VI Congresso Unione degli Studenti Campania. "Siamo un esercito di sognatori: per questo che siamo invincibili"
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Introduzione Viviamo in una fase di crisi generalizzata, che è politica e sociale oltre che economica. Una fase in cui dietro lo specchio della recessione e della competitività si nasconde il più grande attacco ai diritti degli ultimi anni. La crisi della grande fabbrica fordista e le trasformazioni di ordine economico hanno determinato il passaggio ad un sistema definibile come neo-liberismo: un sistema in cui l'economia si appropria, creando accumulazione, dei processi sociali e individuali. Un sistema in cui si genera profitto attraverso il semplice scambio di denaro da una borsa all'altra e in cui le ricchezze nominali sono incommensurabilmente maggiori a quelle prodotte. In questo contesto assistiamo ad un violento attacco alla partecipazione per colpire i diritti; all'ascesa del mito della competizione a discapito di quello della cooperazione, ad una demonizzazione del Politico che nel senso comune è passato dall'essere “una soluzione collettiva ai problemi” ad un sinonimo di casta e inefficienza. Competizione che, in quanto dogma produttivo, punta all'abbassamento dei diritti e delle tutele per stare al passo con l'economia “globale” e che nella sua incapacità di costruire uno sviluppo qualitativamente diverso e, quindi, slegato da un’accumulazione fondata sullo sfruttamento del lavoro vivo oltre che cognitivo, genera la precarietà. Precarietà che diviene esistenziale nell'impossibilità di intere generazioni non solo nel costruirsi un futuro ma anche nell'immaginarselo e ricatto materiale determinato da un impoverimento talmente acuto da cancellare nella coscienza di molti il concetto di “dignità del lavoro”: da un lato il peggioramento delle condizioni materiali e l'impossibilità di emanciparsi dal "bisogno", dall'altro un’occlusione delle coscienze ormai incapaci di costruirsi e immaginarsi una prospettiva in cui credere. La finanziarizzazione dei diritti è divenuta una realtà fino a qualche decennio fa impensabile, nel corso degli ultimi due anni abbiamo lottato affinchè si affermasse il principio che la spesa sociale non è uno spreco; affinché si rifiutasse con forza la lettura dei diritti in termini di pareggio di bilancio, affermando che la ricchezza non è solo economica o finanziaria ma soprattutto sociale, che la spesa in diritti non è clientelismo ma civiltà, che ad esempio un paese in cui si muore andando a scuola non è un paese che si può considerare civile. Abbiamo rivendicato con forza il reddito come uno strumento che in primo luogo aggregasse sui bisogni, costruendo una svolta antropologica e culturale in cui si riaffermasse il concetto de “la dignità prima di tutto”, del diritto ad una vita dignitosa. Un mandato caratterizzato da una crescita costante del movimento e della consapevolezza dei temi sociali: iniziato con la giornata per le vittime innocenti di camorra a Potenza e proseguita Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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con l'immensa partecipazione popolare per il referendum sull'Acqua Bene Comune; prima vittoria della sinistra sociale negli ultimi anni, un immenso movimento che è riuscito a vincere una battaglia contro la privatizzazione e che ha rilanciato la questione della ripubblicizzazione. A seguito di quell'immensa consultazione referendaria si è generato un movimento carico di aspettative che vedeva nel 15 ottobre, magari anche in maniera esterofila, la possibilità di ricongiungere le lotte globali. Una data che, invece, ha segnato la fine di quell'esperienza ricompositiva e partecipativa dei movimenti sociali, materialmente conclusasi il 17 novembre ad appena un giorno dalla nomina di Monti come presidente del consiglio. Un governo che lontano dall'essere tecnico si è nutrito della retorica TINA (there is no alternative), presentando come unica cura possibile l'austerità, che lontano dall'essere una soluzione scientifica, si è manifestata in tutta la sua politicità. Noi siamo stati fermi nel dire che un’alternativa c'era, abbiamo costruito un movimento che non si è basato solo contro il PdL Aprea, che sicuramente ha avuto un forte effetto moltiplicatore, ma che invece si è generalizzato sul tema della ripubblicizzazione dei saperi e sulla costruzione di spazi di alternativa e partecipazione dal basso, a cominciare dalle nostre scuole. Con il 14 Novembre, il primo sciopero generale europeo, abbiamo sfruttato appieno la nostra capacità di politicizzare le vertenze, scendendo in piazza per opporci sì all'Aprea ma con essa alle politiche in termini di privatizzazione ed istruzione, che dalle direttive Bolkestein in avanti hanno devastato il vecchio continente. Il 6 Dicembre per noi ha rappresentato il culmine dell'autunno, data in cui ci siamo sperimentati come soggetto aggregante riscoprendoci con gli studenti, per gli studenti, ma soprattutto al di là degli studenti. Credere nella ricomposizione significa fare anche dei passaggi difficili, tentare contatti, costruire piattaforme comuni: con quel corteo abbiamo dimostrato che studenti e lavoratori possono scendere in piazza condividendo una piattaforma e una vertenza comune, abbiamo dimostrato che l'unità tra lavoratori e studenti non è solo un vezzo ideologico o, addirittura, retorica ma una necessità di fatto. Subito dopo quella data gli eventi sono precipitati: l'instabilità del governo, le dimissioni di Monti e soprattutto la campagna elettorale. Stiamo assistendo ad una campagna elettorale svuotata da ogni contenuto sociale, a fronte del più alto numero di candidati e richiami “dalla società civile”, una campagna elettorale che ancora di più ci dimostra come in questi anni abbiamo avuto “ le piazze piene e i governanti sordi”. Ripartire da questo congresso e in questa fase significa ricostruire un immaginario possibile e un tessuto sociale ormai dissolto, significa proporsi come soggetto aggregante e lanciare una sfida egemonica al pensiero unico dominante. Significa soprattutto liberare i saperi per liberare le persone, costruire dalle scuole la possibilità di immaginarsi un futuro possibile, un orizzonte in cui credere perché noi “siamo un esercito di sognatori: è per questo che siamo invincibili”.
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Il capitalismo e i conflitti Globali.
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La battaglia globale al capitalismo e al governo delle banche degli ultimi anni ha dimostrato l’immaturità dei movimenti internazionali. Dagli indignados a occupy wall street, i movimenti internazionali altermondisti hanno dato si un segnale forte di resistenza propagandosi in tutto l’occidente a macchia d’olio, ma si sono esauriti senza portare a casa risultati reali e non sviluppando la loro proposta di alternativa. Nel gennaio 2011, venne creata la piattaforma digitale Democracia real YA su un social network spagnolo e sui forum. Con il supporto di organizzazioni come ATTAC, Intermon Oxfam, Ecologisti in Azione o Giovani senza Futuro (Juventud Sin Futuro) e tramite l'utilizzo di Twitter e Facebook hanno chiamato "i disoccupati, i mal pagati, i subcontraenti, i precari, i giovani..." a riprendersi le strade. Prima delle manifestazioni, il Democracia real YA ha messo in scena diversi eventi simbolici, come l'occupazione della banca di Murcia il 13 maggio. Nel momento delle manifestazioni, il sito web di Democracia real YA ha avuto il supporto di altre 500 diverse associazioni, pur continuando a rifiutare qualsiasi collaborazione da qualsiasi partito politico o sindacato, difendendo l'indipendenza della protesta da ogni ideologia politica istituzionalizzata. Il Movimento 15-M (dal giorno in cui iniziarono le proteste), meglio noto anche come movimento degli indignados, è un movimento sociale di cittadini che ha dato vita ad una larga mobilitazione di protesta pacifica dal basso contro il governo spagnolo di fronte alla grave situazione economica in cui versa il Paese. Le proteste sono iniziate il 15 maggio 2011 in occasione delle elezioni amministrative. L'obiettivo del movimento è promuovere una democrazia più partecipativa, la cosiddetta democrazia diretta, superando il dualismo Partito Socialista Operaio Spagnolo – Partito Popolare, che dagli anni '80 caratterizza la politica spagnola, e innestarsi nel clima delle contemporanee proteste nel Medio Oriente e Nord Africa, le proteste in Grecia del 2010-2011, le proteste in Portogallo del 2011 allo stesso modo delle proteste sulla crisi finanziaria dell'Islanda del 2009. Le proteste hanno preso luogo in prossimità delle elezioni locali e regionali Spagnole, tenutesi il 22 maggio. A 5 mesi di distanza, il 15 ottobre 2011, nel nome comune degli Indignados, decine di proteste hanno scosso il mondo intero, interessando gran parte delle capitali occidentali e molti centri asiatici. Due settimane dopo aver iniziato, il movimento greco degli “indignati” o Aganaktismeni riempie le piazze principali di tutte le città con tantissime persone che gridano la loro rabbia e fanno tremare il governo di Papandreu ed i suoi sostenitori locali ed internazionali. È già più che un movimento di protesta o perfino una massiccia mobilitazione contro le misure di austerità in piena linea con gli esempi delle altre nazioni del mondo, caratterizzato però da pratiche di lotta molto più volente, giustificate dalla forte esasperazione di un paese messo al saldo e venduto alla Germania. Si è trasformato in una sollevazione popolare che si è estesa per tutto il paese. Una mobilitazione che ha ribadito l’opposizione del popolo greco a pagare per la “sua" crisi o il “suo" debito contribuendo alla perdita di legittimità dei due grandi partiti neo-liberali, se non di tutto il mondo politico. Benché abbastanza differente dal movimento spagnolo per le sue dimensioni, la sua composizione sociale, la sua natura radicale e la sua eterogeneità politica, il movimento di piazza Syntagma condivide con la piazza Tahrir in El Cairo e la Porta del Sole a Madrid lo stesso odio all’élite economica e politica che si è impadronita e ha privato di ogni significato la Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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democrazia parlamentare borghese in tempi di neoliberalismo arrogante ed inumano. Anche se all’inizio erano completamente disorganizzati, gli Aganaktismeni di Syntagma hanno sviluppato gradualmente un’organizzazione che culmina nell’Assemblea popolare, realizzata ogni sera e che attrae centinaia di oratori di fronte ad un’attenta platea di migliaia di persone. Anche in Italia il 15 ottobre fu presa come grande data di mobilitazione per dare una ventata internazionale al movimento che già l’anno prima aveva dimostrato di avere un grande appoggio popolare. Purtroppo quella data significò la morte del movimento, oscurando il desiderio di riscatto di cinquecentomila persone scese in piazza e mettendo in primo piano la violenza di alcune frange del movimento. Di lì a poco tempo anche il movimento internazionale è andato scemando. Occupy Wall Street, è un movimento di contestazione pacifica, nato il 17 settembre 2011 per denunciare gli abusi del capitalismo finanziario, che si è concretizzato in una serie di dimostrazioni nella città di New York presso Zuccotti Park. Il nome del movimento assume Wall Street quale obiettivo simbolico, in quanto sede della Borsa di New York ed epicentro della finanza mondiale. I partecipanti alla dimostrazione manifestano principalmente contro l'iniquità economica e sociale sviluppatasi a seguito della crisi economica mondiale, ispirandosi alle Proteste nel Nord Africa e Medio Oriente del 2010-2011, in particolare alle proteste tunisine. Dimostrazioni simili si sono svolte in altre 70 città degli Stati Uniti e di seguito anche in Canada, Australia, Regno Unito, a Londra e in Italia. Nel nostro paese il movimento si è diffuso nelle scuole e nelle città occupando le stesse nel segno del movimento originario dell’America. Il 15 ottobre, dopo le violenze all'interno del corteo, alcuni manifestanti pacifici hanno occupato la Piazza di Santa Croce in Gerusalemme, iniziando un sit-in chiamato “Accampata Roma”. Sul modello dell'esperienza americana il 31 marzo 2012 viene organizzato un corteo nazionale denominato “Occupyamo Piazza Affari”, terminato proprio davanti la sede della Borsa, ma sono da ricordare anche le esperienze di occupy bank’Italia, occupy the school e, nella nostra regione, occupy Avellino. Tutte esperienze conclusesi senza dare continuità al movimento e ottenendo reali miglioramenti sul piano della lotta, se non nel segno di riprendersi gli spazi fisici e immateriali di cui siamo usurpati. Le proteste che hanno colpito paesi riconducibili in vario modo all'universo arabo, ma anche esterni a tale circoscrizione, come nel caso della Repubblica Islamica dell'Iran, nascono in contesti molto diversi dalle democrazie occidentali ed hanno in comune l'uso di tecniche di resistenza civile, comprendente scioperi, manifestazioni, marce e cortei, talvolta anche atti estremi come suicidi (divenuti noti tra i media come "auto-immolazioni") e l'autolesionismo, così come l'uso di social network come Facebook e Twitter per organizzare, comunicare e divulgare gli eventi a dispetto dei tentativi di repressione statale. I social network tuttavia non sarebbero il vero motore della rivolta, secondo alcuni osservatori, per i quali il network della moschea o del bazar, conta assai più dì Facebook, Google o delle email. Alcuni di questi moti, in particolare in Tunisia ed Egitto, hanno portato ad un cambiamento di governo e sono stati denominati rivoluzioni. I fattori che hanno portato alle proteste sono numerosi e comprendono, tra le maggiori cause, la corruzione, l'assenza di libertà individuali, la violazione dei diritti umani e le condizioni di vita molto dure, che spesso riguardano o rasentano la povertà estrema. Il crescere del prezzo dei generi alimentari e della fame sono anche considerati una delle ragioni principali del
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malcontento, che hanno comportato minacce all'equilibrio mondiale in ordine all'alimentazione di larghe fasce della popolazione nei paesi più poveri nei quali si sono svolte le proteste. Le proteste sono cominciate il 18 dicembre 2010 in seguito all’episodio del tunisino Mohamed Bouazizi che si è dato fuoco in seguito a maltrattamenti da parte della polizia, il cui gesto è servito da scintilla per l'intero moto di rivolta che si è poi tramutato nella cosiddetta "rivoluzione dei gelsomini". Per le stesse ragioni, un effetto domino si è propagato in altri paesi del mondo arabo e della regione del Nordafrica. Ad oggi, quattro capi di stato sono stati costretti alle dimissioni o alla fuga: in Tunisia Zine ElAbidine Ben Ali il 14 gennaio 2011, in Egitto Hosni Mubarak l'11 febbraio 2011, in Libia Muammar Gheddafi che, dopo una lunga fuga da Tripoli a Sirte, è stato catturato e ucciso dai ribelli il 20 ottobre 2011, in Yemen Ali Abdullah Saleh il 27 febbraio 2012. I sommovimenti in Tunisia hanno portato il presidente Ben Ali, alla fine di 25 anni di dittatura, alla fuga in Arabia Saudita. In Egitto, le imponenti proteste iniziate il 25 gennaio 2011, dopo 18 giorni di continue dimostrazioni accompagnate da vari episodi di violenza, hanno costretto alle dimissioni, complici anche le pressioni esercitate da Washington, il presidente Mubarak dopo trent'anni di potere. Nello stesso periodo, il re di Giordania Abdullah attua un rimpasto ministeriale e nomina un nuovo primo ministro, con l’incarico di preparare un piano di "vere riforme politiche". In un contesto generale di imposizione del regime neoliberista, quindi, in tutto il mondo il senso di resistenza si è sviluppato in varie forme e con varie pratiche, accomunato dallo stesso sistema nemico e dal senso di lotta globale e unitaria in risposta all’attacco mondiale e totale ai diritti, alla democrazia, allo stato sociale. Purtroppo però un movimento internazionale non può essere incisivo e duraturo se non supera la fase di protesta per costruire una proposta alternativa seria e valida. Non si può chiedere semplicemente democrazia diretta se non si lavora per costruire e sperimentare gli strumenti per garantire quella democrazia.
Lavoro e precarietà.
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Alla fine del governo tecnico, appoggiato da gran parte dei gruppi parlamentari, il mondo del lavoro è stato completamente stravolto dalla riforma Fornero che ha modificato l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, conquistato dopo anni di lotte; un articolo che garantiva la stabilità del posto fisso contro i licenziamenti indiscriminati, spesso a danno di lavoratori impegnati politicamente nel mondo sindacale. Una riforma, quindi, che elimina l'idea del posto fisso, definito addirittura monotono dal presidente del consiglio Monti. Provvedimenti, quelli del governo Monti, inspirati alla famosa necessità di “europeizzazione dell'Italia”, europeizzazione fatta solo per slogan, visto che è impossibile uniformare i sistemi legislativi senza tener conto delle differenti composizioni sociali e dei differenti rapporti tra classi del nostro Paese rispetto alla nota Germania. Al di là della riforma Fornero, ultimo atto di distruzione del lavoro a tempo indeterminato, si aggiunge tutta la legislazione che con lo slogan della flessibilità ha di fatto precarizzato il mondo del lavoro con più di 40 forme di contratto diverse, che in realtà sono più di 40 modi per sfruttare i lavoratori. Tutti questi provvedimenti non sono null'altro che il risultato di una galassia del lavoro in continua evoluzione con il modello di Marchionne imperante e egemone tra gli imprenditori, basato sul ricatto e sulla cancellazione dei diritti. Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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Nonostante questi provvedimenti erano stati presentati come un mezzo per aumentare l'occupazione, i dati dell'ISTAT dicono il contrario: la disoccupazione tocca quasi la quota del 10%, raggiungendo il 35% di disoccupazione tra i giovani, e consegna una nazione con sei milioni di famiglie sotto la soglia della povertà. Nonostante la legislazione europea, in Italia ancora non è stata approvata una forma di reddito di cittadinanza, a cui deve essere aggiunto "un reddito di formazione" che potrebbe essere indubbiamente una forma di diritto allo studio per gli studenti e un modo per provare a liberarsi dalla precarietà e dallo schiavismo degli stages, subìto anche e soprattutto dagli studenti delle scuole superiori. In tutto questo scenario, il mondo del lavoro va sempre più verso condizioni ottocentesche, anche grazie alle politiche aziendali delle imprese ispirate al “modello FIAT” che si delocalizzano in altre nazioni a condizioni lavorative peggiori, facendo si che la competizione si basi sulla quantità e sullo sfruttamento e non sulla qualità, e con livelli di sfruttamento impressionanti dettati dagli accordi separati nelle fabbriche e dalle incresciose condizioni salariali del nostro Paese. Ad oggi, con questa nuova riforma del lavoro, pare completamente abolita la dicotomia precarigarantiti, essendo tutti licenziabili con norme per il reintegro che lo rendono quasi impossibile. Precarietà e disoccupazione a cui, soprattutto in Campania, si aggiungono il lavoro nero, senza nessuna garanzia e senza nessuna sicurezza. Una piaga, quella del lavoro nero che affligge tutto il nostro Paese. Inoltre, la fortissima presenza della criminalità organizzata condiziona il mondo del lavoro e l'inserimento di nuove attività che subiscono ripercussioni e intimidazioni. Le imprese devono affrontare oltre che la criminalità, il gap di una Pubblica Amministrazione inefficiente e la mancanza di strutture di ricerca.
