La bellezza femminile attraverso il tempo | Marica Fagnillo - Tesi di laurea in Graphic Design

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Marica Fagnillo


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Dipartimento di Progettazione e arti applicate Corso di Progettazione artistica per l’impresa indirizzo Graphic design

Tesi Sperimentale di Diploma Accademico di Primo Livello

La bellezza femminile attraverso il tempo Candidato:

Marica Fagnillo Matricola 4371 Relatore:

Antonino Foti Docente di Corso:

Paola Iannarilli

Anno Accademico 2019-2020


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Siate sempre orgogliose di quello che siete, la bellezza non è nel conformismo, ma nell'unicità di ognuna di noi.


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Indice Introduzione 10

Capitolo 1

I canoni estetici femminili dalla Preistoria al Medioevo 13 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5

La prosperità della preistorica Venere di Willendorf L’Antico Egitto, culla della bellezza La Grecia classica, l’ideale della perfezione L’Impero romano, la matrona dal corpo giunoico Il Medioevo: la madonna e il suo ruolo salvifico

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Capitolo 2

Dalla bellezza piena rinascimentale alla Belle Époque 23 2.1

Il radicale cambiamento del canoni estetici rinascimentali

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2.1.1 Sandro Botticelli, il pittore della bellezza spirituale 2.1.2 Leonardo da Vinci e l’iconica immagine della Gioconda 2.1.3 La femminilità muscolosa di Michelangelo Buonarroti 2.1.4 La Venere di Urbino di Tiziano e la Venere di Dresda di Giorgione

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2.2

Rembrandt: l’artista del periodo barocco

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2.3

La donna borghese di fine Settecento ed Ottocento

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2.3.1 La Maja di Francisco Goya 2.3.2 I nudi di Édouard Monet

33 34

La “femme fatale” della Belle Epoque

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2.4.1 Gustav Klimt e le sue donne d’oro

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2.4

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Capitolo 3

L’estremizzazione dei canoni estetici agli inizi del Novecento

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3.1. Il corpo come specchio degli stati interiori dell’artista

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3.1.1 Le donne di Amedeo Modigliani 3.1.2 La grande ritrattista dell’art Decò: Tamara de Lempicka 3.1.3. L’imperfetta bellezza di Frida Kahlo 3.1.4. Le donne morbide di Fernando Botero

Capitolo 4

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Dalle molteplici rivoluzioni estetiche del Novecento al Terzo Millennio

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4.1 Il binomio magrezza-formosità del primo Novecento

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4.1.2 4.1.3 4.1.4 4.1.5

La garçonne androgina degli anni Venti La politica del corpo fascista e la maggiorata degli anni Cinquanta La donna “grissino” degli anni Settanta Gli ideali estetici dagli anni Novanta ai giorni nostri

4.2. La dittatura del corpo perfetto e l’influenza dei mass media 4.2.1 La bellezza ai tempi di Instagram 4.2.2 Le campagna pubblicitarie controtendenza

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Capitolo 5

Progetto Portrait 66 5.1 Concept del Progetto 5.2 Target 5.3 Campagna adv

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Conclusioni

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Bibliografia

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Sitografia

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Ringraziamenti

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Introduzione Il corpo femminile ha sempre rappresentato per l’essere umano un modello di bellezza. Le primissime raffigurazioni di popoli antichi che ci sono pervenute rappresentano donne, e, più che donne, modelli ideali, canoni di bellezza di un determinato periodo storico. Qui la bellezza femminile non è intesa come semplice attrazione fisiologica, ma come vera e propria depositaria di un canone estetico, una figura armonica, le cui forme appagano i sensi. É possibile perciò definire questo canone estetico? Il punto è questo: per l’uomo, l’ideale di bellezza femminile si è sempre modificato nell’arco dei secoli, poichè connesso ad un intero sistema di valori e convenzioni sociali. Le forme non sono mai le stesse, i canoni cambiano e perciò si potrebbe quasi dire che ogni donna è stata, è e sarà un canone di bellezza. Lo studio consiste in un viaggio unico e lungo nel microcosmo di luci e ombre che è questo mondo, apparentemente dorato, ma spesso insidioso. Si tratta di un viaggio che comincia nel primo capitolo fin dagli albori della civiltà, precisamente dalla preistorica Venere di Willendorf, una donna dalle forme voluminose e seni gonfi, a rappresentare prosperità e fertilità, successivamente esplorando le affascinanti civiltà che hanno fatto la storia, come la civiltà egizia, la Grecia classica e romana fino a raggiungere il Medioevo.

