Accademia di Belle Arti di Roma Dipartimento di Progettazione Arti Applicate Scuola di Progettazione Artistica per l’Impresa Corso di Diploma Accademico di I° livello in Grafica Editoriale Tesi di Laurea DUALISMI: LUCE E OMBRA DELL’UOMO ATTRAVERSO LA CULTURA CONTEMPORANEA Candidata: Maria Rosa Caiafa Relatore: Prof. Alessandro Alfieri A.A. 2019/2020
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INDICE 1.
IL CONCETTO DI LUCE E OMBRA IN FILOSOFIA E LETTERATURA
2.
SECOLI D’ARTE TRA LUCE E OMBRA
19-40
2.1 2.2
Contrasti Equilibrati Luci e Ombre nella pittura di René Magritte
21-36 37-40
3.
IL RAPPORTO TRA LUCE E OMBRA RACCONTATO ATTRAVERSO IL CINEMA
41-58
3.1 3.2
Il Dualismo Cinematografico L’Ambivalenza vista attraverso “Enemy” di Denis Villeneuve
43-54
4.
LUCE E OMBRA ATTRAVERSO LA MUSICA
59-82
4.1 4.2
Dualismi Musicali Gemelli, l’Anima Duale di Ernia
61-66 67-82
9-18
55-58
CONCLUSIONI
83-84
RINGRAZIAMENTI
85-86
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
87-88
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ABSTRACT Ogni persona ha dentro di sé due facce della stessa medaglia: siamo tutti formati da luce e ombra, bene e male, positivo e negativo e tutti, ad un certo punto della vita, dobbiamo rendercene conto e farcene una ragione per trovare una sorta di equilibrio fra le due parti e vivere serenamente. Il progetto si pone come obbiettivo quello di esporre la contrapposizione che ogni uomo ha dentro di sé, quella tra luce e ombra, attraverso l’analisi di come questo concetto viene trattato nei vari ambiti culturali, a partire da una base filosofica e letteraria per poi andare a parlare di arte, cinema e musica. Il lavoro sarà strutturato secondo quattro capitoli, in modo da avere un capitolo dedicato ad ogni ambito, ognuno arricchito da illustrazioni attinenti. Quindi al termine si avrà una chiara visione di come questo tema viene esposto spesso nei vari ambiti culturali e soprattutto il lettore potrà rivedersi in questo scritto.
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“Ogni uomo ha il suo essere diviso in due metà; non è una persona quanto due persone che cercano di agire all’unisono. Io credo che nel cuore di ogni essere umano c’è qualcosa che posso solo descrivere come “figlio delle tenebre” che è uguale e complementare al più evidente “figlio della luce”. (Laurens van der Post)
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CAPITOLO 1 IL CONCETTO DI LUCE E OMBRA IN FILOSOFIA E LETTERATURA Per parlare del concetto di luce e ombra nell’uomo dobbiamo sicuramente iniziare da una parte filosofica, che a tratti va a sfociare nella psicologia, e letteraria. Il tema del dualismo è presente in molti filosofi e psicologi, poiché la filosofia si è sempre occupata di trattare questo argomento, basti pensare a uno dei miti più conosciuti come il Mito della Caverna di Platone: in breve, Platone ci racconta come degli schiavi abituati a vivere in una caverna, quindi nell’ombra, si rifiutano, quando ne hanno la possibilità, di vedere la luce, quindi la realtà e di come decidono di continuare a vivere nell’ombra, cioè all’oscuro della verità, del bene. Ecco, in questo mito luce e ombra sono viste un po’ come il Bene e il Male, come due cose opposte tra cui scegliere e da mettere in contrapposizione. Ma questo è solo un primo esempio di come luce e ombra sono trattate in filosofia. Andando più avanti infatti troviamo Carl Gustav Jung, la cui teoria si fonda sulla ricerca e realizzazione del sé, in cui dedica una parte importante (ed un libro, “Lotta con l’Ombra”, pubblicato nel 1946) alla coesistenza di luce e ombra nella personalità umana. L’ombra, secondo Jung, esiste solo se vi è una luce, poiché un corpo immerso nel buio non presenta parti più scure. “Ogni essere umano ha la propria ombra, i cui contenuti dipendono per la massima parte dall’inconscio personale, cioè da quell’insieme di sentimenti, emozioni, ricordi, percezioni, di cui si è fatta esperienza, ma che non sono immediatamente accessibili alla coscienza poiché hanno subito un processo di rimozione.” (Gullotta, 2000) Jung sostiene appunto che la personalità dell’uomo è composta da una parte di luce e una di ombra che corrispondono, anche qui, al bene e al male (ma anche al positivo e al negativo) ma che, a differenza di ciò che sostiene Platone, andrebbero integrate e dovrebbero appunto coesistere. “Purtroppo, non c’è alcun dubbio che, in generale, l’uomo è meno buono di quanto egli stesso immagini o voglia essere. Ognuno ha un’ombra, e tanto più questa è nascosta rispetto alla vita cosciente dell’individuo, tanto più diventa nera e densa. In qualsiasi caso si tratta di uno dei nostri peggiori ostacoli, dal momento che frustra le nostre intenzioni più benintenzionate.” (Laurens Van der Post, 2019)
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La prima cosa che accade è la negazione dell’ombra dentro di sé, quindi l’allontanamento della stessa, quindi una scissione: così facendo però, si ha una vita parziale e mai completa. L’ombra nascosta, non accettata, rischia di diventare minacciosa per l’esistenza dell’uomo; al contrario, l’ombra riconosciuta e accettata è positiva e stimolante. L’uomo, secondo Jung, deve accettare la sua parte in ombra, non rifiutarla, poiché “a quanto possiamo discernere, l’unico scopo dell’esistenza umana è di accendere una luce nell’oscurità del mero essere” e solo accettandola si può arrivare alla piena essenza di sé stessi, al benessere e alla libertà. “Ciò che è opposto si concilia, dalle cose in contrasto nasce l’armonia più bella, e tutto si genera per via di contesa.” (Eraclito, 500 d.C.) Una filosofia molto affine a questo pensiero è l’antica filosofia cinese dello Yin e lo Yang: i due elementi possono rappresentare diverse categorie di opposti, ma solitamente sono legati rispettivamente alla notte e al giorno, quindi all’oscurità e alla luce. Analizzando gli ideogrammi che compongono le due parole, infatti vediamo come “Yin” significhi “il versante buio della collina” e rappresenti tutte le cose meno attive e negative, come l’oscurità, i demoni, la sfortuna; al contrario “Yang” significa “il lato assolato della montagna”, quindi tutte le funzioni più attive e positive, come il sole, la fortuna, il giorno. Secondo le teorie filosofiche cinesi, lo Yin e lo Yang sono quindi due forze contrapposte che hanno avuto origine con la creazione e la nascita dell’esistenza, prima di cui esisteva solo il Wuji, ossia l’apolarità, il nulla. Da qui, ogni cosa è generata dall’interazione di queste due forze e tutto il mondo è caratterizzato da due principi Yin e Yang: il primo è il loro essere opposti, come lo è qualunque cosa, ma contenere ognuno il seme dell’altro, quindi mai completamente opposti; il secondo è la loro dipendenza l’uno dall’altro, poiché senza lo Yin lo Yang non esiste e viceversa. “Questa interazione fra i poteri yin e yang, fra queste energie, dà luogo all’intero mondo fenomenico. Nessuno dei due poteri, in effetti, può dirsi completo in sé, né può stare da solo, mentre la loro reciproca combinazione e cooperazione dà origine a tutte le forme e le varietà di esistenza della Natura.” (Jean Campbell Cooper, 1972) Le due forze, quindi, coesistono in modo armonioso ed è proprio questa coesistenza, il loro bilanciamento, ad essere la rappresentazione di serenità e felicità. Lo sbilanciamento delle due forze, la prevalenza di una sull’altra, e qui ci ricolleghiamo alla filosofia di Jung, porta il conflitto e l’infelicità che ne deriva. Una delle cose più affascinanti di questa filosofia è proprio la rappresentazione grafica delle due entità: un cerchio diviso in due metà uguali divise da una linea curva, a rappresentare movimento, dinamicità e moto rotatorio. In ognuna delle due metà c’è un pallino del colore opposto, a rappresentare il concetto di una forza che contiene sempre una parte dell’altra.