“Io non sono nato nello stato sociale.”
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L’analisi della trama del welfare state del nostro Paese e della nostra Regione, in questo momento, si identifica con l’andare a rimettere in discussione l'intera struttura sociale, le culture e le scelte politiche che hanno prodotto, legittimato e introdotto precarietà lavorativa ed esistenziale che costringe le generazioni a scontare una condizione di profonda marginalità e un modello di sviluppo fondato su un' inesistente mobilità sociale. Negli ultimi anni, tra finta retorica e falsa modernità, diversi sono stati i provvedimenti di riforma delle politiche di welfare, tutti peggiorativi per le condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici, degli studenti e delle studentesse, dei cittadini tutti. Servono quindi politiche radicalmente alternative, e da qui l’impegno dell’Unione degli Studenti di convogliare tutte le energie materiali ed intellettuali, attraverso uno spazio di elaborazione ampio e ricco , per costruire una piattaforma di rivendicazioni solida e aggregante. Con l'approvazione della Legge per la dignità e la cittadinanza sociale L.R. 11/2007, la Regione Campania avrebbe dovuto regolamentare il sistema di welfare, dopo un periodo di sperimentazione dei Piani di Zona e dell'organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Come altre Regioni italiane, tra cui l'Emilia Romagna e la Liguria, la Campania ha preferito arrivare per gradi alla formulazione della Legge Regionale di riordino dei servizi, procedendo con un percorso di tipo bottom up, che ha visto l'emanazione di Linee Guida per la Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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formulazione dei Piani di Zona Sociali, giunti ormai alla sesta annualità, al fine di sperimentare il sistema e metterne in rilievo punti di forza e criticità e migliorarlo progressivamente. La Legge Regionale n. 11/2007 si ispira ai principi contenuti nella L. 328/2000, e delinea nei dettagli un sistema di welfare pluralistico, integrato, universale e basato sul principio di sussidiarietà. La Regione si proponeva di promuovere lo sviluppo di un welfare delle responsabilità ovvero di un sistema sociale plurale e pluralistico basato e sorretto da responsabilità condivise, finalizzato alla costruzione dell’autonomia dei cittadini, della coesione sociale e dei diritti della persona. L’intenzione era quella di dare piena attuazione non solo al principio di sussidiarietà verticale, ma soprattutto al principio di sussidiarietà orizzontale, valorizzando e potenziando, laddove possibile, l’impegno della società civile. La Regione, infatti, dovrebbe garantire alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali fondato sulla tutela della dignità della persona e dei suoi diritti fondamentali, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, attraverso la promozione della cittadinanza attiva: la garanzia di livelli essenziali di assistenza per la generalità dei cittadini; la garanzia di interventi e servizi sociali orientati ai bisogni dei singoli e volti ad assicurare pari opportunità, anche di genere, ed inclusione sociale; la prevenzione, riduzione, rimozione delle cause di rischio, emarginazione, disagio e di discriminazione in tutte le sue forme. Ciò che si riteneva particolarmente rilevante quando fu approvata la Legge Regionale n. 11 del 2007 è che le politiche sociali in Campania, dovevano assumere il ruolo di politiche universali, non più rivolte esclusivamente ai cittadini in stato di povertà o di disagio, ma alla generalità degli individui senza nessun vincolo di appartenenza a speciali categorie. La realtà dei fatti è tutt’altro che questa: i cittadini campani e soprattutto gli studenti vivono situazioni disagiate, assistendo difatti allo smantellamento del welfare state. A livello nazionale mentre gli altri stati innovano la struttura del loro stato sociale eliminando, ad esempio, quella che era l’impronta “paternalistica” data al ruolo dello Stato nei periodi passati e introducendo una serie di servizi che permettono realmente un abbattimento delle barriere che vincolano la mobilità sociale e quindi permettono ai cittadini tutti di sfruttare le proprie energie, il nostro Paese procede con la distruzione di tutti i servizi pubblici e pluralisti, alzando il vessillo della stabilità e del pareggio di bilancio. A livello regionale, esaminando anche i dati della Consultazione studentesca campana, la maggior parte dei servizi, tra i pochi offerti, quindi trasporti pubblici, agevolazioni per soggetti in formazione e per classi disagiate, così come finanziamenti alle scuole o a progetti di socialità, hanno subito un taglio drastico.
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Se inoltre diamo uno sguardo ai dati riguardanti precarietà e disoccupazione possiamo capire quanto sia necessario un cambiamento di rotta. Il numero dei disoccupati, pari a 2 milioni 870 mila, è aumentato, su base annua, del 28,9% (+644 mila unità). Ma soprattutto sconvolgente è il numero di precari: 2,9 milioni. Se si guarda solo ai dipendenti a tempo il record è dal III trimestre 1993.
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Dobbiamo costruire, quindi, una grande battaglia contro la precarietà, per entrare a testa alta in un mondo del lavoro che a sua volta deve essere rifondato su diritti e libertà. Dobbiamo ricostruire il diritto del lavoro, perché non sia possibile essere licenziati senza motivo, perché i nostri diritti fondamentali vengano sanciti da leggi e contratti nazionali inderogabili, perché valgano per tutti i settori e in tutti i territori, in una prospettiva di piena e vera cittadinanza
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europea. Perché la democrazia non si fermi alle porte dei luoghi di lavoro, ma a tutti e tutte venga garantita la possibilità di organizzarsi liberamente e decidere da chi essere rappresentati. Dobbiamo ricostruire il diritto allo studio, sia nella forma assistenzialista che nella sua veste più generale, per permettere in primis a tutti di poter andare a scuola e poi di poter continuare la propria formazione oltre le quattro mura scolastiche (perché oramai anche queste sono precarie). Per compiere ciò, i diritti, le tutele e le libertà devono crescere per stare al passo del lavoro che cambia, per non lasciare indietro nessuno. Serve un nuovo sistema di welfare universale, che dia la possibilità di vivere in maniera dignitosa a uomini e donne, a chi ha un lavoro dipendente e a chi ne ha uno autonomo, un sistema che ci tuteli durante i periodi di lavoro intermittente e disoccupazione, che ci sostenga quando siamo sottoimpiegati o sottopagati, che ci garantisca l’accesso a diritti fondamentali come la casa o la scelta di avere un figlio.
Una nuova proposta di welfare: il reddito minimo garantito.
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Questo nuovo welfare, come avviene ormai in tutta Europa, deve prevedere un reddito minimo garantito, che ci renda autonomi dalla famiglia e liberi dal ricatto occupazionale, che contribuisca a fermare il livellamento verso il basso di salari e diritti, permettendoci di scegliere liberamente i nostri percorsi personali, di formazione e professionali e di valorizzare al meglio le nostre capacità, le nostre competenze, le nostre energie. Questa proposta, che negli ultimi anni è stata sostenuta in diversi paesi, ha già sostenitori ben organizzati in Europa, America, Asia, Africa e Oceania. I suoi presupposti sono semplici: tutti i cittadini e i residenti hanno diritto a un reddito universale e incondizionato. L’Unione degli studenti crede che il basic income rappresenti la base per una riorganizzazione strutturale delle politiche pubbliche e sia una buona proposta in situazioni di prosperità economica, ma persino più necessaria in tempi di crisi economica e di attacco alle condizioni di vita e di lavoro di vasti settori della popolazione, quale quello di cui siamo oggi testimoni. Le seguenti ragioni risaltano, tra le altre. La perdita involontaria di occupazione causa una situazione di grande incertezza economica e di vita. Perdere il lavoro ma percepire un basic income permetterebbe di affrontare la situazione con minore stress. Questa palese caratteristica del basic income torna utile in qualsiasi congiuntura economica. In tempi di crisi, in cui la disoccupazione è molto più diffusa e prolungata, avere un reddito di base acquisisce una importanza sociale ancora maggiore soprattutto a fronte della crescente debolezza o assoluta inesistenza di qualsiasi sussidio di disoccupazione ampio e durevole. Il basic income potrebbe avere un ruolo importante nella ricomposizione dell'interesse collettivo all’interno della classe lavoratrice e nelle lotte di resistenza sia per coloro che contano su una rappresentanza organizzata sia per coloro che sono lasciati a lottare da soli. Questo permetterebbe la ricostruzione dell’identità dei lavoratori in uno scenario di crescente frammentazione del lavoro, rendendo possibili nuove forme di associazione e di rappresentanza degli interessi sempre più divisi della classe lavoratrice. In tempi di crisi si può vedere perfettamente che il basic income non è un’alternativa sostitutiva del salario e tantomeno indebolisce la difesa degli interessi dei lavoratori, ma è piuttosto uno Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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strumento che rafforza la posizione di tutta la forza lavoro, sia sul posto di lavoro che nella ricerca di occupazione. Il basic income offrirebbe un margine di manovra maggiore per resistere ai cambiamenti delle condizioni lavorative o del livello di occupazione stesso. In aggiunta, il basic income diventerebbe, in caso di sciopero, una sorta di cassa di resistenza incondizionata i cui effetti sul rafforzamento del potere contrattuale dei lavoratori sono facili da valutare. La disponibilità del reddito di base permetterebbe loro di affrontare i conflitti legati al lavoro in maniera molto meno insicura visto che, a secondo della durata dello sciopero, i salari possono ridursi a livelli insostenibili se, come è per la maggior parte dei lavoratori, non si dispone di nessun altra risorsa. Il basic income ridurrebbe anche il fattore rischio per le persone che hanno intrapreso un percorso di lavoro autonomo. A questo riguardo, il basic income sarebbe uno strumento più efficiente del micro credito per stimolare la creazione di microimprese e cooperative, in quanto rappresenterebbe un reddito permanente e stabile senza generazione di debito (o di interessi usurari). In una situazione di crisi economica come l’attuale il basic income oltre a rappresentare uno strumento di facilitazione del lavoro autonomo, rappresenterebbe nel contempo anche una maggiore garanzia per poter affrontare, anche se solo parzialmente, il fallimento di piccole imprese. Una delle conseguenze più importanti del basic income sarebbe un sostanziale abbattimento della povertà. Potrebbe persino presentare realisticamente la possibilità del suo completo sradicamento. Non solo renderebbe possibile sollevare milioni di persone da una condizione di povertà ma costituirebbe anche un aiuto aggiuntivo per evitare la ricaduta in tale stato. Un tema molto dibattuto in merito alla crisi è la necessità di sostenere il consumo delle famiglie. Di fatto, negli anni del boom, molte famiglie hanno sostenuto livelli di consumo molto al di sopra dei loro mezzi grazie all'inflazione dei prezzi delle attività finanziarie e dei crediti, specialmente dei mutui ma anche dei crediti al consumo. Questo consumo delle famiglie basato sull'indebitamento non favorisce i gruppi più indigenti. Inoltre, con gli aggiustamenti strutturali non solo queste entrate aggiuntive hanno fine ma i redditi da lavoro ridotti dovranno essere utilizzati in parte per ripagare il debito accumulato. Il basic income è indubbiamente uno stabilizzatore del consumo, fondamentale per sostenere la domanda nei periodi di crisi – specialmente per i gruppi più vulnerabili – evitando, in questo modo, l'ampliamento dei divari di disuguaglianza economica e sociale. In un mondo come quello di oggi, dove l’accumulazione privata delle grandi ricchezze coesiste con una devastante povertà, la libertà di centinaia di milioni di persone è severamente limitata dal bisogno di trovare i mezzi per sopravvivere. Il basic income assume un’importanza fondamentale affiancato da un reddito per i soggetti in formazione che permetterebbe un aumento delle persone che possono accedere a diversi percorsi scolastici ed universitari, ma costituirebbe un incentivo anche per la qualità della loro formazione permettendo un libero accesso a tutti gli strumenti utili e proficui. Il reddito garantito appare come un meccanismo istituzionale capace di garantire alla cittadinanza nel suo complesso (compresi i residenti accreditati) l’esistenza materiale per lo meno su un livello di base. E’ sempre più evidente che nelle complesse società moderne, perché siano democratiche e giuste, il pane quotidiano e un'esistenza dignitosa non devono
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essere «guadagnati con il sudore della fronte» ma piuttosto devono essere garantiti come diritti di cittadinanza affinché le potenzialità creative e produttive delle persone non siano indebolite ma si possano anzi sviluppare. 375
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Il basic income non sarebbe solo uno strumento importante per combattere la povertà, abbattere la disuguaglianza e fare un passo avanti verso la garanzia di una vita dignitosa per tutti ma sarebbe anche uno strumento efficace di cambiamento sociale e politico che permetterebbe un riordino delle relazioni sociali a favore della libertà, dell'autonomia, del rispetto e del riconoscimento degli uomini e delle donne di tutte le condizioni. Una società in cui a nessuno manchino le necessità di base rappresenta un bene comune. È l'unica società per la quale vale la pena lottare. “Liberare gli uomini e le donne dal flagello della fame e del bisogno, della paura quotidiana, della mancanza di tempo, dell'insicurezza sul presente e dell'incertezza sul futuro significa costruire cittadinanza, allargare gli spazi dell'organizzazione sociale e sindacale, rafforzare la capacità della lotta politica dei settori popolari così come creare condizioni migliori per la partecipazione dei cittadini e l'attivismo civile. Il basic income è uno degli elementi ineludibili da prendere in considerazione per dare impulso a una trasformazione sociale che garantisca il diritto di esistenza a tutti e ci avvicini all'obiettivo tanto desiderato di una società più libera, più giusta e più fraterna”. (BIN)
Privatizzazione della scuole: dalla strategia di Lisbona al pdl Aprea. L’Europa, promotrice ormai affermata di processi di privatizzazione, cerca di giustificare la deriva neo-liberista inneggiando alla crisi. I processi politici in voga sembrano essere quelli che di fatto smantellano l’intero sistema di diritti, assoggettando le parti sociali alla morsa capitalista. Esempi lampanti sono la costituzione del WTO figlio dell’Accordo Generale sul Commercio di Servizi (G.A.T.S.) e la direttiva Bolkestein. Il WTO non è altro che la volontà di istituzionalizzare un organismo che di fatto regola l’avanzata graduale del processo di liberalizzazione e globalizzazione, e che privilegia gli intenti economici delle multinazionali e i paesi economicamente sviluppati, permettendogli di scavalcare l’iter democratico a scapito delle parti sociali di quel dato Paese e la sua ecologia interna. Altra prova della deriva liberista europea è la direttiva BOLKSTEIN presentata nel 2004 che è stata individuata anche come una prova della disaffezione dei cittadini verso le istituzioni europee, basti pensare al fallimento in quegli anni del referendum francese e olandese sulla costituzione Europea. Questo provvedimento è stato il modo per legalizzare l’attacco al mondo del lavoro, escludendo un accordo internazionale che tutelasse i lavoratori in modo omogeneo, ed incoraggiando, quindi i processi di dumping e la corsa al ribasso per quanto riguarda le tutele sociali. In questo frangente, però, si inserisce anche l’Europa che punta sull’istruzione e sullo sviluppo sociale mettendo in scena farse come la Strategia di Lisbona ed Europa 2020, che si pone l’obiettivo di fare dell’Unione europea la più competitiva e dinamica economia della conoscenza.