Il viaggio prosegue nel secondo capitolo alla scoperta del periodo Rinascimentale, nel quale si comincia a parlare di un’estetica del corpo femminile, infatti si afferma un particolare interesse per la bellezza esteriore, la cui avvenenza non viene più considerata una vanità che allontana l’uomo dalla salvezza eterna, bensì un binomio tra armonia delle parti e sensualità. Questi concetti sono espressi nelle opere dei più grandi artisti del periodo, come Sandro Botticelli, Leonardo Da Vinci, Michelangelo Buonarroti, Tiziano e Giorgione. Questi ultimi due artisti saranno i protagonisti di un confronto tra due opere, apparentemente simili, nelle quali compare la Venere. Quest’ultima è uno dei soggetti più cari agli artisti rinascimentali, che assume caratteristiche diverse a seconda della percezione personale dell’artista. Con il passare del secoli la figura femminile comincia a cambiare, diviene sensuale e provocante, precisamente nel periodo Barocco, in opere realizzate dall’artista Rembrant. Tra il Settecento e l’Ottocento la donna è rappresentata consapevole della propria bellezza e della propria fisicità, finalmente valorizzata ed esibita e ne sono esempio Francisco Goya ed Édouard Manet, con i suoi nudi. Il terzo capitolo si propone di rappresentare i cambiamenti avvenuti agli inizi del Novecento, con l’avvento del Cubismo, 10


in cui si ha un radicale cambiamento del concetto generale di bellezza femminile. I limiti della rappresentazione femminile vengono superati ed estremizzati, poiché rispecchiano gli stati interiori dell’artista, messi in primo piano. Ne sono un esempio le donne di Amedeo Modigliani, con i colli lunghi e sproporzionati ed i visi irregolari, gli autoritratti di Frida Kahlo che esalta il suo essere fuori dagli schemi di una bellezza tradizionale, Tamara de Lempicka che rappresenta nelle sue opere la vita mondana delle donne, attenta alle mode e alle tendenze ed infine Fernando Botero che rappresenta donne decisamente sovrappeso ma felici. Proseguendo, questo viaggio si concentra nel quarto capitolo sull’evoluzione dei canoni estetici dal Novecento ad oggi, e mostra le personificazioni più celebri di questo concetto, soprattutto nel susseguirsi e nell’alternarsi di modelli alle volte in antitesi. Il viaggio non è solo una ricostruzione storica dei concetti estetici dalla preistoria ai giorni nostri, ma è anche una sorta di analisi dell’attuale società dell’immagine e dell’effimero in cui viviamo, che innesca una sorta di ossessione della bellezza che spinge molte donne ad intervenire sul proprio corpo in modo anche aggressivo, pur di avvicinarsi ai modelli proposti dai media e dal mercato. Il modo di vedere la realtà e percepire il proprio corpo è estremamente influenzato da uno dei social più utilizzati al mondo, ossia Instagram, ormai diviso in due fazioni opposte, un lato promotore di una bellezza naturale, che trasforma i difetti in punti di forza, dall’altra di una bellezza finta che celebra falsi contenuti. Lo studio prosegue con un’accento positivo, poiché verranno esaminate alcune campagne pubblicitarie controtendenza, nate per contribuire alla diminuzione degli stere-

otipi di bellezza femminile in pubblicità e sui mass media. Il viaggio è quasi al termine nel quinto capitolo, in cui avrò modo di realizzare un progetto un pò più personale, che consiste nella creazione di un progetto, chiamato Portrait, nato in occasione del lancio del nuovo Iphone 11 Pro. Questo è il punto di partenza per la nascita di una campagna adv che porterà il brand Apple ad effettuare un cambio di rotta, ma soprattuto di affrontare nuove tematiche sociali.

