Tesi - manuale

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Seconda Università degli Studi di Napoli Facoltà di Architettura “Luigi Vanvitelli” Corso di Laurea triennale in Design per la Moda

Tesi di Laurea

CON.FUSIONE condividere per convivere

Relatore Prof.ssa Caterina Fiorentino

Laureanda Maria Chiara Paccamiccio A03000075

Anno Accademico 2011/2012



con fusione condividere per convivere



“I bambini non dovrebbero mai andare a dormire; si svegliano più vecchi di un giorno e senza che uno se ne accorga sono cresciuti”.

(Neverland, un sogno per la vita; 2004)

Me che ogni giorno è un buon giorno per sorridere a Roberta che mi incoraggia a dare sempre il massimo a noi due che riusciamo a fare di due vite una vita sola a



INDICE 1

Parte Generale

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Uno sgaurdo pi첫 profondo

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Un altro punto di vista: il MIO Un escursus nel mondo della fantasia Il Progetto Editoriale

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Indice Analitico

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Bibliografia e Sitografia

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Ringraziamenti

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1Parte Generale 1.1 Intro 1.2 Concept 1.3 I Bambini: un pubblico esigente


1 Parte Generale 08

1.1 Intro

Questa tesi è un progetto di comunicazione rivolto ai bambini. Un libro, un gioco, illustrazioni e i piu’ classici giocattoli di carta. Il tema è affrontato con un linguaggio semplice ed ironico. Con-fusione è un progetto di comunicazione sociale, rivolto a coloro che, inconsapevolmente sono il futuro dell’umanità. Si parla di condivisione, di imparare a convivere, non solo con l’amico di banco ma anche e soprattutto con chi, all’apparenza, ci risulta diverso. Il disegno è il mezzo di cui mi servo. <<Dichiarazioni d’amore, esperimenti tipografici, diari di viaggio: ecco alcuni dei messaggi d’arte visiva sparpagliati fra le pagine di questo testo. Attraverso il disegno, i pensieri e le emozioni si traducono in immagini>>. Naturalmente il disegno può manifestare una molteplicità di pensieri, sentimenti e concetti complessi, che lascia spazio alla libertà di interpretazione da parte del pubblico>>. Ho scelto di rappresentare tramite il disegno, cercando di offrire << allo spettatore 1 l’occasione di fermarsi a contemplare >>.


1Parte Generale 1.2 Concept

Un messaggio per bambini. Una comunicazione di tipo sociale rivolta a chi fa della fantasia il proprio mondo. Cosa c’è di più bello e impegnativo, per un designer, che progettare per un pubblico che, privo di conoscenze si affaccia al mondo con occhi curiosi? e se aggiungiamo a questo “compito” l’intento di fargli comprendere il senso della condivisione e della crescita insieme, ci si ritrova a sperare un cambiamento apocalittico. Ebbene si, sperare che i bambini possano crescere senza pregiudizi, è davvero un bel punto di partenza. Un messaggio che si avvale della forma di comunicazione più antica del mondo: le immagini. Si parte dalle discriminazioni che tutti i bambini, inconsapevoli della gravità, fanno tra coetanei: “sei rosso carota”, “hai l’apparecchio”, “quattrocchi”, “cicciabomba”, per giungere a raccontare che l’omofobia è causa di una discriminazione inaccettabile. Sottolineando i “dettagli” che spesso sono oggetto di sberleffo tra bambini, voglio far capire come la sessualità di una persona non è qualcosa da cui allontanarsi, ne tanto meno di cui avere

paura. È solo una caratteristica delle persone. Sperare e aver fiducia sono le parole d’ordine, il filo conduttore del progetto. Con-fusione il nome del progetto, “condividere per convivere” il messaggio che vuole trasmettere. I personaggi illustrati e le storie raccontate, hanno sempre e comunque il pregio di affabulare la realtà, che inizia a ripercorrere le varie storie, mentre le racconta. Frammenti di vita quotidiana proposti con la magia delle immagini, tratti a matita che si trasformano in personaggi dal volto sconosciuto, in cui ognuno di noi si può riconoscere.

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1 Parte Generale 1.3 I Bambini: un pubblico esigente

« C'è sempre qualche vecchia signora che affronta i bambini facendo delle smorfie da far paura e dicendo delle stupidaggini con un linguaggio informale pieno di ciccì e di coccò e di piciupaciù. Di solito i bambini guardano con molta severità queste persone che sono invecchiate invano; non capiscono cosa vogliono e tornano ai loro giochi, giochi semplici e molto seri». (Bruno Munari, Arte come mestiere, 1966)

Questo progetto si rivolge a bambini e bambine che abbiano già compiuto i cinque anni d’età. L’idea nasce dal voler rivolgersi a chi, non considerato abbastanza grande dalla società, viene messo all’oscuro su alcuni temi importanti.

L’idea nasce dal voler rivolgersi a chi, non considerato abbastanza grande dalla società, viene messo all’oscuro su alcuni temi importanti. Eppure i bambini hanno una grande capacità di apprendere e assorbire contenuti dall’ambiente che li circonda, senza lasciarsi scappare nessuna delle stimolazioni che ricevono. “Confusione” è un progetto di tesi che prende forma non solo dalla passione per le illustrazioni e per tutto ciò che il mondo spensierato e fantastico dei bambini, ma anche dalla consapevolezza che sono gli unici che possono far cambiare l’andamento del mondo, della politica, dell’amministra-zione del Paese. Considerando il messaggio e il pubblico che dovrà recepirlo, nasce l’esigenza di usare un linguaggio semplice e d’impatto: l’illustrazione. Risulterà più facile così associare le figure del libro all’amico o amica di banco, al primo fidanzatino e perché no ad un familiare. Il libro è rivolto ai più piccoli, ma senza escludere i grandi. Tutti sono da considerarsi pubblico ideale per “Con.fusione”. Un’ironia che fa crescere, il punto di vista cambia, il destinatario si trasforma. Le classiche coppie sono rivisitate, alternate e poi rielaborate. L’obiettivo è uno: condividere per convivere.

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2 Uno sguardo più profondo 2.1 Sulla strada dell’educazione 2.2 Libri per bambini 2.2.1 Caso studio: Munari e i suoi “libri” 2.3 Linguaggi visivi: comunicare 2.4 Campagne pubblicitarie 2.4.1 Campagne sociali 2.4.2 Campagne commerciali 2.5 I Paper Toys: giochi di carta


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Se ci guardiamo indietro mentre osserviamo l’avanzare del tempo ci sembra, come nei film d’epoca, che i nostri ricordi sino in bianco e nero. L’evoluzione in campo tecnologico ha fatto si che tutto sia transitorio. Non solo il design, ma tutto ciò che è arte ne ha risentito. Si cerca sempre più di comunicare usando qualsiasi mezzo a disposizione, e gli ultimi anni hanno dato spazio al linguaggio ironico in qualsiasi campo tecnico - pratico. Che si tratti di una campagna che pubblicizza una pasta, una lavatrice, che sia un cartone animato o un libro per bambini, che sia una poltrona o un tappeto-sedia, tutto è descritto con ironia. L’oggetto in se diventa rappresentazione dell’infanzia. Eppure, in contrapposizione, mentre tutto il mondo dell’arte e del design si rifà al mondo dei piccoli, pochi si dedicano a loro. O meglio pochissimi sono i progettisti che si dedicano a realizzare oggetti che siano per la loro crescita. Un tempo esistevano giochi, come le bambole di pezza,

2.1 Sulla strada dell’educazione

divenute oggetto da collezionare per i grandi, o il cavallo a dondolo, una volta oggetto del desiderio sia dei grandi che dei piccoli. <<Mettiamo oggi un bambino su di un cavallo a dondolo. Ci starà tre secondi e poi scenderà. Una volta salirci significava tramutarsi in Napoleone, il gioco permetteva di evadere dalla realtà quotidiana>>. Ora invece <<il gioco ha perso la sua funzione, non c’è più quel rapporto intenso con il bambino, che preferisce concentrare coi genitori il week 2 end in macchina>>. Di sicuro spiccano tra tutti i giochi che lasciano parte del lavoro alla fantasia di chi li usa, come i Lego o più vecchi cubi di Froebel, riuscendo a stimolare la fantasia del bambino e voglia di giocare. Non solo stimolano la fantasia, ma educano allo stesso tempo. Insegnano a giocare in gruppo, a condividere sia l’esperienza del gioco che i giochi e lo spazio in cui avviene. Icolori brillanti e la facilità con cui si incastrano sono le caratteristiche che più incantano


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i bambini. I giochi del 2000 sfruttano la tecnologia, ispirano violenza, non aiutano il bambino a usare le proprie capacità, altro non fanno che simulare le mode dettate da qualche cartone. Sono in plastica, senza vita e privi di quella patina di nostalgia che accompagna i vecchi giochi. Sono giochi usa e getta, che lasciano il tempo che trovano. A monte, di tutti questi giochi, ci sono quelli progettati e realizzati appositamente per l’apprendimento del bambino. Si pensi ai giochi interattivi, quelli che sviluppano la capacità di riconoscere gli oggetti, l’alfabeto tappeto, quelli in inglese che aiutano l’istruzione, ma anche quelli che aiutano a socializzare e a stare a contatto con la natura come i roller, le macchinine, il pallone. Ci sono giochi che si avvalgono di forme semplici e che tramite l’incastro rendono divertente e stimolante la fase educativa. Sono i giochi, se così possono essere definiti, che tutti ricordano, quelli che sicuramente avranno un posto di tutto rispetto nei

nostri ricordi, quelli che meriterebbero di diventare i giochi obbligatori da comprare per la formazione di un bambino, ma purtroppo, anche per colpa degli adulti, ormai ipnotizzati da un mondo materialista e consumista, sono i giochi definiti “antichi”.


