Linguaggi Grafici Generativi per l'Identità

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LINGUAGGI GRAFICI GENERATIVI PER L'IDENTITÀ dalla nazione all'individuo Mariagloria Posani



Mariagloria Posani

LINGUAGGI GRAFICI GENERATIVI PER L'IDENTITĂ€ dalla nazione all'individuo

Elaborato di Laurea, Design della Comunicazione Politecnico di Milano, Scuola del Design Anno Accademico 2013 -14 Sezione C1 Relatore: Francesco Ermanno Guida


INDICE Introduzione

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(A) PARTE TEORICA Come l'artigianato digitale può cambiare il progetto della Comunicazione 0. Il designer trasversale (introduzione)

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1. Il maker è il nuovo spirito illuminista

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2. La rinascita dell’artigianato e del Do It Yourself 2.1. Arduino e la realtà italiana 2.2. La stampa 3D e la nuova rivoluzione industriale

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3. L’Arte Generativa e l’Open Source 3.1. Creative Coding e Generative Art 3.2. L’importanza dell’Open Source e della comunità

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(B) CASI STUDIO Design generativo, integrazione nella comunicazione 4. Il ruolo del Design nel presente

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4.1. Comunicazione e territorio: èBologna 4.2. Comunicazione e interazione: Macrofilm 4.3. Comunicazione e processo: Longhand Publishers 4.4. Comunicazione e informazione: FOMO

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(C) PARTE PROGETTUALE Westman Islands branding, Muninn & Huginn 5. Westman Islands branding 5.1 Concept 5.2 Elementi base 5.3 Applicazioni 5.4 Il branding generativo come filo conduttore nazione-individuo

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6. Muninn & Huginn 6.1 Concept e naming 6.2 Iter di progetto - Muninn - Huginn - Flowchart e coding

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Bibgliografia e sitografia Indice delle immagini

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introduzione

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Questo progetto, sviluppato all'interno del Laboratorio di Sintesi Finale, consiste nel branding - creazione dell'immagine coordinata con carattere generativo di una nazione, in questo caso una nazione inventata ad hoc come esercizio. Esplora caratteristiche e particolarità, quindi, sia del design generativo che del branding territoriale tradizionale. All'interno dell'elaborato si va dalla teoria alla pratica: il progetto matrice (Westman Island branding) e quello di approfondimento personale (Muninn e Huginn) sono corredati da una ricerca teorica sui temi che sono partiti dal primo lavoro per portare al secondo, tra i quali le nuove tecnologie, l'artigianato digitale e casi studio che legano tecnologia e tradizione, virtuale e tangibile. Una parte del lavoro di gruppo e il progetto personale successivo esplorano in particolare uno degli aspetti dell'identità delle Westman Islands: il linguaggio grafico generativo, che forma la più spiccata caratteristica dinamica all'interno dell'identità. L'alfabeto di cui questo linguaggio si compone è usato come filo conduttore visivo dalla nazione, attraverso le istituzioni, fino al singolo individuo, e viceversa: dalla persona, attraverso le applicazioni ufficiali, fino a tornare all'origine comune.

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COME LE NUOVE TECNOLOGIE POSSONO CAMBIARE IL DESIGN DELLA COMUNICAZIONE

parte A



« Sono stato a lungo impressionato dalla crescente felicità del genere umano, dall’invenzione e dall’acquisizione di utensili e strumenti nuovi e utili, che a volte ho quasi sperato che il mio destino fosse stato di nascere due o tre secoli dopo. Questo perché invenzioni e miglioramenti sono prolifici, e ne generano ulteriormente. Il progresso attuale è rapido. Prima di allora se ne produrranno molti e di grande importanza, che ora sono impensabili; a quel punto potrei non solo godere dei vantaggi, ma soddisfare la mia curiosità conoscendo ciò che saranno. »

Benjamin Franklin Letter to Reverend John Lathrop 1788


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IL DESIGNER TRASVERSALE

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Il designer è una di quelle figure - insieme probabilmente allo scrittore e all’architetto - che non può permettersi il lusso di essere un intellettuale o un mondano. Deve saper rappresentare entrambe le cose, e bilanciarle nel suo lavoro e nel suo stile di vita. Quando si progetta, e soprattutto quando si progetta la Comunicazione, bisogna saper studiare, imparare dalla storia e dai libri, fare ricerca, frequentare archivi e biblioteche e poter resistere diverse ore al computer, ma d’altra parte non ci si può permettere di ignorare il mondo esterno, la realtà in evoluzione, le novità nei campi della tecnologia e del lifestyle: così rientrano nella formazione quotidiana anche i blog, le riviste, i giornali, le mostre, gli eventi, gli show, le conferenze, i tweet, i social network. Il buon designer sa quello che è stato fatto prima di lui, sa seguire le tappe di un progetto, sa “chiudersi in casa” con la sola compagnia di Illustrator e della data di consegna, ma sa anche cosa sta succedendo intorno a sé, nel suo paese come al di là dell’oceano. È una figura trasversale: specializzato in un particolare settore, magari con una passione ed un focus ben definiti, ma in grado di interpretare i cambiamenti della società, le tendenze delle masse, le mode, le tecnologie in crescita. Per quanto possa sembrare lontano dal suo campo di azione, quindi, il designer della Comunicazione non può ignorare che la stampa 3D sia ormai una realtà quasi domestica, che i fab lab nascano e crescano in tutto il mondo e soprattutto in Europa; non può ignorare cosa sia un sito web single-paged, o l’hashtag su Instagram, o una campagna di crowdfunding, o una scheda Arduino. Il digitale e l’elettronica, giunti alla loro massima espansione, stanno ora “invadendo” il mondo fisico, l’artigianalità e i brand - anche i più piccoli, anche le startup - con nuovi strumenti e quindi nuove possibilità: ecco perché tra qualche anno questo lavoro di ricerca avrà ben poco valore, più storico che altro; ecco perché un grafico che sappia impaginare, un professionista che disegni logo e carta intestata non sono più abbastanza, e perché per inventarsi e inventare nuovi mestieri serve avere una visione quanto mai ampia delle proprie possibilità. Come un tempo un po’ artista e un po’ scienziato, grafico e artigiano, il progettista oggi torna ad essere una figura trasversale un po’ visual designer e un po’ informatico, programmatore e tipografo. Questo non vuol dire che debba per forza “saper fare tutto”, ma deve almeno sempre sapere cosa è possibile fare.

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IL MAKER È IL NUOVO SPIRITO ILLUMINISTA

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Di fianco: lo studio milanese dei fratelli Mendini.

Come viene definita oggi la figura, un esempio fra molti, di Benjamin Franklin? È stato scienziato, filosofo, politico, giornalista, scrittore, tipografo. Soprattutto è passato alla storia come inventore. Franklin non faceva l’inventore di mestiere, ma era appassionato di innumerevoli questioni, di meteorologia e di elettricità, ad esempio, passioni che lo hanno portato a immaginare il parafulmine e a studiare con curiosità i fenomeni elettrici; passioni che hanno portato, in un certo senso, alla nostra possibilità di tornare a casa la sera e accendere la luce durante un temporale. Era un intellettuale e un autodidatta, un self-made man. Benjamin Franklin, come viene definito oggi, era uno “spirito illuminista”. Nel 2014, però, forse sarebbe un maker. La corrente dell’Illuminismo è così chiamata perché caratterizzata da una fede profonda nella forza della scienza e della ragione, nel fatto che “ciascun essere umano è dotato della capacità di fare bene almeno una cosa, che esiste in quasi tutti noi un artigiano intelligente”.1 Senza voler entrare in questioni politiche o filosofiche, l’Illuminismo di cui si parla in questo contesto è inteso come la concezione più generale che se ne ha oggi, come quel periodo di spinta culturale - sentita soprattutto in Inghilterra, Francia e poi in tutta Europa - verso il perfezionamento delle opere di ingegno e del lavoro dell’uomo, e di fede nelle innovazioni tecniche. Basti pensare all’Encyclopédie di Diderot e d’Alambert, che porta non a caso il sottotitolo “dizionario ragionato delle Scienze, delle Arti e dei Mestieri”, nella quale i suoi autori non solo riportano tutte le informazioni precise e illustrate che riescono a raccogliere su numerosissime attività professionali manuali, ma si propongono anche di spiegarle nelle loro diverse fasi e di studiare dei

1 Sennett, Richard, The Craftsman (L’uomo artigiano), 2008, New Haven & London, Yale University Press.

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Ibidem.

cambiamenti in grado di migliorare la produzione e la vita degli artigiani. Lavorando alla sua Enciclopedia, Diderot aveva scoperto, racconta nel prospectus che apre l’opera, che sono molte le cose che si possono apprendere solamente nelle officine stesse; si era convinto di quanto poco le persone sapessero degli oggetti con cui vivono - realtà che non è cambiata, ma si è al contrario accentuata - e pensava che uscire da tale ignoranza fosse importantissimo. Per questo, lui stesso si era in diverse occasioni messo al lavoro sulle macchine trattate, facendosi apprendista per meglio comprendere le arti e i mestieri che voleva poter spiegare al pubblico. Nell’introdurre la sua opera, prima al mondo di tale portata, Diderot si auspica che possa rappresentare lo stato delle arti in quel momento, e che i posteri aggiungano negli anni le proprie scoperte in un flusso infinito di sapere. In queste sue dichiarazioni e nello spirito di iniziativa personale, il curatore dell’Encyclopédie può essere considerato uno spirito affine ai nuovi artigiani e ai dilettanti curiosi odierni. Richard Sennett, che analizza proprio la storia dell’artigianato, fa riferimento allo stesso periodo quando dice che, mentre la società moderna è fondata su competenze sempre più specializzate e sottolinea le differenze di abilità, i nostri antenati illuministi “ritenevano che la natura dotasse tutti gli esseri umani dell’intelligenza necessaria a produrre un lavoro ben fatto”, e che “è nella motivazione e nell’aspirazione alla qualità che le strade degli uomini si dividono. E le motivazioni sono conformate dalle condizioni sociali”. 2 Si può dire che la speranza illuminista nella capacità inventiva degli uomini, e nelle macchine, sia stata in fondo ben riposta: pensandoci, oggi abbiamo a disposizione tecnologie, oggetti quotidiani e perfino cibi impensabili all’epoca; la qualità della vita degli operai occidentali, per quanto opinabile, è superiore a quella dei borghesi del diciassettesimo secolo; la medicina salva migliaia di vite e ne allunga altrettante ogni giorno. Faro di una sorta di American Enlightenment, Benjamin Franklin, quando fantasticava sul futuro, forse non immaginava lontanamente il modo in cui le città sarebbero state illuminate notte e giorno. Cosa direbbe della stampa 3D? Se trattiamo gli illuministi come intellettuali che credevano allo stesso tempo nel potere della macchina e nel lavoro umano, sembra sia con lo stesso spirito che appassionati e progettisti stanno ritrovan-

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do ultimamente l’amore per le attività artigianali, in modo personale e appassionato, attività in qualche modo “capaci di mediare tra l’abbondanza prodotta dalle macchine e l’umile laboriosità dell’uomo”3 L’Illuminismo era inoltre inteso da Kant, nel modo più completo, come l’uscita dell’essere umano dallo stato di minorità, ovvero dalla “incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessi è questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati” 4. È proprio con decisione, coraggio e voglia di sfidare se stessi che si è passati con mille tappe intermedie e senza sosta dal flautista di de Vaucanson, perfettamente inutile eppure la cosa più affascinante del 1738, agli arti meccanici dei bioignegneri e alle installazioni interattive realizzate con Arduino da artisti geek di tutto il mondo. È così che gli “scienziati” vittoriani, gli spiriti illuministi, capaci di esplorare campi estremamente diversi del mondo e della scienza, e poi i “virtuosi” del diciottesimo secolo - dilettanti colti e curiosi - una volta sdoganate l’elettronica e l’informatica, sono diventati maker. L’inglese “to make” ha un senso così perfettamente generale e vago da spiegare molto bene la categoria di persone: persone che fanno cose. Che pensano, progettano, inventano e creano per passione. Non scienziati, né informatici, spesso nemmeno lontanamente ingegneri, i maker sono la versione cool degli appassionati di robotica; esattamente come per i virtuosi e per gli illuministi, chiunque - questa è la parte più divertente e democratica - può essere anche un maker.