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Capitolo 1 I canoni estetici femminili dalla Preistoria al Medioevo


al villaggio austriaco di Willendorf nel quale venne ritrovata nel 1903 ed è sicuramente la più famosa statuetta in pietra calcarea, tra quelle a noi note. La sua età di 30.000 anni, e la sua conformazione, hanno fatto si che diventasse il principale simbolo dell’arte paleolitica, conferendole fascino ed una forte identità. In particolare, l’accentuazione dei caratteri sessuali ha fatto pensare nel corso degli anni che la statuetta rappresentasse una divinità femminile, da cui potrebbe essere derivato una sorta di “culto della Dea”, intesa come forza generatrice di tutte le cose e di fecondità e che perciò avesse significati magici e propiziatori. Osservandola, infatti ciò che attira immediatamente l’attenzione è la preponderanza di forme sferiche che riportano al concetto di fertilità. Fianchi abbondanti, per un parto il più semplice possibile, seni rigonfi per allattare il piccolo e un ventre enorme per accogliere la nuova vita e proteggerla fino alla nascita. Gli arti sono appena accennati, quelli superiori sono abbozzati e poggiati sui seni come a incorniciarli, e quelli inferiori pare avessero il solo scopo di dare un sostegno alla scultura nel momento in cui, secondo molti studiosi, veniva infissa nel terreno in contesti votivi. Inoltre le dimensioni ridotte fanno pensare che le figurina fosse fatta per essere tenuta in mano.

1.1 La prosperità della preistorica Venere di Willendorf Fin dagli albori della civiltà, la figura femminile è stata protagonista della storia umana, ed è già al periodo preistorico che ne derivano le prime testimonianze. Suddivisa in tre periodi principali (Paleolitico, Mesolitico e Neolitico), quella preistorica non è un’epoca “priva di civiltà” come a prima vista verrebbe da pensare. Prima di esprimersi con la scrittura, infatti, i nostri antenati hanno lasciato segni della loro esistenza attraverso l’arte e la tecnica : il disegno, l’incisione o la lavorazione dei materiali. È principalmente nel periodo Paleolitico, che gli uomini essendo prevalentemente cacciatori e vivendo a strettissimo contatto con la natura, iniziano a scolpire animali, con una resa così realistica che ancora oggi possiamo riconoscere le singole specie e le razze. Di particolare interesse sono alcune piccole statuine, alte non più di 10-15 cm, ritrovate in tutto il continente europeo. Si tratta chiaramente di figure umane, che la tradizione storiografica ha battezzato Veneri preistoriche, in omaggio a Venere, la dea dell’amore, pur essendo evidente che non hanno relazione storica con tale divinità. La Venere di Willendorf1, deve il nome

1.Venere di Willendorf, anche nota come donna di Willendorf.

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1.2 L’Antico Egitto, culla della bellezza

Con tutta evidenza, si può arrivare a dedurre che la Venere di Willendorf non è propriamente la rappresentazione di una donna ma solo la sua interpretazione. Questa statuetta vuole solo rappresentare il concetto di donna, o della Grande Madre, divinità femminile, componendo le parti anatomiche femminili più importanti. Il ventre e i seni – simboli della maternità – sono messi in così grande evidenza perché “strumenti di procreazione”. È dunque possibile che la statuina avesse lo scopo di propiziare la fertilità delle donne della tribù e, se seppellita in un campo, anche quella della terra. La statuetta si trova oggi al Museo di Storia e Natura di Vienna dove, all’interno di un tempio a lei dedicato, si mostra al pubblico avvolta dall’oscurità del suo mistero, illuminata da un faretto. Un reperto importante per la storia dell’umanità e delle civiltà antiche, che Facebook ora cataloga come «pornografia».

La terra dell’Antico Egitto, regalata dal fiume Nilo nel 3000 a.C., è la sede della più antica storia di popoli. La civiltà del Nilo, instaurò un vero culto della bellezza: non sorprende, dunque, che nei confronti dell’universo femminile vigesse la più alta forma di rispetto. Il ruolo della donna è estremamente valorizzato dagli egizi, tanto da assicurare al gentil sesso la piena parità che permetteva loro di realizzarsi come donne senza mai perdere la loro identità. È con la civiltà egizia che si è sentita l’esigenza di mantenere uno standard ottimale di salute e bellezza, per raggiungere uno stato di benessere esteriore ed interiore. Sono celebri l’avvenenza e l’eleganza delle antiche egizie, testimoniata dalle splendide sculture, pitture2, e dai capolavori di oreficeria che sono giunti fino a noi.

