche all'interno della Democrazia Cristiana ci furono ripetute nomine e dimissioni di Assessori per un totale di nove su undici consiglieri: Bet Angelo, Bof Albino, Da Fies Ernesto, Dal Bianco Abramo, Facchin Vito, Fagaraz Luigi, Gallonetto Antonio, Ongaro Luigi e Possamai Renzo. Negli anni '70 all'interno della Democrazia Cristiana venne trovato un equilibrio che permise una vita più tranquilla alle due amministrazioni guidate dal Sindaco Avellino Da Re. La situazione tornò ad essere nuovamente frizzante negli anni '80 quando emerse la figura di Antonio Cancian, giovane ingegnere che incarnava la voglia di nuovo che si respirava in paese. Nelle elezioni del 1985 i consiglieri che facevano riferimento al sindaco uscente Benedetto Bottecchia e ad Antonio Cancian si equivalsero e così si creò una situazione di stallo nella scelta del nome del sindaco e come nel vecchio proverbio “tra i due litiganti il terzo gode” venne trovata un'intesa di compromesso con la nomina di Giuseppe Dall'Armellina. Decantatasi la situazione la legislatura venne conclusa con Antonio Cancian nelle vesti di sindaco. La consultazione elettorale del 1990 decretò un nuovo successo personale per Antonio Cancian il quale fu riconfermato sindaco ma due anni più tardi si candidò alle elezioni politiche dove venne eletto alla Camera dei Deputati, secondo marenese deputato nazionale. Il primo è stato il già citato On. Prof. Dott. Piero Biffis negli anni 30. Pagina 164
Per questo motivo Antonio Cancian si dimise dalla carica di sindaco che venne assunta da Flavia Baccichetto, seconda donna sindaco dopo Clarissa Dall'Armellina. Arriviamo quindi al 1994, l'anno di tangentopoli durante il quale le inchieste giudiziarie della Procura di Milano misero in luce un illegale e perverso intreccio tra politica ed economia ed ebbe come conseguenza la sparizione dal panorama politico di gran parte dei partiti. Questo contraccolpo arrivò anche in consiglio comunale di Mareno di Piave il quale si sciolse nel mese di luglio 1994 e il Comune venne retto da un Commissario prefettizio, il Dott. Aldo Adinolfi, fino alle elezioni che si tennero il 20/11/1994. Per gli iscritti e gli elettori della Democrazia Cristiana fu un momento di forte sbandamento in quanto i referenti locali si divisero sparpagliandosi in altre formazioni politiche. La legge elettorale venne cambiata, mentre fino ad allora il sindaco veniva eletto dal consiglio comunale con tutte quelle alchimie e trattative partitiche spesso incomprensibili, ora il primo cittadino era scelto direttamente dai cittadini. Fu una rivoluzione nel rapporto tra elettori ed eletti in special modo per il sindaco ora investito dalla comunità senza alcuna mediazione. Si presentano le liste civiche “Per un nuovo cammino”, “Progetto comune per Mareno di Piave” e Alleanza Nazionale – MSI. Ebbe la maggioranza la lista civica “Per un nuovo cammino” con candidato sindaco Giuseppe Facchin il quale venne riconfermato una seconda volta con le elezioni del 29/11/1998. Nella consultazione del 25/05/2003 si presentarono due liste civiche “Insieme per un nuovo cammino” e “Tocchet per Sindaco”. La maggioranza venne conquistata dalla seconda lista ed Eugenio Tocchet divenne il nuovo sindaco. Anche lui venne riconfermato nelle elezioni del 15/04/2008 con la lista “Eugenio Tocchet Sindaco”. Pagina 165
Se si sopprime l'uomo con la sua individualità, si sopprime ciò senza di cui la natura umana non può sussistere e così si sopprime la stessa natura umana. Sigieri di Brabante
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Da un discorso di Luigi Einaudi […] migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. E' la vocazione naturale che li spinge; non soltanto la sete di denaro. Il gusto, l'orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare l'impianti, abbellire le sedi, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno. Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano
imprenditori
che
nella
propria
azienda
prodigano tutte le loro energie e investono tutti i loro capitali per ritrarre spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con altri impieghi […]
Pagina 167
Le individualità: attribuiamo valore alle individualità solo in quanto traducono in realtà ciò che vogliono gli individui.
G.F. Hegel
Pagina 168
Cap. XVII ATTIVITÀ COMMERCIALI E ARTIGIANE Ci avviciniamo così ai giorni nostri e vogliamo ricordare tutti coloro che, col loro lavoro, furono artefici della produzione e dello scambio di beni essenziali alla vita sociale ed economica del paese. Inoltre troviamo doveroso mettere in evidenza le persone che ebbero capacità e grinta nell'ampliare e nel creare nuove attività commerciali, industriali e agricole che tanto benessere hanno portato al paese ed ai suoi cittadini. Parecchi sono dei conoscenti, molti sono o sono stati degli amici con i quali abbiamo percorso un tratto della nostra vita e tutti meritano il dovuto rispetto. Inizia un periodo nuovo. La fame, sempre presente per mille e cinquecento anni, non è più un problema primario. Si presentano nuove prospettive di lavoro, di produzione di merci, di sviluppo di idee e di ricchezza. Insomma si respira un'aria di grandi e concrete speranze. La vita economica nella realtà marenese dopo la seconda guerra mondiale è strettamente correlata alla sua attività principale ed unica, l'agricoltura. La popolazione nel periodo di tempo preso in considerazione si può considerare sostanzialmente stabile in quanto, guardando ai dati del censimento generale della popolazione, il numero di abitanti passa dalle 5.872 unità del 1951, alle 5.929 del 1961 per finire ai 6.313 del 1971. L'incremento della popolazione in vent'anni è stato di sole 441 unità. I dati che verranno illustrati sono stati ricavati dall'archivio comunale e riguardano le licenze rilasciate nel periodo dal 1946 fino al 1971, anno in cui è entrata in vigore la prima legge organica sul commercio. Pagina 169
Inoltre nel prosieguo di questa disamina sono state inserite anche le attività produttive di cui si è riusciti ad avere notizia. Relativamente al commercio, le tipologie prese in considerazione riguardano le attività di vendita al minuto e all'ingrosso. L'esercizio di queste attività nel medesimo locale è stato vietato a partire dal 1971 con la Legge n° 426 mentre prima era spesso esercitato congiuntamente. Negli anni presi in considerazione sono state rilasciate 179 licenze di commercio le quali sono statisticamente così ripartite tra le varie frazioni e località del territorio comunale: Mareno di Piave
79
Soffratta
11
Ramera
31
Baccichetto
6
Santa Maria del Piave
23
Cittadella
1
Bocca di Strada
18
Altre non individuate
6
Campagnola
12
Nel numero totale delle licenze sono conteggiati anche i passaggi di gestione e quindi il numero reale di esercizi commerciali è inferiore al numero di licenze sopra riportato. Questa ulteriore tabella da un'idea per frazione o località della tipologia dei settori ed il criterio che si è seguito è stato quello di distinguere il settore alimentare da quello non alimentare anche se presenti nel medesimo esercizio commerciale. LOCALITA'
Alimentare
Non Vino e uva alimentare (ingrosso)
Carne
Animali vivi (vendita)
Mareno di Piave
26
41
4
3
5
Ramera
18
11
4
2
0
S.Maria del Piave
13
12
2
3
0
Bocca di Strada
5
9
3
1
1
Campagnola
4
5
2
0
0
Soffratta
4
4
3
0
0
Baccicchetto
1
2
0
0
1
Cittadella
1
0
0
0
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Entrando un po' più in profondità in questi dati si possono fare alcune interessanti osservazioni. Fino al 1960 circa ci sono realtà commerciali ed artigiane di piccole dimensioni, anzi familiari, che hanno sorretto la vita tranquilla e stabile del tempo. La panoramica che andremo ad illustrare di seguito, benché parziale, renderà bene l'idea della situazione. Nel 1958 il Dr. Grigio Giovanni riapre la Farmacia con gran beneficio per tutti. Le calzolerie portano i nomi di Fagaraz Primo e Cescon Paolino, che in seguito apriranno anche un negozio di vendita di calzature e Fagaraz Mansueto.
Fagaraz Primo
Cescon Paolino
Fagaraz Mansueto
Un'officina di fabbro ferraio si trova in via Molino, ed è gestita dai fratelli Girolamo e Luigi Vendrame. La loro abitazione è stata usata come ospedale da campo durante la Prima Guerra Mondiale. I panifici sono quelli dei fratelli Bornia Donato e Adele a Mareno centro ed a Ramera di Barro Mario e poi del figlio Marziano.
A sinistra: Donato e Adele Bornia
A destra: consegna rapida del pane a domicilio Pagina 171
Le sartorie conosciute sono di Vendrame Amos in borgo Chiesa, Modolo Piero e poi Graziano e Gian Maria a Soffratta e Zanardo Beniamino in centro a Mareno.
Vendrame Amos
Modolo Piero
Modolo Graziano
ZANARDO PIETRO e BENIAMINO Zanardo Pietro nato nel 1900 inizia l'attività di sarto a Mareno di Piave nel 1919 circa e prosegue fino al 1951. Il figlio Beniamino, classe 1929, continua l'attività del padre a partire dagli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, sempre a Mareno di Piave. Frequenta a Milano un corso di taglio nel 1951 organizzato dal Consorzio Provinciale per l'istruzione tecnica di Milano. Terminato il corso rientra a Mareno di Piave dove esercita la professione fino alla pensione. Quando nel 1953 viene costruita la pesa comunale, proprio davanti alla sede della Società Operaia di cui è socio, ne gestisce l'attività per oltre un decennio per conto della stessa Società Operaia. Appassionato di musica entra a far parte della Banda Cittadina suonando prima il tamburo e poi il tamburello fino alla pensione e oltre. Zanardo Beniamino
Per il trasporto merci c'erano i “Carioti” Dario Giovanni e Dario Pietro i quali dal 1949 iniziarono i trasporti di paglia e fieno in concorrenza con Cal Sereno di via Pio X “padroncino“ con un proprio automezzo e i fratelli Carnielli. Dario Pietro
I fratelli Buffo Luigi, Domenico e Angelo, ma da tutti conosciuto come Gianni, meritano un piccolo accenno nella pagina seguente. Pagina 172
BUFFO F.lli LUIGI, DOMENICO, ANGELO-GIOVANNI (Gianni) Nel 1953 Luigi, il più anziano, sente di dover fare qualcosa per cambiare la sua vita e su idea di Ugo Feltrin decide di fare l'autista e trasportare merci con un motocarro Guzzi a tre ruote che aveva acquistato dal Sig. De Cleva, un profugo giuliano venuto ad abitare a Mareno. Con il tempo Ugo Feltrin esce dalla società e Luigi continua l'attività coadiuvato prima dal fratello Domenico e poi anche dal fratello Gianni. Dal motocarro passano al “Leoncino” e poi ad altri automezzi sempre più grandi, specializzandosi in trasporti internazionali (T.I.R.), e accrescendo pian piano le attività di trasporto fino ai giorni nostri. Una menzione particolare alla loro mamma Colomba (per gli amici Colombina) che con tanta dedizione e bontà si è dedicata a fare da assidua infermiera a mio padre negli ultimi giorni della sua vita. Grazie Colombina!
Ci sono negozi di generi alimentari sparsi nel territorio comunale: - a Mareno di Piave Dario Giuseppina in centro e Vittorio Peruzza e la sorella Mariettina in via Liberazione, il cui negozio passa in proprietà alla figlia/nipote Reginetta, morta drammaticamente il 30/1/1991, uccisa forse da un balordo a seguito di una rapina nel suo negozio. Il caso è rimasto irrisolto. Reginetta Peruzza – a Soffratta Vendrame Arinda in centro e Allini Graziosa sulla strada per Tezze, – a Campagnola Dall'Armellina Luigina, – a Bocca di Strada Dal Bianco Epifanio, – a Ramera Salvador Eugenio. Negozio Fior di Dal Bianco Epifanio
Dal 1926 in via Molino a Mareno di Piave operava un molino gestito da Barro Angelo a cui era affiancata l'attività di mietitura e trebbiatura per conto terzi con macchinari propri. Alla sua prematura morte l'attività del molino è potuta continuare per il duro lavoro della moglie, che così ha fatto crescere i giovani figli con le proprie forze. Barro Angelo Pagina 173
Un ricordo che viene da lontano: i venditori ambulanti di frutta, verdura, dolcetti vari e poi pesce Rizzotto Giobatta e la figlia Elena di Calle di Mareno e il negozietto in Piazza Municipio di Rizzotto Giuseppe e poi Benedetto con la moglie Emma. I fratelli Piccin Carlo e Alberto di via Tariosa, commercianti di pesce, concentravano le vendite soprattutto il giovedì pomeriggio ed il venerdì mattina. La raccolta, l'essiccazione ed il commercio dei cereali è attività dei fratelli Zava Agostino e Severino, iniziata nei primi anni '50 e sviluppatasi progressivamente dal 1958. Zava Severino
Nascono anche i primi maglifici come quello di Bozzetto Franco che inizia nel 1956 e a seguire quello di Da Re Avellino e di Bortoluzzi Rocco. Inoltre Vendrame Angelo e Dal Bianco Teresa, che operavano in via Ungheresca Nord. Hanno lasciato la loro proprietà alla “Nostra Famiglia”. Bozzetto Franco
A garantire la mobilità dei marenesi ci sono inoltre negozi di vendita e officine di riparazione per cicli e motocicli: Da Re Carmelo in centro a Mareno, Furlan Vincenzo a Calle di Mareno e Spezzotto Riccardo a Campagnola. Furlan Vincenzo
Dario Carlo è il fornitore di carburanti soprattutto per il riscaldamento domestico, con sede in via Verri. DA RE CARMELO Carmelo Da Re, classe 1908, comincia la sua attività agli inizi degli anni '30 nel fabbricato dove aveva sede il vecchio municipio. Agli inizi ripara biciclette, cucine, stufe e stagnava caldaie. Negli anni '40 si trasferisce nell’edificio dove ora ha sede la Banca Prealpi. Dopo la Seconda Guerra Mondiale amplia la sua attività vendendo macchine da cucire, bombole di gas, articoli per la caccia e la pesca, carburanti (prima con insegna OZO e poi TOTAL) ed inoltre noleggia motociclette. Negli anni '70 trasferisce l’attività nel nuovo fabbricato di via Roma dove tutt’ora il figlio Antonio continua la sua attività. Pagina 174
Per le riparazioni di autocarri e trattori c'è Primo Brasolin. BRASOLIN PRIMO (1910-1990) Arriva a Mareno di Piave da Padova per stare vicino alla moglie Patella Alessandra, Levatrice Comunale, nel 1959 e apre una officina di meccanica pesante per la riparazione principalmente di camions e trattori a Calle di Mareno. Nel tempo e con le mutate necessità del paese, aggiunge la riparazione di autovettore con l'aiuto del figlio Guglielmo (Mino) che ha terminato gli studi di meccanica. Mino, con la moglie Tegolotti Rosanna, in seguito aprirà anche un negozio di ricambi e prodotti per l'auto attualmente in piena attività.
PATELLA ALESSANDRA (1907-1977) Levatrice Comunale Moglie di Primo Brasolin vince il concorso e arriva a Mareno di Piave quale “Levatrice Comunale”, attività che svolge fino al suo pensionamento. La figura di Levatrice Comunale verrà poi soppressa dall'USSL e le competenze trasferite all'Ospedale di Conegliano.
