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SETUP Contemporary Art Fair Caravan SetUp Vicolo Ronda, 3 | 46100 Mantova info@setupcontemporaryart.com www.setupcontemporaryart.com Location Palazzo Pallavicini | Via San Felice, 24 | 40122 Bologna Direttore Simona Gavioli Comitato Scientifico Silvia Evangelisti Chiara Caliceti Rocco Guglielmo Camilla Previ e Giovanni Scarzella Responsabile Gallerie Italia Giulia Giliberti Responsabile Gallerie Estero Gaia Fattorini Collectors Programme and Events Planner Sara Sofia Ricci Assistente al progetto Claudia di Girolamo Carlotta Diddi Segreteria Organizzativa Giulia Plebani Social Media Manager Yvhonne Nicole Lacroix Ufficio Stampa Culturalia di Norma Waltmann Catalogo IL RIO Edizioni Redazione: Via XX Settembre, 17 | 46100 Mantova Libreria: Piazza Mantegna, 6 | 46100 Mantova www.ilrio.it | casaeditrice@ilrio.it Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. © 2019 Il Rio Srl, Mantova © 2019 SETUP Contemporary Art Fair
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31 gennaio - 3 febbraio 2019 | Bologna | Palazzo Pallavicini
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Con il patrocinio di
Partners
Sponsor tecnici
Press office
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Cultural Partners
Media partner
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Sommario
PerchĂŠ SetUp?
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Espositori
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Off Projects
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Special Area
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PerchĂŠ SetUp?
Simona Gavioli
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Chiara Caliceti
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Silvia Evangelisti
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Rocco Guglielmo
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Camilla Previ e Giovanni Scarzella
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Lorenzo Motta
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Andrea Benericetti
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Giulio Girondi e Giada Scandola
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Simona Gavioli Direttore
SetUp compie sette anni e in sette anni cambiano tante cose. Cambia il mondo, cambiano le persone, cambiano le nostre priorità e i nostri sogni. Lo scorso anno abbiamo cambiato sede, approdando a Palazzo Pallavicini, uno spazio che ci ha permesso di crescere, di sperimentare e di aprirci a nuove conoscenze e nuove esperienze. Quello che non cambia è lo spirito di SetUp: gli occhi spalancati sul mondo e i piedi ben piantati a Bologna, una città che è sempre curiosa di novità, affamata di bellezza e pronta a conoscere. Una città che ormai da anni, è capace di trasformare un freddo fine settimana d’inverno in una festa di colori a cui tutti sono invitati. SetUp è sempre stato un porto aperto, un porto che non chiuderà mai. E quest’anno ha scelto come tema Itaca, l’isola di Ulisse, un porto sognato e rincorso in un viaggio per mare fatto di difficoltà e speranze. Itaca è l’immagine immortale di tutte le isole, quelle circondate dal mare, ma anche quelle circondate dal male. Sono i luoghi delle nostre radici, quelle che dovremmo usare per crescere e che invece, troppo spesso, usiamo per chiuderci. Ci sono quelli che a Itaca decidono di restare per conservarla e attendere chi è partito, quelli che da Itaca decidono di partire affrontando le insidie per andare a combattere per il proprio destino, quelli che ad Itaca vogliono arrivare perché c’è qualcuno che amano che li aspetta o semplicemente per costruire qualcosa di nuovo. Tutti loro hanno una cosa in comune: il dovere di contribuire singolarmente alla bellezza collettiva. Il contributo che vuol dare SetUp è prendersi cura dei germogli. In questi sette anni abbiamo imparato che l’arte è fatta anche di progetti meravigliosi che nascono in posti inaspettati, come i fiori che spuntano sui cactus. Bisogna però saperli riconoscere e trattarli con amore, attenzione e pazienza perché si trasformino in frutti.
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Chiara Caliceti Collezionista Comitato Scientifico
Perché SetUp? Sotto la superficie del mondo dell’arte più “istituzionale” esiste un territorio non ancora mappato, in parte inesplorato, ma dalle possibilità infinite. Amo l’arte contemporanea e credo profondamente nella mission di SetUp: intercettare questo potenziale, andare a scovare le gemme più preziose e permettere loro di splendere in un contesto altamente valorizzante, entrando in contatto con esperti e appassionati. C’è una generazione di giovani artisti e creativi che bussano alle porte per emergere e fare sentire la propria voce. Portano nuovi colori, nuove idee. Sentono forte l’urgenza di comunicare la loro visione, con la lucidità e la “visionarietà” di chi ha già un piede nel futuro. SetUp rappresenta, ai miei occhi, un catalizzatore. È uno spazio di espressione, un cielo carico di elettricità statica da cui scaturiscono lampi che illuminano, per brevi intensi momenti, il cammino. Pura energia in movimento. Verso dove? Dipende da noi, ed è questa la sfida che raccogliamo. Da questo vivaio di talenti non nascono risposte preconfezionate, ma nuove domande che ci spronano a investire sulla cultura e lo scambio di idee per costruire insieme una società migliore. La mia collezione ideale Credo nel potenziale dei giovani, nella loro freschezza e temerarietà, nella loro fame di futuro. La mia collezione ideale, perciò, è coloratissima, ricca di energia e dirompente. Ma non è uno sterile esercizio di stile, avulso dal contesto. L’artista è parte integrante del tessuto sociale, ne interpreta gli umori e ne racconta le tensioni sotterranee, offrendo la sua chiave di lettura. Lancia un messaggio che è anche di denuncia rispetto alle derive verso cui rischiamo di dirigerci. Difende, con la sua stessa esistenza, uno spazio di pura e libera espressione e di rielaborazione del presente.
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Silvia Evangelisti Critica, storica dell’arte e curatrice Comitato Scientifico
Perché SetUp? Quando è nata SetUp era una bella e florida bimbetta, che lasciava ben sperare per il futuro. Oggi è una ragazza dinamica e piena di vita, amante delle novità, spigliata e aperta al futuro. SetUp è cresciuta bene, ha avuto il coraggio e la forza di cambiare sede ma non carattere. Sono molto orgogliosa di essere una sorta di zia di questa bella creatura, che aggiunge vivacità e interesse ai giorni dell'arte del gennaio d'oro di Bologna. Lunga vita a SetUp!!!!!
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Rocco Guglielmo Presidente Fondazione Rocco Guglielmo Direttore MARCA Museo delle Arti di Catanzaro Comitato Scientifico
Perché SetUp? Diventato un punto di riferimento nel panorama dell’arte contemporanea, SetUp Contemporary Art Fair, giunta alla settima edizione, è un appuntamento imperdibile per artisti, curatori, galleristi e collezionisti. Organizzata in modo impeccabile da un team di professionisti, è la fiera dei giovani artisti, che danno sfogo alla loro creatività e alla loro indiscussa abilità in una location d'eccezione. Sin dalla prima edizione SetUp ha elaborato un programma sempre intensissimo, esclusivo e di grande richiamo ricreando un’esperienza ogni volta piacevole. L'istituzione di premi a sostegno dei giovani talenti, gli eventi collaterali, le performance teatrali, i nuovi spazi dedicati alla sezione video/installazioni, trasformano il tradizionale ambiente espositivo in una festa contagiosa, un ritrovo accogliente, un luogo dove le culture si mescolano e la gente dialoga, un luogo cioè che ognuno sente un po’ suo, dove ognuno si sente come a "casa". Alla domanda: Perché SetUp? rispondo perché è un’iniziativa diretta ad un pubblico contemporaneo, un contenitore di eventi di grande attrattiva e qualità che è cresciuto grazie agli sforzi di chi ha investito, di chi ha creduto, di chi ha condiviso diventando così una realtà inimitabile nel mondo dell’arte.
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Camilla Previ e Giovanni Scarzella Collezionisti e Membri Club GAMeC Comitato Scientifico
Perché SetUp? Setup perché è il luogo dove siamo sicuri di vedere fiorire il talento puro e spontaneo. Perché è il luogo dove ci si mette profondamente e intimamente in gioco, loro come protagonisti ma in un certo senso anche noi come spettatori. Sarà entusiasmante circondarsi di questa autentica linfa artistica; emozione accresciuta dal fatto che la nostra collezione è nata e partita dall'interesse per l'evoluzione dell'arte classica e dalla reintepretazione delle leggende antiche: aspettiamo con ansia di salpare verso il porto di Itaca! La nostra collezione ideale La nostra storia da collezionisti è partita casualmente con un grande colpo di fulmine (Fabrizio Cotognini). Da quella volta ci siamo resi conto che il piacere di vedere un'opera, studiarla, capirla, approfondirla con il suo creatore era una esperienza totalizzante e inestimabile per cui abbiamo semplicemente continuato a cercare. All'inizio il nostro interesse era catturato soprattutto da opere che prendevano spunto dal Classico per ridargli nuova vita. I rimandi alla classicità che ci colpivano erano di varia natura: potevano essere nei soggetti, nei valori, nei messaggi, nelle tecniche pittoriche e nell'uso del colore. Mano a mano, con l'aiuto degli artisti, abbiamo cominciato ad apprezzare temi e stili diversi. Quello che invece è rimasto un parametro fondamentale per spingerci a comprare è l’empatia con l’opera e con l'artista, l'innamoramento vero e proprio che ne scaturisce. Compriamo solo quello che è in grado di emozionarci profondamente perché portare un'opera in casa significa accoglierla nella nostra intimità più profonda.
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Lorenzo Motta Managing Director Santara Premio A.T. Cross Company per l’arte
Perché SetUp? L’arte come forma di comunicazione permanente e universale. Qualcosa che lasci un segno e sia l’espressione del bello. L’arte in mostra a SetUp Contemporary Art Fair, perché è quella dei giovani. Gli artisti emergenti sono il futuro del bello e in questo contesto si integra perfettamente il progetto di restartup di impresa che coinvolge Santara S.r.l. L’azienda è oggi oggetto di un rilancio consistente nella valorizzazione di nuovi prodotti in portafoglio e sta così puntando anche sul mercato delle belle arti. In quest’ambito, si inserisce con il posizionamento di articoli che sono parte della sua storia, come le penne, le matite e i calligrafi, e con nuove categorie merceologiche, quali la carta pregiata per il supporto delle produzioni artistiche e i colori per la pittura: acrilici, oli, tempere, guazzi e acquerelli. La rassegna ideata e diretta dalla critica Simona Gavioli, concentrata sui nuovi volti, si sposa perfettamente con l’idea alla base del business di Santara nel segmento delle belle arti, considerando che la società sta lavorando sul potenziamento di personale giovane e in grado di parlare al mondo degli artisti emergenti e dei millenials, visti come il futuro del mercato.
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Andrea Benericetti Presidente Associazione Tiziano Campolmi Premio Tiziano Campolmi 2019
Perché SetUp? Noi siamo fra quelli che ogni volta che hanno notizia di giovani che vanno all’estero per trovare una opportunità si inquietano. Noi siamo fra quelli che vorrebbero che l’Italia offrisse più opportunità a chi si affaccia sul mondo. L’Associazione Campolmi ha fra i propri principi statutari anche quello di trovare iniziative rivolte soprattutto a chi inizia a muovere i primi passi nello studio, nelle professioni nella ricerca, nell’arte. È per questo che dopo anni di premi per le migliori lauree nel design, nella moda e nella pubblicità ci è sembrato naturale continuare il percorso istituendo un premio per giovani artisti. Per come siamo fatti SetUp ci è parso il compagno di viaggio ideale. Conoscevamo SetUp, una iniziativa affascinante che abbiamo visto nascere, crescere, condividendone le scelte e gli obiettivi. Rivolgerci a Simona Gavioli per trovare un’idea di premio per un giovane artista che ci stupirà, ci ha portato a trovare la soluzione con l’edizione 2019 di SetUp Contemporary Art Fair: premiare un fotografo scelto dal pubblico e dalla commissione appositamente istituita. Nel mondo difficile dell’arte SetUp è l’isola che non c’era, è il nono pianeta del sistema solare. Si occupa dell’arte allo stato nascente, una fiera baby, immagini fresche, SetUp scopre, ricerca, porta alla luce. SetUp rischia per superare l’ovvietà nella ricerca artistica, pesca fra i giovani, eccita le menti, stimola la giovinezza che c’è in noi. Noi l’abbiamo frequentata e non ne possiamo fare a meno. Per l’Associazione Campolmi che, come il nostro Amico a cui è dedicata, crede nella potenza creativa delle menti giovani, il progetto del premio di fotografia a SetUp è solo l’inizio delle sorprese che verranno.
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Giulio Girondi e Giada Scandola Il Rio Edizioni Partner
Perché SetUp? Se Itaca rappresenta il simbolo di ogni meta, allora, per la nostra casa editrice, SetUp è certamente l’Itaca degli ultimi anni: quella meta a cui tendere, con sempre maggiore slancio, per confrontarsi con un mondo dell’arte che qui, a Palazzo Pallavicini, si fa sempre più giovane, fresco, spontaneo e coerente con i desideri e le istanze di artisti, di galleristi, di curatori, di collezionisti e di tutti gli amanti della bellezza. Ma Itaca è anche una base da cui ricominciare e ogni anno ci sentiamo un po’ come l’Ulisse narrato da Dante: rientrato nella sua isola, il desiderio di ulteriori scoperte lo spinge a riprendere il mare per superare le Colonne d’Ercole. Così SetUp ogni anno diventa prima meta, poi punto di partenza per ripartire con una rinnovata consapevolezza del nostro amore per l’arte e per i libri.
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Espositori
28 Piazza di Pietra - Fine Art Gallery (Roma) / BI-BOx Art Space (Biella) | H2
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Ad’OPERA (Firenze) | F1
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“BALBI” MODERN ART (Mantova) | A2
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BI-BOx Art Space (Biella) | H1
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Blu Gallery (Bologna) | I1
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Bonelli LAB (Canneto sull’Oglio - MN) | N1
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BONIONI ARTE (Reggio Emilia) | O1
40
CELLAR CONTEMPORARY (Trento) | E
42
D 406 ARTE CONTEMPORANEA (Modena) | N3 - N4
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Divers Project (Albania) | A5
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GALERIE JEAN-LOUIS RAMAND (Aix-en-Provence, Francia) | H5
48
Galleria 13 - arte moderna e contemporanea (Reggio Emilia) | A4
50
Galleria d’Arte del Caminetto (Bologna) | F2
52
Galleria Spazio Farini6 (Milano) | H3
54
Il Cerchio E Le Gocce / Docks74 (Torino) | O3
56
Laboratorio Staveco (Bologna) | N2
58
Link Art Gallery (Miami, USA) | B1 - B2
60
MAC FLORENCIO DE LA FUENTE (Huete, Cuenca, Spagna) | A1
62
Magazzeno Art Gallery (Ravenna) | A3
64
RIZOMI (Parma) | O2
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Tiziana Tommei Contemporary (No place space) | D
68
Vibra - spazio contemporaneo di idee - (Ravenna) | L1 - L2
70
VICOLO FOLLETTO ART FACTORIES (Reggio Emilia) | B3
72
VILLA CONTEMPORANEA (Monza - MB) | H4
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Zeit Gallery (Pietrasanta) | I2
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Olmo Amato Il bambino che legge, 2017 Stampa digitale fine art su carta baritata 100% cotone 100x250 cm
Olmo Amato Segreto, 2017 Stampa digitale fine art su carta baritata 100% cotone 100x150 cm
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28 Piazza di Pietra - Fine Art Gallery Piazza di Pietra, 28 | 00186 Roma | www.28piazzadipietra.com Direttore Francesca Anfosso | Artista under 35 Olmo Amato | Curatore under 35 Jon Gorospe Artisti presentati in fiera Olmo Amato
BI-BOx Art Space Corso del Piazzo, 25 | 13900 Biella | www.bi-boxartspace.com Direttore Irene Finiguerra
Questo sole dell’infanzia a cura di Jon Gorospe “Estos días azules y este sol de la infancia”. Antonio Machado
Itaca è la meta del primo grande viaggio della letteratura. Ciò che qui è degno di nota è che, nonostante sia il primo, non è un viaggio nell'ignoto, non è un viaggio all'avventura o alla conquista. È un viaggio di ritorno, un ritiro, un ripiegamento. La via del ritorno che Ulisse intraprende dopo la guerra di Troia è motivata dalla nostalgia, ciò che spinge il protagonista dell’Odissea è ciò che gli manca, il ricordo di ciò che aveva e di ciò che era. Questo stesso desiderio anima l’opera Bambini nel tempo di Olmo Amato (Roma, 1986). Raggiunta l’età adulta, tendiamo a pensare e descrivere l’infanzia come se non l’avessimo mai vissuta, un’età recuperata e ricostruita che finisce per diventarne un’idealizzazione. Nel caso particolare di Amato, per rafforzare questa idea, egli indaga e utilizza la commistione di due diverse temporalità e spazi, sovrapponendo diversi scatti. Da un lato, i figuranti: immagini di bambini dell'archivio della Library of Congress di Washington, risalenti ai primi anni del secolo scorso. In essi diversi bambini - apparentemente di una classe agiata - godono di un tempo libero estraneo agli eventi della loro epoca. Una strategia consapevole del fotografo per rafforzare l'aura di innocenza e di spensieratezza che questi protagonisti irradiano. Personaggi che oltre a rappresentare un ideale si trasformano in elementi di una metafora. Dall’altro, i paesaggi immortalati da Amato nei suoi diversi viaggi in Europa, luoghi funzionali alla descrizione del paesaggio romantico, i cui codici sono stati assimilati nel comune patrimonio nostalgico. Scene bucoliche, il cui sfondo è una nebbia o una luce accecante, o una combinazione di entrambi, che rendono la scena uniforme e teatrale. Questi scenari, esteticamente sintetizzati, aspirano all'atemporalità e alla pace, accompagnandoci nello spettacolo dell'osservazione. L'idilliaco gioca un ruolo importante nelle immagini risultanti da questa alchimia digitale. Amato cerca, attraverso la sovrapposizione e la mescolanza di elementi, il codice esatto che fa strada allo spettatore e che consente l'ingresso in questo mondo costruito.