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Le parole chiave di tali processi sono : Società della conoscenza, Capitale umano ed Apprendimento permanente. ‘’Società della conoscenza’’ sembra essere una delle più azzardate: infatti è paradossale che l’Europa parli del sapere, più che del capitale ‘’materiale, come la risorsa indispensabile per lo sviluppo del sistema economico, e che quindi la crescita e la competitività di questo si basano sullo sviluppo del capitale umano. L’Europa non parla di istruzione solo ai fini occupazionali, ma introduce il concetto di ‘’Apprendimento permanente’’ (lifelong learning),ossia l’idea di una formazione che prenda in considerazione fini sociali e civici e che promuova la cittadinanza attiva e l’adattabilità sociale. Un anno prima della Strategia di Lisbona in Italia si recitava lo stesso copione durante il processo di Bologna dove si dava per assunto che la conoscenza è alla base del processo di sviluppo economico e sociale, e che era importante organizzare un sistema didattico in sintonia con il mondo globalizzato, che potesse garantire una maggiore spendibilità del titolo di studio nel mercato del lavoro. La strategia dell’autonomia , databile al 1997 con la legge Bassanini, poteva essere un modo per rafforzare e rendere più capillare la pratica vertenziale e invece ha aperto le porte alle logiche di produzione e di mercato. Questi buoni propositi sono ben lontani dalla situazione della scuola pubblica in Italia, basti pensare alla proposta di legge presentata nel 2008 dall’on. Valentina Aprea, un chiaro attacco alla democrazia nei rapporti interni ed esterni del complesso scolastico. Ma dopo l’autunno dell’Onda del 2008 la legge Aprea fu ritirata. Tale proposta è stata ripresentata durante il governo Monti inneggiando all’autonomia scolastica ma di fatto vengono stravolti tutti quelli che sono gli organi collegiali attanagliandoli nella trappola della privatizzazione formale e sostanziale. - I Consigli di Istituto vengono trasformati in Consigli dell’Autonomia all’interno dei quali sono previsti 2 membri esterni (privati) proposti dal “preside-manager”. - La .pratica degli INVALSI diventa nel sistema valutativo il parametro di riferimento per i docenti nella stesura del POF, nonché un limite ai finanziamenti diventando vittima di un’idea sbagliata di meritocrazia. - Inoltre le scuole hanno la possibilità di ricevere finanziamenti come associazioni o reti di scuole autonome da soggetti pubblici, privati, fondazioni, associazioni di genitori o cittadini e organizzazioni, rimettendosi di fatto alla mercé del suo benefattore. Questi processi di privatizzazione sono una distorsione molto furba dell’idea di autonomia scolastica e democrazia interna. Bisognerebbe promuovere invece un monitoraggio statale che possa garantire l’autonomia scolastica dal punto di vista finanziario, organizzativo e amministrativo; un maggiore finanziamento alla legge 440 che prevede un piano triennale di investimento con aumento graduale; introduzione di un serio bilancio che di fatto finanzi attività formative interne e che proceda verso un piano di inclusione a quelle associazioni studentesche registrate regolarmente; e la costituzione di commissioni paritetiche che amplino il rapporto studente-insegnante.
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Liberare i saperi per liberare le persone. I saperi, le idee, la cultura sono per loro natura libere. Libertà vuol dire essere sciolti da qualsiasi vincolo di asservimento o di dovere, formale o sostanziale. I saperi nascono liberi, liberi di autodeterminarsi e liberi di essere utilizzati, compresi e completati. Parlare oggi di “liberazione dei saperi” vuol dire che la loro natura è stata compromessa, asservita a logiche che non gli appartengono e soggiogate agli interessi di coloro che li hanno rinchiusi. Il rapinatore in questione è l’economia, nelle sue forme più malate e sregolate, con tutti i “buon politici” a fargli da scagnozzi. Il furto che si è andato materializzando negli anni è divenuto ben presto un vero e proprio rapimento di massa di persone che basano la propria libertà individuale su quello che pensano e quello che sanno. Anche se non costretto sotto il peso delle catene, come può definirsi “libero” un uomo costretto ad un unico pensiero? Lo scenario che si è andato a creare negli ultimi decenni nel mondo è uno straripante ritorno a una società feudale dove a fare da signori sono i banchieri che, interrogando i divini mercati, regolano il procedere del mondo. In questo scenario la scuola ha un compito di primaria importanza, ma anziché essere il luogo in cui ricevere i mezzi per decifrare il mondo circostante, la scuola diviene la prima base in cui il feudalesimo getta le proprie catene. Sin da subito il mercato e la produzione diventano gli insegnanti a cui rispondere e per cui studiare per ottenere “crediti” soddisfare “debiti” e uscire con una “certificazione” che provi che sei adatto al sistema. Le logiche di mercato si sono insinuate nel profondo nel nostro modo di fare scuola, partendo dal linguaggio: si parla oramai da anni di “offerta formativa” delle varie scuole, emblema del processo di mercificazione dei saperi che trasformano la formazione in un prodotto che si adegua a seconda della “domanda”. “Avrei voluto studiare questo, ma non si trova lavoro in questo campo”, è una frase che gira e rigira costantemente nelle aule delle nostre scuole che educano sempre di più a perseguire studi che portino a un lavoro che non soddisfa piuttosto che a studi che corrispondono alle inclinazioni e alle capacità degli studenti. La spendibilità del titolo di studio è divenuto l’elemento per giudicare cosa fare della propria vita. Ma scegliere a seconda di ciò che vuole il mercato, significa “scegliere” per davvero? La libertà naturale degli uomini, come delle idee, all’interno del mondo scolastico perde di importanza e di sostanza rendendo gli studenti sempre più schiavi e inconsapevoli. Per la prima volta qui cadono vittima del ricatto della precarietà, una caratteristica che non li abbandonerà per tutta la vita. I saperi vengono parcellizzati e offerti come beni di lusso, non disponibili per tutti, ma solo ai più meritevoli. Quest’ottica malata di merito da adito a una competizione che genera egoismo e individualismo e che illude i “meritevoli” di essere arrivati e i “non-meritevoli” di non potervi mai accedere. Sin dalle aule quindi avviene una divisione sociale del lavoro dove chi non ha i mezzi per poter studiare non avrà mai i mezzi per poter essere considerato uno dei “meritevoli” e quindi sarà destinato ad accedere a forme discriminate di studi e lavoro; mentre chi ha i mezzi diviene necessariamente una élites da privilegiare e conservare tanto da garantirgli studi e lavoro. Alle visioni malate ed erronee di competizione e meritocrazia è necessario saper rispondere con concetti chiave come democrazia e diritti. Il mondo scolastico è sull’orlo del baratro proprio perché i privati hanno tentato (e tentano tutt’ora) di mettere mano alla scuola, ma la soluzione al declino della formazione in Italia non è privatizzare il pubblico, importando un sistema scolastico estero in un contesto socio-culturale ed economico diverso dal paese di provenienza, ma rivalutare il Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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carattere pubblico della scuola stessa. Pubblicità della scuola non vuol dire fare un passo indietro e tornare a un modello di scuola statalista e centralista degli anni ‘70\’90 bensì significa rivalorizzare la partecipazione collettiva e democratica ai processi di formazione. Solo con studenti ed insegnanti non in competizione ma solidali tra essi si può far sì che la scuola diventi nuovamente quel luogo di emancipazione collettiva che è nella sua natura, solo quando ci si renderà conto che i benefici di un’istruzione pubblica di qualità non toccano solo chi accede al percorso formativo ma l’intera collettività, solo allora potremmo liberare i saperi e le persone che ogni giorno fanno vivere i luoghi della cultura. La libertà è il carattere più prezioso dei saperi e i saperi sono i principali combustibili della libertà.
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Le politiche di austerity e di compressione della spesa pubblica, ultime delle quali il fiscal compact e il pareggio di bilancio in costituzione, hanno svuotato la scuola delle sue caratteristiche principali. Quello che era un diritto universale e inalienabile dell’uomo è divenuto servizio individuale offerto a parte della collettività. Nel rapporto biunivoco tra scuola e società la prima si è dovuta ben presto sottomettere, assumendo i caratteri tipici della società industriale, basata sulla produzione e sul profitto, in cui non vi è più un semplice preside che coordina le azioni educative ma un vero e proprio manager volto al controllo della regolare produzione all’interno della propria azienda. Una vera e propria scuola-azienda che produce merci, i saperi, tramite lavoratori, insegnanti e studenti, alienati dal prodotto del loro lavoro e dalla propria vita. Accanto al preside-manager vi è una categoria di insegnanti da anni sfruttata e malpagata, demotivata e molto spesso poco qualificata, che solo nell’ultimo anno ha mostrato cenni di partecipazione dopo decenni di sostanziale indifferenza a tutte le riforme scolastiche. I collegi docenti diventano dei luoghi in cui gli insegnanti provano a rubarsi qualche settore produttivo in più da tenere sotto la propria supervisione (progetti, attività extrascolastiche etc. etc.). La classe educatrice italiana dimostra di essere in gran parte lontana dalla compagine europea, per stipendi e riconoscimenti, ma anche per formazione e didattica. Se da una parte, infatti, è necessario ridare valore a una professione da anni maltrattata, dall’altra è necessario che essa si rinterroghi sulla sua funzione e sulle sue modalità. Ridare valore non significa soltanto portare agli standard europei gli stipendi degli insegnanti italiani (un mezzo di quelli tedeschi e un terzo di quelli belgi) ma anche ridare forza al loro lavoro. Un lavoratore malpagato risulta facilmente demotivato e non trova stimoli per fare meglio il proprio lavoro. A pagarne le conseguenze sono migliaia di classi di studenti che traggono dallo scoraggiamento offerto motivo di non impegno e disinteresse. Come possono interessarsi gli studenti a lezioni di cui gli stessi insegnanti non riescono a suscitare interesse? Tale disinteresse è d’altra parte causato da metodologie di insegnamento antiquate e oramai superate, ma anche da un idea di insegnamento nostalgico. L’insegnamento come passaggio di conoscenza da chi le possiede a chi le deve possedere è una metodologia non adeguata alla società che ci ritroviamo a vivere, una società che ci bombarda di informazioni e conoscenze, da cui è impossibile restare incolumi. D’altra parte la scuola tenta sempre di più di isolarsi, di chiudere le porte al mondo esteriore, ignorando colpevolmente le variegate forme su cui si può accedere alla cultura. Un discorso, questo, da non fraintendere (come è stato fatto a vantaggio di una politica di digitalizzazione della scuola, Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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con introduzione di lavagne elettroniche o promesse di tablet in tutte le scuole). La distanza che vi è tra insegnanti formati su un modello accademico e quello di studenti sempre più digitalizzati è una lacuna che non deve essere acuita ma deve essere colmata tramite un modello di formazione reciproca in cui gli insegnanti stessi sono soggetti in formazione al pari degli studenti tra i banchi di scuola. Di fatti la scuola odierna si basa su un mero passaggio di nozioni che vengono impartite da una parte e ripetute dall’altra senza filtri interpretativi o critici. Un insegnamento che miri al semplice accumulo di conoscenze, anziché di trasformazione di esse e di formazione di competenze, è un insegnamento fallace dall’inizio. Difatti la trasformazione delle conoscenze può avvenire solo in un ambiente dove il confronto e il dibattito è alla base dell’insegnamento e, quindi, non solo tra studente e insegnante ma tra studente e studente.
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Una grave lacuna del sistema formativo italiano è quello di formare l’individuo e non l’individuo nella collettività. Formare e sviluppare un gruppo classe è vantaggioso ai fini dell’apprendimento ma rappresenta, soprattutto, una crescita che matura gli studenti anche nei rapporti sociali. Puntare sulla collettività della scuola vuol dire sottrarsi allo sporco ricatto della società che ci vuole egoisti e individualisti, non curanti dei bisogni altrui, vuol dire educare gli studenti alla solidarietà perché essi, riconoscendosi in una coscienza oltre il proprio individuo, imparano a rispettare ogni parte di essa. La scuola deve necessariamente diventare un luogo di aggregazione scolastico ed extrascolastico dove i ragazzi possano studiare e formarsi insieme ma anche socializzare e sviluppare la propria creatività e i propri interessi.
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Alla base della politica studentesca, negli ultimi anni, si pone sempre il bisogno di accettare lo studente come vero e proprio soggetto sociale, con dei diritti riconosciuti a pieno e con un piano di welfare generale che comprenda anche la sua figura. Ciò che ha reso impossibile fino ad oggi che lo studente venisse considerato come un reale cittadino attivo è stata una politica sempre meno incentrata sul finanziamento dell’istruzione pubblica e dunque meno incentrata sullo studente. Vediamo, infatti, che con il Trattato di Lisbona del 2000 il Consiglio Europeo ha tracciato una linea basata sull’obiettivo strategico di trasformare l’Europa nell’economia più competitiva e dinamica al mondo basata sulla conoscenza, capace di una crescita economica sostenibile con più posti di lavoro e più qualificati e con una maggiore coesione sociale. Per raggiungere questo traguardo, il Consiglio ha individuato una serie di priorità anche nell’ambito dell’istruzione e della formazione, rilevando in particolare il ruolo fondamentale della formazione rispetto allo sviluppo dell’individuo, della società e dell’economia. Troviamo gli effetti di questo programma europeo nel processo di privatizzazione dell’istruzione che si pone l’obiettivo di sfornare perfetti lavoratori, assottigliando il distacco tra l’età della formazione e quella della produttività, mettendo così al servizio del sistema economico il risultato di un’istruzione finalizzata e funzionale quasi soltanto al sistema lavorativo.
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Così facendo la figura dello studente perde man mano la sua integrità sociale, assumendo le caratteristiche di una fase di transizione dalla quale il sistema attinge, della quale il sistema non può fare a meno. E’ qui che si impone lo studente rivoluzionario. Il frapporsi tra le barriere create dalla privatizzazione dell’istruzione e l’integrità dell’apparato scuola, diventa negli ultimi anni la vera rivoluzione mossa dallo studente che si trova, appunto, ad affermarsi come soggetto sociale uscendo dall’eclissi, di cui sarebbe protagonista, con un processo di materializzazione della sua conoscenza e della cultura in generale. La ricerca della liberazione degli spazi sociali, della scuola pubblica, dei saperi e la difesa dei diritti studenteschi non sono nient’altro, dunque, che il tentativo di farsi spazio, mettendo in primo piano la nuova rilevanza marginale dello studente all’interno della società odierna e il suo ruolo, però, visto in una chiave decisiva e cruciale per la strutturazione della società futura. Tentativi, questi, sempre più sminuiti dall’opinione pubblica. Quest’ultima guarda allo studente come ad una nicchia sociale ininfluente alla ricerca di protagonismo sterile che aspira solo alla rivendicazione di un’identità in cui non crede neanche. La maturità dello studente medio arriva nel momento in cui si cerca di scardinare un determinato pregiudizio sul movimento studentesco e cerca di andare con gli studenti al di là degli studenti. Il ruolo principe in questione è recitato dall’Unione degli Studenti che fa del coinvolgimento la sua pratica più efficace e vincente, allargando, con gli studenti, per gli studenti e al di là degli studenti il raggio d’azione, di lotta e di analisi. Analisi che diventa, così, più che mai sociopolitica e che si mette al servizio del cittadino e dello studente, con il suo ruolo di sindacato, cercando ci cambiare dal basso una mentalità, oltre che un piano predefinito, di privatizzazione della scuola, ma anche della società tutta; di materializzazione dei saperi, della cultura, ma soprattutto dei valori che contraddistinguono un popolo, al quale lo studente vuole dare un apporto, un contributo, una spinta, recitando il ruolo di soggetto propulsivo per la crescita e non passivo. La sensazione è che si lotti contro dei mulini a vento mossi da un vento troppo forte ed inarrestabile; un vento che possiamo individuare nel sistema che spesso ci inghiotte nel momento stesso in cui lo andiamo a contrastare. Una vittoria che ci può far ben sperare è quella del nuovo stop alla ‘Legge Aprea’, frenata grazie alle mobilitazioni dell’autunno 2012. In futuro il gioco dovrà comportare un rischio più alto: per raggiungere risultati, ci sarà bisogno di mettere da parte quell’individualismo, fino a dove ambiscono di trascinarci mediante i processi sopra citati, ma dal quale non dobbiamo assolutamente passare per attuare un cambiamento che sia il più radicale ed il più proficuo possibile. Perché serve che ognuno si comporti da reale soggetto rivoluzionario, su ogni territorio e in ogni provincia, essendo presente su ogni tematica della propria realtà cittadina, provinciale e regionale, portando sempre un’alternativa tramite un estenuante lavoro per gli studenti, con gli studenti e che vada al di là degli studenti. Solo così i cittadini e le istituzioni riconosceranno nello studente una reale figura sociale capace di muovere contestazioni, di prendere decisioni influenti all’interno e al di fuori delle scuole e di essere un punto di riferimento per grandi fette di popolazione che, al momento, vivono per lo più in un’apparente isola felice, in una finta bolla di cristallo costituita da false sicurezze e da poche certezze e poca voce in capitolo. A quelle fette appartengono gli studenti, gli studenti hanno bisogno di organizzarsi, hanno bisogno di sentirsi parte attiva e rivoluzionaria in questo Paese.
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Il sindacato studentesco.
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Quest'analisi parte da due valutazioni fondamentali, sia per la comprensione della fase storicopolitica dell'ultimo anno e mezzo, sia per la profonda riflessione che la nostra Organizzazione deve necessariamente apprestarsi a fare. La prima valutazione riguarda una delle parole più usate ed abusate dall'inserimento del governo tecnico in Italia: l'austerity. Oggi, il termine austerity equivale a una metodologia di salvataggio dell'economia di una nazione in recessione o depressione, attraverso l'impiego di misure di contenimento delle spese e dei salari. Nonostante i numerosi fautori di questa strategia, l'evidenza ha spesso dimostrato che l'austerity non aiuta a risolvere le crisi finanziarie, anzi, in molti casi concorre ad enfatizzarle. La seconda valutazione riguarda il significato del termine "sindacato". Sindacato e sindacalismo sono essenzialmente un prodotto della storia. Nessuna definizione basata sulla conoscenza a priori avrebbe potuto spiegare le ragioni per cui un'aggregazione coalizzante di interessi economici abbia potuto acquistare un'identità specifica e differenziale e munirsi di un senso linguistico riconosciuto e riconoscibile. Il sindacato appare costruito su tre modelli: il modello di antagonismo al sistema, oggi presente in un'area molto ridotta dell'Europa; il modello conflittuale; e il modello partecipativo, quasi integralmente di origine ideologica. L'identità del sindacato può essere rilevata in vario modo: quello più diretto deriva dalla scelta del modello organizzativo. Non perché risponda ad un criterio semplice, al contrario: nell'esperienza del sindacato, l'organizzazione è determinata da una serie complessa di fattori che si fondano su precise scelte ideologiche. E' qui che, sulla base delle premesse, parte l'analisi rispetto alla nostra Associazione. La scorsa estate, all’assemblea nazionale, abbiamo fatto una precisa scelta, con motivazioni del tutto politiche, nell'affrontare l'autunno di mobilitazione: aggregare sulla non identitarietà. Inutile dire, però, che per poter esprimersi in maniera non identitaria occorre avere ben presente l'identità di partenza. In altre parole, senza una riflessione seria sull'identità dell'Organizzazione, sul modo in cui si rapporta alla fase, agli studenti, ai movimenti, alle istituzioni, c'è il pericolo di perdere di vista il senso e le pratiche del sindacalismo studentesco. Per cui, le domande: cosa vuol dire essere sindacato studentesco? E in una fase storico-politica di annientamento dei diritti e della partecipazione? Il punto è proprio questo, la tanto nominata austerità ha prodotto, nelle scuole come nel resto del Paese, un individualismo sfrenato, spesso piccole "guerre tra poveri", oltre che un corporativismo nelle lotte sociali. Il nostro sindacato, d'altra parte, se volessimo rifarci ai tre modelli precedenti, potrebbe fondere al proprio interno il modello conflittuale e quello partecipativo, e quindi basarsi su due azioni fondamentali: 1) La contestazione al sistema che coinvolge tutti i livelli, partendo dal basso, dalle scuole, dalle sedi territoriali, dove si svolgono le prime forme capillari di resistenza organizzata. Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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2) La partecipazione: esserci ed esserci insieme è il primo passo fondamentale di resistenza all'ideologia neoliberista.