A Soffratta opera la distilleria di Vendrame Antonio, persona affabile, disponibile e generosa, mai dimenticata. E' nel ricordo di tutti l'eroico gesto di Antonio che ha dato la sua vita nel vano tentativo di salvare il nipotino caduto in una vasca. Vendrame Antonio Nel campo della compravendita del bestiame, Vito Facchin aveva una grande personalità, fiducia e rispetto tanto che, quando parlava durante una trattativa anche i miei dicevano “l'ha detto Vito perciò va bene”. C'era anche Peruzza Natale Facchin Vito con macelleria in via Liberazione. Il mercato dei maiali era la specializzazione di Tarzariol Luigi e poi del figlio Angelo detto “Gino” che avevano la stalla in via Biffis. Nel territorio comunale per lo svago dei marenesi operavano diverse osterie con annessi campi da bocce ed altri passatempi. A Mareno di Piave c'erano l'osteria da Tina o da Pasqualin, Dalla Vedova Virgilio conosciuto come “dal Magro”, così soprannominato per la Pagina 175
sua corporatura alta e snella, da Aristide in Borgo Chiesa, Benedos e Joto a Calle di Mareno. A Soffratta nella località chiamata “Costa d'Africa” c'era l'osteria di Allini sulla strada per Tezze e poi un po' fuori Mareno di Piave c'era quella dei fratelli Giannino e Celestino Dotta che nel 1960 inaugurarono una sala da ballo meglio conosciuta come Dancing Dotta. Approssimativamente a partire dal 1960 tutto inizia a cambiare ed a trasformarsi: nuove attività ed il miglioramento ed ampliamento di quelle esistenti portano pian piano ad una rivoluzione vera e propria nella vita dei singoli e della comunità.
Il merito va a coloro, molti, che hanno creduto nel cambiamento, nell'accettare un rischio fino ad allora impensabile, ad accogliere le opportunità possibili. I risultati si vedono oggi e tutti noi ne godiamo i frutti. BET VINCENZO RODOLFO Questa è la storia della famiglia Bet da Ramera che ha esercitato il mestiere di macellaio per almeno quattro generazioni. Inizia Bet Gioacchino sposato con Biffis Angela, continua Bet Ferdinando classe 1879, poi Bet Rodolfo Vincenzo e quindi il figlio Paolo Guido. Bet Vincenzo inizia la sua attività attorno al 1945 a Ramera nel fabbricato dove poi Salvador Eugenio aprirà un negozio di alimentari. Nel 1952 emigra con la famiglia a Torino dove vive fino al 1968 quando ritorna a Mareno di Piave e apre una macelleria a Campagnola nel fabbricato di proprietà di Ceschin Giuseppe, di fronte alla Ditta CEDA, dove già esercitava analoga attività Breda Italo. Poi nel 1971 si trasferisce a Mareno di Piave lungo la circonvallazione da poco aperta nel fabbricato dove a fianco c'era il supermercato VeGè dei fratelli Benedos. Dopo pochi anni il figlio Guido lo sostituisce nell'attività e la macelleria negli anni novanta si sposta all'interno del supermercato MIO MARKET, nell'edificio dove si trovava anche il negozio di mercerie, tendaggi e accessori per la casa “ZORZETTO”.
A partire dagli inizi del '60 le attività aumentano di numero e di specie, o si ingrandiscono. In tre negozi, Da Re Carmelo, Doimo Pasquale e Valentini Valerio, si vendono apparecchi televisivi e quindi pian piano la televisione inizia ad affacciarsi nelle case determinando tutti quei cambiamenti nel modo di vita e di rapportarsi dei nuclei familiari che oggi ben conosciamo. Doimo Pasquale Pagina 176
Nello stesso periodo cominciano ad essere venduti anche i primi elettrodomestici con la rete elettrica che raggiunge un sempre maggiore numero di case. Ci sono infatti diversi esercizi che vendono materiale elettrico: a Bocca di Strada Gerotto Attilio, a Ramera Brugnera Carlotta in Basei e Salvador Eugenio, a Mareno capoluogo Doimo Pasquale e Dario Pietro (con la moglie Foltran Rina) e a Campagnola Dall'Armellina Luigina. Dario Pietro
Accanto a queste novità, al nuovo che avanza anche nella remota provincia, troviamo tutta una serie di negozi e attività tipicamente legati all'economia rurale del territorio. Il numero maggiore è presente nel settore alimentare dove si vendevano i prodotti di prima necessità (pane, latte, olio, pasta etc.) da soli oppure assieme agli utensili per la casa e per l'agricoltura o in abbinamento all'attività di osteria. Ai vecchi negozi di alimentari già menzionati, si affiancano quelli di Nadal Tranquillo e Tomasi Maria a S. Maria del Piave, di Zanchetta Giorgia a Mareno di Piave che nel tempo si amplierà sempre più e che è tutt'ora, con l'insegna Mio Market, uno degli esercizi commerciali più importanti nel territorio comunale. Nadal Tranquillo Nel 1971 tre amici, Padovan Nerio, Dall'Armellina Giuseppe, Da Re Rosanna, aprono una produzione di salotti a Fontanelle. Nel 1975 costruiscono la fabbrica “Salotti Rosy” a Mareno centro e vi si trasferiscono. L'attività si amplia inserendosi nel mercato Nord-europeo, Est-europeo e paesi arabi con una vasta produzione di qualità. Padovan Nerio Una menzione particolare deve essere fatta sul primo supermercato con marchio VeGè gestito dai fratelli Benedos ed aperto nel 1971 lungo la nuova strada via Verri, la circonvallazione, che collega i paesi vicini con Conegliano. A tutti gli effetti si può dire che è stato il primo esercizio commerciale “moderno” nel senso che era organizzato, nelle modalità di vendita e nella varietà di prodotti, come gli attuali supermercati. Pagina 177
BENEDOS GIOVANNI Nasce a Mareno nel 1901 e sposa Dalla Vedova Benedetta. Negli anni '30 esercita l'attività di commercio e di osteria in Calle di Mareno, che trasforma in trattoria negli anni '40. Alla sua morte, avvenuta nel 1957, la moglie continua l'attività, con vendita di alimentari, filati, materiale elettrico e ferramenta e apre nell'osteria anche una “sala con televisione”. Prosegue l'attività fino alla fine degli anni '60, quando la licenza passa ai figli Pietro ed Egidio. In seguito i F.lli Benedos lungo la circonvallazione appena realizzata aprono un grande negozio con insegna VeGè, che può essere senz'altro definito l'antesignano dei moderni supermercati oggi esistenti a Mareno di Piave. Cartolina primi anni '70 del supermercato VeGè
Ci sono anche diversi negozi che vendono prodotti per l'agricoltura, dalle sementi agli utensili e ai macchinari per lavorare la terra come la ditta Castagner Secondo a Mareno di Piave. CASTAGNER SECONDO Castagner Secondo nacque a Vazzola nel 1908 e iniziò la sua attività a metà degli anni '30 come meccanico di motocicli e biciclette. Si trasferì poi in un caseggiato, ora demolito, in via Conti Agosti e dopo la seconda guerra mondiale, attorno al 1948/1949, costruì il fabbricato adibito ad officina e abitazione nell'area a fianco a quella dove apre la Cassa di Risparmio di Venezia. Oggi ci abita il figlio Aiello che ha proseguito l'attività del padre fino al 1997. L'attività negli anni si è trasformata continuamente e nel dopoguerra divenne quella esclusiva di assemblaggio motori americani con pompe per l'estrazione dell'acqua o per i sistemi di irrorazione delle piante, viti, alberi da frutta, etc., a cui si aggiunse la vendita di altri macchinari per l'agricoltura.
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Altrettanto numerosi e distribuiti nel territorio erano anche i negozi dove si vendevano filati, tessuti, vestiti e scarpe. Al negozio di Bet Caterina in Zanchetta si affianca quello di Zorzetto Ultimo (ma da tutti conosciuto come Giuliano) il quale si amplierà negli anni con articoli di vestiario e tendaggi per iniziativa del genero e della figlia e anche questo esercizio commerciale è tutt'ora operante. In quegli anni esercitavano l'attività di confezionamento di capi vestiario una ventina tra sarti e sarte. Dai ricordi di Zanardo Beniamino emergono i nomi e i luoghi dove lavoravano gli altri sarti e sarte: a Mareno di Piave Dotta Firmino, Alessio, Antonio e Cesare che erano anche i sagrestani e campanari, De Stefani Egidio ed Eufemia che per il loro mestiere erano soprannominati Sartor, Collet Pietro, Perencin Luigi, Damian Elide, Secolo Bruno, Sanson Lino, Sartori Lino, Antoniazzi Lino, Vendrame Amos e Luigi. A Soffratta esercitavano Modolo Pietro, Graziano e Gianmaria, Vendrame Carmela, a Ramera Bet Elda, Bari Pietro e a Santa Maria del Piave Cancian Giuseppe. La maggior parte di questi artigiani aveva ereditato il mestiere perché già esercitato in famiglia e non aveva seguito corsi professionali specifici per questa attività. Siccome il guadagno era scarso, spesso il sarto abbinava questo lavoro ad altri più redditizi. Nella maggioranza dei casi si confezionavano capi di vestiario completi ma il sarto poteva anche tagliare la stoffa che poi veniva cucita dal committente. Non mancavano poi i barbieri come Vendrame Servilio, Dotta Redento e Cesare, Saccon Candido, Dotta Antonio e Zanette Vito e la parrucchiera Brugnera Orsolina, moglie di Scardanzan Petronio. Alle attività esistenti si aggiungono due mulini, a Mareno capoluogo Bon Virginio e a Santa Maria del Piave Nadal Domenico e Pietro e tre panifici, uno a Mareno, uno a Ramera e l'ultimo a Santa Maria del Piave. Bon Virginio Pagina 179
Il paese si sviluppa molto anche dal punto vista edilizio e quindi aumentano le imprese di costruzioni: Lovisotto Eugenio e il figlio Giancarlo, Lovisotto Narciso poi con i figli Gabriele e Bernardo, Dal Cin Filippo, Dal Cin Franco con i figli, Maset Silvestro.
Lovisotto Gabriele
Dal Cin Franco
Maset Silvestro
In quegli anni arriva anche il cinema che aumenta ancora di più le occasioni di svago e divertimento dei marenesi. La novità fu portata dai fratelli Silvio e Renzo Frassinelli. Sparse sul territorio c'erano rivendite di gas in bombole per uso familiare che andavano mano a mano sostituendo la cucina economica. Nella località Baccichetto, lungo la strada provinciale via Distrettuale, a differenza del giorno d'oggi, esistevano varie attività: c'era la distilleria dei fratelli Sartor, l'osteria ed il negozio di alimentari di Baccichetto Natale, l'impresa funebre e di autonoleggio di Marcon Natale. Ora l'unica attività rimasta è l'officina meccanica e rivendita di auto usate e cicli di Zanardo Nerio. Per far fronte alla nascente motorizzazione c'erano due rivendite di carburanti a Mareno capoluogo, Bertoli Giovanni con annessa officina di elettrauto e Da Re Carmelo. Bertoli Giovanni
Con il crescere del numero di autovetture circolanti verso la fine degli anni '40 opera a Mareno capoluogo anche una carrozzeria, quella gestita da Vendrame Tullio e da due suoi fratelli.
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In merito a questa attività si sottolinea l'aspetto della volontà e della tenacia di uscire dal periodo buio della guerra unito ad una capacità manuale e di progettazione eccezionali: infatti Vendrame Tullio non si limita solo a riparare le auto degli altri ma addirittura costruisce proprie carrozzerie creando prototipi di una bellezza che precorre i tempi. Autovettura progettata e realizzata interamente a mano da Vendrame Tullio
Le officine meccaniche aumentano per far fronte ad una società in crescita e così abbiamo Casagrande Edoardo a Soffratta, coadiuvato poi da Corrocher Luigi ed Ezio, Zanchettin Giuseppe dal 1962 in Borgo Chiesa a Mareno di Piave, Nadal Gabriele a Santa Maria del Piave con una officina di carpenteria pesante.
Casagrande Edoardo
Zanchettin Giuseppe
Nadal Gabriele
Un'altra attività importante e unica per il Comune si trovava sempre a Santa Maria del Piave: il Lanificio Piave di Fava Narciso e Covre Cesare che produceva filati e tessuti nel fabbricato in via Colonna all'incrocio con Via Ungheresca. A Bocca di Strada era sorto il mobilificio dei fratelli Bof e a Mareno capoluogo operavano le falegnamerie di Scardanzan Petronio e Sordon Roberto che ha aperto anche un negozio di mobili. Scardanzan Petronio
Sordon Roberto
L'informazione era garantita da due rivendite di giornali, una a Bocca di Strada gestita da Fantuzzi Silvestro, l'altra a Mareno capoluogo da Pagina 181
Sanson Maria e più recentemente quella gestita da Valentini Caterina, ma conosciuta ancora al giorno d'oggi come “da Pippo”, soprannome del marito impresario edile. Valentini Caterina e il marito Dal Cin Filippo detto “Pippo”
Negli anni '60 il settore agricolo era ancora profondamente regolato dalla mezzadria ma iniziò a farsi strada una coscienza più moderna col nascere di associazioni che avevano lo scopo di promuovere il miglioramento della pratica agricola sia per quanto riguarda le tecniche che nuovi sistemi di lavorazione e commercializzazione dei prodotti. Così assieme a tutta l'attività economica e commerciale anche l'agricoltura si trasforma. Il governo vara leggi che favoriscono chi lavora la terra e vengono concessi mutui a lungo termine, 30-40 anni e a fondo perduto, per facilitare l'acquisto della terra e permettere a chi la lavora di avere terreni in proprietà o creare proprietà più ampie. Nuovi macchinari, nuove sementi, nuovi tipi di coltivazioni, nuovi modi di produrre e commercializzare i prodotti, la costituzione di cooperative, l'aumento dei consumi in generale e la costituzione del Consorzio Sinistra Piave per l'irrigazione nei primi anni '60 modificano in pochi anni il settore agricolo. L'agricoltura si affranca così dalla semplice produzione destinata alla sussistenza e diventa invece produttrice di beni e ricchezze. Gli addetti diminuiscono a favore di quelli dell'industria, del commercio e di altri settori e coloro che restano si specializzano nelle produzioni di qualità. Tra le aziende agricole più significative ricordiamo: Paoletti, Donà dalle Rose, Menini, fratelli Giuseppe e Fausto Dall'Armellina, Marcon Placido, Frassinelli Silvio e Renzo, Lot Antonio e Luigi, le tre generazioni Dall'Armellina: Beniamino, Oscar, Stefano. Francesco Lot e Gaiotti Cecilia nel tardo '800 partono per l'America. Al loro rientro, un paio di anni dopo, acquistano dei terreni da coltivare e iniziano ad allevare pecore. Il figlio Giuseppe prosegue iniziando ad allevare vacche da latte nel 1922 e nel 1950 si trasferisce a Soffratta dove, con i figli Antonio e Luigi, inizia ad allevare bovini da carne. Oggi l'azienda agricola è in piena attività. Giuseppe
Antonio Pagina 182
Nel 1963 iniziò l'attività della Cantina sociale cooperativa Acli di Santa Lucia di Piave e Mareno. La cantina sorse a Bocca di Strada al confine col comune di Santa Lucia di Piave ed il primo presidente fu Dal Bianco Abramo. Successivamente nel 1966 venne variata la denominazione sociale in Cantina Cooperativa Sinistra Piave di Mareno di Piave mentre la prima campagna d'uva fu nel settembre 1968 con la lavorazione di 24.000 quintali di prodotto. Negli stessi anni continuava la sua attività la latteria sociale inaugurata nel lontano 1932, che lavorava e commercializzava il latte proveniente dalle molteplici stalle sparse nel territorio comunale. Dalla lettura dei verbali della Commissione comunale per il commercio si ricava l'idea che nuove aperture di negozi erano sempre autorizzate col contagocce così come la possibilità per quelli esistenti di ampliare la loro gamma di prodotti. Esisteva insomma un'attenta disamina dei negozi vicini, dei prodotti venduti e del numero totale di attività dello stesso tipo prima di concedere nuove licenze. Questa situazione era dovuta alla presenza nella Commissione comunale degli esercenti più in vista i quali non erano sicuramente favorevoli ad avere nuovi concorrenti in campo. In questo modo si era creata una rigida struttura commerciale che per circa una trentina d'anni ha ingessato il commercio nel comune pur soddisfacendone le esigenze. L'effetto finale è stato quello di assicurare un tessuto commerciale protetto per gli esercenti del comune senza considerare le realtà comunali vicine. Ogni comune infatti programmava il suo tessuto commerciale in una sorta di autarchia. In conclusione si può affermare che la situazione commerciale e produttiva nel lasso di tempo considerato, dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni '70, si era perfettamente e totalmente adattata alla realtà di un'economia agricola. Poi è cominciata una serie di profondi cambiamenti nella vita economica del comune. Pagina 183
La prima importante novità è stata la realizzazione dell'autostrada A27 la quale ha letteralmente tagliato in due il territorio da nord a sud ma sopratutto la realizzazione del casello di San Vendemiano che ha rappresentato un'importante occasione di collegamento a lungo raggio per le attività economiche. La seconda è stata la realizzazione di una zona per insediamenti produttivi a Ramera, località da cui si accede in pochissimo tempo al casello autostradale. Ed infine una sempre più crescente urbanizzazione del territorio ha radicalmente cambiato il volto e la vita dei marenesi. Il tempo delle stagioni che scandiva l'attività in agricoltura è stato spazzato via dai nuovi ritmi. Così come sono state spezzate quelle consuetudini e quei rapporti umani che per un tempo indefinito nella nostra memoria avevano retto la vita delle famiglie e delle persone.