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Alice Orf Ulisse, 2018 Tecnica mista su tele di recupero 160x150 cm
Angelo Raffaele Marturano Waiting for, 2018 Inchiostri ed acrilici su tela 196x150 cm
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Ad’OPERA Via Maggio, 33/r | 50123 Firenze | www.adoperastore.eu Direttore Matilde D’Onghia | Artista under 35 Alice Orf | Curatore under 35 Massimo Del Prete Artisti presentati in fiera Angelo Raffaele Marturano, Alice Orf
Trasmutazione a cura di Massimo Del Prete Trasmutare: provocare una metamorfosi complessa, non il passaggio semplice da uno stato iniziale ad uno finale, piuttosto un passaggio attraverso, un passaggio mutuale per cui due stati si compenetrano e il risultato non è né l’uno né l’altro. Il tutto è più della somma delle parti. Allora, dunque, il viaggio trasmuta e si pone, per questo, come un potente mezzo di de-costruzione e ri-costruzione. Non si potrebbe certo pretendere di tornare all’origine tutti interi, un’origine che non presuppone mai l’inizio dal quale partimmo, ma un luogo diverso, precedente ancora, nel tempo e nello spazio, un luogo saputo per intuizione ma non conosciuto. Il viaggio allora è sempre un processo à rebours, è la contro-corrente per definizione, l’unico strumento di scandaglio del passato primitivo nel quale immaginiamo siamo creature di speranza, sempre -, particolata come un pulviscolo, fluttuare la nostra essenza nelle forme originarie. La scelta di Alice dei primi viaggiatori infissi in noi lettori occidentali è quasi un guizzo autonomo del cuore: Ulisse, che affronta questo viaggio nello spazio, e Penelope che fa lo stesso nel tempo, intrecciando il fragile cronotopo del nostos. Tra loro, forse proprio questa donna indomabile, ricordata negli ultimi due o tre millenni solo per l’inviolabilità della sua promessa di sposa, incarna il travaglio, persino la tragedia del viaggio. Ulisse, che a Troia ha dato prova del suo recto, percorre il verso di sé stesso attraverso l’intervento di forze esterne che lo trapassano e lo pongono direttamente a contatto con l’alterità: ninfe, re, creature straordinarie, lo stesso peregrinare visualizza il viaggio in forma di fenomeno, suscettibile di essere visualizzato. Ulisse vede la strada srotolata dinanzi a sé, certo infinita, dissestata ma pronta ad accogliere passi di eroe. Penelope, invece, non vede nulla. Penelope è chiusa nel sé, Penelope non intesse nulla che abbia senso, le sue azioni sono mero stratagemma, impianto esteriore. La strada che la condurrà all’origine di sé è stampata sulla volta delle sue palpebre chiuse, la forza per percorrerla non è nei piedi ma nella fibra sfilacciata del cuore, i suoi giorni non hanno che la distrazione minima delle incombenze, le sue notti non finiscono, risuonano dei tamburi di un evo non ancora decodificato. Non esiste sollievo per un’anima che così disperatamente si cerca, non esiste sollievo fino al giorno in cui l’atteso torna: allora al tocco delle mani potranno ricominciare a vedere i reciproci volti pennellati di classico rigore e un torbido, candido graffito che li macchia, no! che in realtà li firma, testimone di un viaggio oltre i confini della pelle e della coscienza, prima e dopo la tragedia del perdersi. Al tocco delle mani, voi lo sapete, trasmutate.
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Chiara Bonetti Rovine vive, Beirut 2018 Stampa c-print da negativo medio formato (120) 20x20 cm, con cornice 40x50 cm edizione 1 di 3
Leonardo Balbi LIFE SOURCE, 2017 Mixed media 214X214 cm (diagonale), 150X150 (per lato)
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“BALBI” MODERN ART Via Allende, 10/a | 46100 Mantova | www.leonardobalbi.com Direttore Leonardo Balbi | Artista under 35 Chiara Bonetti | Curatore under 35 Federica Franchini Artisti presentati in fiera Leonardo Balbi, Chiara Bonetti
IL VIAGGIO COME ESPLORAZIONE a cura di Federica Franchini Viaggiare è da sempre un desiderio insopprimibile dell’essere umano. La voglia di cambiamento, la curiosità di conoscere culture diverse e paesi lontani da quello in cui si vive, la necessità di spostarsi, di allargare i propri orizzonti e di vedere cose nuove con occhi diversi, hanno alimentato l’immaginazione di artisti in ogni epoca. Tanti sono i mezzi con cui gli artisti esprimono i sentimenti e le emozioni derivanti da un viaggio: scrittura, pittura, scultura, fotografia, tutte molteplici manifestazioni di trattare il tema del viaggio in modo originale e assolutamente personale. Il viaggio intrapreso da Leonardo Balbi nasce dalla necessità di conoscere nuovi percorsi per creare spazi tridimensionali e viverli nella loro pienezza. La riflessione dell’artista parte dal supporto stesso dell’opera. Esso viene trattato allo stesso modo in cui uno scultore adopera il marmo, la terracotta, la ceramica: materia, il supporto è materia. E in quanto materia deve essere lavorata, plasmata, modificata. La sua ricerca va oltre la bidimensionalità della tela, della fotografia, scopre una nuova dimensione, come il viaggio di Yuri Gagarin, primo uomo nello spazio. Lo spazio è un’entità infinita e noi siamo trasportati in quest’avventura alla scoperta di un luogo sconfinato e inesplorato. I supporti si muovono, esplodono come una supernova, ritmati da tagli in sequenza che danzano sulla superficie. Forte è la luce che emanano queste forme, in contrasto col buio, col vuoto creato dagli squarci. Il dinamismo dell’opera di Balbi trova un suo felice contrasto nell’immobilità e nella densità delle immagini di Chiara Bonetti. Qui siamo in una situazione di stallo in cui il passato aleggia nel presente ed il futuro è imprevedibile. Le fotografie di Chiara sono state scelte per l’apparente calma e sospensione metafisica che ci trasmettono, in antitesi con la forte energia sprigionata dalle sculture di Balbi. L’attesa diventa tensione verso un futuro che non è certo. I giorni si susseguono uguali, uno dopo l’altro, sospesi come i panni che asciugano al sole, come l’uomo seduto ad aspettare che ci riporta alla mente Penelope in attesa di Ulisse. In Balbi la quotidianità è scomparsa e anche la creazione artistica deve adeguarsi al movimento, alla rapidità, deve sorpassare le normali distinzioni tra colore e suono, tra spazio e tempo, tra scultura e fotografia. Queste opere sono Itaca, sono un processo in continuo cambiamento, pur avendo natura e linguaggio dissimile. In entrambe il tema comune denominatore del viaggio è più importante della meta: l’attesa diventa metafora della vita, ricca di sorprese, avventure e porte da varcare.
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Marco La Rocca Lakers, 2018 Olio su tela 150x100 cm
Marco La Rocca Barilla, 2018 Olio e spray su tela 90x105 cm
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BI-BOx Art Space Corso del Piazzo, 25 | 13900 Biella | www.bi-boxartspace.com Direttore Irene Finiguerra | Artista under 35 Marco La Rocca | Curatore under 35 Irene Finiguerra Artisti presentati in fiera Marco La Rocca
LA SEDUZIONE DELL’OGGETTO a cura di Irene Finiguerra Una Coca Cola è sempre una Coca Cola e non c’è quantità di denaro che possa farti comprare una Coca Cola più buona di quella che l’ultimo dei poveracci si sta bevendo sul marciapiede sotto casa tua. Tutte le Coca Cola sono sempre uguali e tutte le Coca Cola sono buone. Lo sa Liz Taylor, lo sa il Presidente degli Stati Uniti, lo sa il barbone e lo sai anche tu. Andy Warhol
Marco La Rocca (1991) è un artista che arriva dalla provincia, una città nell’hinterland milanese che vede solo i bagliori del mondo glamour della moda, dei grandi marchi, del consumismo. Fin dai tempi delle avanguardie storiche, l’arte contemporanea si è sviluppata attraverso un processo di trasfigurazione di comportamenti e oggetti provenienti dalla società di massa; ed è proprio dal mondo dei prodotti di massa che La Rocca recupera i soggetti che compongono le coloratissime tele e le sue ceramiche così stravaganti. L’artista si muove entro una produzione artistica tradizionale (olio su tela e ceramica invetriata), dove scaffali di negozi pieni di oggetti di uso quotidiano o icone di passioni sportive divengono dei soggetti pittorici in una sorta di “democrazia sociale”. Dalla lattina della zuppa Campbell’s di Andy Warhol, la strada è stata lunga e La Rocca consegna dignità di opera d’arte, al di fuori della estetica pubblicitaria, ai Mars e ai palloni di basket di Spalding. Questo processo creativo rinnova la nostra visione delle cose, in modo da modificarne la percezione: da oggetto d’uso pratico o di consumo a elemento artistico che si carica di nuovi valori uscendo dai margini quasi invisibili dell’indifferenza del quotidiano. Nell’esplosione cromatica e nel pieno delle figure che assorbono tutti gli spazi, La Rocca ci consegna un messaggio di opulenza, di quantità, ma forse anche una perdita di allegria: se tutto è così messo a disposizione per essere consumato, l'uomo vale solo come consumatore? Molto più dissacratorio è il risultato delle sue ceramiche: forme tradizionali che presentano soggetti inaspettati creando un corto circuito nella visione e nel risultato d'uso dell'oggetto. Una disomogeneità che piace e che seduce. Nasce così una relazione ludica tra oggetto e seduttore, l’oggetto si sintonizza con il desiderio del soggetto, offrendosi come uno specchio riflettente una realtà capovolta, quella in cui l’io incontra la propria illusione.
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Guido Ricciardelli Incontro onirico con Chirone, 2018 Olio su tela 80x60 cm
Sicioldr Terza Fonte, 2018 Olio su tela 120x90 cm
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Blu Gallery Via Don G. Minzoni, 9 | 40121 Bologna | www.blugallery.it Direttore Graziano Bombonato | Artista under 35 Guido Ricciardelli | Curatore under 35 Arianna Piazzi Artisti presentati in fiera Le Nevralgie Costanti, Guido Ricciardelli, Alessandro Sicioldr
Incontro onirico con Chirone a cura di Arianna Piazzi Una finestra verso l’altrove è anche uno specchio per l’anima, come l’oceano riflette la volta celeste. Immergersi nell’abisso è incontrare sé stessi… La vetta più alta. L’inconscio parla attraverso immagini che illuminano il buio della mente, come una stella che guida nella tormenta. L’arte di Guido Ricciardelli esplora la mappa di questo mondo interno, la manifestazione visiva di una profonda introspezione fra le luci e le ombre dell’anima. L’artista, dopo l’esperienza presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, perfeziona e plasma il suo stile concentrandosi su una comunicazione figurativa ma profondamente metaforica. Nel 2018 partecipa alla mostra collettiva “Quadreria in Blu”, presso la Quadreria di ASP Città di Bologna a Palazzo Rossi Poggi Marsili, presentando al pubblico la sua tecnica, che ripercorre i grandi modelli del passato della Scuola Bolognese, i quali caratterizzano il percorso museale dove è stata allestita l’esposizione: olio su tela, studio anatomico, osservazione, riferimenti alla cultura classica. In questo caso, infatti, la figura protagonista è Chirone il centauro, figlio di Crono e dell'oceanina Filira; è immortale per natura ma diverso dalle creature simili a lui, poiché saggio e benevolo, esperto nelle arti, nelle scienze, in medicina e in astronomia, maestro di molti eroi della mitologia greca. Guido Ricciardelli sceglie di rappresentare questa figura fondamentale per l’epica mentre si staglia fra i rami di un’intricata foresta, osservata dal basso da un uomo, che, per contrasto, risulta piccolo e limitato; il significato simbolico che si cela dietro tutto questo riguarda la sconfinatezza dell’ingegno, la sua potenzialità pressoché infinita, rispetto alla finitezza dell’essere umano in sé, nel suo aspetto materiale. Con quest’opera, Guido Ricciardelli sceglie di avventurarsi nella vastità di quell’ingegno alla continua ricerca di nuove immagini e nuove manifestazioni artistiche, con lo spirito di Ulisse che solca i mari diretto verso la sua Itaca.
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Michela Martello She Who Can Fly, 2018 Acrilico, gesso, collage di stoffe e foglia oro su tendone vintage US Army 137x350 cm
Michela Martello Lineage, 2018 Ink, oro, vintage kimono fabric, lino 111x81 cm
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Bonelli LAB Via Cavour, 29 | 46013 Canneto sull’Oglio (MN) | www.bonelliarte.com Direttore Giovanni Bonelli | Artisti presentati in fiera Michela Martello
Michela Martello: la forza al femminile Il lavoro di Michela Martello interseca molteplici confini culturali, utilizzando il simbolismo per convogliare un messaggio carico di speranza e di riferimenti alla forza del femminile. Quest’ultima intesa non come antagonista al maschile ma come costruttivamente differente e attivamente impegnata nell’equilibrio del mondo secondo uno schema riassumibile nell’unione-contrapposizione positiva di Yin e Yang. Le protagoniste dei lavori di Michela Martello sono idoli al contempo mistici e profondamente attuali. Per le sue creazioni l’artista utilizza molti media differenti: dai murales (molti dei quali realizzati per pubbliche commissioni a New York) alle sculture in ceramica, passando per i dipinti su stoffe cucite a mano. Rispetto al tema di Itaca, intesa sia come ideale mèta e motore per i lunghi viaggi dell’artista, sia come simbolo di un femminile (rappresentato da Penelope) a cui aspirare o ritornare, il lavoro di Michela Martello si sposa quasi perfettamente. L’opera-simbolo selezionata per il progetto di SetUp 2019 rappresenta una figura femminile in atto di bere da una coppa un liquido dorato mentre spicca un ipotetico salto. La donna è, letteralmente, She Who Can Fly (colei che può volare) e ricorda nelle sembianze alcune divinità indiane. Come sempre nel lavoro di Michela Martello, la scelta dei materiali non è casuale: un vecchio tendone della US Army americana - sicuramente testimone di guerre e atrocità diventa il supporto per un messaggio di forza e speranza per il futuro. La nuova dea, che porta al collo una collana di teschi - testimonianza della necessità della morte nel ciclo dell’universo - si libra leggera in un salto verso l’alto che, immaginiamo con l’artista, la porterà a volare. La carica positiva dell’immagine è data dalla forza espressiva del volto, deciso e concentrato nel suo guardare “verso l’alto”, e dalla sua nudità che non la rende fragile ma soltanto naturale. Grazie alla stilizzazione del tratto e al raffinato chiaroscuro di tempera acrilica e gesso bianco il corpo della donna risulta del tutto privo di volgarità pur mantenendo evidenti i segni della fertilità intrinseca nel femminile.