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In un’intervista rilasciata a Michele Masneri nel proprio studio a Milano, il progettista due volte Compasso d’Oro Alessandro Mendini dice “Oggi [...] cambiano i metodi. Non si progetta più come una volta. Adesso i designer lavorano da soli” 5. Non lo dice con nostalgia o con risentimento: lo fa interpretando la tendenza dei freelance di disegno industriale a non formare più gruppi come il Bauhaus o Alchimia, ma a cercare di acquisire competenze personali per quanto possibile complete, e a farsi un nome da soli. Spiriti individuali sfidano il proprio intelletto e le proprie capacità manuali con la voglia di innovare, di creare, e di far parte almeno per un po’ di un gruppo di persone quanto mai internazionale e variegato, quello che una volta sarebbe stato appunto degli intellettuali illuministi.

5 Masneri, Michele (2014) Mendini, “Studio” n°19, primavera 2014, p. 52.

Ibidem.

4 Su “Berlinische Monatsschrift”, numero 30, 1784.

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6 Anderson, Chris, Atoms are the new bits, paper online su wired.com, 25 gennaio 2010.

Se essere un designer di sedie non basta più alla propria motivazione personale, si cerca di inserire nel proprio lavoro elementi delle più diverse discipline, soprattutto dei new media e dell’elettronica: quando non ci si perde nel mare della vaghezza, per la durata di un progetto o di una carriera si può essere un po’ maker, e inventare per sé gli strumenti che ancora non esistono. Quella di cui si parla è anche una comunità, per quanto formata di personalità singole forti: una comunità che si interessa di sostenibilità, di design e tecnologia, di nuovi modelli di business diversi da quelli tradizionali e più vicini ai propri ideali; si basa sull’open source e sullo scambio di idee e di esperienze online; il sogno di ognuno al suo interno è quello di inventare qualcosa da produrre autonomamente, di avviare un’attività fondata sulle proprie creazioni, che siano esse oggetti quotidiani, strumenti innovativi, modelli di interazione, o giochi creativi. Chris Anderson, direttore del magazine “Wired”, aveva avvertito nel 2010 che la cultura digitale dopo aver rivoluzionato il mondo dei bit e quindi l’editoria, la musica e i video attraverso Internet, avrebbe trasformato il mondo degli atomi, quindi degli oggetti fisici. 6 I maker sono certamente un fenomeno nuovo, quanto mai contemporaneo perché legato alle innovazioni tecnologiche, ma nascono come abbiamo visto dagli inventori del passato e, soprattutto, dallo spirito dell’artigiano: dal bisogno umano di pensare, creare e riparare oggetti che ha sempre fatto parte dell’umanità da quando i nostri antenati hanno cominciato a stringere oggetti tra le mani. Fanno quello che gli artigiani fanno da secoli, ma hanno dalla loro parte qualcosa di più, il digitale: agli utensili “abituali” possono permettersi di aggiungere funzionalità e app, schermi lcd, componenti stampate ad hoc in 3D. I maker sono, in pratica, artigiani digitali.

Di fianco: Nigredo, progetto di Tecnificio, presentato durante la mostra Mondopasta a Milano (Fuori Salone), 2014.

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LA RINASCITA DELL’ARTIGIANATO E DEL DO IT YOURSELF

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Di fianco: il laboratorio dell’artista svizzero Zimoun.

1 Richard Sennet è professore di Sociologia alla London School of Economics e alla New York University, autore di numerosi libri, tra cui la trilogia sulla cultura materiale.

C’è un homo faber, l’uomo artefice e creatore, insito nell’anima dell’essere umano, innato e parte di ognuno di noi. Nel primo dei suoi tre saggi sulla cultura materiale, L’uomo artigiano, Richard Sennet 1, riprendendo le tesi di Hannah Arendt 2, mostra come questo uomo artefice viva sempre irrimediabilmente due dimensioni differenti della sua esistenza: da una parte pensa semplicemente a creare, a fabbricare, in modo amorale e focalizzato sul compito che sta svolgendo; allo stesso tempo, però, il medesimo uomo prima o poi comincerà a giudicare, a discutere, a cercare confronto sul lavoro che sta svolgendo, e non si chiederà solo “cosa fare”, ma anche “perché farlo”. Il “fare cose” racchiude quindi tecnica e operosità, ma anche pensiero e sentimento. Renzo Piano descrive la circolarità nella produzione dei propri disegni proprio come un “approccio tipico dell’artigiano. Pensare e fare contemporaneamente”. 3

2 Hannah Arendt (Linden, 14 ottobre 1906 – New York, 4 dicembre 1975) è stata filosofa, storica e scrittrice tedesca, autrice tra le molte opere di La banalità del male. È stata mentore dello stesso Sennet.

Questo bisogno dell’uomo si concretizza nel voler creare e riparare, due azioni allo stesso modo importanti nel processo di scoperta degli oggetti. Sennett spiega come di fronte alla necessità di riparare un oggetto che non funziona più, si può reagire in due modi: se in un caso si cerca solamente di alleviare la frustrazione che l’oggetto ci provoca, nell’altro riusciamo a tollerare la frustrazione perché siamo presi dalla curiosità e la possibilità di fare una “riparazione dinamica” è improvvisamente stimolante. Gli elementi che portano l’uomo alla spinta creatrice sono resistenza, ambiguità e intuizione. L’intuizione è il pensiero che ciò che ancora non esiste potrebbe esistere, ma per incappare in essa è necessario operare su un terreno di base formato dalla pratica specializzata e dalle abilità tecniche. “L’intuizione può essere costruita” dice Sennett, “Sono gli attrezzi usati in un certo

3 Citato in Robbins, Edward, Why Architects Draw, MIT Pre, Cambridge, 1994.

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4 Sennett, Richard, L’uomo artigiano (traduzione di Adriana Bottini), Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2013, p. 204. 5

modo a strutturare questa esperienza immaginativa e portarla a risultati produttivi”: attrezzi che “possono metterci in grado di compiere il salto di immaginazione necessario a riparare la realtà materiale o a guidarci verso una realtà ignota ma gravida di possibilità latenti”. 4 Della dignità nello spirito del mestiere artigiano, in qualità di aspetto fondamentale del vivere umano, si sono occupate nella storia più correnti filosofiche e di pensiero: è già stato citato l’Illuminismo per alcuni aspetti, ma volendo approfondire si potrebbe ricercare anche nel mito di Efesto, nel Confucianesimo e poi nel Pragmatismo. Sempre Richard Sennett parla di cultura materiale, in un’epoca in cui la parola “materialismo” si è riempita di connotazioni negative e soprattutto oscure: siamo tutti abituati a usare ogni giorno oggetti - automobili, computer, smartphone, ma anche lavatrici e televisori - che sicuramente non fabbrichiamo da soli e che molto spesso non sappiamo come funzionino, o non siamo interessati a capire. Quando si studiano gli oggetti, si studiano reperti antichi o pezzi artistici particolari, ma “si trascurano le stoffe, le schede madri o i pesci arrostiti in quanto oggetti degni in sé di attenzione” 5 perché la creazione di certi artefatti è considerata mero riflesso di norme sociali, di interessi economici o di convinzioni. L’oggetto comune perde subito importanza, eppure è stato creato da qualcuno e per uno scopo: attraverso le cose fabbricate si possono apprendere moltissime informazioni sulle popolazioni, sulle persone, su se stessi. È qui l’importanza dell’artigianato.

Ivi, p. 17.

Un artigiano non è semplicemente qualcuno che crea, è qualcuno che crea con maestria, aspetto che designa un altro impulso naturalmente umano, irrefrenabile: la spinta a svolgere un lavoro nel miglior modo possibile per se stesso. Così medici, artisti e programmatori sono sullo stesso piano, spesso in lotta contro le condizioni sociali - più spesso contro quelle economiche e contro l’istruzione - che non forniscono gli strumenti minimi e non valorizzano questa aspirazione alla qualità. Sono artigiani il falegname, il direttore d’orchestra e la ricercatrice di un laboratorio scientifico, quando per loro ha una profonda importanza che il lavoro in corso sia fatto bene, a discapito del proprio tempo libero e delle proprie forze: svolgono tutti un’attività pratica radicalmente diversa da quella dell’operaio, o della macchina, perché il loro lavoro non è solo

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un mezzo per raggiungere un qualche fine, ma ha valore di per sé, nel risultato ma anche nel processo. Essere artigiano è semplicemente una condizione umana, è mettere impegno personale e dedizione nelle cose che si fanno. Questa condizione è tanto più importante quanto “soltanto una volta imparato a svolgere bene la loro attività, le persone sono in grado di capire a fondo quello che stanno facendo” 6. Sempre secondo Sennet, è proprio grazie a questi aspetti della condizione umana che l’artigiano è sopravvissuto fino a oggi, perché infatti comincia a essere bistrattato e oppresso con l’inizio della civiltà classica. “Ciò che gli ha permesso di resistere, mantenendo vivo il senso della propria dignità umana, è il fatto di credere nel proprio lavoro”. 7 Inoltre, la pulsione a creare e a maneggiare oggetti appartiene a tutti, come la possibilità di imparare a farlo. Per il genetista statunitense Richard Lewontin “il corpo umano è pieno di possibilità che, per diventare manifeste e realizzate, hanno bisogno di essere socialmente e culturalmente organizzate” 8. Concorderà senza problemi con questa affermazione chiunque abbia avuto, ad esempio, esperienza con i mezzi di trasporto più semplici: rispetto a chi preferisce utilizzare l’automobile - a meno di non essere dei meccanici - chi sta viaggiando con biciclette e skateboard ha in più la possibilità di capire osservandola come una parte del suo mezzo funzioni, e di ripararla da sé senza troppe difficoltà. Il senso di appagamento una volta riusciti nell’impresa - come peraltro per il meccanico che fa funzionare di nuovo un motore complesso - è un’esperienza unica. Il senso dell’artigianato è quindi trarre profitto da ogni momento del processo, per riuscire a mantenersi in un sistema aperto, che non sia mai solo un percorso dal mezzo al fine.

Ivi, p. 28.

7 Ivi, p. 144. 8 Richard Lewontin, After the Genome, What Then?, in “New York Review of Books”, 19 luglio 2001.

I programmatori di sistemi open source, che lavorano insieme per passione, quindi, potrebbero essere i nuovi tessitori greci, i nuovi vasai, i nuovi falegnami. Sono artigiani, comunità, e hominis faber. Cosa succede però, oggi, tra l’uomo creatore e la società? Lo spirito artigiano dei lavoratori si scontra da tempo con il mercato competitivo e globalizzato. Se oggi “l’abilità tecnica ha un forte ritorno economico ai gradini di qualificazione più alti” 9, è anche vero che le paghe sono bassissime ai livelli inferiori e intermedi, e che la demoralizza-

9 Sennett, Richard, L’uomo artigiano (traduzione di Adriana Bottini), Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2013, p.42.

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zione è molto facile, sia per colpa della perdita di valore della finalità collettiva, sia per la competitività forzata. Un’economia basata sulla quantità e sulla competitività abbatte l’animo dell’homo faber, che in quanto artigiano ha bisogno invece di comunità, condivisione e qualità. La crescita del mercato è una cosa inevitabile e necessaria, ma pone alcuni problemi rispetto all’artigianalità. “Serve una crescita esplosiva per raggiungere il mercato globale” dichiara Michael Honey 10 “Ma quante cose che sono buone quando sono piccole diventano migliori una volta grandi? Le persone hanno a disposizione libri a buon mercato, e le librerie indipendenti chiudono per fare spazio a grandi catene piene di dipendenti sottopagati che lavorano dieci ore al giorno. Ordini la tua spesa online, ma non ti capiterà mai di imbatterti nel tuo vicino al supermercato del quartiere. Questo è progresso?” 11. Secondo Honey “gli esseri umani sono bravi come famiglia, mediocri come comunità, disfunzionali come nazione, e auto-distruttivi come pianeta” 12. Vale la pena di riflettere se ciò sia vero anche quando si parla di produzione, creatività e manualità. Inoltre, la sfida che bisogna affrontare non è facile: continuare a pensare da artigiani facendo un uso corretto della tecnologia. Voltaire già ai suoi tempi ammoniva sull’importanza di usare la nuova tecnologia, le macchine di Vaucanson (da lui stesso celebrato come “moderno Prometeo”), con cautela e senza restare abbagliati dalla loro potenza e superiorità.