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Il dualismo luce e ombra è presente, ed è spesso il soggetto principale, in diversi scritti letterari sia antichi che moderni. Nel 1800 il romanzo si diffonde e viene preso in considerazione un po’ da tutti: è un secolo di grandi rivoluzioni politiche e sociali e della definitiva affermazione della borghesia, una categoria piena di doppie facce in cui troviamo i primi segni di quello che sarà poi il doppio nel novecento, un tema molto importante legato all’identità e al dualismo dell’uomo, alla sua lotta interna tra la luce e l’ombra. Sono molti gli autori che hanno incentrato i loro libri su questa tematica, tra cui possiamo sicuramente trovare il lavoro di Robert Louis Stevenson, “Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde” (1886), nel quale il protagonista, appunto il Dr. Jekyll, crea una pozione in grado di scindere le due parti dell’uomo, quella buona e quella cattiva, la luce e l’ombra, e decide di provarla su di sé, diventando Mr. Hyde, un essere crudele che uccide per diletto. L’autore scrive che “l’uomo non è in verità uno ma duplice” e alla fine, il Dr. Jekyll, rendendosi conto che Mr. Hyde stava prendendo il sopravvento su di lui, si suicida. Tradotto quindi, il Dr. Jekyll decide di uccidere la sua parte cattiva, quella in ombra, poiché il suo errore è stato quello di voler dividere la luce e l’ombra presenti in sé stesso e questo lo ha portato ad avere il sopravvento dell’ombra. Il concetto è quindi all’incirca lo stesso di Jung, ossia che le due parti dovrebbero coesistere per avere una stabilità, non essere messe in contrapposizione fra loro. Anche Oscar Wilde si approccia al tema in ottica morale con “Il ritratto di Dorian Gray” (1890), concentrandosi però di più sull’estetica. Il protagonista, Dorian, è ossessionato dalla sua bellezza, così fa un patto col diavolo per restare giovane per sempre: al suo posto invecchierà un suo ritratto, a causa delle sue cattive azioni. “In ciascuno di noi, sono presenti l’inferno e il paradiso.” (Il ritratto di Dorian Gray, 1890) Anche qui, come nel romanzo analizzato in precedenza, il rapporto con l’altra parte di sé e contrastante, infatti tutto finisce con Dorian che squarcia il ritratto con un pugnale e viene poi ritrovato morto con lo stesso pugnale conficcato nel petto. Uno dei primi autori a parlare di doppia personalità e di lotta con se stessi è Edgar Allan Poe, che nel 1839 pubblica “William Wilson”, un romanzo lontano dal suo caratteristico stile macabro che racconta di un giovane, William Wilson appunto, e del suo omonimo che fa di tutto per rendergli la vita impossibile. Egli lo segue ovunque e il protagonista non riesce a sfuggirgli, così alla fine decide di affrontarlo e ha la meglio; Wilson si rende conto però, in quel momento, di trovarsi davanti ad uno specchio. L’interpretazione della storia a questo punto è abbastanza intuitiva: l’omonimo di William Wilson altri non è che una parte di se stesso che egli non ha il coraggio di affrontare, da cui continua sempre a scappare. Lottando contro di lui, Wilson lotta quindi contro se stesso: assistiamo quindi ai due lati opposti del personaggio che si scontrano fra loro ed anche qui, un po’ come nel romanzo di Stevenson, alla fine uno dei due muore, senza quindi trovare un equilibrio che possa far coesistere le due parti. Molto simile a questo è il romanzo di Fëdor Dostoevskij, “Il sosia” (1846), in cui il protagonista, il consigliere Goljadkin, ha anche lui a che fare con un suo omonimo che gli assomiglia e proviene dal suo stesso paese. Questo sosia lo perseguita, seguendolo in ogni luogo e umiliandolo in ogni situazione, sino a fargli perdere credibilità e a farlo credere pazzo. Alla fine, Goljadkin viene rinchiuso in un manicomio, ed anche qui si scopre che il suo sosia era in realtà una sua proiezione mentale che ne rappresentava alcuni lati della coscienza. 15
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Un altro esempio di romanzo inerente al tema è “Il Visconte Dimezzato” (1952) di Italo Calvino, che narra la storia di Medardo, un giovane che viene diviso a metà da una palla di cannone che lo colpisce durante la guerra e le due parti sono una buona e una malvagia. “O Pamela‚ questo è il bene dell’esser dimezzato: il capire d’ogni persona e cosa al mondo la pena che ognuno e ognuna ha per la propria incompletezza. Io ero intero e non capivo‚ e mi muovevo sordo e incomunicabile tra i dolori e le ferite seminati dovunque‚ là dove meno da intero uno osa credere. Non io solo‚ Pamela‚ sono un essere spaccato e divelto‚ ma tu pure e tutti.” (Il visconte dimezzato, 1952) Questa scissione per l’autore rappresenta l’uomo moderno poiché, come dichiara in un’intervista, “tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l’altra”. Quindi il romanzo, tra le varie chiavi di lettura, presenta anche questa, secondo cui Medardo è il simbolo di uomo “diviso” nel suo conflitto interiore, un conflitto tra la sua parte di luce e la sua ombra, un uomo che quindi si sente incompleto fino a che non arriva poi a ricongiungere le sue due parti e farle coesistere. Altro titolo che possiamo menzionare è “La Metà Oscura” (1989), libro quasi autobiografico in cui Stephen King cerca di mettere in relazione le sue due parti gemelle che si contrappongono attraverso la storia di uno scrittore che pubblica romanzi violenti e di successo sotto uno pseudonimo che non è il suo. Nel romanzo “Anna Karenina” (1877), Lev Tolstoj scrive che “tutta la varietà, tutta la delizia, tutta la bellezza della vita è composta d’ombra e di luce.” Ed è proprio questo il concetto che vogliamo esprimere qui, che è ampiamente trattato in filosofia e in letteratura come in tanti altri campi che vedremo nei capitoli successivi.
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“I volti sono vivamente illuminati. I dettagli emergono dal buio con tale arcana chiarezza da poter essere allucinazioni. Ma, sempre, le ombre nere sconfinano, pozze nere che minacciano di cancellare tutto. Guardare i quadri di Caravaggio è come guardare il mondo alla luce di un fulmine.” (Andrew Graham-Dixon su Caravaggio)
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CAPITOLO 2 SECOLI D’ARTE TRA LUCE E OMBRA 2.1 CONTRASTI EQUILIBRATI In campo artistico il concetto di luce e ombra ha uno scopo prettamente visivo, nel senso che le due cose sono trattate come due caratteristiche delle opere d’arte; ma se vogliamo, anche in questo senso possiamo ricollegarci al significato di questo dualismo per come lo stiamo analizzando noi. “L’immagine non è che un’ombra” sosteneva il poeta Gelaleddin in una delle sue poesie. Luce e ombra sono fondamentali nella pittura sia come strumenti per rappresentare bene la realtà, sia appunto come elementi simbolici. Questi due componenti servono a creare volumi, dare la percezione dei colori, esaltare o nascondere alcune parti dell’opera ma anche a comunicare sensazioni. Spesso gli artisti usano la luce e l’ombra per rappresentare al meglio un concetto, per dare l’idea di un loro pensiero anche spirituale su una cosa. L’effetto delle luci e delle ombre nelle immagini è dato dal chiaroscuro, ossia quel ‘procedimento pittorico, che tende, indipendentemente dal colore, attraverso variazioni di chiari e di scuri, a riprodurre l’effetto risultante nella realtà dalla diversa posizione delle varie parti di un corpo rispetto alla sorgente luminosa che lo investe, descrivendo le particolarità della sua forma e accentuandone il rilievo’. Tra i maestri italiani del chiaroscuro possiamo sicuramente citare Leonardo Da Vinci, che in “Dama con l’ermellino” (1488-1490) riesce a rendere un contrasto eccezionale tra il fondo nero e la dama in parte molto luminosa e in parte in controluce, lasciando vedere bene, tutte le ombre; parlando invece del grande Michelangelo Buonarroti, non si può tralasciare il chiaroscuro della “Creazione di Adamo” (1510), che rende alla perfezione la tridimensionalità dei corpi, in maniera quasi scultorea e nei minimi particolari;
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“Dama con l’ermellino”, L. Da Vinci
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“Creazione di Adam
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mo”, M. Buonarroti
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“Madonna d’Alba”, R. Sanzio
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e ancora, possiamo menzionare “Madonna d’Alba” (1511), di Raffaello Sanzio, opera in cui il chiaroscuro è usato magistralmente nelle vesti della Madonna. Caso a sé, e probabilmente il più grande maestro del chiaroscuro italiano, è Caravaggio, che si può ritenere un anticipatore della luce fotografica e cinematografica. Il grande contrasto tra la luce e l’ombra nelle opere di Caravaggio non è sgradevole o divisorio anzi, i due elementi si completano e sono complementari fra loro, un po’ come dovrebbe essere il concetto della luce e dell’ombra che fanno parte dell’animo umano. Uno dei dipinti che rende al meglio questo concetto è “Vocazione di San Matteo” (1600): qui la luce proviene da un punto esterno alla tela in alto a destra e va ad illuminare una parte ben definita e netta dell’opera, lasciando nella quasi completa oscurità il resto. L’uso della luce non è casuale, ma ben controllato e volto a conferire al quadro un’atmosfera misteriosa e a volte quasi inquietante. Caravaggio non utilizza la luce in questo modo solo per opere raffiguranti persone, ma anche per le nature morte, cosa che nessuno aveva mai fatto, poiché prima gli elementi della natura erano solo di contorno all’opera: la luce rende quindi i cesti di frutta i “protagonisti” della scena, che vengono mostrati in modo estremamente realistico. Caravaggio riesce, grazie a quest’uso mirato della luce, a stupire e stregare l’osservatore, come ad esempio nell’opera “Scudo con testa di Medusa” (1598), in cui l’espressione di orrore del soggetto colpisce profondamente chi la guarda. Caravaggio è quindi l’artista che più di tutti incarna il concetto di maestro del contrasto.