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Luca Freschi Diana e Atteone, 2018 terracotta ceramica dipinta, objet trouvĂŠ, chiodi, favi, legno e plexiglass 90x90x14 cm
Luca Freschi Entre Nosotros, 2018 terracotta ceramica dipinta, gomma, specchio 37x43x16 cm
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BONIONI ARTE Corso Garibaldi, 43 | 42121 Reggio Emilia | www.bonioniarte.it Direttore Federico Bonioni | Curatore under 35 Niccolò Bonechi | Artisti presentati in fiera Luca Freschi
Sinestesie a cura di Niccolò Bonechi L’opera scultorea di Luca Freschi è fatta di rimandi, di dissonanze associative che si palesano nella materia modellata, assemblata, finemente dipinta. La composizione è in equilibrio nel momento stesso in cui si trova in bilico, essa infatti è costruita su una eterogeneità di contrasti, siano essi cromatici oppure concettuali, che ne restituiscono una visione volutamente straniante, laddove gli elementi che vi abitano – ora realizzati in ceramica policroma, ora veri e propri objet trouvé – suscitano nello spettatore sensazioni tanto familiari quanto estranee. Ecco che tutta la produzione di Freschi è un continuo richiamo a quel sentimento che Sigmund Freud definì Das Unheimliche (in italiano tradotto con perturbante), attivando contemporaneamente un’operazione di alleggerimento promossa attraverso uno smisurato e minuzioso tecnicismo che talvolta sfocia in una sorta di manierismo kitsch. Per chi già conosce la ricerca artistica di Freschi, non sarà passata inosservata la ripetizione sistematica di alcuni oggetti che dominano la scena nelle sue rappresentazioni. Sto pensando alle corna di cervo, piuttosto che al corvo o alla figura neoclassica, tutti elementi fortemente simbolici. Spesso associati a racconti mitologici o a diverse religioni, questi possono avere diverse e divergenti chiavi di lettura. Nella mia personalissima interpretazione del lavoro di Freschi, queste “effigi” assurgono ad epifania di un continuo rinnovo della vita: dopo la morte (rappresentata dal corvo e dalle foglie cadute) c’è sempre la resurrezione (vedi il fiore sbocciato e le corna di cervo). Attenzione, non vi è qui alcun riferimento religioso preciso ed intenzionale, bensì una volontà di restituire, attraverso il “bello” dell’opera d’arte, una dimensione quasi estatica, per non dire introspettiva. Ciò risulta certamente più tangibile in Entre Nosotros, l’unica scultura che come supporto utilizza uno specchio: simbolo per eccellenza della mistica, permette all’osservatore di entrare a far parte dell’opera stessa, dando vita così ad un dialogo impossibile con il mezzo busto in ceramica smaltata in bianco che domina la composizione, impossibile perché quest’ultimo è idealmente privato della possibilità di interloquire avendo occhi e orecchie fasciati da una benda. Per questa occasione Freschi espone anche uno dei suoi “pavimenti”, opere in cui si perde il confine tra pittura e scultura. Ovviamente si tratta di un inganno percettivo, di fatto una sinestesia, in quanto l’artista non rinuncia mai a modellare la materia, all’aspetto artigianale del proprio lavoro: non demanda ad altre maestranze la realizzazione dell’opera, ne è fautore dall’inizio alla fine, è artista sincero.
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Margherita Paoletti Autoritratto in vestito arterioso, 2018 Acrilico su tela 95x80 cm
Denis Riva Andare avanti, 2018 Acrilico, china, lievito madre, pastello, fuoco e collage su carta 50x58 cm
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CELLAR CONTEMPORARY Via San Martino, 52 | 38122 Trento | www.cellarcontemporary.com Direttore Davide Raffaelli | Artista under 35 Margherita Paoletti | Curatore under 35 Camilla Nacci Artisti presentati in fiera David Aaron Angeli, Margherita Paoletti, Denis Riva
La nostra Itaca a cura di Camilla Nacci Il viaggio era lì, in una barca di cera nera. Il viaggiatore non aveva bisogno d’altro che di quella forma essenziale, che era presente nel suo codice genetico fin dai tempi mitologici in cui gli dei imponevano agli uomini viaggi iniziatici infiniti con un solo scopo: il ritorno a casa. Nella barca ci stava tutto il creato, pronto a cominciare una nuova vita; nella barca ci stavano solo i granelli di sale marino incrostati sul fondo, rimasti, come un’offerta votiva, a ricordare tutti gli avvenimenti di cui il viaggiatore era stato protagonista. David Aaron Angeli lavora per accostamenti di immagini iconiche e forti, talvolta semplici come la barca e la mano dell’uomo, talvolta minuziosi e cesellati come le “Donne con serpente”, in cui la ricchezza dei dettagli dà vita a evocative narrazioni. Il viaggiatore, tornato a casa, trovò un nuovo paesaggio e nuovi volti ad attenderlo. Tutto gli appariva mutato, tranne il suo cane, che lo riconobbe immediatamente; gli altri, invece, stentavano a salutarlo, si chiedevano se fosse davvero lui quell’uomo venuto da lontano, dopo una lunga attesa. Ciò che emerge dai lavori di Denis Riva è un forte senso del famigliare declinato attraverso paesaggi avvolgenti, animali simbolici e idilli dal sapore nostalgico, che assumono molto spesso la dimensione del ricordo. Qual era, allora, la chiave di questo cambiamento? Non era il tempo trascorso, non erano gli innumerevoli luoghi visitati. Il viaggiatore guardò dentro se stesso, e vide che era buio. Allora provò a illuminare il suo corpo, i suoi organi, la sua pelle, vena dopo vena, il suo cervello da fantasticatore. E scoprì che lì, durante quel viaggio, tornando a casa, c’era stata una rivoluzione. Questo è il racconto di Margherita Paoletti, che affronta il tema delicato del riconoscimento interiore esplorando la relazione tra il pensiero invisibile e ciò che emerge esteriormente. I percorsi della mente umana durante l’acquisizione dell’auto-consapevolezza vengono svelati dall’artista attraverso una limpida rappresentazione pittorica e scultorea. L’obiettivo di Margherita Paoletti è quello di portare in superficie il magma che ci attraversa e lasciare che esploda con un cambiamento fisico, purché fedele alla ricerca di noi stessi. Fu proprio in quel momento, in cui il viaggiatore si fece luce dentro, che anche gli altri cominciarono a riconoscerlo.
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Andrea Chiesi Eschatos 5, 2018 Olio su lino 100x140 cm fotografia di Enrico Valenti Nicola Toffolini Whoom! Stralcio da taccuino progettuale: studio per raffiche, 2018 Penna nera Pigma Micron 0,05 e 0,1 su taccuino Moleskine Japanese Album 13x21 cm
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D 406 ARTE CONTEMPORANEA Via Crispi, 21 | 41121 Modena | www.d406modena.it Direttore Andrea Losavio | Artisti presentati in fiera Daniela Alfarano, Andrea Chiesi, Ericailcane, Fausto Gilberti, Nico Mingozzi, Paco Pomet, Nicola Toffolini
RITORNO AL DISEGNO Daniela Alfarano, Ericailcane, Fausto Gilberti, Nico Mingozzi, Paco Pomet, Nicola Toffolini Artisti contemporanei si interrogano sul significato della pratica del disegno, ognuno con la propria sensibilità e poetica, alla ricerca della sintesi perfetta fra contenuto ed espressione artistica (così vogliamo intendere il tema di SetUp 2019, metaforicamente rappresentato dall'evocativa Isola di Itaca, meta ultima agognata dal prode Ulisse). Ritroviamo così le raffinate matite di Daniela Alfarano che rimandano al lento trascorrere del tempo rappresentato da una fitta tessitura di segni; il disegno concettuale meticoloso e tecnicamente perfetto di Nicola Toffolini proposto in un rigoroso inchiostro bianco e nero, che fonde elementi grafici geometrici con elementi naturali; le figure ironiche disegnate da Fausto Gilberti che con pochi tratti ci ricorda la deriva amorale della società contemporanea a cui fanno da contraltare i grandi disegni colorati di Ericailcane che “giocano” con il significato “politico” di alcune parole; ed ancora i disegni a carboncino colorato dell'artista spagnolo Paco Pomet, surreali e di grande forza espressiva che ripropongono alcuni temi sociali di stringente attualità, fino a giungere ai collages delle piccole cartoline lavorate da Nico Mingozzi, rivisitazioni “hard” contemporanee di un mondo del primo novecento che oggi ci appare davvero molto distante.
I LUOGHI ULTIMI Andrea Chiesi Nuovi disegni e pitture in occasione della pubblicazione della monografia Eschatos, presentata in anteprima a SetUp e ArteFiera 2019 (a cura di D406 Arte Contemporanea, Guidi&Schoen Arte Contemporanea e NM Contemporary, per Silvana Editoriale). La straordinaria pittura di Andrea Chiesi si presta ad una doppia interpretazione: i luoghi rappresentati sono reali, spesso edifici industriali abbandonati e dimenticati, luoghi di Memoria (archivi e biblioteche) che l'artista ama definire i "luoghi ultimi", (così il titolo della grande mostra a lui dedicata dal Comune di Ravenna che si inaugurerà il 23 febbraio p.v.) che testimoniano un preciso periodo della Storia recente della Collettività, evocando lotte operaie, la fatica nel lavoro, la trasmissione del Sapere, sebbene la figura umana non appaia mai direttamente; ma al contempo sono anche luoghi interiori dello spirito, luoghi di riflessione, dove la luce e l'ombra magistralmente ritratti su scale cromatiche di azzurri e grigi, conferiscono una atmosfera rarefatta, sospesa, atemporale, irreale. Ogni dipinto di Andrea Chiesi trasmette dunque equilibrio perfetto fra elemento reale e spirituale, punto ideale di arrivo (l'Itaca moderna e contemporanea?) di una ricerca in costante evoluzione.
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Alketa Delishaj Olimpiade 2020, 2018 Acrilico su carta 20x30 cm Alketa Delishaj Olimpiade 2020 (anticipazioni), 2018 Acrilico su carta 20x30 cm
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Divers Project Albania | www.alketa.art Artista under 35 Alketa Delishaj | Curatore under 35 Davide Silvioli | Artisti presentati in fiera Alketa Delishaj
Sulle acque del pensiero: Alketa Delishaj a cura di Davide Silvioli I soggetti che, silenziosi, discretamente affiorano dalla delicata superficie delle opere di Alketa Delishaj, sembrano attraversarla con ineffabile e aliena leggerezza. Calati in luoghi di atemporalità, privi pertanto di riferimenti cronologici o spaziali, i suoi nuotatori assumono posture dinamiche ma senza mai rompere il candido e muto equilibrio che governa e su cui sono impostate le realizzazioni dell'artista. Emergendo e immergendosi in acque appena visibili, immateriali come il pensiero, li vediamo, alle volte in solitudine e sospesi precariamente su distese di assenza, vacillare incerti sull'orlo di una vasca o di un trampolino, come a cercare lo slancio e il coraggio necessari per gettarsi nel baratro dell'ignoto. Altre, invece, già nel vivo della fase di caduta. L'artista, per mezzo di una pennellata delicata e di un colore molto diluito, rende efficacemente il complessivo senso di incipiente trascendenza che, capillarmente, pervade i lavori in questione. Questo fattore è ulteriormente accentuato dal fatto che, concentrandoci sul particolare, la pittura non definisce mai in maniera compiuta né i corpi né tanto meno - eccetto pochi casi - i volti dei soggetti, i quali appaiono dunque sempre interdetti e in fase di svelamento di sé. Di contro, nella visione d'insieme, le opere dimostrano un'approfondita capacità compositiva, accompagnata da uno studio cromatico che si risolve spesso in tinte tenui. Il tutto nel perimetro concettuale di un sentire quasi metafisico che, come un riverbero, permea d'enigmaticità i silenzi che dominano sia i singoli soggetti che le scene che, pur nell'introversione generale, rimangono tuttavia emotivamente accessibili e appaiono eloquenti nel comunicare. Da ciò deriva il già accennato senso di imminenza caratteristico dei lavori qui in via d'analisi e raggiunto dall'autrice tramite una scelta sempre calibrata e consapevole dei rapporti formali, cromatici e di organizzazione dello spazio, tanto da far ipotizzare anche un possibile dialogo con la grafica, con l'illustrazione e con l'animazione. All'enigma che consegue alla quiete, si affianca inevitabilmente il palpabile smarrimento dei protagonisti immersi (o persi) in una realtà senza coordinate, forse anche loro, come tutti noi, alla tacita ma interminabile e inesausta ricerca della propria Itaca che, come le opere di Alketa Delishaj sono in grado di sottendere, è da trovare nelle più indefinibili profondità di noi stessi.
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Sandra Krasker Ressac, 2018 Disegno a grafite su carta 80x80 cm Sandra Krasker Verser L'offrande XIII, 2018 Disegno a grafite su carta 25x25 cm
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GALERIE JEAN-LOUIS RAMAND 1600 Route des Milles Aragon 2 | 13090 Aix-en-Provence (Francia) | www.galeriejeanlouisramand.com Direttore Jean-Louis Ramand | Artisti presentati in fiera Sandra Krasker
Santa Dolores Tramite le onde della storia, Sandra Krasker ci propone attraverso il suo lavoro un viaggio lungo la sua genealogia. A partire dalle foto dei suoi nonni, del loro matrimonio, esplora il passato anarchico al tempo delle utopie giovanili, periodo felice ricostruito attraverso la punta di grafite della sua matita. Ma i sogni e gli ideali si sono presto scontrati con la guerra civile spagnola, presentata attraverso allusioni, nei disegni rossi sovrapposti ai tranquilli ritratti. Il rosso delle disillusioni che arriveranno, del doloroso viaggio per la sopravvivenza. Ma anche il rosso dell’ideale: gli Ulisse degli anni trenta, coinvolti nella guerra, ecco questi personaggi mossi dalla speranza, la promessa di Itaca come ambizione, uliveto della pace ritrovata. Nel ricordo dell’identità delle masse umane tormentate dai conflitti, Sandra Krasker cerca di decostruire i miti fondanti della nostra Storia. Attraverso la sua installazione “Santa Dolores”, l'artista ne crea nuovi nella sua sacralizzazione dei Repubblicani all’interno di un libro religioso o un cuore ispirato alla simbologia del Cristo portacroce. In questo cammino verso la morte, il sacrificio personale è consentito attraverso il riscatto collettivo, la salvezza degli uomini. Questa speranza è il motore della particolare azione di ciascun individuo, dell’avanzata verso la pace di Itaca dove Penelope, emblema della fedeltà, aspetta. Lealtà verso il passato, verso le radici, all’eroe che era prima della sua partenza. Penelope tesse ogni giorno, e ogni notte disfa il suo lavoro nell’immobilismo dell’attesa, un tentativo di fermare il tempo, di rimanere in un non-tempo quasi fotografico. Come lei, anche Sandra Krasker utilizza un medium che “scompone, allunga i tempi, ripete la sequenza in un eterno inizio”: il disegno. Sandra Krasker l’associa all’immagine fotografica e cinematografica dei montaggi video, da cui estrae delle sequenze disegnate, di “Onde”. Le sequenze temporali si incrociano e ritornano, l’artista conserva nelle sue molteplici opere un'istantanea della vita e della memoria. Si pone dunque la questione della memoria sollevata da “Verser les larmes”, dove i ritratti abbozzati evocano la scomparsa da cui colano le dolorose rosse lacrime del ricordo. La donna, moglie e madre, è la custode di questa memoria. Associata nelle culture tra-dizionali all’immagine del focolare, forgia la nostra identità, il porto d’attracco a cui la ricondurre la propria imbarcazione. Il viaggio verso il mondo inizia da questo nucleo familiare in cui la memoria illumina il nostro presente come i nostri progetti; l’esperienza brilla alla luce del faro di questo ancoraggio ancestrale.