2. Affresco che testimonia la cura del corpo delle donne egiziane.

Il direttore del museo viennese, Christian Köberl, a tal proposito ha dichiarato: “Riteniamo che un oggetto archeologico, e in particolare un’icona di questo tipo, non debba essere vietata su Facebook, né debba esserlo nessun’altra opera d’arte”. Nel frattempo si apprende che Facebook si è scusata per quanto spiacevole avvenuto.

La seduzione femminile si concentra oltre che sugli occhi, sui fianchi e il seno, le due zone del corpo collegate con la maternità; non a caso si è ancora in una società nella quale il ruolo prevalente della donna è quello di procreatrice. La donna ideale infatti è slanciata ma caratterizzata da fianchi arrotondati, 15


ventre leggermente sporgente, spalle strette e volto simmetrico, con zigomi alti e collo sottile. Le donne egiziana dà molta importanza alla cura del proprio corpo ed usavano la cosmesi per valorizzarlo, perciò truccarsi è un’abitudine comune a tutte, poichè conferiva alla figura femminile sensualità e fascino accentuate se accompagnate da una capigliatura curata. E’ importante sapere che tutto ciò che concorreva a rendere più bello e forte il corpo non era mai fine a se stesso ma ha anche un significato spirituale. Perciò la bellezza è qualcosa che va oltre l’estetica e da una nuvola di profumi e fragranze passa al mondo misterioso della magia, per la ricerca della bellezza immortale e per rispetto al Signore dell’Universo. Parlare della civiltà egizia e non nominare una delle donne più affascinanti della storia è quasi impossibile. Il suo nome significa «la bella è giunta» ed è considerata la Monna Lisa dell’antichità. Si parla della magnifica Nerfertiti3.

Moglie del faraone Akhenaton, si presuppone abbia governato l’Egitto da sola dopo la sua morte, cosa inusuale nella cultura del tempo. É considerata la regina più raffigurata a fianco del marito, infatti lo affiancò fedelmente nella rivoluzione religiosa che cercò di imporre il Dio Sole, Aton, al di sopra delle altre divinità. La morte è stata datata circa sei anni dopo quella del faraone, a causa dalla peste. Molte persone trovano automaticamente attraenti i volti simmetrici, e quello di Nefertiti lo è senza dubbio. Il suo busto colpisce per la finezza dei tratti somatici, le labbra increspate in un sorriso accennato, gli zigomi alti e il suo collo sottile. La riproduzione del suo profilo è stata usata come immagine pubblicitaria per una gran quantità di prodotti di lusso, e persino la sua corona ha acquisito una vita a sé stante. Recentemente, grazie alle più moderne tecnologie di immagine 3D4, partendo dalla mappatura della sua (presunta) mummia, è stato ricostruito il suo volto.

3. Busto di Nefertiti, circa 1345 a.C.

4. Riproduzione 3D del volto di Nefertiti.

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permettere la creazione di opere assolutamente verosimili, nelle quali la pietra utilizzata sembra perdere la propria consistenza e freddezza per diventare calda e morbida carne viva, o impalpabile e vellutato tessuto, o ancora soffici e setosi capelli al vento. Questo incredibile sviluppo è stato reso possibile grazie ad un continuo ed approfondito studio dell’anatomia del corpo, tempio dell’anima.