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“Vocazione di San Matteo”, Caravaggio
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“Scudo con testa di Medusa”, Caravaggio
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Per quanto riguarda l’estero, altri grandi del chiaroscuro sono Rembrandt, che ne “Il festino di Baldassare” (1636) utilizza benissimo il chiaroscuro per rendere anche i più piccoli particolari dei personaggi; Jan Vermeer, nella famosa opera “La ragazza con l’orecchino di perla” (1665-1666), riesce a creare un grande gioco di luci e ombre sul viso della ragazza che vanno poi a risaltare ancora di più sullo sfondo nero, rendendo quest’opera un grande esempio di come il contrasto luce e ombra può essere il maggior punto di forza in un quadro; Francisco Goya realizza “Il parasole” (1777) con tecniche estremamente all’avanguardia, come il colore rosso primario dipinto direttamente sulla tela, cosa che troveremo poi nel romanticismo e nell’impressionismo, e con un bel gioco di luci e ombre, come il volto della donna con la luce che filtra attraverso il parasole. Luce e ombra, intese come le due parti che costituiscono l’animo umano, in arte possiamo individuarle anche nelle opere e negli artisti che illustrano la tematica del doppio, che può essere, per alcuni versi, la stessa cosa. Uno tra tutti che ha dedicato più opere a questo argomento è Magritte, che vedremo nel prossimo paragrafo. Intanto tra le opere di artisti più conosciuti possiamo citare “Los Dos Fridas” (Le Due Frida, 1939), un’opera realizzata da Frida Kahlo subito dopo il divorzio con suo marito, Diego Rivera. Nel dipinto ci sono appunto due Frida: quella a destra rappresenta la donna amata dal marito e quella a sinistra è la donna abbandonata dallo stesso. L’artista, attraverso questo ritratto, ha una visione delle due parti di sé stessa, della sua duplicità d’animo: quella tradizionalista e quella emancipata, amata e abbandonata, malata e spensierata. Quindi possiamo interpretarla come un’opera in cui l’artista mette bene in vista il suo dualismo, la sua parte in luce e quella in ombra, accettandole entrambe. Tra le altre opere troviamo “Autoritratto Bifronte” (1936) di Cesare Sofianopulo: in questo dipinto le due figure (che sono entrambe la stessa persona, ossia l’autore) sono quasi speculari e stanno a rappresentare le due anime dell’artista a confronto.
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“Il festino di Baldassarre”, Rembrandt
“Il parasole”, F.Goya
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“La ragazza con l’orecchino di perla”, J. Vermeer
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“Los Dos Fridas”, F. Kahlo
“Autoritratto Bifronte”, C. Sofianopulo
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“Il ritratto dei coniugi Arnolfini”, J. van Eyck 33
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Un elemento che viene spesso utilizzato per rappresentare al meglio il tema del doppio nell’arte, prettamente nella pittura, è lo specchio. Nei secoli di storia dell’arte sono diversi gli artisti che hanno usato lo specchio o il riflesso in generale per rappresentare una visione doppia di qualcosa o per farla vedere “per intero”. Uno degli esempi più famosi, e soprattutto il primo in cui viene mostrato il retroscena del dipinto, è “Il ritratto dei coniugi Arnolfini” (1434) di Jan Van Eyck: nel quadro (molto dettagliato) sono dipinti appunto due coniugi durante le nozze nella loro ricca abitazione con un piccolo specchio convesso sullo sfondo, nel quale si riflettono i due coniugi di spalle e altre due figure, una delle quali è sicuramente Van Eyck, poiché troviamo la firma sul dipinto “Johannes de eyck fuit hic” (Jan van Eyck fu qui). Lo specchio mostra quindi la parte “nascosta” dei due protagonisti e inoltre ci rivela la presenza del pittore sul luogo della celebrazione. Altra opera importante in cui appare uno specchio è “Venere e Cupido” (1650) di Diego Velázquez, che raffigura la Venere sdraiata di spalle all’osservatore su un letto, che riflette il suo volto in uno specchio tenuto su da Cupido. Il volto della protagonista ci viene rivelato solo dallo specchio: attraverso questo, la dea guarda l’osservatore. Oltre ad essere uno dei pochi nudi femminili presenti nella pittura spagnola, non è la prima volta che Venere viene dipinta allo specchio, infatti da qui nasce l’effetto della psicologia della percezione chiamato “effetto Venere”. Un’opera molto interessante, più recente e forse meno conosciuta rispetto alle precedenti è “Triplo autoritratto” (1960) di Norman Rockwell, pittore e illustratore statunitense. Con lo stile ironico che lo caratterizza, il pittore rappresenta se stesso su tre livelli: l’immagine nello specchio è l’artista visto da se stesso; l’autoritratto sulla tela è invece un “miglioramento di se stesso”, realizzato con tratti piacevoli, ringiovanito e senza occhiali; infine c’è il punto di vista esterno attraverso cui l’artista ci mostra come si immagina mentre svolge il suo lavoro. Come già detto in precedenza, uno dei pittori nelle cui opere si può trovare un’interpretazione di questo tema è René Magritte, che vedremo nel prossimo paragrafo.
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“Venere e Cupido”, D. Velázquez
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“Triplo autoritratto”, N. Rockwell 36
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2.2 LUCI E OMBRE NELLA PITTURA DI RENÉ MAGRITTE “Nell’Impero delle luci ho rappresentato due idee diverse, vale a dire un paesaggio notturno e un cielo come lo vediamo di giorno. Il paesaggio fa pensare alla notte e il cielo al giorno. Trovo che questa contemporaneità di giorno e notte abbia la forza di sorprendere e incantare” (René Magritte) René Magritte è stato sicuramente uno dei più grandi maestri del surrealismo, in grado di trasformare la realtà in un mistero, di scavare a fondo dell’animo di chi guarda le sue opere, di risvegliarne lo spirito e di portarlo a riflettere e a porsi degli interrogativi. Egli è anche detto “le saboteur tranquille” per la sua capacità appunto di insinuare dubbi sul reale rappresentando il reale stesso. Magritte nasce in Belgio nel 1898 ma si trasferisce spesso durante il corso della sua giovinezza, poiché il padre è un mercante. Da giovane assiste ad uno degli eventi che maggiormente influenzerà tutta la sua vita e buona parte della sua carriera artistica: il recupero del corpo della madre morta suicida in un fiume, con la testa coperta da una camicia da notte (elemento che ritroveremo in alcune sue opere come “La Storia Centrale” e “Gli Amanti”). Le sue prime influenze artistiche sono quelle futuriste e cubiste; in seguito scopre il surrealismo grazie ad un’opera di Giorgio de Chirico, e da qui inizia la parte più bella ed interessante della sua carriera. Quello che Magritte vuole ottenere con le sue opere è creare mistero, non definire nulla e non dare una spiegazione a quello che rappresenta. Infatti le sue opere affascinano non tanto per la bellezza ma per ciò che suscitano nell’inconscio di chi le osserva. “Mostrandosi, proprio per la sua qualità di dissimulare, l’oggetto si presenta dunque come il sipario di un altro oggetto: mossa infernale che Magritte ha sempre tenuto in grande conto. Esiste un rovescio delle cose, più vasto, più affascinante della loro apparenza, del loro volto o del loro aspetto evidente, ed è proprio questo contrario, questa notte delle cose che Magritte cattura sottilmente e, contro ogni logica, riesce a far vedere.” (Marcel Paquet, 1992)
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“L’Impero delle Luci”, R. Magritte 38
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“Il Doppio Segreto”, R. Magritte
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“Le relazioni pericolose”, R. Magriite
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Possiamo citare diverse opere di Magritte che espongono il tema del dualismo luce-ombra come doppia caratteristica dell’animo umano, a partire da “L’Impero delle Luci” (1954), opera famosissima in cui è rappresentato un paesaggio notturno sotto un cielo diurno. A primo impatto non ci accorgiamo di questa incongruenza, che rende allo stesso tempo una sensazione di quiete e inquietudine, mette in dubbio le certezze di chi sta osservando il quadro. L’opera non ha un messaggio preciso, come tutte le opere di Magritte del resto, è solo volta a creare un dubbio nell’osservatore, a metterlo in una posizione di essere in discussione con sé stesso. Quindi possiamo interpretare quest’opera anche come appunto un dialogo tra la luce e l’ombra che caratterizzano la nostra personalità, insieme alle mille altre interpretazioni. Ancora, ne “Il Doppio Segreto” (1927), Magritte rappresenta questo volto strappato e sdoppiato che va a scoprire una composizione interna fatta di pareti scure e composte da sonagli (probabilmente un ricordo legato alla sua infanzia, cosa che ritroviamo spesso nelle sue opere). L’opera potrebbe rappresentare un po’ quello che mostriamo e quello che teniamo nascosto di noi stessi, il meccanismo dei nostri pensieri che tendiamo a nascondere o a cui solitamente non diamo peso che qui viene mostrato (quasi) apertamente. Magritte ancora una volta ci mette davanti a qualcosa di poco definito e diversamente interpretabile in base all’osservatore. Spesso anche Magritte, come gli artisti citati nel paragrafo precedente, fa uso degli specchi nelle sue opere. Una di quelle che possiamo citare è sicuramente “Le relazioni pericolose” (1930). Nel quadro è dipinta una donna nuda con in mano uno specchio, il quale è rivolto verso l’osservatore. Lo specchio nasconde tutta l’area del suo corpo che va dalle spalle alle cosce, mostrando però il lato opposto a questa parte nascosta, ossia la schiena e le natiche. Il pittore ci dà quindi due visioni del corpo della donna, quella che effettivamente si vede e quella immaginaria, dettata forse dallo sguardo di desiderio dell’artista. In conclusione possiamo affermare che alcune delle opere di Magritte hanno un collegamento con il tema che stiamo analizzando anche se non è l’autore stesso a deciderlo, ma l’osservatore, in base alla sua esperienza personale e alle sue riflessioni.