2 Uno sguardo più profondo 2.2 Libri per bambini

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Giocare è un lavoro così serio, che anche i bambini ne sentono l’ansia da prestazione. Si ripongono in loro così tante speranze, da costringerli a diventare adulti prima del tempo. Succede che accade per caso, o a volte succede per obbligo, devono diventare grandi. Eppure i bambini, grandi o piccoli che siano, non rinunciano al loro spazio nel mondo della fantasia, quello che creano nelle notti buie, sotto un letto mentre chiacchierano con il loro amico immaginario. A nessuno di loro si nega la favola, quella che è ormai un’eccellenza, la storia che ci fa crescere pensando che tutto sia possibile, che basta crederci nelle cose perché accadano, che basti cantare guardando la luna perché qualcuno dall’altra parte del mondo ci senta. Le favole sono l’unica via di uscita per molte persone, e tramite le favole a volte si riesce anche a parlare di temi seri. La Disney casa per eccellenza dei film d’animazione, bilancia con maniacale cura per i dettagli ogni suo lungometraggio. Riesce a trattare il tema della differenza cultura-

-le con estrema cura che finiamo per amare quelle principesse senza che si faccia caso al colore della pelle o alla religione. Diversi autori fanno del sociale il tema principale delle proprie opere. Ci si approccia a questi temi in modo leggero, senza essere banale. Dietro ogni libro c’è la voglia di raccontare, che sia di storia, di geografia o di pura fantasia, non c’è nessun tema che non possa essere compreso se comunicato. Le guerre mondiali, la crisi economica del ‘29, la shoah, il razzismo e la rivoluzione iraniana, tutti temi importanti ma trattati e descritti usando il linguaggio dei più piccoli, per comunicare con loro e con chi è un bambino nelle vesti di un uomo.


2 Uno sguardo più profondo 2.2 Libri per bambini 2.2.1 Caso studio: Bruno Munari e i suoi “libri”

Fondamentale per la creazione del mio progetto sono state le parole e le produzioni di Bruno Munari. <<È stato uno dei massimi protagonisti della comunicazione del XX secolo, dando contributi fondamentali in diversi campi dell'espressione visiva e non, con una ricerca poliedrica sullo sviluppo della creatività e della fantasia nell'infanzia attraverso il gioco>>. Si è dedicato particolarmente ai piccoli, stabilendo un nuovo modo di approcciarsi a loro e alla loro formazione. “Ascoltare è dimenticare, vedere è ricordare, fare è capire” ogni suo progetto, che fosse libro, laboratorio per bambini o giochi per pensare, si muoveva su questa filosofia. <<Ha progettato per loro, senza mai scindere il contenuto dalla forma e dal materiale. Di particolare interesse sono la collana “Block Notes” e i “Libri Illeggibili”,dove le parole spariscono per lasciare spazio alla fantasia, entrambe dai risvolti creativi. Idee e esempi che potessero servire ai bambini come input per un gioco dell’intelletto, spingendoli, nel caso dei block notes, a

sfogliare e leggere i libricini grazie ai fori in copertina, sfruttando così la virtù di cui tutti i bambini si fanno 3 carico per crescere: la curiosità>>. Con i libri per l’infanzia vuole mostrare ai piccoli come il libro non sia un oggetto noioso ma ricco di sorprese, da toccare con mano. Tanto che l’importanza dei materiali, nei Prelibri, è tale da costituirne il progetto e l’oggetto stesso, dove le pagine non sono altro che esperienze tattili. Non offre idee già pronte, impossibili da reinterpretare, cerca invece di incuriosire. Il maestro ha posto le linee guida di un metodo progettuale efficace tuttora, facendo della semplicità il suo cavallo di battaglia. Ancora dopo cento anni, il lavoro di Munari continua infatti ad essere inesauribile fonte di ispirazione per i designer di oggi e la sua incredibile produzione di libri-gioco uno strumento insostituibile per l’apprendimento dei più piccoli.

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“Il Linguaggio Visivo é uno strumento di conoscenza, complementare ai tradizionali linguaggi orale e scritto, volto ad una maggior comprensione di sé e del mondo, attraverso il potenziamento delle sensibilità percettiva e creativa di ciascun bambino. Il campo del linguaggio visivo è molto amplio e articolato. Contiene tante possibilità espressive quante sono le possibilità potenziali di ogni singolo individuo. L’obiettivo principale del “Linguaggio Visivo” è quello di potenziare nei bambini le capacità necessarie all’interpretazione degli stimoli percettivo-sensoriali che giungono dall’esterno tramite i sensi, attraverso la programmazione di attività espressive che tengano conto delle loro capacità sensitivomotorie. Per raggiungere tale scopo è necessario abituare i bambini all’osservazione, alla contemplazione, a percepire le sensazioni. La lettura sistematica di ciò che ci circonda - definibile come contesto immediato permetterà ai bambini di superare i cosiddetti stereotipi espressivi e tutti gli archetipi, in modo da concorrere alla costruzione di una personalità più libera, attraverso il potenziamento delle loro capacità espressive. E’ necessario abituare i bambini a guardare intorno a sé

2.3 Linguaggi visivi: comunicazione per bambini

per incorporare, consolidare e trarre da questo contesto, attraverso le esperienze personali e di gruppo, gli elementi che configurano l’alfabeto visivo in modo da costruire gradualmente le basi per una conoscenza dei concetti preliminari sui quali poggiare una padronanza di questo particolare linguaggio. L’esperienza vissuta sarà interiorizzata e entrerà a far parte in maniera indelebile del bagaglio personale di ciascun bambino. Le esperienze vissute dai bambini li porteranno in modo graduale all’acquisizione di un ventaglio di risorse e, di conseguenza, ad un’espressività più ricca e personale; non solo derivanti dall’osserva- -zione ma, dallo stabilire, ad esempio, delle relazioni associative fra elementi diversi. Esprimersi non è che la formulazione di pensieri, concetti, idee - e ciò non è altro che la comunicazione - che il bambino ha fatto proprie. La qualità poi di questa espressione-comunicazione sarà tanto più ricca quanto più intense siano state le esperienze relative all’osservazione ed al vissuto individuale insieme alla padronanza delle risorse attinenti il linguaggio visivo.”


2 Uno sguardo più profondo 2.4 Campagne pubblicitarie

Le campagne pubblicitarie sono uno dei tanti mezzi usati dalla Comunicazione e sicuramente uno strumento di forte impatto per determinati messaggi. Le campagne pubblicitarie si differenziano tra loro per “stile”, per linguaggio, target di riferimento, per supporto di trasmissione e soprattutto per tipologia che può essere: di tipo pubblica, di mercato o no profit, a seconda se si vende un prodotto o no. Inizialmente la mia ricerca è stata molto generica: le campagne pubblicitarie. Successivamente ho posto la mia attenzione su due filoni principali: la campagna di tipo pubblica, ovvero sociale; e la campagna di mercato, o volgarmente chiamata commerciale. Per quanto riguarda il tema, in Italia non esistono ufficiali casi di pubblicizzazione sulla sessualità, ne la volontà di sensibilizzare chi lo definisce problema. Non avendo trovato materiale utile ai fini della ricerca, mi sono addentrata in una spasmodica ricerca superando la “dogana” virtuale pur di trovare chi, in qualsiasi forma e linguaggio parlasse di ciò che avevo intenzione di comunicare. Ciò che emerso è una totale assenza di campagne, cartoni, o una cartolina che tratti l’argomento rivolgendosi però ai più piccini.

In alcuni paesi, come quelli del sud America, paesi Asiatici o senza allontanarsi troppo, l’Europa si parla principalmente di razzismo e di omofobia, e le uniche fonti ufficiali sono del ministero delle pari opportunità. C’è sempre però la tendenza di evidenziare un solo aspetto della questione, come se non esistessero le altre sfumature che rendono questo tema uguale a tutti gli altri trattati; in contrapposizione ci sono altri Paesi tipo l’Inghilterra, ma anche America del Nord o Australia in cui la sessualità è affrontata secondo un diverso punto di vista. C’è un clima di consapevolezza, si parla di diritti, anche considerando l’aspetto umano come il matrimonio e l’adozione. Totalmente differente è statala mia impressione cercando le campagne commerciali, che anche in Italia stanno trovando il loro pubblico. Sarà che il tema è trattato da brand che commercializzano anche in Italia, ma sono principalmente di origine straniera, si affrontano temi legati alla sessualità considerando un aspetto che a lato umano è invece ignorato. Caso più facilmente confrontabile è l’idea di famiglia che traspare dalle pubblicità. Il primo paragone che mi viene in mente è tra l’azienda italiana “Mulino Bianco” e

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la svedese “Ikea”. La prima ne parla come se si riferisse ad una famiglia utopica, che in realtà non esiste ma che tutti vorremmo: madre bellissima, padre affascinante, figli belli, sani e intelligenti; Ikea mette a nudo, invece, l’aspetto più reale della famiglia, che sia un’anziana signora che convive con un giovane uomo, siano due uomini che vivono serenamente la loro vita, una giovane coppia che litiga per la scelta del divano e così via, tutto è reale, senza tralasciare gli alti e i bassi. Si intravede un aspetto più realistico e quindi tendenzialmente più attrattivo, a differenza di quella utopica che invece incontra invidia e insoddisfazione. Per concludere il mio progetto, che non trova collocazione in nessuna delle categorie affrontate in rete, mette in luce il tema della sessualità sfruttando l’ironia e provocando il “buon senso”. Come accennato sopra, ho analizzato e di seguito riportate due tipologie principali di campagne, che meglio affrontano o ignorano il tema.