10 Fondatore di Icelab, uno studio di design con uffici a Canberra e Melbourne. Si interessa di vita e lavoro, e su come riuscire meglio in entrambi. 11 Honey, Michael, Human Scale, “Offscreen” n°7, gennaio 2014, p. 8-9. 12

Ibidem.

Da questo punto di vista, è molto interessante e positivo il fatto che di fianco alla realtà industriale stia rinascendo nei designer e nei grafici, nei creativi e a poco a poco nei clienti il gusto del “fatto a mano”, dell’estetica dell’errore, del materiale. Forse era necessario raggiungere l’impeccabilità delle macchine per ritrovare questa bellezza, perché “solo comprendendo come una cosa possa essere fatta in modo perfetto è possibile cogliere questa alternativa, un oggetto che possiede specificità e carattere” 13 . Ecco che con la gioia degli artigiani del mestiere, accanto alla stampa digitale risorgono, uscendo dall’esclusività dell’arte, la risograph, la stampa al torchio, la tipografia a caratteri mobili, la xilografia, la serigrafia...

13 Sennett, Richard, L’uomo artigiano (traduzione di Adriana Bottini), Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2013, p.106.

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Componenti elettrici nel laboratorio di Zimoun.

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Arduino e la realtà italiana

2.1

« Io sono italiano, e in Italia il design è importante, eppure è così conservativo. L'idea di Arduino è che l'hardware, il software, il design, la fabbricazione, tutto di un progetto è open-source e lo potete fare da soli. Vogliamo che altri designer imparino a creare progetti interattivi partendo da qualcosa di reale. » Massimo Banzi, TEDGlobal giugno 2012

La nascita del nuovo artigianato dei maker potrà sembrare indissolubilmente legata alla cultura fai-da-te e alla tecnologia americane, ma è indubbio che abbia un cuore italiano. Il nostro, in fondo, è sempre stato considerato il paese della piccole e medie imprese e delle aziende, dei negozi e delle botteghe di famiglia. Una nuova attività nel campo dell’elettronica e del DIY così fervida e accessibile non sarebbe forse possibile, infatti, senza l’invenzione di Arduino. Arduino è un microprocessore (in pratica un micro-computer che svolge le attività base di lettura/scrittura dati utilizzando istruzioni fondamentali) da circa 20 euro, diffuso in tutto il mondo in migliaia di esemplari, creato nel 2005 dall’ingegnere Massimo Banzi durante un corso di Interaction Design alla scuola di Ivrea. Secondo il suo creatore è “una piattaforma per il futuro” ed è un progetto aperto, messo a punto collettivamente e senza copyright che permette, molto semplicemente, di far compiere azioni agli oggetti. È una piattaforma elettronica di prototipazione open- source, basata su un hardware e un software flessibili e semplici, pensata per la prima volta non per ingegneri elettronici ma per artisti, designer, appassionati, e per chiunque sia interessato a creare oggetti e ambienti interattivi 14. Anche i progetti CAD dell’hardware sono disponibili online gratuitamente, in modo che chiunque possa modificarli per adattarli alle proprie neces-

14 www.arduino. cc consultazione del 6 maggio 2014.

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sità e realizzare la propria versione del microprocessore. Al momento ne sono disponibili già diversi ufficiali: Arduino Uno e Due, Arduino Mega e Micro, Arduino Leonardo, Arduino Yùn, Arduino Robot, Arduino Nano e Mini per le applicazioni indossabili, uno dotato di scheda Ethernet che può connettersi a internet, perfino una versione Galileo prodotta dal colosso Intel. Ogni board è adatta a scopi diversi e può essere integrata con delle shield compatibili che aggiungono funzionalità (ad esempio wifi, lettura di schede SD, supporto di motori particolari) e che sono prodotte da appassionati e da comunità in innumerevoli varianti. I progetti realizzati con Arduino vengono scritti in un linguaggio di programmazione basato sull’open source Wiring, in un ambiente sviluppato a partire da quello di Processing, e possono essere stand-alone o comunicare con software e computer. Come il progetto Arduino è gestito riflette proprio il nuovo modello di business che ha esso stesso aiutato a diffondere, fin dal lancio: evitando di spendere soldi in pubblicità tradizionale per promuoverlo, il team di sviluppo di Arduino ha rilasciato da subito l’hardware in open source, per poi osservare le risposte del pubblico, le modifiche apportate, le imitazioni e le versioni di altre aziende, e raccogliere feedback per migliorare così di conseguenza il prodotto originale. Il software è distribuito su licenza libera GPL (GNU General Public License), e tutta la documentazione esistente è disponibile pubblicamente con licenza Creative Commons. In una conferenza TEDGlobal del 2012 Banzi ha efficacemente definito il suo progetto “un miscuglio di tecnologie open source”. Nello stesso discorso, il padre di Arduino sostiene questa linea di azione con il principio che “il modo migliore di imparare è guardando dentro i progetti degli altri”; per questo, se si vuole che progettisti e maker del futuro creino nuovi prodotti bisogna lasciare che apprendano liberamente scambiando informazioni su quelli esistenti. Infine, i circuiti e i vari pezzi della scheda sono prodotti e assemblati in un fablab a Ivrea, e poi spediti a negozi di elettronica e ad appassionati di tutto il mondo, il che fa di questo prodotto il risultato di un modello di impresa insieme locale e globale. Schede Arduino di tipo diverso sono usate nei più disparati progetti di robot e di interactive design: dai lavori di Amanda Ghassaei

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In alto: La DRM chair che si auto-distrugge degli studenti dell'ECAL. In basso: Il microprocessore Arduino Uno

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per Instructables.com, giochi interattivi di pulsanti e luci e contemporaneamente piattaforme per creare componimenti musicali in MIDI, alle scarpe con GPS di Dominic Wilcox, No Place Like Home, dotate di piccoli led colorati in grado di indicare la direzione da seguire fino alla destinazione scelta grazie a un’applicazione che si appoggia a Google Maps; ci sono poi macchine-automa in grado di creare graffiti casuali sui muri delle gallerie, come il Senseless Drawing Bot giapponese di So Kanno e Takahiro Yamaguchi, o oggetti interattivi come la DRM Chair, la sedia creata dagli studenti dell’ECAL di Losanna che si autodistrugge dopo essere stata usata otto volte (il microprocessore controlla il sensore, il contatore e l’accensione del sistema di autodistruzione). Arduino è spesso integrato con altri ambienti di sviluppo, soprattutto digitali: utilizzato insieme a uno speaker e a Processing, ad esempio, permette di controllare con il tocco un fluido non newtoniano (cioè con un valore di viscosità variabile) nel progetto .fluid, creato da Hannes Jung in un programma di due settimane alla scuola di Design KISD di Köln. Andrea Sartori, un musicista bolognese, produce strumenti elettronici combinando componenti stampate in 3D, schede Arduino e iPhone. Esiste perfino un satellite, Ardusat, munito di scheda Arduino a cui chiunque abbia una necessità progettuale - come scuole e università, ingegneri e ricercatori - può fare richiesta di accesso per noleggiare il satellite e controllare il microprocessore; il primo è stato finanziato con successo su Kickstarter nel 2012 e l’anno seguente è atterrato sulla Stazione Spaziale; i satelliti di questo tipo ora in orbita dispongono di veri e propri strumenti di rilevamento: un ricevitore GPS, una fotocamera da 1,3 megapixel, uno spettrometro, un contatore Geiger, un magnetometro, e un sistema di misura inerziale, termometri, sensori di luce, rivelatori di onde elettromagnetiche, e sensori vari di gas fra cui l'ozono 15 . Ma ci sono anche veri e propri robot in grado di interagire con l’ambiente circostante - i cosiddetti data monsters - e applicazioni di diagnosi, accessori per smartphone, giochi educativi per bambini, piccoli oggetti in grado di comunicare a distanza tra loro, interfacce fisiche per applicazioni digitali, creati da studenti e appassionati di tutto il mondo a partire da un’idea e da un Arduino. Gli unici limiti a quello che si può costruire con l’aiuto di questo microprocessore, in pratica, sono quelli delle competenze e dell’inventiva.

15 Si possono trovare approfondimenti sui progetti citati nelle relative pagine web. In ordine: www.amandaghassaei.com (A. Ghassaei), dominicwilcox. com/portfolio/ gpsshoe (No Place Like Home), vimeo.com/ 30780208 (Senseless Drawing Bot), thedeconstruction. org/team/les-sugus (DRM Chair), cargocollective. com/hnx (.fluid), soundcloud.com/ andreasartori (Andrea Sartori), www.ardusat.org (Ardusat).

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La stampa 3D e la nuova rivoluzione industriale

2.2

16 “3D printing”, Wikipedia, consultazione 23 settembre 2013.

“La stampa 3D o produzione additiva è un processo per costruire un oggetto solido tridimensionale di qualsiasi forma da un modello digitale.” 16 È il 1983, nei laboratori della 3D System Corp in South Carolina, e Chuck Hull sta progettando coperture per tavoli con materiali sensibili agli UV, quando gli viene in mente un nuovo modo di utilizzare questa tecnologia: solidificare dei polimeri portati allo stato liquido in strati sovrapposti fino a creare un oggetto, una vera e propria “stampa”, ma in tre dimensioni. La chiama stereolitografia. Chuck comincia a lavorare a questa idea nel suo tempo libero e nel 1984 mostra a sua moglie il primo piccolo oggetto stampato in 3D. È più di vent’anni dopo in una ex birreria di Brooklyn, nel 2009, che il 38enne hacker e artista multimediale Bre Pettis costruisce la prima MakerBot, una stampate 3D da circa mille dollari - il primo prezzo accessibile a un privato per una tecnologia del genere - dimostrando che la stampa 3D ha la potenzialità di diventare una realtà praticamente domestica. Questa particolare stampante darà il via al calo dei prezzi e alla diffusione capillare e inarrestabile della stereolitografia e della cultura dei maker oggi sulla bocca di tutti. Mentre la stereolitografia era un processo lungo e molto costoso, le stampanti di oggi usano tecniche più semplici, veloci ed economiche; il funzionamento, comunque, non è molto diverso da quello delle stampanti a getto di inchiostro che tutti conoscono: una “testina” si muove sugli assi x e y mentre rilascia il materiale o il laser, stampando un singolo strato, e si alza poi lungo l’asse z per passare allo strato seguente, sovrapponendolo a quelli già stampati fino a raggiungere l’altezza finale della figura. La composizione dei materiali e le tecniche di stampa variano. Al momento si studia per creare macchine in grado di stampare parti metalliche e circuiti elettrici funzionanti, mentre esistono già quelle del progetto RepRap in grado di replicarsi stampando un’altra copia di se stesse. Ora, per meno di mille euro si può acquistare una stampante 3D in un negozio di elettronica ben fornito, e per una somma che si aggira intorno ai 300 euro se ne può ordinare online una di bassa risoluzione da assemblare. Ma i costi e le tecnologie in campo cambiano molto velocemente. Il giovane canadese Rylan Grayston ha lanciato a ottobre 2013 una riuscitissima campagna di crowdfunding per realizzare la

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17 La stampante da 100 dollari di Grayston si chiama Peachy Printer; maggiori informazioni sono disponibili sul sito www.peachyprinter.com, sulla pagina della campagna Kickstarter e sui vari social network.

prima stampante 3D da 100 dollari canadesi (circa 65 euro), che utilizza una tecnologia radicalmente diversa: della incredibilmente economica resina liquida viene colpita e quindi solidificata da un raggio laser diretto con l’uso di onde sonore, generate dal file CAD attraverso il jack audio del computer 17. In qualche modo, per ora nel suo piccolo, questa è una tecnologia in grado di cambiare la scienza e l’economia. Molti sostengono che quella a cui siamo di fronte oggi potrebbe essere una vera e propria nuova rivoluzione industriale: dopo la macchina a vapore, la produzione di massa e infine l’elettronica, la stampante 3D, intorno alla cui tecnologia stanno nascendo nuovi modelli di laboratori e di artigianato, potrebbe essere una svolta epocale, grazie all’abbattimento velocissimo dei costi, alla vastità della comunità che la utilizza e soprattutto all’evoluzione costante dei materiali. Le stampanti a inchiostro da scrivania hanno permesso a chiunque nel mondo di produrre fisicamente testi e immagini - un cambiamento sociale, se ci si pensa, enorme - ma ancora oggi la loro funzione è rimasta quella di riprodurre superfici 2D sulla carta con qualche diverso tipo di inchiostro. Con le stampanti 3D, invece, teoricamente nulla impedisce che in un futuro prossimo si possano stampare materiali che sostituiscano il legno e la pietra, e poi tessuti e organi, cibi, valvole cardiache e case.