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Jonathan Guaitamacchi MONO GENESIS Ice Research, Light box, Fotografia con luce retroilluminante a led 100x150 cm Nobuyoshi Araki Woman in kimono - Shino, 2000 Gelatin silver print immagine: 32x40 cm | carta: 35.6x43.2 cm Firmata al retro
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Galleria 13 - arte moderna e contemporanea Via Roma, 34/b | 42100 Reggio Emilia | www.galleria13.com Direttore Sara Cavagnari | Artisti presentati in fiera Nobuyoshi Araki, Jonathan Guaitamacchi
La Galleria 13 vi propone un viaggio attraverso l’animo di due artisti internazionali molto diversi tra loro ma accumunati dalla costanza fedele e ossessiva verso una visione di linguaggio che hanno fatto propria e che caratterizza tutto il loro lavoro rendendoli immediatamente riconoscibili anche tra migliaia di altri, il giapponese Nobuyoshi Araki e l’inglese Jonathan Guaitamacchi. La macchina fotografica è per Araki un’estensione del corpo, un organo vitale attraverso il quale egli entra in contatto con il mondo e stabilisce relazioni con le persone, attraverso cui sente ed esprime emozioni, vive i momenti di gioia e metabolizza i dolori della vita. Anche nelle immagini più estreme dei “Bondages”, la serie di nudi che, riprendendo la tradizione del Kinbaku molto radicata in Giappone, ritraggono donne legate, appese, non vi è voyeurismo morboso, ma l’intenzione di condurre un gioco, cui partecipano consapevolmente anche le modelle, che esplori i confini tra bene e male, tra piacere e dolore, tra fragilità e forza. In alcuni casi, la presenza accanto alla figura legata, sospesa o no, di elementi tecnici del set di posa, quali lampade, cavalletti o altro, dichiara esplicitamente l’intenzione simulativa dell’azione di Araki. Lo stretto legame tra vita e morte ricorre nel ciclo di opere “Flowers”. Dalie, camelie, orchidee e fiori di ogni specie sono colti nel momento di massimo splendore, un attimo prima di appassire, come a ricordare che dolore e sofferenza sono parte integrante della vita, quanto la bellezza, l’eros e l’amore. MONO: il bianco e il nero. GENESI: l’origine. Da questi due concetti parte la ricerca di Jonathan Guaitamacchi che spingendosi in altezza, approfondisce il dualismo per lui centrale tra lo spazio urbano e lo spazio naturale. Il suo sguardo, dalle vedute aeree delle grandi città come Londra o Johannesburg, s’inerpica sulle catene montuose del nostro territorio, fino ai ghiacciai dell’arco alpino che raccontano l’età del pianeta e il futuro che ci attende. Mono Genesi è il ritratto di un grande regno fantasma, ma vivo, splendente e sempre in movimento verso valle. È un lavoro in continuo divenire in cui le foto in bianco e nero in cui la morfologia dei ghiacciai diventa il paradigma perfetto dell’architettura naturale, vengono accostate puntualmente a una serie di bozzetti in cui le forme create dalla neve solidificata sono reinterpretate come fossero scenari metropolitani. Queste grandi vedute innevate prendo vita anche nella serie dei lightbox dove, con un apposito sistema retroilluminante, l’artista cattura e ci restituisce il riverbero del sole sulla neve. Un sogno fantastico a occhi aperti in cui guglie e crepacci offrono l’ispirazione per la progettazione di palazzi e strade del futuro.
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Laura Zizzi Volo, 2018 Terracotta 50x40x25 cm Nicola Zamboni Tessitrice, 2016 Rame e terracotta dipinta h. 170 cm (part.)
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Galleria d’Arte del Caminetto Galleria Falcone e Borsellino, 4/D | 40123 Bologna | www.galleriadelcaminetto.it Direttore Giovanni Banzi | Artista under 35 Laura Zizzi | Curatore under 35 Pietro di Natale Artisti presentati in fiera Sara Bolzani, Nicola Zamboni, Laura Zizzi
IL FASCINO DELLA RETROGUARDIA a cura di Pietro Di Natale Nel Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli è esposto uno dei capolavori di Francesco Hayez, dipinto tra il 1814 e il 1816. Illustra l’episodio in cui Ulisse, alla corte di Alcinoo, re dei Feaci a Scheria, si commuove udendo la descrizione della fine di Troia cantata dall’aedo cieco Demodoco. Per celare il pianto l’eroe si copre il volto con la veste instillando lo stupore negli astanti. Subito dopo, seguendo il poema, rivela la sua identità e inizia a narrare le avventure affrontate. Attraverso il racconto, egli rivive le sofferenze, le paure, i rimpianti, e al contempo si compiace della propria astuzia, della lucidità che lo ha guidato nelle scelte, lo ha trattenuto dagli impulsi, gli ha consentito di trovare la via d’uscita. Ulisse è un uomo, tenacemente attaccato alla vita. La volontà di sopravvivere del re di Itaca si riflette nelle poetiche di Nicola Zamboni, Sara Bolzani e Laura Zizzi, che, nel confuso palcoscenico dell’arte dei nostri giorni, combattono la battaglia di un tempo perduto. I tre scultori non si preoccupano di essere originali, non desiderano che le loro opere vengano spiegate, si guardano bene dal lasciare l’osservatore in preda alla perplessità. Il loro principale obiettivo è esprimere concetti universali con “umiltà” e “semplicità”, le quali, come sosteneva Johann Joachim Winckelmann, “sono le due vere sorgenti della bellezza”. Lo dimostrano le opere in mostra: classiche, tradizionali, figurative, dunque, in sostanza, ancora “belle arti”, come il grande dipinto di Hayez. Così è la Tessitrice di Nicola Zamboni. Triste e melanconica, la donna - che, nel gesto, ricorda Penelope - racconta le vicende dei migranti ammassati sui barconi. I corpi inghiottiti dalle acque si palesano davanti ai suoi e ai nostri occhi: è l’immagine della vita umana in bilico tra speranza e disperazione, come nella Zattera di Medusa di Théodore Géricault. Il tema del viaggio - legato a quelli della memoria, del racconto, della cultura - ha ispirato Sara Bolzani nella creazione dei suoi poetici Libri scolpiti. L’uomo è tra le pagine, che diventano luoghi da vivere, spazi da attraversare: tra sogno e realtà emerge il desiderio di conoscere, di allargare i propri orizzonti, anche attraverso la letteratura. Quello intitolato Odissea evoca l’avventuroso itinerario di Ulisse nel Mediterraneo, l’isola di Circe, quella dei Ciclopi, Scilla e Cariddi. Sulle acque che bagnano quelle mitiche terre voleranno in branco i cormorani che fremono nella terracotta plasmata da Laura Zizzi: ancora un ideale richiamo a Itaca, al momento in cui Telemaco si ricongiunge al padre: “Del genitor s’abbandonò sul collo,/In lagrime scoppiando, ed in singhiozzi./Ambi un vivo desir sentian del pianto:/Nè di voci sì flebili e stridenti/Risonar s’ode il saccheggiato nido/D’aquila, o d’avoltoio, a cui pastore/Rubò i figliuoli non ancor pennuti,/Come de’ pianti loro, e delle grida/Miseramente il padiglion sonava”. Arte di retroguardia, in nome della kalokagathía.
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Beba Stoppani Cristo Balena, ICE-LAND 2016 Fotoinstallazione Pigmented True Black Fine-Art GiclĂŠe, teca in legno, ante lavorate con foglia metallica argento a missione su gesso 53x40 cm Beba Stoppani Luce di mezzanotte #1c, ICE-LAND 2016 Pigmented True Black Fine-Art GiclĂŠe montata su dbond Una parte di quadrittico 52x70 cm
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Galleria Spazio Farini6 Via Farini, 6 | 20154 Milano | www.spaziofarini6.com Direttore Giovanna Lalatta | Artisti presentati in fiera Beba Stoppani
Beba Stoppani Sogno di una notte... a cura di Gigliola Foschi La ricerca di Beba Stoppani nasce da un viaggio in Islanda durante il solstizio d’estate, quando la luce mite e tenace del giorno nordico trionfa sulla notte fino a cancellarla, fino a ridurla a un quasi nulla. Un viaggio dove ogni immagine è la traccia potente di un incontro forte ed emozionante, ma anche una tappa di avvicinamento “dentro” l’Islanda: in un contatto ravvicinato con la sua natura di una vitalità densa e cupa, con la sua storia dove saghe e leggende si coniugano con la violenza della caccia alle balene. Questa autrice non costruisce infatti una narrazione aperta e instabile, costituita da immagini simili a frammenti evocativi e fragili, colti quasi casualmente con la coda dell’occhio - così come viene fatto da molti, forse troppi, giovani autori contemporanei. No, tutto al contrario ogni sua immagine ha la forza sintetica di un’icona e s’impone come una presenza concentrata, carica di rimandi. E questo è reso possibile grazie a scelte visive sempre aderenti alle particolari emozioni suggerite di volta in volta dai diversi soggetti che si trova di fronte - non a uno stile fotografico buono per ogni occasione. Così Beba Stoppani presentifica la terra d’Islanda con polittici giocati su un mosso controllato, capace di evidenziare l’energia grandiosa, primigenia e atemporale del suo paesaggio ondulato e fluttuante, avvolto nelle tenebre e sovrastato dalla luminosità di un estivo giorno immortale. Poi, quando penetra nella calotta del gigantesco ghiacciaio Vatnajökull, il suo sguardo si fa prossimo, nitido e ravvicinato, come a voler ritrovare le forze nascoste, le magie di questo ventre gelido. Infine l’autrice incontra la testa, ossificata e corrosa dal tempo, di un grande cetaceo, simbolo doloroso di una caccia alle balene praticata per secoli dagli islandesi. E ci presenta questo teschio racchiuso in una sorta di pala d’altare, quasi fosse il busto dolente di un Cristo antico: caricata di sacralità, sospesa tra immanenza e trascendenza, morte e vitalità, tale opera, diviene allora un monito aperto alla speranza, a un futuro dove l’uomo sappia rispettare la natura.
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Fabio Petani ANILINA & TARAXACUM OFFICINALIS, 2018 Paint on wood 50x70 cm Livio Ninni BerlinH1, 2018 Fotografia e Spray su Ferro 40x60 cm
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Il Cerchio E Le Gocce / Docks74 Via Valprato, 68 | 10155 Torino | www.ilcerchioelegocce.com Direttore Riccardo Lanfranco | Artista under 35 Fabio Petani Artisti presentati in fiera Corn79, Mach505, Livio Ninni, Fabio Petani
Angolazioni Il modo migliore per cercare di capire il mondo è vederlo dal maggior numero possibile di angolazioni.
Questa frase potrebbe appartenere ad Odisseo che spiega a Penelope il perché dei suoi viaggi lontano da Itaca ma invece è dello psichiatra statunitense Ari Kiev. Il mondo deve essere visto in tutte le sue angolazioni e così anche l'arte urbana e il graffiti/writing, i fenomeni artistici che hanno ispirato la nascita della nostra associazione nel 2001. Qui a SetUp presentiamo una mostra collettiva che vedrà esposte le opere di alcuni degli artisti dell'associazione Il Cerchio e le Gocce e uno spaccato degli interventi che abbiamo realizzato e coordinato negli ultimi anni da Torino a Mantova, dalla Liguria a Bolzano. Un’esposizione eterogenea al di fuori degli ambienti urbani e dei nostri spazi canonici, una mostra informale per mostrare tutte le angolazioni di un fenomeno mondiale articolato e molto più complesso di quello che sembra. Complesso come spiegare le emozioni di un ritorno a casa su un’isola che è cambiata durante il periodo di un lungo viaggio.
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P.H. Wert The Mechanism of Circular Thought, 2018 Olio e acrilico su tela 160x60 cm P.H. Wert The Mechanism of Circular Thought, 2018 Olio e acrilico su tela 80x80 cm
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Laboratorio Staveco Via Castiglione 65 | 40124 Bologna | www.laboratoriostaveco.com Direttore Sebastiano Curci | Curatore under 35 Carlotta Camarda | Artisti presentati in fiera P.H. Wert
Da Itaca all’Emilia: il lungo viaggio del ritorno a cura di Carlotta Camarda Il concetto greco di nostos (gr. νόστος), ovvero il “ritorno a casa”, viene utilizzato in letteratura per trasmettere quel senso di circolarità del viaggio dell’esistenza il cui fine ultimo è arrivare a noi stessi. Questo senso del ritorno in patria, tema fondamentale del poema omerico che celebra il viaggio di Ulisse verso Itaca, si può ricondurre graficamente alla figura del cerchio: c’è un punto di partenza che procede in avanti ma con il desiderio di tornare indietro, verso la patria. Indietro verso l’origine di tutto. L’immagine del cerchio nasce inconsciamente anche sulle tele di P.H. Wert: nella serie The Mechanism of Circular Thought appaiono strutture geometriche astratte che ricordano un misterioso codice segreto, come un alfabeto creato dalle mani di un esperto ingegnere. Non si tratta però di una serie di disegni tecnici progettati per costruire una macchina del futuro; pur nella staticità della rappresentazione pittorica, eseguita con olio e acrilico su tela, questi ingranaggi immaginari rimandano in modo più metafisico, allo scorrere del tempo, al divenire delle cose e degli eventi. “Occorre innanzitutto tracciare delle linee orizzontali e verticali per trovare un centro. Da lì si crea il cerchio per poi cercare l’equilibrio di tutte le altre forme”. Con queste parole l’artista ci spiega il punto di partenza del meccanismo del pensiero circolare: la riproduzione ossessiva di un universo composto da forme concentriche, da linee e da intrecci da cui nasce il bisogno di ricercare equilibrio e armonia attraverso la pittura, entrando in un mondo onirico, ancora inesplorato. Il desiderio della scoperta dell’ignoto è il motore che spinge Ulisse nel viaggio verso casa. Itaca non è quindi solo la meta da raggiungere, ma rappresenta soprattutto lo stimolo alla conoscenza, alla ricerca dei ricordi e della vita già vissuta. Proprio come nel viaggio di Ulisse, P.H. Wert compie un viaggio nell’inconscio, alla ricerca della propria identità, legata alle sue origini. Ipnotizzati dal movimento rotatorio dei suoi ingranaggi, l’artista ci proietta nel passato, nel suo luogo di nascita, la provincia emiliana, provincia agricola ma già motorizzata. Ed ecco che un luogo del passato ritorna nel presente attraverso l’arte: l’azione di questi meccanismi è simile ad un viaggio circolare, un procedere incessante dall’inizio fino al suo termine, che poi è ancora di nuovo la partenza. Il principio coincide con la fine in una danza infinita, fatta da forme delicate che sembrano quasi ricamate sulla tela, sospese nel vuoto cosmico come pianeti e satelliti del nostro inconscio. La fine non è altro che un uguale ma rinnovato inizio, la partenza per un nuovo viaggio, una nuova esperienza.
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Rubens Fogacci Aquila Isola St. Kilda (Regno Unito), 2018 Tecnica mista su carta 26x17,5 cm Michele Liparesi Lince, 2018 Rete metallica e led 45x90x45 cm
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Link Art Gallery 2 S Biscayne Blvd Ste | 2490 Miami (Fl) | 33131 (USA) | www.linkartgallery.com Direttore Deborah Petroni | Artista under 35 Michele Liparesi | Curatore under 35 Denisa Tafa Artisti presentati in fiera Marco Fajer, Rubens Fogacci, Michele Liparesi
Nata nel 2015 a Miami, la Link Art Gallery ha da subito espresso interesse verso l’arte contemporanea ed i suoi protagonisti. Collabora con artisti, designer e architetti per progetti site specific. Si occupa di design contemporaneo, dedicando particolare attenzione alle sperimentazioni nel campo della pittura e della scultura. Partecipa a fiere indipendenti internazionali attirando l’attenzione di collezionisti, architetti e case d’asta, con cui collabora fin dagli esordi. La Link Art Gallery ha di recente avviato un programma di ricerca volto alla valorizzazione dei talenti emergenti, italiani e stranieri, che sono presentati durante l’anno in location sempre differenti, con progetti specifici e selezionati secondo la mission dei vari curatori che collaborano con la Galleria stessa.