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“Quanto sai di te stesso se non ti sei mai battuto?” (Fight Club)
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CAPITOLO 3 IL RAPPORTO TRA LUCE E OMBRA RACCONTATO ATTRAVERSO IL CINEMA 3.1 IL DUALISMO CINEMATOGRAFICO Il cinema è da sempre una delle arti più apprezzate e fruite dal pubblico, poiché è un ottimo mezzo che permette di raccontare qualsiasi cosa rendendola interessante e piacevole da ascoltare e vedere. Il tema del dualismo luce-ombra è trattato in moltissimi film come doppio nell’uomo; nella maggior parte di essi, si parla infatti di una duplicità dell’animo come luce e ombra quali bene e male, quindi il concetto è sempre quello. Nella cinematografia ci sono film (anche abbastanza famosi) che riprendono il tema, e non sono pochi, per cui ne citeremo alcuni tra i più rilevanti. Un esempio è sicuramente “The Shining”, di Stanley Kubrick (1980), thriller famosissimo che vede protagonista Jack Nicholson nei panni di Jack Torrance, ex insegnante disoccupato che accetta un posto di lavoro come guardiano all’ Overlook Hotel, portando con se sua moglie e suo figlio. Nello stesso hotel, il suo predecessore era impazzito e aveva trucidato tutta la sua famiglia, ma Jack non sembra spaventato da questa cosa. Il capocuoco del ristorante fa conoscenza con il figlio di Jack, Danny, e gli confessa di conoscere il suo dono, ossia quello della “luccicanza” (shining), cioè la capacità di avere delle visioni su passato e futuro, e di averlo a sua volta. Con l’andare avanti del film iniziano a succedere cose strane e Jack perde la ragione, come era prevedibile, iniziando a credere che la moglie e il figlio vogliano ostacolarlo nella sua scrittura e tenta di liberarsi di loro. Il tema principale della storia è appunto una doppia ossessione da parte del protagonista, quella per il successo e quella per la paura che moglie e figlio vogliano intralciarlo (entrambe hanno una dicotomia insita, rispettivamente quella successo/fallimento e quella amore/odio). Il doppio è centrale in questo film e ne vediamo la rappresentazione più evidente nella scena del bagno in cui Jack ha un dialogo con Grady (il suo predecessore), ma anche nell’amico immaginario di Danny, Tony; o ancora, nella scritta “redrum” che nello specchio si legge “murder”, nelle due gemelle, le figlie di Grady, e ancora nella donna affascinante della camera 237 che si trasforma poi in un cadavere in decomposizione.
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COLOR PALETTE
THE SHINING
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THE DEPARTED
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Un altro film che espone questo tema, in questo caso come bene e male, è “The Departed – Il bene e il male” (2006), un film di Martin Scorsese ambientato a Boston, dove la polizia sta cercando di catturare il boss Frank Costello. Per farlo, viene reclutato un giovane, Billy Costigan, il quale viene fatto infiltrare nella banda del criminale. Allo stesso tempo però, il figlio di Costello, Colin Sullivan, si infiltra nella polizia. Quando i due scoprono reciprocamente l’altro, il loro obbiettivo è quello di smascherarsi a vicenda. Alla fine Costello e Costigan muoiono e Sullivan pensa di averla spuntata, ma viene ucciso da Dignam (un altro poliziotto), il quale aveva scoperto tutto, a sangue freddo. Il film si chiude con una scena di un topo che passa davanti all’immagine di una cupola dorata, il che sta a simboleggiare che il marcio (il topo) è ovunque, anche nei luoghi che sembrano perfetti e lucenti, come l’edificio dorato. Questo finale ripropone un’ultima volta il dualismo bene/male che caratterizza l’intero film e che è perfettamente incarnato dai due protagonisti. In sostanza, è come se le due forze che da sempre sono insite in ogni essere umano, il bene e il male, qui si compensassero, arrivando ad un equilibrio totale (con la morte di entrambi i protagonisti). Altra pellicola in cui abbiamo due personaggi tra loro speculari è “Legend” (2015), un film scritto e diretto da Brian Helgeland e tratto da una storia vera. La storia racconta di due gemelli, Reginald (Reggie) e Ronald (Ron) Kray, entrambi interpretati da Tom Hardy, che controllano la criminalità londinese e inizialmente prendono soprattutto il controllo di un night club. I due sono molto diversi caratterialmente: Ron è violento e istintivo mentre Reggie è più calmo e riflessivo. Per vari motivi Reggie finisce in prigione e Ron soffre di un’instabilità mentale che mette a rischio i loro affari. I due fratelli si mettono poi in società con uno dei più potenti capi della mafia americana e diventano famosi nell’ambiente. Ma successivamente i due non riescono bene a gestire la cosa e il film finisce con il loro arresto. La cosa interessante di questa pellicola è proprio l’opposizione caratteriale dei due personaggi, che li porterà a distruggersi a vicenda dopo un apparente equilibrio, poiché i due si saboteranno l’uno con l’altro. Un film che rientra senza dubbio nella tematica del doppio è “Psyco” (1960) di Alfred Hitchcock: la storia narra di una donna, Marion, che scappa con del denaro affidatole dal suo capo per poter cambiare vita. Dopo poco però si rende conto di quello che ha fatto e, divorata dai sensi di colpa, decide di tornare indietro, ma facendo tappa in un motel gestito da un certo Norman Bates, che vive con sua madre in una casa poco vicino. Marion viene assassinata dalla madre di Norman, che si scoprirà poi essere in realtà Norman stesso travestito da donna: egli ha infatti la mente divisa fra due persone, lui e la madre e quest’ultima prevale per gelosia. Il tema del doppio lo ritroviamo nei chiaroscuri che mettono in luce i personaggi ma ne nascondono i lati più sinistri, nei dettagli degli specchi ma soprattutto nella mente di Norman Bates, che è diviso fra due persone. Il film è incentrato su questo tema e lo si capisce già dai titoli iniziali, che scorrono su un piano orizzontale ed uno verticale, o dalla costruzione del motel (orizzontale) diversa e opposta a quella della casa di Norman (verticale). Anche nel personaggio di Marion c’è questa caratteristica poiché da cittadina onesta diventa una ladra, questo rappresentato dal suo indossare biancheria intima e vestiti neri dopo il furto, al contrario di quelli bianchi che indossa all’inizio.
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LEGEND
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PSYCO
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Anche nel film “Io, me e Irene” (2000), diretto dai fratelli Farrelly, assistiamo ad una sorta di sdoppiamento della personalità: il protagonista è Charlie Baileygates (interpretato da Jim Carrey), un agente della polizia che viene lasciato dalla moglie con tre figli a carico ma non si sfoga. Anni dopo questa repressione gli causa appunto uno sdoppiamento della personalità: il suo alter-ego è Frank Evans, il quale si rivela violento ma comico. Charlie incontra una donna, Irene Waters, con la quale scappa e si crea una nuova vita, dopo però essersi “trasformato” in Frank più volte e aver ucciso un agente. Alla fine riesce a contenere Frank, prendendo il sopravvento su di lui. Un’importante corrente da menzionare è quella del cinema espressionista tedesco che, nei primi del ‘900, si impegna a mostrare la realtà da un punto di vista estremamente emotivo, attraverso un uso completamente nuovo di luci e ombre. Tutto ciò che c’è da sapere su questa corrente si può trovare nel libro “Lo schermo demoniaco” di Lotte Eisner, critica cinematografica, poetessa e scrittrice tedesca che in questo libro racconta tutto il cinema espressionista e lo spirito romantico tedesco. Ma non si tratta solo di questo anzi, possiamo vedere come “l’espressionismo più radicale, ovvero quello che vede imporsi alla forma stessa della rappresentazione artistica una distorsione e uno stravolgimento che ne compromettono dichiaratamente la riconoscibilità immediata e la propria funzione mimetica, non possa esaurirsi in una mera e romantica “proiezione” di stati d’animo soggettivi o di turbamenti psichici del protagonista o dell’autore; vedremo come quella “stravagante” manipolazione e sfigurazione del visibile, paradossalmente, possa dirsi più realista dell’arte cosiddetta naturalista, perché attraverso la sua forma è in grado di manifestare la cifra profonda del nostro mondo e della nostra società.” (Alfieri, 2013) Gli elementi che meglio definiscono il cinema espressionista tedesco sono il grande contrasto fra luci e ombre, le sovrimpressioni, le dissolvenze ma anche il tipo di recitazione e le scenografie dipinte sul legno. Il film considerato manifesto di questo cinema è “Il gabinetto del dottor Caligari” (1920), di Robert Wiene. I temi della pellicola sono la duplice personalità e la distinzione spesso difficile tra realtà e allucinazione o quella tra ragione e follia. Il film è un flashback: uno dei personaggi racconta ad un uomo anziano di una storia avvenuta nel 1830 in un piccolo paesino tedesco, Holstenwall. Durante una fiera, arriva al paesino un uomo, il dottor Caligari, in compagnia di un sonnambulo sotto ipnosi, Cesare, il quale pare sia in grado di prevedere il futuro. Dopo il loro arrivo inizia un susseguirsi di morti ambigue predette da Cesare, che viene indagato ma subito scagionato dal dottore. Da qui vari avvenimenti portano poi alla scoperta che Cesare non era altri che un fantoccio usato da Caligari per i suoi scopi; così il dottore scappa ma viene poi arrestato e portato in manicomio. Dal contenuto del suo diario si capisce poi che Caligari, ossessionato dai suoi studi sul sonnambulismo, aveva imitato ciò che aveva già fatto un altro dottor Caligari prima di lui. Il personaggio che racconta la storia, Francis, è un paziente del manicomio diretto da Caligari, quindi alla fine si lascia intendere che forse la vicenda è tutta frutto della sua fantasia. La grande emotività del film è resa dalle riprese ad angolo olandese, quindi con l’orizzonte distorto rispetto al bordo inferiore dell’inquadratura e dai grandi contrasti di luce e ombre. Ancora più evidenti sono questi contrasti nella pellicola di Friedrich Wilhelm Murnau, “Nosferatu il vampiro” (1922), dove il regista crea un’atmosfera cupa e tagliente tramite il lento avanzare del vampiro verso la telecamera e tramite i contrasti resi dagli alberi bianchi che spiccano sul fondo nero. Insomma, si può dire che il cinema espressionista tedesco è in generale caratterizzato da questi contrasti che rendono le pellicole molto accattivanti. 49
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IO, ME E IRENE 50
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IL GABINETTO DEL DOTTOR CALIGARI
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NOSFERATU IL VAMPIRO
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FIGHT CLUB
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Per chiudere, non si può non parlare di “Fight Club” (1999), film iconico diretto da David Fincher che vede come protagonista un uomo che soffre di disturbo della personalità e che crede di relazionarsi con un uomo di nome Tyler Durden, che in realtà non è altri che il suo alter-ego. Il protagonista soffre di un grande disagio interiore e mentale che tenta di combattere attraverso gli scontri organizzati nel Fight Club, che nasce dopo che l’uomo si scontra con Tyler, suo alter-ego che riesce ad andare contro il sistema e a tramare vendetta, fuori da un pub (che alla fine scopriremo non stava facendo altro che prendersi a pugni da solo). Dopo diverse vicende e l’incontro con una donna, Marla, che il protagonista pensa lo tradisca con Tyler, egli si rende consapevole di quello che gli sta succedendo e capisce di dover riprendere conoscenza di sé. Così il protagonista uccide Tyler, ossia la sua parte “malata”, salvando quella “sana” o forse solo quella con cui si era sempre identificato. Il film vuole quindi simboleggiare anche qui l’avere due “persone” in sé, la necessità di dover toccare il fondo per risalire e ritrovare una sorta di pace eliminando la propria parte che definiamo malata per tenere quella buona. Ci sarebbero molti altri film che vanno a toccare questa tematica ma questi sono quelli più significativi e più attinenti al modo in cui è trattata qui. Quello che in assoluto la rappresenta al meglio, nel nostro caso, è “Enemy”, di Denis Villeneuve, che approfondiremo nel prossimo paragrafo.