Bre Pettis al SXSW Interactive 2013.

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3

L’ARTE GENERATIVA E L’OPEN SOURCE

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« Computer programming is an art, because it applies accumulated knowledge to the world, because it requires skill and ingenuity, and especially because it produces objects of beauty. » Donald Knuth

1

Per ogni soluzione digitale di fronte a cui ci troviamo, dietro le quinte c’è sempre qualcuno che sviluppa logiche automatiche ed interfacce intelligenti, le quali lavorano per noi dallo schermo del nostro pc. Tutto questo sistema è formato da bit e byte, tag e query, circuiti hardware e moduli e-learning, magicamente trasformati in interfacce user-friendly, istruzioni, pulsanti, comandi.

1 Donald Ervin Knuth, informatico statunitense e professore emerito presso la Stanford University. È l’autore di The Art of Computer Programming (“L’arte della programmazione”), sugli algoritmi e la relativa analisi.

Designer, programmatori, tecnici, informatici e artisti usano oggi questi strumenti non solo per risolvere problemi, e rendere lunghissimi iter di calcolo estremamente veloci e semplici, ma anche per il gusto di creare qualcosa di nuovo. Così come si sono sempre usati matite e pennelli, tempere, pigmenti, argilla, scalpello e marmo, e poi mouse e tavoletta grafica, Photoshop e macchina fotografica, parole e versi per “fare del bello”, chiunque abbia la pazienza e la passione di imparare un linguaggio informatico, ha oggi a disposizione una vasta gamma di nuovi strumenti per creare: C++, Java, Html, Vvvv, Processing e poi schermi piatti, Kinect, proiettori, stampanti, microcontrollori, hardware all’avanguardia e i mezzi per connettere tutte queste cose tra di loro. Gli “artisti interattivi” e i designer lavorano con questi sistemi digitali come materiale primario - visualizzazioni, grafica 3D, simulazioni - e si occupano all’interno del proprio lavoro anche dell’effetto culturale stesso di questi materiali. Le persone che lavorano con questi strumenti prendono anche spesso parte nella creazione e nel miglioramento degli strumenti open source stessi (l’artista digitale Zach Lieberman, ad esempio, è uno dei creatori di openFramework, il software per creative coding basato su C++). Lo scopo della loro attività è tanto quello di creare lavori individuali quanto di coltivare queste comunità collaborative.

Nella pagina precedente: Spettatori davanti all’installazione in loop Unidisplay di Carsten Nicolai all’Hangar Bicocca, Milano,

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Creative Coding e Generative Art

3.1

2 Dalla pagina Facebook di Joshua Davis.

Il Creative Coding nasce già negli Anni ’60 e consiste proprio in questo: usare i linguaggi di programmazione (ora solitamente Processing, Open Frameworks e Cinder) per creare opere d’arte, installazioni, sperimentazioni visuali e di interazione. Ne ha fatto la sua passione e la sua professione, ad esempio, l’americano Joshua Davis, che si definisce “artist, designer, and technologist” 2. Ha collaborato con istituzioni e musicisti per creare installazioni, murales, stampe, opere d’arte e video musicali caratterizzati da grafica generativa. Davis è affascinato dalla possibilità, una volta finito il lungo percorso di programmazione, di utilizzare il computer per creare infinite varianti di uno stesso pattern, e in un tempo immensamente breve. È questo aspetto che definisce la bellezza e la forza dello strumento, e che ha permesso anche la nascita della Generative Art - l’arte creata utilizzando, in parte o completamente, un sistema autonomo in grado di prendere “decisioni” senza un intervento umano continuo. Una volta avute le istruzioni, con tutte le caratteristiche che il progettista vuole, il computer è in grado di occuparsi da solo della parte operativa, di creare fisicamente (sotto forma di video, di suono o di impulsi verso un hardware) una combinazione praticamente infinita di output. I dettagli delle istruzioni possono essere scelte in modo casuale, in modo preciso a seconda di dati, o interattivo attraverso i gesti di un utente: questo definisce insieme alle altre scelte progettuali il campo di competenza dell’oggetto. Le possibilità per il progettista in gioco, come le variabili, sono infinite. Un altro esempio di artista digitale è il canadese Jer Thorp. Questo “software artist” trapiantato a New York agisce con il suo lavoro in un’area di confine tra l’arte e l’information design: quando insegna ai suoi studenti americani, li invita a pensare ai dati come a qualcosa che non solo può essere rappresentato sullo schermo, ma che può essere scolpito, modellato, o fabbricato. Oltre ad insegnare, Thorp fa parte dal 2013 del gruppo Office for Creative Research (OCR) da lui fondato insieme allo statistico Mark Hansen e all’artista Ben Rubin, e collabora con molti studi e istituzioni. Il suo lavoro più noto è Project Cascade, del 2011: una mappa 3D della natura della conversazione sociale nel web ottenuta analizzando il modo in cui i link agli articoli del New York Times erano diffusi attraverso Twitter. Sempre lavorando

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J. Davis, music video generativo per Phantogram.

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3 Intervista di Greg J. Smith, “HOLO” n°1, primavera 2014, p.40.

con Twitter, ha creato anche altre piccole applicazioni, come quelle che mostrano su una mappa del globo i ritmi iperattivi della mobilità e della connettività globalizzate, visualizzando la geolocalizzazione dei tweet contenenti le frasi “I just landed in...” e “Good morning!”. Thorpe ha lavorato, a partire dal 2009, al memoriale per le vittime dell’11 Settembre, collaborando con lo studio di media design Local Projects: ha sviluppato un algoritmo in grado di distribuire in un pattern omogeneo i nomi delle 2.983 vittime dell’attentato su settantasei lastre di bronzo di dimensioni e forme diverse. Per fare ciò, ha scritto un programma per Processing in grado di seguire le rigide regole tipografiche, di contesto e di assemblaggio, e una seconda applicazione per esaminare e ridefinire il layout finale delle incisioni. A proposito proprio delle opere pubbliche e della tecnologia, Jer Thorpe sostiene: “Ora più che mai le persone possono scegliere cosa vedere, e questo è il problema della nostra epoca di ‘bolle-filtro’. Mettendo le cose negli spazi pubblici, in un certo senso frantumi questa condizione” 3. La stessa generatività che porta a risultati artistici, quindi, può essere usata anche all’interno delle opere stesse per scopi diversi, per aiutare l’uomo in una realizzazione complessa (come l’algoritmo per il memoriale dell’11 Settembre), o per mostrare e sottolineare cosa sta succedendo nel mondo in un particolare momento e contesto (come le applicazioni che mappano Twitter). In modo molto diverso, più fedele alla vera e propria Generative Art, utilizza la “componente generativa” l’artista svizzero Zimoun. Le sue sculture cinetiche potrebbero essere una manifestazione quasi architettonica dell’era delle macchine: centinaia di semplici e meticolosamente assemblati congegni meccanici ronzano insieme in uno strano concerto. I suoi lavori sono pensati come costruzioni che possono essere esplorate con l’udito tanto quanto con la vista. In alcune delle sue installazioni, decine e decine di piccoli motori, montati lungo le pareti di una grande sala vuota o su superfici di cartone, fanno muovere fili e palline di materiali diversi producendo piccoli e continui rumori che formano un unico insieme; la mente dello spettatore, sommersa dalla cacofonia di tante parti identiche in movimento, cerca associazioni e trame conosciute, perché programmata proprio per trovare senso nel caos. In un’altra installazione, gocce d’acqua cadono da contenitori sospesi su lastre di ferro riscaldate, evaporando con un

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sibilo a ritmi regolari e diversi, mentre le lastre si consumano ed erodono secondo pattern irregolari e casuali. Ancora, il suo primo lavoro di questo genere era formato da un container riempito con 3.500 fogli A4 stropicciati, nel quale la tensione del materiale produceva un leggero, continuo crepitio. La ragione per cui Zimoun si attiene a pratiche low-tech (usando componenti meccaniche immutate da anni e nessun ausilio digitale) è da ricercare nel suo interesse per i sistemi governati da regole - elemento fondante dell’Arte Generativa tutta - per la complessità e per l’immersione totale nell’esperienza. L’artista stesso si dice “ancora perplesso di fronte a quanto sistemi semplici e artificiali possano generare texture così vive e ricche” 4.

4 Intervista di Alexander Scholz, ivi, p.74.

Per fare più chiarezza nell’argomento, Philip Galanter 5 identifica come elemento chiave nella definizione di Arte Generativa proprio l’uso dei sistemi 6. Nel darne una definizione il più completa possibile individua almeno tre campi nei quali si può dividere la presenza della Generative Art:

5 Philip Galanter è professore di Interactive Telecommunications presso la New York University, USA.

I. Composizione di musica elettronica e algoritmi 6 Galanter, Philip, paper online What is Generativer Art? Complexity Theory as a Context for Art Theory.

II. Computer Graphic e animazione, con l’uso del physical modeling nella creazione di filmati (e di veri e propri film come quelli firmati Pixar). III. Disegno industriale e architettura: il processo iterativo di creare prototipi, selezionarli, fare modifiche incrementali e creare nuovi esempi è sempre stato parte fondamentale del design, e ricorda il processo evolutivo dei sistemi genetici e naturali. Si potrebbero includere nella lista la robotica, l’arte matematica e molti altri campi. Galanter riporta infatti nel suo saggio What is Generativer Art? una serie di nomi di artisti che si potrebbero definire, a posteriori, promotori dell’Arte Generativa in ogni campo: John Cage, William Burroughs e Marcel Duchamp, ad esempio; gli artisti concettuali Sol Lewitt e Hans Haacke, e poi M. C. Escher, Carl Andre, Wolfgang Amadeus Mozart. L’aggettivo “generativo”, indica semplicemente il

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7

Ibidem.

fatto che potenziali infiniti risultati possono essere prodotti usando un qualche sistema che li crei. La definizione più completa di Arte Generativa è quindi per Galanter “qualsiasi pratica dove l’artista usa un sistema, come un set di regole di linguaggi naturali, un programma informatico, una macchina, o altre invenzioni procedurali, che è messo in moto con una certa libertà di autonomia per contribuire al risultato di un lavoro artistico completo” 7. In teoria - e solo in teoria - qualsiasi sistema può essere mappato nel più semplice e piccolo programma possibile funzionante su una macchina universale che generi stringhe di codice come output. Ma che ruolo gioca, all’interno dell’opera d’arte finita, il sistema usato? Rifacendosi alla teoria dell’informazione di Claude Shannon 8, Philip Galanter spiega che, analizzando la capacità di un canale di comunicazione utilizzato, più questo può suscitare “sorpresa”, più informazione contiene. Ogni sistema può essere più o meno ordinato o caotico, ma il pubblico si stuferà presto dell’esperienza sia di un sistema altamente caotico, che di uno incredibilmente ordinato, perché entrambi gli estremi mancano di una complessità strutturale che valga la loro completa attenzione.

8 Shannon, Claude E. A mathematical theory of communication. The Bell System Technical Journal, 27(3):379--423, 1948.

Se la chiave dell’Arte Generativa è l’uso di sistemi - più o meno complessi, più o meno disordinati - da parte dell’artista, questo vuol dire che lo stesso processo e le stesse caratteristiche possono essere applicati ad un progetto di comunicazione, dove è il designer che se ne occupa a scegliere e spesso a programmare lui stesso il sistema di cui fare uso.

Nella pagina di fianco: Jer Thorp al lavoro nel suo studio di New York.