Un processo meticoloso che ha richiesto circa 500 ore di lavoro. Infine, i designer dell’atelier Dior hanno completato il lavoro progettando per Nefertiti gioielli fatti a mano, partendo delle illustrazioni geroglifiche che la ritraggono. Un traguardo importante per il mondo dell’arte, raggiunto grazie alla tecnologia odierna, la quale ci ha permesso di sentirci un po più vicini alle culture passate e alle donne più celebri

1.3 La Grecia classica, l’ideale della perfezione Per il periodo precedente si può solo prendere atto, attraverso le fonti documentarie, di come tra i popoli più antichi le donne cercassero di rendere più gradevole il loro aspetto. É a partire dalla Grecia classica che cominciano ad affermarsi veri e propri canoni estetici. L’ideale del corpo greco vive su un’idea di bellezza che ha dominato i millenni, almeno in ambito europeo. Fra tutte le arti, la scultura è quella che illustra in modo più chiaro il percorso di perfezionamento dell’arte greca e della ricerca sempre più approfondita di canoni di bellezza universali. In nessun’altra corrente dell’arte raffigurativa si può assistere ad un’evoluzione tanto spettacolare. Sono specialmente le statue raffiguranti Afrodite5, la dea greca dell’amore, della fertilità e della bellezza, che permettono di conoscere gli standard estetici del tempo, tant’è che uno degli ideali di bellezza femminile è la Venere di Milo (il cui nome originale è Afrodite di Milo e risalente alla fine del II sec. a.C.) che presenta morbide forme e curve sensuali, estremamente proporzionate. In queste statue l’abilità degli scultori raggiunge un livello tale da

5. Venere di Milo o Afrodite di Milo,130 a.C.

Ciò che distingue queste opere d’arte dalle altre sono i concetti di grazia, misura e soprattutto proporzione: un corpo è bello quando esiste equilibrio, simmetria ed armonia tra tutte le sue parti. Così come la Venere di Milo, anche la Nike di Samotracia6 (tra le sculture di donne più famose della storia) risplende di una ‘bellezza incompleta’ che ne aumenta fascino e sensualità. Realizzata in marmo intorno al 200 avanti Cristo, è attribuita allo scultore greco Pitocrito e raffigura la giovane dea alata Nike mentre si posa sulla 17


1.4 L’Impero romano: la matrona dal corpo giunoico

prua di una nave da battaglia. Si può perciò dedurre dalle diverse sculture che il fisico femminile più apprezzato è morbido e formoso, con fianchi larghi, seno e glutei non troppo pronunciati, ma rotondi e sodi, che rendevano la figura dirompente in femminili e grazia.

Lo stereotipo della bellezza femminile nella Roma imperiale è incentrato su una figura dall’incarnato chiaro e dalle forme opulente, insomma la matrona dal corpo giunonico7, cioè abbondante, alta e formosa, moglie del pater familias (da Giunone, la principale dea romana). Lo stesso sostantivo “giunone” nel vocabolario assume questo significato.

6. Nike di Samotracia, risalente al 200 a.c.

La bellezza di queste sculture è inoltre riconosciuta anche ai giorni nostri, dopo più di due millenni, a riprova di come gli antichi greci fossero infine effettivamente giunti ad elaborare i canoni di bellezza perfetti. È importante notificare che nell’arte greca, tutte le sculture sono accomunate dagli stessi canoni e dagli stessi tratti fisici, poichè un bel corpo è simbolo di un’eccellente personalità . Inoltre tutto ciò testimonia la tendenza greca all’astrazione e alla ricerca di un modello di bellezza ideale ed universale.

7. Matrona Romana.

La dea Giunone è considerata una delle più grandi divinità della religione romana, rappresenta la forza della vita e l’origine stessa del matrimonio e della maternità. La matrona dell’impero non solo è opulenta nelle forme, ma è anche carica di trucco e di gioielli8, e vestita in modo ricco e sfarzoso poichè rispecchia la Roma dell’età imperiale. La ricerca della bellezza e dell’ armonia 18


è una costante della vita quotidiana e tutto ciò è connesso anche alle raffinate abitudini greche e orientali che influenzarono fortemente i costumi dei Romani durante l’Impero. I dipinti dell’epoca testimoniano l’esistenza dei trucchi usati dalle donne per essere più belle e dei manuali di bellezza, addirittura pubblicati, come il “De medicamine faciei feminae” di Ovidio, in cui è possibile trovare consigli di makeup.

bina – veniva messo un anello al dito (per questo detto “anulare”) dal quale si ritiene partisse un nervo che andava fino al cuore. Da quel momento la bimba attende il matrimonio come l’evento più importante della sua vita, con cui può dar inizio alla sua funzione riproduttiva e di salvaguardia dei valori romani.