Azienda agricola Paoletti
Azienda agricola Donà delle Rose
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Azienda agricola Lot Antonio
Azienda agricola Marcon Placido
Azienda agricola Dall'Armellina Giuseppe e Fausto
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DALL'ARMELLINA F.lli BRUNO e ARMANDO I quattro fratelli Dall'Armellina ed i loro cugini Gardenal, giovani effervescenti, decidono di uscire dalla loro vita quotidiana intraprendendo nuove attività. I cugini Gardenal si dedicano ai dolciumi ed alla produzione di cioccolato a S. Lucia di Piave, mentre Elvio ed Enrico aprono una carrozzeria ad Oderzo. Bruno ed Armando pensano ad una attività nuova e diversa, ma con una buona prospettiva per il futuro: la produzione di tubi in calcestruzzo e così fondano la C.E.D.A. nel 1964. Agli inizi degli anni '70 l'azienda si amplia con la produzione di tegole in calcestruzzo e nel 1980 con pavimentazioni autobloccanti. Oggi è una grande realtà del paese. Bruno
Armando
F.lli FRASSINELLI SILVIO e RENZO Nella programmazione dello sviluppo del centro cittadino di Mareno sono incluse alcune proprietà terriere dei F.lli Frassinelli. Lo spazio edificabile è sufficiente per inserire attività diverse rispetto all'indirizzo prettamente agricolo, di cantina e di allevamento. Così un'idea di Ferdinando Foscan (foto a destra), l'allora Presidente dell'Associazione Combattenti e Reduci, viene fatta propria dai F.lli Frassinelli che la realizzano nel 1957. Nasce il Cinema IRIS. In seguito, volendo migliorare la produzione vinicola dell'Azienda, costruiscono una nuova cantina in via della Vittoria, dando vita ad una produzione e vendita di vini di alta qualità, tuttora esistente.
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FAMIGLIA MENINI I primi dati certi risalgono a Giacomo Menini originario di Conselve (PD). Il Figlio Pietro Antonio nasce a Soffratta di Mareno nel 1771 e muore a Mareno nel 1844. Diventa un'autorità cittadina esercitando una professione quanto mai singolare: “Pubblico Perito”. Padre e figlio acquistano dei terreni da Antonio Bellini erede di un ecclesiastico, Don Lorenzo Bellini, che fu parroco a Mareno intorno al 1628. La prima abitazione è stata un vecchio piccolo monastero a Soffratta, a metà strada tra le due Chiese; proprietà acquistata da un altro ecclesiastico Don Giacomo, Ispettore scolastico. In seguito acquisirono altre proprietà da Costantino Bellini fu Mattia di Padova proprietario di case e terreni a Mareno e Soffratta, ampliando così la loro proprietà. Si trasferiscono nella nuova casa, quella attuale. Il figlio di Antonio, Michele nato il 20/5/1806 e morto il 26/10/1886, viene eletto consigliere comunale a Mareno e nominato Giudice Conciliatore. Anche suo figlio Pietro (1853/1940) viene nominato Giudice Conciliatore, così pure il nipote Giovanni Battista (24/3/1903 – 26/1/1972). Nella conduzione della proprietà agricola sono tra i primi ad adottare il sistema “a conduzione diretta”, introducendo così, in anticipo sui tempi, un metodo di produzione agricola innovativo, che prenderà piede soprattutto nel secondo dopoguerra.
PERUZZA ANGELO GIUSEPPE Partito da casa nel 1938 per il servizio militare ritorna nel 1946 dalla prigionia nel campo di concentramento di Birkenau. Aveva il diploma magistrale anche se con parecchi bollini sul libretto universitario a Cà Foscari. Nel giro di due anni si laurea in lingue straniere, rifiuta il posto di professore a Trento e si accontenta di fare il maestro elementare nella sua Mareno (è stato il mio maestro). Non bastandogli la scuola, con l'aiuto delle suore dell'Asilo di Soffratta, avvia un laboratorio per la produzione di borse confezionate usando le foglie secche delle pannocchie di granoturco (i scartoz). Abbandona la scuola nel 1954. La fortuna lo aiuta, le operaie pure e nel dicembre del 1959 inaugura, con la benedizione di Mons. Sartor, il capannone che, ingrandito in seguito, sarà quello attuale. Ama il suo paese e con l'aiuto degli amici Buffo, Bertoli, Da Re, Bozzetto, Casagrande ed altri e la collaborazione del Dr. Guaita fonda la sezione comunale dell'AVIS. Ricopre pure, per un breve periodo, la carica di sindaco, ma il suo lavoro è ciò che lo soddisfa di più. Per il paese sono i primi anni del dopo guerra: ci sono poche fonti di lavoro per cui il sorgere di questa industria diventa punto importante d'aiuto a molte famiglie e di esempio ed incoraggiamento al sorgere di molte altre attività. Da allora il lavoro originale si è trasformato seguendo lo sviluppo moderno. Per oltre cinquant'anni l'azienda ha garantito reddito ad un certo numero di famiglie. Pagina 187
DOTTA EUGENIO Dotta Eugenio, classe 1886, non appena maggiorenne, emigra negli Stati Uniti d'America in cerca di fortuna e si stabilisce a Chicago nell'Illinois. Ritorna in Italia dopo pochi anni e sposa nel 1927 Andreetta Maria. Nascono i figli Giannino, Celestino e Annie.
Acquistato un pezzo di terra lungo la via Mantese, ora via S.Pio X°, vi costruisce la casa ed uno spazio utile all'apertura di un negozio di generi coloniali e vino da asporto. Nel 1936 la casa viene ampliata per far posto anche all'attività di osteria. Nel 1946 Eugenio viene nominato Sindaco dal Governo Militare alleato e dura in carica fino alle elezioni del 20/10/1946.
I figli Giannino e Celestino grandi amanti della musica, suonavano molto bene il pianoforte, la fisarmonica ed il saxofono e si esibiscono in molti teatri della Provincia compresi l'Accademia di Conegliano ed il Cristallo di Oderzo. La passione si trasforma in attività quando nel 1959 costruiscono a fianco della loro abitazione un locale dove suonare e ballare. La sala da ballo da tutti conosciuta come “Dancing Dotta” viene inaugurata nel 1960 e continua la sua attività fino ai primi anni '90. Pagina 188
GUALUPPA ADOLFO e POLO ELISA Queste brevi note vogliono raccontare la storia dell'Osteria Joto che per quasi tutto il secolo scorso è stato un punto di incontro e socializzazione per la gente di Mareno. La storia inizia durante la Prima Guerra Mondiale, nel 1917, quando Elisa Polo apre un negozio di prodotti vari in una stanza del fabbricato, in via Conti Agosti a Calle di Mareno, che si trova di fronte all'attuale latteria. Sposa Gualuppa Adolfo e nel 1918 acquista un pezzo di terreno dalla Curia sul quale costruiscono una baracca in legno dove esercitano attività di commercio e poi di osteria. Adolfo era stato adottato da una famiglia di Conegliano e sembra che dall'essere stato abbandonato dai genitori gli sia valso il sopranome di “Joto” e acquisisce il cognome Gualuppa in occasione del servizio militare a Roma. Tornato a casa parte per un lavoro stagionale in Svizzera e investe i risparmi nella costruzione della baracca di legno della moglie Elisa. A partire dal 1920 la baracca pian piano viene sostituita da una costruzione in muratura, ampliata in più riprese negli anni susseguenti. Adolfo muore nel 1949. Nell'attività gli subentra la nipote Antonietta, essendo il figlio Vittore morto giovane nel 1933 a soli 31 anni. Antonietta continuerà a gestire il bar-osteria fino al 1986 quando l'attività chiude. Il fabbricato verrà acquistato dal Comune di Mareno che lo farà demolire nel 2000 per dar spazio all'area degli impianti sportivi.
DALL'ARMELLINA ALDO e GIUSEPPE Altri giovani impazienti di cambiare la loro vita di campagna. Si impiegano quali trasportatori di mobili per una grossa ditta del Coneglianese, poi aprono una rivendita a Conegliano nel 1970 e successivamente a Susegana, per ritornare a Mareno nel 1973 costruendo un grande negozio sempre gestito dalle mogli Da Re Giovanna e Capraro Nadia. In seguito producono in proprio ampliando l'attività anche con una fabbrica a Mareno (l'“Old Line”) e una a Cavaso del Tomba, ancor oggi entrambe in piena produzione. Pagina 189
VENDRAME TULLIO Tullio Vendrame nasce nel 1919 e, dopo una esperienza lavorativa presso la fabbrica aeronautica CAPRONI di Predappio in Emilia Romagna e poi presso la carrozzeria Serafini di Conegliano, verso la fine degli anni '40 apre una sua carrozzeria nel fabbricato di proprietà Zanardo nell'attuale piazza Municipio, con l'aiuto dei f.lli Antonio e Leopoldo. Sposa Fagaraz Bruna. Alcuni anni dopo, negli anni '50, costruisce la carrozzeria in via Conti Agosti, a fianco della Latteria Sociale, e si trasferisce anche con l'abitazione. Non è una normale carrozzeria, è invece una fucina di idee progettuali e di costruzioni di auto personalizzate su telai della Fiat e della cecoslovacca Tatra. L'inventiva è talmente effervescente che si concretizza su tutti i tipi di vetture, dalle berline a quelle sportive e con carenature per moto. Un ricordo personale: l'aver visto ed esserci salito sulla vettura rossa da corsa, opera di Tullio fatta per il Dr. G.Battista Cavarzerani che ha partecipato ad una competizione delle “Millemiglia”. Era coadiuvato costantemente dalla moglie Bruna che, abile sarta con ampia esperienza fatta presso il sarto Beniamino Zanardo, provvedeva a cucire gli interni delle auto. E l'anfibio? Fu un veicolo particolare che però venne collaudato solo per circolare su strada. La figlia Sonia riferisce che quando tornò a casa dal collaudo era talmente arrabbiato che durante la notte tagliò a metà la vettura anfibia e con il motore fece un go-kart.
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Un fatto vissuto conferma la genialità di Tullio. Per la sagra paesana di S. Pietro e Paolo a Mareno di Piave del 1958 arriva una giostra di “Dischi volanti” che avevano la possibilità di alzarsi e girarsi su se stessi di un quarto. Si sentiva parlare della possibilità di modifiche sostanziali; renderli più appetibili ai ragazzi. Il problema venne posto a Tullio che lo risolse egregiamente. Rese possibile il girarsi su se stessi dei dischi fino a 180 gradi e li dotò di cellule fotoelettriche che incrociando un ricevitore posto sugli altri dischi ne determinava la discesa. Ebbe grande successo e ancor oggi ci si ricorda delle entusiasmanti competizioni sui dischi volanti. Purtroppo non brevettò mai le sue invenzioni e in tanti lo copiarono; alcuni che erano in competizione con lui divennero grandi stilisti dell'auto, marchi rinomati in tutto il mondo. Vendrame Tullio e sullo sfondo la giostra dei dischi volanti
Completiamo riproponendo un articolo di giornale del 1963 che illustra meglio di noi chi è stato Tullio Vendrame di Mareno.