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L’importanza dell’Open Source e della comunità

3.2

« La conoscenza è un processo addizionale, cumulativo; si costruisce nel tempo, salendo sulle spalle dei grandi che ci hanno preceduto, come, al circo, nelle pirmidi umane degli acrobati. » Richard Sennet, L'uomo artigiano

Forse l’unica parola che negli ultimi due anni si legge più di “startup” è “Kickstarter”. Sembra non ci sia più rivista indipendente, film sperimentale, accessorio inutile per iPhone che non nasca da una campagna di crowdfunding (un’altra parola già consunta). Kickstarter è nato nel 2009 da Perry Chen, Yancey Strickler e Charles Adler. Questi tre americani hanno avuto l’idea giusta per lanciare idee giuste: chiunque abbia in mente un prodotto creativo può chiedere aiuto al popolo degli internauti, offrendo la possibilità di pre-ordinare il risultato del progetto permettendo allo stesso di partire. Il crowdfunding è oggi una fortunata sorgente di possibilità per piccolissime imprese, artigiani, studenti, creativi che vogliono restare indipendenti, ed è senza ombra di dubbio una delle più riuscite strategie di spinta in tempo di crisi economica. Quando nessun ente o privato sembra avere il capitale necessario per permettere di iniziare una piccola impresa o un progetto azzardato, è molto più facile che centinaia o anche migliaia di persone abbiano qualche piccola cifra per acquistare in anticipo un prodotto in cui credono. Si forma così intorno a ogni campagna un gruppo di sostenitori (i cosiddetti bakers). Ecco che la comunità, nel modo più lampante, diventa più della somma delle singole persone: diventa per i creativi che tentano la fortuna più potente delle industrie, perché più attenta al piccolo, più coraggiosa, più fiduciosa. Nel mondo informatico è sempre esistito un modello che crea co-

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munità per aiutare progetti a nascere e a formarsi: in modo molto diverso, non donando soldi ma al contrario regalando gratuitamente, questa corrente nega il bisogno stesso di denaro nel suo campo. Stiamo parlando dell’Open Source. Che cosa comporta esattamente questa definizione - in italiano “codice sorgente aperto”? In campo informatico, indica un software di cui gli autori originali permettono e anzi favoriscono il libero studio e l’apporto di modifiche da parte di altri programmatori e utenti. La stessa filosofia ha dato però anche vita all’Open Content, dove è il contenuto stesso ad essere libero e utilizzabile da tutti. Ha dato vita a Wikipedia, per esempio. La parte più importante, il vero fondamento dell’Open Source, è la condivisione di conoscenza. Internet è una fonte di informazione continua su praticamente qualsiasi cosa possiamo aver bisogno di pensare o sapere, ma “è nel condividere il pensiero attraverso la conversazione, nel ricercare e ascoltare nuove voci, che le idee prendono veramente vita” 9. Se non sai come fare qualcosa che devi realizzare, sei costretto a imparare. Mettendo le mani su uno strumento nuovo, imparerai probabilmente presto che è più facile di quanto sembri, perché la maggior parte delle tue domande possono trovare risposta grazie a qualcuno che ha già avuto esperienza dello stesso problema.

9 Heinrich, Louisa (2014) Let’s Talk!, “Offscreen” n°7, gennaio 2014, p. 11.

La condivisione di conoscenza, va ben notato, non funziona solo in informatica, con codici e pagine internet. Gli stessi principi funzionano nel “mondo reale”. Così, se si prende per la prima volta in mano un componente elettronico, qualcuno saprà dire come funziona, dove inserire quale cavo, come fargli fare questa o quell’altra cosa. Qualcuno avrà già cercato in passato con successo di costruire uno skateboard, di assemblare un aeroplano giocattolo, di far funzionare proprio il motore servo che va inserito in quel robot. Hannah Arendt diceva che “discorso e azione sono le modalità con cui gli esseri umani appaiono gli uni agli altri non come oggetti fisici, ma in quanto uomini” 10. In L’uomo artigiano Sennet parla ad esempio del progetto open source più famoso di sempre, Linux. Linux è di fatto un bene pubblico, e il suo codice sorgente è accessibile a tutti, così che chiunque possa dedicare gratuitamente il suo tempo per migliorarlo, oltre a poterlo ovviamente utilizzare.

10 Arendt, Hannah, The human condition (Vita activa. La condizione umana), 1958, University of Chicago Press, Chicago 1998, p. 176.

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Sennet spiega che i tipi di software libero sono due: uno “a cattedrale”, nel quale pochi programmatori sviluppano il codice a porte chiuse e poi lo diffondono, e uno “a bazar”, al quale tutti possono partecipare in corso d’opera. Linux è ovviamente di questo secondo tipo, perché quando un gran numero di persone partecipa alla scrittura di un codice, la soluzione dei problemi diventa facilissima. L’open source permette di adattare i metodi alle situazioni, e di trovare soluzioni velocemente: è un sistema di conoscenza aperto, destinato quindi come insegna la storia delle arti ad avere vita più lunga di ogni sistema chiuso. Informatici e real-life-hacker, entusiasti nei confronti delle nuove tencologie, sono sempre pronti a mettere a disposizione di tutti le proprie scoperte e creazioni, e questo contribuisce in modo massiccio alla nascita di sempre nuovi progetti e comunità: nel 2010, dopo solo una settimana dal lancio da parte di Microsoft del sensore Kinect, qualcuno aveva già hackerato il dispositivo e rilasciato un software open source per utilizzarlo, dando il via a un’ondata incredibile di attività nell’arte digitale e in altri campi. Mettete insieme tutti questi elementi - nuovi strumenti, voglia di creare, intraprendenza, comunità, conoscenze accessibili - e avrete una spinta creativa probabilmente simile a quelle che hanno permesso la nascita e la rinascita delle nazioni e delle arti. O perlomeno un gruppo di persone che vogliono, e possono, fare cose nuove. Torniamo quindi a parlare dei famosi maker. È in questo modo, condividendo esperienze, che sta diventando facile, o quanto meno possibile per tutti, riprendere la manualità, la voglia di creare, la cultura dell’artigianato e del DIY (o ”arrangiarsi”) tipico da sempre in particolare proprio dell’Italia.

Nella pagina di fianco: Uncut, progetto di Francesca Lanzavecchia e Hunn Wai, mostra Mondopasta a Milano (Fuori Salone), 2014.

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DESIGN GENERATIVO, INTEGRAZIONE NELLA COMUNICAZIONE E CASI STUDIO

parte B


4

IL RUOLO DEL DESIGN NEL PRESENTE “In quanto designers, sappiamo qualcosa sui linguaggi e sugli idiomi visivi. Ora, grazie alle reti di sistemi e alle immagini istantanee onnipresenti, percezione e rappesentazione stanno cambiando più velocemente che mai. Il compito di artisti, designer e operatori della cultura è chiaro” 1. Il direttore dello Studio for Creatvie Inquiry dell’università di Pittsburgh apre così un dibattito sugli strumenti tecnologici che stanno cambiando il modo degli utenti di comunicare e di vedere. Il chiaro compito di chi ne fa uso nel proprio mestiere è quello duplice di predire scenari futuri pericolosi e allo stesso tempo divertirsi con quelli interessanti. È ovvio che il Design della Comunicazione non può prescindere dai mezzi di comunicazione, che siano dibattuti o meno.

1 Golan Levin, Sight and Insight, “HOLO” n°1, primavera 2014, p. 84-85.

Finora si è visto come elementi diversi abbiano portato a una nuova corrente di pensiero e di azione che sta muovendo l’economia, la tecnologia e la creatività globale partendo “dal basso”: il valore del lavoro artigiano, l’accessibilità delle nuove tecnologie, l’evoluzione della stampa 3D, Arduino e i microprocessori, e i software generativi sono tutti elementi che hanno contribuito alla nascita del fenomeno dei maker, e che si stanno diffondendo nelle scuole di Design di tutto il mondo infiltrandosi nelle competenze dei nuovi progettisti. La fede nelle macchine e nelle potenzialità dei singoli individui, nata già nel post Rivoluzione Industriale e con l’Illuminismo, e la tendenza soprattutto di programmatori e di artigiani di riunirsi in comunità dando vita a progetti aperti e spesso open source, stanno spingendo questa nuova cultura del DIY digitale permettendole di espandersi a grande velocità, grazie a nuovi strumenti creativi hardware e software, piattaforme di insegnamento, e crowdfunding. Quando si hanno movimenti così importanti in numerosi settori, il loro impatto sull’economia mondiale non può essere ignorato. A livello europeo, poiché in tempo di crisi i grandi capitali restano spesso immobili in attesa di capire quale direzione verrà presa, per attirare gli investimenti privati in una nuova direzione è necessario muovere prima di tutto gli investimenti delle istituzioni e dell’Europa stessa: i sindacati tedeschi stanno facendo proprio questo, cercando un piano comune secondo cui muovere i fondi europei verso le tecnologie in evoluzione. Secondo Giuseppe Tripoli, del Ministero dello Sviluppo, ora che

Nelle pagine precedenti: Macrofilm di panGenerator.

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questa nuova Rivoluzione Industriale è in atto anche nel nostro paese, le risorse, la formazione e l’urbanistica dovrebbero cambiare, per seguire i nuovi modelli di produzione 2. Questi modelli sono stati modificati soprattutto dalla stampa 3D, che tra le altre cose ha già ridotto drasticamente l’apporto di emissioni e l’utilizzo di materie prime nelle fabbriche: eliminando fusioni, colate e altri sistemi della manifattura pesante, lo spreco di risorse si è ridotto moltissimo, con conseguente risparmio e miglior impatto ambientale.

2 Intervista trasmessa in "Report" di Michele Buono, RAI3, puntata del 26 maggio 2014, trasmissione televisiva (disponibile in streaming su www.report. rai.it).

Questi cambiamenti in corso sono molto evidenti nell’arte (si parla spesso di arte generativa, di computer art, di modellazione digitale, di performance live interattive) e nel disegno industriale, dove i designer di prodotto si confrontano nel mondo tangibile con l’Interaction Design, con oggetti intelligenti programmabili e con le più disparate interfacce utente. Vedere l’importanza della tecnologia digitale e dell’artigianato nel design della Comunicazione, al di fuori degli strumenti classici di rendering, di layout, o di web design, può non risultare immediato, perché gli esempi di applicazioni che ne fanno uso sono estremamente vari, e praticamente qualsiasi campo ne viene lentamente e costantemente modificato e arricchito: la presenza del digitale potrebbe risultare “invisibile” proprio perché le pratiche del design grafico ne sono permeate, e la presenza della cultura dei maker può sembrare ancora marginale, ma facendo qualche nome ed esempio è possibile dipingere un quadro delle possibilità offerte ai progetti comunicativi dai nuovi strumenti di cui si è finora parlato. L'esempio più semplice è l'evoluzione della data visualization, ma c'è bel altro. L’interattività aggiunge valore all’esperienza, ad esempio alla visita di un museo o di una città; l’attenzione può essere focalizzata e guidata da grafica e installazioni reattive; i settori tradizionali, come editoria e branding, sono rinnovati attraverso interazione e generatività: nascono le identità dinamiche, i progetti basati sull'user experience, nuovi modelli editoriali, le app mobile, la realtà aumentata. Il Design della Comunicazione in particolare cambia perché cambiano i canali e i mezzi: cambiano la comunicazione del territorio, la comunicazione dell’informazione, i modi di interagire, e i processi creativi degli artefatti.

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Comunicazione e territorio: èBologna

4.1

Il progetto di identità visiva per la città di Bologna è stato scelto con un concorso internazionale Bologna City Branding. Il risultato è il sistema visivo di Matteo Bartoli e Michele Pastore, formato da una piattaforma per generare immagii variabili combinando elementi visivi associati alle lettere digitate, che formano grafiche uniche. “èBologna” è un alfabeto che sostituisce alle singole lettere segni astratti elaborati a partire da alcune figure tipiche della città di Bologna: la croce e il giglio del gonfalone, i mosaici di S. Maria dei Servi, il rombo presente nello stemma antico, la forma esagonale della cinta muraria. Con questi segni è possibile “scrivere” qualsiasi concetto riferibile alla città, includendo ogni caratteristica fisica o astratta, generale o personale, che si vuole associare a Bologna. I segni, sovrapponendosi nella composizione delle parole, danno origine a un vero e proprio codice di scrittura, unico e distintivo di Bologna, capace di raccontare le molteplici forme della città. Per fare ciò, è stata sviluppata da ChannelWeb una pagina web che permette di creare i simboli semplicemente digitando una parola, e di condividere il risultato sui alcuni social network. L’idea è quella che, con l’uso di tecniche generative, ogni cittadino, turista o curioso possa creare in pochi istanti un logo personalizzato ma in continuità con l’identità della città, e che possa farlo partendo da una parola. L’applicazione web è quindi il tramite per ottenere una linea di continuità istituzione-cittadino e per coinvolgere personalmente gli utenti.

