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Due stelle michelin chef Stefano Baiocco,
from L´edizione Primavera 2020 - Beyond Taste - Oltre il Gusto Magazine - La Fondatore Margaux Cintrano
Presso il ristorante villa feltrinelli A gargano brescia
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Articolo e fotografia: Giovanni Panarotto
“La cucina ha senso soltanto se abbiamo qualcuno con cui condividere le nostre emozioni “. Questo il “ credo “ di Stefano Baiocco, Executive Chef di Villa Feltrinelli. Baiocco stesso dice: Amo la pulizia in bocca e nel piatto.Non uso troppi elementi e cerco di mantenerli tutti ben definiti.In ogni mio piatto dev’essere presente almeno un elemento capace di stimolare la riflessione di chi mangia facendolo pensare…
La cura, poi, quasi maniacale delle erbe officinali che segue e raccoglie personalmente, l’elaborazione degli ingredienti per trasformarli in un unico sapore, e la stessa fusione di colori lo fanno avvicinare quasi più alla pittura che alla cucina. Per capirlo, infatti, bisognerebbe avere uno spirito ricettivo, come si fa con l’arte, senza essere troppo rigidi dal punto di vista intellettuale, ma privilegiando la sensibilità. La sua è una cucina senza stress, aerata, leggera, botticelliana, dai gusti lievi, una primavera di sensazioni, un’alchimia di proposte realizzate con grandissima tecnica e con straordinario “ amore”.
Mi han chiesto cosa chiedo dai miei piatti... Più che voler qualcosa, spesso mi accorgo che ho con loro un rapporto quasi “carnale”, credo questo dipenda anche dal numero limitato di ospiti che serviamo: è un po’ come invitare degli amici a casa propria. Sino ad un certo numero di persone riesco ad avere tatto sui piatti, a sentirli veramente miei, come se ognuno di loro avesse la mia voce, diversamente si perde la cognizione e non è più una tua creazione ma semplicemente un prodotto. La cucina è per me un mezzo di espressione... Ciò che mi interessa è comprendere le sensazioni delle persone che vengono a mangiare, capire ciò che desiderano e cosa li affascina; vorrei riuscire a toccare i loro pensieri perché credo che la gastronomia sia più nella testa che nella pancia.
ichele Minchillo nasce a Foggia il 23/04/1993. Diplomato alla scuola Alberghiera “E. Mattei” di Vieste, da subito decide di finire i propri studi a 18 anni all’Alma di Gualtiero Marchesi ( nel 2011 ancora rettore ) La su passione per la cucina nasce per il bisogno di rendere felici, di soddisfare chi ha il piacere di provare qualcosa creato partendo da “zero”.
Introduzione, intervista e fotografía di Giovanni Panarotto M
Dopo gli studi all’Alma sono molteplici le sue esperienze, sia in Italia ( Toscana, Lombardia, Emilia Romagna, Alto Adige ) che all’estero ( Londra, Dubai, New York ). Tra quelle più importanti, un’ esperienza alla Palta di chef Isa Mazzocchi * Michelin , e a New York, Williamsburg nel bistellato ristorante Aska** di chef Fedrik Berselius; esperienza cui porta Michele ad avvicinarsi e studiare da vicino le contaminazioni nordiche in cucina. A 25 anni decide di creare un qualcosa di suo, di portare le sue esperienze, le sue idee ed i suoi studi in tavola dei suoi ospiti. Ad Aprile 2019 apre Vitium a Crema, in provincia di Cremona. Michele è chef e titolare.
Cosa o chi, ti ha spinto à studiare l’arte culinaria e quali scuole hai frequentato ? Quali sono state le tappe fondamentali nella tua formazione professionale?
Sicuramente la cucina è una passione che hai dentro, ma molte volte è nascosta, perchè la si dà quasi per scontata o si pensa sia banale. Io sin da piccolo ero affascinato nel vedere come mia madre o mia nonna preparavano in cucina pietanze, dedicandoci a volte anche molto tempo. I sapori, gli odori , i movimenti me ne hanno fatto innamorare. Ho studiato così i 3 anni di Alberghiero a Vieste, all’istituto IPPSAR E.Mattei prendendo la qualifica, per poi decidere con mio papà ( a cui devo tanto ) di ottenere e continuare il diploma all’ALMA di Colorno in giovane età. Mai decisione fù più giusta. Tappe importanti da ricordare per me, sicuramente La Palta * di Isa Mazzocchi, Aska ** a New York di Fedrik Berselius e anche Merano al Kallmunz all’ora guidato da Luigi Ottaiano.
La Primavera è un momento molto speciale dell’anno. Di cosa ti servi, e quali sono le caratteristiche in base alle quali scegli i prodotti da usare nelle tue creazioni di stagione ?
La primavera è una stagione che dà tanto. C’è un cambio repentino in cucina. I colori così diversi ed i sapori di erbaceo nell’area. Io nella mia cucina in questo periodo prediligo il colore verde o comunque colori “ vivaci “. Erbe spontanee, fiori e vegetali accostati a proteine strettamente provenienti da produttori locali della mia zona.
Qual é la Tua Filosofia Culinaria ?
Penso che la filosofia della mia cucina sia nei miei piatti. Quello che cerco di portare al cliente è una sensazione di godimento e piacere.
Sapori e consistenze “semplici” accostandoli ad un pensiero contemporaneo e di avanguardia culinaria.
Se potessi collaborare con un qualsiasi artista culinario chi sceglieresti e perché ?
Sicuramente mi piacerebbe poter cucinare con Marco Ambrosino. Quando posso vado a cena da lui. Trovo sia una persona molto umile e con dei pensieri ben definiti, inoltre mi piace molto la sua filosofia naturale.