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Essere sindacato studentesco, quindi, vuol dire produrre, su tutti i livelli, dal territoriale al nazionale, un'alternativa sociale e culturale, rispetto alle difficoltà della fase storico-politica. Vuol dire essere un soggetto politico e sociale ben definito, oltre che un punto di riferimento quotidiano per tutte le studentesse e gli studenti. Vuol dire produrre analisi e mobilitazione sui temi della scuola e della società, innescare il meccanismo del cambiamento prima nei singoli e poi nella collettività. In che modo? La nostra Organizzazione ha sempre considerato proprie tutta una serie di pratiche politiche e organizzative, che partono dall'azione diretta, ovvero dalle forme di resistenza collettiva: nelle scuole, autogestioni, occupazioni, boicottaggio delle lezioni; fuori dalle scuole, cortei, manifestazioni, flash-mob, oltre che pratiche di mutualismo (es. mercatini del libro usato). Gran parte dell'azione diretta, spesso, viene utilizzata come azione politica di pressione di gruppo, che si svolge soprattutto nei confronti degli organi pubblici, locali o nazionali, e ormai, in misura considerevole, nei confronti delle organizzazioni internazionali, specialmente di quelle comunitarie. Tuttavia, la pratica di base è la vertenzialità che si dirama in microvertenzialità e macrovertenzialità, e permette di costruire piccole e grandi battaglie ed ottenere piccole e grandi vittorie, oltre che generare una partecipazione fondata sui bisogni e sulla costruzione di risposte dal basso agli stessi.
La ricomposizione nel movimento: aggregare i soggetti o aggregare le idee?
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Partiamo da una considerazione: negli ultimi anni il sistema politico del nostro Paese non è stato in grado di rappresentare le istanze della società civile, creando così una frattura tra mondo politico e mondo sociale. Una frattura che si è fatta sempre più evidente, a causa della cosiddetta “austerity” e di tutti quei provvedimenti volti ad annientare lo stato sociale e il sistema dei diritti, in nome della tanto agognata “uscita dalla crisi”. L'autunno appena trascorso ha fatto sì che la nostra Organizzazione si confrontasse con una pluralità di soggetti sociali, strutture e realtà studentesche diverse dalla nostra. Questo ci pone di fronte ad una riflessione fondamentale rispetto al ruolo che abbiamo assunto e dobbiamo assumere all'interno del movimento studentesco e del movimento in generale. Premesso che un movimento è tale se ha un’identità collettiva condivisa e se presenta un progetto di cambiamento nella società, la maggior parte dei movimenti sociali contemporanei esprime istanze democratiche radicali e pragmatiche. Esse, infatti, promuovono trasformazioni parziali del sistema, ma quasi sempre non hanno forze politiche che le rappresentino, in quanto i movimenti sociali, di per sé, non sono in grado di rappresentarsi autonomamente. I movimenti portano avanti un progetto di cambiamento, ma presentano una debole organizzazione, oltre che partecipazione libera e volontaria, e più sono complessi meno diventano pragmatici e organizzati.
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Tuttavia, occorre valutare la differenza tra mobilitazione e movimento, individuando in quest’ultimo un’aggregazione di soggetti che va al dei soggetti stessi. E’ fondamentale, appunto, riuscire ad aggregare quante più realtà possibile su una stessa idea e allargare il fronte della partecipazione in vista di un obbiettivo e, soprattutto, di un risultato. La nostra Organizzazione deve saper riconoscere nella mobilitazione e nella vertenzialità le possibilità di costruzione di un movimento e proporsi come quel soggetto di ricomposizione sociale, di aggregazione e di propulsione di istanze, che devono necessariamente trovare risposte e rappresentazione. La ricomposizione nel movimento, infatti, elimina dannose divisioni sociali senza sacrificare le specifiche individualità dei soggetti, " costruisce le uguaglianze e libera le differenze" nell'ottica di un cambiamento reale dal basso e della costruzione di un egemonia contraria al pensiero unico dominante.
Politicizzare le vertenze: una sintesi necessaria.
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Abbiamo più volte ribadito che la vertenzialità è una pratica di base della nostra Organizzazione. Portare avanti una vertenza nella propria scuola o nella propria città significa dare un peso e una risposta a un bisogno, a una problematica. L’efficacia sta nel fatto che quella singola problematicità non abbia una risposta singola, ma generale e produca aggregazione e partecipazione. Questo avviene nel momento in cui si è in grado di percepire un bisogno diffuso e di costruire una risoluzione altrettanto diffusa ed efficace. Oggi, per rendere più efficace il processo di allargamento della partecipazione sulla vertenzialità, occorre dare un senso politico e, soprattutto, una risposta politica ad ogni singola vertenza. “Politicizzare” una vertenza vuol dire proprio questo: attribuire un’impronta o una finalità politica alla vertenza stessa. Ricominciare a parlare di vertenzialità nelle nostre sedi, con corsi di formazione e di autoformazione, è indispensabile per rilanciare il lavoro sui territori ed evitare fraintendimenti rispetto alla nostra pratica politica. Come il dualismo tra tavolo di contrattazione e conflitto sociale. Noi crediamo che la vertenzialità sia una forma conflittuale nel momento in cui esprime dei disagi e delle necessità studentesche e, quindi, sociali e che sia efficace proprio grazie alle possibilità di raggiungimento di un obbiettivo. Lo scorso settembre, abbiamo lanciato la Consultazione Studentesca “Dove andiamo? Non lo so, ma dobbiamo andare” che si proponeva di chiedere risposte agli studenti sui temi della scuola e del welfare e, soprattutto, a quelle risposte dare risposta, in termini di comunicazione e risoluzione del problema. Oggi, quelle risposte, hanno la necessità di essere declinate sul piano vertenziale e di essere politicizzate. Infatti, il percorso verso lo sciopero generale dell’8 marzo partirà dalla costruzione di una piattaforma rivendicativa fondata sulle risposte a quella consultazione e, quindi, sui bisogni delle studentesse e degli studenti della nostra regione.
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Praticare l'obiettivo: valutare le pratiche.
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Un’organizzazione che si pone l’obiettivo di costruire l’alternativa anche con strumenti di conflittualità, non può non interrogarsi sulle pratiche di lotta da utilizzare e di come far si che queste siano funzionali al raggiungimento di un obiettivo. Le pratiche sono inoltre elemento caratterizzante del fare politica di un’associazione: le modalità con la quale si comunica un’analisi e si porta avanti una rivendicazione costituiscono di per sé l’identità politica. Negli ultimi anni il tema delle pratiche è stato sempre più centrale. Il forte movimento ha messo l’associazione di fronte alla necessita di identificare le mobilitazioni per far emergere quelli che erano i temi centrali da comunicare. Il dibattito non è stato semplice e banalizzato al classico “sfilata o barbarie”, dettata dalla necessità di far emergere la voce di una generazione da anni sotterrata da una classe politica indifferente e dai mezzi di informazione raramente realmente oggettivi, tendenti a ignorare le proteste pacifiche e demonizzare quelle violente. Come fare, quindi, a costruire conflitto, riuscendo contemporaneamente a comunicare un’analisi politica complessa e a tenere un livello di rivendicazione alto? Questa è il tema centrale da affrontare, perché base della consapevolezza politica. Nonostante siamo stati capaci di modernizzare continuamente la nostra politica, a volte abbiamo avuto difficoltà a mettere in campo nuovi modelli di conflittualità che scaturiscano da questa. Siamo caduti, cioè, nel tradizionalismo senza riuscire ad avere piena consapevolezza del piano di pratiche da mettere in campo. Nel corso dell’ultimo mandato abbiamo iniziato a porci questa questione, dandogli la dovuta importanza, e mettendo in campo un piano di sperimentazione di nuove pratiche che riescano a sfondare il binomio sopracitato e che riescano a tenere contemporaneamente un adeguato livello di comunicazione e conflittualità. Crescere sotto questo punto di vista, infatti, è possibile soltanto tramite la sperimentazione, la rete e una seria analisi di tutte le pratiche che si vanno a mettere in campo, e questa deve essere anche la sfida del prossimo mandato. Sperimentare, soprattutto per trovare modelli di conflittualità sempre nuovi che contraddistinguano le mobilitazioni, non facendole così apparire banali e ripetitive. Comunicare, per far si che le pratiche che hanno portato al raggiungimento di una vittoria possano diventare pratiche comuni e condivise. Analizzare, sempre, il piano di azioni da mettere in campo, non dando mai per scontate le pratiche da effettuare e contestualizzandole sempre nella fase politica e all’interno di un piano rivendicativo.
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Diritto allo studio: legge regionale 765
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Negli ultimi anni, i governi che si sono susseguiti, hanno parlato in materia di formazione sempre utilizzando la retorica del merito, ma mai parlando di diritto allo studio e di accesso ai saperi e alla formazione. Parlare di merito è ipocrita se non si riescono a fornire eguali condizioni di partenza a tutti gli studenti, eppure è la condizione che viviamo in Italia. La scuola non riesce più ad essere l’ascensore sociale di un tempo, né l’accesso a tutti i luoghi di formazione è fornito a tutti. È oggettivo dire che oggi la scuola non è più l’unico fruitore di sapere, ma i soggetti in formazione acquisiscono quotidianamente informazioni da molti canali, e l’accesso a questi continua a essere difficile e diversificante. Trasporti esosi e inefficienti, strutture fatiscenti, caro-libri alle stelle, tasse scolastiche sempre più salate, fanno parte ormai della quotidianità degli studenti italiani. In Campania la situazione appare davvero tragica, con il più alto tasso di dispersione scolastica in Italia, la privatizzazione dei servizi di welfare e di trasporto, e una legge regionale fra le più avanzate di Italia, ma mai finanziata. Parlare oggi di diritto allo studio e di reddito di formazione vuol dire riuscire ad uscire da un ottica di welfare familistico e obsoleto del nostro paese e garantire un sistema che punti a garantire la completa autonomia degli studenti all’interno dei loro processi formativi, sottolineando il carattere pubblico e libero dei saperi e della conoscenza. Caro-libri e comodato d'uso Un obiettivo che la legge regionale sul diritto allo studio persegue è “rimuovere gli ostacoli che impediscono di fatto la realizzazione del diritto all’istruzione mettendo a disposizione i mezzi che consentano – nell’ambito delle proprie competenze – di favorire l’assolvimento dell’obbligo scolastico e di eliminare i condizionamenti di natura economica e sociale che ne determinano l’evasione, lo scarso rendimento, la ripetenza e l’emarginazione”. Eppure il costo dei libri è aumentato e continua ad aumentare a dismisura. Le liste dei libri “falsificate” per far rientrare i libri nel budget consentito, sono l’emblema del caro libri; neanche il necessario per seguire le lezioni scolastiche è accessibile. I libri sono coinvolti in tutto il sistema di privatizzazione che fa abbassare sempre più l’accessibilità alla scuola e la riduce ad un sempre minore numero di persone, facendoci ritornare all’antichità, dove solo gli appartenenti a famiglie nobili o aristocratiche potevano permettersi l’istruzione. L’Unione degli Studenti Campania si è opposta al caro libri combattendolo con pratiche diverse sia dentro che fuori le scuole. Il Mercatino del Libro Usato è la pratica di mutualismo che rappresenta la nostra idea di alternativa e che la mette in atto permettendo a tutti gli studenti di ricavare qualcosa dalla spesa fatta o di diminuire notevolmente la spesa stessa. All’interno delle scuole, invece, pratica per combattere il caro libri è quella del Comodato d’Uso. La legge regionale per il Diritto allo Studio prevede dei fondi da destinare all’attuazione del comodato in ogni scuola. Il Comodato d’Uso dei libri permette a uno studente di prendere in prestito un libro all’inizio dell’anno per restituirlo alla fine dello stesso. Essendo la legge regionale carta morta, il comodato d’uso è attuato in un bassissimo numero di scuole. Proprio l’Unione degli Studenti, attraverso vertenze e campagne, ha l’obiettivo di portarlo in sempre più scuole, per far sì che l’alternativa sia garantita a tutti. L’importanza di queste pratiche a livello sia regionale che locale permette di farci entrare in una dimensione di collettivizzazione del problema, che spesso non tocca da vicino l’intera fascia degli studenti. Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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Stage Lo stage dovrebbe essere un momento in cui il liceale viene introdotto nel mondo nel lavoro, attraverso un tirocinio formativo, svolgendo compiti in diversi luoghi, a differenza del tipo di stage che sta seguendo. Questo, però, non è quello che avviene. Molto spesso l’adolescente che si trova a parteciparvi viene semplicemente sfruttato, essendo, agli occhi dell’imprenditore, forza lavoro gratuita. Non esiste, infatti, alcuna legge che tuteli i diritti degli studenti in stage. L’Unione degli Studenti sta lavorando da anni per l’attuazione concreta dello “Statuto delle Studentesse e degli Studenti in stage”, come testimonia quella che è stata l’esperienza casertana. Questo statuto, dovrebbe andare a tutelare quelle persone che si trovano in una fascia intermedia tra il mondo del lavoro e quello della formazione, facendo si che queste esperienze siano formative, e non mano d’opera a costo zero. La campagna “Stages e formazione professionale” non ha come solo obiettivo l’attuazione dello statuto, oltre alla salvaguardia dei diritti è fondamentale per far si che gli stages siano realmente accessibili a tutti e che si prenda maggiormente in considerazione la figura del tutor, poiché è sempre più marcata la distanza tra questo e lo studente che intraprende questo percorso formativo. Proprio perché lo stage è una parte fondamentale nel percorso formativo degli studenti è importante che vengano avviati dei percorsi di orientamento. Sino ad ora abbiamo parlato di stages in relazione all’istruzione tecnica e professionale, ma è necessario includere in questi percorsi anche i licei, i quali potrebbero intraprendere degli stages di giornalismo, negli archivi storici, nelle biblioteche, etc. La consultazione studentesca ha evidenziato la necessità degli studenti di avere maggiore chiarezza riguardo non solo l‘accessibilità agli stages, ma anche sui diritti che li tutelano durante questo percorso. Trasporti Il Diritto alla Mobilità è per tutti i cittadini una parte fondamentale della propria libertà, sia intesa in senso individuale che in senso collettivo. Avere la possibilità di muoversi significa per molti potersi recare a lavoro, a scuola o all’università, ma anche poter accedere agli spazi cittadini e a nuove occasioni di socialità. Il pendolarismo è una condizione generalizzata dei soggetti in formazione dovuta alle distanze che esistono tra i luoghi di vita, quelli di formazione, e tra quelli di formazione formale (scuola, università, accademie) e di formazione non formale (biblioteche, cinema, teatri, ecc…). Siamo convinti ad aver diritto ad accedere a un sapere che non è solo quello scolastico e di potervi accedere per altre strade, abbiamo diritto a ricercare, approfondire ed ampliare quello che è oggetto dei nostri studi e non possiamo ritenere che tale diritto venga posseduto solo da coloro che se lo possono permettere. La questione della mobilità è sempre stato un tema molto vicino agli studenti; i mezzi pubblici garantiscono infatti a molti di loro la possibilità di raggiungere la propria scuola autonomamente. Il diritto alla mobilità è parte integrante delle rivendicazioni per una reale autonomia sociale degli studenti sul diritto allo studio poiché, oltre ad essere un mezzo economico ed ecologico per raggiungere la scuola o l’università, è anche strumento di emancipazione sociale dello studente, che grazie al trasporto pubblico non è più obbligato, o almeno non dovrebbe esserlo, a frequentare la scuola o la facoltà più vicina, ma quella che più affine alle sue tendenze anche se non raggiungibile a piedi o attraverso il sacrificio del tempo lavorativo dei propri genitori. Insieme Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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alle tasse e al materiale didattico la mobilità diventa un capitolo di spesa sempre più incisivo per le famiglie degli studenti e delle studentesse della nostra regione creando e peggiorando le sacche di disagio e povertà, aggravando i livelli di abbandono scolastico e universitario, sospingendo sempre più studenti nei percorsi lavorativi, legali ed illegali. Il tema della mobilità studentesca in particolare rappresenta una delle principali problematiche che uno studente medio si ritrova ad affrontare durante il suo percorso di studi. Gli studenti sono una delle fasce più colpite a causa della eliminazione delle agevolazioni per gli studenti sui trasporti, della soppressione di corse e servizi dedicati. Una mobilità economicamente escludente è una delle principali fonti di precarietà esistenziale dei soggetti in formazione, sedimentando differenze tra chi sta nei “centri” e chi sta nelle periferie, tra chi vive nella prossimità dei luoghi della formazione e chi proviene da luoghi distanti da essi e spesso per lo studente è necessario ricorrere al trasporto privato. La cultura della mobilità privata che si porta avanti tagliando i finanziamenti pubblici non può che essere dannosa: maggiori intasamenti, maggiore inquinamento, minori servizi, che portano di fatto a un enorme costo sociale aggiuntivo, difficilmente quantificabile. Una situazione, questa, che va ad essere ancora più complessa proprio per quelle fasce che sono di fatto obbligate ad utilizzare il mezzo pubblico, ad esempio gli studenti, con aumenti del prezzo dei biglietti e degli abbonamenti che vanno di pari passo con una qualità dei servizi offerti sempre più scadente. La mobilità in Campania vede l’aggravarsi del proprio stato giorno dopo giorno. A Salerno la CSTP, azienda del trasporto pubblico salernitano, che coinvolge non solo il capoluogo di provincia, ma anche le città limitrofe, è stata messa in liquidazione, mentre a Caserta, dopo il successivo fallimento dell’azienda del trasporto pubblico ACMS, è subentrata la ditta privata CLP. Ciò è dovuto a un tira e molla che gli enti locali stanno portando avanti da diversi mesi, e al taglio dei finanziamenti al servizio pubblico. La mobilità in Campania vede l’aggravarsi del proprio stato giorno dopo giorno portando avanti da diversi mesi, e al taglio dei finanziamenti al servizio pubblico. Ad Avellino l prezzo dei biglietti urbani ed extraurbani è aumentato dal 6% al 19% (dai 10 ai 50 cent) rispetto al costo precedente, già più volte rialzato negli ultimi anni. A questo vistoso aumento non è corrisposto un miglioramento dei servizi erogati, ma al contrario, si e' assistito ad un progressivo taglio delle corse comunali con soppressione annessa di linee e fermate e conseguenti disagi per l'utenza. A Napoli la situazione è anche più tragica molti studenti dell'hinterland napoletano, quello che da Baiano a Scafati usufruisce tutti i giorni delle corse della Circumvesuviana, sono spesso impossibilitati a raggiungere i propri istituti e licei. Intanto ritardi ed assenze, comunque registrati da insegnanti e professori, influiscono sull'attribuzione del loro voto in condotta fino a provocare il possibile mancato conseguimento dell'anno scolastico. .Investire sulla mobilità pubblica e collettiva significa investire non solo su una diversa idea di trasporto che sia meno inquinante e che sia in grado di eliminare una enorme quantità di veicoli decongestionando anche le nostre città, ma significa soprattutto investire in una diversa idea di cittadinanza in cui la libertà si afferma tramite la garanzia dei diritti per tutti e nel rispetto della collettività. Vogliamo una mobilità a misura di studente, che ci permetta di muoverci liberamente in città, provincia, regione, Paese ed Europa gratuitamente o con forti agevolazioni e con un servizio
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che rispecchi le nostre esigenze di studenti, dal raggiungimento della scuola o dell’università alla copertura di tutto l’orario, giornaliero e notturno, con mezzi di trasporto pubblici e collettivi. Il diritto alla mobilità si tramuta in un privilegio, perdendo la capacità, al pari di ogni altro diritto, di dare cittadinanza,di essere motore per il riscatto sociale,di essere la via per un miglioramento degli individui, delle comunità e della società tutta.