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Ventura A. Pérez Folie 2 (Serie escultórica), 2014 Cassaforma in gesso e maquette 50x70x60 cm Mariana Álvarez (colectivo Estudio Abierto) Victoria, 2018 Tecnica mista. Fotografia, pittura, metacrilato. 100x100 cm
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MAC FLORENCIO DE LA FUENTE Monasterio de la Merced 1 | Huete (Cuenca), Spagna | www.macflorenciodelafuente.es Presidente Consuelo Chacón | Direttore Paula Cabaleiro | Artista under 35 Ventura A. Pérez Curatore under 35 Paula Cabaleiro | Artisti presentati in fiera Ventura A. Pérez, Colectivo Estudio Abierto (Silvia O’Hara, Salvi Morales, Marta Lastra, Concha Tejeda, Mariana Álvarez)
Ítaca (o el viaje a ninguna parte) a cura di Paula Cabaleiro
Una patria senza identità. Un viaggio verso il nulla. Una odissea piena di vicissitudini, dove il crocevia diventa un labirinto. Vagabondare, senza sapere, se un giorno, tornerai a casa. MAC ritorna a SetUp Contemporary Art Fair per presentare un progetto espositivo in cui le opere riflettono sulla storia mistica del viaggio, del ritorno a casa e di un Ulisse stanco che dopo 10 anni rientra in patria. Il MAC Florencio de la Fuente attraversa ancora una volta le acque del Mediterraneo alla ricerca della bella Itaca (o l’antica Bologna), dove l'arte e la letteratura si fondono in questo esercizio introspettivo per raggiungere le nostre origini. Il nostro territorio. In questa sorta di "casa", Ventura A. Pérez (Vigo, 1992 - under 35) ci introduce ad Itaca, l’isola “perduta” nel Mar Ionio, attraverso la sua “cose-case” con un bel gioco tra scala e l'utopia, il collettivo madrileno Estudio Abierto (formata da Silvia O'Hara, Marta Lastra, Salvi Morales, Mariana Alvarez e Concha Tejeda) raccontano il duro viaggio, fatto di acqua, marea, conflitto e volo. Così, nelle “cose-case” di Ventura A. Pérez, vedremo la scala come un collegamento tra l’architettura [casa] e scultura [cosa] in relazione diretta con lo spazio utopico, la loro personale Itaca. E come tutto lo spazio utopico non è quasi mai stato abitato o vissuto. È relegato alla brama o al desiderio dello spazio. Forse per la leggenda o la storia. All’Odissea. La sua opera ci ricorda “scritti che volevano essere (o diventare di nuovo) case”, come Utopia di Thomas More, el Paraiso giudaico-cristiano, quella Itaca dell’Odissea o il poema omonimo di Konstantinos Kavafis. Anche “cose che volevamo essere a casa”, come il Monumento alla Terza Internazionale di Tatlin, il Cenotafio di Newton Boullée o Il Giardino delle Delizie di Hieronymus Bosch. D'altra parte, il collettivo Estudio Abierto (Madrid) evoca la durezza della tempesta, la resistenza, la speranza, il limite e il confine. Salvi Morales mostra le onde di un mare agitato, profondo, pieno di mistero e salnitro; il viaggio di Ulisse, solcando l’ira di Poseidone. I collages di Marta Lastra evoca la città, immobile, congelata nel tempo, che mantiene la sua impronta nella memoria, una specie di eco di speranza. Il viaggio come fuga esce nelle opere di Mariana Alvarez, in cui il desiderio utopico di una vita migliore finisce in un viaggio omerico in una particolare odissea, con un infausto finale. È un altro destino. Concha Tejeda rappresenta l’altro aspetto del viaggio: l’attesa di Penelope. E con Silvia O’Hara siamo arrivati, siamo tornati in città. A Bologna. Per Itaca In una città frammentata, labirintica e velata. Il movimento frenetico del traffico, disegna il viaggio. Lo offusca. Un viaggio, una strada, come direbbe Charles Simic, verso il nulla.
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NemO’s Sgombero Pianto, 2018 Acrilico e china su carta 100x70 cm NemO’s Protezione dei Confini, 2018 Acrilico e china su carta 70x100 cm
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Magazzeno Art Gallery Via Magazzini Posteriori, 37 | 48122 Ravenna | www.magazzeno.eu Direttore Alessandra Carini | Artista under 35 NemO’s | Curatore under 35 Benedetta Pezzi Artisti presentati in fiera NemO’s
NemO’s: l’artista del paradosso che racconta la decadenza contemporanea a cura di Benedetta Pezzi «Molti artisti, davanti ad una tela bianca, iniziano con piccoli segni. Stanley iniziava con grasse pennellate di colori primari, e poi insisteva su quei concetti»; così Steven Spielberg definiva l’arte del grandissimo Stanley Kubrick, il cui pensiero è molto affine a quello di NemO’s, artista italiano, da tempo presente anche sulla scena internazionale, che fa gravitare ogni sua idea attorno ad un’icona dal fortissimo e, a tratti, disturbante, aspetto: un personaggio apatico, occhi che fissano il vuoto e pelle molto chiara, flaccida. «Il mio lavoro si basa sul corpo umano: per un discorso semiologico rappresento sempre esseri umani di sesso maschile, che sono diventati per me un’icona. Cerco di costruire e decostruire, smontare e rimontare l’essere umano nella sua forma biologica e nella sua parte esistenziale e psicologica». Decadente, indifeso da tutti, ma soprattutto da se stesso, vittima delle proprie azioni e scelte, quest’icona viene rappresentata nuda, libera da artefici accumulati nel tempo, nella sua condizione più naturale, al cospetto delle situazioni più comuni della vita di ogni uomo, irrobustite dalla potenza del paradosso; tramite questo strumento, che ci rimanda al lavoro del celebre regista, per il quale NemO’s nutre una forte stima e ammirazione, quest’ultimo riesce ad esplicitare e risaltare quell’aspetto più basico e istintivo dell’essere umano, che lo accomuna agli animali: entrambi infatti sono vittima delle stesse pulsioni ataviche, che siano di carattere territoriale, che istighino alla violenza o alla possessività, ma che nell’uomo assumono un valore diverso, in quanto amplificati dalla ragione e dalla consapevolezza che ci guida. È proprio attraverso quest’icona che NemO’s ci presenta la sua visione di “Itaca”, un’esperienza in cui la meta è il viaggio stesso, rappresentato nelle sue molteplici sfaccettature, e che vede protagonista l’aspetto più esistenziale del viaggio, e del non-viaggio (quello che ci tiene saldamente aggrappati alle nostre terre, o che ci permette di viaggiare solo con la mente e l’immaginazione), soffermandosi anche su quella che l’Artista definisce “l’odissea moderna”, quel viaggio infinito e maledetto che strappa le persone dai propri letti disfatti, promettendogli una vita migliore, coronata di sogni e aspirazioni, che purtroppo nella maggior parte dei casi, affondano in un mare di burocrazia, razzismo e ignoranza. Citando il celebre Mito della caverna di Platone, è allora necessario esperire il mondo attorno a noi per conoscerne i pregi e i limiti, analizzare la fragilità umana e i suoi paradossi per capire la società in cui viviamo, partecipando alla realizzazione di quel mondo che sogniamo, unendoci all'uomo nudo di NemO’s e decadere con lui, per poi, forse, e solo forse, riemergere da quel viaggio verso la decomposizione che stiamo affrontando.
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Tommaso Buldini Sylvie Selig, 2018 Acrilico, pennarelli, biro 135x200cm particolare opera Sylvie Selig Sylvie Selig, 2018 Olio su tela 135x200 cm particolare opera
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RIZOMI Str. Nino Bixio, 50 | 43125 Parma | www.rizomi.com - www.artsy.net/rizomi Direttore Nicola Mazzeo | Artisti presentati in fiera Tommaso Buldini, Sylvie Selig
Sylvie Selig a cura di Maria Chiara Wang Sylvie Selig è l’opera con cui Tommaso Buldini vuole raccontare l’incontro con l’autrice di Crocodile & Pierrot, libro che ha accompagnato la sua infanzia creando suggestioni, passione per il disegno e per quell’infinità di personaggi che hanno contraddistinto la lunga carriera dell’illustratrice francese. Il progetto prevede un ‘dittico di tele specchiate’, affiancate, in dialogo: da un lato quella del giovane artista bolognese - un paesaggio ricco di demoni, mostri, castelli, nevrosi - dall’altro, lo stesso dipinto commissionato da Buldini alla Selig e reinterpretato secondo la sensibilità di quest’ultima. L’intento è di chiudere un cerchio tornando là dove tutto è iniziato: dalle paure amplificate dei bambini, all’amore dato e negato, confrontandosi con quel vortice polimorfo di frammenti di sé, persi nel tempo, ma che ancora parlano all’adulto. Le opere di Tommaso sono strettamente connesse alle sue esperienze di psicoanalisi. Sono come mappe mentali del subconscio, che lo conducono alla scoperta di sé, composizioni dense e caotiche in cui traspone tutto il lavorio del mondo interiore, l’accavallarsi di pensieri, emozioni e ataviche paure. Buldini, seguendo i ‘principi’ dell’arte grezza, esorcizza mediante la pittura - i suoi fantasmi e lo fa con maestria e precisione, armonizzando le loro voci come un direttore d’orchestra che poco a poco riporta all’ordine il caos iniziale. Ciò che accomuna Tommaso e Sylvie è il senso di libertà che entrambi provano nel confrontarsi con le opere di grande formato, come se la pletora di soggetti ritratti - un brulichio chiassoso di figure apotropaiche affastellate - esorcizzasse ancor più sulla grande scala quell’horror vacui che ha contraddistinto buona parte della storia dell’arte. Una spinta quasi compulsiva a colmare ogni vuoto mediante l’uso di un decorativismo lussureggiante caratterizzato da particolari finemente tratteggiati. Una sorta di eco bidimensionale delle sculture di Jake e Dinos Chapman, capace - come le opere dei due fratelli inglesi - di spostare il confine dell’immaginazione oltre a ciò che viene canonicamente ritenuto ‘bello ed accettabile’. Tommaso, come molti esponenti del Low Brow e del Pop Surrealismo, trae ispirazione per i propri soggetti dal mondo del cinema (horror), della musica e del fumetto, risultando decisamente figlio del suo tempo e di quella Bologna degli anni ’90 in cui ferveva l’Underground. Buldini - con uno stile tra pittura, grafica e illustrazione, mediante un’estetica che abbraccia l’onirico, il grottesco e il bizzarro - crea un metaspazio, uno spazio altro, surreale, promiscuo, ambiguo, a tratti macabro; un mondo ipercromatico che attrae a sé lo spettatore suscitando sensazioni intense e contrastanti: dallo stupore, alla paura, dalla curiosità alla repulsione.
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Enrico Fico Sostienimi #4 [o con amore o con odio], 2018 Scatola in ferro, vertebra animale, carta, cera e testo diam. 13, prof. 10 cm ph Enrico Fico Roberto Ghezzi Naturografia di fiume, 2017 Elementi naturali su tela 50x50 cm
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Tiziana Tommei Contemporary No place space | www.tizianatommei.it Direttore Tiziana Tommei | Artista under 35 Enrico Fico | Curatore under 35 Tiziana Tommei Artisti presentati in fiera Enrico Fico, Roberto Ghezzi
Seconda a destra, e poi diritto fino al mattino. (Raison d’être) a cura di Tiziana Tommei
Potrei parlare di acqua. Della materia che bacia e deposita sulle tele di Roberto Ghezzi residui organici, disegnando forme astratte e informali; della stessa che ha restituito, dall’oceano, le ossa raccolte da Enrico Fico, e da questi purificate e incastonate nella cera. Potrei parlare di scrittura. Del messaggio che la natura concentra su tessuti di organza, lino e cotone, che divengono radiografie di elementi vitali nella poetica delle Naturografie di Ghezzi; di quello affidato da Fico a cartigli che accompagnano l’immagine, seguendo una geometria degli spazi che parla di un rapporto aperto e in perenne fluire. Potrei parlare di amore. Del sentimento che muove le cose, che innesca e guida l’ideazione; lo stesso che porta Ghezzi ad affidare alla natura le sue opere e a condividere con essa il processo creativo; il sentire che corre sotto gli strati di cera e la poesia visiva di Fico, intento ad instaurare con gli oggetti un dialogo silenzioso. Potrei parlare di Dio. Dell’entità che ci sovrasta e che trova sostanza nella natura e nell’uomo. Se le opere di Ghezzi assorbono e trattengono come sindoni genesi e tangibilità di ciò che scorre ed è sospeso, la produzione di Fico - dalle composizioni fotografiche d’archivio, oggi reinterpretate in chiave informale, ai progetti più recenti quali Sostienimi e The Cross - si mostra costantemente legata dal filo invisibile del mai sciolto appello a Dio. Potrei infine rapportare ciascun tema sopra citato al viaggio di Ulisse verso la sua Itaca. Eppure voglio scrivere di ciò che Itaca rappresenta oggi per la mia generazione, per quelle subito antecedenti e immediatamente successive. Itaca è un miraggio: un punto fermo, ricettacolo di pace e amore, salvezza e armonia, stabilità e futuro. “L’isola che non c’è”, ma che desideriamo: la realtà per la quale lottiamo quotidianamente, per costruire, migliorare ed elevare noi stessi. Un percorso lungo e difficile, come quello dell’eroe di Omero, che passa incolume attraverso vacui canti, per il raggiungimento della propria raison d’être. In questo processo, l’arte, quale potenza immaginifica di percezione del reale e di ridefinizione del mondo, assume un ruolo centrale, a tutti i livelli e soprattutto sul piano di chi emerge, perché a questi appartiene il domani. Gli chiese dove abitava. «Seconda a destra - disse Peter - e poi diritto fino al mattino» «Che indirizzo buffo!» «No, non lo è» disse. (James Matthew Barrie, Peter e Wendy, Edizione Studio Tesi 1994)
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Sergio Policicchio Portatore di fuoco, 2018 fotografia e marmo su tavola 100x70 cm particolare Sergio Policicchio Il canto del fuoco, 2018 Fotografia, marmo e vetro su tavola 100x70 cm
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Vibra – spazio contemporaneo di idee – Via M. Fantuzzi, 8 | 48121 Ravenna | www.spaziovibra.it Direttore Andrea Pollini | Artista under 35 Sergio Policicchio | Curatore under 35 Erica Fuschini Artisti presentati in fiera Filippo Farneti, Federica Giulianini, Sergio Policicchio
APPUNTI di Sergio Policicchio Viaggio Attraverso il Respiro a cura di Erica Fuschini Pneuma, in greco, significa sia anima sia respiro; la parola latina Spiritus denota anch’essa i concetti di anima e di respiro; ed è il respiro che si trasforma in artefice o demiurgo dell’atto creativo e della creazione tutta. Azione e oggetto arrivano così a convergere nel procedere ritmico del respiro del soggetto; la meta è il ritornare ad essere un punto, l’Uno. Il viaggio si configura, nella ricerca di Sergio Policicchio, come un continuo ritorno all’Origine, quale meta e punto di partenza allo stesso tempo: ogni tessera, ogni pietra minerale raccolta racchiude in sé il potenziale di una vita intera ed il processo creativo e meditativo del posizionamento di queste sul legno permette l’accesso ad una dimensione atemporale e primaria. L’incalzare fulminante dell’ispirazione si contrappone così alla consapevole lentezza della creazione che segue il ritmo respiratorio dell’artista; si tratta di un profondo processo meditativo la cui meta è il raggiungimento dell’idea pura, dell’essere al di là delle sovrastrutture e del Sé divino infinito. Fermarsi per lavorare sulla propria ricerca, come afferma Sergio, significa anche sottrarsi al flusso della vita, mettendo in pausa, per un attimo, lo stesso respiro; l’atto creativo arriva quindi a sfiorare da vicino la dimensione della morte. Eppure è lì, al limite estremo del viaggio, al massimo confine, che scocca la scintilla della vita; quella che sembrava morte si rivela quindi rinascita e da quella sospensione, da quel sottrarsi intuitivamente consapevole, si arriva finalmente a respirare davvero, nel profondo. Prima i volti ed ora i corpi interi, la cui gestualità risulta immortalata e cristallizzata dal medium fotografico, diventano dei luoghi, dei punti di focalizzazione sui quali concentrare lo sguardo e la mente per fermare il tempo esterno, così da poter ascoltare e seguire solo quello interiore, scandito dal battito del proprio cuore e dal respiro. Ogni pietra minerale, ogni granello di marmo, parla all’artista durante il suo viaggio, guidandolo attraverso la visione che sottilmente e inesorabilmente questa gli instilla illuminandolo. È un processo di scambio, in cui la pietra racconta all’uomo di luce, spazio, tempo e di stelle, mentre l’artista, in ascolto, le restituisce manifestazioni concrete di quelle idee attraverso il processo creativo. Come afferma Sergio, il visivo senza il sonoro porta verso l’irreale della materia e dirige il viaggio all’origine, suscitando ad ogni punto di arrivo la sensazione antica del ritorno. Ed è un eterno ritorno, al ritmo ciclico del respiro, quello che compie l’artista, raggiungendo ogni volta la sua Itaca per rilasciarla e riscoprirla, rinnovato, all’infinito.