Quali sono le tue aspirazioni gastronomiche per il 2020 ?
In una situazione attuale molti progetti sono cambiati. Ma non le ambizioni. Cercheremo sempre, come Vitium Family, di raggiungere il cuore dei nostri clienti, e perchè no, in futuro anche dei piacevoli riconoscimenti.
Quanto influisce nel creare una tua carta la formazione avvenuta a fianco di personaggi che per te risultano essere ancora un riferimento ?
Influisce moltissimo. I ricordi aiutano tantissimo, sono veri e proprie fonti di ispirazione.
Quanto è importante l’estetica nella presentazione di un piatto ? Parlami di una fantasia gastronomica nei tuoi sogni e perché ?
Credo sia almeno la metà della riuscita di un piatto. L’occhio da sempre vuole la sua parte.
Hai scritto del libri, blogs, siti web e Hotel, Café Bistro ?
Ancora no, ma non nego che mi piacerebbe molto. Come anche, un giorno, poter aprire un luogo per poter condividere i miei saperi e quelli dei miei colleghi.
Chef Riccardo Camanini, Profilo d’autore
Intervista di chef Riccardo Camanini Intervista e fotografía di Giovanni Panarotto Riflessioni di Riccardo Camanini
Dove sei nato e cresciuto?
Sono nato il 29 Marzo 1973 a Lovere, nella sponda Bergamasca del Lago d’Iseo. Ho un fratello, Giancarlo che gestisce con me il ristorante e si occupa della sala, del ricevimento e della parte amministrativa del Lido 84.
Chi è Riccardo Camanini?
Sono un tipo molto riservato che predilige la compagnia di amici molto stretti, frequentazioni familiari. Preferisco rimanere in casa e cucinare in compagnia di amici. Ho una forte passione per i libri e per la corsa ma senza alcun fine agonistico. Credo molto di più nei rapporti personali tra le persone, che possono avere un inizio e una fine piuttosto che nei vincoli imposti a far quadrare un cerchio. Mi considero un Artigiano in cucina, i miei ospiti non arriveranno certo a toccare la perfezione - in quanto non è questo il traguardo di un artigiano - ma a provare una mia personale interpretazione; la mia è una ‘bottega’ d’Autore in cui è l’identificazione del ‘fatto in casa’, qualcosa di riconoscibile unico in quel momento, attraverso la voglia e la volontà di migliorarsi.
La Primavera è un momento molto speciale dell’anno. Di cosa ti servi, e quali sono le caratteristiche in base alle quali scegli i prodotti da usare nelle tue creazioni di stagione?
Utilizzo materia prima al 90% locale e di stagione. La materia prima chiaramente e’ la mia principale fonte di ispirazione, e’ proprio la materia che indica il percorso.
Qual é la tua Filosofia Culinaria?
Non ho filosofie culinarie perche’ faccio il cuoco. Piuttosto quello che cerco di comprendere, e’ come valorizzare al meglio le materie prime dando, in qualità’ di artigiano, un punto di vista personale che ne caratterizza l’identità del Ristornate.
Se potessi collaborare con un qualsiasi artista culinario chi sceglieresti e perché?
Con nessuno, perche’ mi basta quello che ho.
Quali sono le tue aspirazioni gastronomiche per il 2020?
Non vivo di aspirazioni ma vivo di una quotidianità del far bene.
Quanto influisce nel creare una tua carta la formazione avvenuta a fianco di personaggi che per te risultano essere ancora un riferimento?
Tantissimo, e’ un mestiere che ho imparato come si usa dire “in bottega” e tali botteghe ne hanno chiaramente influenzato tecnica, metodo, approccio al fine di guidare il mio personale stile.
Quanto è importante l’estetica nella presentazione di un piatto?
E’ l’ultima cosa alla quale penso.
Di carattere taciturno e riflessivo, a 14 anni iniziò la scuola alberghiera, non per vocazione, ma attratto da quello che l’Alberghiera offriva; l’occasione di potere viaggiare nel mondo. Il suo primo approccio lavorativo nel 1987, si rivelò abbastanza traumatico, in quegli anni la gastronomia non era propriamente interessata a una interpretazione artigianale, come lo è oggi, nelle cucine di allora era difficile alimentare la propria passione e trovare il giusto stimolo per riuscire a esprimersi attraverso il proprio lavoro.
Furono per lui anni di grande pazienza, non potendo cambiare la realtà delle cose. Alla scuola si integrava esperienze di lavori serali e stagionali, fino alla grande opportunità nel 1993, entrare nella cucina di Gualtiero Marchesi pochi mesi, dopo l’apertura dell’Albereta di Erbusco.
Lì, ebbe la percezione immediata di quanto fosse diverso il mondo professionale di alto livello; dall’impatto più diretto con l’ambiente di lavoro, molto luminoso - emotivamente coinvolgente, marmi acciaio, tutto estremamente pulito da 25 a 30 cuochi. Tutti giovani, perfettamente vestiti e inamidati, estremamente ordinati e di diverse nazionalità; dove si parlavano tutte le lingue. Intuì durante la sua permanenza di tre anni da Gualtiero Marchesi quanta profondità ci fosse nel pensiero semplice del Maestro.
Apprezzò molto lo stile semplice di Marchesi come sua prima esperienza di un certo spessore sposando fin da subito l’idea della semplicità della gastronomia - della ricerca assoluta - della perfezione attraverso pochi strumenti - gesti e ingredienti. La vera arte di Marchesi stava nella sintesi, quindi nella risoluzione armonica della sua idea di cucina. Un’idea che lo conquistò e definì la sua identità professionale.