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Edilizia L’edilizia nelle nostre scuole è sempre più precaria. I dati ci confermano che la maggior parte delle scuole nel territorio campano non è a norma e questo ci spaventa. E’ impossibile pensare che gli studenti vengano buttati in delle succursali-garage sempre più pericolanti, in luoghi dove sono presenti i funghi sui muri, dove a causa di un temporale crolli il tetto dell’edificio. Per non parlare, poi, che anche nelle scuole più avanzate nell’edilizia, puntualmente ci siano dei termosifoni rotti o delle finestre nelle aule a rischio di crollo. Non si può parlare di diritto allo studio se lo studente non si sente a sicuro nella scuola, se deve entrare nell’istituto con la paura che da un momento all’altro l’edificio possa disintegrarsi davanti ai suoi occhi.
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Nel maggio 2012, a seguito dell’attentato nella scuola di Brindisi, si usò lo slogan “Non si può morire entrando a scuola” e la paura di terminare la propria vita nella scuola a causa di situazioni di edilizia instabile e non sicura la vivono moltissimi studenti. Problema meno serio ma sicuramente importante è quello dei laboratori. Ogni giorno lo studente si reca a scuola per imparare, non solo per memorizzare le righe scritte sui libri di testo o per recitare a memoria la traduzione fatta il pomeriggio precedente a casa ma anche, e soprattutto, per trarre apprendimento dal lavoro preliminare di studio. Uno dei metodi più efficaci per far sì che questo apprendimento si compia è l’utilizzo dei laboratori. Se ogni scuola avesse un laboratorio, cosa che spesso non accade o, se presente, non viene utilizzato, si potrebbe completare quel processo di studio e si potrebbe finalmente parlare di “imparare” e non solo di “studiare”. Come Unione degli Studenti Campania, bisogna lavorare molto nelle scuole su questo tema vista la sua importanza e tenendo conto anche del peso che gli studenti danno a questa tematica. Contributo scolastico Gli studenti ogni anno sono costretti a pagare una quota ingente come contributo scolastico che a causa dei tagli della L.133/08 è però fondamentale per il sostentamento della scuola pubblica come l'abbiamo conosciuta in questi anni . Contributo, spesso usato impropriamente per il funzionamento ordinario della scuola. I vari governi che si sono succeduti ,infatti, con i continui tagli all'istruzione hanno sempre più aggravato quella che era una situazione già tragica, proponendo un modello di sviluppo sociale elitario nel quale non viene data la possibilità ad ogni studente di accedere alla cultura ,di conseguenza ormai i finanziamenti che dà lo Stato non sono più sufficienti per una reale istruzione e di fatto il contributo rappresenta un inizio di quello che è il processo di privatizzazione della scuola. Occorre però fare chiarezza: delle “tasse scolastiche” sono obbligatorie soltanto il premio per l’assicurazione, le tasse e i contributi richiesti per la frequenza delle classi 4a e 5a superiore, in virtù dell’attuale normativa sull’obbligo scolastico. Altro aspetto non di poco conto, è le scuole devono rendicontare l'utilizzo del contributo volontario e che le famiglie possano finalizzarne l'uso a progetti specifici. Versare quindi contributi per l’arricchimento dell’offerta culturale e Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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formativa degli alunni, per l’innovazione tecnologica o per l’edilizia scolastica (DL 40/2007, legge Bersani) è possibile, ma solo ed esclusivamente su base volontaria.
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L'UdS Campania deve riuscire ad impostare la questione del contributo scolastico in un contesto molto più ampio di rivendicazioni, a partire dalla commissione paritetica in cui discutere della composizione sociale e partecipata del bilancio in modo da avviare un processo di democratizzazione delle scelte interne alla scuola e permettere di investire fondi in attività davvero utili e proficue per gli studenti. L'impegno della nostra organizzazione deve essere quello di far sì che il bilancio sia davvero pubblico: troppe volte infatti abbiamo avuto bilanci poco chiari nei quali alcuni passaggi risultavano oscuri. E' fondamentale andare a contestare anche e soprattutto sul piano ideologico questo contributo che in effetti segna quello che è un iniziale processo di privatizzazione della scuola. In un periodo di crisi infatti il contributo può diventare realmente insostenibile per le famiglie, bisogna quindi essere solidali ed evitare di aggravare la situazione delle famiglie disagiate. E’ necessario iniziare ad andare in controtendenza con quelle che sono le politiche di tagli adottate fino a questo momento, non possiamo permettere che il contributo continui ad aumentare e non possiamo permettere che la scuola pubblica continui ad essere calpestata, distrutta per colpa di coloro ai quali questa situazione fa comodo. In virtù di quest’analisi noi ribadiremo in ogni luogo la volontarietà del contributo affinché questo sia realmente speso per ampliare l’offerta formativa. Carta Studenti “Dentro il nostro sistema il sapere vive un processo di mercificazione. La conoscenza prodotta diviene una merce, scarsa e poco accessibile, recintata da brevetti”. – Manifesto per la liberazione dei saperi.
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Nel mondo della formazione con i continui tagli ai finanziamenti e la sempre più scarsa importanza data all’istruzione, diventa sempre più difficile accedere ai saperi. Saperi che sono stati imprigionati dalle politiche che mettono davanti tutto l’economia, dandole la priorità su tutto, e facendo entrare quindi i saperi in un processo di mercificazione, di chiusura, dove i costi per accedere a questi sono sempre più alti.
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L’Unione degli Studenti in Campania negli ultimi anni si è impegnata nella costruzione o nel rafforzamento delle Carte dello studente. La Carta Io Studio nazionale, infatti, non ha mai portato molti vantaggi per gli studenti, dal momento che difficilmente provvede a dare una qualche sorta di vantaggio economico o di facilitazione nell’accesso al sapere. L’Unione degli Studenti si è quindi posta l’obiettivo di rafforzare la carta ministeriale o di attuare una reale alternativa costruendo all’interno dei territori carte per i soggetti in formazione costruite dal basso, come nell’esperienza avellinese.
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La carta dello studente potrebbe costituire, infatti, non solo un riconoscimento dello status sociale di soggetti in formazione, ma un mezzo utilissimo per eliminare le differenze sociali che si frappongono fra gli studenti e il sapere. Il sapere oggi viene fornito da molti più canali, e in un immaginario di saperi pubblici e liberi, l’accesso a questi canali deve essere garantito e facilitato. Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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L’Altrariforma nasce nel 2008, a seguito della riforma Gelmini che ci ha spinto a considerare che negli ultimi 20 anni ogni riforma in materia di formazione non ha fatto altro che peggiorare quella che è la condizione della scuola e degli studenti. Mancanza di reali spazi di democrazia e di servizi efficienti, una didattica antiquata e lontana dagli studenti, una valutazione classista e incapace di giudicare il completo processo formativo dello studente, hanno portato gli studenti a capire che una riforma strutturale del sistema scolastico non poteva provenire da chi la scuola non la viveva quotidianamente: il progetto dell’Altrariforma nasce come progetto costruito dagli studenti per gli studenti, come immaginario collettivo di scuola opposto alla logica liberista e classista che ha caratterizzato le riforme in materia di scuola negli ultimi anni. L’Altrariforma nasce come progetto aperto, basato sulla sperimentazione e la costruzione dal basso all’interno delle scuole. Negli ultimi anni è stata l’elemento centrale delle nostre campagne e del nostro lavoro di cambiamento all’interno delle scuole. -Organi collegiali. Il secondo tentativo di far passare il pdl Aprea, è l'emblema della concezione che si ha della partecipazione studentesca all'interno delle scuole e del potere decisionale degli studenti all'interno dei loro percorsi formativi. Gli studenti, infatti, continuano ad avere un ruolo marginale all'interno delle scuole, pur essendone la componente principale. Lavorare per un rafforzamento degli organi collegiali all'interno delle scuole e per la rivendicazione di nuovi spazi decisionali e di confronto è una sfida politica centrale, nell'immaginario di scuola come centro culturale e motore del cambiamento della società e degli studenti come parte integrante e centrale della cittadinanza studentesca. Bisogna avviare una riforma degli organi collegiali, che dia più potere decisionale agli studenti, partendo dal rafforzare la presenza studentesca all'interno dei consigli di istituto, e che incrementi la partecipazione, rivalutando le assemblee di classe e di istituto, costruendo collettivi, formando comitati studenteschi laddove mancano. Inoltre bisogna far sì che gli studenti possano incidere anche quella che è l'offerta formativa, costruendo commissioni paritetiche, costituite da un pari numero di docenti e studenti, che abbia poteri decisionali sui progetti e sul pof. -Didattica e Valutazione Un'altra delle più gravi carenze che presenta la scuola italiana è la didattica che, troppo spesso, è concepita come uno sterile passaggio di nozioni dove allo studente non è garantita la possibilità di formarsi come persona in grado di affrontare con coscienza critica i problemi che incontra ripetutamente nella vita. Ricerche pedagogiche e sperimentazioni attestano che esistono molti tipi di didattica alternativi alla didattica frontale, che pongono al centro lo studente, il confronto e la discussione in classe. Infatti oggi è assurdo pensare che le uniche informazioni raggiungono gli studenti tramite la scuola, bensì questa rimane l'unico strumento per fornire una coscienza critica agli studenti per fargli comprendere quali di queste informazioni sono giuste e quali sbagliate, quali fare proprie e quali ignorare. A ciò si aggiunge un modello di valutazione numerico e classista che concepisce lo studente come un mero decimale, e non riesce a valutare lo studente nel suo complesso e complessivo Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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percorso formativo. Questo tipo di valutazione andrebbe sostituito con un modello di valutazione narrativa, che valuti in maniera amplia e complessa carenze e peculiarità dello studente, spingendolo sempre ad una comprensione dei propri errori e non ad un giudizio numerico e sterile.
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Liberazione dello spazio, nuova idea di spazio, Spazio Liberato Frappy Ricciardi, Occupy Avellino, Ex Biblioteca, ricostruire aggregazione e tessuto sociale. Cinema vuoti ed inutili, ex scuole abbandonate e devastate, teatri ignorati e dimenticati. Sempre di più sono gli spazi lasciati a se stessi, maltrattati e sottoposti a forti atti di vandalismo. Troppi sono gli spazi chiusi nella regione Campania che potrebbero offrire non solo lavoro, ma anche cultura, sapere, che potrebbero offrire una reale alternativa alla noia, alla forte mancanza di attività culturali. #OccupyAvellino, l'Ex Biblioteca a Caserta, ed infine l'ex scuola Mariele Ventre a Salerno, hanno proposto un altro modo di vivere la propria città, un altro modo di vedere il mondo, hanno proposto la creazione di uno spazio fisico e democratico, di un luogo che sia centrale per tutta la popolazione. Dietro queste continue battaglie, queste continue mobilitazioni si nasconde un pezzo di cittadinanza stanca e distrutta, un pezzo di cittadinanza che non vuole più chiedere, che non vuole più pregare una mancata politica regionale di ridare futuro, di ridare possibilità. Dietro queste battaglie si nasconde una fetta di cittadinanza decisa a riprendersi i propri luoghi, i propri spazi. Molto spesso però gli interessi criminali ed economici sono ben più grandi del mondo sociale e culturale, molto più importanti. Nell'ultimo ventennio i grandi rappresentanti politici si sono dimenticati dei propri cittadini, dei propri giovani e parlare di sviluppo significa parlare di sapere, di criticità e curiosità, significa parlare dei veri bisogni materiali ed immateriali, significa parlare di tutti coloro che sono da troppo tempo martoriati ed appesantiti dalla parola "crisi". Costruire uno spazio d'aggregazione per i giovani, per i più anziani, per tutti i cittadini significa iniziare a costruire un nuovo fronte sociale, un nuovo spiraglio di democrazia e sviluppo. E' un obbligo morale, liberare, dare vita e restituire alla cittadinanza queste strutture, è un obbligo morale affermare nuovi principi d'inclusione, d'ecologia,d'antimafia, di una filosofia "del noi" sull'individualismo. Avere uno spazio di aggregazione significa avere una risposta culturale a questa forte crisi sociale,significa avere e dare una possibilità. Occupare uno spazio significa non rinchiudersi dentro, bensì liberarlo, renderlo pubblico e comune, metterlo a disposizione alla cittadinanza, uno spazio, in cui ognuno possa seguire e sviluppare le proprie inclinazioni, in cui tutti possono condividere idee, riflessioni ed emozioni. Creare uno spazio significa creare confronto, dibattito e criticità, creare uno spazio significa creare sviluppo. L'Unione degli studenti è da anni che lotta contro la mala organizzazione dei fondi pubblici, e contro strutture che racchiudono in se un grande patrimonio culturale insieme ad una degradante storia politica, fatta di bandi e soldi che non si sa a chi e a che cosa siano destinati. L'Unione degli studenti, ma tante altre associazioni, tanti cittadini, anziani e giovani si oppongono quotidianamente a questi ignobili atti, a queste disonorevoli offese, è forse questa la Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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vera forza del movimento messa in campo fino ad oggi, attraverso una grande coesione sociale che ha un chiaro e solido obbiettivo: "Uno Spazio in cui elaborare sapere e quindi futuro". Il 4 novembre 2011 nella piazza antistante l'ex Gil ad Avellino, si urlava con grande entusiasmo: "Perché noi siamo tutto e vogliamo tutto", si urlava che quella piazza era stata occupata non solo perché eravamo arrabbiati, stanchi e distrutti ma anche perché occupare quella piazza era un'imperativo categorico, significava volere una società diversa sia in termini locali che globali. Abbiamo chiesto per troppo tempo strutture, abbiamo chiesto per troppo tempo una possibilità senza mai ricevere risposte, ora noi vogliamo realizzarle. Molto spesso la politica, sia in ambito nazionale che regionale, cerca di sminuire e cancellare il ruolo fondamentale del pubblico, del comune, privatizzando sempre di più gli strumenti, le vie e gli spazi per arrivare al sapere, e questo, l'unione degli studenti, e quel pezzo di cittadinanza che da due anni sta costantemente lottando per la giustizia sociale non può e non vuole permetterlo. E’ necessario dare vita ed utilità ai cinema abbandonati, ai teatri e a tutto ciò che la nostra regione ha da offrire. Tutto questo è un punto di partenza per la creazione di una forte consapevolezza sociale, un punto di risveglio e di vero progresso non solo socio-culturale, ma anche politico. E’ necessario inoltre, per affrontare seriamente la sfida degli spazi sociali in Campania, mettere in rete le singole esperienze dei territori per concretizzarle in vere e proprie pratiche interpretando le varie situazioni provinciali e come, in relazione ad esse, l’organizzazione si è mossa. Nella creazione di socialità, nell’inserimento del tema all’interno del dibattito pubblico, nella liberazione di uno spazio troviamo diversi modi di agire di territorio in territorio che però, sulla base dell’appello regionale di Fate Spazio accomunano Salerno, Napoli, Avellino e Caserta nei contenuti della riappropriazione di un luogo : dal grande impatto mediatico dato nell’ambito salernitano con una forte impronta politica nel dibattito pubblico tramite il recupero sociale di quartieri periferici, alla grande importanza culturale delle occupazioni del teatro Eliseo ad Avellino e dell’ex biblioteca comunale a Caserta, tentativi di riabilitazione di luoghi del sapere fondamentali nelle dinamiche cittadine.