2 Uno sguardo pi첫 profondo 2.4 Campagne pubblicitarie 2.4.1 Campagne sociali

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2 Uno sguardo pi첫 profondo 2.4 Campagne pubblicitarie 2.4.1 Campagne commerciali

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2.5 I Paper Toys: giochi di carta

Tutte le generazioni nate nella metà degli anni 70 ricorderanno le bambole di carta, come giocattoli speciali. Chi poteva le comprava in negozio, scegliendo quella che preferiva con tutti i suoi cambi d'abito, mentre molti altri le creavano in casa. Oggi però, grazie ad un sito francese, sono ritornati di moda. Li chiamano Paper Toys e raffigurano i soggetti più disparati. A differenza delle versioni precedenti, tutti questi personaggi sono tridimensionali, più simili a degli elaborati origami. Sono diventati gli oggetti del desiderio, richiamano l’attenzione dei passanti facendo da modelli nelle vetrine, sono protagonisti di campagne pubblicitarie (foto pagina accanto),sono facili da montare, da realizzare ma anche da progettare. Esistono siti su cui è possibile realizzare graficamente i personaggi e poi ordinarli, arrivano a casa sotto forma di fustelle, diventando il tema di una serata in compagnia o semplicemente un regalo particolarmente ironico.


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3 Un altro punto di vista: il Mio 3.1 Percorso effettuato 3.1.1 Elenchi del silenzio 3.1.2 Il glossario delle offese 3.2 Come voglio cambiare le cose


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3 Un altro punto di vista: il Mio 3.1 Il percorso effettuato

I grandi amano le cifre. Quando voi gli parlate di un nuovo amico, mai si interessano alle cose essenziali. Non si domandano mai: "Qual è il tono della sua voce? Quali sono i suoi giochi preferiti? Fa collezione di farfalle?" Ma vi domandano: "Che età ha? Quanti fratelli? Quanto pesa? Quanto guadagna suo padre?" Allora soltanto credono di conoscerlo. (il piccolo principe) La sessualità. È iniziata così la mia idea di tesi. Spiegare la sessualità e le varie differenze ai bambini, è stato questo il primo passo per il mio lavoro progettuale. Inizialmente il mio entusiasmo per un tema così importante, ha fatto si che io intraprendessi la strada della campagna sociale per meglio far comprendere la sessualità ad un pubblico, primo piccolo per poi diventare adulto. Quasi da subito la mia idea di tesi si è spostata verso una direzione più reale, trattare il tema della sessualità parlando di omofobia e rivolgersi al pubblico omosessuale. Bella, ma inutile. Ovvero, tra le tante campagne già esistenti, il mio progetto si sarebbe accodato a tutti gli altri, senza avere riscontro. Da qui l’idea, o meglio, il suggerimento di una mia collega, Maria D’Uonno, di rivolgermi non ad un pubblico omosessuale, ma a chi gli omosessuali proprio non piacciono: gli omofobi. Perché non rivolgersi a loro? Perché non fare la differenza, cercando di capire il loro punto di vista e, senza presunzione, cercare di cambiarlo?

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Il tempo stringe ed è l’ora di iniziare la fase progettuale e di ricerca. Qualche dubbio, ma la fase di analisi si inizia a delineare, i personaggi sono ancora poco definiti: una mano che cammina, truccata con smoking e papillon, che parla di omofobia; pittogrammi, i più classici personaggi di comunicazione, che si ramificano spiegando le varie differenze sessuali o che evidenziano delle “caratteristiche” utilizzando un uomo anonimo a simboleggiare tutti gli esseri umani, e così via. Ansia, crisi pretesi o semplicemente il tema non incanalato, la paura cresce e il progetto non funziona. Dalle varie correzioni, nascono i diversi consigli e non mancano di certo le critiche. La professoressa Fiorentino Caterina ed una collega, o meglio una splendida persona, Ludovica mi aiutano a capire cos’è che proprio non convince nel mio progetto e cosa non convince me. La tesi resta

ad un punto fermo, piccole variazioni ma nessun grande cambiamento nella mia mente e l’entusiasmo pian piano si spegne. Un giorno mi arriva un messaggio con scritto un numero, un certo Federico e l’appuntamento per una chiamata la domenica successiva, forse un segnale dal cielo o semplicemente una docente appassionata al suo lavoro e forse commossa dalla mia poca autostima. È una bellissima domenica di sole, ore 10.00 due squilli e mi risponde Federico, distinto uomo di cultura, una voce amichevole, di comprensione, la voce di un uomo cresciuto in un mondo tappezzato di fantasia. Mi spiega la sua indignazione per le prime pagine dei quotidiani, chiacchieriamo del più e del meno, di quanto apprezzi la stessa persona che mi accompagna in questo faticosissimo viaggio, la professoressa. Dice che forse non dovrebbe dirmelo,

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ma ha così tanta stima di lei che proprio non riesce a farne a meno. Si accenna alla tesi e subito si accende in me la speranza di prendere in mano le redine di questo progetto. Mi parla della sua idea, di come bisognerebbe trattare un tema così forte, di come sia bello avere persone in giro qua e la che ancora credano, forse, che la Tesi sia l’ultima vera possibilità di scrivere in maniera libera di qualcosa che proprio non ci va giù. Parole chiavi e concetti precisi, attentamente li divido per punti mentre al telefono Federico, mi racconta di un libro, “Come nascono i Bambini”, che da piccolo portava sempre dietro e nella paura di separarsene lo ha infine perso nei vari traslochi.Riparliamo della sessualità, della condivisione e di come un bambino dovrebbe avere semre il sorriso, anche parlando di questi argomenti. Mi dice di riproporre una pacifica libertà sessuale

di rapportarmi al linguaggio che Antoine Marie Roger de Saint Exupéry usa nel suo “Piccolo Principe”, di trasmettere al bambino l’idea che l’amore in se è l’evoluzione di un’amicizia, quella che magari si prova per un amico di banco. Consiglia di non fermarmi alla solo discriminazione sessuale, ma di ampliare il mio discorso a tutte le discriminazioni, anche quelle che possono sembrare banali. Ogni sua frase, ogni punto segnato sul mio taccuino rimbomba nella mia testa come una nuova interpretazione del progetto, mentre lui dall’altro capo del telefono anima ogni parola con un’emozione differente, un misto di rabbia, compassione, pena, solitudine, tutte le parole sono minuziosamente accostate tra loro. Gli chiedo che tipo di linguaggio usare, specificando la mia passione per l’illustrazione, il linguaggio più efficace quando si parla

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di bambini piccoli, mi consiglia ancora di rivolgermi ad un pubblico piccolo, ma capace di capire ed ascoltare, cinque anni circa. Infine mi chiede ti tenerlo aggiornato, mi prega di tenerlo aggiornato sull’evoluzione del tema, sperando di potermi ancora fare da guida tra i vari passaggi e i miei crolli. Ci salutiamo e sul mio volto spunta un sorriso che, ancora oggi, non riesco a far andare via se penso alle sue parole. Nella mia testa aleggiano mille idee, mille possibili combinazioni per poter parlare al cuore dei più piccoli. Comunico la fine della telefonata alla docente, le dico che le idee iniziano a formarsi nella mia testa e subito in me la voglia di lavorarci su. Ancora un incontro e la mia tesi prende forma, i personaggi sono chiari, cosa esprimere anche, ancora qualche dubbio sul messaggio ma il titolo c’è: Confusione, un misto tra la condivisione e la fusione, sottolineando la confusione che c’è sul tema. E poi eccoci qua, il tema ha preso la sua direzione, il progetto invece la forma, il prodotto si materializza. Nasce così il libro gioco, che educando aiuta a comprendere che le differenze che i grandi considerano tali alla fine non sono altro che caratteristiche. Basta non fare “confusione” il segreto è condividere per convivere.


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3.1 Il percorso effettuaro 3.1.2 Elenchi del silenzio

<<Elenco delle molti denominazioni che si usano in Italia per classificare un omosessuale. Invertito, deviato, pederasta, sodomita, frocio, depravato, arruso, iarruso, bardassa, baldascia, buzzarone, buggerone, peppia, ricchione, vasetto, culo, lumino, buco, bucaiolo, busone, uranista, finocchio, fregagnolo, checca, checca furiosa, checca isterica, checca fracica, checca marcia, checca pazza, checca persa, checca sfatta, checca franta, checca velata, cripto checca, buliccio, cupio, culattone. Ora un elenco di altro tenore, è l’elenco delle espiazioni dell’omosessualità: impalato, arso vivo, impiccato, squartato, decapitato, lapidato, accecato, evirato, deportato nei lager e marchiato con il triangolo rosa, deportato nei gulag, esiliato, confinato, ricoverato in manicomio e curato con l’elettro shock, incarcerato, stuprato per punizione, torturato, perseguitato in ogni luogo e in ogni tempo della storia umana, violato nella sua dignità e nei suoi diritti nel nome del costume, della religione, dell’ideologia, dell’ordine pubblico e dell’etica. E ancora, quello delle classificazioni nella vita pubblica: peccato, reato, colpa, vergogna, impudicizia, sporcizia, patologia, nevrosi, crimine, disordine, punizione di morte, forse per questo, queste classificazioni inducevano Oscar Wilde a definire l’omosessualità come l’amore che non osa pronunciare il proprio amore.