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3.2 L’AMBIVALENZA VISTA ATTRAVERSO “ENEMY” DI DENIS VILLENEUVE “Il caos è ordine non ancora decifrato” Una delle migliori rappresentazioni di questo dualismo dell’anima è quella che troviamo in “Enemy”, di Denis Villeneuve (2013). Tratta liberamente dal romanzo “L’uomo duplicato” (2002) di José Saramango, probabilmente questa è una delle più importanti pellicole del regista, considerato uno dei migliori della sua generazione e sicuramente il più criptico. Il protagonista è Adam Bell (interpretato da Jake Gyllenhaal), un timido professore di storia che, in un film dal titolo “Volere è potere”, trova in una comparsa il suo sosia perfetto (interpretato sempre da Gyllenhaal). Adam inizia ad essere ossessionato dalla ricerca di quest’uomo, un attore di nome Anthony Claire, tanto da trascurare anche la sua ragazza, Mary, per trovarlo. Lo chiama anche a casa, spaventando la moglie di Anthony, Helen. Adam cerca di avvicnare Anthony ma lui vuole tenerlo lontano, lo percepisce quasi come una minaccia. Ad un certo punto i due riescono ad incontrarsi e a constatare che sono effettivamente identici nel fisico, compresa una cicatrice sulla pancia. Quello che li rende diversi è l’aspetto caratteriale: se Adam è timoroso, remissivo e debole, Anthony è invece sicuro di sé, realizzato e forte. Anthony accusa Adam di aver avuto un rapporto con la moglie e lo convince a “ricambiare” avendo la possibilità di fare lo stesso con Mary. Adam accetta e mentre lui va a casa di Helen (la quale si accorge di chi ha realmente a fianco e non respinge Adam, anzi lo preferisce al marito) ed Anthony, quest’ultimo esce con Mary, la quale però si rende conto dell’inganno e i due litigano durante un viaggio in macchina che finisce con un incidente, presumibilmente mortale. Adam quindi si mette nei panni di Anthony e apre una busta in cui ci sono le chiavi di un club sotterraneo (che appare all’inizio del film in una scena in cui Anthony assiste ad uno spettacolo erotico in cui una donna sta per schiacciare una tarantola). Il film finisce con Adam che, entrando nella camera da letto di Helen, al suo posto trova una tarantola gigante.
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ENEMY
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Il film, oltre ad essere una complessa metafora della condizione dell’uomo moderno, diviso tra obblighi sociali e istinti personali, è una riflessione sul sé interiore: Anthony non è altri che l’Adam del passato, quello che è riuscito a realizzare il suo sogno di diventare un attore pur costruendosi una famiglia con la moglie, non rinunciando quindi a nessuna delle due cose. I due personaggi sono quindi la stessa persona e simboleggiano il conflitto interno che c’è in essa. La morte di Anthony sta probabilmente a significare la morte di quella parte del protagonista, il suo voler reprimere ciò che vorrebbe ma non riesce ad essere. Helen è l’effettiva moglie del protagonista, mentre Mary è la donna con cui la tradisce. Tutto questo sottolinea il fatto che l’unico vero ostacolo alla vita che vorremmo, l’unico nostro nemico, siamo noi stessi, non il rinunciare ad un sogno o l’adempiere ad una convenzione sociale come il matrimonio. L’incontro tra i due protagonisti non è altro che l’incontro tra due facce della stessa medaglia, di cui Adam dovrà scegliere quale salvare oppure, cosa ancora migliore, dovrà riuscire a far convivere dentro di sé quest’ambivalenza e creare un uomo accettabile sia per la società che per se stesso. La fotografia del film è diretta da Nicolas Bolduc, il quale ha vinto anche un premio ai Canadian Screen Awards come miglior fotografia. Anch’essa, dai toni gialli e ambrati, è un elemento importante che ci porta a chiederci se quello che vediamo sia reale o solo una proiezione della mente del protagonista. La città in cui il film è ambientato è una Toronto grigia, triste e alienante, con toni aspri. L’atmosfera è cupa e opprimente e l’arredamento delle case dei protagonisti non è per niente casuale: quella di Adam è buia e spoglia, mentre quella di Anthony si trova in un bel quartiere ed è ben arredata e luminosa, proprio a simboleggiare ancora una volta la differenza fra le due personalità del protagonista. Inoltre il film presenta due elementi ricorrenti: il ragno e i vetri. Il primo viene inserito vistosamente nelle scene, non si può non notarlo e rappresenta la donna come la vede il protagonista, ossia una gabbia da cui non riesce ad uscire e che gli mette pressione; il secondo invece è più nascosto, meno facile da notare e ne capiamo il senso dopo l’incidente d’auto, nel frame in cui viene inquadrato il vetro rotto, a simboleggiare la fine dell’illusione che caratterizza il film. Anche la ragnatela ricorre spesso in molte scene, come i fili del tram, i marciapiedi, il vetro della doccia, a rappresentare il sentirsi in trappola del protagonista. In conclusione possiamo dire che il cinema è forse l’ambito in cui il tema è trattato meglio e di più, ma soprattutto in modi diversi, così come nella musica, che vedremo nel prossimo capitolo.
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“Ti schianti al suolo per il peso dei pensieri, mentre nella testa parlano fra loro gli emisferi” (Nitro)
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CAPITOLO 4 LUCE E OMBRA ATTRAVERSO LA MUSICA 4.1 DUALISMI MUSICALI Nel panorama musicale, che sia contemporaneo o del passato, ci sono diversi brani che possono essere inseriti nel tema del dualismo luce e ombra. Qui ne sono stati raccolti di diverso tipo, dal cantautorato italiano, passando per l’hip hop, fino ad arrivare al rock e non solo questo. Se vogliamo parlare di dualismo bene/male, infatti, dobbiamo ricordare “L’ombra della luce” di Franco Battiato, canzone che fa parte dell’album “Un cammello in una grondaia” (1991). Lo stesso Battiato in un’intervista afferma che questo pezzo è stato composto meditando, cercando la luce come una sorta di salvezza dall’oscurità; in realtà il senso della canzone è che questo è un dualismo a cui nessuno può sfuggire, poiché nasciamo così e ci serve per arrivare ad una consapevolezza di noi stessi. Parlando di cantautorato italiano bisogna assolutamente menzionare Roberto Vecchioni, nelle cui canzoni spesso ritroviamo dualismi di diverso tipo, come ad esempio in “Canzonenoznac” (1975), che è la storia di due personaggi che sono presentati come nemici e che credono di essere diversi l’uno dall’altro, ma alla fine si scopre che sono la stessa persona, quindi solo due lati di essa. Nel 1985 Vecchioni pubblica “Bei tempi”, album che, oltre a parlare del rapporto sogno e realtà e della figura della donna, espone il tema del doppio in due tracce: “Millenovantanove” e “Gaston e Astolfo”. Più precisamente nel secondo, Vecchioni descrive due guerrieri che sono amanti ai tempi delle crociate: al ritorno, uno dei due accusa l’altro di aver dimenticato l’amore che li univa. I due (che sono molto diversi, uno più sensibile, l’altro decisamente più deciso e freddo) non sono altro che la rappresentazione di due parti della personalità dell’autore perennemente in conflitto fra loro: solo riuscendo a trovare un equilibrio tra esse, egli sarà in grado di essere felice. Una tematica simile la ritroviamo in “Milady” (1989), suo quindicesimo album, in cui Vecchioni riporta tutti i suoi sentimenti repressi, la sua follia e tutto ciò di cui non aveva parlato prima, dando alla luce l’altro suo lato, l’altro se stesso.