Un artigiano di Mareno di Piave progetta e costruisce nuove automobili Tra gli artigiani della provincia di Treviso, Tullio Vendrame da Mareno di Piave, vanta, certamente, il primato nel settore della creazione di nuovi modelli di carrozzeria. Nella sua modesta officina alle porte di Mareno Tullio Vendrame non soltanto si dedica alla riparazione dei veicoli che, in numero sempre crescente, restano coinvolti, su quella movimentata arteria, in incidenti stradali ma studia e progetta, con eccezionali innovazioni tecniche e stilistiche, le carrozzerie di nuovi automezzi che egli poi si costruisce pazientemente in tutti i particolari. La passione di Tullio Vendrame e la sua fantasia, oltre che la forte preparazione tecnica, hanno sinora condotto il carrozziere marenese a realizzare vari tipi di veicoli. “Prima di tutto costruii una 1100 – ci dice il nostro interlocutore – per la Ditta Camerotto di Conegliano. Si trattava di una berlina di lusso, quattro posti da me modellata nel 1946 e collaudata dall'Ispettorato. Rispetto alle vetture allora in voga, la mia 1100 presentava una maggiore funzionalità: le porte erano montate su cuscinetti a sfere, con apertura a pulsante – non ancora applicata in quegli anni – la linea si presentava snella, l'interno comodo e luminoso”. Pagina 191
Abbiamo visto le fotografie della prima 1100 di Tullio Vendrame e possiamo, pur senza essere dei tecnici, dire che senz'altro si trattò di un modello rivoluzionario, per l'anno 1946. I ritrovati di quella autovettura furono applicati a molti successivi tipi di veicoli e sono in buona parte divenuti di uso generale nella produzione automobilistica. Dopo il 1946, stante il successo del suo primo modello, Vendrame si dedicò alla creazione di altri modelli da corsa realizzati su motori Fiat 500 C e 1100. Complessivamente costruì nel giro di tre anni una ventina di auto. Nel 1950, su motore Alfa Romeo Zanussi, il costruttore marenese realizzò un veicolo potentissimo, di grosse dimensioni, tipo corsa, in grado di superare la velocità di 180 chilometri all'ora. Si trattava di un modello sport lungo metri 4.20, largo 1.60, caratterizzato da linee stilistiche totalmente nuove, che a conti fatti, precorrevano l'odierna linea aerodinamica. Il punto più alto dell'automezzo era a 60 centimetri con conseguente massima stabilità. Da allora è continuata, incessante, l'attività creatrice orientata su un modello anfibio di 250 cc. di cilindrata, che raggiungeva in strada i 90 chilometri–ora e in acqua i 15 nodi, con due passeggeri a bordo. Il mezzo anfibio era particolarmente utile per le zone costiere e paludose, oltre che per cacciatori e pescatori dilettanti e si prestava ad una svariata gamma di utilizzazioni pratiche. Il consumo era ridottissimo, pari a quello di motoleggera. Andava bene ma i soliti istituti burocratici non digerirono l'innovazione e, approvata l'auto per strada, non la collaudarono per il duplice uso. Il progetto dell'anfibio naufragò e Tullio Vendrame distrusse anche il modello. Nel 1949, assieme a Pinin Farina, Bertone, Ghia, Boneschi e tanti altri, Vendrame partecipò ad un concorso di eleganza al Lido di Venezia, ottenendo per un suo modello, la coppa del Comune di Venezia. La sua ultima realizzazione è stata collaudata da qualche mese: è una svelta vettura, bassissima, realizzata su telaio Fiat 500, dalla linea elegante, che raggiunge i 130 chilometri orari. E' stata studiata per vincere la resistenza dell'aria, cosicchè la linea è risultata di una originalità davvero eccezionale. Notevole la luminosità ed abitabilità dell'interno. Il pianale anteriore è molto basso e i fianchi presentano una linea dall'andamento semplice fino al bordo uscita dove presenta una rimonta che dà a tutta la fiancata un tono signorile. Tullio Vendrame non ha mai brevettato le sue invenzioni. Ci ha detto “Tanto è inutile, perchè con poche variazioni chiunque può copiare i miei progetti. E per difendere le mie novità, dovrei perdere il mio tempo in mezzo a questioni legali ...” Ultima creazione dell'ingegno di questo straordinario artigiano, la giostra coi dischi volanti ove i <dischi> possiedono un'ampia manovrabilità e i passeggeri possono, mediante cellule fotoelettriche, guidare e colpire altri dischi in movimento. Ammirata nelle piazze del Veneto, la giostra finì in Emilia ove l'idea piacque e furono creati numerosi altri modelli. Pagina 192
Altri modelli di autovetture costruite da Vendrame Tullio
Se pensiamo che Vendrame Tullio ha frequentato solo la scuola elementare, si rimane profondamente colpiti dalla sua bravura e capacitĂ
Vettura progettata e costruita a mano per uso personale ora di proprietĂ della figlia Sonia
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GRIBAUDI CARLO E FRANCO Carlo Gribaudi nasce a Torino il 28/4/1923 ed è figlio di Domenico, fondatore nel 1922 dell'Azienda di famiglia. Realizzano stufe e cucine che vengono vendute in tutta la zona. Carlo cresce lavorando nell'attività famigliare fino a quando viene chiamato alle armi in Marina e mandato presso l'Arsenale Militare Marittimo di Pola. L'8 Settembre 1943 viene catturato dai Tedeschi ed inviato in Germania presso il campo di concentramento di Cottbus vicino a Berlino. Rimane rinchiuso prima nello Stalag 82 e poi nello Stalag 84 per quasi due anni, a lavorare presso una fabbrica meccanica ed a patire continuamente la fame. Quando il Campo viene liberato dai Russi, Carlo rientra in Italia e riprende a lavorare nella fabbrica paterna, prima ricostruendola dalla distruzione e poi aggiungendo alla vendita dei propri prodotti anche articoli di altre aziende del settore. Entra così in contatto con la Zoppas e poi anche con la Zanussi, acquistando cucine, frigoriferi ed altro da vendere in Piemonte. Finché un giorno, siamo nel 1962, decide di intraprendere una propria attività a Mareno di Piave (benché la Sede Amministrativa resti a Torino) insieme al fratello Franco ed a un giovane capace e preparato di Mareno di Piave: Luigi Ongaro, dando così lavoro prima a decine di persone del posto, poi a centinaia. La prima produzione venne interamente assorbita dalla ditta GRIKAR di Torino, poi venne venduta in tutta Italia e soprattutto in Germania. In seguito l'Azienda viene ceduta ed ora prosegue l'attività con la nuova insegna “Mareno Spa”.
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BRESSAN ROMANO e ZANCHETTA GIORGIA E' il 1958 quando Giorgia Zanchetta apre un negozio di generi alimentari in Via Conti Agosti di fronte alla “Pesa Pubblica”. A fianco del negozio c'è un piccolo terreno che verrà utilizzato nel 1961 dal marito Romano Bressan quale deposito della nuova attività aperta: fornitura di materiali edili ad imprese di costruzione ed a privati. Le attività crescono di pari passo fino a quando nel 1972 si ampliano e vengono trasferite in uno spazio più ampio in via Verri. Il negozietto diventa una grossa realtà: il “Mio Market”, mentre la rivendita di materiali edili si pone come punto di riferimento per tutto il territorio. Attualmente il “Mio Market”, rinnovato, continua la propria attività con Giorgia sempre in prima fila. Mentre Romano ha chiuso la propria azienda ed è andato in pensione. A Romano un plauso per la grande generosità dimostrata nei confronti di coloro che, costruendo la propria abitazione, necessitavano di fiducia nei pagamenti anche per lungo tempo. Non è stato dimenticato.
Alcune persone vedono un'impresa privata come una tigre feroce da uccidere subito, altri come una mucca da mungere, pochissimi la vedono com'è in realtà: un robusto cavallo che traina un carro molto pesante. W. Churchill Pagina 195
BET CATERINA E ZANCHETTA EFREM Questa è una storia di vita locale, di continuità, di operosità, di volontà. E' una storia che arriva da lontano, inizia oltre i ricordi personali. Durante lavori murari nella Chiesa Arcipretale di Mareno, alcuni decenni or sono, nel rimuovere dell'intonaco da una parete è apparsa la scritta “Nicola murer”, a significare che Zanchetta Nicola detto “murer” aveva eseguito lavori di ristrutturazione o ricostruzione molto e molto tempo prima. Zanchetta Cesare La Famiglia di Zanchetta Nicola era una famiglia di muratoriimpresari, attività che è continuata di generazione in generazione fino a Cesare che, ampliando la sua attività, aprì una rivendita di materiali edili in Centro a Mareno. Il deposito era attiguo al negozio di filati e accessori per sartoria di sua moglie Bet Caterina aperto nel 1958. Bet Caterina Erano anni di grande fervore e dinamismo e le attività procedevano bene, finché un giorno maledetto di settembre del 1960 Cesare muore in un incidente automobilistico mentre andava a caccia. La sig.ra Caterina si ritrova da sola con un bambino da crescere ed un negozio da gestire. Il primo negozio di Bet Caterina
Il bambino di nome Efrem, crescendo anziché seguire le orme del padre preferisce inserirsi nel ramo dell'attività della mamma e pian piano sviluppa le capacità adeguate ad entrare in un mondo commerciale nuovo che stava prendendo piede a quei tempi e che avrebbe sovvertito il concetto del vestirsi: le confezioni pronte. Il primo grande negozio dei “Magazzini Zanchetta”, ora adibito a deposito Pagina 196
Infatti la professione del sarto per uomini negli anni a seguire perderà importanza fin quasi a scomparire. Era un mondo nuovo ed in grande espansione, così decise di aprire anche un grande negozio “Magazzini Zanchetta”, di fianco al vecchio negozietto della mamma, che portò novità e lavoro in paese. Gli affari vanno bene e lo sviluppo lo porta ad aprire nuovi punti vendita e poi Centri commerciali, in tutto 14.
Veduta aerea del Centro Commerciale di Mareno di Piave Con gli anni il mercato migliora, ma Efrem, da accorto commerciante, suppone che potrebbe anche modificarsi, per cui opera una diversificazione delle attività inserendosi nel settore turistico-ricettivo che a tutt'oggi comprende 14 alberghi. Forte delle radici marenesi ha tenuto la Sede Legale e Amministrativa delle attività a Mareno di Piave. Miramonti Majestic Grand Hotel di Cortina d'Ampezzo, capofila del settore turistico ricettivo Geturhotels.
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Caseificio Sociale Il Caseificio Sociale di Mareno di Piave venne costituito nell'anno 1932 e la solenne inaugurazione avvenne il 16 febbraio 1932 alla presenza di numerose autoritĂ . Il primo consiglio di amministrazione era composto da Zanetti Vittorio Presidente, Lavina Ferdinando Vice presidente e da De Nardo Giobatta, Dall'Armellina Giovanni, De Nardo Giuseppe, Dall'Armellina Eugenio, De Nardo Domenico, Lovisotto Luigi e Dall'Ava Antonio, Consiglieri.
Fotografia del 1932
La finalitĂ di questa forma di associazionismo rurale era quella di uscire dalla semplice produzione di latte e formaggio per uso esclusivamente familiare per passare invece ad una commercializzazione dei prodotti che potesse garantire un ulteriore reddito. Il ricavato della vendita veniva infatti ripartito tra i soci in base alla quantitĂ di latte conferito. Pagina 198
La Società Operaia di Mutuo Soccorso Le Società Operaie di Mutuo Soccorso (SOMS) sono associazioni, nate intorno alla seconda metà del 1800 per sopperire alle carenze dello stato sociale ed aiutare così i lavoratori a darsi un primo apparato di difesa. Il funzionamento delle S.O.M.S. venne regolato con la legge 15 aprile 1886, n° 3818, promulgata dal Re Umberto I°. Verso la fine del XIX secolo accanto a queste esperienze di solidarietà si affiancarono le organizzazioni politiche e sindacali di matrice comunista e socialista le quali giudicarono troppo paternalistica la loro impostazione. Le S.O.M.S. nonostante il mutamento dei tempi sono tutt'ora presenti nella società e la Regione del Veneto con la Legge regionale del 12 novembre 1996 n. 36 “Tutela del patrimonio storico e culturale delle Società di Mutuo Soccorso della Regione Veneto” ha voluto riconoscere e promuovere i valori delle Società di Mutuo Soccorso in attività da almeno cinquant'anni, che, senza scopo di lucro, operano per l'affermazione dei valori e della cultura della solidarietà tra i cittadini. In quest'ottica ha disposto interventi finanziari finalizzati alla creazione di un "Centro per lo studio e la documentazione delle Società di Mutuo Soccorso". La Società operaia di Mutuo Soccorso di Mareno di Piave è sorta l'8 gennaio 1905 con lo scopo di dare aiuto ai Soci mediante la raccolta di contribuzioni e oblazioni. Ogni socio versava settimanalmente una quota ed in questo modo si poteva dare un sussidio ai Soci che si trovavano in difficoltà economiche perché ammalati. I principi cardine dello statuto del 1905 recitano che l'Associazione non ha nessun colore politico, che si occuperà solamente del bene dei soci e della sua prosperità e che è fondata sull'amore, sulla concordia e sulla fratellanza. A distanza di più di cent'anni, questi valori sono di un'attualità disarmante. Il primo Presidente fu De Benedetti Angelo, il Vice presidente Serafini Ernesto ed il Segretario Bet Ferdinando. Immagine di De Benedetti Angelo (1862 – 1934) La sua tomba si trova nel cimitero di Soffratta
De Benedetti Angelo fu anche amministratore del comune e il suo nome compare spesso nei registri di stato civile con la qualifica di Assessore anziano.