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2501 Moto circolare, 2018 Monotipo 75x48 cm Alex Fakso Heavy Metal, 2006 Digital print 100x70 cm tiratura 1 di 10
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VICOLO FOLLETTO ART FACTORIES Vicolo Folletto, 1 | 42121 Reggio Emilia | www.vicolofolletto.it Direttori Lia Bedogni, Tiziano Scalabrini | Curatore under 35 Chiara Scalabrini Artisti presentati in fiera 2501, Alex Fakso, Honet
Viaggio clandestino verso il mercato. a cura di Chiara Scalabrini L’avvicinamento di una galleria alla street art è un viaggio, tanto affascinante quanto pericoloso. Individuare una rotta sicura è la prima sfida, perché nel comune sentire, e soprattutto nel sentire degli artisti, l’accostamento fra street art e mercato costituisce un ossimoro, se non un’antitesi assoluta. È un viaggio verso una meta incerta e difficile: la conciliazione fra arte urbana e mercato. È dunque un viaggio che vale la pena di intraprendere? anche perché è un viaggio che per gli artisti, nostri inevitabili compagni di viaggio, quel mercato, che per noi è la meta, è pur sempre e da sempre “sterco del demonio”. Bisogna dunque tracciare la rotta assieme a loro. La stella polare che Vicolo Folletto ha individuato passa attraverso la documentazione come arte. Ma la riproduzione di un’opera d’arte (o della “performance involontaria” attraverso cui viene creata) può essere a sua volta arte? E, sul versante opposto, essa sarà in grado di soddisfare il desiderio feticistico, il senso di possesso, la bulimia acquisitiva che pervade ogni collezionista e che è il vento che lo spinge nella sua ricerca? Alcuni artisti che affondano le loro radici nella strada e nella clandestinità hanno già indicato questa rotta. Costoro percorrono parallelamente tre vie: continuano nella creazione di opere tanto clandestine e illegali quanto spettacolari; documentano con strumenti di qualità le loro opere e le loro performances; ne riproducono copie di altissima qualità e infine le offrono al mercato in edizioni limitatissime, riconoscendone la paternità. Il connubio di queste tre azioni consente a costoro di mantenere radici in quello stesso ambiente nel quale sono nati e cresciuti, garantendo loro immutata reputazione. E forse li aiuta a tacitare la coscienza. Dalla nostra sponda, quella del mercato, consente di godere di opere che hanno ancora e forse manterranno per sempre quella freschezza di pensiero e quel senso di ribellione, che tanto ci piace e che rende la nostra meta così affascinante. I mercanti, i collezionisti e i musei, se vogliono essere artefici della crescita della street art, anche in termini economici, senza provocarne la fine per progressiva perdita di valori e di contenuti, non potranno che comprendere e affrontare questi problemi, e anzi, ancor meglio, individuare una rotta sicura che, senza cedere alla tentazione di disconoscere l’origine di quel viaggio, privilegi una visione di lungo termine ad una prospettiva di un più immediato guadagno, irrispettosa della volontà e del pensiero degli artisti. Artisti senza i quali, non dimentichiamolo, questo viaggio non sarebbe neppure cominciato. Su questa rotta si muove il navigare di Vicolo Folletto attraverso il turbolento mare della street art.
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Thomas Scalco Origine, 2018 Tecnica mista su tela 125x110 cm Thomas Scalco Senza titolo, 2018 Olio e acrilico su carta 21x23,5x9 cm
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VILLA CONTEMPORANEA Via Bergamo, 20 | 20900 Monza (MB) | www.villacontemporanea.it Direttore Monica Villa | Artista under 35 Thomas Scalco | Curatore under 35 Gabriele Salvaterra Artisti presentati in fiera Thomas Scalco
Thomas Scalco. Itaca non esiste a cura di Gabriele Salvaterra Itaca è tutto e allo stesso tempo non conta nulla. È il punto a cui tendere, l’obiettivo agognato, l’insperato sollievo dopo la fatica. Itaca stessa è un trofeo che si dà con difficoltà, non senza le necessarie prove e gli inevitabili ostacoli. Ma da sola non varrebbe molto se non fosse anche e soprattutto il motore della storia, il pretesto per l’intreccio, la creazione di itinerari imprevisti e laterali che poco hanno a che fare con la traiettoria retta che congiunge facilmente due punti. La divagazione è quindi il procedimento simbolico della narrazione omerica: un ritrovarsi finale in un luogo conosciuto che è però funzionale a un sofferto ma fertile perdersi, dove il tragitto diventa occasione di arricchimento e crescita. Non è per circostanza che la ricerca di Thomas Scalco può essere accostata al viaggio di ritorno di Ulisse. Come già discusso in altre sedi, per l’artista il fine della propria pratica non è tanto ciò che si concretizza nel lavoro concluso, quanto, piuttosto, la stessa pratica di sperimentazione e verifica continua attraverso cui egli cerca un contatto profondo con la realtà, non mediato da concetti o parole. Ciò che si materializza in questo processo sono le vere e proprie opere, oggetti che germinano lungo il percorso come effetto naturale, ma derivato, di una tensione indirizzata a una meta. Il lavoro è, quindi, il percorso e l’Itaca di Scalco un punto trascendente che non potrà mai essere toccato ma soltanto accarezzato come un asintoto, dove una retta e una curva si avvicinano costantemente senza mai potersi intersecare. Ed è un bene che ciò non avvenga perché la tensione rimanga costante e il mistero sempre vivo, spinto più in là come muto presentimento. Per tutti questi motivi i lavori di Scalco mantengono una loro coerenza procedurale, di metodo, che si riconosce anche negli esiti più disparati, dai lavori bidimensionali a quelli scultorei. In essi si ritrovano gli stessi contrasti presenti nella narrazione omerica tra l’ambito della memoria, del racconto, della razionalità portati dai Feaci, e quello della libertà, dell’istinto e della dimenticanza tipici dei lotofagi. Sanare queste tensioni e approdare al traguardo corrisponderebbe alla fine di tutto e alla morte. Neppure Dante, infatti, riesce a immaginarsi un Ulisse accasato e imborghesito: “né dolcezza di figlio, né la pieta del vecchio padre, né ‘l debito amore lo qual dovea Penelope far lieta, vincer potero dentro a me l’ardore ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto e de li vizi umani e del valore”1. Anche giunti a Itaca si riparte nuovamente in un’ammissione di tracotanza che è però motore insopprimibile dell’agire umano, nel bene e nel male. Una volta arrivati ci si riallontana, dunque, tanto nella mitologia, quanto nella vita o nell’arte, e la meta è importante solo come assenza. 1
Dante, Divina commedia, Inferno, XXVI, vv. 94-99.
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Valeria Vaccaro Senza titolo, 2018 Marmo e inchiostro Alessandra Baldoni Scrigni, 2018 Stampa fotografica, acciaio, vetro, alluminio
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Zeit Gallery Via Stagio Stagi, 73 | 55045 Pietrasanta | www.zeitgallery.it Direttore Jurji Filieri | Artista under 35 Valeria Vaccaro | Curatore under 35 Ottavia Pertici Artisti presentati in fiera Alessandra Baldoni, Giovanni De Gara, Valeria Vaccaro
Nothing to Declare a cura di Ottavia Pertici Nothing to Declare è il progetto ideato da Ottavia Pertici e Zeit Gallery per SetUp, che ricostruisce, nel vuoto dello spazio espositivo, immagini diverse di una delle più primordiali vocazioni dell’uomo: il viaggio. Le opere dei tre artisti in mostra, Alessandra Baldoni, Giovanni De Gara e Valeria Vaccaro, seppur con sensibilità diverse e mediante riflessioni “deviate” dalle interpretazioni personali di ciascuno, giocano” e manipolano ingredienti ineluttabili di ogni peregrinazione degna di nota, aggiungendo sfumature al profilo schizofrenico dell’Odisseo contemporaneo, ormai distante anche dal suo ritratto più recente, fatto da Joyce. Curiosità, conoscenza, desiderio, speranza, paura, tempo e smarrimento si fondono dentro un amalgama dallo straordinario potere fascinatorio, che da sempre spinge l’uomo verso l’ignoto e da cui trae origine lo storico dualismo tra il “qui” e l’”altrove”, cui sono ancorate le vicende di Ulisse. In questa miscela Alessandra Baldoni isola immagini nitide e precise di speranze e paure, quasi come in un’indagine sociale, per farne fantasmi di parole lungo la rotta per Itaca, descritti solo attraverso il vetro opaco dei suoi scrigni. Stimoli e ombre sulla via di un approdo instabile, che l’uomo perennemente stenta a distinguere. Nothing to Declare è la soglia fisica contemporanea che separa queste immagini dalla quieta vita d’occidente, il viaggio dalla casa; un confine, un traguardo per alcuni, immaginario e simbolico, maturato attraverso l’esperienza del diverso e dell’inatteso. Itaca infondo è solo la meta, la tappa finale, addirittura meno interessante, di un mondo FRAGILE (come il nome dell’opera di Giovanni De Gara, in cui l’artista “aggiorna” la guida turistica di città colpite da attentati, con i fori di spari e proiettili), dentro al quale gli eventi e le circostanze disegnano “mappe del tesoro”, che assomigliano sempre più a percorsi-vita. La condizione “migratoria” è divenuta, ormai sempre meno transitoria e racchiude anzi proiezioni molteplici di un’incontestabile precarietà del corpo e della mente, per la quale siamo tutti nomadi di corsa, in cerca del proprio Eldorado. Il tempo, dopo quella onirica e geografica, è l’ultima dimensione dello spazio dentro al quale si consuma il viaggio e il percorso espositivo creato. Un tempo che brucia inesorabile senza mai esaurirsi, proprio come il marmo delle sculture di Valeria Vaccaro, annerito da combustioni apparenti, che non consumano il materiale ma lo rigenerano trasfigurandone l’aspetto, nel più straordinario ed emblematico paradosso di vita: il tempo trascorso.
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Off Projects
The way we touch the ground | Barbara Baroncini
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Esegesi della libertà | Luca Maria Castelli, a cura di Maria Letizia Tega
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Islanders | Marta Pujades, Ricardo Miguel Hernández, Moneiba Lemes/Alby Álamo, César Schofield Cardoso, a cura di Manuela Valentini
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Rappresentazione del cosmo | Caterina Morigi
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VISIBILE – INVISIBILE | Francesco Bartoli, Massimiliano Moro, a cura di Anna de Fazio Siciliano e Francesco Bartoli
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I’(m) SOLA | Marina Visentini, Elena Copelli, in collaborazione con Teatro Magro
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Barbara Baroncini The way we touch the ground, 2018 Installazione video Photo Credits Olivia Coeln
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The way we touch the ground Una lunga striscia di argilla, pensata come una vera e propria scultura, viene arrotolata su se stessa in seguito alla ripetizione di un unico gesto. L'argilla è fresca e trattiene su di se tutto ciò che incontra lungo il cammino. Nel procedere la materia si aggiunge, non si sceglie né si sottrae. Terra con terra, argilla sull'argilla, morbidezza contro morbidezza, fertilità nella fertilità. Barbara Baroncini mostra le sue mani riprese dall'altro mentre processano il gesto ciclico della raccolta e le riporta nella video installazione presentata per SetUp Contemporary Art Fair 2019. L'azione è colta nel suo procedere, non si conosce l'inizio e al contempo si esclude la fine. L'uso improprio del materiale e le peculiarità della materia sono gli elementi coi quali Barbara Baroncini parla del suo lavoro: un lungo percorso in cui il processo e la fatica sono le componenti che contraddistinguono la dimensione del fare.
Barbara Baroncini Barbara Baroncini (1989) vive e lavora a Bologna. È diplomata in Arti Visive all'Accademia di Belle Arti di Bologna e dal 2012 è borsista presso la Fondazione Collegio Artistico Venturoli di Bologna, dove ha lo studio. Dal 2018 è assistente del corso di Scultura all'Accademia di Belle Arti di Bologna. Nel 2019 espone nella mostra personale How to get to nelle sale dell'ex Refettorio dell’Istituto Storico Parri di Bologna con la curatela di Artierranti. Nel 2018 espone nella mostra Under the influence, a cura di Antonio Grulli, Fondazione Collegio Artistico Venturoli e nel 2017 è tra gli artisti invitati alla Biennale Giovani di Monza, Serrone di Villa Reale, Monza. www.barbarabaroncini.com
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Luca Maria Castelli Penelope, 2018 Light box in alluminio, stampa digitale fine art su pellicola vinilica applicata su metacrilato colato 60x60 cm
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Esegesi della libertà a cura di Maria Letizia Tega
Mi era finalmente concesso di comprendere il mito di Penelope, di cui non ero certo la sola vittima: non annientiamo tutti, di notte, il personaggio che componiamo durante il giorno, e viceversa? La moglie di Ulisse stava al gioco dei Proci e tesseva la tela per tornare a essere, col favore delle tenebre, l'eroina altera della negazione. La luce favoriva la commedia stanca della cortesia, le tenebre lasciavano all'essere umano solo la sua rabbia distruttrice. Amélie Nothomb
Nelle fotografie di Luca Maria Castelli è ritratta una Penelope contemporanea che, oggi come allora, vive di contraddizioni. Le fotografie in mostra sono una mise-en-scène precisa dei numerosi legami tra la sofferenza e la tensione sessuale. Una modella non convenzionale, ripiegata su se stessa, è vittima eppure protagonista, di un esperimento volto a indagare le perversioni dell’animo umano. La ragazza subisce una pratica non a tutti riconoscibile: viene ricoperta di lattice liquido, che solidifica a contatto con l’aria. Inizialmente prigioniera, la donna vive una metamorfosi che culmina con la sua liberazione. Castelli dimostra quanto l’erotismo affondi le sue radici nella semplicità e non risieda necessariamente nella volgarità o nell’esibizione del nudo: di Penelope vediamo soltanto pochi centimetri di pelle, tuttavia non riusciamo a staccarle gli occhi di dosso. L’indagine di Castelli è fulminea: gli scatti sono come fotogrammi di un film, non vi è tempo per fare prove o per ricominciare daccapo, quella che vediamo è una cronaca diretta della trasformazione della ragazza, come se avvenisse davanti a noi. L’immediatezza è l’elemento distintivo di un fotografo che dimostra la sua completezza e la sua esperienza, grazie agli anni in cui ha lavorato all’estero e con la fotografia di moda, in un’epoca in cui ricorrere alla postproduzione non era neppure contemplato. Nelle immagini di Luca non c’è postproduzione, questo le rende testimoni sincere di un istante che non abbiamo potuto vivere, di cui soltanto lui è spettatore diretto. Noi lo vediamo attraverso il suo obiettivo. Un progetto in cui rivela la sua personalità, arrivato dopo anni di attesa e riflessione. La donna che rappresenta Castelli è libera, eppure imprigionata nel suo erotismo: è questa la tela che è nel contempo una salvezza e una condanna, per lei. E se nel poema Omerico Penelope esisteva soltanto in funzione di un uomo, qui è protagonista assoluta del suo racconto.
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La forte fragilità dell’eros è animata dal contrasto tra bianco e nero, accentuata dalla retroilluminazione delle lightbox che, valorizzando il flusso luminoso e lo spazio vuoto, conferiscono alla temperatura del nero un ruolo fondalmentale nella definizione del soggetto. La donna che vediamo ritratta descrive il dualismo che costituisce la femminilità: fatto di forza e insicurezza. Di tenerezza, ma anche di dominio spirituale. Penelope, ci svela alla fine, non è una vittima ma è complice di quello che era soltanto un gioco di seduzione.
Luca Maria Castelli Luca Maria Castelli nasce a Bologna e comincia la sua attività di fotografo a Monaco di Baviera. Si trasferisce a Milano dove lavora con diverse aziende di moda, progettandone la loro immagine identitaria. Nel corso degli anni si misura con il ritratto, facendone una cifra distintiva del suo lavoro. Ha esposto i suoi ritratti in diverse personali, si segnalano in particolare quelle allo Spazio Armani (Milano, 2012) e a Palazzo Marino (Milano 2010). Attualmente Castelli ha intrapreso un percorso sull’erotismo, concentrando la sua ricerca sull’analisi dei suoi aspetti più profondi.