Il progetto online: www.ebologna.it www.matteobartoli.com/portfolio/e-bologna

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Comunicazione e interazione: Macrofilm

4.2

Creata dal collettivo panGenerator, Macrofilm è un’installazione permanente interattiva del Museum of The History of Polish Jews. Al gruppo è stato chiesto di realizzare un’installazione interattiva unica per il Centro Risorse del museo, che permettesse ai visitatori di navigare tra alcune storie della comunità ebraica polacca. Il progetto consiste in un “nastro” di circa 9 metri composto da due segmenti monolitici, un cassetto e delle carte di legno, e un pannello centrale anch’esso in legno con un comando a ruota e uno slot per le carte. L’interazione è intenzionalmente ridotta alla massima semplicità: l’utente può scorrere le carte di legno nel cassetto, sceglierne una, metterla nel pannello e poi navigare usando la ruota. Invece di inserire feedback aptici, il team ha deciso di utilizzare l’inerzia del comando-ruota, aumentandone anche l’attrito quando l’utente arriva vicino alla fine o all’inizio della presentazione. La mappatura dell’installazione è controllata da un’applicazione personalizzata in openFrameworks, che genera contenuto visivo in real-time per tre proiettori - uno per il pannello centrale e due per le parti a destra e a sinistra del “nastro”. L’elettronica per il lettore di card e per il comando a ruota si basano su Arduino, con alcuni shield e componenti progettati appositamente dal team. Volendo evitare interazioni touch-screen, già onnipresenti intorno a noi, i progettisti di panGenerator hanno creato con successo qualcosa che unisse l’esperienza tradizionale e tangibile di scorrere vecchi archivi con la tecnologia moderna.

Il progetto online: www.pangenerator.com

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Comunicazione e processo: Longhand Publishers

4.3

Assemblata nell’ex sede di un giornale, l’installazione Longhand Publishers creata da Tim Knapen e Andreas Depauw permette ai visitatori di creare una piccola pubblicazione collaborativa. Presentato all’interno del Graphic Design Festival di Breda, questo progetto prende in prestito estetica e processo dei vecchi sistemi di stampa, e consiste in una “postazione di lavoro”, in una macchina che disegna e in un piccolo shop. La postazione di lavoro, dove si possono progettare le pagine, utilizza software e elettronica su misura per creare uno strumento sia molto limitato graficamente nel suo linguaggio visivo sia molto libero come mezzo creativo. Knapen la definisce uno strumento con regole prestabilite per “un mondo ben definito di infinite possibilità”. Poiché era importante che il processo di progetto fosse ben legato al processo di produzione, la postazione è stata creata in modo che qualsiasi immagine generata con essa sia riproducibile dalla macchina disegnatrice, su carta, con sole linee. L’installazione include una lavagna luminosa sulla quale disporre alcune sagome nere di cartone. Una telecamera mappa queste sagome utilizzando openCV e openFrameworks e le mostra su uno schermo di fianco alla lavagna. Due controlli permettono di modificare il contorno e il pattern interno di queste sagome. Un bottone da sala giochi, infine, permette di aggiungere permanentemente quelle forme alla pagina che si sta progettando. Quando il design personale di ogni visitatore è completo, si può mandare alla postazione di stampa, dove la macchina che disegna utilizza un Arduino DUE e dei motori stepper per dare vita alla pubblicazione, unica e corale.

Il progetto online: www.indianen.be/work/longhand-publishers

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Comunicazione e fisicità: FOMO

4.4

FOMO (Fear Of Missing Out) è un magazine cartaceo generato con un software creato su misura che raccoglie le interazioni sui social media filtrando specifici hashtag o punti geografici. I dati collezionati sono impaginati in un pdf pronto per la stampa, secondo un template predefinito. Il pdf viene quindi stampato, piegato e distribuito sul posto dalla FOMObile, una piattaforma componibile di mobile publishing. La FOMObile è stata presente, tra le altre occasioni, alla Settimana del Design di Milano e alla Biennale di Architettura di Venezia 2014. Isipirato dalla frase “events are the new magazines” (B. Sterling), FOMO è un tentativo di produrre una registrazione fisica dei dati generati da eventi culturali. La piattaforma filtra e rende accessibili fisicamente la nube elettronica e i flussi comunicativi che circondano l’evento stesso. La produzione del magazine è un processo che indaga l’estetica e le implicazioni concettuali dell’incontro tra la tradizione centenaria delle pubblicazioni sperimentali, l’influenza crescente delle macchine intelligenti nei media, e la ricerca della gratificazione immediata prodotta dalle tecnologie real-time. Variabili come il rumore di fondo, il numero di persone presenti e l’intensità dell’attività online influenza l’aspetto dell’output finale, creando sia momenti di alta densità che momenti di vuoto. FOMO, quindi, non è tanto un esperimento sulla documentazione precisa, quanto una ricerca di metodi alternativi di rappresentare e documentare.

Il progetto online: www.spacecaviar.net/fomo

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WESTMAN ISLANDS BRANDING, MUNINN & HUGINN

parte C


5

WESTMAN ISLANDS BRANDING

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Di fianco: l'isola più grande delle Westman, Elliðaey.

Il progetto di Sintesi Finale consiste nel branding completo, con carattere generativo, di una una nazione fittizia. Nelle ricerche iniziali, ci si è concentrati da subito sul concetto di micronazione, una comunità che, a differenza di uno stato (in qualche modo “imposto” dall’alto), nasce dalla decisione di un gruppo di individui con interessi e valori condivisi, e quindi con un’identità precisa da esprimere e da vivere insieme. La micronazione inventata per il progetto viene idealmente fondata nel 2013 da un gruppo di hacker in seguito allo slancio di indignazione e di azione creato dai casi, tra gli altri, di Edward Snowden e di Wiki-Leaks. La istituiscono nelle quasi disabitate Westman Islands, a largo delle coste islandesi, luogo rilevante perché uno dei punti dove si sono sempre concentrati i fili di connessione transoceanici (dal telegrafo alla fibra ottica) e perché parte dell’Islanda, nota tra gli stati europei per l’attenzione alla democrazia e alla libertà di stampa. I valori e gli ideali che stanno alla base della costituzione delle Westman Islands sono quelli condivisi dalla comunità hacker:

» democrazia liquida e autoregolamento, » libertà di informazione e di opinione, » diritto alla privacy e all’anonimato, » libero accesso a internet, » divieto di oscuramento, » decentralizzazione dei grandi poteri, » centralità della condivisione, » libera circolazione della conoscenza, » trasparenza delle operazioni sociali e politiche. Seguendo queste linee guida, i gruppi di azione, una sorta di ministeri, di cui è composto il movimento delle Westman si differenziano in base all’ambito in cui operano: protezione della privacy, riforma del copyright, salvaguardia della liberà di Internet e all’informazione, protezione di ambiente e popolazione, reclutamento di nuovi membri.

Nella pagina precedente: starter-kit del progetto di branding.

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In alto: francobollo di Ladonia e rappresentanti di Elleore. Nella pagina di fianco: carta del cablaggio transatlantico.

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Bandiera e vista erea di Sealand, piattaforma pertrolifera occupata e dichiarata nazione.


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Concept

5.1

Un branding territoriale dovrebbe esprimere l’identità univoca, e quindi le peculiarità, della nazione o del luogo in esame. Per questo, due elementi principali caratterizzano il branding delle Westman Islands, e nascono dalle due parti fondamentali che ne formano l’identità: rispettivamente i valori (costituzione, motivazioni e manifesto hacker) e il territorio (caratteristiche dell’Islanda e storia dei paesi nordici).

GLITCH

Il primo elemento, di impatto più immediato, è quello legato ai valori hacker: il glitch. Rifacendosi all’estetica dell’errore e della casualità nella riproduzione - rivalutata e ripresa in diversi campi negli ultimi anni - è stato scelto di utilizzare come elementi puramente decorativi immagini trattate attraverso un effetto controllato di glitch. Il glitch è un errore informatico di trasmissione delle informazioni, che ricombina i bit delle immagini mostrando un risultato finale con colori diversi, bande di pixel rimescolati, e a volte completamente irriconoscibile rispetto all’originale. All’interno dell’identità nazionale, rappresenta l’oscuramento e il caos informativo al quale i gruppi di azione della nazione si contrappongono. Gli elementi grafici così trattati caratterizzano il branding pubblico: sono presenti nelle identità dei ministeri, nei documenti ufficiali, nella bandiera e nelle applicazioni web.

VEGVISIR

L’elemento generativo deriva invece dal Vegvísir (‘segnavia’ o ‘indicatore della strada’), un simbolo magico islandese che secondo le leggende ha la proprietà di guidare i viaggiatori e i navigatori anche durante le tempeste, e di riportare a casa il suo portatore. Questo simbolo a otto braccia veniva inciso e dipinto su talismani e oggetti come portafortuna. La sua esistenza e le proprietà sono attestate nell’antico Huld Manuscript, ritrovato in Islanda dallo studioso Geir Vigfusson nel 1860. I vari elementi grafici che compongono il Vegvísir sono stati usati per creare un rudimentale alfabeto e per comporre il marchio della nazione e i simboli personali.

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Esempi di immagini glitchate e Vegvisir. Sotto: glitch generator su snorpey.github.io

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Elementi base

5.2

Elementi istituzionali Il marchio delle Westman Islands è formato dagli elementi grafici più semplici individuati nel Vegvísir, ognuno utilizzato una sola volta. I singoli simboli hanno anche un valore gestaltico e rappresentano, nell’alfabeto di fantasia da loro derivato, alcune lettere del nome della nazione (W-S-T-M-I). Gli elementi sono allineati in verticale come le aste dell’amuleto, e formano una sorta di scudetto, la cui forma richiama l’araldica e i simboli cittadini tipici del passato. Il marchio può essere utilizzato autonomamente, o accostato al logotipo, ed è lo stesso per tutte le istituzioni ufficiali: accostato a una palette di cinque colori e a specifiche immagini glitchate, rappresenta i ministeri insieme ai logotipi di riferimento. La bandiera ufficiale richiama l’estetica del glitch, con bande e pixel sovrapposti nei cinque colori istituzionali. Versioni interattive, variabili a seconda di dati o sensori possono essere utilizzate in luoghi pubblici o portali web: ad esempio, ne è stata realizzata una versione con il software Vvvv in cui le aree dei colori si espandono e rimescolano a seconda del rumore di fondo, e quindi della presenza della folla in sala durante un raduno pubblico. I font istituzionali sono: Meta Pro di Erik Spiekermann, 1991 (FontFont) - bold per il logotipo e normal per le denominazioni dei ministeri - e Proforma di Petr van Blokland, 1985 (Fontbureau) - in book, italic e bold per i testi.

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1/2 1/2

accoglienza persona

+

rete difesa pluralitĂ

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C 91 M 73 Y 52 K 55

C 87 M 56 Y 61 K 49

A B C D E F

C 52 M9 Y 73 K0

C5 M0 Y 86 K0

G H I J K

C 81 M 25 Y 80 K 10

L M N O

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P Q R S T U V W X Y Z


Alfabeto e simboli personali Dagli stessi simboli utilizzati nel marchio ricavati dalla rielaborazione del Vegvísir, con piccole variazioni (aggiunta di aste e cambiamenti di proporzione), è stato creato un alfabeto che comprende tutte le lettere dalla A alla Z. L’alfabeto non contiene punteggiatura o differenza maiuscole/minuscole, e contempla solamente lo spazio e le singole lettere. I simboli così organizzati in un linguaggio sono stati utilizzati per creare le applicazioni personali e ludiche, impilandoli in piccole “parole-totem” dalle forme vagamente animalesche e magiche, simili ai bracci dell’amuleto originario. In questo modo, attraverso gli stessi segni grafici che costituiscono il marchio della nazione, ad ogni cittadino è possibile assegnare un simbolo personale interpretando le sei lettere chiave del suo nome (ad esempio, quelle del codice fiscale europeo). Il simbolo viene idealmente creato per l’utente in modo automatico durante la procedura di adesione alle Westman Islands, in un’applicazione online, e registrato una volta che egli sia diventato cittadino ad ogni effetto. Allo stesso modo, nelle applicazioni web ed editoriali, lettere e brevi parole in alfabeto vegvísir possono essere usate complementari al testo scritto e in modo ornamentale.

ponzetta giulia PNZGLI

sciolto emanuele SCLMNL

posani mariagloria PSNMGL

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Applicazioni

5.3

Per presentare il branding delle Westman Islands con delle applicazioni diversificate ma unitarie, è stato scelto di creare un prototipo unico di uno starter-kit per un nuovo cittadino che aderisce al movimento, e che si avvicina così da subito alla nazione e alla sua identità in modo fisico, tangibile. Lo starter-kit comprende: documento di identità, lettera di benvenuto e spiegazione dell’alfabeto e del simbolo personale (personalizzati con marchio e immagine glitchata dello specifico cittadino, così come la superficie del doppiofondo all’interno), una copia tascabile della Costituzione delle Westman Islands, la bandiera ufficiale, uno Jargon File - dizionario dei termini della comunità hacker - e delle spillette con simboli e glitch.