Del resto com’è noto sono infiniti gli elenchi del silenzio e del dolore. C’è un modo di dire: è meglio guardare le belle ragazze che essere gay. È meglio essere felici!. C’è ancora un elenco. Un elenco di comportamenti, che nell’entroterra campano, nel casertano, fanno dire che sei omosessuale: la birra con la fetta di limone; i boxer; il disinfettante per ferite, quello verde che non brucia; il braccialetto colorato al polso, di quelli che non puoi slacciare; il calzini a righe; i pedalini; la frittata con il salmone; la pinzetta usata per qualsiasi cosa, anche per togliersi una spina; le unghie pulite; usare più di due strappi di carta igienica; maglietta rosa o celeste chiaro; i bastoncini di cotone per pulire le orecchi, si usa lo stuzzicadenti; lo zainetto; la bicicletta; il phon; la crema solare; le bibite dietetiche; il pane integrale; tutto quello che è bio; l’insalata di rucola; il trolley; mangiare i cracker; il pigiama; la supposta; lavarsi più di due volte a settimana; lo yogurt da bere; il pinzimonio; la pizza con l’olio a crudo; il Calippo, se mangiato in pubblico; l’ombrellone da spiaggia, ti devi ustionare se sei uomo; le scarpette sugli scogli; fare la puntura da sdraiati, l’uomo la fa in piedi; l’ombrello; il fior di fragola; il dolcificante; il caffè macchiato; i mocassini con le frange; 4 tirare di coca e il burro cacao.>> (Vieni Via Con Me, Rai 3, Fabio Fazio, Roberto Saviano e Nichi Vendola.)


3 Un altro punto di vista: il Mio 3.1 Il percorso effettuaro 3.1.3 Il glossario delle offese È sicuramente ignoranza quella che padroneggia il nostro modo di parlare, è per questo che mi sono spinta più in la di semplici elenchi, cercando di trovare le leggende che sono celate dietro la maggior parte degli “aggettivi” utilizzati per offendere le persone omosessuali. Di certo non riuscirò a vietarne l’uso che se ne fa, ma sicuramente la conoscenza spesso aiuta la coscienza. Conosciamone quindi l’etimologia: <<Finocchio: a partire dal XIII secolo arrivarono dall’oriente, via mare, spezie d’ogni genere: odori e sapori sconosciuti, che davano alle pietanze qualcosa in più. È per questo che costavano tanto. Per aromatizzare i cibi (specialmente le carni) la cucina mediterranea già impiegava una pianta spontanea, tipica dell’Italia del sud (Sicilia, Puglia, Calabria, Sardegna): il finocchio selvatico. Il finocchio era insomma una specie di spezia casereccia, che costava pochissimo. In Toscana il finocchio aromatizza tuttora il salame, dando vita alla famosa “finocchiona”. Ma che c’entra il finocchio col “finocchio”? per capirlo basta guardare la cosa dal punto di vista maschilista. Operazione piuttosto facile per qualsiasi italiano: maschio o femmina che sia. La cultura maschilista è infatti ancora quella prevalente: o forse sarebbe meglio dire, l’unica esistente nel nostro Paese. E per la verità non solo qui. Il finocchio, inteso

come pianta, e come spezia, vale pochissimo. Perciò il finocchio è perfetto per indicare un uomo che si pensa non valga niente: l’omosessuale. La negazione della “mascolinità”. Sarebbe questo, secondo i linguisti e gli studiosi di storia del costume, la spiegazione più accreditata per cui il termine finocchio è stato accostato all’omosessuale. Meno probabili ma anche più fantasiosi i tentativi di arrivarci per altre strade. Nel Medioevo, oltre alle donne sospettate di stregoneria, venivano messi al rogo anche gli omosessuali, considerati dalle emanazioni del Maligno: dei corruttori, dei negatori di Dio. Per attenuare il lezzo di carne bruciata che emanava dai roghi, c’è chi sostiene che si buttassero nel fuoco delle piante di finocchio selvatico, o addirittura dei fasci di finocchi. Interessante: peccato però che non sia stato mai trovato niente di ufficiale, cioè di scritto, su quest’abitudine. Ma i fruitori di questa tesi non si arrendono: a soccorso del rogo aromatizzato al finocchio ci sarebbe la parola inglese “faggott”, che in quella lingua significa omosessuale che “fascina”. Il rapporto tra la legna da ardere e il finocchio (l’omosessuale, anch’esso da ardere) sarebbe insomma dimostrato. E invece no: “faggott” viene dal francese “fagot”, che significa “fagotto, involto pesante”. Per traslato donna

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noiosa e petulante. Questo termine è usato in senso dispregiativo per indicare un omosessuale appunto per riferirsi alla fastidiosità e alla loro presunta noiosità. Come quella delle donne. Insomma “faggott” non sembra avere alcun rapporto con le fascine di legna, e quindi con il rogo. Per completezza, riportiamo una etimologia di finocchio altamente improbabile: finocchio deriverebbe, per assonanza fonetica, da “fenor culi”: vendita del culo. Ricchione: che “ricchione” dia termine meridionale passato in Italiano come “orecchione” per indicare un omosessuale maschio, è chiaro, ed è noto a tutti. Assai meno chiara è invece l’etimologia del termine. L’orecchio (in napoletano “recchia”) c’entra o non c’entra con la parola ricchione? Secondo alcuni studi si, secondo altri, no. I primi più accreditati, sostengono che a Napoli, città che è sempre stata un porto di mare, all’epoca dei viceré spagnoli fossero soliti sbarcare dei marinai provenienti dalle terre d’oltremare: precisamente dai domini spagnoli dell’America centrale. Questi marinai portavano degli orecchini, secondo l’uso degli antichi Incas, antichi abitatori delle Americhe. Già gli orecchini erano strani, e rendevano quei marinai simili alle donne. Se poi si pensa che molti di essi, costretti per lunghi mesi in mare senza poter avvicinare una

donna, avevano imparato ad arrangiarsi, ecco che tutto torna. A conferma del legame fra l’orecchino ed il ricchione, c’è un gesto tipico della popolazioni dell’Italia meridionale: sfiorarsi con la punta delle dita un orecchio, come a volersi dare una grattatina. È un gesto d’intesa tra due persone che ne conoscono il significati, e allude all’omosessualità di chi sta loro di fronte. Questo gesto può essere accompagnato (o anche sostituito) dalla frase “tene’a povere ‘ncopp’e recchie”: ha la polvere sulle orecchie, che spiega il gesto di eliminarla con una veloce “spolveratina”. Tutto questo serve a scambiarsi un’informazione (o una maldicenza) su qualcuno quando non è il caso di farlo apertamente (per la presenza del diretto interessato, o di “orecchie” innocenti). Il rapporto orecchio/ricchione viene avvalorato da una dato: è dimostrato che ben trecento anni prima della comparsa della parola “ricchione” in una poesia italiana (1897), quindi già alla fine del 500, il gesto di toccarsi l’orecchio per dare dell’omosessuale a qualcuno era ampiamente diffuso in Grecia e nella ex Jugoslavia. Eppure sia in greco che in slavo le parole che si usano per dire “orecchio” e “omosessuale” sono foneticamente assai distanti. È probabile perciò che questo gesto abbia a che fare con i marinai orecchio – muniti di cui sopra, la cui presenza è stata accertata anche in quei porti. questo interessantissimo elemento


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confuta i confutatori di questa teoria, secondo i quali la derivazione di ricchione (orecchione) da orecchio sarebbe una “paraetimologia”: vale a dire, un’etimologia falsa dovuta alla somiglianza fonetica tra i due termini. Sull’origine di ricchione, peraltro, non mancano delle altre ipotesi, francamente minoritarie e assai improbabili. Frocio: “Frocio” (meno spesso “froscio”) è una parola del dialetto romanesco poi passata anche nell’italiano. Frocio però non si deve ai romani: lo si deve ai francesi. La raffinatezza dei francesi, qui da noi, è sempre stata proverbiale. E continua ad esserlo: quando si vuole fare la parodia di un parrucchiere alla moda, o di uno stilista, è quasi impossibile non arrotare le erre, e non trasformare le C in Sc. Ed è altrettanto impossibile non ancheggiare, e non muovere eccessivamente braccia e mani in modo caratteristico. Un combinato disposto di machismo, complesso di inferiorità e ignoranza piccolo-borghese ci ha portato ad avere in sospetto, e di conseguenza a mettere in ridicolo, quello che ci appare come un surplus di cultura e di stile. L’idea che la mascolinità debba accompagnarsi necessariamente alla ruvidezza dei modi, e a una certa ostentata incultura, è ancora oggi abbastanza diffusa. Questo timore del “troppo” in eleganza e raffinatezza si accompagna

anche al timore del “troppo poco”: di non essere adeguato in molti contesti. Il piccolo borghese in scalata sociale cerca di migliorarsi, di sembrare meno terraterra di quel che purtroppo è, e sa di essere. Così per l’incertezza di adottare il comportamento più adeguato e di scegliere tra il desiderio di apparire rude e maschile ma anche perbene e colto si sente spesso a disagio. Da quest’ambivalenza l’italiano medio si salva in un modo che gli è congeniale: sfottendo. Gli altri. Un’arte nella quale i romani sono maestri. E’ così che “fransè” (francese), con uno scivolamento buffonesco della S, diventa “franscè”. Pronuncia: fronscè. Da cui froscio, e frocio. Sfottere uno straniero, oltre che divertente, è necessario per alleggerire la tensione, quando quello straniero viene in casa tua a farla da padrone. I francesi lo hanno fatto, in Italia, abbastanza spesso: a Roma, nel caso specifico, sono giunti all’inizio dell’800, al seguito di Napoleone. Non si creda però che i cittadini romani ce l’avessero soltanto con i francesi; nel 1825 erano democraticamente definiti “froci” tutti gli stranieri residenti a Roma, comprese le milizie papaline: gli svizzeri. Questi ultimi vestivano le famose originalissime divise, disegnate – a quanto sembra – da Michelangelo. E colorate a Roma, nel caso specifico, sono giunti all’inizio dell’800, al seguito di Napoleone. Non si creda però che i cittadini romani ce l’avessero soltanto con i