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Maria Letizia Tega Nata a Bologna il 21 aprile, ha 35 anni. É storica dell’arte, laureata all’Università di Bologna in Semiotica del visibile. Si specializza a Milano presso la Business School del Sole 24 Ore, con un master in Economia e Management dell’Arte e dei Beni Culturali. Ha curato numerose mostre ed è stata membro della giuria del Prima Pagina Art Prize di Quotidiano.net (edizioni 2014 e 2105) Ha scritto per Che tempo che fa, in onda su Rai Uno, e attualmente lavora al programma tv Lessico Amoroso, di Massimo Recalcati.
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Alby Álamo Opening RE:, Berlin, video, 2’ 16”, 2014 Moneiba Lemes Conte d'Eté, video, 1' 41’’, 2011
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Islanders a cura di Manuela Valentini Marta Pujades, Ricardo Miguel Hernández, Moneiba Lemes/Alby Álamo e César Schofield Cardoso sono islanders, giovani videoartisti che provengono rispettivamente da Palma di Maiorca, Cuba, Gran Canaria e Capo Verde. Attraverso il linguaggio delle immagini in movimento, essi sono chiamati a formulare risposte personali a molteplici quesiti: cosa significa essere isolani? Quanto la propria condizione di insularità può influenzare il carattere del singolo, l’identità di un popolo, le relazioni con gli altri, il rapporto con la natura e le abitudini? Su un’isola si può nascere, si può giungere per scelta o per destino. Il termine “isolano” può essere accostato alla solitudine, all’isolamento, ma anche alla possibilità di spostamento, al viaggio. «Le isole sono come le idee. Deserte, affascinanti. Operano come riserve, catturano le storie e danno riparo agli uomini sin dalla creazione del primo poema».1 Che si tratti di letteratura, arte o musica il fondamento è il medesimo: l’isola spesso rappresenta il luogo in cui nasce l’ispirazione. L’artista qui trova terreno fertile per scoprire, oltre all”io penso” di Cartesio, l”io sono” teorizzato dal filosofo francese Jean Jacques Rousseau, secondo cui trovarsi soli su un’isola deserta come Robinson Crusoe2 è il modo più efficace per riflettere in maniera adeguata a proposito del valore e delle relazioni delle cose. La stessa immagine può essere definita come un’isola. Il filosofo Ortega y Gasset ha definito le immagini che noi chiamiamo opere d’arte come delle isole, lontane dalla nostra contingenza: «L’opera d’arte è un’isola immaginaria che fluttua circondata dalla realtà da ogni parte».3 L’immagine non cessa mai di essere un’isola, anche quando appare legata ad un testo (illustrazione), ad un corpo (ritratto) o ad uno schermo (video). Innanzi a quella porzione di terra circondata dalle acque, l’artista vede ciò che lo anima, ciò che egli stesso è: qualcosa di separato. Egli percepisce la forma di tutto ciò che si agita in lui, nonché il movimento del pensiero stesso. Pensare qualcosa significa infatti isolarla, perché pensare è isolare; pertanto, per il fatto stesso di essere pensata, ogni cosa assume la forma di un’isola. Quest’ultima non sarebbe tale senza il mare, senza una forza cui si accompagna e capace di separarla, perciò isola è tutto ciò che può essere raggiunto: con il pensiero, con i propri piedi o con qualsiasi altro mezzo. Tuttavia, le isole non sono separate in maniera radicale dal loro ambiente o da un ambiente. Lo sono solo in linea di principio, soprattutto per la loro tendenza a considerare che fuori non vi sia “niente”. Secondo il filosofo Jean-Luc Nancy, infatti, la realtà dell’isola consiste soprattutto nei suoi rapporti: «si parte, ci si viene. Essa si invita da sola ad attraversare il mare che la circonda, a toccare altre terre. L’esposizione - l’essere fuori di sé - costituisce la verità dell’isola»4. La presa di coscienza dell’essere soli consente di percepire il legame inscindibile con il mondo. Il viaggio, l’allontanarsi dall’isola racchiude una sostanziale polarità tra la fedeltà alle radici della terra natia, della patria, dei valori della società e la scommessa della ricerca, della conoscenza piena dell'altro. È rischio di perdita ma anche promessa di conquista, è speranza di ritorno ma anche abbandono angoscioso all'ignoto.
M. de Kerengal, Lampedusa, trad. it. di M. Baiocchi, Feltrinelli, Milano, p. 63 D. Defoe, Robinson Crusoe, Feltrinelli, 2003 3 J. Ortega y Gasset, L’origine sportiva dello stato, a cura di C. Bo, SE, Milano 2007, p. 55 4 J.-L. Nancy, Pensare il presente, a cura di G. Baptist, Cuec, Cagliari 2010, pp. 169-170 1
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CĂŠsar Schofield Cardoso Surrounding Sea, video, 6', colore 2017
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Marta Pujades Reflecting Sunlight on You, HD single-channel video, 16:9, color and audio, 5 min looped 2018
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Ricardo Miguel Hernández Mantum, video 03’40” min, mini DV, NTSC, color, stereo sound 2009.
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Alby Álamo (1977, Gran Canaria) Vive e lavora a Berlino. Negli ultimi lavori la sua ricerca tende a mettere in evidenza come i nostri desideri si siano plasmati a fenomeni quali l’esaltazione della vita atletica, l’egoismo e la celebrità come paradigma di successo universale. In generale la sua arte si concentra sulla produzione di immagini e sulle modalità di riorganizzazione delle stesse. Le sue opere sono state esposte al TEA Tenerife Espacio de las Artes (Tenerife), alla Junef irst Gallery (Berlino), al Centro de Arte La Regenta (Las Palmas), al Guasch Coranty Painting Award, alla galleria Dom Omladine (Belgrado) e al Kunstraum Dreieich (Francoforte).
César Schofield Cardoso (Capo Verde, 1975) È un fotografo e filmmaker. Il suo lavoro presenta uno stretto legame con la politica e affronta tematiche come la libertà, la cittadinanza, le questioni ambientali e urbane. Nel 2006 ha fondato Praia.mov, un movimento di cultura urbana con sede a Praia (Capo Verde), in collaborazione con architetti, artisti e attivisti. Nel 2009 ha prodotto l'installazione video Utopia sul tema della “libertà”. Root(s) uno dei video di questo progetto - ha ricevuto il Premio del Pubblico e una menzione d'onore al Sal International Film Festival di Capo Verde nel 2010. Nel 2009 ha affrontato la condizione del “prigioniero ideologico” nel suo cortometraggio Katharsis. Nel 2011 è stato invitato alla Biennale di São Tomé e Príncipe, per la quale ha prodotto il video Spritu che è stato presentato al City Museum di Lisbona nel 2012. Nello stesso periodo, anche a Lisbona ha esposto Utopia alla Graça Brandão Gallery. È fondatore e autore del blog bianda.blogspot.com che ha ricevuto il plauso della critica dai media di Cabo Verde. Ha co-fondato Ficine Itinerant Forum of Black Cinema (www.ficine.org). Dal 2012 al 2016 è stato coordinatore del Dipartimento di Cinema e Media Arts presso il Ministero della Cultura di Capo Verde. Attualmente dirige i progetti Storia na Lugar (www.storianalugar.net) e Parenthesis - Art, Space, Dialogues.
Marta Pujades (1990, Palma di Maiorca) Si è laureata in Belle Arti all'Università di Barcellona nel 2012. Nel 2013 ha frequentato un master in Fotografia e Design all'Università Pompeu Fabra ed Elisava. Ha partecipato a numerose mostre personali e collettive come The Appearance of Dubious Evidence al CC Felanitx (Felanitx, 2018); Una ripetizione stilizzata di atti al Casal Solleric (Palma 2018); Indice. Señalar un punto indefinido alla galleria
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Xavier Fiol Proyectos (Madrid 2017); August alla Fondazione Michael Horbach (Colonia 2016); De la vora a l'horitzó alla Torre de Ses Puntes (Manacor 2016); Present immediat al Centro di Cultura Sa Nostra (Palma 2017) e La Gran Il·lusió alla Sala d'Arte Giove (Barcellona 2015). Nel 2016 ha ricevuto il Premio per le Arti Visive alla Ciutat de Palma Antoni Gelabert, insieme al XXIII Premio Ciutat de Manacor per le arti visive nel 2016. Recentemente ha ottenuto una borsa di studio per ricercatori al MACBA Study Center (Barcellona 2019) e una borsa di produzione dalla Fondazione “La Caixa”.
Moneiba Lemes (1986, Lanzarote) È laureata in Belle Arti all’Università di La Laguna. Ha esposto in numerose mostre collettive quali Crisis? What Crisis? al TEA Museum di Santa Cruz di Tenerife (2016) e Archeology Fabricated alla Junefirst Gallery di Berlino (2014). La sua ultima mostra personale La fiesta es para todos è stata esposta in alcuni importanti centri dedicati all’arte delle Isole Canarie, tra cui il Centro d’Arte Contemporanea (SAC) di Santa Cruz a Tenerife (2014) e La Regenta a Las Palmas di Gran Canaria (2015). La sua ricerca si basa sullo studio della pittura e dell'audiovisivo da una prospettiva sociologica e intertestuale.
Ricardo Miguel Hernández (L’Avana, 1984) Ha studiato alla Cátedra Arte de Conducta, fondata e diretta da Tania Bruguera. Ha realizzato molte mostre personali a Cuba e all’estero. Tra le mostre collettive a cui ha partecipato ricordiamo Hope all’ESMoA - Museo d’Arte di El Segundo (California) - Doble Play al Foto Museo Cuatro Caminos di Città del Messico, Tatuare la storia al PAC Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano; e ancora Cuba in vivo al Centro DOX per l’Arte Contemporanea di Praga, oltre a Colimadores alla Fondazione Michael Horbach di Colonia. Altre collettive hanno avuto luogo in America, Europa e a Cuba. Ha partecipato a numerosi eventi artistici come The Others Artfair, MIA Artfair, SetUp Artfair, Body Rebellions (Festival di performance video latinoamericano), al Contemporary Cuban Art Salon. Tra i premi ricevuti, ricordiamo la menzione speciale a SetUp ArtFair di Bologna, la borsa di studio per il progetto Discontinuous Room, il Visual Art Development Center (CDAV) di Cuba, il primo premio alla IV Biennale di Fotografia di Cuba e altri premi assegnati al II e IV Festival Internazionale di Video Arte di Camagüey (Cuba). Alcune sue opere sono entrate a far parte della collezione del North Carolina Museum of Art e della Fondazione Sicilia, Palazzo Branciforte.
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Manuela Valentini Lavora tra Roma e Bologna. Laureata in Storia dell’Arte Contemporanea all’Università di Bologna, è curatrice indipendente di mostre d’arte contemporanea in Italia e all’estero. Tra i vari progetti realizzati, si ricorda New Future - una collettiva promossa da Visioni Future, MAMbo e BJCEM - durante la quale sono stati presentati i lavori di tredici artisti visivi selezionati al W.E.Y.A World Event Young Artist di Nottingham. Ha inoltre curato un focus a proposito dell’arte giovane italiana in occasione di Mediterranea 16, la sedicesima edizione della Biennale dei Giovani Artisti del Mediterraneo. Infine, nel 2014 ha portato un’installazione di Marcos Lutyens in esposizione al MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna. Iscritta all’ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna, si è occupata di due rubriche (Ritratto del curatore da giovane e L’altra metà dell’arte) per Exibart - per cui continua a scrivere - ma l’esordio in ambito giornalistico è avvenuto nel 2010 sulle pagine culturali de Il Resto del Carlino.
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Caterina Morigi Bozzetto preparatorio per Rappresentazione del cosmo, Ravenna 2019 Installazione, Scrigno in vetro, mosaico. 1/1
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Rappresentazione del cosmo Custodire tutto l’Universo in uno scrigno è come farlo proprio, è renderlo più raggiungibile. Se nel Medioevo ciò che importava non era una geografia esatta ma rappresentare simbolicamente un mondo composto da luoghi meravigliosi, lontani, irraggiungibili, ‘fabulosi’, l’artista, con il suo lavoro, vuole ricostruire letteralmente e materialmente quell’universo. Caterina Morigi dà corpo a un immaginario, facendolo anche coincidere con il suo personale immaginario di Itaca. Nata a Ravenna, poi allontanatasi per intraprendere il proprio “viaggio”, l’artista ripercorre le tappe del suo percorso di cambiamento e crescita. L’opera Rappresentazione del cosmo è la raffigurazione di un luogo ideale, estrapolato dal trattato di teologia Topografia cristiana di Cosma Indicopleuste, geografo vissuto nel VI scolo. La scultura polimaterica viene realizzata prendendo spunto dall’illustrazione del codice manoscritto conservato alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, raffigurante, all’interno di un tabernacolo, l’universo, ovvero tutto ciò che era ritenuto esistente. In questo lavoro il disegno si materializza in scultura, la pergamena e i colori assumono forme plastiche attraverso l’uso del mosaico. La preziosa tecnica vitrea e lapidea trasporta il focus del progetto verso i monumenti bizantini, i quali sono in grado di custodire la bellezza e la luce dei mosaici come uno scrigno. Il metodo bizantino è costituito da una superficie frastagliata e non levigata, dovuta alla pressione delle dita dei mosaicisti, nel momento in cui posizionano le tessere, ogni tassello ha una diversa inclinazione e gli spigoli vivi riflettono la luce in tutte le direzioni. L'artista agisce dando forma a un oggetto sino ad ora descritto solo a parole e disegnato; nel tradurre l'elemento bidimensionale in oggetto tridimensionale, l’errore viene accolto e non celato: la mano del mosaicista e l’interpretazione dell’artista vanno a colmare le lacune del disegno e materializzano uno spazio nuovo, insieme antico e contemporaneo.
Caterina Morigi (Ravenna, 1981) La sua ricerca si concentra sul passaggio delle soglie, su ciò che lascia un segno e su ciò che lascia il vuoto. Convinta che tutte le persone registrino una traccia delle cose, indelebile o trasparente, l’artista, nel suo lavoro, mette in evidenza il processo di selezione che avviene tra il trattenere e il lasciare andare. Formatasi tra Venezia e Parigi (2017 MA, Arti Visive, Università IUAV, Venezia; 2014-2015 Erasmus program a Parigi, Arti Plastiche, Saint Denis, Parigi; 2013 BA, Arti Visive e Teatro, Università IUAV, Venezia), Caterina Morigi ha preso parte a numerose mostre, sia personali che collettive, come il Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee, a cura di Carlo Sala, Villa Brandolini, Pieve di Soligo (TV), IT (2017), Mutatis Mutandis?, a cura di Lisa Andreani e Arianna Bertoletti, Palazzo Michiel, Venezia, IT (2017), Mine, Video Sound Art Festival ottava edizione, a cura di Laura Lamonea, Albergo Diurno, Milano, IT (2018), That’s IT!, curata da Lorenzo Balbi, MAMbo, Bologna, IT (2018), Teorie E Tecniche Dell’appuntamento, a cura di Lisa Andreani, Anonima Kunsthalle, Varese, IT (2018), Da Franco - Senza Appuntamento, a cura di Niccolò Di Napoli, Vasco Forconi, Andrea Polichetti, Roma, IT (2018), la personale Genealogia di una materia a cura di Chiara Argentino, Label201, Roma, IT (2018), The cave in the cavern - Res Non Naturales, Una Vetrina, Roma, IT (2018). www.caterinamorigi.com
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Francesco Bartoli Il paesaggio interrotto (Isola Comacina, Giugno 2018) Tecnica mista su carta 35x22 cm + immagine frottage. Residenza Artistica - Fondazione Isola Comacina & Accademia di Brera. Massimiliano Moro Tabula, 2018 Luce su carta dimensioni variabili
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VISIBILE – INVISIBILE paesaggio e confine A cura di Anna de Fazio Siciliano e Francesco Bartoli
Nel suo celebre libro Lezioni Americane, Italo Calvino a proposito della VISIBILITÀ ha scritto: “C’è un verso di Dante nel Purgatorio che dice, poi piovve dentro a l’alta fantasia”. La fantasia è un posto dove ci piove dentro. Dunque è il ruolo dell’immaginazione nella Divina Commedia che Dante sta cercando di definire, e più precisamente la parte visuale della sua fantasia, precedente o contemporanea all’immaginazione verbale. Il progetto espositivo VISIBILE - INVISIBILE è nato dall’incontro di due artisti: Francesco Bartoli e Massimiliano Moro. Nel loro universo creativo molte cose hanno il sapore dell’imprevisto, dell’incontro con qualcosa di visibilmente etereo e invisibilmente concreto: una luce scultorea che insegue la materia e si spinge oltre i confini del formato espositivo o un foglio di carta che registra ogni sfumatura della polvere del quotidiano. Cos’è tutto questo se non un modo per catturare la fugacità del tempo attraverso immagini altrettanto sfuggenti ed effimere? La mostra nasce con l’obiettivo semplice e chiaro di creare un dialogo artistico - poetico tra questi due autori; amanti del fare silenzioso e attenti alle mutazioni delle cose che hanno intorno. Il tema che è stato scelto - e attraverso il quale i due giovani artisti creeranno il loro dialogo - è il paesaggio e il suo confine. Cosa definisce un paesaggio oggi? Quali sono i suoi confini poetici, politici, metaforici e umani? Queste le domande cui Bartoli e Moro cercheranno di dare una risposta attraverso “esercizi” audio visivi ai limiti dei linguaggi artistici da loro usati. Il progetto espositivo sarà concepito come “un viaggio sotto pelle, sotto la superficie delle cose”, un percorso visivo in cui le luci/ombre di Moro e la carta di Bartoli, si incroceranno - a volte fondendosi - per tracciare una serie di paesaggi metaforici e mutevoli. In mostra dunque, un dialogo artistico tra il visibile e l’invisibile che intende analizzare, approfondire e ridisegnare l’idea di paesaggio contemporaneo. L’immagine orizzontale di due corpi sovrapposti intenti a respirare crea una linea familiare ma ambigua. Una concessione poetica o una riflessione su cosa ci unisce e divide al contempo? Carta come pelle che registra il trascorrere del tempo ci ricorda Bartoli, “ombre che convertono una coincidenza spaziale in una coincidenza temporale” sostiene Moro: immagini, dunque concetti o astrazioni del quotidiano che diventano nuove vie di scambio… possibili paesaggi tra il visibile e l’invisibile, tra la presenza e l’assenza.