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THE STARS (ARE OUT TONIGHT)
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Altro grande della musica a riprendere più volte questo tema, in questo caso si parla di “Art Rock” internazionale, è David Bowie. Egli ripropone il dualismo dell’animo in diversi modi, sia attraverso delle canzoni, ma anche con video musicali. Per citarne uno possiamo analizzare quello di “The stars (are out tonight)”, uno dei singoli estratti dal suo penultimo album, “The Next Day” (2013). Il video racconta della vita di una coppia di mezza età che viene stravolta dall’incontro con una coppia di celebrità e una rockstar. Tra i vari tipi di conflitti che sono rappresentati in questo video, il più importante ed interessante è appunto quello di Bowie con se stesso: ad un certo punto, il personaggio interpretato da Bowie prova ad affrontare la rockstar, fallendo. I due sono divisi da una porta e cantano insieme, come a rappresentare due lati del cantante che non riescono ad incontrarsi. L’aspetto della rockstar ricorda molto quello del Duca Bianco, alter-ego di Bowie durante un periodo di grande successo artistico ma anche di diversi problemi nella vita privata. Quindi, probabilmente questa scena sta a rappresentare il fatto che Bowie non riesce a sconfiggere il Duca, quello che può fare è solo accettarlo come parte di sé e di ciò che ha vissuto. Parlando invece dei soli brani musicali, uno di quelli in cui Bowie ritorna su questo tema è “The Man Who Sold The World” (1970): qui, a differenza di ciò che succedeva nel video analizzato prima, pur essendo questo singolo antecedente al video, Bowie non sfugge a se stesso, anzi vive serenamente l’incontro, semplicemente accettandolo. Ed è proprio questa la cosa che fa riflettere in questo testo, poiché Bowie sembra dirci di non negare l’esistenza di un doppio nella condizione umana, ma di accettarla e di non vederla necessariamente come una cosa negativa, di sapere che possiamo cambiare e avere emozioni contrastanti ma rimanere comunque fedeli a noi stessi.
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Tornando alla musica italiana, possiamo citare alcuni brani un po’ più contemporanei e di vario genere che si ricollegano a questa tematica, come ad esempio “Il tuo amico il tuo nemico tu” (2018) degli Eugenio in Via di Gioia, gruppo che possiamo definire indie pop. Qui già dal titolo si può intuire il senso del brano, ossia che molte volte siamo un amico e un nemico per noi stessi e che non sempre ce ne accorgiamo. Nel testo infatti si parla di questo ragazzo che è da solo nel deserto, chiama un amico e sente urlarsi nelle orecchie, lancia un sasso ad una figura che crede nemica e sente qualcosa che gli urta la testa, scoprendo quindi che i due sono la stessa persona, nonché lui. Sicuramente uno dei generi musicali in cui il tema è trattato molto è il rap/hip hop. Qui troviamo diversi artisti che almeno una volta e con almeno un brano, si mettono a confronto con loro stessi. Ad esempio, possiamo analizzare il testo di “Dualismi” di Caparezza, brano estratto dal disco “Verità Supposte” (2003), in cui Caparezza si mette a confronto con Michele (suo vero nome), simulando una seduta da uno psicologo, che poi non è altri che lui stesso. Il dialogo tra i due avviene secondo lo schema per cui nelle strofe a parlare è Michele, mentre nel ritornello interviene Caparezza, che gli dice testualmente “non mi puoi uccidere perché io vivo in te, tu vivi in me”: Michele tenta di sopprimere Caparezza, ma egli è una parte di sé, quindi non può farlo. Altro brano di rap italiano che possiamo menzionare è “Bipolar Mind” di Nitro, estratto dal suo album “Danger” (2013): già dal titolo possiamo intuire il senso della canzone, ossia che Nitro si definisce caratterizzato da una mente bipolare poiché si sente diviso tra due personalità che spesso fanno a pugni fra loro, come descritto nella terza strofa, in cui scrive “ti sei inventato un altro te solo perchè ti senti solo, ti schianti al suolo per il peso dei pensieri, mentre nella testa parlano fra loro gli emisferi”. Un brano molto centrato su questo tema è “Lunedì” di Salmo, estratto dall’album “Playlist” (2018), di cui l’artista pubblica un video che è quasi un corto, scritto da lui e diretto da YouNuts!, un duo di registi romano. Il video è ambientato in una New York post apocalittica, in cui Salmo stesso e Alessandro Borghi rappresentano le due parti di Salmo, rimasto l’unico uomo sulla terra. Tutto ciò per simulare la lotta interna dell’artista con se stesso, in un periodo buio della sua vita, di solitudine, che alla fine vediamo “risolversi” con il suicidio, a simboleggiare il fatto che egli non riesce a trovare un equilibrio in questo conflitto. Dopo questa scena l’inquadratura si sposta su un calendario che segna essere lunedì 23 poiché, come spiega l’artista, questo numero simboleggia un nuovo inizio, come il lunedì. La scena finale ci fa rivedere il protagonista, disteso a terra inerme, circondato da molte persone: questo a dire che egli non era realmente l’ultimo uomo sulla terra, ma si sentiva come se lo fosse. Anche Fabri Fibra si avvicina alla tematica del dualismo nel suo album “Guerra e Pace” (2013), i cui testi, come dice lui stesso in un’intervista, “sono testi e rime scritti in guerra e pace con me stesso attraverso una sorta di equilibrio tra il bene e il male, dosando entrambi gli ingredienti, come credo a tutti capiti di provare”. Un lavoro simile, ma più approfondito, lo fa Ernia, che vedremo nel prossimo paragrafo.
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4.2 GEMELLI, L’ANIMA DUALE DI ERNIA Matteo Professione, in arte Ernia, è un rapper italiano classe 1993, cresciuto in un quartiere abbastanza difficile di Milano, il QT8, che è riuscito ad avere successo grazie al suo rap “zarro” ma allo stesso tempo introspettivo. Da un inizio di carriera con un gruppo nel 2012, i Troupe d’Elite, Ernia continua poi come solista e ricomincia a pubblicare nel 2016, quando esce il suo EP “No Hooks”, composto da quattro brani senza ritornello, come suggerito dal titolo. Nel 2017 esce il primo album, “Come Uccidere Un Usignolo”, di cui esce una riedizione nello stesso anno con nuove tracce. Nel 2018 Ernia pubblica “68”, seguito nel 2019 dalla riedizione “68 (Till The End)”. E così arriviamo al 2020, anno in cui l’artista pubblica “Gemelli”, album di grande maturità artistica e personale quasi completamente incentrato sul tema del dualismo. Il disco si compone di dodici tracce, ognuna in qualche modo speculare ad un’altra, portando quindi avanti un discorso fatto di dualismi, sì nella musica ma soprattutto nella vita dell’artista, di contrapposizioni tra bene e male e di “doppia anima”. Ernia stesso in un’intervista dice che il titolo del disco è tale perché “i gemelli sono il mio ascendente: a livello zodiacale indicano una doppia anima”. La doppia anima è evidente anche nei suoni del disco, a metà fra il rap e il melodico. Le dodici tracce contenute nell’album sono quindi parte di un progetto duale, che analizza vari contrasti tra cui quello amore/odio, vita/morte o anche essere/apparire. Successivamente potremo analizzare questi contrasti attraverso delle illustrazioni che potranno poi diventare anche delle unofficial cover dei pezzi. Le tracce sono speculari a due a due: “Vivo”/“Morto Dentro”, “Superclassico”/“Ferma A Guardare”, “Non Me Ne Frega Un Ca**o”/“Cigni”, “U2”/“Fuoriluogo”, “Puro Sinaloa”/“MeryXSempre” e “Bugie”/“Pensavo Di Ucciderti”.
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La specularità di “Vivo” e “Morto Dentro” è già abbastanza evidente dal titolo. Il primo è un racconto molto veloce e intimo, quasi un flusso di coscienza in cui Ernia parla delle sue esperienze passate e di come nonostante tutto egli ne sia uscito (“sono appena uscito dal fango”) e soprattutto si sente “così vivo”. L’ottimismo, se di questo si tratta, del primo pezzo, si contrappone al secondo, in cui Ernia si sente appunto “morto dentro”: anche qui si parla di esperienze di vita, l’artista fa riferimento ad un periodo buio della giovinezza già evidenziato in altri suoi pezzi precedenti. La differenza è che se nelle strofe Ernia tenta di mascherare la sua tristezza con spavalderia, caratteristica che ritroveremo anche successivamente, nel ritornello c’è il senso del pezzo e il perché sia contrapposto a “Vivo”: tutto si può capire dalla frase “se mi vieni contro, attento, io sono già morto dentro”. Inoltre, se nella prima canzone il male proviene in un certo qual modo dalle esperienze esterne, nella seconda il male per l’artista è egli stesso, come viene fuori dall’interludio che dice “non sarai tu a colpirmi, non sarai tu a potermi ferire. Per quanto tu ti possa sforzare, ho già attraversato il buio e solo per causa mia potrò tornarci”. Nella pagina accanto le due cover dei brani: l’impostazione grafica è la stessa, ma se in “Vivo” il cuore è dorato per rappresentare che il male non sta dentro, ma fuori, in “Morto Dentro” è il contrario, a stabilire che il cuore dell’artista è in realtà senza vita, quindi grigio. Inoltre nella seconda foto appare una lacrima sul volto di Ernia per esprimere la sofferenza che egli prova e che è narrata nel pezzo. L’inserimento delle scritte sui lati è per lasciare spazio solo alla grafica nella maggior parte delle copertine dei brani. L’inserimento della grana è l’elemento unitario che troveremo in tutte le altre cover dei vari brani dell’album.