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francesi; nel 1825 erano democraticamente definiti “froci” tutti gli stranieri residenti a Roma, comprese le milizie papaline: gli svizzeri. Questi ultimi vestivano le famose originalissime divise, disegnate – a quanto sembra – da Michelangelo.E colorate come i vestiti delle donne nei giorni di festa. Un po’ per volta, “frocio” comincia a slittare pericolosamente verso un’area sempre più negativa: fino ad assumere il significato di “uomo spregevole”, a prescindere dalla sua nazionalità. Scendendo ancora lungo la china della denigrazione: quale uomo è più spregevole di un sodomita passivo? Et voilà: il gioco, ancorché pesante, è fatto. Da allora il (termine) frocio ne ha fatta di strada. il gioco, ancorché pesante, è fatto. Da allora il (termine) frocio ne ha fatta di strada. Nel 1910 la malavita lo ha utilizzato per dire “effeminato”. A dare a questa parola il significato che gli attribuiamo adesso, su tutto il territorio nazionale, hanno contribuito fortemente il cinema italiano del secondo dopoguerra, e la letteratura, da Moravia a Pasolini. La tesi della provenienza di “frocio” da fronscè: pronunzia volutamente scorretta di “fronsè”, non è comunque l’unica. Curiosamente, peraltro, sono ancora degli stranieri ad essere chiamati in causa. In questo caso, non per la raffinatezza, ma per la loro estrema rudezza. Stavolta non parliamo di francesi, ma di tedeschi: i famigerati lanzichenecchi. I romani ne conobbero

da (troppo) vicino la leggendaria spietatezza, e i disinvolti costumi sessuali: dunque il tragico sacco di Roma del 1527, questa milizia speciale al soldo dell’imperatore pare abbia stuprato tutti, uomini e donne che fossero. Per questo motivo i romani, terrorizzati, li chiamarono “feroci”: da qui, “froci”. Secondo altri studiosi, frocio deriverebbe invece da “froge”: le ali del naso dei lanzichenecchi stessi, che si enfiavano e si arrossavano quando avevano bevuto. Cioè, quasi sempre. Il legame con le “froge” potrebbe però essere un altro: sembra che a Roma ci fosse una “fontana delle froge”, presso la quale anticamente gli omosessuali della città si davano convegno. Un’altra ipotesi fa risalire “frocio” a “floscio”, dallo spagnolo “flojo”, che vuol dire afflosciato, molle. Per via della rotacizzazione della “l”, tipica e molto frequente nel romanesco, la elle si trasforma in erre: così “floscio” diventa “froscio”. E poi frocio. Individuo passivo, privo di nerbo. Se, come sembra assai probabile, il termine frocio sia cominciato a circolare solo all’inizio del ‘900, i poveri lanzichenecchi sarebbero stati accusati ingiustamente. Una volta tanto. Al soldo dell’imperatore pare abbia stuprato tutti, uomini e donne che fossero. Per questo motivo i romani, terrorizzati, li chiamarono “feroci”: da qui, “froci”. Secondo altri studiosi, frocio deriverebbe invece da “froge”: le ali del naso dei lanzichenecchi stessi, che


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si enfiavano e si arrossavano quando avevano bevuto. Cioè, quasi sempre. Il legame con le “froge” potrebbe però essere un altro: sembra che a Roma ci fosse una “fontana delle froge”, presso la quale anticamente gli omosessuali della città si davano convegno. Un’altra ipotesi fa risalire “frocio” a “floscio”, dallo spagnolo “flojo”, che vuol dire afflosciato, molle. Per via della rotacizzazione della “l”, tipica e molto frequente nel romanesco, la elle si trasforma in erre: così “floscio” diventa “froscio”. E poi frocio. Individuo passivo, privo di nerbo. Se, come sembra assai probabile, il termine frocio sia cominciato a circolare solo all’inizio del ‘900, i poveri lanzichenecchi sarebbero stati accusati ingiustamente. Una volta tanto. Checca: Sono tante le bambine che, registrate all’anagrafe come “Francesca”, vengono chiamate col vezzeggiativo “Checca”. Nome che a volte conservano anche in età adulta. E’ tutt’altra storia quando lo stesso nome, usato come sostantivo, e dunque con la “c” minuscola, viene affibbiato a un uomo. Altro che vezzeggiativo: qui l’impiego è assolutamente offensivo. Significa: sei un effeminato ridicolo e grottesco. Ti piacciono i maschi come alle donne. L’uso canzonatorio di un nome di donna per dileggiare un uomo che non viene considerato tale è presente in altri Paesi: in Spagna

sono molto usati “marica” e “maricon”, probabilmente derivanti da “Maria”. L’insulto “checca” viene riservato particolarmente all’omosessuale effeminato. In Italia, un famoso giocatore juventino degli anni 50/60 veniva chiamato (naturalmente dai non juventini) “Marisa”: ma con la m maiuscola, essendo questo epiteto riservato soltanto a lui. C’è comunque chi sostiene che “checca” abbia un’origine precisa. A Roma il nome “Francesco” viene di frequente abbreviato in “Cecco”, talvolta in “Chicco”, e, più spesso, in “Checco”. Proprio quest’ultimo diminutivo era toccato a un venditore ambulante di granite (omosessuale) di Trastevere; un tipo spassoso, molto noto per i suoi modi effeminati. Fu perciò quasi automatico che da “Checco” finisse per essere chiamato “Checca”. Perdendo col tempo la maiuscola, e passando ad indicare l’omosessuale con movenze e atteggiamenti femminili. Questo Checco/a sarà stato certamente fiero di sé: il suo nome, oltre a diventare quello di tanti omosessuali italiani, sarebbe servito a indicare una prelibatezza estiva tanto cara ai romani di qualche anno fa: “la grattachecca”. Una sorta di granita ante-litteram venduta d’estate in tutta Roma. Si chiamava così non perché l’avesse inventata (o venduta per primo) un omosessuale, ma per un altro motivo. A Roma, fino alla fine degli anni 50, il blocco di ghiaccio usato per tenere i cibi in freddo nelle famose


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“ghiacciaie” veniva chiamato “checca”: (es: “portami du’checche….)” Come si fa ad essere certi della data? E’ facile: la distribuzione del ghiaccio per le case e per gli esercizi commerciali (bar, ristoranti, ecc.) è sparita con l’arrivo dei frigoriferi. I blocchi di ghiaccio venivano consegnati prima con dei carretti, e poi con camion refrigerati: ma ci voleva pur sempre qualcuno che se li caricasse sulle spalle, per portarli dal camion al cliente. “L’uomo del ghiaccio” avvolgeva il freddo prodotto in una tela di sacco, e se lo caricava in spalla: e spesso, per fare prima, ne prendeva due alla volta. Ma siccome pesavano parecchio, si doveva muovere con cautela: a piccoli passi, e tenendo le natiche e le cosce chiuse, come se portasse una gonna stretta. Insomma, era costretto ad un’andatura che ricordava quella delle donne o di chi cerca di imitarle. E’ facile che desse l’idea a chi lo guardava di avere un atteggiamento da “checca”. Da qui il nomignolo “checca” affibbiato al blocco di ghiaccio (un parallelepipedo enorme) che lo costringeva all’andatura caratteristica. Ebbene: grattando dei frammenti di ghiaccio da una “checca” mediante un attrezzo apposito, e aggiungendovi del coloratissimo sciroppo ai gusti più vari (menta, orzata, amarena, tamarindo, ecc.) si otteneva la “grattachecca”, oggetto di desiderio di tanti bambini romani. Nei mesi estivi i carrettini con la grattachecca giravano tutta Roma,

spiagge del litorale comprese. Invertito: La parola “invertito” è un’invenzione tutta italiana. La si deve ad un illustre scienziato nostrano, Arrigo Tamassia, assistente di Cesare Lombroso, al quale successe sulla cattedra di medicina Legale dell’Università di Padova alla fine dell’800. Il termine “invertito”, ripreso dagli inglesi e dai francesi, contiene un indiretto “politically incorrect”: c’è evidentemente una sessualità che va per il verso giusto, e un’altra che va nella direzione opposta. E quella dell’invertito, basata sull’ “inversione” dell’istinto sessuale, va ovviamente nella direzione sbagliata: rivolgendo le sue attenzioni verso individui del proprio stesso sesso, l’invertito inverte a sua volta, sovvertendolo, l’ordine naturale delle cose. Questo termine, nella sua pretesa di scientificità, contiene insomma un giudizio di(s)valore. Pur non avendo la stessa valenza (e la stessa intenzione) denigratoria di finocchio, buco, o frocio, “invertito” fa comunque parte degli epiteti offensivi riservati agli omosessuali. Ormai pochissimo utilizzato. Buggerone: “Rimanere buggerati” vuol dire restare fregati. In origine (in etimologia) la cosa era un tantino più pesante: ”buggerare” prima di diventare sinonimo di


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“ingannare”, “fregare”, buggerare significava infatti “sodomizzare”. Sic et simpliciter. Buggerone viene da “bu(l)garo”, in inglese “bugger”; in francese “boulgre” o “bougre”. Presso di noi i bulgari non godono buona reputazione. Al di fuori delle pratiche sessuali, quando si vuole indicare un successo elettorale plebiscitario, e quindi sospetto, si parla sempre di “percentuali bulgare”. Insomma, questo popolo non viene considerato il massimo della civiltà. Tutto nasce dai càtari, gli eretici del XIII secolo, originari di quelle zone. In quanto eretici, i catari vennero accusati dei peccati peggiori, tra i quali la sodomia: da Sodoma, la città distrutta da Dio per il comportamento sessuale dei suoi abitanti, un vasto campionario che comprendeva l’omosessualità, ma andava anche oltre. Il buggerone è un sodomita attivo: uno che buggera, in senso letterale. In base all’ideologia spietatamente maschilista che tuttora governa saldamente la nostra cultura (diciamo così), meglio un sodomita attivo che uno passivo: ma il buggerone resta pur sempre un sodomita. Uno che se la fa con gli uomini. Gay: Gay viene dal provenzale “gai”, derivato dal latino “gaudium”: “che dà gioia”. La Gaia Scienza era, per i trovatori, la scienza dell’Amore. Passò del tempo, e l’aggettivo passò dalla Francia in Inghilterra, dove da