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Immagine coordinata dei cinque ministeri

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Jargon File, il dizionario dei termini hacker, consultabile online

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Il branding generativo come filo conduttore nazione-individuo

5.4

La peculiarità di un progetto di branding generativo è quella di mettere a disposizione elementi strutturali o visivi in grado di creare una quantità di variazioni negli artefatti pressoché infinita secondo alcune regole. L’idea di creare un alfabeto, legando ad un gruppo di simboli un significato univoco (cerchio-A, asta-I, ecc.) ha permesso di avere un criterio con cui combinare questi simboli per legarli ad esempio all’identità dell’individuo: le lettere di nome e cognome formano un marchio unico e quindi personale, con cui indentificarsi. Nel concept delle Westman Islands, era importante che cittadino e nazione, attraversando le istituzioni che stanno nel mezzo (come i ministeri), fossero rappresentati dagli stessi segni grafici e dagli stessi criteri - e qui, l’importanza di un alfabeto. I simboli estrapolati dal Vegvísir, che formano le lettere del nuovo alfabeto-totem sono quindi un tramite, un filo conduttore che lega indissolubilmente le singole persone, i gruppi, e poi le organizzazioni, le istituzioni ufficiali e infine la nazione che li contiene, in modo riconoscibile e immediato. Perfino nelle applicazioni interattive e generative si possono creare nuovi marchi e parole per persone, organizzazioni, grafiche, e applicazioni varie. In questo modo, tutti i simboli ufficiali e ad-hoc che riguardano le Westman Islands in ogni campo rimanderanno sempre visivamente uno all’altro, rendendo riconoscibile tutta la produzione legata alla nazione, dalle istituzioni all’individuo, e dall’individuo alle istituzioni. Volendo sfruttare questo elemento di generatività anche in modo ludico, come è stato fatto in alcuni casi studio per coinvolgere il pubblico generale (vedi èBologna e altri), nel progetto personale successivo è stato approfondito l’uso dell’alfabeto vegvísir, insieme al tema del legame digitale-tangibile.

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6

MUNINN & HUGINN

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Muninn e Huginn sono due progetti correlati, ideati per scrivere nel linguaggio ispirato al Vegvísir. Insieme, formano un’installazione con lo scopo di catturare l’attenzione del pubblico sulle Westman Islands, attraverso l’esperienza di usare physical computing e tecnologie informatiche per creare fisicamente un messaggio stampato, che può essere conservato o donato. Muninn è una stampante termica - ma più simile come esperienza alla vecchia macchina da scrivere - capace di stampare in tempo reale nel linguaggio vegvísir ogni lettera digitata su qualsiasi tastiera di un computer. È stata creata utilizzando una piccola stampante termica compatibile per microprocessori e una board Arduino Mega 2560. Huginn è l’interfaccia che permette di tradurre le lettere digitate, e che mostra a schermo allo stesso tempo quello che viene scritto. Programmata in Processing, può essere eseguita su qualsiasi computer utilizzando il linguaggio Javascript. È utilizzabile come applicazione stand-alone o integrata web, con o senza l’uso di Muninn; quello che viene digitato è salvato in un file jpg sul desktop dell’utente e può restare quindi digitale.

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Concept e naming

6.1

I nomi Huginn e Muninn derivano da due corvi della mitologia norrena, associati al dio Odino. Secondo la storia, il dio li fa uscire all'alba per raccogliere informazioni e i corvi viaggiano per il mondo, ritornano alla sera, siedono sulle sue spalle e gli sussurrano le notizie all’orecchio. È a questi corvi che è legato il kenning ‘dio-corvo’ che descrive proprio Odino 1. Nelle rappresentazioni artistiche e nei reperti, Huginn e Muninn sono sempre dipinti come due uccelli sulle spalle di Odino o in volo insieme a lui. Entrambi i nomi derivano dall’antico norreno: Huginn significa ‘pensiero’, Muninn ‘memoria’. Da qui, il primo rappresenta il software che sostituisce l’atto di scrivere, di creare, e il secondo la stampa, la parte conservabile. I corvi sono citati nei poemi epici Edda poetica (poema Grímnismál) e Edda in prosa (libro Gylfaginning), oltre che nelle saghe islandesi dell’Heimskringla.

1 http://en.wikipedia.org/wiki/Huginn_and_Muninn

Questa installazione ha lo scopo di utilizzare l’aspetto più generativo e divertente del branding dinamico delle Westman, ovvero l’alfabeto, permettendo a qualsiasi tipo di utente di creare da zero un artefatto legato visivamente alla nazione. Inoltre, il processo di stampa è fondamentale in quando legato all’indagine della relazione digitale-tangibile: un’idea che resterebbe solo digitale, all’interno di un movimento basato sul digitale (il movimento hacker), diventa immediatamente anche materiale, un oggetto-ricordo che invade il mondo reale e può essere toccato con mano, letteralmente, da chi l’ha creato. Il primo approccio con le Westman Islands, attraverso Muninn, è un’esperienza vera.

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Sopra: primi schizzi del concept di stampante e software. Di fianco: Huginn e Muninn sulle spalle di Odino in un'illustrazione di un manoscritto islandese del XVIII secolo.

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Iter di progetto: Muninn

6.2

0. Assemblaggio della stampante e prove di stampa In questo progetto è usata la stampante termica “mini printer” di Adafruit, pensata per interfacciarsi con un microcontrollore, particolarmente bene con Arduino. Seguendo le istruzioni del fornitore, si collega la stampante ad un Arduino Mega 2560 (l’Arduino Uno usato nelle prime prove si è rilevato insufficiente per via della memoria flash molto ridotta) e si procede con la prova di stampa standard.

power supply 5-9V 1.500 mA

VH GND

D5 PWM D6 PWM

TX RX GND

GND

thermal printer

Arduino Mega 2560

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Schema elettrico e prova di stampa iniziale.


1. Inizio del dialogo tra ambienti di programmazione e hardware Utilizzando la porta usb di un laptop, un alimentatore 5V a 2A (la stampante funziona da 5 a 9 V) e cavi elettrici, le tre parti dell’hardware sono collegate in modo che il computer invii comandi alla scheda Arduino, a sua volta collegata alla stampante termica. Con lo stesso principio, poiché Arduino può comunicare con il computer solo in modo macchinoso inserendo stringhe nel monitor seriale, per niente divertente, due ambienti di programmazione diversi devono essere in grado di comunicare: Processing* è utilizzato per creare l’interfaccia - si occupa quindi dell’interazione utente-computer - e invia comandi tramite porta seriale all’IDE di Arduino, che è invece in grado di “parlare” alla stampante termica grazie a un linguaggio in comune, ovvero delle librerie di comandi (fornite da Adafruit insieme ad un codice di prova).

* La parte scritta in Processing verrà ripresa più avanti nel creare l’interfaccia Huginn, che per ora si limita ad inviare le informazioni sul tasto premuto ad Arduino.

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2. Preparazione di immagini BMP e testo La stampante termica non è in grado di leggere file immagine veri e propri, perciò è utilizzato un piccolo programma per Processing, anch’esso fornito da Adafruit, che trasforma le immagini (in scala di grigi png o già in bmp) in codici leggibili da Arduino, poi da implementare nello sketch finale di stampa. Questi file non sono altro che contenitori per grandi array, delle matrici di informazioni su ogni singolo pixel dell’immagine che rappresentano lo 0-1, il bianco-nero del bitmap.

3. Prove con le lettere vegvisir Per effettuare le prime prove di debug e controllare cioè che Processing invii la lettera corretta ad Arduino, senza sprecare carta, è montato sul microprocessore un buzzer (una piccola componente che vibra emettendo toni diversi) che sostituisce la vera e propria stampa, avvertendo con note diverse che l’informazione sul tasto è arrivata. Successivamente, si ricollega la stampante e si procede a stampare le prime righe di prova utilizzando semplicemente il monitor seriale di Arduino. Ogni lettera mandata corrisponde a una singola immagine bitmap. 4. Scrittura del codice definitivo e prime prove di stampa Compilato il codice definitivo nell’IDE di Arduino, e caricato lo sketch sul microprocessore, è ora di procedere con le prime prove di stampa in vegvisir. A questo punto Arduino non ha più bisogno di avere il proprio programma aperto sul computer, ma contiene tutto ciò di cui necessita, mentre gli servono ancora il cavo usb e Processing (per inviare le informazioni sui tasti premuti).

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5. Costruzione e assemblaggio della scatola Alla stampante Muninn è dato il suo aspetto finale riprendendo l’estetica dello starter kit sviluppato nel branding delle Westman Islands. Con taglio laser e rifiniture manuali sono creati i pezzi ad incastro; con l’incisione laser sono invece ottenuti il logo sul fronte e lo schema contenuto all’interno del retro. La scatola è progettata in modo che la manutenzione e l’eventuale ri-assemblaggio siano il più semplice possibile: la struttura a incastro e la posizione delle parti all’interno, senza saldature e colla, permette di scollegare e collegare facilmente la stampante e Arduino per estrarre i componenti, ricaricare la carta termica, cambiare microprocessore ecc. Lo schema elettrico e le istruzioni per la manutenzione (comunque minima) sono incisi direttamente all’interno del pannello posteriore, quindi sempre a portata di mano in caso di malfunzionamento. A questo punto, l’abbozzo di interfaccia programmata in Processing è ripreso per elaborare il canale di comunicazione con l’utente finale, Huginn, seconda componente del progetto.

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Iter di progetto: Huginn

6.2

0. Preparazione dei file Nello sketch che compone l’applicazione stand-alone (non web), vengono usati, come per la stampante, singoli file immagine per ogni lettera - tutti con la stessa larghezza e comprendenti la spaziatura preparati in .png e inseriti nella cartella “data” nominati correttamente. Vengono usati anche altri file immagine, come tre header intercambiabili, e il logo. 1. Interfaccia senza Arduino Le funzioni che il programma deve prima o poi svolgere sono, in ordine logico: A) Disegnare la parte fissa dell’interfaccia (logo ecc) B) Alla pressione di un tasto, disegnare la lettera corrispondente in vegvisir C) Alla pressione di un tasto, scrivere la lettera corrispondente D) Alla pressione di un tasto, inviare le informazioni ad Arduino attraverso Serial L’interazione Processing - Arduino (D) è già stata testata nelle prime fasi della creazione di Muninn, perciò per Huginn si comincia creando un’interfaccia che funzioni indipendentemente dalla porta seriale, dall’usb e dalla stampante. Le altre tre funzioni (A, B e C) sono quindi scritte separatamente, testate, e implementate nello stesso sketch una volta complete. In questo modo, la stessa interfaccia, una volta avviata (A) riceve le informazioni necessarie dalla tastiera e compie contemporaneamente i due compiti rimanenti (B e C). Oltre alle singole lettere, lo sketch prevede la spaziatura tra le parole, e una funzione per cui terminata l’area disponibile le lettere vegvisir si spostano prima in una nuova colonna e poi in una nuova “pagina” (la schermata viene riavviata); premendo INVIO, sia la parte di testo che quella in vegvisir vengono cancellate e si ricomincia da capo (così come la stampante stampa la parte di chiusura e si riavvia). Una piccola funzione random, poi, fa in modo che ogni volta che l’applica-

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zione è avviata l’immagine glitchata in alto cambi in modo casuale tra tre header diversi. Una volta scritta una lettera, non si può cancellare, ma solo ricominciare da capo premendo INVIO: questo perché la stampante a cui poi l’interfaccia andrà collegata è pensata per stampare in tempo reale lettera per lettera, e tornare indietro non è ovviamente possibile.