1.5 Il Medioevo: la madonna e il suo ruolo salvifico La morale medioevale dovuta al processo di cristianizzazione provoca un radicale cambiamento nel modo in cui viene concepita la figura femminile: il corpo femminile, su cui grava il peccato di Eva, venne considerato dominio del Maligno. L’unica bellezza assoluta è quella adolescenziale in quanto a venti-

8. La vita della matrona romana, tra sfarzo e gioielli.

Il comportamento delle donne “rispettabili” deve adeguarsi ad un’ideale femminile molto preciso, quello della matrona, che grazie al suo aspetto curato e ben acconciato, rispecchia la ricchezza e la generosità del marito. Perciò possiamo dedurre che la sua figura è secondaria, subordinata a quella del marito e la sua missione consiste unicamente nel generare figli all’interno di un matrimonio controllato ed educarli ai valori tradizionali. Fin dall’infanzia, le bambine venivano preparate a svolgere quel ruolo. Nella cerimonia degli sponsali, alla promessa sposa – ancora bam-

9. Antonio del Pollaiolo, Ritratto di giovane dama, 1470.

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cinque anni la donna, appesantita dalla gravidanza, è considerata “deserto d’amore”. La morale medioevale infatti, imponeva nuovi canoni estetici, ossia un corpo femminile esile ed acerbo per dimostrarne la castità e la purezza, dei fianchi stretti, un seno appena abbozzato e mai in vista, ma un ventre prominente, indice di un futuro fecondo come madre. Colpirono, comunque, nel modello estetico prevalente, la predilezione per la pelle del viso e delle mani bianca e luminosa – a testimonianza che un incarnato eccessivamente scuro non era apprezzato, bensì giudicato segno di rozzezza. La bocca piccola, naso regolare, occhi tondi con le sopracciglia rasate e fronte alta erano gli elementi essenziali per apparire bellissime. La fronte si “alzava”, rasando l’attaccatura dei capelli. Ne è una testimonianza il Ritratto di giovane dama9, di Antonio del Pollaiolo, 1470.

le e ritratta esclusivamente nella sua sacralità, tanto che ad essere rappresentate sono soprattutto Madonne e sante. Un esempio è la Madonna di Simone Martini nella sua opera Annunciazione10, realizzata nel 1333. Il corpo è nascosto da strati di abiti, ampiamente panneggiati quasi a celarne la vera forma. Sono rappresentati nudi solamente Adamo ed Eva o il Cristo in croce i cui corpi esprimono la sofferenza legata al peccato. La vita delle donne nel Medioevo era varia e rifletteva le diverse aree geografiche e le situazioni finanziarie e religiose. Le pagine dei manoscritti miniati ci rivelano le molte facce di come si esprimeva la femminilità nel mondo medievale. Sono in scena le eroine bibliche, figure di sante e pie monache che incarnavano gli ideali di un comportamento corretto ma anche il loro esatto contrario, come Eva che disubbidì a Dio mangiando il frutto dell’albero della conoscenza. Per i cristiani del Medioevo la Vergine Maria era il massimo archetipo femminile poichè la sua obbedienza a Dio, il concepimento di Gesù senza peccato e l’amore verso il figlio dall’infanzia fino alla morte sulla croce sono i massimi esempi per i fedeli.

10. Simone Martini, Annunciazione, 1333.

In questo periodo storico prevaleva la rappresentazione mistica e ieratica della figura femminile: essa vieniva svuotata di ogni connotazione sensua20


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Capitolo 2 Dalla bellezza piena rinascimentale alla Belle Époque