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“Superclassico” e “Ferma A Guardare” sono invece due tracce che ci mostrano l’amore da due punti di vista differenti, rispettivamente quello di lui e quello di lei, ma in entrambi i casi nel suo lato negativo. Nel primo Ernia racconta di un amore in tutte le sue fasi, dalla conoscenza alla rottura, un amore che per lui è stato importante e a cui ancora tiene molto. Al contrario, nel secondo brano è raccontato lo stesso amore vissuto dalla sua, a questo punto, ex: lei è innamorata, ma lui non vuole illuderla, perché sa di essere uno che non riesce a legarsi ad una sola persona. Possiamo quindi dire che quello di “Superclassico” è un Ernia innamorato ma che soprattutto crede nell’amore, ci prova ed anche se finisce male, per lui è stata un’esperienza bella ed importante; al contrario, in “Ferma A Guardare” Ernia non ci prova nemmeno, perché sa già che finirà male. Quindi ancora una volta abbiamo una sorta di contrapposizione tra il lato propositivo e quello negativo dell’artista. I due brani sono gli unici del disco ad avere anche un video musicale: per “Superclassico” Ernia realizza un video ispirato al film “Legend”, trattato nel capitolo precedente, mentre per “Ferma A Guardare” (versione remix con i Pinguini Tattici Nucleari) il video è ispirato al film “Snatch”. Nella pagina precedente sono esposte le cover dei brani qui trattati. La caratteristica principale che li distingue è il colore: per “Superclassico” sono stati scelti toni sul rosa che stanno appunto a rappresentare il lato bello dell’amore; al contrario, per “Ferma A Guardare” i toni sono tutti sul blu, più freddi, per rendere l’idea del lato più triste dell’amore. La stessa cosa è resa dall’uso delle rose nel primo, insieme allo sguardo speranzoso della ragazza e dalla pioggia nel secondo, insieme a dei petali blu e ad un soggetto femminile con uno sguardo più triste e perso nel vuoto. La scelta di capovolgere la grafica nella seconda cover è funzionale al dare un aspetto opposto alle due cover.
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Tracce come “Non Me Ne Frega Un Ca**o” (feat. Fabri Fibra) e “Cigni” possono sembrare, già dal titolo o da un primo ascolto superficiale, completamente opposte, ma non è così. Nel primo, Ernia racconta di una sua completa apatia, di quanto non gli importi di nulla e di come tutto gli scivoli addosso, cosa di cui si rende conto, come riferito in un’intervista realizzata da Esse Magazine, quando tornando da un viaggio a New York gli viene detto “è incredibile sei venuto negli Stati Uniti e non hai chiesto di vedere niente, non te ne frega un ca**o di niente”. Infatti tornato da lì scrive subito questi due pezzi, che è lui stesso a definire speculari: entrambi parlano di non provare sentimenti o di reprimerli in qualche modo. Il secondo che scrive è quindi “Cigni”, forse uno dei pezzi più introspettivi dell’intero album, in cui racconta in un certo senso la stessa cosa, ma con la differenza che se nel primo pezzo di questo se ne vanta, nel secondo ne soffre, come si capisce dalla strofa “devo aver preso da mamma e penso sia una condanna, pensare che a ventisei anni nulla più mi entusiasma, da quassù la vista è magnifica, eppure non sono ancora felice veramente, che significa?”. Le cover dei due brani nella pagina accanto sono realizzate seguendo un criterio di grandezza: nella prima Ernia appare più grande, prende quasi tutto lo spazio in verticale e la scritta è massiccia, metallizzata quindi aappariscente, spavalda, proprio come ciò che l’artista esprime in questo brano; nella seconda la stessa immagine di Ernia è decisamente più piccola, con una lacrima sul viso che rappresenta il fatto che in realtà l’artista di questa condizione di mancanza di sentimenti ne soffre molto. Non solo, la lacrima riprende anche la copertina del suo primo EP, “No Hooks”. Il titolo nella seconda cover è più esile e semplice per rendere l’idea di non voler nascondere il fatto di essere sofferente e quindi di metterlo nero su bianco.
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Se invece parliamo del sentirsi diversi, Ernia affronta questo tema in due tracce del disco: la prima è “U2”, traccia nel classico stile arrogante e autocelebrativo dell’artista, in cui egli si vanta dell’essere diverso dagli altri, facendo di questa caratteristica una qualità stilistica (“siete come i tre porcellini, se soffio abbatto tutta quanta la vostra casa discografica”) e della vita in generale; la seconda è “Fuoriluogo” (feat. Madame), in cui la diversità di Ernia diventa un problema, una sofferenza, quasi una cosa di cui vergognarsi e da nascondere (“l’arroganza è una corazza se fa frío, forse al mondo ci sta un posto dove sono giusto anch’io, tu mi dici: “Ti guardi? Sbagli a paragonarti”, ma non sai quanto ho pregato per sembrare come gli altri”), tematica che viene già affrontata dall’artista in passato. Il criterio di realizzazione di queste due copertine è simile a quello delle due precedenti: in una abbiamo una figura e un titolo grandi e imponenti, nell’altra succede il contrario. La cover di “U2” è di un viola scuro mentre quella di “Fuoriluogo” è di un lilla chiaro. Nella prima il soggetto è appunto grande, a rappresentare il sentirsi diversi e migliore degli altri e vantarsene: infatti la ragazza ha uno sguardo sicuro e sprezzante nei confronti dello spettatore. Nella seconda il soggetto è più piccolo e ha lo sguardo rivolto verso il basso e le mani fra i capelli, a simboleggiare una sofferenza scaturita dal sentirsi sempre diverso dagli altri, fuoriluogo in tutte le situazioni e senza avere un proprio posto nel mondo, come canta Ernia nel brano.
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“Puro Sinaloa” e “MeryXSempre” possiamo interpretarle come due modi diversi di raccontare l’adolescenza, un periodo che per Ernia, come un po’ per tutti, è stato pieno di tante esperienze negative. La prima è innanzitutto un tributo a “Puro Bogotà”, pezzo storico dei Club Dogo che Ernia definisce “la Wonderwall del rap italiano”, in cui l’artista è accompagnato da altri rapper che come lui sono cresciuti con questo collettivo musicale e che sono suoi amici nella vita: Rkomi, Tedua e Lazza. La traccia è un esperimento, una prova che dimostra come anche Ernia sia in grado di stare su quella base senza problemi, un modo di far capire a tutti chi è e di raccontare come ha affrontato la sua adolescenza in maniera sicura e forte. La seconda traccia, in featuring con Shiva, affronta lo stesso tema ma in maniera molto più sofferta: Ernia racconta come durante la sua adolescenza sognava di uscire da tutto ciò che viveva (“sognavo di fare ‘sta m*rda per lavoro un giorno, non per le tipe né per soldi e per la fama neanche, ma per non annoiarmi più alle panche”). Quindi ancora una volta Ernia ci racconta la stessa cosa ma vista da due punti differenti, le sue due anime che si scontrano dividendosi, anche in questo caso, in due parti completamente opposte. Le copertine di questi due brani sono entrambe in bianco e nero, ma per lo più nero, per rappresentare in generale un periodo scuro per l’artista, ossia quello dell’adolescenza. La cover di “Puro Sinaloa” mostra un titolo grande e d’impatto, stessa cosa l’immagine dell’artista, che ha inoltre uno sguardo sicuro e spavaldo, a mostrare sicurezza come nel brano. Al contrario, la cover di “MeryXSempre” è caratterizzata da un titolo esile posto quasi al centro della composizione; in basso troviamo un’immagine che rappresenta Ernia con gli occhi chiusi da cui scendono delle lacrime quasi “silenziose” che fanno percepire una tristezza interiore che viene espressa nel testo della canzone.
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“Bugie” e “Pensavo Di Ucciderti” (feat. Luchè) sono due pezzi che più che opposti sono analoghi: entrambi parlano, seppur in modo diverso, di falsità. Il primo, come suggerisce già il titolo, parla di bugie e verità, di come molte volte Ernia preferisca non sapere o dire delle bugie per sfuggire a determinate situazioni: “nella mia testa, due binari: reale e finto, a volte non voglio sapere qual è quello giusto”. Il riferimento è anche alla scena rap italiana e a tutti i “fake rapper” che ci sono, come dichiarato dall’artista stesso ad Esse Magazine. Nella seconda traccia si parla di amicizia: il ritornello è formato da questo continuo ripetere di “e ti amo, e poi ti odio” che ci fa capire quanto l’artista sia combattuto e segnato da quest’amicizia passata e presumibilmente finita male forse per un tradimento da parte di quest’amico, poiché è una tematica che ritorna spesso nei pezzi di Ernia. Quindi in qualche modo in entrambi i pezzi si parla appunto di falsità e di essere combattuti fra due cose, le bugie e la verità, l’amore e l’odio verso qualcuno. Le cover di questi ultimi due brani sono le uniche in cui non troviamo alcuna figura umana: questo perchè “Bugie” e “Pensavo Di Ucciderti” sono gli unici due brani del disco che singolarmente parlano di doppio, come detto in precedenza, quindi sono leggermente diversi rispetto agli altri. Nel primo abbiamo la rappresentazione di verità e bugia attraverso una pietra azzurra, quindi simbolo di purezza ed una rossa, simbolo di falsità. Le due pietre sono identiche, cambiano appunto solo nel colore, che è l’unica cosa che ci permette di distinguerle e capire quale sia una e quale l’altra. Anche nel secondo troviamo due elementi uguali che sono opposti solo per il colore: da un lato una rosa rossa che rappresenta l’amore, mentre dall’altro una quasi nera che rappresenta l’odio, ossia i due sentimenti di cui si parla nel brano. In aggiunta qui abbiamo un pugnale che va a richiamare il titolo del brano.