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2. Prove dell’interfaccia Una volta compilata completamente, l’interfaccia è testata con parole e spazi, lettere accentate e maiuscole, tasto INVIO, frasi di prova (coinvolgendo amici, coinquilini e parenti ignari in grado di guardare con occhio critico e riposato il lavoro finito). 3. Implementazione di Arduino A questo punto, è ora di riprendere in mano il primo abbozzo di interfaccia, con i comandi per il Serial, e aggiungere allo sketch finito tutte le parti di dialogo con Arduino. E godersi il risultato.

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Iter di progetto: flowchart e coding

6.2

Di seguito, i flowchart del funzionamento dei due programmi (Processing per Muninn e Arduino per Huginn) e i codici corrispettivi riportati all'ultima revisione funzionante, sintetizzati. Arduino 1.0.5 e Processing 2.1.2, utilizzati nel progetto, sono programmi gratuiti open source, fondati su una comunità di appassionati e volontari, e sulla condivisione di esperienza, domande, risposte e idee.

Apri seriale USB (9600) leggi input seriale

serial read = lettera X

serial read = ENTER

no

serial read = SPAZIO

no

stampa lettera X

print

stampa chiusura spegni stampante accendi stampante

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no

print

stampa spazio

print


Apri seriale USB (9600) Crea grafica fissa Scegli header random (0-2)

h > spazio

write write

no

Comincia nuova riga dist = Xw h=0

w > spazio

no

cancella vegvisir

write

resetta variabili input

keypressed = lettera X

no

leggi input tastiera

keypressed = ENTER sì

comunica al serial ‘X’

comunica al serial ENTER

disegna immagine X ad altezza h

cancella tutto

h = h + Xh

keypressed = SPAZIO

no

no

comunica al serial SPAZIO write

h = h + 20 px

resetta variabili

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// Talking to Arduino import processing.serial.*; Serial myPort;

head = loadImage("head.png"); head2 = loadImage("head2.png"); head3 = loadImage("head3.png"); WI = loadImage("WIlogo.png");

String desktopPath = System. getProperty("user.home") + "/Desktop/";

// Text typing part font = createFont("Proforma-Medium", 16);

// Implementing alphabet and other images PImage A;

* [PImage A;] ripetere per ogni lettera (A - Z)

PImage PImage PImage PImage PImage

logo; head; head2; head3; WI;

// Height of the letters before the last one and starting int StartprevH = 45; int prevH = StartprevH;

// button rectColor = color(0); rectHighlight = color(51); rectX = 11; rectY = height-120; } void draw() { // Huginn and Westman Islands logo image(logo, 15, 40, logo.width/1.6, logo. height/1.6);

// Starting distance from left int Startdist = 200; int dist = Startdist;

// Decide which random header to show if (he == 0) { image(head, 0, 0, width, 30); } else if (he == 1) { image(head2, 0, 0, width, 30); } else if (he == 2) { image(head3, 0, 0, width, 30); }

// Random int for header int he; // Text typing part String typedText = ""; PFont font; // button int rectX, rectY; int rectSize = 150; int rectSize2 = 20; color rectColor; color rectHighlight; boolean rectOver = false; // *** Uncomment for FULL SCREEN //boolean sketchFullScreen() { // return true; //} void setup() { size(displayWidth, displayHeight-45); background(255); // Talking to Arduino { myPort = new Serial(this, "/dev/tty. usbmodemfd121", 9600); // set Arduino COM port } // Switch between random headers every time it starts ( 0 or 1 or 2 ) he = int(random(3));

// TEXT TYPING PART fill(255); noStroke(); rect(15, 100, 190, height); fill(0); textFont(font); // Cursor at the end of the string is blinking text(typedText+(frameCount/35 % 2 == 0 ? "_" : ""), 18, 110, 180, height-160); image(WI, 15, height-45, WI.width/2, WI.height/2); textSize(11); text("Use letters and spacebar,", 15, height-80); text("start over by pressing ENTER.", 15, height-70); text("Pages are automatically saved.", 15, height-60);

// Implementing alphabet A = loadImage("A.png");

* [A=loadImage] ripetere per ogni lettera (A - Z)

} // Implementing other images logo = loadImage("logo.jpg");

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// button update(mouseX, mouseY); if (rectOver) { fill(rectHighlight); } else { fill(rectColor); } stroke(255); rect(rectX, rectY, rectSize, rectSize2); textSize(13); fill(255); text("print alphabet", 45, height-106);

void keyReleased() { if (key != CODED) {


}

}

switch(key) { case ENTER: case RETURN: break; // nothing will happen to the text default: typedText += key; }

void keyPressed() { // Goes to a new column when the height is over if (prevH >= height - V.height) { dist = dist + A.width - 10; prevH = StartprevH; } // Starts over again if the width is over if (dist >= width - V.width) { delay(300); // save the current screen PImage screen = get(200, 35, width-260, height-35); screen.save(desktopPath + typedText + ".jpg"); // Erase everywthing written and start again noStroke(); fill(255); rect(Startdist, StartprevH, width, height); prevH = StartprevH; dist = Startdist; }

}

}

break;

// button void update(int x, int y) { if ( overRect(rectX, rectY, rectSize, rectSize2) ) { rectOver = true; } else { rectOver = false; } } void mousePressed() { if (rectOver) { myPort.write("ALPHABET"); } } boolean overRect(int x, int y, int width, int height) { if (mouseX >= x && mouseX <= x+width && mouseY >= y && mouseY <= y+height) { return true; } else { return false; } }

switch (key) { // LETTERS case 'a' : case 'A': case 'Ă ' : myPort.write('a'); image(A, dist, prevH); prevH = prevH + A.height; break;

* [case -> break;] ripetere per ogni lettera (a - z)

// SPACE case 32 : myPort.write(32); prevH = prevH + 30; break; // END OF WRITING case ENTER : case RETURN : myPort.write('.'); // save the current screen PImage screen = get(200, 35, dist-60, height-35); screen.save(desktopPath + typedText + ".jpg"); // Erase everywthing written and start again noStroke(); fill(255); rect(Startdist, StartprevH, width, height); prevH = StartprevH; he = int(random(3)); dist = Startdist; typedText = ("");

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// Libraries #include "SoftwareSerial.h" #include "Adafruit_Thermal.h" #include <avr/pgmspace.h> // Logos and other images #include "logo.h" #include "WIlogo.h" // All the letters #include "A.h"

* [#include "A.h"] ripetere per ogni lettera (A - Z)

int printer_RX_Pin = 5; // This is the green wire int printer_TX_Pin = 6; // This is the yellow wire Adafruit_Thermal printer(printer_RX_Pin, printer_TX_Pin); char var; void setup(){ // Talking with Processing (waiting for inputs) Serial.begin(9600); printer.begin(); // A debug print avoid the first letters to be glitched if working on 5V printer.println("---------STARTING DEBUG PRINT"); printer.printBitmap(logo_width, logo_height, logo_data); printer.println("debug print avoid the first letters to be glitched"); printer.println("ENDING DEBUG PRINT---------"); printer.println(" ");

* [printer. println(" ");] ripetere per spaziare

} void loop() { if (Serial.available()>0){ var = Serial.read(); switch (var) { case 'a' : // EVERY SINGLE LETTER printer.printBitmap(A_width, A_height, A_data); break;

* [case -> break;] ripetere per ogni lettera (a - z)

case 32: // SPACEBAR - SPACE printer.println(" "); printer.println(" "); break; case '.' : // END OF PRINTING - ENTER 13 delay(1000); printer.setSize('S'); printer.setLineHeight(27); printer.justify('C'); printer.println(" "); printer.println("_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _"); printer.println(" "); // Muninn logo printer.printBitmap(logo_width, logo_height, logo_data);

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printer.println(" "); printer.boldOn(); printer.println("Muninn is a Vegvisir thermal"); printer.println("printer that transforms any text"); printer.println("into a magical spell."); printer.boldOff(); printer.println(" "); printer.printBitmap(WIlogo_width, WIlogo_height, WIlogo_data); printer.println(" "); printer.println("designed and developed by"); printer.println("Mariagloria Posani"); printer.println(" "); printer.inverseOn(); printer.println("Politecnico di Milano"); printer.inverseOff(); printer.println("Scuola del Design, 2014"); printer.println(" "); printer.feed(1); printer.sleep(); delay(500); printer.wake(); break;

* [printer. println(" ");] ripetere per spaziare

// Tell printer to sleep // MUST call wake() before printing again, even if reset

* [printer. println(" ");] ripetere per spaziare

case 'ALPHABET' : printer.println(" "); printer.justify('C'); printer.println("- - - - - - - - - - - - - - - - "); printer.println(" "); printer.setSize('M'); printer.justify('R'); printer.boldOn(); printer.printBitmap(A_width, A_height, A_data); printer.println("A");

* [printer -> ("A");] ripetere per ogni lettera (A - Z)

printer.boldOff(); printer.println(" "); printer.justify('C'); printer.println("- - - - - - - - - - - - - - - - "); printer.println(" ");

}

}

}

* [printer. println(" ");] ripetere per spaziare

break;

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BIBLIOGRAFIA AA. VV. “HOLO” n°1, primavera 2014. Anceschi, Giovanni 1992 L’oggetto della raffigurazione, Etas. Brewer, Scott 2014 The Art of User Experience, “Offscreen” n°7, gennaio 2014, p. 52-56. Diderot, Denis coll. di d’Alembert, J. Baptiste Le Rond 1751 - 80 Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers (L'Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri), Francia, editori vari. Heinrich, Louisa 2014 Let’s Talk!, “Offscreen” n°7, gennaio 2014, p. 10-11. Honey, Michael 2014 Human Scale, “Offscreen” n°7, gennaio 2014, p. 8-9. Masneri, Michele 2014 Mendini, “Studio” n°19, primavera 2014, p. 46 - 53. Olivares, Jonathan 2014 Note a margine sul futuro del design, “Studio” n°19, primavera 2014, p. 54 - 65. Sennett, Richard 2008 The Craftsman (L’uomo artigiano), New Haven & London, Yale University Press.

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INDICE DELLE IMMAGINI (A) PARTE TEORICA pag. 6 _________ “HOLO” n° 1, p. 109 pag. 16 ________ www.frizzifrizzi.it/2014 pag. 18 ________ “HOLO” n° 1, p. 70-71 pag. 26 ________ www.fastcodesign.com pag. 26 ________ www.arduino.cc pag. 28-29 _____ thesuiteworld.com/blog pag. 31 _________ clevrcat.com/2014/03 pag. 32 ________ “HOLO” n° 1, p. 216 pag. 35 ________ www.arcstreet.com pag. 39 ________ “HOLO” n° 1, p. 36-37 pag. 43 ________ www.frizzifrizzi.it/2014

pag. 12 ________“Studio” n°19, p. 53

(B) CASI STUDIO pag. 44 ________ thecreatorsproject.vice.com/blog pag. 49 ________ www.matteobartoli.com/portfolio pag. 49 ________ www.ebologna.it pag. 51 ________ thecreatorsproject.vice.com/blog pag. 51 ________ www.facebook.com/pangenerator pag. 53 ________ www.creativeapplications.net pag. 55 ________ www.dezeen.com/2014

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pag. 23 ________ “HOLO” n° 1, p. 76

(C) PARTE PROGETTUALE pag. 60 ________ www.fabiovstamps.com pag. 60 ________ www.leodelafontaine.com pag. 60 ________ en.wikipedia.org/wiki/Principality_of_Sealand pag. 61 _________ atlantic-cable.com/Maps pag. 63 ________ www.geocaching.com/track pag. 63 ________ snorpey.github.io pag. 81 _________ en.wikipedia.org/wiki/Huginn_and_Muninn

pag. 58 ________ blog.insureandaway.co.uk

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grazie...


Ai miei genitori, che mi hanno regalato metà della loro vita. A mio fratello, che ha preso l’altra metà e ne ha fatto geniale ispirazione. Ai miei compagni di studio, tutta la vecchia C3, che hanno riempito più di metà della mia.

Al professor Guida per la pazienza, anche a distanza, per la disponibilità, per la biblioteca mentale e per le lavate di capo collettive.



Aileron, Sora Sagano (Dot Colon) regular e bold Andada, Huerta Tipogrรกfica regular, italic e bold Mission Gothic, James T. Edmondson regular, bold e light Stampato a Milano, settembre 2014 su carta Splendorgel EW 120g e Splendorgel EW 400g presso Graphic s.r.l.





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