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Fotografia scattata nel 1930 in occasione del 25° anniversario dalla fondazione Immagine del fabbricato di proprietà della Società Operaia in Piazza Municipio
Nel 2005 è stato celebrato il 100° anniversario dalla fondazione. Sulla facciata è apposta la lapide (foto a lato) che ricorda i soci caduti durante la 1° Guerra Mondiale
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Uno stile di vita Alla fine delle brevi storie e notizie che abbiamo illustrato nelle pagine precedenti su alcuni nostri concittadini che si sono impegnati per il miglioramento della propria condizione e di conseguenza anche di quella dell’intera comunità marenese, vogliano mettere in evidenza il loro “modo di essere” perché estremamente significativo dei tempi e dello spessore delle persone. Personaggi come Giuseppe Mantese, Antonio Biffis, Antonio Vendrame, Vito Facchin, Pasquale Zandonadi, Colombina Buffo e altri mettevano nei rapporti con le persone una umanità, una disponibilità ed una coerenza che andava ben oltre la normale conoscenza o amicizia. Erano persone aperte a tutti, sulle quali fare affidamento in ogni occasione anche al di fuori delle loro specifiche professioni. Per questo loro esempio di vita vissuta devono essere sempre ricordate con doveroso rispetto. Pagina 201
Nessun lavoro è insignificante. Ogni lavoro che elevi l'umanità ha la sua dignità e la sua importanza e dovrebbe essere intrapreso con diligenza e perfezione. Se un uomo è chiamato ad essere spazzino di strada, egli dovrebbe spazzare le strade proprio come Michelangelo dipingeva, o Beethoven componeva musica, o Shakespeare scriveva poesia; dovrebbe spazzare le strade così bene che tutte le legioni del cielo e della terra dovrebbero fermarsi per dire: “Qui è vissuto un grande spazzino di strade, che faceva bene il suo lavoro”. Martin Luther King Pagina 202
PARTE VI APPENDICE e CURIOSITA' VARIE
La libertĂ deve cercarsi non tanto nella Costituzione e nelle leggi politiche, quanto nell'amministrazione e nelle leggi amministrative S. Spaventa Pagina 203
Come posso parlarvi io di Atene e di quello che ho fatto per essa, se ogni ateniese è un partito e ogni partito una furia? attribuito a Pericle
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Amministratori del Regno d'Italia (1866 – 1945) Bidoli Luigi (1812 - 10/05/1886) Vanzan GioBatta Rocchi Dr. Pio Mantese Cav. Giuseppe (14/10/1848 - 08/07/1924) Cierro Giovanni (Capitano VII Alpini)
1871
Sindaco
dal 1872 al 1895 Sindaco dal 1896 al 1898 Sindaco dal 1899 al 1916 Sindaco da Agosto 1919
Commissario prefettizio
Boscolo Avv.Cleanto di Firenze da Agosto 1919
Commissario prefettizio Sindaco
Mesirca Domenico
1920 – 1927
Biffis Antonio (21/05/1881 – 18/04/1955)
1927 – 1937
Giribaldi Attilio
1937 – 1940
Barro dott. Silvestro
1940 – 1944 Commissario prefettizio
→
1940 – 1944 Commissario prefettizio
→
Paoletti Antonio
Podestà
→
Podestà
Dal Zotto Angelo
1940 – 1944 Commissario prefettizio
Celotti Mario
1945 – 1946
Sindaco
→
Dotta Eugenio
1946
Sindaco
→
Rech Alfonso: impiegato del Comune, conoscitore di tutto e di tutti, mente storica degli accadimenti del paese, degno continuatore del lavoro di Mario Celotti
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Amministratori della Repubblica Italiana
Elezioni del 20 ottobre 1946 Si presentarono due liste: Triangolo - Dio, Patria e Famiglia e Unione Amministrativa Indipendente. Ebbe la maggioranza la lista Triangolo - Dio, Patria e Famiglia. Consiglieri comunali: Baccichetto Natale, Serafini Guglielmo, Bornia Donato, Manfrenuzzi Giuseppe, Doimo Angelo, De Nardo Giuseppe, Borsoi Francesco, Dall'Armellina Ferruccio, Dal Bianco Abramo, Foscan Augusto, Lovisotto Luigi, Vendrame Antonio, Zanardo Pietro, Bozzetto Pietro, Fagaraz Raffaello, Possamai Angelo, Pellizzon Ferdinando, Polacco Giobatta, Dall'Armellina Angelo e Sanson Raffaele. Sindaco : Manfrenuzzi Giuseppe
Elezioni del 27 maggio 1951 Si presentarono due liste: Triangolo - Dio, Patria e Famiglia e Unione Amministrativa Indipendente. Ebbe la maggioranza la lista Triangolo - Dio, Patria e Famiglia. Consiglieri comunali: Maggioranza: Baccichetto Natale, Manfrenuzzi Giuseppe, Foscan Augusto, Dall'Armellina Angelo, Facchin Vito, Vendrame Antonio, Lovisotto Luigi, Foscan Natale, De Nardo Antonio, Santin Silvio, Cescon Bortolo, De Luca Gregorio, Lot Giovanni, Zanardo Pietro, Papa Angelo, Battistella Marco Minoranza: Pellizzon Ferdinando, Mesirca Antonio Bruno, Lorenzet Pietro, Scudeller Ottavio Sindaco : Manfrenuzzi Giuseppe
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Elezioni del 27 maggio 1956 Consiglieri comunali: Vendrame Antonio, Dall'Armellina Angelo, Bornia Luigi, Santin Silvio, Gallonetto Isidoro, Dal Bianco Giuseppe, Borsoi Francesco, Da Fies Ernesto, Dall'Armellina Clarissa, Zanardo Luigi, Lovisotto Natale, Lot Giovanni, Padesi Antonio, Da Re Avellino, Lot Candido, Manfrenuzzi Giuseppe, Foscan Ferdinando, Scudeller Ottavio, Amadio Paolo e Peccolo Leo. Sindaco : Dall'Armellina Clarissa
Elezioni del 6 novembre 1960 Consiglieri comunali: Da Fies Ernesto, Peruzza Angelo Giuseppe, Bornia Donato, Dal Bianco Abramo, Fagaraz Raffaello, Dal Bianco Mario, Bet Angelo, Lot Giuseppe, Bottecchia Benedetto, Lavina Isidoro, Covre Adelchi, De Coppi Abramo, Possamai Angelo, De Nardo Vittorio, Casonato Giovanni, Lovisotto Narciso, Peccolo Leo, Bottolo Giuseppe, Scudeller Domenico e Cattelan Carlo. Sindaco : Da Fies Ernesto Elezioni del 22 novembre 1964 Si presentarono le liste: Democrazia Cristiana, Lista Civica, Partito Socialista Italiano, Partito Comunista Italiano, Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. Ebbe la maggioranza la Democrazia Cristiana. Consiglieri comunali: Maggioranza: Da Fies Ernesto, Bet Angelo, Fagaraz Luigi Eugenio, Possamai Renzo, Bornia Donato, Montesel Albino, Bottecchia Benedetto, Bof Albino, Gallonetto Antonio, Dal Bianco Abramo, Ongaro Luigi Minoranza: Baccichetto Natale, Buffo Luigi, Peccolo Leo, Cattelan Carlo, Scudeller Domenico, Padovan Giannino, Padovan Giuseppe, Peruzza Angelo, Facchin Vito Sindaci : Da Fies Ernesto – Bottecchia Benedetto –
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Peruzza Angelo
Elezioni del 7 giugno 1970 Si presentarono le liste: Democrazia Cristiana, Partito Socialista Italiano, Partito Comunista Italiano. Ebbe la maggioranza la Democrazia Cristiana. Consiglieri comunali: Maggioranza: Da Re Avellino, Antoniazzi Ferdinando, Dall'Armellina Asclepia, Bottecchia Benedetto, D'Arsiè Egidio Natale, Dal Bianco Abramo, Amadio Adriano, Bet Angelo, Dall'Armellina Giancarlo, Covre Cesare, Dall'Armellina Giuseppe Minoranza: Zanin Giacomo, Peccolo Leo, Marcon Silvano, Olto Giovanni, Foltran Giuseppe, Carnielli Ferruccio, Amadio Beniamino, Bof Albino, Comin Giorgio Sindaco : Da Re Avellino
Elezioni del 15 giugno 1975 Si presentarono le liste: Democrazia Cristiana, Partito Socialista Italiano, Partito Comunista Italiano, Partito Socialdemocratico italiano. Ebbe la maggioranza la Democrazia Cristiana. Consiglieri comunali: Maggioranza: Da Re Avellino, Antoniazzi Ferdinando, Bottecchia Benedetto, Cancian Antonio, Dall'Armellina Giuseppe, D'Arsiè Egidio, De Coppi Antonio, Marcon Lino, Peruzza Mario, Vendrame Candida, Zanchetta Giovanni Minoranza: Carnielli Ferruccio, Cusin Sergio, Donè Marco, Pellizzon Primo, Peccolo Leo, Capra Dino, Zanella Pierantonio, Vettorel Angelo, Canzian Alido Sindaco : Da Re Avellino
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Elezioni del 8 giugno 1980 Si presentarono le liste: Democrazia Cristiana, Partito Socialista Italiano, Partito Comunista Italiano, Partito Socialdemocratico italiano. Ebbe la maggioranza la Democrazia Cristiana. Consiglieri comunali: Maggioranza: Antoniazzi Luigino, Baccichetto Flavia, Bet Angelo, Bornia Vittorio, Bottecchia Benedetto, Brino Antonio, Buffo Luigi, Cancian Antonio, Dall'Armellina Giuseppe, Dalla Cia Lucio, Lot Mario, Peruzza Antonio Minoranza: Carnielli Ferruccio, Buffo Mario, Dal Bianco Angelo, Donè Marco, Boselli Sergio, Mazzariol Ardemio, Peccolo Leo, Bet Giuseppe Sindaco : Bottecchia Benedetto
Elezioni del 12 maggio 1985 Si presentarono le liste: Democrazia Cristiana, Partito Socialista Italiano, Partito Comunista Italiano. Ebbe la maggioranza la Democrazia Cristiana. Consiglieri comunali: Maggioranza: Cancian Antonio, Zanchetta Giovanni, Bottecchia Benedetto, Perencin Luigi, Baccichetto Flavia, Tonetto Gianfranco, Schincariol Pietro, Dall'Armellina Giuseppe, Bornia Vittorio, Dalla Cia Lucio, Dall'Armellina Maria Grazia, Antoniazzi Luigino, Lot Mario Minoranza: Donazzon Renzo, Carnielli Ferruccio, Buffo Mario, Zanella Claudio, Milanese Giovanni, Mazzariol Ardemio, Aratano Gloria Sindaci :
Dall'Armellina Giuseppe â&#x20AC;&#x201C; Cancian Antonio
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Elezioni del 6 maggio 1990 Si presentarono le liste: Democrazia Cristiana, Partito Socialista Italiano, Partito Comunista Italiano, Partito Socialdemocratico Italiano. Ebbe la maggioranza la Democrazia Cristiana. Consiglieri comunali: Maggioranza: Cancian Antonio, Dall'Armellina Maria Grazia, Zanchetta Giovanni, D'Arsiè Ennio, Baccichetto Flavia, Lot Mario, Marcon Flavio, Bornia Vittorio, Perencin Luigi, Schincariol Pietro, Dal Cin Cesare, Marcon Lino Minoranza: Capra Eugenio, Milanese Giovanni, Baccichetto Francis, Mazzariol Ardemio, Salvador Giovanni, Buffo Mario, Cusin Paolo, Breda Luigi Sindaci : Cancian Antonio –
Baccichetto Flavia
Elezioni del 20 novembre 1994 Si presentarono le liste civiche “Per un nuovo cammino”, “Progetto comune per Mareno di Piave” e Alleanza Nazionale -MSI Ebbe la maggioranza la lista civica “Per un nuovo cammino”. Consiglieri comunali: Maggioranza: Baccichetto Pascal, Battistella Giancarlo, Fagaraz Mauro, Padoan Nives, Lunardi Angelo, De Coppi Alfonso, Cecchetto Mauro, Da Ros Renato, Saccon Agostino, Dalla Cia Carlo, Ceschel Paolo Minoranza: Donadello Stefano, Tovenati Antonio, Dall'Armellina Diego, Peruzzetto Antonello, Dall'Armellina Asclepia Sindaco : Facchin Giuseppe
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Elezioni del 29 novembre 1998 Si presentarono le liste civiche “Per un nuovo cammino”, “Progetto confronto” e “Lega Nord-Liga Veneta Insieme per Mareno”. Ebbe la maggioranza la lista civica “Per un nuovo cammino”. Consiglieri comunali: Maggioranza: Baccichetto Pascal, Battistella Giancarlo, Borsoi Giorgio, Cecchetto Mauro, Dalla Cia Carlo, De Nadai Giuseppe, Fagaraz Mauro, Lovisotto Giorgio, Marcuzzo Bruno, Momi Ketty, Padoan Nives Minoranza: Schincariol Pietro, Donadello Stefano, Dall'Armellina Giuseppe, Biffis Piergiovanni, Scudeller Mauro
Sindaco : Facchin Giuseppe Elezioni del 25 maggio 2003
Si presentano le liste civiche “Insieme per un nuovo cammino” e “Tocchet per Sindaco”. Ebbe la maggioranza la lista civica “Tocchet perSindaco”. Consiglieri comunali: Maggioranza: Battistella Attilio, Bergamo Denis, Bof Claudio, Cattai Gianpietro, D'Arsiè Fabio, Donadello Stefano, Fuser Pier Maria, Giacomin Luigi, Giacuzzo Marco, Padoan Antonio, Tovenati Antonio Minoranza: Dalla Cia Lucio, Facchin Giuseppe, Bornia Walter, Chies Giuliano, De Nadai Giuseppe Sindaco : Tocchet Eugenio Elezioni del 15 aprile 2008 Si presentano le liste civiche “Obiettivo Mareno” e “Eugenio Tocchet Sindaco”. Ebbe la maggioranza la lista civica “Eugenio Tocchet Sindaco” . Consiglieri comunali: Maggioranza: Battistella Attilio, Cama Maria, Cattai Gianpietro, Citron Claudio, Donadello Stefano, Fuser Pier Maria, Giacomin Luigi, Giacuzzo Marco, Padoan Antonio, Scatolini Laura, Tonetto Nicola Minoranza: Borsoi Giorgio, Bortoluzzi Rolando, Chies Giuliano, Marcon Lisa in Facchin, Moro Annamaria in Martina
Sindaco : Tocchet Eugenio
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Segretari comunali Prospero Pietro dal 1871 al 1898 Ziliotto Antonio dal 1902 al 1932 (Morto nel 1932 a seguito di incidente stradale) De Paris Antonio dal 1933 al 1937 Polacco Francesco dal 1937 al 1940 Marega Serafino dal 1940 al 1944 Boreani Guido dal 01/01/1944 al 19/11/1946 Vendramin Luigi dal 01/01/1947 al 31/12/1947 Maggion Angelo dal 01/01/1948 al 31/12/1948 Peretti Giuseppino dal 01/1/1949 al 04/03/1952 De Biasi Giannino dal 13/03/1952 al 31/12/1957 Zambusi Giovanni dal 15/01/1958 al 15/10/1962 Fabrizio Nicolino dal 16/10/1962 al 18/06/1991 Minardo Salvatore dal 01/07/1991 al 05/10/1991 Chiarion Carla dal 12/10/1991 al 07/06/1994 Palumbo Alberto dal 01/07/1994 al 16/02/2002 Viviani Antonella dal 18/02/2002
Cursori, messi comunali Pellizzon Giovanni Valleri Cesare Zandonadi Pasquale [] Marcon Luigi Gava Sante Mattiuzzo Miriam Carnielli Laura
1871 1876 dal 1936 al 1954 dal 1960 al 1980 dal 1981 al 1989 dal 1989 al 1991 dal 1991
Cursore Cursore Messo comunale Vigile Messo Vigile Messo Messo comunale Messo comunale
[] Zandonadi Pasquale, detto Pasqualin, era sposato con Toldo Giustina detta Tina che gestiva, prima da sola e poi col figlio Domenico detto Nino, l'osteria con cucina “da Tina” o “da Pasqualin” in piazza Municipio, punto strategico per l'incontro dei Marenesi e non. E' doveroso ricordarlo per la sua grande umanità e disponibilità verso tutti. Pagina 212
Medici della condotta comunale Dott. Cavarzerani Francesco dal 1890 al 1930 → ← Dott. Signori Ennio (Gino) dal 1930 al 1955 Dott. Verri Remigio dal 1955 al 1960 → ← Dott. Brisotto Giuseppe dal 1964 al 66 Dott. Antoniazzi Ferdinando dal 1964 al 1998 → ← Dott. Capra Eugenio dal 1966 al 2000
Giudici Conciliatori Menini Michele (1806 – 1886) Menini Pietro (1853 – 1940) Menini Giovanni Battista (1903–1972) Dall'Armellina Asclepia (1926–1998)
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Farmacisti
Vecchia foto del 1902 della farmacia situata nell'attuale Via Liberazione Venne chiusa poco prima della Prima Guerra Mondiale
Il Dott. Grigio Giovanni riapre la nuova farmacia nel 1958 presso una stanza nel nuovo Municipio. Qualche anno dopo la trasferisce nella sede attuale.
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STEMMI E SIMBOLI Quando ci muoviamo sul territorio, osservando attentamente possiamo trovare molti stemmi i quali come testimoni silenziosi ci mostrano valori, simboli e significati che provengono dal nostro passato e di cui spesso ignoriamo la storia. Se ci facciamo caso e soprattutto se riusciamo a rallentare la nostra frenetica attività quotidiana, potremo vederli veramente nella loro essenza e cercare di capire il loro messaggio. Gli stemmi sono un po' dappertutto, sugli edifici pubblici e religiosi, sulle targhe toponomastiche, sui documenti e in molti altri posti ancora. Lo stemma è l'espressione di un singolo o di una comunità ed è carico di significati del passato condensati in un'immagine, con le sue forme e colori. Per questo motivo bisogna che la loro memoria sia studiata e rinnovata alla comunità. La scienza che si occupa della composizione e della lettura degli stemmi viene chiamata Araldica. Nel sentire comune l'Araldica è vista come un'ostentazione vanagloriosa di vecchi privilegi e nobiltà. Contrariamente a quanto però sopra affermato, l'Araldica è nata per una pura e semplice necessità di riconoscimento degli eserciti durante le battaglie. Il termine Araldo deriverebbe dal tedesco HARIOWALDUS, Messo incaricato durante il Medioevo appunto al riconoscimento degli stemmi dei vari corpi militari. Il termine Blasone deriverebbe invece dal verbo tedesco BLASEN che significa “suonare il corno” per chiamare a raccolta i cavalieri e la sua accezione attuale è quella della disciplina che insegna a comprendere e descrivere il significato degli stemmi.