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Massimiliano Moro Nato a Cittadella (PD) nel 1986, vive a Lugano (Svizzera). Da qui dopo aver terminato gli studi, si sposta a Barcellona dove studia scultura all’Escola Massana, si laurea in Arte e Design, ottiene il diploma IED Master in illuminazione architettonica, per poi fare ritorno in Svizzera. Contemporaneamente agli studi ha collaborato con lo studio dell’artista Tom Carr, con cui ha fondato il gruppo TCteamwork, e realizzato varie esposizioni in territorio spagnolo. A partire dal 2015 lavora in maniera indipendente portando numerose mostre personali in tutta Europa e svolgendo parallelamente attività di docenza. Nel 2017 ha vinto il premio LIT Award come “emerging light designer of the year”. Nella sua pratica artistica cerca la creazione di nuovi equilibri tra luce e architettura, passando attraverso il design e la scultura: un metodo ibrido che gli permette di muoversi trasversalmente nelle varie discipline.
Francesco Bartoli Francesco Bartoli (Roma 1978) è artista visivo, editore e filmmaker. Nel 2004 si diploma presso l’Accademia di Belle arti di Brera a Milano, dove segue i corsi dell’artista concettuale Luciano Fabro. Nel corso dei 14 anni trascorsi tra Spagna, Scozia, Colombia e Inghilterra, sviluppa molti progetti interdisciplinari tra cui vale la pena menzionare la collaborazione con il Museo Nazionale di Scultura di Valladolid e il Museo d’Arte Romana di Mérida per l’istallazione in 16mm “Una Forma in Comune” e la partecipazione al progetto della 54a Biennale di Venezia “Padiglione Italia nel Mondo”, selezionato dall’Istituto Italiano di Cultura di Madrid (Spagna). Tra i riconoscimenti da segnalare Il premio Aiuti all’Arte Contemporanea concesso nel 2010 dal Ministero di Cultura spagnolo per il libro d’artista “El Escondite”, la mostra/residenza in Colombia in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura di Bogotà e le selezioni ai festival internazionali di documentari e fotografia PhotoEspaña 2010 e Documenta Madrid 2011. Inoltre è regista e produttore del progetto In Search For Nothing(2016), docu-film nato da un laboratorio di video arte con migranti minori non accompagnati. Dal 2016 Francesco Bartoli collabora come artista visivo e professore esterno con il Farm Cultural Park di Favara, l’Accademia di Belle Arti di Roma e l’Accademia di Brera.
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Anna de Fazio Siciliano Critica, storica dell’arte e redattrice per prestigiose riviste di settore (Exibart, Art e Dossier) ha all’attivo numerosi articoli e interviste a galleristi (Fabio Sargentini), direttori di Musei (Anna Coliva) curatori (Alberto Fiz), vertici di società di mostre (Iole Siena, Arthemisia Group e Renato Saporito, Cose Belle d’Italia). Da tempo collabora con la Direzione della Galleria Borghese con la quale dopo aver prodotto una ricerca inedita sul gusto egizio ha svolto un lungo periodo di formazione. Nel 2015 fonda Art-pressagency la sua agenzia di ufficio stampa, comunicazione, critica d’arte e di editing che in breve tempo ha visto collaborazioni notevoli con curatori, musei e istituzioni su tutto il territorio nazionale (MaXXi e Macro di Roma, Biennale di Venezia, Marca di Catanzaro, Palazzo Reale di Milano ecc.). Lavora come editor per Micro arti visive di Paola Valori e in qualità di addetta stampa scrive per le mostre di Studio Esseci, Arthemisia, Zetema, Mondomostre, ecc. Tra le pubblicazioni più importanti: “Margini di un altrove”, catalogo della mostra svoltasi nel 2016 a Siracusa in occasione delle rappresentazioni classiche, “History is mine _ Breve resoconto femminile”: unico capitolo dedicato al genere femminile pubblicato nel libro “Rome. Nome plurale di città” di Fabio Benincasa e Giorgio de Finis, “La verità, vi prego, sulle donne romane”, indagine archeologica e figurativa sull’assenza nei luoghi delle donne nella Roma antica, per FEMM(E) di Veronica Montanini e Anna Maria Panzera. Al momento, oltre a occuparsi dell’aggiornamento di Report Kalabria, una indagine sulle contaminazioni artistiche contemporanee nei luoghi archeologici in Calabria, si sta interessando alla curatela di alcuni progetti espositivi e mentre continua a formarsi con un master in giornalismo e marketing digitale studia le modalità linguistiche multimediali applicate a eventi espositivi.
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Marina Visentini, Elena Copelli, Teatro Magro, I’(m) SOLA prove per la Performance
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I’(m) SOLA Di e con Marina Visentini ed Elena Copelli in collaborazione con Teatro Magro Genere: teatro-danza - movimento e parola Durata 20/30 minuti
Sinossi creativa isola è donna che guarda l’orizzonte mentre beve un drink è il dubbio: salutare o dormire, aspettare o andare, ridere o piangere senza trovare soluzione isola è l’acqua intorno, è il pesce che nuota, è la casa col cane col cane che dorme e attende un padrone senza nome poi alla fine il padrone non arriva e la soluzione vien da se
Sinossi descrittiva La performance a cura di Marina Visentini e Elena Copelli presenta l'isola come luogo in trasformazione da meta turistica a luogo di smarriment o, fino a diventare posto sicuro e caldo. Una visione introspettiva e immaginifica della donna Penelope che si sdoppia mostrando due delle infinite parti: quella che spera e quella che non spera più. Due donne parti della stessa donna bidimensionale che sdoppia il suo essere in una sequenza fisica dissociata che vive lo spazio dell'isola come limite ed opportunità allo stesso tempo nella ricerca di una identità perduta e poi ritrovata. A scandire il tempo lento della sosta e del riposo un rintocco ossessivo che accompagna il gesto vuoto che diventa noia fino a trasformarsi in nostalgia per qualcuno che non arriverà mai e che si trasforma in lacrime e pianto nel disegno di una linea senza fine. Pochi i dialoghi stilizzati di due parti della stessa come uno specchio distorto in cui non ci si riconosce. Il tentativo inutile della distrazione che riporta a un pensiero circolare per trasformarsi in un movimento vorticoso di lamento fisico che cerca il contatto con la terra, la madre terra e che esprime nostalgia per un vuoto apparentemente incolmabile. Poi qualche cosa cambia. Come il corpo umano che inerme sprofonda negli abissi, improvvisamente come scintilla scatta verso l'alto alla ricerca dell'aria e della vita.
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Germina nell'inquietudine una follia creativa, è nella solitudine della sconfitta che rinasce l'amore per se stessa e la fiducia nella proprie potenzialità. Un dolore che produce arte nella riconciliazione tra vita amore e odio. L'arte dello stare in un luogo e riconoscerlo come luogo di appartenenza , di approdo dopo la gestazione dell'opera nella mente umana. Come il legno che l'acqua trasporta e appoggia alla riva, dopo un lungo e tortuoso viaggio, il legno riposa ed entra nel paesaggio. Così come l'opera d'arte nasce da una gestazione, da un viaggio nella mente umana e approda concreta in un’apparizione stupefacente e magica.
Teatro Magro Nasce come gruppo teatrale a Mantova nel 1988, sotto la direzione artistica del regista Flavio Cortellazzi. Nel 1999 si costituisce in Associazione, per poi prendere la forma di Società Cooperativa nel 2003, ponendo le premesse per una strutturata e duratura realtà culturale. Oggi Teatro Magro è Cooperativa Sociale O.n.l.u.s. e, in modo consolidato e strutturato, muove la propria attività artistica nell’ambito definito “teatro sperimentale e di ricerca” per superarne gli spazi e i confini. Teatro Magro sviluppa la propria attività in ambiti diversi, presentando un’offerta culturale, divulgativa, sociale ed educativa variegata e multidisciplinare. Teatro Magro attinge dalla quotidianità e dal vissuto denunciando lo stereotipo, il luogo comune, la retorica, il tutto permeato da un’ironia che costringe a mantenere sempre alto il livello di attenzione e l’osservazione critica della realtà, per una prospettiva indipendente e disincantata.
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Elena Copelli Coreografa e performer, Elena Copelli, dopo aver lavorato in produzioni di danza e teatro, ha iniziato la sua ricerca coreografica nel 2011 e nel 2016 ha fondato la compagnia Elena Copelli Project per cui ha creato performance di teatro danza, selezionate da festival italiani e stranieri. Dal 2018 Elena è assistente coreografa di Cristiana Morganti e ha lavorato e studiato, tra gli altri, con: Jérome Bel, Teri J. Weikel, Dino Verga, Britta Pudelko (Akram Khan Company, Sasha Waltz and Guest), Nullo Facchini (Cantabile 2).
Marina Visentini Nel 1999 fonda la Cooperativa "Teatro Magro" di Mantova, trasformando un interesse in una professione. Un gruppo molto coeso che opera in modo radicale sul territorio proponendo uno stile anticonvenzionale e collocandosi nel panorama delle compagnie di teatro contemporaneo. Nel 2003 si diploma come attrice di prosa presso Emilia Romagna Teatro. Nel 2006 frequenta il corso di Alta Formazione "Imprenditoria dello Spettacolo" presso il Dams di Bologna e nel 2010 ottiene un master in “Management della Cooperazione” di sviluppo dell’imprenditorialità nel settore cooperativo. Nel 2008 diventa presidente della cooperativa sociale Teatro Magro continuando a ricoprire i ruoli di Project Manager, attrice, operatrice teatrale nelle scuole, responsabile relazioni pubbliche e istituzionali; Nel 2014 lascia la posizione di presidente dedicandosi maggiormente all’ambito artistico.
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Special Area
Fondazione Rocco Guglielmo | Glocal. Oltre Confine | a cura di Simona Caramia
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Premio Tiziano Campolmi 2019
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Fondazione Rocco Guglielmo
Glocal. Oltre Confine Il fenomeno migratorio ha modificato e continua a modificare il tessuto sociale e demografico dei territori che conosciamo, alterando il concetto-limite di confini e frontiere. Sempre più città fanno i conti da un lato con problematiche che derivano dall'inadeguatezza dei servizi e dall'assenza di congrui provvedimenti politici; dall'altro si confrontano con la mescolanza di realtà diverse, intrecciando usanze e costumi, creando, in maniera inconsapevole, nuovi mondi. Sugellando la sinergia proficua tra Istituzioni e operatori culturali, la Fondazione Rocco Guglielmo e Set Up Contemporary Fair propongono un progetto variegato e versatile, che si articola attraverso tre incontri, che analizzano, da molteplici prospettive e con un approccio interdisciplinare, la questione dei confini. Tre tavole rotonde e vari ospiti per affrontare il rapporto tra arte e geografia, ovvero la costruzione e l’articolazione del pensiero geografico, tra i luoghi della memoria e i non-luoghi, quale opposizione nella surmodernità tra “relazione con” e alienazione, e le frontiere nella/della rete. Gli incontri si svolgeranno nell’ambito della fiera bolognese, nello stand della Fondazione Guglielmo, alla presenza del Presidente Rocco Guglielmo e con la curatela di Simona Caramia.
Simona Caramia Laureata in Filosofia; specializzata in Storia dell’arte contemporanea presso l’Università di Bari. Critica e curatrice, studiosa della fenomenologia dell'arte contemporanea, con particolare attenzione allo scenario artistico italiano dagli anni Settanta ad oggi. Al centro delle sue ricerche attuali vi sono l’analisi degli interventi di restyling urbano, a confine tra arte e architettura, e uno studio sull'arte delle donne tra esistenzialismo e attivismo politico. Dal 2012 è docente di Stile, Storia dell’Arte e del Costume (Storia dell’Arte contemporanea e Fenomenologia dell’arte contemporanea) presso l’Accademia di Belle Arti di Catanzaro. È direttore artistico del progetto Ceilings, promosso dall’Accademia di Belle Arti di Catanzaro. Ha al suo attivo numerose mostre, rassegne di videoarte e pubblicazioni.
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Premio Tiziano Campolmi 2019
L’Associazione Tiziano Campolmi mette a disposizione un premio acquisto per giovani creativi che si occupano di fotografia. Fino alle 24.00 del 2 Febbraio è possibile votare le opere che partecipano al Premio dalle pagine Facebook e Instagram dedicate, mettendo un like all’immagine dell’opera preferita. Il Premio sarà assegnato dai soci fondatori dell’Associazione Campolmi e dal comitato curatoriale di SetUp che sceglieranno tra le 5 opere con il maggior numero di like. Le opere che partecipano al Premio sono segnalate da un’etichetta con il simbolo dell’Associazione Campolmi. La proclamazione avverrà il 3 Febbraio alle 15.00 nello stand che rappresenta l'artista. Consegnerà il premio Andrea Benericetti, Presidente dell’Associazione Campolmi.
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Alex Fakso Tunnel vision, 2018 digital print on vintage paintig 72x48 cm
Chiara Bonetti In bilico, Beirut 2018 20x20 cm stampa c-print da negativo medio formato (120) edizione 1/3
Alketa Delishaj Giochi d'infanzia (Ricordo che un tempo la piazza era affollata di bambini che giocavano), 2016 Mix Media su tela 30x30 cm
Enrico Fico The Cross, 2018 cera, immagini digitali stampate su carta cotone, applicate su tavola 70x100 cm
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Livio Ninni BerlinH1, 2018 Fotografia e Spray su Ferro 60x40cm
Sergio Policicchio Portatrice di fuoco, 2018 fotografia, marmo e vetro su tavola 100x70 cm
Olmo Amato Segreto, 2017 Stampa digitale fine art su carta baritata 100% cotone 60x90 cm
Valeria Vaccaro COMBUSTIONI, 2015 mix media (stampa su carta cotone, plexiglass, legno), 53x53x5 cm
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Ringraziamenti
Tra vent’anni non sarete delusi delle cose che avete fatto ma da quelle che non avete fatto. Allora levate l’ancora, abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele. Esplorate. Sognate. Scoprite. Mark Twain
Grazie a Giulia G., Gaia, Giulia P., Sara Sofia, Claudia, Carlotta, Norma, Silvia R., Monica senza le quali tutto questo non sarebbe stato possibile. Grazie a Giulio e Giada per essere con noi in questa avventura e grazie a tutte le persone che ogni giorno credono che insieme si possa cambiare. Noi ci crediamo ancora.
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Finito di stampare nel mese di gennaio 2019 per conto de Il Rio Srl Mantova
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