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Oltre alle tracce di Gemelli, Ernia scrive e pubblica, durante la sua carriera, altri brani che sono speculari fra loro e che parlano di dualismi. Qui di seguito un’analisi: Nell’album “Come Uccidere Un Usignolo/67” le due tracce speculari tra loro sono “Lei No (Il Tradito)” e “Tradimento (Il Traditore)” (feat. Mecna). Le canzoni parlano del tradimento visto da due punti di vista diversi: nella prima Ernia è il tradito, poiché racconta di come un suo amico gli abbia “rubato” la ragazza e di come lui si sente tradito, considerando che lo credeva un amico vero, ricordando come lo aveva aiutato in un episodio brutto della sua vita nella strofa che dice “ti ricordi ti ho coperto in un arresto, ma mai mi son permesso a chiedere qualcosa in cambio per questo, ora se mi incontri non mi guardi manco, cambi aria, in fondo è risaputo ingratitudine è amica d’infamia”. Infatti nella cover Ernia è rappresentato con un coltello nella schiena e una lacrima sul viso. Nella seconda canzone invece Ernia si trova nel ruolo del traditore, poiché ha tradito la sua ragazza e le chiede scusa dicendo “perdonami il disagio ma nel cuore mio ho un randagio, bevendo dalla ciotola di tutte mi sento a mio agio” alludendo al fatto che non lo ha fatto per ferirla ma perché non riesce a legarsi davvero ad una persona. Nella cover c’è la stessa immagine di “Lei No” ma questa volta con una corona di spine, simbolo di colpa, che va ancora una volta a richiamare la cover di “No Hooks”. Quindi anche qui scopriamo esserci due lati opposti, una volta si può essere feriti ma si può anche ferire. In “68” ci sono due brani strettamente legati l’uno all’altro che sono “Sigarette (L’inizio)” e “Tosse (La fine)” che, come dichiarato da Ernia, sono rispettivamente uno l’inizio dell’altro. Nella tracklist però viene prima “Tosse” e poi “Sigarette” in quanto l’album, se ascoltato al contrario, è la storia con gli eventi in ordine cronologico, ossia l’inizio e la fine di una relazione. L’analogia sta anche nel confronto tra le sigarette e la tosse, causata dal troppo fumo, a rappresentare che ogni cosa ha una conseguenza e che ogni cosa ha una fine, come il rapporto dell’artista con la ragazza di cui parla; egli scrive nel secondo brano “e tu non hai colpe, e io non ho colpe”, come se tutto fosse inevitabile. La cover di “Sigarette” è a colori ed Ernia ha uno sguardo speranzoso e sereno, mentre quella di “Tosse” è in bianco e nero ed Ernia ha uno sguardo triste e rivolto verso un punto indefinito.In conclusione si può quindi dire che buona parte del lavoro di Ernia sia incentrato sulla tematica del dualismo e che sia quello che rispecchia forse più a pieno il dualismo come è inteso qui, ossia la coesistenza di diverse emozioni o pensieri in una sola persona, spesso contrastanti fra loro a non per forza in chiave negativa.
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CONCLUSIONI Attraverso questo lavoro di tesi possiamo capire quante sfaccettature diverse e in quanti modi si possa rappresentare il dualismo dell’animo umano e soprattutto quanto spesso e con quanta attenzione esso viene trattato nei vari ambiti culturali e in tutto quello che ci circonda e di cui facciamo uso ogni giorno. La luce e l’ombra sono presenti in ognuno di noi come due parti che compongono il tutto, due parti che vanno accettate per trovare un equilibrio che ci porta alla serenità. Sicuramente questo è il processo più difficile da attuare per l’essere umano, tutti ci sono passati o ci passeranno e non è facile accettare la propria parte “negativa”, i propri difetti e le insicurezze che tutti abbiamo: ma sappiamo che la perfezione non esiste e che quindi nessuno di noi è perfetto e nessuno è composto solo da luce e o solo da ombra, siamo tutti “due” e dobbiamo esserne consapevoli. Qui abbiamo analizzato diverse tipologie di dualismo interiore e tramite diverse cose, scoprendo come questa tematica si sviluppa durante anni di filosofia, a partire da Platone fino a Jung, letteratura, arte, cinema e musica. In ambito letterario abbiamo trovato tanti romanzi che affrontano questo tema in tanti modi diversi e da vari punti di vista; la stessa cosa nel cinema, dove i film che trattano il tema del doppio sono infiniti, infatti in questo lavoro di tesi ne sono trattati solo alcuni, probabilmente i più iconici e quelli che maggiormente rispecchiano la tematica. L’arte non ha mai smesso di sviluppare questo tema ma soprattutto non ha mai smesso di sperimentare per arrivare ad avere un uso dell’ombra e della luce praticamente impeccabile nelle varie opere. Come nel cinema, anche nella musica è pieno di brani e album che espongono il dualismo dell’animo umano visto da mille artisti e soprattutto da mille generi musicali completamente diversi fra loro. L’obiettivo di questo progetto è rendere chiunque ne fruisca consapevole del proprio “essere due” e magari aiutarlo ad affrontare questo tema per trovare se stesso.
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RINGRAZIAMENTI Questo lavoro di tesi rappresenta la conclusione di un percorso di studi che non è finito come avevo immaginato e quindi con una laurea “classica” a causa di tutto questo periodo di pandemia. Da un lato però devo ringraziare quest’ultima per avermi permesso di confrontarmi con me stessa come non avevo mai fatto e per avermi permesso di iniziare a fare quello che ho scritto in questa tesi. Le persone da ringraziare sono tante, quindi mettetevi comodi. Innanzitutto voglio ringraziare la mia famiglia: i miei genitorei per avermi permesso di studiare a Roma e di avere tutte le comodità per farlo e mia sorella per essere stata un’amica prima di tutto ed una buona coinquilina, anche se per poco tempo. Ringrazio i miei compagni di corso per essere stati prima di tutto amici e per avermi migliorato e reso belle giornate accademiche che sembravano non finire mai; in particolare ringrazio Noemi, per essere stata coinquilina oltre che compagna di studi e per avermi supportata in ogni momento difficile senza mai voltarmi le spalle; e ringrazio Elisa, per essermi stata vicina particolarmente in questo percorso di tesi (e per avermi ricordato tutte le scadenze, senza di lei probabilmente avrei presentato la domanda di diploma in ritardo e ora non sarei qui) e in questi tre anni di studi e di vita molto importanti. Inoltre voglio ringraziare tutti i miei amici più stretti, per avermi reso più facile affrontare questo periodo e per aver collaborato più volte a progetti per i vari esami sostenuti in questi tre anni. Più di tutti grazie a Elena e Chiara, per quel pranzo/seduta psicologica di quattro ore che mi ha fatta stare meglio e mi ha fatta sentire meno sola e per tutte le serate passate insieme che sono state la parte più interessante delle solite giornate monotone di studio. Grazie a Martina per le risate, a Gino per la disponibilità, ad Alice e Luca per esserci da quando ho memoria e per essere stati protagonisti di diversi progetti fotografici, ad Alessio per condividere con me la passione per la musica e per la spensieratezza delle serate estive, a Rosaria per essere sempre pronta per un pomeriggio insieme; a tutti, nessuno escluso (tanto lo sapete chi siete), per avermi fatta stare bene sempre e per i momenti di felicità vera passati insieme. Grazie anche al prof. Alfieri che mi ha aiutata durante il percorso di tesi con consigli utili e preziosi. Ultimo ma non meno importante, voglio ringraziare Ernia, per avermi ispirata con la sua musica alla creazione di questa tesi ma soprattutto per essere più di tutti l’artista che riesce a mettere in un testo le mie emozioni più profonde e per avermi aiutata in molti momenti bui della mia vita. Grazie a tutti, siete e sarete sempre importanti per me.
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BIBLIOGRAFIA Van der Post L., Jung e la storia del nostro tempo, Milano, Mimesis Edizioni, 2019 (riedizione) Campbell Cooper J., Yin e Yang – L’armonia taoista degli opposti, Roma, Astrolabio Ubaldini, 1972 Paquet M., Magritte, Taschen Books, Colonia, 2015 (riedizione) Alfieri A., Soggettività e oggettività nel cinema “caligarista” tedesco. L’ambiguità costitutiva dell’estetica espressionista, Palermo, Aesthetica Preprint, 2013 Wilde O., Il ritratto di Dorian Gray, Milano, Bompiani 2018 Calvino I., Il visconte dimezzato, Milano, Mondadori, 2010 Tolstoj L., Anna Karenina, Torino, Einaudi, 2017 Graham-Dixon A., Caravaggio: Vita sacra e profana, Milano, Mondadori, 2019
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SITOGRAFIA https://www.treccani.it/enciclopedia/ombra_%28Universo-delCorpo%29/ https://www.focusuniverse.com/eraclito-di-efeso-il-primo-pensatoreisolato/ https://cinainitalia.com/2018/12/19/yin-e-yang/ https://www.my-libraryblog.com/il-visconte-dimezzato-italo-calvino/ http://www.aletes.it/chiaroscuro-opere/ https://biografieonline.it/biografia-rene-magritte https://www.themacguffin.it/focus/10-film-che-trattano-il-tema-deldoppio/ https://www.cinematographe.it/rubriche-cinema/focus/enemyspiegazione-film-denis-villeneuve/ https://losbuffo.com/2018/02/21/double-trouble-il-tema-del-doppionella-musica-episode-i-david-bowie/ https://www.thefreak.it/gemelli-ernia/
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