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Durante le Crociate si comprese subito che il solo segno della croce non era sufficiente come distinzione tra le componenti dell'esercito cristiano che provenivano da paesi diversi e quindi la croce fu in vari modi colorata: i cavalieri italiani ebbero il colore azzurro, quelli tedeschi il nero e l'oro e così via. Questi colori hanno attraversato i secoli e sono usati ancora oggi come segno distintivo di un paese: ad esempio, in campo sportivo l'azzurro è la maglia delle nazionali italiane nei vari sport. Però anche questa semplice differenziazione nelle insegne si mostrò insufficiente perché nella frenesia della battaglia i cavalieri diventavano irriconoscibili e quindi bisognava trovare altri segni distintivi. Così sullo scudo, sull'armatura, sul mantello e sulla gualdrappa del cavallo si dipinsero antichi e semplici segni come la fascia, posta in orizzontale o verticale, la sbarra, la croce etc. Questi primi segni vengono definiti in araldica “pezze onorevoli” e la loro combinazione ha creato via via nel tempo figure sempre più complesse anche a seguito dell'inserimento nello stemma di figure naturali (animali o piante, utensili di arti e mestieri) oppure fantastiche (draghi, personaggi della mitologia o della fantasia). Per concludere questa breve esposizione sull'Araldica, illustriamo i colori usati negli stemmi, chiamati SMALTI, ed il loro significato. L'oro simbolo del sole, in araldica significa: fede, clemenza, giustizia, felicità e amore. Il rosso è il più stimato dei colori e significa: amore ardente verso Dio, nobiltà cospicua e coraggio. L'azzurro è il colore turchino che richiama il cielo ed il mare e significa devozione, fedeltà, ricchezza. Il verde richiama la terra verdeggiante, in araldica significa: amore, amicizia, onore e vittoria. Il porpora significa: grandezza, ricompensa d'onore. Pagina 216
Il nero è il meno nobile dei colori per la sua somiglianza con le tenebre. Questi colori assieme alle figure danno il significato allo stemma e al suo possessore. In definitiva lo stemma, definito ARMA nel linguaggio araldico, è l'espressione del potere personale o di quello della comunità. Immagine di prestigio, autorità e ricchezza ma anche simbolo di appartenenza in cui si crede e si combatte. Dopo queste brevi note sull'Araldica, passiamo ad illustrare gli stemmi che si trovano nel nostro territorio comunale. Passando per via Moranda si nota un bellissimo fabbricato rurale ancora in buono stato di conservazione. Sul lato fronte strada si può notare uno stemma dipinto di grandi dimensioni e che purtroppo si presenta in cattivo stato di conservazione, come si può notare dall' immagine a lato. Qual è la sua origine e chi ne è il proprietario? Lo stemma si può per fortuna ancora leggere abbastanza bene e la figura è così composta: • ovale bordato di colore blu racchiuso in una decorazione, cartoccio di colore ocra • l'ovale è diviso con una linea color ocra / oro in sei parti di colore rosso e celeste alternati come in una scacchiera con all'interno una decorazione in colore ocra • sul retro ci sono quattro bandiere di colore celeste e rosso alternate con i puntali color ocra / oro, una alabarda, un elmo visto di fronte e una picca di colore grigio Pagina 217
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all'interno dell'ovale sul lato destro e in basso è visibile la figura di un orso in posizione eretta sulla sinistra in basso, molto rovinata, si intravvede l'impugnatura di una spada sulla destra in basso, anche questa rovinata, si intravvede la parte finale di una tromba sopra l'elmo è posata una corona colore ocra e sopra questa un'altra figura di colore rosso poco leggibile, forse un unicorno lo sfondo è di colore bianco.
Come abbiamo brevemente indicato nella premessa passiamo alla lettura, BLASONATURA, dello stemma, ARMA, che in questo caso risulta quindi essere: Campo dello scudo partito: in 1 di rosso alla fascia d'argento; in 2 d'azzurro all'orso levato e appoggiato ad un tronco d'albero. Cimiero: un liocorno di rosso alla fascia d'argento nascente dalla corona. In zona esiste uno stemma che presenta molte somiglianze con quello sopra descritto e precisamente si trova a Tezze località del comune di Vazzola (TV), dipinto su un fabbricato del Borgo Malanotte. Osservando con la dovuta attenzione la fotografia dello stemma di Via Moranda e quello del Borgo Malanotte, si nota che la somiglianza è notevole, in particolare l'ovale è diviso a scacchiera, sul lato destro si vede un orso in posizione eretta addossato ad un albero mentre sopra la corona nobiliare è visibile un unicorno rampante. Lo stemma è della famiglia Malanotte o Malanotti che dal Trentino e precisamente da Caldes in Val di Sole si trasferì a Venezia e poi, approfittando della vendita dei beni comunali fatti dalla Serenissima a Pagina 218
partire dalla seconda metà del XVII secolo, comprò molto terreno tra Tezze e Mareno di Piave. La guerra dei Trent'anni (dal 1618 al 1648) aveva impoverito tutto l'impero asburgico determinando una crisi nelle vallate del trentino per cui chi poteva andarsene in altri posti migliori come Milano, Verona o Venezia, si spostò. Gio Batta Malanotti in questo periodo punta la sua attenzione sull'acquisto di terreni demaniali a Tezze località in comune di Vazzola (TV) e di Palazzi a Venezia (San Simeon Grande e Campo San Stefano) nonché sulla possibilità di concedere prestiti su ipoteca di immobili. Nel 1670 vennero acquistati i primi terreni a Visnà e successivamente a Tezze, località entrambe in comune di Vazzola (TV) per complessivi 297 campi. Qui a sinistra possiamo vedere lo stemma della famiglia Malanotte che si trova nella chiesa di S.Rocco a Caldes, ed è datato 1512
Questo sulla destra invece è lo stesso stemma di epoca successiva
Decorazione a stucco che si trova presso la villa Malanotte ora Rossi de' Rubeis con gli stemmi delle famiglie Malanotte a sinistra e Zuccato a destra
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Ritratto di Camilla Adelaide Malanotte (1805 – 1895) ultima Contessa
Sposò Francesco (Carlo) Nob. Concini (1798-1864) podestà di Conegliano Morì a Soffratta presso il cugino parroco Don Firmino
Veduta aerea della Villa e del borgo Malanotte
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Nella zona compresa tra la villa Donà dalle Rose e la località Bocca di Strada ci sono alcuni fabbricati che presentano sulla facciata o su un muro perimetrale lo stemma nobiliare qui a lato. Il campo è diviso a metà, nella parte bassa c'è un uccello, probabilmente la fenice che risorge dalle sue ceneri, sopra il sole, il tutto sormontato da una corona. Questo stemma appartiene alla famiglia Papadopoli che nel 1800 era proprietaria di vaste tenute nel Veneto e nella provincia di Treviso. I Papadopoli furono un'antica e ricca famiglia che proveniva dall'isola di Corfù e si trasferì a Venezia verso la fine del 1700. Le fortune derivate dalle loro attività commerciali li fecero diventare in breve la più grande banca privata di Venezia cosicché poterono investire enormi capitali nell'acquisto di tenute in tutto il Veneto nelle provincie di Treviso, Padova, Verona e Rovigo. L'ultimo discendente della famiglia fu Nicolò Papadopoli Aldobrandini nato a Venezia il 23 maggio 1841 e morto a Roma il 17 marzo 1922. Il Conte Nicolò Papadopoli Aldobrandini possedeva in Comune di Mareno di Piave terreni agricoli per una superficie di 165 ettari (oltre 320 campi trevisani) oltre alle case e fabbricati rurali. Già verso gli anni dal 1870 e il 1880 i Conti Papadopoli iniziarono la piantagione di vigneti lungo le terre che costeggiavano il fiume Piave e la costruzione di grandi cantine per la produzione e la conservazione del vino prodotto. In Comune di Mareno di Piave si produceva il vino Raboso e questo doveva essere di ottima qualità se in un depliant pubblicitario del 1908 si reclamizzava il Raboso di Mareno sia d'annata che invecchiato di 6 anni ad un prezzo maggiore di quello prodotto in altre tenute.
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In data 26 marzo 1919, con atto privato tra il Conte Nicolò Papadopoli Aldobrandini e il Cav. Giovanni Giol, si convenne la vendita a quest'ultimo degli immobili posti nei Comuni di San Polo di Piave, Ormelle, Mareno di Piave e Cimadolmo per un totale 1000 ettari di terreno oltre ai palazzi, ville e case coloniche. Dall'accordo furono escluse le cosiddette Grave di Papadopoli e l'importo dell'intera operazione di compravendita fu di Lire 4.218.000. L'atto notarile venne stipulato l'anno successivo e precisamente l'8 giugno 1920 con la clausola di rinuncia da parte del Conte Papadopoli dell'indennità per i danni di guerra concessa al Cav. Giol. In un documento datato anni 1922/1923 dell'Amministrazione Giol, si trova l'elenco delle case coloniche situate in Comune di Mareno di Piave che vengono indicate col loro nome e precisamente: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
Bocca di Strada Borgata Campagnola Carrara Casette De Luca Antonio Casette De Luca Valentino Castaldia
8. 9. 10. 11. 12. 13. 14.
Giovanna Margherita Novara Ongaresca Piavesella Rivalta Rodi
Nell'anno 1920 e precisamente il 30 giugno il Cav. Giovanni Giol stipulò con l'Impresa “Rossellini, Sleiter & C. Ricostruzione paesi devastati dalla guerra” di Venezia un contratto per la ricostruzione di vari fabbricati distrutti o danneggiati durante la Prima Guerra Mondiale e per il Comune di Mareno di Piave si citano le case denominate Casette, Margherita, Piavesella, Rivalta, Giovanna e Ongaresca. Il contratto fu sottoscritto dal Cav. Giol e da Angelo Giuseppe Rossellini e dall'Ing. Giovanni Sleiter e fu concordato il prezzo in Lire 470.000 in base alla perizia stilata dall'Ing. Carpenè. Pagina 222
Casa con stemma e scritta RODI in via Portelle incrocio con via S. Antonio località Bocca di Strada
Casa con stemma senza scritta in via Distrettuale località Baccichetto di fronte all'incrocio con via Strada Nuova.
Casa con stemma e scritta “CASETTE” in via Donà dalle Rose
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Casa con stemma e con scritta BOCCA DI STRADA in via Conti Agosti località Bocca di Strada
Particolare dello stemma e scritta BOCCA DI STRADA in via Conti Agosti località Bocca di Strada
Casa con stemma e con scritta “GIOVANNA” in via Mantese
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Casa con stemma senza scritta in via Conti Agosti località Campagnola.
Casa con stemma e scritta “CASTALDIA” in via Castaldia
Casa con stemma senza scritta in via Campi località Mareno di Piave
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Stemma Casa Biffis tolto dalla vecchia abitazione e trasferito nella nuova. Copia abbellita con piume e pennacchio ricavata dall'albero genealogico del 1817 di Don Domenico Biffis che ha ripreso l'originale riportato nello stemmario sotto riprodotto. Il primo della famiglia Biffis arrivato a Mareno da Bergamo fu Pietro nel 1490 circa. ARMA: De Biffis BLASONATURA: “d'argento, al castello di rosso, merlato alla guelfa, aperto e finestrato del campo; al capo d'oro con l'aquila di nero, linguata di rosso, coronata del campo.” [da Stemmario e Codice Trivulziano 1390] Lo Stemmario originale conservato presso la Biblioteca Trivulziana di Milano riferibile alla seconda metà del 1400 e probabile opera del pittore Giovanni Antonio da Tradate, contiene circa 2000 stemmi di famiglie e comunità dell'antico Ducato di Milano. Il Codice Trivulziano 1390 è il più antico e celebre stemmario della Lombardia Sforzesca.
--------------------------------------------------------------------------------------------Illustriamo due stemmi gentilizi delle famiglie nobili che avevano proprietà terriere di vaste dimensioni nel territorio marenese e un palazzo domenicale conosciuto col nome di Villa Donà dalle Rose. A destra c'è lo stemma della famiglia Tron, per la precisione quello del Doge Nicolò Tron. Questo a sinistra invece è lo stemma della famiglia Donà dalle Rose che è subentrata per eredità alla famiglia Tron e precisamente quello del Doge Francesco Donà dalle Rose. Possiamo vedere tre rose e due bande orizzontali (pezze) mentre sopra lo scudo si vede il corno dogale, il copricapo indossato dal Doge. Il Corno dogale era il copricapo indossato dal Doge Pagina 226
Stemmi ecclesiastici Gli stemmi di tre papi e due vescovi Stemma di Albino Luciani, Papa Giovanni Paolo I (26/8/1978-28/9/1978) Stemma di Karol Wojtyla, Papa Giovanni Paolo II (16/10/1978-2/4/2005) Stemma di Joseph Alois Ratzinger, Papa Benedetto XVI dal 19/4/2005
Lo stemma a destra è di S.E. Mons. Giuseppe Zenti, Vescovo di Vittorio Veneto dal 03/12/2003 al maggio 2007. E' consuetudine che sulla facciate delle chiese della Parrocchie sia posto lo stemma del Vescovo in carica che viene cambiato quando questo viene sostituito. La tradizione è seguita dalla Parrocchia di Mareno di Piave e S. Michele di Ramera, mentre nelle altre chiese del territorio non si trova lo stemma del Vescovo. Qui a sinistra c'è lo stemma del nuovo Vescovo eletto della Diocesi di Vittorio Veneto, Mons. Corrado Pizziolo. L'annuncio della nuova nomina è stato dato lunedì 19 Novembre 2007 e la sua consacrazione ed ingresso è avvenuta il 26/01/2008 nella Cattedrale di Vittorio Veneto. Pagina 227
Il simbolo del leone Tutti e quattro gli Evangelisti hanno un simbolo che generalmente viene raffigurato vicino al Santo nelle pitture e nelle sculture. Tali simboli sono associati al Vangelo del Santo. Il simbolo di San Marco è il leone alato, perché inizia il suo Vangelo con la voce di san Giovanni Battista che, nel deserto, si eleva simile a un ruggito, preannunciando agli uomini la venuta del Cristo. Il leone di san Marco viene rappresentato in più modi: "andante", cioè in piedi sulle quattro zampe, come se camminasse, e con un libro aperto sotto una zampa con su scritto Pax Tibi Marce Evangelista Meus; oppure in "moeca", cioè visto frontalmente e rannicchiato (moeca dal nome di un granchio diffuso in laguna) . Dato che San Marco Evangelista è il patrono di Venezia, la Serenissima ha assunto il Leone di San Marco come proprio simbolo. Secondo alcune interpretazioni il libro diventava un simbolo: di pace, quando era rappresentato aperto, di guerra, quando era rappresentato chiuso. Sempre in tempo di guerra il leone poteva essere rappresentato senza il libro ma bensì con una spada. Esistono anche casi in cui sono presenti spada e libro contemporaneamente. Il leone di San Marco (detto anche leone marciano) è il simbolo di Venezia, della Provincia di Venezia e della regione del Veneto. In passato è stato il simbolo della Repubblica di Venezia (o Serenissima) e compariva anche sulla bandiera dell'effimera Repubblica di San Marco (1848-1849).
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Bandiera della Serenissima Repubblica di Venezia
Bandiera della Repubblica di San Marco (1848 â&#x20AC;&#x201C; 1849)
Stemma cittĂ di Venezia Stemma Provincia di Venezia
Esempio di raffigurazione del Leone di San Marco con il libro chiuso e la spada. Questo leone si trova a Valstagna in provincia di Vicenza.
Stemma Regione Veneto sulle placche di riconoscimento della Polizia Locale Stemma Regione Veneto Pagina 229
In alcuni fabbricati si possono trovare le effigi del Leone di S. Marco.
