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Chef Girolamo Orlando, “Creatività in cucina e cucina creativa”
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di Girolamo Orlando fotografia di Silvana Laviola
Amata, discussa e affascinante sono gli aggettivi che, a parer mio, racchiudono il concetto di cucina creativa. Frequentemente ricevo domande inerenti all’argomento, quasi fosse una disciplina o un modello educativo dell’arte culinaria. Colgo l’occasione scrivendo delle righe, per rispondere a molteplici domande che ho sempre ricevuto. La creatività la interpreto come un mezzo che mi permette di esprimere i pensieri attraverso l’arte, in cucina. Sin dalla tenera età, ho sentito il bisogno di guardare le cose da più prospettive, il tutto è stato dettato dalla curiosità. Questa è una, caratteristica che mi caratterizza da sempre e che mi ha consentito di esplorare strade alternative rispetto ai dettami dei parametri che la società spesso impone. Nel mondo della ristorazione ho avuto modo di notare quanto la creatività mi permettesse di andare oltre nel creare piatti nuovi ma anche opere artistiche in margarina, cioccolato, vegetali e pasta di zucchero. Durante il mio percorso formativo, ho avuto la fortuna di essere affiancato da grandi maestri del settore con i quali ho condiviso delle importanti esperienze creative supportate da una costante ricerca che poi mi ha permesso di apprendere tante tecniche e modalità di esecuzione per realizzare dei piatti con dei tratti distintivi forti sia in termini visivi che di gusto. Ciò richiede ovviamente il reperimento delle informazioni acquisite dallo studio della materia e della sperimentazione sul campo, abbandonando le certezze per trovare una chiave di lettura alternativa. La mia creatività si alimenta dell’osservazione dell’ambiente che mi circonda dal quale prendo spunto per trovare soluzioni inaspettate. Per la creazione di nuovi piatti seguo però delle regole per assicurare che i risultati incontrino i gusti del commensale, in modo ragionato e con uno sguardo alle emozioni che voglio far vivere.
Dopo tutto, il commensale ha sempre la sua importanza. Prima della realizzazione di un piatto, parto da un’idea basata su un input avuto, poi realizzo un progetto su carta con un disegno che mi aiuta a trovare le migliori soluzioni tecniche e di accostamento di gusto. Spesso, è necessario approfondire e fare diverse prove per perfezionare la pietanza. Appena il piatto sarà definito per diventare ufficiale dovrà rispondere a due semplici domande: è nuovo? È utile? Per nuovo intendo di diversa concezione per i tempi che viviamo;per utile, invece, se potrà essere utilizzato per i fini che mi sono fissato di raggiungere. Personalmente propongo il piatto a persone estranee al mondo della ristorazione e, in seconda battuta, a professionisti del settore con i quali cerco sempre di confrontarmi richiedendo valutazioni e critiche costruttive, tenendo conto delle espressioni che rivelano l’inconfutabilità del risultato. Superato questo step si riporta sul menù, proponendolo al cliente che emetterà il proprio verdetto sovrano. Ricordo che, iniziati gli studi alberghieri, tornavo a casa col desiderio di replicare quello che l’insegnante di cucina ci faceva realizzare a scuola. In seguito, sentivo il bisogno di personalizzare quanto appreso poiché preferivo inserire qualcosa di mio che mi rappresentasse. Ricordo le sagge espressioni della mia nonna, che esclamava: “devi smetterla di giocare col mangiare”, espressione dalla quale emergeva la sacralità del cibo di chi ha vissuto il secondo dopo guerra. Ad oggi, cerco di preservare quella stessa “sacralità” durante la realizzazione di un piatto, tenendo conto che la figura del cuoco, come qualsiasi altra, ha la necessità di distinguersi in un mondo, ormai definito, omologato. Il cuoco coglie quotidianamente l’occasione per generare nuove idee che danno vita a nuovi modelli e cambiamenti. D’altronde, la creatività dà origine alla cultura. Tra le varie definizioni di cultura, in seguito ad una ricerca, ci terrei a citarne qualcuna di Albert Einstein, il quale affermava che “la creatività non è altro che un’intelligenza che si diverte”, del matematico Henri Poincarè, secondo cui “la creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili”. Gualtiero Marchesi spesso scoraggiava i giovani nell’esagerare con la creatività in cucina poiché, secondo lui, era necessario conoscere prima la materia che si vuole trasformare, ammonendo, dunque, sull’improvvisazione