“gai” divenne “gay”, nel senso di “depravato, dissoluto”. Nell’ottocento, “gay-woman”: nel doppio senso di donnina allegra /depravata, era un modo meno cruento, e più ironico, di alludere a una puttana. Solo più tardi, intorno al 1920, negli USA, la parola “gay” passò a designare un omosessuale maschio. Anche se meno frequentemente di “omosessuale”, gay è l’unico termine che compaia a volte sui giornali. Magari quando serve una parola più breve per comporre un titolo. Rispetto ad omosessuale, gay appartiene di più al linguaggio parlato. In più, è un termine “globalizzato”, e quindi chiaro a tutti, moderno, e soprattutto “politically correct”: non a caso, in un sondaggio è risultato in cima alla classifica delle preferenze fra i termini con cui un omosessuale definisce se stesso. Ulteriore diffusione, almeno in Italia, gay l’ha ricavata grazie alle popolarità derivatagli dalle polemiche – tipicamente nostrane – a proposito dei “gay-pride”. Femminiello: In principio era il "femminiello". Ed era lui, soltanto lui, il Re (ma avrebbe preferito: la Regina) della trasgressione. Il "femminiello" era un omosessuale effemminato (non tutti gli omosessuali lo sono) che desiderava essere donna. Oggi sono sempre più gli omosessuali che, non avendo nessun problema con la propria identità, e anche grazie ad una maggiore accet-


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tazione sociale ,non hanno bisogno di nessun atteggiamento femminile che li caratterizzi. Anche all'epoca dei femminielli esistevano omosessuali non effemminati e in napoletano venivano chiamati "ricchioni". L'effemminato (a Roma, e poi in tutta Italia) era "checca", a Napoli "femmenello",senza la i. Il femminiello era il superlativo assoluto del femmenello. Il "femmenello" aveva alcuni modi femminili e una cura eccessiva nel vestirsi, delicato e attento ad essere molto raffinato per contrapporsi con la delicatezza ad un modello maschile, all'epoca, spesso grossolano e ruvido. Il "femminiello", con la i, era invece eccessivo sempre e comunque. Il suo claim ? la teatralità. Il "femminiello" si sentiva una donna imprigionata in un corpo maschile, e perciò cercava di liberarla, e di liberarsi, vestendo in modo ancor più colorato e vistoso di qualunque donna. Si muoveva, e parlava, non come secondo lui avrebbe fatto una donna, ma ne esagerava i toni acuti e le movenze, realizzando un archetipo riconoscibile e ripetibile. Era rassicurante, il "femminiello": con la sua femminilità esagerata, non perché sembrasse autentica, ma per comunicare rapidamente la propria caratteristica speciale ed evidente. Il "femminiello" era anatomicamente un maschio, spesso efebico per una patologia ormonale, che cercava in ogni caso di nascondere in tutti i modi la propria virilità.

Oggi quei "femminielli" sfrenati di una volta non ci sono più. Dove sei finito, caro vecchio femminiello, archetipo di un genere a parte? “Sono qui”, potrebbe rispondere: da un luogo più vicino di quanto si creda. L’antico femminiello è infatti ancora tra noi: non lo vediamo, perché è riuscito a “travestirsi da donna” alla perfezione. Prima poteva operarsi soltanto nella famigerata Casablanca: oggi può farlo dovunque. Può sposarsi, e cambiare legalmente sesso. E essere se stesso (stessa) senza fatiche e caricature. Felice e contenta. Ghei: Forse per opporsi ad una globalizzazione (terminologica); forse solo per facilitarne l’uso a chiunque anche a chi potesse avere qualche dubbio sul modo corretto di scrivere “gay” nelle chat o negli sms; forse per riappropriarsi di un termine inglese, ma che ha chiare origini latine, o forse solo per una serie di coincidenze favorevoli, si sta diffondendo sempre più in Italia l’abitudine di scrivere “gay” così come si pronuncia: “ghei”. A voler essere ottimisti, “ghei” potrebbe essere un ulteriore passo verso la quotidianizzazione, e quindi l’accettazione di chi ha un’inclinazione sessuale differente da quella della maggioranza. Nella sua scrittura traslitterata, “ghei” segna il distacco da “gay”: parola che viene dal provenzale “gai”, dal latino “gaudium”: “gioia”.


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Per i Trovatori, la “Gaia Scienza” era la scienza dell’Amore. Solo molto più tardi, in Inghilterra, “gay” cominciò ad essere sinonimo di “amore dissoluto”, per passare a definire, nel novecento, un omosessuale maschio. La scrittura “ghei” fa diventare questo termine una parola astratta, che allontana l’omosessualità dalla “gaiezza” dalla quale in fondo è partita, e che viene richiamata da “gay”. Omosessuale: “Omosessuale” è l’unico termine “neutro”, non offensivo, col quale si possa attualmente designare una persona attratta da un individuo del suo stesso sesso. Pur essendo il solo ad essere impiegato sulla stampa e in televisione, e nelle pubblicazioni scientifiche sul tema, questo termine (dal greco “òmoios”, uguale”, e “sexualis”: attinente al sesso) non è stato inventato da un medico, né da uno scienziato. Lo si deve infatti al letterato tedesco di origine ungherese Karoly Maria Kertbeny, omosessuale militante, che lo coniò nel 1869, per protesta contro le leggi prussiane fortemente omofobiche, e per creare un’alternativa ai termini “sodomita” e “pederasta”, allora come oggi, assai offensivi, utilizzati per indicare gli omosessuali. Più o meno nello stesso periodo era nato, con la stessa finalità, un altro neologismo: ”urningo”. L’aveva creato Karl Heinrich Ulrichs, anch’egli omosessuale,

ispirandosi ad Afrodite Urania, indicata da Platone nel Simposio come protettrice degli amori omosessuali. Fin verso la fine dell’800, “omosessuale” e “urningo” (o “uranista”) andarono a braccetto. In verità, si fecero la guerra: all’inizio uranista sembrò prevalere, ma nel 1887 a favore di “omosessuale” scese in campo un grosso calibro: lo psichiatra tedesco Richard Von Krafft-Ebing, che lo inserì nella sua celebre “Psychopathia sexualis”, decretandone l’ingresso nella scienza ufficiale. Dal lato sbagliato, però: per la porta della patologia. A condannare il termine “urningo” fu comunque anche Sigmund Freud: la psicoanalisi, che nasceva proprio in quegli anni, sconfessava infatti l’idea di Ulrichs, secondo la quale “l’uranismo” ha una causa organica. “Per la verità, di recente ad “omosessuale” si è aggiunto “gay” o più precisamente “ghei”, come sempre più spesso viene scritto nei documenti non ufficiali. Tutti gli altri termini (frocio, finocchio, ricchione, buco, buggerone, ecc.) non sono definizioni: sono insulti belli e buoni. Anzi, brutti e cattivi. “Omosessuale” è un termine scientifico: dunque, asettico. Come “eterosessuale” e, in un certo modo, “bisessuale”. E’ interessante notare che omosessuale è una parola bi-sessuale: si può usare sia per gli uomini che per le donne. Per le donne omosessuali c’è un solo termine specifico: lesbica.


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interessante notare che omosessuale è una parola bi-sessuale: si può usare sia per gli uomini che per le donne. Per le donne omosessuali c’è un solo termine specifico: lesbica. Un po’meno asettico di “omosessuale”. “Omosessuale” registra una condizione, senza esprimere un giudizio. Un giudizio che è in realtà una condanna senza appello. Questi epiteti sono figli di primo letto (non a caso s’impiega quest’espressione) di un cultura fallocratica e maschilista che, nonostante i tanti progressi della società civile, non sembra aver accusato il benché minimo cedimento. L’uomo (il maschio) è attivo per definizione: deve esserlo per forza. Tutto ciò che rimanda o allude alla passività (considerata un ruolo e un’attitudine femminile) va bandito. O viene usato per offendere. Nel parlato, “essere stati presi per il culo” è ammettere un’onta: tradotto alla lettera, vuol dire non essere riusciti ad evitare che qualcuno ci oltraggiasse sessualmente. Eccolo là, il punto debole del maschio: il culo. Quella parte anatomica che, trovandosi dietro di noi, non può essere sorvegliata “a vista”: nondimeno, va strettamente salvaguardata, per evitare che venga violata. E’ per questo che, mentre il “rotto in culo” è l’essere più infimo e disgraziato che ci sia, il “paraculo” è invece il top. Il paraculo riesce a “pararsi”; a proteggere le terga da ogni insidia e da ogni trappola, in maniera abile.