Porzione di fabbricato di villa Lavezzari in via Mantese
Edificio in stile veneziano in via Campagnola fatto costruire dal Prof. Ettore Pellizzon a fianco villa Viel il quale ha due stemmi del Leone di San Marco. Il leone in piedi si trova sopra la porta di entrata (foto sopra), mentre quello visto di fronte detto in moeca (foto a lato) si trova sulla parete che guarda verso la via Conti Agosti.
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Questo è invece il particolare del Leone di San Marco che si trova sopra la porta di entrata della cabina ENEL a fianco della villa Paoletti in via Morer delle anime.
Lo stesso stemma si trova sopra la bifora del portone di ingresso alla villa Paoletti a fianco dell'abitazione del custode sul lato ad est.
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Il Fascio Littorio I fasces lictoriae (in italiano, fasci littori) erano, nell'antica Roma, un simbolo del potere e autorità maggiore, l'IMPERIUM. Si trattava di un fascio cilindrico di verghe, a simboleggiare il potere di punire, legate assieme da nastri rossi (i fasces, appunto), simboleggianti sovranità e l'unione, e talvolta recanti infissa un'ascia, a simboleggiare il potere di vita e di morte. La funzione dei fasci non era tuttavia esclusivamente simbolica, giacché le canne venivano materialmente usate per fustigare i delinquenti sul posto e analogamente l'ascia era utilizzata nell'amministrazione delle pene capitali .
I fasci in epoca moderna Il termine riapparve sul finire del XIX secolo quando vennero creati i Fasci siciliani, un movimento di lavoratori della terra che si battevano per i loro diritti. Nel periodo che precede la Prima Guerra Mondiale, uno tra i più attivi gruppi interventisti sarà quello dei "Fasci d'azione rivoluzionaria", sorti nel 1914 dal precedente "Fascio rivoluzionario d'azione internazionalista", composto da membri della sinistra avanzata, da repubblicani intransigenti, da sindacalisti rivoluzionari e dagli esuli giuliani, dalmati e trentini (gli irredenti). Nel dicembre del 1917 nasce il "Fascio parlamentare per la difesa nazionale" sotto la guida di Maffeo Pantaleoni. Il termine "fascio" usato dalla sinistra diventa di moda negli ambienti di destra. Nel primo periodo del 1918 ottiene un discreto successo, decretando il trionfo della destra nazionalista e interventista.
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Sull'onda di questo gruppo se ne formeranno molti altri: il "Fascio nazionale italiano", il "Fascio romano per la difesa nazionale", la "Federazione dei Fasci di resistenza". Negli anni venti del secolo scorso, il termine "fascio" viene usato anche da Benito Mussolini per i suoi Fasci italiani di combattimento e con RDL 12/12/1926 n. 2061 (convertito in Legge 09/06/1927 n.928) il fascio littorio viene dichiarato emblema dello stato. A seguito di vicende storiche dolorose, i fasci littori sono stati rimossi dalle opere pubbliche. Fascio littorio Questo è il caso dei fasci littori apposti sugli edifici e sulle opere pubbliche realizzate durante il periodo fascista e successivamente tolti alla fine della II guerra mondiale. Ponte sul fiume Monticano a Soffratta, una delle opere da cui è stato rimosso il fascio littorio.
Viene tolto anche da questo che è l'edificio adibito a scuola in località S. Maria del Piave località Sega e che fu inaugurato il 28 ottobre 1930. Il fascio littorio si trovava sopra la porta di ingresso di fianco ad uno stemma con una croce ancora visibile. Dismesso come scuola alla fine del 1980, restaurato nel 2007 con il ricavo di nuovi locali per l'Ufficio postale, per un ambulatorio medico e con una sala riunioni per la vita associativa di S. Maria del Piave. Pagina 233
CONCLUSIONE Siamo giunti alla fine di questa pubblicazione, dove abbiamo cercato di tracciare il filo conduttore delle vicende e degli uomini che nel tempo sono vissuti in questa comunità . Per completare il nostro racconto ci manca solo l'ultimo tassello: il territorio. La nostra storia e la nostra personalità sono legate indissolubilmente all'ambiente dove viviamo. Il territorio è stato e viene di continuo modellato per adattarlo alle nostre esigenze. In esso ci sono i nostri simboli e i nostri punti di riferimento. Sia che li troviamo negli edifici e nella vita del paese, oppure nel suo paesaggio naturale, siamo certi del profondo legame che esiste tra il nostro animo e il territorio. Appena fuori dalle nostre case abbiamo sotto gli occhi vedute spettacolari di cieli, montagne e vasti panorami cesellati dal paziente lavoro dell'uomo. Basta solo alzare gli occhi ed aprire il cuore. Non ci resta allora che ringraziare il lettore per la sua pazienza e stuzzicarlo con qualche veduta del nostro paesaggio.
Pagina 234
Pagina 235
Bibliografia Giovanni Netto
La Provincia di Treviso 1815/1965 - appunti di storia amministrativa - edito da Provincia di Treviso anno 1966
Rino Bruseghin
Mareno di Piave, Storia di un popolo e della sua Pieve - edito da Tipse di Vittorio Veneto nel 1983
Rino Bruseghin
I Marenesi - edito da Tipse di Vitt.Veneto 1985
Eurigio Tonetti
Governo Austriaco e notabili sudditi Congregazioni e municipi nel Veneto della restaurazione 1816/1848 - edito Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti anno 1997
Luciana Moretto e Vinicio Cesana
Illustri Sampolesi del XX secolo
Pro loco di S. Polo di Piave
Quaderni di storia e cultura sampolesi
Mario Altarui
Penne Nere Trevigiane
Innocente Azzolini e Giorgio Visentin
Piave Nov. 17 – Ott. 18.
Arnoldo Curcio Editore
Grande Storia Universale
Istituto Geografico De Agostini
Storia d'Italia
Mondadori
20° Secolo
Storia Illustrata
1° e 2° Guerre Mondiali - foto
Touring Club Italiano
La Nostra Guerra.
Mario Altarui
Treviso Combattente
Comune di Conegliano
Storiadentro XVI secolo – prima parte
Michele Potocnik
Conegliano città murata (pagine 17, 23, 34, 71 foto)
Piergiovanni Biffis
La Famiglia Biffis di Mareno
Guido Gen Concini
La Famiglia Concini
Ernesto Brunetta
Storia di Conegliano (prima parte)
Luciano Caniato
Conegliano tra 800 e 900 (prima parte) – Edizioni Canova
Pagina 236
G.A Cornacchia e G.V. Paolozzi Atlante Storico Evocativo Ernesto Brunetta
Treviso e la Marca tra 800 e 900 (prima parte)
Nerio De Carlo e Diotisalvi Perin
Il Fronte dimenticato
Loredana Capuis
I Veneti
Paolo Diacono
Storia dei Longobardi
Comune di Mareno
Relazione sull'attività dell'Amministrazione comunale nella gestione 1951/1956
Comune di Mareno
Archivio del Comune di Mareno di Piave
Carlo Gribaudi
Trebitrezeronoveottosettetre
Angelo Aldo Marchetti
Memorie della famiglia di mia moglie: i Biffis
S.O.M.S. Mareno
Novantesimo anniversario 1995
L'Azione di Vittorio Veneto
Archivio del Giornale
Ricerca classi 5^ A e 4^A Liceo Scientifico Marconi – Conegliano
Nacht und Nebel – da Conegliano ad Auschwitz - 1999
Rino Bruseghin
Mareno ricorda - edito da Tipse di Vittorio Veneto nel 1986
Anna Pizzati
Conegliano – una quasi città e il suo territorio nel secolo XVI – edito da Fondazione Benetton Studi Ricerche – Canova 1994
Dall'Armellina Maria Feny
Ricordi di famiglia
Cassa di Risp. M.T. Treviso
Albo dei Decorati al V.M. in provincia di TV
Paolo Pozzato e Tibor Ballà
Il Piave – l'ultima battaglia nella Grande Guerra
Richard Bonson e Richard Platt Disastri Vallardi Industrie Grafiche
Il Grande Libro della Storia
Vallardi Industrie Grafiche
Storia fotografica I Mondiale (pag. 99)
Roberto Gargiulo
La Battaglia di Lepanto
Arrigo Petacco
La Croce e la Mezzaluna
Istituto Geografico De Agostini
Armi da Guerra
Comune di S. Vendemiano
San Vendemian – Edizione 1999
Altri vari non in commercio
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Indice dei nomi A Adinolfi, Aldo
165
Bergamo, Denis
211
Aggradi, Mario Ferrari
163
Bertoli, Giovanni
180,187
Agosti, Giuseppe (Conte)
129,136,139,140
Bet, Angelo
142,164,207,209
Agosti, Luigi (Conte)
129,136,139,140
Bet, Caterina
179,196
Agosti, Mario (Conte)
129,139
Bet, Ferdinando
176,199
Alarico (Re dei Visigoti)
25
Bet, Gioacchino
176
Albino, Spurio Postumio
17
Bet, Giuseppe
209
Alessio, Antonio
179
Bet, Paolo Guido
176
Alessio, Cesare
179
Bet, Vincenzo Rodolfo
176
Allini, Graziosa
173
Bidoli, Luigi
88,205
Amadio, Adriano
208
Bidoli, Pietro
88
Amadio, Beniamino
208
Biffis (famiglia)
226
Amadio, Paolo
207
Biffis, Angela
176
Annibale (Condottiero)
17
Biffis, Antonii
35
Anselmi Tina
163
Biffis, Antonio
114,134,141,156,205
Antenore il Troiano
15
Biffis, Bona
35
Antoniazzi, Ferdinando
208,213
Biffis, Domenico (Don)
35,80,226
Antoniazzi, Lino
179
Biffis, Ennio
134
Antoniazzi, Luigino
209
Biffis, Giovanni
82
Aramini, Angelo Romano
134
Biffis, Gerolamo (famiglia)
35
Aratano, Gloria
209
Biffis, Girolamo
82
Attila (Re degli Unni)
25,26
Biffis, Giuseppe
109
Biffis, Marina
121
B Baccichetto, Flavia
165,208-210
Biffis, Piergiovanni
211
Baccichetto, Francis
210
Biffis, Pietro (medico e militare)
113,134,164
Baccichetto, Natale
150,180,206,207
Biffis, Pietro (a Mareno nel 1490)
226
Baccichetto, Pascal
210,211
Biffis, Pietro (studente)
82
Baracca, Francesco
117
Bleda (Re degli Unni)
26
Barbarigo, Agostino
64
Bof (famiglia)
181
Barbarossa (Imperatore)
64
Bof, Albino
164,207,208
Barozzi, Elena
59
Bof, Claudio
211
Barro Mario
171
Bon, Virginio
179
Barro Marziano
171
Boreani, Guido
212
Barro, Angelo
173
Bornia, Adele
171
Barro, Giuseppe
111
Bornia, Donato
150,171,206,207
Barro, Silvestro
205
Bornia, Luigi
207
Battistella, Attilio
211
Bornia, Vittorio
209,210
Battistella, Giancarlo
210,211
Bornia, Walter
211
Battistella, Marco
206
Borsoi, Francesco
150,206,207
Bellini, Antonio
187
Borsoi, Giorgio
210,211
Bellini, Costantino
187
Bortoluzzi, Rocco
174
Bellini, Lorenzo (Don)
187
Bortoluzzi, Rolando
211
Bellini, Mattia
187
Boscariol, Giuseppe
109
Benedetto XV (Papa)
100
Boscolo, Cleanto di Firenze
205
Benedetto XVI (Papa)
227
Boselli, Sergio
208
Benedos, Egidio
178
Bottecchia, Benedetto
164,207-209
Benedos, Giovanni
178
Bottolo, Giuseppe
207
Benedos, Pietro
178
Bozzetto, Franco
174,187
Pagina 238
Bozzetto, Pietro
150,206
Cierro, Giovanni
201
Brasolin, Guglielmo (Mino)
175
Cima, Gianbattista
67
Brasolin, Primo
175
Citron, Claudio
211
Breda, Italo
176
Coderta, Domenico
34
Breda, Luigi
210
Collalto, Giacomo
20,127
Bressan, Romano
195
Collet, Pietro
179
Brino, Antonio
209
Comin, Giorgio
208
Brisotto, Giuseppe
213
Concini, Firmino (Don)
220
Brugnera, Carlotta
177
Concini, Francesco
220
Brugnera, Orsolina
179
Concini, Guido
134
Bruseghin, Rino (Arciprete)
31
Conte, Carlo
157
Buffo, Angelo (Gianni)
172,173
Corder, Marino
163
Buffo, Colomba
173,195
Corrocher, Ezio
181
Buffo, Domenico
172,173
Corrocher, Luigi
181
Buffo, Luigi
164,172,173,187,207,209
Cosimo il Vecchio
59
Buffo, Mario
209,210
Costante I (Imperatore romano)
20,131
Costantino il Grande
20,24,131
C Cal, Sereno
172
Covre, Adelchi
207
Cama, Maria
211
Covre, Cesare
181,208
Cancian, Antonio
164,208-210
Cusin, Paolo
210
Cancian, Giuseppe
179
Cusin, Sergio
208
Canzian, Alido
208
D
Capra, Dino
208
D'Arsiè, Egidio Natale
208
Capra, Eugenio
210,213
D'Arsiè, Ennio
210
Capraro, Nadia
189
D'Arsiè, Fabio
211
Carlo di Maren
34
Da Camino, Guccellone
66
Carlo V d'Asburgo
100
Da Carrara (famiglia)
66,67
Carnielli (famiglia)
172
Da Fies, Ernesto
164,203
Carnielli, Cesare Igino
143
Da Mosto, Chiara
59
Carnielli, Ferruccio
208,209
Da Re, Antonio
174
Carnielli, Laura
212
Da Re, Avellino
164,174,187,207,208
Caronelli (famiglia)
53
Da Re, Carmelo
174,176,180
Carpenè, Antonio
96
Da Re, Giovanna
189
Casagrande, Domenico
107
Da Re, Rosanna
177
Casagrande, Edoardo
181,187
Da Ros, Renato
210
Casonato, Giovanni
207
Dal Bianco, Abramo
150,164,182,206-208
Castagner, Aiello
178
Dal Bianco, Angelo
209
Castagner, Secondo
178
Dal Bianco, Epifanio
173
Cattai, Gianpietro
211
Dal Bianco, Giuseppe
207
Cattelan, Carlo
164,207
Dal Bianco, Mario
207
Cavarzerani, Francesco
157,213
Dal Bianco, Teresa
174
Cavarzerani, Giovanni Battista
190
Dal Cin, Cesare
210
Cecchetto, Mauro
210,211
Dal Cin, Filippo (Pippo)
180,182
Celotti, Mario
205
Dal Cin, Franco
180
Cepione il Giovane
18
Dal Zotto, Angelo
205
Cepione, Quinto Servilio
18
Dall'Armellina, Aldo
189
Ceschel, Paolo
210
Dall'Armellina, Angelo
150,206,207
Ceschin, Carlo (Don)
140
Dall'Armellina, Armando
186
Ceschin, Giuseppe
176
Dall'Armellina, Asclepia
208,210,213
Cescon, Bartolo
206
Dall'Armellina, Beniamino
182
Cescon, Paolino
171
Dall'Armellina, Bruno
186
Chech, Angela
88
Dall'Armellina, Clarissa
163,165,207
Chiarion, Carla
212
Dall'Armellina, Diego
210
Chies, Giuliano
211
Dall'Armellina, Elvio
186
Pagina 239
Dall'Armellina, Enrico
186
Donà dalle Rose (famiglia)
57,182,184,226
Dall'Armellina, Eugenio
198
Donà dalle Rose, Ernesto
138
Dall'Armellina, Fausto
182,185
Donà dalle Rose, Francesco
57,58,226
Dall'Armellina, Ferruccio
150,206
Donà dalle Rose, Leonardo
57,59-61
Dall'Armellina, Giancarlo
208
Donà dalle Rose, Nicolò
57,60-62
Dall'Armellina, Giovanni
198
Donadello, Stefano
210,211
Dall'Armellina, Giuseppe
164,177,182,185,208-211
Donazzon, Renzo
209
Dall'Armellina, Giuseppe (impr.)