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2.1 Il radicale cambiamento del canoni estetici rinascimentali

dici. È possibile notare nelle sue opere lo stampo neoplatonico, da cui l’artista trasse i concetti d’amore e di bellezza. Secondo suddetta dottrina, l’amore spirituale, che ha come fine la contemplazione della bellezza ideale, è di gran lunga superiore alla passione carnale. Proprio la bellezza, infatti, insieme all’amore, è la grande intermediaria tra l’uomo e Dio, capace di innalzarlo. La Venere di Botticelli, sia nella Primavera, sia nella Nascita di Venere, rappresenta appunto l’humanitas nel ruolo di mediatrice, ossia la bellezza scaturita dall’incontro fra materia e spirito. Venus, o più comunemente conosciuta come Venere, è la dea romana dell’amore, della bellezza e della fertilità. Tanti artisti nel corso dei secoli si sono cimentati nel rappresentarla facendo sì che diventasse la principale figura dimostrazione dell’idea del “bello”. Botticelli è uno di loro, ma un dettaglio che lo distingue è che nelle sue opere raffigura soggetti più simili a creature di un mondo ideale. L’artista è famoso per ricreare il carattere incorporeo attraverso la simmetria bilaterale, con proporzioni perfette, – la cosiddetta sezione aurea11 - attraverso la linea di contorno dei corpi che li rendeva inconsistenti nel peso e attraverso l’inverosimiglianza anatomica.

Mentre durante il Medioevo si tende a nascondere il corpo femminile, considerato soprattutto fonte di peccato, durante il Rinascimento, si afferma un particolare interesse per la bellezza esteriore, la quale non viene più considerata una vanità che allontana l’uomo dalla salvezza eterna. In questo periodo si verifica una vera e propria rivoluzione. Gli artisti erano stati precedentemente limitati a realizzare solo iconografia religiosa, mentre grazie all’impulso della filosofia dell’Umanesimo, che cercava di far risorgere la letteratura e l’arte dei greci e romani, in questo periodo si comincia a riprodurre dipinti classici e copiare le statue antiche che erano state riscoperte di recente. La percezione della bellezza, da parte dell’artista rinascimentale, è determinata perciò dal suo ambiente filosofico e politico, dalla sua esperienza visiva (l’occhio del periodo), dalle esigenze dei suoi committenti e dai tentativi di migliorare il suo status professionale nella società, ponendosi alla pari con quello dei poeti e degli architetti.

2.1.1 Sandro Botticelli, il pittore della bellezza spirituale Uno degli protagonisti indiscussi su cui verrà focalizzata l’attenzione è Sandro Botticelli (Firenze, 1445), il più famoso interprete dell’Umanesimo Toscano. Sandro, nella metà degli anni Settanta, diede avvio ad una propria bottega, entrando ben presto nella cerchia dei pittori prediletti dalla famiglia dei Me-

11. Sezione aurea.

Effettivamente, parlando sempre della Venere, essa non ha scapole né sterno, 25


nere) su tela e l’altro (La Primavera) su tavola. L’opera, a differenza di quanto recita il titolo, non rappresenta Venere che sorge dal mare ma il suo approdo sull’Isola di Cipro. Venere, in piedi sopra una valva di conchiglia (simbolo di fecondità), è mostrata nuda, in parte coperta dai fluenti capelli biondi, nell’atteggiamento della Venus pudica – una mano al seno e l’altra al pube – tipico delle sculture ellenistiche e ben noto agli artisti già dal Medioevo. La figura di Venere è assolutamente idealizzata: tutte le proporzioni del suo corpo, a partire dalla posizione dell’ombelico, sono tali da rispettare la sezione aurea. Secondo l’interpretazione più accreditata, al dipinto si deve attribuire un significato di stampo filosofico. La Nascita di Venere sarebbe, come La Primavera, una rappresentazione della Humanitas, che come è stato detto precedentemente, è la bellezza scaturita dall’incontro tra spirito e materia, secondo i princìpi della filosofia neoplatonica, e proporrebbe un parallelismo tra cultura classica e

il busto è troppo lungo, l’ombelico troppo in alto ed è caratterizzata da una torsione innaturale. Botticelli ha inventato una nuova immagine della bellezza, un nuovo canone estetico. Le donne che dipinge sono figure ideali: sono alte e sottili, hanno lo sguardo dolce e i capelli biondi sciolti al vento o raccolti in raffinate acconciature. La donna però più venerata e rappresentata dell’epoca fu Simonetta Vespucci, una delle più affascinanti dame del primo Rinascimento Fiorentino. Maestri quali Sandro Botticelli, ne fecero la sua musa ispiratrice per la “Nascita di Venere” e la “Primavera”. La Nascita di Venere12 è stata realizzata nel 1486 dall’artista negli stessi anni della sua Primavera, e probabilmente per lo stesso committente, Lorenzo dei Medici. È stato ipotizzato che i due quadri, che hanno grosso modo le medesime dimensioni, appartenessero ad un ciclo e che fossero appesi uno accanto all’altro. Ipotesi non da tutti condivisa, essendo un dipinto (la Ve-