E fa anche di più: con la sua accortezza e furbizia, lo “mette a quel servizio” (dunque sempre là…) agli altri. Il paraculo insomma non si fa oltraggiare sessualmente: ma oltraggia, se gli conviene. Più maschilista di così. Il culo viene anche associato alla fortuna, e sempre in senso ingiurioso: è la fortuna degli altri, quella che non tocca a noi. Dire che ha avuto culo vuol dire che le cose gli sono andate bene. Ma l’espressione nasce da un’allusione (o forse un’illusione consolatoria): per raggiungere quel risultato, costui ha concesso il proprio lato B a chi doveva favorirlo. Una “fortuna”, dunque, pagata a caro prezzo… Se ci fosse ancora bisogno di dimostrare il discredito e il biasimo che accompagna la (presunta) violazione del culo, rappresentazione della passività più estrema, si pensi al ”vaffanculo”. Quando vogliamo insultare qualcuno in maniera pesante e definitiva, è quest’espressione sintetica: questa frase condensata in una sola parola, che ci sale automaticamente alle labbra. “Vaffanculo” è un insulto che l’uso generalizzato e frequentissimo non ha reso meno sanguinoso. Molti dei termini impiegati per dire “omosessuale” sono nati come insulti, e tali sono rimasti. Qualcun di essi ha perso per strada un po’ della sua forza oltraggiante (es. checca, o buggerone). Un po’ è il discorso su “gay”; nato come eufemismo dispregiativo, come un modo per dire senza dire, è poi stato


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3 Un altro punto di vista: il Mio 3.1 Il percorso effettuato

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“sdoganato” in tutto il mondo, diventando inoltre il termine più usato dagli omosessuali per definirsi (si pensi al gay-pride). Gay appartiene comunque più al linguaggio parlato che a quello scritto: lo si può anche incontrare su un manifesto che annunci un evento, da un po’ è presente sui giornali, ma non è ancora impiegato in un contesto scientifico, nel quale viene impiegata esclusivamente la parola “omosessuale”. Lesbica: Questo termine deriva dall'isola di Lesbo, dove visse nel VII –VI secolo a. C, Saffo, una poe-tessa emotivamente e sessualmente orientata verso il proprio stesso sesso. Il sostantivo “lesbica” prende il nome dall’isola, mentre l’aggettivo “saffico” deriva dal nome della poetessa. L’omosessualità femminile, così come quella maschile, è antica come il mondo. E come l’eterosessualità. Ve ne sono testimonianze a partire dal 2.300 a. C: nel codice di Hammurabi (1792 a.C.) se ne parla diffusamente. Molto più tardi, Platone toccherà l’argomento nel Simposio, parlando di “tribadismo” (da una parola greca che significa “sfregare”). Nel mondo greco, e in seguito in quello latino, il lesbismo non era condannato. A farlo ci ha pensato il cristianesimo. Nel Medioevo qualsiasi tipo di omosessualità, maschile o femminile che fosse, veniva punita con ferocia.Le streghe venivano accusate di tutto, e quindi anche di

pratiche lesbiche, considerate “contro natura”. Tra l’ottocento e il novecento la nascita della psicologia e più tardi – della psicoanalisi provocano la comparsa di nuove patologie: il lesbismo è una di queste, anche per Freud, che la considera un “comportamento deviante”. Solo molti anni più tardi tutti si accorgeranno dell’errore. I nazisti non si fecero sfuggire l’opportunità di mostrare la propria ottusità e ferocia, imprigionando nei lager anche le lesbiche (accanto agli omosessuali e agli ebrei). Pur avendo assistito, in questi anni, a una sempre maggiore accettazione da parte dell’opinione pubblica, di questa realtà, non si può dire che le lesbiche abbiano vita facile in tutto il mondo. Anche se, rispetto al loro omologo maschile, incontrano meno rabbiosa intolleranza: l’omosessualità maschile viene vissuta come oltraggio e attentato alla mascolinità(...), l’omosessualità femminile non scatena la stessa reazione e quinditende ad essere più tollerata. Reazione aiutata dal fatto che una maggiore espansività tra donne è considerata caratteristica femminile>>.5


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3.2 Come voglio cambiare le cose

Partendo dall’analisi di tutti i fattori sopra citati: la sessualità, la condivisione, i bambini, i pregiudizi, l’etimologia o epiteti qual dir si voglia, sono arrivata ad una conclusione che sfrutta l’ironia che educa. La base di partenza è un progetto di grafica editoriale che si rivolge ad un pubblico serio: i bambini. Un libro che presenta dei personaggi, in cui ognuno di noi può ritrovare le persone che incontra tutti i giorni. Ogni personaggio crea una coppia insieme ad un’altra figura presente nel libro, che siano due donne, due uomini o il classico triangolo come cantava il famosissimo Renato Zero non importa, il messaggio è chiaro. Dopo la presentazione ufficiale dei personaggi è presente una seconda parte del libro in cui, come una sorta di taccuino, il bambino può appuntare i suoi amici, reali o di fantasia, per poi realizzarli seguendo la guida che trova nella terza parte e creare le sue storie, giocare con gli amici, i fratelli o in compagnia dei genitori. In conclusione il libro presenta tutte le fustelle dei personaggi presentati nel libro, per poter realizzare qualcosa che , ricordando il passato educa verso il futuro. Dopo aver sfogliato tutte le pagine, il libro si trasforma in un gioco interattivo, per non trascurare l’importanza del 4 gioco in un’età di crescita. Prendono così vita i Paper Toys.


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4 Un escursus nel mondo della fantasia 4.1 Logotipo: proposte 4.1.1 Logotipo: versione definitiva 4.1.2 Positivo e Negativo 4.1.3 Costruttivo 4.1.4 Prove colore 4.1.5 Prove di riduzione 4.2 Personaggi


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4.1 Logotipo: proposte


con fusione CONDIVIDERE PER CONVIVERE

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4.1 Logotipo: proposte 4.1.1 Logotipo: versione definitiva


con fusione abcdefghijklmnopqrstuvwxyz ‘!?,. La font utilizzata è “dhe child font”, per il logotipo. Non presenta distinzione tra maiuscole e minuscole e conta solo quattro tipi di punteggiatura; “Elegantlight Regular” è stata scelta per scrivere il payoff, nella versione maiuscola per facilitarne la lettura. La scelta cromatica appartiene alla paletta del celeste e del nero. Sno state scelte due nuanche per evidenziare e differenziate il logotipo dal pay off.

ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXZ abcdefghijklmnopqrstuvwxyz 1234567890 ,-?=^”

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con fusione CONDIVIDERE PER CONVIVERE

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Pantone # 231F20

Pantone # 27AAE1


4 Un escursus nel mondo della fantasia 4.1 logotipo: versione definitiva 4.1.2 Positivo e Negativo Versione b/n positivo

con fusione CONDIVIDERE PER CONVIVERE

Versione b/n negativo

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4 Un escursus nel mondo della fantasia 4.1 logotipo: versione definitiva

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4.1.3 Costruttivo

con fusione x

4

= x = 0.19 cm


4 Un escursus nel mondo della fantasia 4.1 logotipo: versione definitiva 4.1.4 Prove colore

con fusione

69


con fusione con fusione 70

con fusione con fusione


con fusione con fusione 71

con fusione con fusione


4 Un escursus nel mondo della fantasia 4.1 logotipo: versione definitiva

72

4.1.5 Prove di riduzione

100%

con fusione

50%

con fusione

25%

con fusione


4 Un escursus nel mondo della fantasia 4.2 I Personaggi

73


74

LUIGI


75


76

GABRIELE


77


DANCE

DANCE

78

DANCE

ISADORA


79

DANCE


80

MICHAELA


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82

ANITA


83


RA

RA

FCEBF6

FCEBF6

84

BRASIL

TANINO


85

BRASIL


74

FILIBERTO


75


76

GILDA


77


78

RENATO


79


80

ERICA


81

dx


on

on

Lond

Lond muff in

muff in

82

on

Lond

muff in

GIANMARIA


83

on

Lond

muffi

n


84

JONATHAN - SHUANG


85 85


86


87


erica maschiaccio capelli riccissimi rossa sdentata

renato espansioni gamba corta eterocromia

88 DANCE

on

Lond

muffin

isadora lentiggini fianchi larghi

jonathan

luigi orecchie grandi apparecchio odontoiatrica occhialuto

gobba grosso acne sul volto

gianmaria espansioni tatuaggi


anita

michaela altissima magra naso imponente

grassa

gilda nana strabica

filippo nasone neo peloso andatura spavalda

89

BRASIL

tanino albino macchie scure alla pelle

gabriele gran testone

shuang occhialuta bassa



5 Il Progetto Editoriale 5.1 Il progetto 5.2 Campagne sociali


5 Il Progetto Editoriale 5.1 Il progetto

92

con fusione CONDI VI D ERE PER CONVI VERE

Nella pagine che seguono presento il progetto editoriale, parte portante della mia tesi. A fianco e nellimmagine sopra, e’ presentata la veste grafica con cui il mio prodotto si presenta ai fruitori. Nelle pagine succesive, sono rappresentati alcuni fogli di stile, appartenenti al mio libro gioco, la griglia costruttiva, le pagine interattive ed infine loro, i veri protagonosti di tutto, i paper toys, che sotto forma di campagna sociale aiutano a comprendere maggiormente il messaggio, a chi fosse sfuggito. E’ un modo per divertirsi, imparando che le differenze , su cui ho ironizzato il tutto, siamo noi a crearle, e non ne vale vermante la pena. Essendo un prodotto pensato per un pubblico piccino, il formato scelto è A5, 21 x 14.85 cm.


michaela Michaela, 8 anni, caratteristica principale l’altezza: 180 cm. Ha gambe lunghissime e un naso molto pronunciato.

isadora Isadora, 6 anni, vuole essere una ballerina, ma gli amici la prendono in giro per i grandi fianchi.

DANCE

michaela fustelle numero 1

93


42 cm

7.5 cm

2.5 cm

7.5 cm

5,5 cm

4,8 cm

30 cm

4 cm

9.5 cm

22 cm

94

gilda

erica

Gilda, 5 anni, caratteristica principale l’altezza: 110 cm. Anche lo sguardo desta curiosità, Gilda è strabica.

Erica, 7 anni,gioca a calcio e non ama le gonne. Ha capelli riccissimi, lo sguardo malefico e le manca un dente.

renato Renato ha 4 anni, ha dei bellissimi occhi grandi, uno marrone e uno azzurro. Dopo un incidente ha avuto qualche problema con la gamba sinistra.