189
Donè, Marco
208,209
Dall'Armellina, Luigina
173,177
Doria, Gianandrea
64
Dall'Armellina, Maria Grazia
209,210
Dotta, Annie
188
Dall'Armellina, Maria Italia
121
Dotta, Antonio
179
Dall'Armellina, Oscar
182
Dotta, Celestino
176,188
Dall'Armellina, Stefano
182
Dotta, Cesare
179
Dall'Armellina, Vittorio
121
Dotta, Eugenio
188,205
Dall'Ava, Antonio
198
Dotta, Firmino
179
Dalla Cia, Carlo
210,211
Dotta, Giannino
176,188
Dalla Cia, Lucio
209,211
Dotta, Redento
179
Dalla Vedova, Benedetta
178
Dragut (Corsaro turco)
65
Dalla Vedova, Virgilio
175
E
Damian, Elide
179
Einaudi, Luigi
167
Dario, Carlo
174
Elena (Regina di Sparta)
15
Dario, Giovanni
172
Enea
15
Dario, Giuseppina
173
Enrico II (Imperatore)
66
Dario, Pietro (Soldato)
134
Enrico IV (Re)
61
Dario, Pietro (Carioto)
172
Eugenio di Savoia (Principe)
63
Dario, Pietro (Elettricista)
177
Ezio (Generale romano)
26
Dassiè, Biagio (Don)
89
Ezzelino II da Romano
66
De Benedetti, Angelo
156,199
F
De Biasi, Giannino
202
Fabrizio, Nicolino
212
De Cleva (famiglia)
173
Facchin, Giuseppe
165,210,211
De Coppi, Abramo
207
Facchin, Vito
164,175,195,206,207
De Coppi, Alfonso
210
Fagaraz, Bruna
190
De Coppi, Antonio
208
Fagaraz, Luigi Eugenio
164,207
De Gasperi, Alcide
147
Fagaraz, Mansueto
171
De Luca, Gregorio
206
Fagaraz, Mauro
210,211
De Nadai, Giuseppe
211
Fagaraz, Primo
171
De Nardo, Antonio
206
Fagaraz, Raffaello
150,206,207
De Nardo, Domenico
198
Fantuzzi, Silvestro
181
De Nardo, Giobatta
198
Fava, Narciso
181
De Nardo, Giuseppe
150,206
Feltrin, Ugo
173
De Nardo, Vittorio
207
Ferdinando I d'Aragona (Re)
57
De Paris, Antonio
212
Filippo di Conegliano
31
De Stefani, Egidio
179
Filomena, Chiara
82
De Stefani, Eufemia
179
Floriani, Ignazio
143
De' Medici, Lorenzino
59
Foltran, Giuseppe
208
Del Giudice, Domenico
20
Foltran, Rina
177
Della Casa, Monsignor
57
Foscan, Augusto
150,206
Della Scala (famiglia)
66
Foscan, Ferdinando
186,207
Diacono, Paolo (Storico)
28
Foscan, Natale
206
Diocleziano
17
Francesco Ferdinando d'Asburgo
101
Doimo, Angelo
150,206
Frassinelli, Renzo
180,182,186
Doimo, Luigi
142
Frassinelli, Silvio
180,182,186
Doimo, Pasquale
176,177
Furlan, Vincenzo
174
Don Giovanni d'Austria
64
Fuser, Pier Maria
211
Pagina 240
Lovisotto, Giancarlo
180
Gaiotti, Cecilia
G 182
Lovisotto, Giorgio
211
Gallonetto, Antonio
164,207
Lovisotto, Luigi
150,198,210
Gallonetto, Isidoro
207
Lovisotto, Narciso
180,207
Gardenal (famiglia)
186
Lovisotto, Natale
207
Gava, Sante
212
Ludovico d'Ungheria (Re)
66
Geremia, Ines
132
Lunardi, Angelo
210
Gerotto, Attilio
177
M
Giacomin, Luigi
211
Maggion, Angelo
212
Giacomo (Don)
187
Magro, Giovanni
118
Giacuzzo, Marco
211
Magro, Ruggero
118
Giol, Giovanni
222
Malanotte, Camilla Adelaide
219
Giovanni Antonio da Tradate
226
Malanotti (famiglia)
53,218
Giovanni Battista
228
Malanotti, Gio Batta
219
Giovanni II da Cipro (re)
67
Malvolti, Angelo
96
Giovanni Paolo I (papa)
227
Manfred Von Richthofen
117
Giovanni Paolo II (papa)
227
Manfrenuzzi, Giuseppe
150,206,207
Giribaldi, Attilio
205
Manfrenuzzo, Gerolamo
54
Giustinian Recanati, Anzolo
72
Manin, Daniele
80
Giustiniano (Imperatore)
105
Mantalbano (famiglia)
55
Gradenigo (famiglia)
52
Mantese, Celia Anna
129,139,140
Gradenigo, Agostino
20
Mantese, Giuseppe
128,129,139,195,205
Gribaudi, Carlo
194
Maometto
63
Gribaudi, Domenico
194
Marcon, Flavio
210
Gribaudi, Franco
194
Marcon, Lino
208,21
Grigio, Giovanni
171,214
Marcon, Lisa
211
Gris, Costante
97
Marcon, Luigi
212
Guaita (Dottor)
187
Marcon, Natale
180
Gualuppa, Adolfo (Joto)
189
Marcon, Placido
182,185
Gualuppa, Antonietta
189
Marcon, Silvano
208
Gualuppa, Vittore
189
Marcuzzo, Bruno
211
Marega, Serafino
212
Maria di Chotek (Contessa)
101
Mario (Condottiero romano)
17
Maserata, Hercole
34
Maset, Silvestro
180
H Hohenlohe, Conrad
101
J Joyeuse (cardinale)
61
L Laverzari (famiglia)
53,128
Massimo, Magno
20
Laverzari, Zan Paolo
53
Mattiuzzo, Miriam
212
Lavina, Ferdinando
198
Mazzariol, Ardemio
209,210
Lavina, Isidoro
207
Mehmed II (Sultano)
63
Leone XIII (Papa)
100
Meneghin, (architetto)
157
Lepido, Marco Emilio
17
Menelao (Re di Sparta)
15
Livio, Tito
15
Menin (famiglia)
54
Lorenzet, Pietro
206
Menini (famiglia)
182,187
Lot, Antonio
182,185
Menini, Antonio
187
Lot, Candido
207
Menini, Giacomo
187
Lot, Francesco
182
Menini, Giovanni Battista
213
Lot, Giovanni
206,207
Menini, Michele
187,213
Lot, Giuseppe
182,207
Menini, Pietro
187
Lot, Luigi
182
Menini, Pietro Antonio
187,213
Lot, Mario
209,21
Mesirca, Antonio Bruno
206
Lovisotto, Bernardo
180
Mesirca, Domenico
205
Lovisotto, Eugenio
180
Michielon, Chiara
118
Lovisotto, Gabriele
180
Milanese, Giovanni
209,210
Pagina 241
Minardo, Salvatore
212
Peretti, Giuseppino
212
Modolo, Gian Maria
172
Peruzza, Angelo Giuseppe
164,187,207
Modolo, Graziano
172
Peruzza, Antonio
209
Modolo, Piero
172,179
Peruzza, Marietta
173
Momi, Ketty
211
Peruzza, Mario
208
Moncey, Adriano
66
Peruzza, Natale
175
Montesel, Albino
207
Peruzza, Reginetta
173
Moro, Annamaria
211
Peruzza, Vittorio
173
Mosè da Broj (Don)
149
Peruzzetto, Antonello
206
Mussolini, Benito
233
Piccin, Alberto
174
Piccin, Carlo
174
N Nadal, Domenico
179
Piccin, Mario
155
Nadal, Gabriele
181
Pinese, Francesco
81
Nadal, Pietro
179
Pio V (papa)
64
Nadal, Tranquillo
177
Pio X Santo (papa)
100
Napoleone, Bonaparte
66,75,100
Pio XI (papa)
100
Pio XII (papa)
100
O Occhialì (Corsaro turco)
65
Pizziolo, Corrado (Vescovo)
223
Olto, Giovanni
208
Plinio il Vecchio
15,17
Ongaro, Luigi
164,194,207
Polacco, Francesco
208
Ottone I (Re dei Germani)
26
Polacco, Giobatta
150,202
Polacco, Giovanni Bonaventura
88
P Padesi, Antonio
207
Polacco, Luigi Casimiro
112
Padoan, Antonio
211
Polo, Elisa
189
Padoan, Nives
210,211
Possamai, Angelo
150,202,203
Padovan, Giannino
207
Possamai, Renzo
164,203
Padovan, Giuseppe
164,207
Prezioso, Francesco (Arciprete)
150,156,162
Padovan, Nerio
177
Priamo (Re di Troia)
15
Palumbo, Alberto
212
Princip, Gravilo
101
Pancotto, Francesco
109
Prizzon, Giuseppe
109
Pantaleoni, Maffeo
232
Prospero, Pietro
212
Paoletti (famiglia)
182,184
R
Paoletti, Antonio
205
Radagasio (Re degli Alani)
25
Paoletti, Giacomo
156
Radetzky, Josef
80
Paolo III (papa)
57
Rangoni da Modena, Guido
67
Paolo V (papa)
60
Rech, Alfonso
205
Paolo, Lucio Emilio
17
Rizzotto, Benedetto
174
Papa, Angelo
206
Rizzotto, Elena
174
Papadopoli (famiglia)
221
Rizzotto, Giobatta
174
Papadopoli, Nicolò Aldobrandini
221,222
Rizzotto, Giuseppe
174
Pascià, Alì (Comandante turco)
64
Rocchi, Pio
205
Pase, Giuseppe
109
Rossellini, Angelo Giuseppe
222
Pasqualin (osteria)
175
Rua (Re degli Unni)
26
Pasqualis, Giuseppe
96
S
Patella, Alessandra
175
Saccon, Agostino
210
Peccolo, Leo
164,207-209
Saccon, Candido
179
Pediano (soldato romano)
17
Saccon, Terzo
143
Pellizzon, Ettore
20,130,131,230
Salvador, Eugenio
173,176,177
Pellizzon, Eugenio
130
Salvador, Giovanni
210
Pellizzon, Ferdinando
130,132,150,206
Sanson, Lino
179
Pellizzon, Giovanni
109,130, 212
Sanson, Maria
182
Pellizzon, Primo
208
Sanson, Raffaele
150,206
Pepe, Guglielmo (Generale)
80
Santin, Silvio
206,207
Perencin, Luigi
179,209,210
Sarpi, Paolo “Pietro”
60,61
Pagina 242
Sartor (famiglia)
180
Vendrame, Antonia
81
Scardanzan, Petronio
179,181
Vendrame, Antonio
150,175,190,195,206,207
Scatolini, Laura
211
Vendrame, Arinda
173
Schincariol, Pietro
209-211
Vendrame, Candida
208
Schmidt, Felix
31
Vendrame, Dioniso
81
Scrizzi, Maria
128,139
Vendrame, Francesco
88
Scudeller, Domenico
207
Vendrame, Girolamo
108,151,171
Scudeller, Mauro
211
Vendrame, Leopoldo
190
Scudeller, Ottavio
206,207
Vendrame, Luigi
108,171,179
Secolo, Bruno
179
Vendrame, Servilio
179
Serafini, Ernesto
199
Vendrame, Sonia
190
Serafini, Guglielmo
150,206
Vendrame, Tullio
180,181,190-192
Signori, Ennio (Gino)
156,213
Vendramin, Luigi
212
Silio Italico (Storico romano)
17
Verri, Remigio
213
Silla (Condottiero romano)
17
Vettorel, Angelo
208
Sisto V (papa)
60
Vital, Adolfo
20
Sleiter, Giovanni
222
Vittorio Emanuele II di Savoia
100
Smidek, Josef Carel
121
Vittorio Emanuele III di Savoia
100
Smidek, Josef Junior
121
Viviani, Antonella
212
Sobiesky, Jan III
63
Z
Sordon, Roberto
181
Zambusi, Giannino
212
Spellanzon, Anna
88
Zanardo, Beniamino
172,179,190
Spezzotto, Riccardo
174
Zanardo, Emilio
134
Zanardo, Giuseppe
109
T Tarzariol, Angelo (Gino)
175
Zanardo, Luigi
207
Tarzariol, Luigi
175
Zanardo, Maria Elisabetta
130
Tegolotti, Rosanna
175
Zanardo, Nerio
180
Teodorico
26,27
Zanardo, Pietro
150,172,206
Teodosio (Imperatore)
26
Zanchetta, Cesare
196
Tiepolo (famiglia)
52
Zanchetta, Efrem
196,197
Tina (osteria)
175
Zanchetta, Enrico
134
Tocchet, Eugenio
165,211
Zanchetta, Giorgia
177,195
Toldo, Giustina (Tina)
212
Zanchetta, Giovanni
208-210
Tomasella, Bortolo
134
Zanchettin, Giuseppe
181
Tomasi, Maria
177
Zandonadi, Domenico (Nino)
210
Tonetto, Gianfranco
209
Zandonadi, Pasquale
195,212
Tonetto, Nicola
211
Zandonella, Ferdinando
82
Tovenati, Antonio
210,211
Zanella, Claudio
209
Tron (famiglia)
52,56,226
Zanella, Pierantonio
208
Tron, Andrea
52
Zanette, Vito
179
Tron, Loredana Mocenigo
52
Zanetti, Bruna
141
Tron, Nicolò
56,226
Zanetti, Vittorio
198
Tron, Zuanne
52
Zanin, Giacomo
208
Turbian, Antonio (Arciprete)
107
Zanuchi (famiglia)
53
Zava, Agostino
174
Umberto I di Savoia
U 100,199
Zava, Severino
174
Umberto II di Savoia
100
Zenti, Giuseppe (Vescovo)
227
Ziliotto, Antonio
132,212
V Valentini, Caterina
182
Ziliotto, Rosina
131
Valentini, Valerio
176
Zorzetto, Ultimo (Giuliano)
179
Valleri, Cesare
212
Vanzan GioBatta
205
Vendrame, Amos
172,179
Vendrame, Angelo
174
Pagina 243
RINGRAZIAMENTI
Regione del Veneto
Comune di Mareno di Piave
Banca Prealpi Credito Cooperativo
UniversitĂ degli Adulti di Mareno di Piave
Tutti i concittadini che hanno avuto fiducia in noi fornendoci foto e notizie utili Pagina 244
AUGURIO
Confidiamo in un domani migliore: se vi si chiede perchĂŠ sorridete e piangete dite che siete tristi perchĂŠ i vostri cuori vedono l'oggi, dite che siete gioiosi perchĂŠ i vostri cuori presagiscono il domani. F. Thompson
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