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Mutualismo.
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Il ruolo del mutualismo, pratiche di resistenza al sistema, “solidarietà di classe”,il mutualismo nelle scuole (mercatino, ripetizioni a basso costo, orientamento alternativo), bisogni materiali. Il mutualismo è quel tipo di attività attraverso la quale i soggetti in formazione riescono a fornire servizi che sopperiscono alle mancanze dello stato e da sempre caratterizza l'attività delle organizzazioni sindacali. Esso è una componente imprescindibile dell'attività della nostra associazione: è attraverso di esso infatti che si riesce a raggiungere due obiettivi di primaria importanza: da un lato ci si afferma come realtà attiva all'interno del territorio e non solo come “quelli che fanno il corteo a ottobre”, definizione che spesso viene attribuita alle realtà studentesche; dall'altro lato si va a rispondere alle reali esigenze degli studenti, creando consenso e interesse che può essere convogliato verso altri temi per raggiungere l'ancora più importante obiettivo del risveglio delle coscienze. Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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L'azione mutualistica va necessariamente svolta con capillarità all'interno del territorio, poiché essa ha ragione di esistere solo a stretto contatto con i soggetti a cui è rivolta e deve essere accessibile a tutti, non solo ad un gruppo limitato di studenti (è interessante, ad esempio, l'idea di creare più mercatini nei vari territori, raggiungendo così un target più ampio, che comunicando tra di loro riescano a condividere le risorse per offrire un servizio efficiente ed efficace che riesca a contrastare fattivamente il caro libri) e soprattutto deve essere ben organizzata: un “flop” non è certo la cosa che vogliamo ottenere, e sicuramente non vogliamo ottenerlo a iniziativa già lanciata. Un altro punto fondamentale per la buona riuscita dell'azione mutualistica che ci apprestiamo a svolgere è la corretta pubblicizzazione della stessa. I mezzi a nostra disposizione per fare ciò sono numerosissimi: volantinaggio, attacchinaggio, spam sui social network. E' importante tenere presente che anche la comunicazione è scienza e in quanto tale va organizzata e programmata per ottenere il massimo della mediaticità ed efficacia. Essa va però accompagnata con un adeguata sensibilizzazione riguardo le problematiche che andiamo ad affrontare (ad esempio, tornando sul caso del caro libri, è importante che le persone siano sensibilizzate riguardo le sue cause), che può essere ottenuta attraverso le pratiche che conosciamo e utilizziamo in ogni nostra campagna (flash mob, assemblee pubbliche, ecc...). Questa maggiore sensibilità può inoltre essere utilizzata per pubblicizzare ulteriormente la nostra attività. Alcune delle pratiche mutualistiche utilizzate dalla nostra associazione che necessariamente dobbiamo rilanciare sono: -Mercatini del libro usato: essi, sparsi con capillarità all'interno del territorio, riescono a contrastare efficacemente il caro libri, fornendo alle famiglie un alternativa all'acquisto dei libri nuovi (che hanno un costo elevatissimo e che vengono continuamente riproposti in nuove edizione con contenuti completamente identici alle precedenti, ma con prezzo maggiorato). Oltretutto, grazie ai mercatini (che si svolgono usualmente durante il periodo agosto-settembre) riusciamo a finanziare le campagne che lanceremo nell'autunno immediatamente seguente. -Ripetizioni a basso costo: attraverso le ripetizioni a basso costo si sopperisce all'inadeguatezza (o, nei casi peggiori, alla totale mancanza) dei corsi di recupero delle materie scolastiche organizzati dai singoli istituti e si propone un'alternativa valida agli insegnanti privati, che hanno costi eccessivi che escludono a molti studenti la possibilità di ricevere un aiuto nello studio. -Orientamento universitario: esso, svolto necessariamente con Link, rappresenta una validissima alternativa all'orientamento “canonico” che, non mostrando l'Università come viene vissuta dagli studenti e in ogni sua sfaccettatura, compromette le scelte degli studenti medi. Altre attività mutualistiche che potrebbero essere messe in pratica sono, ad esempio: cineforum, corsi musicali, corsi di lingua per studenti stranieri, ecc. Il mutualismo, inoltre, ha un legame molto stretto con gli spazi sociali, che stanno acquisendo una centralità sempre maggiore all'interno delle rivendicazioni della nostra associazione.
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L'apertura di spazi all'interno del territorio permette di organizzare al loro interno un'enorme quantità di pratiche mutualistiche, anzi: la stessa apertura di uno spazio sociale da parte degli studenti, può essere definita una pratica mutualistica poiché risponde al bisogno di un luogo dove creare cultura che sia a completa disposizione dei soggetti in formazione. 1140
In conclusione, possiamo dire che una pratica mutualistica è efficace se e solo se risponde ai bisogni materiali dei soggetti in formazione, cioè se riesce fattivamente a risolvere problematiche reali della vita di tutti i giorni: il miglioramento del profitto scolastico attraverso le ripetizioni a basso costo, il risparmio sull'acquisto dei libri di testo attraverso il mercatino scolastico, ecc.
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Nel 2013 l’Italia non ha ancora fatto i conti con la propria storia. Nel nostro paese, infatti, non è mai stato svolto un serio lavoro per far comprendere alla popolazione ciò che è stato il ventennio fascista e ciò che questo periodo ha portato al nostro Paese. Ogni giorno, infatti, ci troviamo di fronte a persone, che vittime dell’ignoranza, sono razziste e omofobe, e quindi adottano anche senza saperlo atteggiamenti fascisti.
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A questi si aggiungono le attività di associazioni di stampo fascista, costituitesi nel corso del tempo sotto forma e simboli diversi e che amano farsi chiamare “Fascisti del terzo millennio”. Una caratteristica di queste associazioni è quella di nascondersi dietro la maschera di bravi ragazzi, impegnati nel campo sociale mentre adottano un indiscriminato uso della violenza per riuscire a prevalere sugli avversari politici, senza tener conto del razzismo e dell’antisemitismo ai quali vengono educati i militanti di queste associazioni. Essere antifascisti, oggi, vuol dire impedire tutti i tipi di espressione all’interno della vita pubblica e politica ai membri di queste associazioni chiaramente anticostituzionali e che, quindi, non dovrebbero esistere. La XII disposizione transitoria della nostra costituzione, infatti, vieta la ricostituzione in qualsiasi forma del partito fascista. Da parte nostra è, quindi, necessaria una forte opposizione, che parta dal basso, dall’interno delle scuole, svolgendo un lavoro culturale sugli studenti per far capire loro cosa vuol dire essere antifascisti e per far sì che tutti possano avere una vera coscienza storica e culturale che possa frenare l’avanzata delle suddette associazioni e del divagare dei loro ideali all’interno della società, soprattutto dove vince indiscusso il menefreghismo. Proprio con la scusa del “né rossi, né neri ma liberi pensieri” (slogan di una delle associazioni neofasciste più forti in Italia) s’insinuano nel tessuto sociale, diffondendo odio e proponendo rimedi violenti. Oltre al lavoro culturale quotidiano, dovrebbe essere rivalutata l’importanza di date significative per la nostra storia, quali il 25 aprile (liberazione dal nazi-fascismo), il 27 settembre (commemorazione delle 4 giornate di Napoli), e il 12 dicembre ( strage piazza Fontana organizzata dalla DC in combutta coi fascisti nel ’69). La nostra Organizzazione detiene come valore fondamentale proprio l'anti-fascismo; i militanti dell'UdS si sono spesso trovati vittime di aggressioni da parte di neo-fascisti, da cui sono Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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cominciate opere di sensibilizzazione e di informazione culturale. E’ importante, però, ribadire che l’anti-fascismo non è solo una questione mediatica, né tantomeno la sua espressione va limitata in alcuni, sporadici, momenti. E’, infatti, la base di molte delle nostre azioni e delle relazioni che stabiliamo con altre realtà studentesche e non. Ad esempio, l’Anpi, con cui abbiamo e dobbiamo continuare ad avviare un percorso in tutte le scuole e in tutte le città. L’anti-fascismo, inoltre, è una vera e propria pratica che va applicata al fine di rendere libere le nostre scuole, città e il nostro Paese.
Anti-camorra. La camorra è una realtà comune, oramai omogeneamente radicata su tutto il territorio; questo accade perché, spesso, quest'ultima appare, agli occhi di chi la guarda, come un'alternativa sociale in mancanza di una presenza costante dello Stato. 1185
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Un tratto comune nelle varie città della regione è appunto legato all'altissimo numero di “manovalanza” in possesso alla criminalità organizzata, per mancanza di un lavoro adeguato che lo Stato dovrebbe garantire, e per la disoccupazione, in particolare giovanile, che ha raggiunto negli ultimi anni quote sempre più alte. Le mafie, infatti, offrono favori, garantendo soprattutto la possibilità di portare avanti un tenore di vita apparentemente migliore rispetto a quello che, nella legalità, non potrebbero permettersi persone che hanno mansioni esecutive e di scarso rilievo in questo gigantesco sistema economico, una metastasi tumorale che ha infettato l'intero tessuto sociale delle nostre città adottando pratiche violente e di oppressione, una realtà che pesa sulle spalle di chi già vive questo degrado sociale. Le mafie hanno questo di particolare: sono un potere che si radica sul territorio e tende a controllarlo in forma monopolistica, mascherandosi come coloro che garantiscono " la pubblica sicurezza". Possiamo infatti considerare la Camorra più che come l' Antistato, come uno stato nello stato; con questi interessi apparenti, questo mondo riceve consensi, in particolare nelle famiglie in difficoltà, che vengono assorbite in questa sfera, e che abbracciano questa mentalità, dalla quale non riescono più ad uscire, come una trappola, un virus. Come si combatte la malavita organizzata? Con l'informazione. Bisogna partire “dal basso”, partendo dalla capacità di aggregare studenti, cittadini, portare avanti un percorso di formazione su questo tema, coinvolgendo tutte quelle associazioni che si occupano di anticamorra sul territorio campano, discutendo e cercando di ottenere beni confiscati alle mafie per costituire spazi sociali dedicati ai giovani, che vivono una situazione di disagio, essendo in Europa il territorio con il più elevato tasso di criminalità minorile e di dispersione scolastica. Un'associazione con la quale, da anni, sono state portate avanti iniziative e con la quale noi studenti condividiamo idee ed alcuni valori come l'antimafia sociale, è "Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie". Dal 1996 ogni 21 marzo si celebra la Giornata della Memoria delle Vittime innocenti delle Mafia, primo giorno di primavera, che rappresenta la reale speranza di un cambiamento, una rinascita, Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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e quest'anno questa data si rinnova il 16 Marzo a Firenze, per ricordare oltre 900 nomi di vittime innocenti , semplici cittadini, magistrati, giornalisti morti per mano delle mafie solo perché hanno compiuto il loro dovere. Proprio in ricordo di queste persone, del loro impegno contro la corruzione, della loro voglia di costruire una comunità alternativa, è necessario portare avanti un percorso di impegno culturale e sociale, che parta dalle scuola. Parlare di anti-camorra non vuol dire ricordarsi di questa realtà solo quando i giornali annunciano una vittima della criminalità organizzata, ma lottare ogni giorno contro quegli abusi e contro la corruzione con le quali siamo a stretto contatto ogni giorno, contro la decomposizione e l'avvelenamento di questa società sempre più cieca ed indifferente.
Ambiente.
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La crisi che condiziona il futuro di noi giovani, non è solo quella economico-politica, ma anche quella ambientale. Nonostante, già da tempo, le emergenze ambientali che colpiscono il nostro paese siano sotto gli occhi di tutti, causando perdite sia economiche che umane, la condizione ambientale viene sempre più sottovalutata. Lo sfruttamento incurante delle risorse naturali è dovuto, soprattutto, all'abuso delle risorse energetiche richiesto dai mercati e dalle grandi industrie, che prestano attenzione solo al proprio profitto senza curarsi dell'impatto ambientale causato dalle loro scelte. Con il continuo aumento delle emissioni di CO2 e dei gas serra, si prospetta che nel 2013 le temperature aumenteranno e che il clima mondiale raggiungerà una media record fra le più alte dell'ultimo decennio; le conseguenze di un cambiamento così drastico spesso vengono sottovalutate: alcuni studi prevedono il totale scioglimento delle calotte glaciali entro il 2050, e il conseguente innalzamento dei livelli marini che sommergerebbero zone ad alta densità di popolazione innescando una crisi emigratoria a livello globale. Inoltre molto spesso, a causa del modello di sviluppo basato sul solo profitto, vengono scavalcati i diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione, e cioè quelli alla Salute e al Lavoro. E' proprio ciò che è successo a Taranto che, con la presenza dell'Ilva l'inquinamento è diventato un dramma all'ordine del giorno, difatti sono stati tanti i casi di tumori e malattie respiratorie. Il paese avrebbe bisogno di un nuovo modello di sviluppo, che non danneggi l'ambiente né la salute degli individui, come già intuito da molti stati europei difatti le fonti energetiche non rinnovabili si esauriranno e sarebbe giusto investire di più su energie rinnovabili, riducendo così la dipendenza dai fossili e le emissioni di gas serra, creando nuova occupazione. Ma non esiste solo l'Ilva, in Italia ci sono circa 1.100 impianti industriali che trattano sostanze pericolose che potrebbero causare incidenti di grande rilievo, come impianti chimici, petrolchimici, depositi di gpl, raffinerie e depositi di esplosivi o composti tossici che potrebbero provocare incendi, contaminare il suolo e le acque, causare nubi tossiche e via dicendo. Per fortuna ci sono ancora dei movimenti che si preoccupano della difesa dell'ambiente, contrastando le logiche imprenditoriali e di massimizzazione dei profitti, come i movimenti No TAV o No GAS Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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Il movimento No TAV va avanti da oltre 20 anni ed è condiviso dai cittadini italiani, contrari alla costruzione del TAV soprattutto per motivi ambientali ed economici, a tal punto da essere diventato un elemento rilevante nel quadro politico nazionale. Ad aggravare la scelta di quest'investimento è il periodo di austerità che stiamo attraversando, in cui ogni richiesta per il miglioramento dello stato sociale si scontra con l'affermazione “non ci sono soldi”, ma pur ammettendo che il TAV serva davvero per il miglioramento dell'economia italiana, non possono essere trascurati i danni ambientali che tale progetto causerebbe. Prendendo l'esempio della val di Susa, regione già fortemente antropizzata, la costruzione del tunnel necessario per il passaggio della ferrovia comprometterebbe ulteriormente la situazione già precaria dell'habitat naturale della regione. Il No GAS è, invece, un movimento territoriale, che si oppone alla realizzazione del gassificatore di Capua e al piano regionale per i rifiuti riguardo gli inceneritori e le discariche. I gassificatori vengono presentati come sistemi efficienti per lo sfruttamento delle potenzialità energetiche dei rifiuti, destinati a sostituire gli inceneritori, senza mai sottolineare il loro impatto ambientale. Sebbene i gas vengano depurati e poi sfruttati per la produzione di energia, bisogna considerare che dal processo di riscaldamento e combustione derivano sempre nano polveri, diossine e altre sostanze nocive, che non potendo essere disperse nell'ambiente, devono essere conservate in apposite cisterne per lunghi periodi di tempo, affinché possano biodegradarsi. Ecco che, allora, va considerato anche il fatto che Capua è una zona con sismicità media, e ciò potrebbe causare non pochi problemi all'impianto di gassificazione. Importante, però, è soprattutto che si parli di ambiente all'interno delle scuole, visto che si tratta di una tematica molto spesso sottovaluta, nonostante la sua importanza; bisogna che le nuove generazioni vedano l'ambiente come la casa di ogni singolo individuo, dato che la situazione ambientale sta diventando insostenibile e ne va anche della nostra salute. Questa situazione può essere migliorata partendo, proprio, dalle scuole, applicando corsi di riciclaggio creativo e cioè, provando a riutilizzare una cosa prima di buttarla, praticando la raccolta differenziata che spesso non viene applicata in molti paesi.
Questione di Genere
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Nel nostro Paese e, specialmente, nei "salotti" politici, la cosiddetta questione di genere è un argomento di facile conversazione. Sì, perché "le donne sono discriminate", perché "le donne sono considerate inferiori", perché "le donne si trovano ancora sottoposte a critiche e giudizi". Dato per assunto che questo sia vero, che le donne abbiano una posizione di penalità all'interno della scala sociale, occorre domandarsi quali siano le proposte e le possibilità, le modalità di cambiamento.