PASSO NUMERO

uno

PER PRIMA COSA IMMAGINA IL PERSONAGGIO CHE VUOI DISEGNARE, OSSERVA CHI TI STA VICINO, I TUOI AMICI, I TUOI FAMILIARI O GLI SCONOSCIUTI CHE VEDI EPR STRADA, POI PRENDI CARTA E MATITA E DISEGNA..

PASSO NUMERO

TRE

ULTIMO PASSO E’ REALIZZARE IL PAPER TOYS. SOLO POCHI PASSI ANCORA E POTRAI RACCONTARE LE TUE STORIE CON I PERSONAGGI CHE VUOI. POTRAI FARLI INNAMORARE, FARLI VIAGGIARE, VARLI VIVERE... SOLO TU E LA TUA FANTASIA POTETE FARLO..

inserisci qui la foto del tuo amico a

95


5 Il progetto Editoriale 96

5.2 Campagne sociali

I manifesti realizzati concludono l’intero discorso effettuato nel mio progetto di tesi. I protagonisti sono le coppie che dichiarano la loro sessualità. Il nome della campagna e’ “Con.Fusione”, il payoff - condividere per convivere - e’ un invito a vivere meglio. I bambini, possono riscontrare familiarità dei personaggi poiché sono anche i protagonisti del libro gioco a loro destinato. I manifesti sono puliti e con un messaggio semplice, sperando che possa essere meglio ricevuto.


LOGOTIPO

PAYOFF CAMPAGNA

PAYOFF

TIPOLOGIA DI COPPIA

97 Griglia costruttiva della campagna sociale

NOME DEI PERSONAGGI




98

FOTO DELLA FAMIGLIA PAPER TOYS


99

FOTO DELLA FAMIGLIA PAPER TOYS


98

FOTO DELLA FAMIGLIA PAPER TOYS


99

FOTO DELLA FAMIGLIA PAPER TOYS


Indice analitico

“Forchetta” di Bruno Munari, tratta da www.sottosuolo.net, p. 5

“Persepolis” di Satrapi, tratta da www.ilcinefiloinsonne.wordpress.co m, p. 16

“Einheit ” di Carlo Stanga, tratta da http://www.infantellinacontemporary.com, p. 8-9

“Cicci’ e Cocco’” di Bruno Munari, tratta da www.blog.lavorincasa.it , p. 17

“Forchetta” di Bruno Munari, tratta da www.sottosuolo.net, p. 10

Nemo Street Art, tratta da www.pinterest.com , p. 18

www.bambinistilidit agliodicapelli.mo de-coiffure.info.net, p. 11

“Campagna sociale per il parkinson”, tratta da www.sottosuolo.net, p. 19

Illustrazione di Dran, tratta da www.retroactif.free.fr/dran, p. 14

“Slipness”, Campagna sociale, tratta da www.creativecriminals.com, p. 20

“Scultura di Lego” di Nathan Sawaya, tratta da www.telegraph.co.uk, p. 15

“Homosexuale”, campagna sociale, tratta da www.arcigaypisa.it , p. 21

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“It’s time to evolve”, Campagna sociale, tratta da www.igy.org.il p. 22-23

Campagna contro l’omofobia nel calcio, tratta da www.maneo.de, p. 28

“Omofobia crimine contro l’umanit a’” Campagna sociale, tratta da www. .com, p. 24

“Ikea Family’” Campagna commericale Ikea, tratta da www.ikea.it , p. 29

105 “Non importa” Campagna Sociale, tratta da www.pariopportunit a.gov.it , p. 24

Paperpeople, tratta da www.graad.org , p. 30

www.arcigay.it , p. 25

Campagna commerciale Fiat Argentina, tratta da www.begcomunicazione.it , p. 31

Pubblicit a’ campagnia aerea, tratta da www.easyjet.com, p. 26

“Danbo”, Campagna commerciale Amazon, tratta da www.creativecriminals.com, p.32-33

“Unhate” Campagna Pubblicit aria Benetton, tratta da www.telegraph.co.uk, p. 27

Foto tratta da www.mondospettacolo.com p. 36-37


Hand Painting Illusione di Ray Massey, tratta da www.sottosuolo.net, p. 38

Che tipo di uomo cerchiamo noi gay, tratta da www.queerblog.it , p. 44

Illustrazione di Drani, tratta da www.retroactif.free.fr/dran, p. 39

Campagna sociale discriminazioni, tratta da www.scaryideas.com, p. 45

Illustrazione di Dran, tratta da www.retroactif.free.fr/dran, p. 40

Illustrazione di Drani, tratta da www.retroactif.free.fr/dran, p. 46

Illustrazione di Drani, tratta da www.retroactif.free.fr/dran, p. 41

Andrej Pejic: il fascino dell'uomo androgino�, tratta da www.queerblog.it ,p. 47

Become Someone Else, tratta da http://www.booksblog.it , p. 42

Anderes Krisar, tratta da www.ignant.de, p. 49

Foto di Paccamiccio Maria Chiara p. 43

Il Pensiero da sturbo, tratta da www.piccolipensieristronzi.it , p. 50

106


Illustrazione di Drani, tratta da www.retroactif.free.fr/dran p. 51

Illustrazione di Drani, tratta da www.retroactif.free.fr/dran, p. 57

Maja Veselinović, tratta da www.majaveselinovic.com, p. 52

Foto dei personaggi di Paccamiccio Maria Chiara p. 58-59

107 Behnan Shabbir, tratta da www.diggit a.it , p. 53

Render prototipi, di Cacciapuoti Fabio, p. 92

Maja Veselinović, tratta da .www.majaveselinovic.com, p. 54

Foto dei personaggi di Paccamiccio Maria Chiara, p. 102

La fotografia omoerotica, Anthony Gayton, tratta da www.queerblog.it , p. 55

Adara Sanchez Anguiano, tratta da www.tumblr.com p. 56


BIBLIOGRAFIA Bruno Munari, Arte come mestiere, Laterza, Bari, 1966 Antoine de Saint-Exupéry, il piccolo principe, Bompiani, 1943 Tristan Manco, Street sketchbook, Ippocampo, Londra, 2007 Tristan Manco, Street sketchbook journeys, Ippocampo, Londra, 2010 Nicola Zingarelli, Omosessualita’, in Il vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 2007 Bruno Munari, Da cosa nasce cosa, Laterza, Roma Bari, 1981 Marjane Satrapi, Persepolis, Lizard, Milano, 2003 A.C.Andry, S.Scheppe e Blake Hamilton, Come nascono i bambini, Arnaldo Mondadori, Milano, 1971 Benjamin Lacombe e Sebastian Perez, L’Erbario delle fate,Rizzoli, Milano, 2012 Rebecca Dautremer, Il Piccolo teatro di Rebecca, Rizzoli, Milano, 2012 Tesi di Laurea di Luca Boscardin, la mia città: un progetto di comunicazione rivolto all’infanzia, 2008-2009 Paccamiccio Maria Chiara, Il mio personalissimo taccuino, 2013

108


SITOGRAFIA 1.Legge antiomofobia: non confondiamo i piani, http://www.vorreimanonposso.org/, Gennaio, 2013 2. Unhate: la “scandalosa” campagna pubblicitaria di Benetton, Gennaio 2013 3. http://www.businessinside.org/unhate-la-scandalosa-campagna-pubblicitaria-di-benetton, Febbraio, 2013 4. Quando una marca fa comunicazione sociale, http://pluraliweb.cesvot.it/quando-una-marca-facomunicazione-sociale, Gennaio 2013 5. Legge contro l’Omofobia: Politici, sveglia!!!!, http://comunicazionedigenere.wordpress.com/2011/07/20/legge-contro-lomofobia-politici-sveglia, Marzo 2013 6. I ragazzi di Dronio, http://www.prideonline.it/?p=652, Marzo, 2013 7. Il papa: aborto e matrimoni gay, sfide “insidiose e pericolose”, http://www.uaar.it/news/2010/05/14/papa-aborto-matrimoni-gay-sfide-insidiose-pericolose, Gennaio, 2013 8. “PercepiCreARE” emozioni e sentimenti nel linguaggio visivo, http://www.radart.org/creative_lab/creative_lab.htm, Dicembre, 2012 9. Educare ai linguaggi visivi, http://artesocieta.myblog.it/archive/2010/04/19/educare-ailinguaggi-visivi.html, Gennaio, 2013 10. Educazione all’immagine creativa, http://web.tiscali.it/gagiwolit/Pandora/L'educazione%20all'immagine.htm, Febbraio, 2013 11. Bruno Munari e Corraini, http://www.corraini.com/munari.php, Marzo, 2013 12. Fantasia in mostra – Roma festeggia Bruno Munari, http://www.officinacreativa.net/articoli/fantasia-in-mostra-roma-festeggia-bruno-munari.html, Marzo 2013 13. Giochi didattici e laboratori , http//:www.wikipedia.it, Febbraio, 2013 14. Omosessuale, http//:www.omosessuale.it, Gennaio, 2013

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ing. stefano

Roberta sorriso da cavallo piedi maschili

Fabio nasone barba in via di sviluppo

ingegnere “feedbecchiano� amante nikon


teresa dott.ssa Alessandra di incommensurabile bellezza riccia come i suoi capricci

logorroica mangiatrice sana di patate

Ringrazio: Roberta semplicemente per essermi sorella, Fabio per avermi sopportata, sostenuta e per la pazienza avuta, Stefano per avermi saputo consigliare, Alessandra per aver condiviso con me il dono dell’amicizia, Teresa perche` sa ricordarmi sempre che domani non e` mai troppo tardi, Emilia e Franco per avermi insegnato la liberta` ... ringrazio Lei professoressa, per essere stata un'ottima guida e una favolosa compagna d'avventura, Federico Montel per avermi regalato un sorriso in una splendida domenica di sole.


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