dettata da un’ispirazione del momento. I piatti vanno prima studiati! La cucina creativa vanta grandi numeri di pietanze, ma fra tutte, a parer mio, un esempio eccellente di cucina creativa contemporanea è “l’Uovo di Seppia” dello Chef siciliano Pino Cuttaia, mio conterraneo. Tradizione, conoscenza della materia, tecnica e buon gusto, fanno di questo piatto un chiaro esempio della semplicità creativa proposta in una pietanza, che rappresenta il frutto di un grande studio. Spesso un piatto che va oltre i canoni ai quali siamo abituati può risultare, in prima battuta provocatorio e presuntuoso, ovviamente parliamo di stereotipi che condizionano chi non conosce l’autore. Come affermava il Maestro Marchesi: “è il pregiudizio che genera l’incomprensione, poi un po’ per volta ci si avvicina e si cambia, è così che si evolve il mondo, è così che si scrive la storia”. Ricordo periodi adolescenziali in cui nella cucina classica italiana era quasi impensabile accostare il pesce alla carne o il formaggio al pesce. La globalizzazione delle informazioni e gli scambi culturali dimostrano però, quanto invece si possa rimodulare anche la cucina di altre etnie molto lontane dalla nostra. Uno degli esempi più comuni è la cucina giapponese, che ha esportato il sushi, e la cucina americana caratterizzata da Hot Dog e Tex-Mes. Il tutto ha dunque migliorato la comprensione di abilità innovative dei cuochi, che oggi mostrano disponibilità ai confronti che, senz’altro, possono promuovere nuove pietanze dal punto di vista estetico, di sintesi e di gusto. Spesso, l’espressione “cucina creativa” viene associata al tema dell’estetica, ma in realtà ciò che risalta all’occhio è soltanto la punta dell’iceberg. Tra i miei piatti riconosco nel “U Nespolino” un esempio di cucina creativa legata al bisogno di inventare qualcosa che non esistesse per lo street food e che mostrasse carattere, criteri del cibo di strada perché semplice, veloce e di basso costo. Tra i buoni propositi che hanno guidato la mia idea, ho immaginato di poter farlo gustare alla gente comune, con l’unico obiettivo di riuscire a farlo accettare a tutti, partendo proprio dal nome pensato in dialetto siciliano. Mi torna in mente anche “U Babàluci”, altro esempio di proposta creativa, inventata per la pasticceria mignon da esposizione, che deve avere un carattere ammiccante, distintivo e soprattutto familiare. In quest’ultima proposta, ho inventato anche una nuova tecnica di cottura applicata alla pasticceria mignon, attraverso la creazione di un apposito stampo in terracotta, proprio a forma di chiocciola dalla quale prende il nome in dialetto siciliano che in italiano dà l’idea del babà napoletano in accostamento al “babbaluci”, termine dialettale siciliano che indica l’animale emblema della tradizione sicula. Credo fermamente che la creatività prenda vita sul territorio sin dalle origini della cucina, ma che in seguito all’accettazione da parte della società si sia trasformata in tradizione. Il tutto motiva anche future generazioni all’evoluzione, poiché risulta ancora molto attuale il desiderio di evolversi senza però escludere l’identità delle origini. In questo menù la nota creativa trae ispirazione da un’evoluzione culturale che guarda al passato per poi proiettarsi nel futuro. L’antipasto “Pane e cipolla” nasce proprio dal desiderio di ribaltare il concetto di povertà perché nei tempi passati pane e cipolla veniva mangiato solo dalle persone indigenti. Il primo piatto “Tortelli in green” nasce per valorizzare, non soltanto la pasta fresca italiana attraverso un nuovo formato, ma anche per dimostrare come dei semplici ingredienti vegetali possano trasformarsi in un un piatto originale, semplice, profumato e gustoso. Il secondo piatto “Bianconiglio”, esprime un nuovo modo di concepire un alimento come il coniglio, sotto una nuova dimensione estetica.. Il dessert “Amore per sempre” vuole essere il sigillo del valore di un amore vero e fedele attraverso una promessa di vita, che sarà per sempre.