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La discriminazione di genere, infatti, non è una questione puramente sociale, ma prima di tutto lavorativa, che incide sulla condizione femminile in termini di emancipazione sociale e culturale. E riguarda precise "caratteristiche" che la donna di per sé ha e che la rendono penalizzabile nel mondo del lavoro. Il dato (riferito all'anno 2011) è di un tasso di disoccupazione femminile pari al 9,6%, contro quello maschile del 7,6%. La situazione è, chiaramente, peggiore al Sud, dove a
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lavorare è a malapena una giovane su quattro e dove il mito della "donna di casa" è molto più diffuso rispetto al Nord.
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All'interno di un mercato del lavoro come quello di oggi, in cui vige la precarietà, per un datore di lavoro è molto meglio assumere un uomo piuttosto che una donna, che potrebbe inaspettatamente andare in maternità. Mentre la discriminazione di genere avviene nel momento in cui un datore di lavoro assume una donna piuttosto che un uomo per il suo aspetto e non per le sue capacità e attitudini reali. Per non parlare delle donne sposate che, nel momento in cui mettono al mondo un figlio, diventano meno affidabili, mentre il papà continua la carriera lavorativa senza problemi. L’Istat ha fotografato perfettamente la situazione delle famiglie in Italia: il tasso di occupazione tra i 20 e 49 anni è al punto di minima distanza tra uomini e donne, se i figli non ci sono (76% i maschi, 65 %le femmine). Quando invece i figli ci sono, ne basta solo uno per lanciare l’occupazione maschile al 90% e schiacciare quella femminile al 58%. Negli ultimi anni si sono riconosciute fragili tutele alle maternità e anche sul fronte culturale gli sforzi si limitano a pochi episodi. Come il "congedo di paternità", un piccolo passo verso la concezione che, in una coppia, un figlio si fa in due e si cresce ed accudisce in due. Un altro problema della questione è il "modello Berlusconiano", applicato anche in politica, che vede la donna in relazione allo sfruttamento della sua immagine e allo stereotipo del "bella, ma oca". Colpa delle veline, delle svampite e di tutti i reality in cui si vedono donne senza un minimo di intelligenza, un'immagine che si è delineata nella pubblicità e nella televisione, dove per andare avanti basta un bell'aspetto e non conta il cervello. E' evidente che il problema sia a monte e che sia solo in parte risolvibile con la rivalutazione dell'immagine femminile attraverso lo strumento della comunicazione. Perché in fondo c'è da chiedersi: la donna si adatta con dispiacere a quello che il pubblico richiede o in fondo non le importa nulla di sembrare stupida pur di apparire? Che fine hanno fatto le donne "che volevano tutto" (il sapere, la maternità, l'uguaglianza, la gratificazione)? Fin da piccole, le bambine ricevono l'input in questo senso dalla pubblicità e dalla televisione: mamme che accudiscono la casa, consigli su come truccarsi per essere più belle, modelli di donne che grazie al loro aspetto fisico sono diventate famose.
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Quest'immagine della donna ha influito, negli ultimi vent'anni, anche nel mondo politico, dove le donne avevano la loro poltrona solo per attitudini non prettamente inerenti al lavoro che dovevano svolgere. E dove si pensa che una donna debba assumere un preciso posto solo in quanto donna. Le cosiddette "quote rosa", che non rappresentano solo un aumento della differenza tra uomo e donna, ma una discriminazione nei confronti della donna stessa.
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Il problema però, è in gran parte risolvibile dalle donne, in quanto capaci di non pretendere diritti in nome della loro identità di genere e di distruggere l'immagine della donna-oggetto in termini di bravura e intelligenza.
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A partire dalla nascita del movimento di liberazione sessuale, il mondo ha fatto molti passi avanti in materia di diritti omosessuali. Attualmente, sono 13 i Paesi nel mondo che garantiscono alla comunità LGBT di poter ricorrere all’istituzione del matrimonio, e altrettanti quelli che garantiscono l’adozione. Nell’ultimo mese Francia ed Inghilterra si sono aggiunte alla lista, avviando provvedimenti che porteranno alla legalizzazione del matrimonio gay. L’Italia ad oggi non prevede nessuna legge che regoli le unioni di coppie dello stesso sesso: ciò è dovuto anche alla forte influenza dello Stato Vaticano, che si è sempre apertamente schierato in un’ottica conservatrice contro l’omosessualità, facendo talvolta pressione sulla classe politica vigente, e stroncando ogni tentativo di apertura dell’argomento. In tempo di campagna elettorale sono state molte le promesse strappate dai politici candidati alla futura presidenza del Consiglio su una legislazione del genere in Italia; presa coscienza che difficilmente queste saranno mantenute, si guarda con diffidenza al panorama politico attuale anche se sembra che l’argomento sia emerso definitivamente, e si possa preparare il terreno fertile per una lotta. In questo le realtà italiane LGBT devono convogliare formando un unico fronte, caratterizzando in modo più marcato le proprie rivendicazioni, che spesso passano in secondo piano, sfociando in quelle che sono viste come semplici “sfilate”. I pride oggi, per quanto siano il più grande riferimento della comunità omosessuale, hanno perso con il tempo il fine che si proponevano, lasciando ampie possibilità di critica da parte della società perbenista. Nonostante l’atteggiamento assunto durante i pride dal movimento sia apertamente provocatorio nei confronti di quest’ultima, la provocazione non si evolve, restando fine a se stessa. Nella molteplicità delle rivendicazioni rientrano il riconoscimento delle coppie omosessuali al pari di quelle eterosessuali attraverso la concessione del diritto di unione in matrimonio e di adozione, la tutela contro la discriminazione attraverso l’estensione della legge Mancino all’orientamento sessuale e all’identità di genere, e la depatologizzazione del transessualismo. L’inizio dell’autunno ha visto la nascita di collettivi studenteschi in Campania, il CAOS a Caserta e il collettivo LGBTQI avellinese, che sulla linea degli obiettivi nazionali hanno avviato una campagna di sensibilizzazione a partire proprio dalle scuole superiori, e parallelamente una vertenza per l’approvazione di un registro delle unioni civili nel comune di Caserta. Dall’esperienza maturata attraverso questo percorso, troviamo che le battaglie dei collettivi possano essere inserite in una presa di posizione più ampia, appoggiando e soprattutto prendendo parte a percorsi politici, che vanno oltre il diverso orientamento sessuale. Proprio come ciò che caratterizzò i moti di Stonewall del ‘69 rispetto al movimento omofilo dell’epoca, il cambiamento non può verificarsi attraverso l’integrazione dell’omosessuale nella società, ma è la società ad aver bisogno di essere rivoluzionata per far sì che non ci sia neanche più il bisogno di parlare di integrazione. L’omofobia è la conseguenza di un diffuso e radicato pregiudizio nei confronti degli omosessuali. L’Italia è il Paese dell’Unione Europea con la più alta percentuale di omofobia,
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dovuta chiaramente e soprattutto alla totale assenza di tutele legislative in materia di discriminazione. I motivi sono principalmente la diffusa disinformazione e la paura di essere considerati omosessuali, strettamente collegata al sessismo: sono molte le donne infatti che avvicinandosi ad un modello considerato “maschile” sono meno discriminate, rispetto agli uomini che adottano comportamenti considerati “femminili”, che sono spesso derisi e denigrati. Pertanto il valore dell’antisessismo deve essere una prerogativa fondamentale per il movimento LGBT. L’omofobia si deve combattere con una fitta campagna di sensibilizzazione, che parta dal coinvolgimento dei soggetti in formazione e si estenda al resto della cittadinanza. Organizzare una serie di conferenze all’interno delle scuole tenute da esperti, iniziative in piazza, volantinaggi e speakeraggi, cineforum ecc. è il primo passo verso l’abbattimento delle barriere della discriminazione e dell’odio.
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Le discriminazioni razziali sembrano un argomento ormai superato. Chi vuoi che nel 2013 stia ancora lì a guardare al colore della pelle o alla forma degli occhi? Eppure, molto spesso, si legge del Tunisino di turno malmenato o di rom sgomberati da "favelas" nostrane. Basti guardare a Napoli, Gianturco, dove nei pressi di un'ex discarica è stata messa su una baraccopoli, da mesi ignorata dall'amministrazione locale. Ma il razzismo è fatto soprattutto di piccoli gesti, dallo scostarsi dal "nero" in metropolitana ai luoghi comuni sulle badanti ucraine e i marocchini che vendono fazzoletti ai caselli autostradali. Nel nostro Paese, inoltre, non è previsto un reale piano di integrazione per chi proviene da altri Paesi. E questo fa sì che chi viene in Italia in cerca di lavoro o di una condizione di vita migliore diventa sfruttamento per la criminalità organizzata, come nell'ambito del lavoro nero e della prostituzione. In più, l'idea che "gli extracomunitari ci tolgono il lavoro" è molto radicata in varie parti del Paese. Da ricordare è senza dubbio l'episodio di Rosarno, dove decine di extracomunitari non solo venivano sfruttati all'interno dei campi di raccolta di pomodori, ma venivano anche incolpati della disoccupazione nel territorio.
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Il problema dell'anti-razzismo è, senza dubbio, una questione culturale e di integrazione sociale, che va smantellata proprio su quei due piani. Anche all'interno delle scuole, le differenze non vengono valorizzate, ma marcate quasi sempre negativamente. In questo, la nostra Organizzazione deve rappresentare un argine di sicurezza e di antidiscriminazione dentro e fuori le scuole, creando momenti di dibattito e di discussione aperti alla cittadinanza. Un primo passo potrebbe essere l'estensione della cittadinanza ai figli di immigrati, che in Campania sono diciannovemila, settemila solo nel capoluogo. Le posizioni che anche le istituzioni assumono nei confronti degli immigrati non facilitano la loro integrazione all’interno del tessuto sociale, né tantomeno incoraggiano all’aggregazione ed alla cooperazione. Gli Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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"stranieri", infatti, rappresentano e devono rappresentare, in primis, una risorsa umana per il Paese, oltre al fatto che contribuiscono alla produzione lavorativa ed economica. Il messaggio che dovrebbe trapelare è questo, soprattutto all’interno delle scuole, dalle quali può realmente partire un processo di cambiamento per quanto riguarda le relazioni sociali all’interno del Paese.
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Nel nostro Paese venire al mondo vuol dire accollarsi una parte del debito pubblico attuale, così come quel senso di precarietà diramato ormai in tutto il tessuto sociale. La fase storico-politica che stiamo attraversando, caratterizzata dall’austerity, dal “ce lo chiede l’Europa, dal neoliberismo, ha comportato una forte parcellizzazione del tessuto sociale, oltre che un individualismo sfrenato, delle persone e delle lotte. Il senso di precarietà esistenziale, infatti, ci rende deboli e incapaci di agire di fronte all’arroganza dei poteri forti, che conosco bene la logica del dividere per distruggere, così come quel meccanismo perverso che istiga allo scontro tra poveri, tra chi in fondo dovrebbe stare dalla stessa parte. La nostra Organizzazione è da sempre una comunità politica ed umana, una comunità che fa della partecipazione e del suo allargamento un elemento prioritario nella costruzione della lotta. Libertà è partecipazione, diceva Gaber, ma partecipazione è anche resistenza, la prima forma di resistenza al sistema neo-liberista. A chi ci vuole divisi, rispondiamo che l’esserci, il partecipare, insieme, è la base per la costruzione di una società più giusta e solidale. Per questo, la partecipazione va alimentata su tutti i livelli, a partire dalle scuole, dalle assemblee d’istituto agli organi collegiali. E’ essenziale che ogni singolo studente sia a conoscenza delle possibilità di aderire alla vita scolastica e abbia tutti gli strumenti necessari per farlo. D’altra parte, è necessario anche sapersi rinnovare, sperimentare nuovi metodi partecipativi e nuove modalità di aggregazione degli studenti. Ovvero, è importante saper “catturare” l’attenzione e dare vita non solo ad una partecipazione ampia, ma soprattutto di qualità.
I collettivi, le scuole, i quartieri, le città: l'organizzazione territoriale.
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All'interno delle nostre scuole, delle nostre strade, della nostra realtà, assistiamo quotidianamente, in forme differenti, ad un calo generale della partecipazione attiva, un calo della capacità di riconoscere i propri bisogni ed immaginarsi delle soluzioni collettive. Una partecipazione che in determinati tessuti sociali del nostro Paese è del tutto assente, spazzata via da un modello competitivo impostogli dal pensiero unico neo-liberista. L'individualismo elevato a dogma. Le scuole, case della cultura, abitazioni del futuro ma soprattutto del presente, devono rappresentare esempi di piccole società con i propri ordinamenti, autonomie, con la propria vita. Nella nostra regione abbiamo diversi esempi di modelli organizzativi studenteschi su livelli territoriali, dal più semplice collettivo nelle scuole, aggregazione libera di studenti, passando al comitato che racchiude più realtà, magari di quartiere, a organizzazioni e gruppi dell'intero territorio.
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Come associazione studentesca è sempre stato nostro obbiettivo spingere alla nascita di queste strutture, creando e supportando i nostri militanti negli istituti per creare uno spazio in cui i ragazzi potessero incontrarsi e discutere di questioni interne ed esterne, allargare e permettere l'incontro tra più collettivi e soggetti magari accomunati dall'appartenenza del quartiere e della zona in cui risiedono o vanno a scuola.
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E' l'esempio del collettivo dei Cervelli In Furia (C.I.F) che negli ultimi anni ha rivestito l'importantissimo ruolo di mettere in comune in un determinato quartiere del napoletano tutti i collettivi studenteschi degli istituti presenti nella zona, permettendo una vasta aggregazione ed un livello di discussione e confronto maggiori rispetto al semplice collettivo scolastico. Lavoro che, con il supporto dell'Unione Degli Studenti Napoli, ha permesso un maggior sviluppo ed analisi dei temi.
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Ripartire dai bisogni materiali e immateriali degli studenti deve significare in primo luogo ripartire dalla loro percezione dei bisogni, significa essere in grado primariamente di costruire luoghi e momenti di incontro e confronto e in secondo luogo trasformare questi bisogni in analisi e pratica politica cittadina. 1460
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La nostra Organizzazione deve proporsi la costruzione di collettivi studenteschi come strumenti in grado di generare partecipazione ed analisi, da contaminare e con cui contaminarsi. Questo perché crediamo che la partecipazione scolastica sia una delle finalità della nostra Organizzazione. Le dinamiche scolastiche, territoriali, cittadine, provinciali e regionali non sono tra di loro sovrapposte o contrapposte; sono e devono continuare ad essere un sistema integrato di teoria e prassi, di semplificazione e generalizzazione, devono essere gli strumenti tramite i quali la nostra organizzazione si pone l'obbiettivo di organizzare gli studenti e di costruire con loro la direzione politica da intraprendere collettivamente. E' fondamentale per la nostra organizzazione riconoscere ed analizzare la centralità di ricostruire spazi e tempi di confronto tra studenti in tutti i livelli, dalle scuole ai quartieri, riuscire a recepirne le istanze e tramutarle in pratica politica collettiva.
Le aree territoriali: è una questione di qualità.
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La desertificazione dei territori a livello politico-sociale è purtroppo un dato di fatto in una regione come la nostra che "vanta" il più alto tasso di emigrazione giovanile. Gli studenti sono cronicamente lasciati soli e costruirsi una propria coscienza diventa responsabilità dei singoli che intendono farlo. Gli strumenti a loro disposizione sono i canali di informazione canonici come TV e giornali oltre che il principale veicolo di contenuti (non sempre di facile reperibilità e troppo spesso di scarsa affidabilità) costituito dalla rete. Fare politica all' interno delle aree territoriali della nostra regione significa in primo luogo tornare ad essere la fonte da cui gli studenti possono attingere per venire a conoscenza di notizie,proposte e iniziative del mondo studentesco.
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Informare, però, non è sufficiente. Per formare coscienze è altrettanto importante mettere a sistema quelle informazioni, aggiornare l'analisi dei problemi, proporre soluzioni alternative, trasmettere l'idea che è talvolta necessario un cambio di paradigma per risolvere le contraddizioni intrinseche ad alcune questioni. Ricominciare a costruire un tessuto politico e sociale in quei luoghi in cui è stato distrutto da decenni di mala-politica. Il difficile compito della nostra organizzazione è in pratica quello di andare a riempire i vuoti lasciati da una politica disattenta. Ma la desertificazione non è solamente una questione di idee. Riguarda anche lo spopolamento dei territori nel momento in cui gli studenti tendono ad abbandonarli non appena ne hanno la possibilità, una condizione tanto grave quanto inevitabile se non si hanno validi motivi per restare. Lottare contro la desertificazione significa quindi lottare per costruire un' alternativa di sviluppo per i nostri territori, lottare per il loro arricchimento per la costruzione di un nuovo modello di welfare municipale e territoriale. Il ruolo della nostra organizzazione deve necessariamente tornare ad essere da un lato quello di rappresentare tutti gli studenti della Regione, dall'altro quello di creare nodi ed assemblee territoriali in grado di recepire tutte le istanze delle nostra regione dai centri metropolitani fino alle aree più periferiche e marginali. Per essere un soggetto politico realmente regionale non si può prescindere da un serio lavoro sui territori che è fisiologicamente più vicino ai bisogni dei singoli studenti delle singole scuole. Per aggregare intorno ai nostri contenuti è fondamentale creare nodi territoriali, seguirli e monitorarne in modo costante le attività.
Autofinanziamento e progettualità: una sfida politica. 1505
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L’Unione degli Studenti è un’associazione indipendente economicamente e politicamente autonoma, creata e vissuta dagli studenti che vivono le scuole e vogliono portare il cambiamento all’interno di quest’ultime facendosi portavoce dei disagi che lo studente vive all’interno e all’esterno dei luoghi formativi. Per mantenere la propria indipendenza, che ormai ci contraddistingue, e per poter lavorare al meglio senza nessuna limitazione, l'UdS deve riconoscere l’autofinanziamento, associato alle pratiche mutualistiche, una delle più importanti metodologie di resistenza utilizzabili che faccia da fulcro all’associazione e che amplifichi e caratterizzi il suo agire politico. Purtroppo in questi anni non siamo riusciti a conciliare l’autofinanziamento con le pratiche politiche. L’associazione nei prossimi due anni attraverso i metodi più opportuni e soprattutto più applicabili sul proprio territorio, deve lavorare in parallelo alle pratiche politiche applicando delle corrette metodologie di autofinanziamento, per rendere l’associazione realmente autonoma e svincolata economicamente dai propri militanti. Le pratiche mutualistiche e di autofinanziamento che l'UdS da anni utilizza, come cene sociali, mercatino del libro usato, ripetizioni a basso costo, serate ludiche; devono assolutamente essere riprese e rielaborate in modo tale da non trarne solamente un profitto, ma utilizzate anche per fare radicamento all’interno della propria realtà cittadina . Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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Nel momento in cui riuscissimo a dare maggiore risonanza alla pratiche di autofinanziamento e ogni territorio riuscisse a diventare autonomo economicamente, sarebbe opportuno ricostruire l’afflusso di denaro da parte dei territori provinciali al capoluogo per poi inviarli alla sede centrale così da garantirne il corretto funzionamento. Occorre, però, sottolineare il nesso per il quale le possibilità politiche della nostra Organizzazione dipendono in gran parte dalle sue finanze. In altre parole, sarebbe impossibile mettere in piedi campagne, produrre materiale e iniziative senza disponibilità economiche e l'autofinanziamento, di conseguenza, non è solo produzione materiale, ma anche politica.
Radicamento Secondo il politologo Alessandro Pizzorno la partecipazione politica di un individuo è legata in primo luogo all'appartenenza ad un gruppo infatti: “Quanto più un individuo è inserito in un gruppo omogeneo, tanto maggiore, a parità di condizioni, sarà la sua partecipazione politica”. Ed è da questo presupposto che deve partire il lavoro di radicamento.
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Fare radicamento con/per l'UdS significa riuscire a coinvolgere gli studenti, dandogli un'alternativa in cui credere, per cui lottare e facendoli sentire parte di un gruppo che non lo abbandonerà. Ciò a cui abbiamo assistito quest’autunno è stato un forte spontaneismo da parte degli studenti di fronte a tematiche scolastiche, quali il Pdl Aprea o la legge regionale sul diritto allo studio, di cui i media in generale parlavano poco. Questo spontaneismo ha portato, ovviamente, ad avere una partecipazione molto alta nei cortei e nelle assemblee. A favorire ciò è stato anche il lavoro fatto nelle nostre scuole con le consultazioni studentesche a livello regionale, che ha intercettato le esigenze e i bisogni dei singoli studenti in Campania. Accanto allo spontaneismo e alle consultazioni studentesche che da soli non possono mai bastare è necessario impostare un lavoro scientifico e organizzativo , un lavoro che non va mai abbandonato come il volantinaggio nelle e fuori le scuole, dove per volantinaggio non s’intende il semplice gesto di consegna del volantino ma interagire con lo studente spiegandogli la motivazione di quel volantino, prendendo contatti e provando a instaurare un rapporto di confronto su quel tema. Il radicamento può essere fatto anche fuori le scuole tramite attacchinaggio e assemblee pubbliche e con le campagne sociali, interagendo con gli studenti secondo le loro inclinazioni e la loro voglia di esprimersi. Fondamentale, ma spesso sottovalutato, è il rapporto continuo che si dovrebbe mantenere con i contatti al fine di renderli militanti UdS. Avere un contatto in una scuola non significa semplicemente chiamarlo ad ogni corteo o iniziativa affinché lui e i suoi compagni facciano numero, ma sentirlo settimanalmente, giornalmente se necessario, significa farlo partecipe di tutte le iniziative che l' associazione porta avanti, ascoltare la sua opinione, consultarlo per avere il polso della situazione; affinché si senta parte di quel gruppo di cui cui Pizzorno parlava
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La struttura regionale: il coordinamento, la direzione, l' esecutivo.
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Per un’organizzazione come la nostra con una vita oramai lunga quasi un ventennio, è necessario interrogarsi sulle forme organizzative che sceglie di adottare. Tale necessità deriva in primis per ovvie questioni organizzative visto la grande crescita avvenuta negli ultimi anni e per la sua capacità aggregativa e in secondo luogo perché riteniamo che deficit organizzativi si traducano in deficit politici. Tenendo ben presente che la base della nostra associazione non sono le nostre sedi né i nostri spazi ma le nostre scuole e le aule che viviamo quotidianamente è necessario interrogarsi sul senso di e il ruolo che deve avere un’associazione con una struttura regionale. Il rapporto territorio-regionale è un rapporto che deve essere biunivoco e reciprocamente necessario. Non possiamo vedere tale struttura una struttura gerarchica né sulla base politica né su quella organizzativa. Ciò significa che il peso politico non è derivato dalla carica ricoperta e nemmeno che il lavoro svolto sul territorio deve essere indirizzato verso il regionale senza che esso contribuisca allo stesso. Il rischio di assoggettare l’esecutivo regionale a una struttura di controllo che verifichi il procedere del lavoro significa minimizzare il suo ruolo ma è un rischio in cui è facile cadere quando esso non riesci a far sentire la sua presenza in modo capillare su tutti i territori. L’emblema della biunivocità del rapporto regionale-territorio è il ruolo che deve assumere la direzione regionale, espressione diretta dei territori e snodo politico e organizzativo di primaria importanza. Il territorio forma e contribuisce alle analisi a livello regionale e decide le forme organizzative attraverso cui l’azione della nostra associazione si esercita. Il rischio in cui è facile cadere è quando il lavoro dei territori si vanno a suddividere in comparti separati per cui si fanno determinate campagne perché si fanno per il regionale o il nazionale dividendole dal lavoro svolto quotidianamente nelle scuole. E’ necessario che il lavoro del regionale sia un lavoro che si coniughi alle necessità dei territori e che lo stesso lavoro regionale miri a rispondere alle mancanze e ai bisogni organizzativi degli stessi territori. La presenza anche fisica dei compagni nei momenti di organizzazione soprattutto durante i periodi di mobilitazione può essere vero e proprio ossigeno ai compagni del territorio oltre che può essere una scelta vincente per la maturazione dei militanti più giovani. Tali obiettivi per una struttura regionale devono essere posti necessariamente quando si vuole che la sua organizzazione riesca a funzionare capillarmente e che la nostra politica si eserciti nel migliore dei modi. L’azione mediatrice della direzione risulta quindi essere fondamentale per le responsabilità che assume su di se nella costruzione del lavoro regionale. Di conseguenza è necessario responsabilizzare questo luogo al di fuori di quando esso si riunisce soprattutto per quanto riguarda l’organizzazione su base regionale. Capire l’importanza di una struttura regionale di tale impostatura è necessario affinché possa funzionare al meglio ed è necessario che tutti i militanti da ogni territorio si sentano fecenti parte non solo del proprio territorio ma anche di un progetto regionale e nazionale, capendone il ruolo e le funzioni.
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Comunicazione e ruolo dei media.
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Siamo nell’era di internet, della televisione, dei media. Nell’era in cui veniamo continuamente bombardati da informazioni e notizie, la comunicazione diventa uno strumento fondamentale. Fondamentale perché il Berlusconismo è riuscito ad imporsi tramite la “dittatura mediatica”, a manipolare le menti e le coscienze; fondamentale soprattutto perché con gli strumenti comunicativi si riesce a raggiungere tutti, indifferentemente. Tuttavia, la comunicazione rimane un’arma a doppio taglio, specialmente quando le notizie sono distorte, incomplete, e possono confondere. La cattiva informazione, infatti, è uno dei problemi che spesso ci troviamo ad affrontare. La nostra Organizzazione ha sempre individuato nella comunicazione un passaggio fondamentale dell’agire politico, suddividendola su due piani: interno, ovvero la capacità di condividere analisi e iniziative su tutto il piano regionale e nazionale, ed esterno, che riguarda sia il rapporto con gli studenti che i rapporti con la stampa e le televisioni. E’ necessario rivalutare l’importanza della comunicazione, specialmente con gli studenti, comunicare ogni iniziativa, utilizzando tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione.
Rete della Conoscenza: una sfida in Campania.
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Negli ultimi due anni il percorso di Rete si è sviluppato all'interno dei nostri territori sperimentandosi nella costruzione di campagne comuni e nella condivisione dei momenti di mobilitazione. Un percorso altalenante che ha portato l'UdS Campania ad interrogarsi sui suoi limiti organizzativi e politici accrescendo sempre di più la consapevolezza della necessità di un processo fondativo di un nodo regionale di rete. La Rete deve partire da quattro esigenze: l'analisi complessa e complessiva della situazione socio-politica regionale, una struttura organizzativa capace di essere un moltiplicatore delle forze interne all' organizzazione tramite il rafforzamento delle aree tematiche, una capacità informativa capace di porsi come media regionale indipendente e infine la necessità di strutturare una rete di associazioni e organizzazioni capace di generalizzare e concretizzare le nostre campagne sociali. Risolvere questi problemi significherebbe per la nostra organizzazione fare il definitivo salto di qualità, significherebbe costruire un'organizzazione ed un'identità capace di “mettere in rete” le esigenze e i bisogni di tutto il mondo dei soggetti in formazione e di essere il catalizzatore politico in grado di mettere al centro della “vertenza Campania” le questioni del sapere e della formazione. Immaginarci un percorso fondativo di Rete che non sia una creazione sovrastrutturale significa in primo luogo costruire lo spazio e il tempo in cui vivificarlo, significa innanzitutto rimodulare la nostra forma organizzativa fin dalle basi, dalle riunioni settimanali. E' necessario che sui territori si sperimentino momenti di analisi e condivisione di Rete, che non significa unicamente organizzare - lì dove ci sono i nodi territoriali di Rete - una riunione bisettimanale comune con Link, ma significa organizzar-ci anche la dove Link non è presente Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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(Caserta e Avellino) in delle assemblee che abbiano la “forma” di Rete: che si propongano di affrontare temi e iniziative di Rete e che diventino il centro di una possibile nuova aggregazione sulle nostre analisi e sulle nostre campagne sociali.
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Le campagne sociali sul territorio sono il nodo centrale in cui provare a produrre un reale allargamento del nostro agire sociale, strutturare le aree tematiche nella nostra regione sono solo ci dà la possibilità di incidere in maniera pratica e teorica sulle diverse questioni politiche che si intrecciano con il nostro agire sindacale ma anche trovare nuovi strumenti di allargamento e di politicizzazione dei “soggetti in formazione” a partire dalle loro inclinazioni, dai temi che gli sono più sensibili. Significa costruire un concetto di partecipazione che sia di Rete, significa incanalare e contaminarci con le forze vive che esistono sui territori e che fanno delle campagne sociali il fulcro della loro azione territoriale. Con la campagna “Fate Spazio” lo scorso autunno abbiamo provato a dire che ci sono una miriade di associazioni e realtà, di forze vive, nella nostra regione che sono esempio di una politica di resistenza sul territorio, che andavano messe in rete sul tema degli spazi. Se da un lato la campagna è fallita nella sua attuazione pratica dall' altro è stata costitutiva della necessità di interrogarci sul fronte dei nostri rapporti all' esterno. E' evidente che ad oggi non riusciamo ad essere un soggetto aggregante sul piano ragionale e che per superare questo impasse è necessario fare un forte investimento politico sul tema delle relazioni con gli altri soggetti presenti sul territorio, che è quello di provare a costruire un network che riesca a sintonizzare le diverse esperienze territoriali per dargli una visibilità e una forza regionale. Dotarsi di una “cornice analitica” comune sui processi politici ed economici che si stanno sviluppando nella nostra regione e nel nostro paese in questa fase è più che mai necessario, darsi degli orizzonti entro cui leggere il nostro fare quotidiano è condizione necessaria per la realizzazione di una generalizzazione della nostra azione. Significa costruire le basi entro cui poter “politicizzare le vertenze”, entro cui costruire questo nesso politico che abbiamo deciso essere la bussola di un rinnovamento complessivo di quello che siamo. Fare tutto questo significa anche trovare la forma organizzativa di cui ci dotiamo, significa tenere insieme e costruire una continuità tra le organizzazioni che non sia basata sulla delega ma che invece si fondi sulla condivisione di analisi e pratiche e che possa fungere da moltiplicatore reale delle nostre capacità politiche ed organizzative. Per questo motivo una delle sfide della nostra organizzazione è di costruire immediatamente il percorso fondativo di Rete, aprendo una discussione politica sui territori che ci possa portare entro la fine del 2013 a suggellare la creazione del nodo regionale.
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Conclusioni. Ripartire. Questo era il senso che avevamo pensato di dare al VI congresso regionale dell'Unione degli Studenti Campania. Ripartire da dove? Ripartire in che modo? Ripartire per dove? Un congresso che si innesta in una fase storico-politica difficile e cruciale per il Paese, ma per l'Europa in generale. Le imminenti elezioni governative ci spingono a fare una duplice riflessione: in primis, sulla fase, e poi su come la nostra Organizzazione, forte di un'intensa discussione interna, si inserisce all'interno di un tessuto sociale distrutto, di una nazione ormai da tempo governata dai cosiddetti poteri forti. Negli ultimi vent'anni abbiamo assistito ad un graduale processo di privatizzazione del sapere, conseguito da una forte regressione culturale e sociale. In altre parole, appare evidente che, nel momento in cui si restringono le possibilità di accesso ai saperi, all'istruzione, tale restringimento ha effetti anche sulla società e sulle possibilità di emancipazione degli individui. La nostra idea di libertà in termini di emancipazione sociale, però, non è stata del tutto indifferente alle studentesse e agli studenti del Paese, che nel corso degli anni sono scesi in piazza più e più volte in difesa della scuola pubblica, laica, di massa e di qualità. Piazze che non sono state comprese fino in fondo, piazze a cui non sono mai state date risposte, piazze che sono state strumentalizzate, anche e soprattutto da chi oggi parla di scuola in maniera generica e generale e di studenti come di una mera presenza nel movimento, nella politica e nella società, quasi come se li si accontentasse a parlare di saperi e d'istruzione. Il chiaro riferimento è al dibattito politico pre-elettorale, poco interessante nel suo perseverare con le scaramucce tra partiti, i dispetti tra leader, le dichiarazioni strappate e poi ritirate. In una fase in cui lo sviluppo è inteso esclusivamente in termini di accumulazione e reinvestimento del capitale, è necessario e doveroso rilanciare il tema dei saperi come produzione culturale e sociale, dello sviluppo in termini di emancipazione e di diritti. E' necessario ripartire. E in questo la nostra Organizzazione deve essere capace di porsi degli obbiettivi chiari e definiti, delineare il connubio politica-organizzazione, imprescindibile, chiarificare l'identità per potersi porre delle sfide di allargamento della partecipazione e di miglioramento della qualità della stessa. La fase congressuale e l'autunno appena trascorso ci pongono di fronte alla riflessione sull'identità della nostra Organizzazione, su cosa significhi fare il sindacato studentesco ai tempi dell'austerity, sulle modalità e la pratiche di azione. La sfida dell'autunno di aggregazione e ampliamento della partecipazione sulla non identitarietà ci consegna dei numeri di piazza elevati, che hanno in parte contribuito all'arresto del pdl Aprea, ma che avrebbero dovuto essere forza ed ampliamento per la nostra Organizzazione. Questa è una delle prime sfide che da qui a un anno e mezzo dobbiamo cercare di portare a termine: proporci come alternativa nelle città ed argine di allargamento della partecipazione, ma rendere le nostre sedi dei luoghi vivi e vivificati da analisi e discussioni, da iniziative, assemblee, cineforum. E, soprattutto, tenere sempre presente che l'identità di sindacato studentesco ci differenzia, ci rende capaci di percepire i bisogni materiali e immateriali degli studenti, e su questi costruire vertenzialità e mobilitazione. Così come abbiamo fatto con la Consultazione Studentesca "Dove andiamo? Non lo so, ma dobbiamo andare". Oggi, analizzati i risultati di quella consultazione, abbiamo la necessità di Unione Degli Studenti Campania – www.udscampania.it – sos@udscamapania.it
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valutare le richieste degli studenti e dare risposte, a partire dalla questione degli stages nelle scuole, unico primo approccio dello studente alla realtà lavorativa.
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Ripartiamo subito dall'8 marzo, con percorsi nuovi sulla questione di genere, con l'intrecciarsi di tematiche sociali, con lo sciopero generale e le campagne su welfare e reddito. Ripartiamo da Firenze, 16 marzo, con la manifestazione nazionale di Libera, parlando di anti-mafia sociale non in termini generali, ma sulla base delle problematicità territoriali. Ripartiamo, soprattutto, dalle scuole, dalle studentesse e dagli studenti, dall'inarrestabile forza di cambiamento che deve partire da ognuno di noi, dal singolo, per arrivare alla collettività. Ripartiamo, con il peso storico e il coraggio perseverante di anni e anni di Organizzazione, con un occhio lucido al presente, con l'impegno nel modificarlo, con uno sguardo al futuro dell'Organizzazione, della Campania, del Paese.
Al lavoro e alla lotta.
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