12. Sandro Botticelli, Nascita di Venere, 1486 (dettaglio).

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sontuoso copre una figura intera con un ampio seno, l’addome arrotondato e i fianchi larghi. Le belle pieghe della sua veste certamente sono state copiate, o ispirate, dalla statuaria antica,

cultura cristiana. Lo schema dell’opera richiama infatti quello tradizionale del Battesimo di Cristo, cui rimanda la posizione di Flora, simile a quella del Battista che versa l’acqua sul capo di

13. Sandro Botticelli, Venere e Marte, 1482.

infatti Botticelli aveva lavorato a Roma nel 1482, affrescando le pareti della Cappella Sistina, per cui avrebbe avuto accesso a quelle statue poco prima di dipingere la Venere.

Gesù. Questa ricercata corrispondenza è un segno che il nudo di Venere ha un carattere spirituale e non sensuale e intendono celebrare la “vera bellezza”, quella cioè prodotta dall’unione della materia (natura) con lo spirito (idea). Appartiene allo stesso periodo l’opera Venere e Marte13 (1482), esposta alla National Gallery di Londra. Venere si trova di fronte al suo amante Marte, dio della guerra, che si è addormentato presumibilmente dopo aver fatto l’amore con lei. La donna che Botticelli ha dipinto è la personificazione della bellezza come lui la percepiva. Nessuna donna dell’epoca avrebbe avuto una pelle perfetta, o tali caratteristiche simmetriche, come è mostrato nel dipinto. La Venere ha un atteggiamento sicuro ma delicato, caratterizzato dal posizionamento delle dita. Il corpo è vestito, l’abito diafano e

2.1.2 Leonardo da Vinci e l’iconica immagine della Gioconda Leonardo da Vinci (Vinci,1452), è simbolo del Rinascimento italiano e dell’uomo moderno, riconosciuto quale genio universale, la cui mente rimarrà sempre oggetto di meraviglia e ammirazione. Grazie alla sua vivace intelligenza e al suo talento per il disegno sviluppatosi molto precocemente, venne mandato dal padre come apprendista presso la 27


Gioconda nasce proprio dalla sua posa del tutto naturale: busto, testa e braccia, leggermente ruotati, si orientano in diverse direzioni mentre il viso, di tre quarti, si offre all’introspezione psicologica, cara a Leonardo. Vasari scrisse che “La Gioconda” era bellissima e che Leonardo dipingendola aveva contattato musici, cantanti e buffoni, affinché la divertissero e la facessero sorridere, per far scomparire così la malinconia che generalmente appare nei ritratti tradizionali. Leonardo da Vinci amava dipingere le donne, ma le sue opere non si limitano a mettere in risalto la bellezza esteriore femminile, ma i moti della mente, chiave innovativa della sua poetica, che introduce nella raffigurazione dei personaggi facendoli emergere attraverso l’espressione del volto, gli sguardi, i gesti, le posizioni. Leonardo da Vinci risulta il primo a conferire personalità, carattere, ed individualità alle sue donne. Per lui non sono simboli di bellezza, ma persone. La caratteristica più nota della Gioconda è proprio la delicatezza che esprime il suo viso: una calma e una serenità senza paragoni, un sorriso appena accennato, la pelle intrisa di luce. I veli trasparenti esaltano le forme e il corpo femminile, dando al soggetto una naturalezza e una vitalità senza precedenti. Si può considerare la Gioconda come esaltazione di una bellezza diversa, che è espressione di un carattere virtuoso, e non ha perciò un fine puramente estetico.

bottega del pittore e scultore Verrocchio, a Firenze, una delle botteghe più prestigiose della città. La Gioconda14 (1503) è sicuramente l’opera più famosa dell’artista e uno dei capolavori più celebri al mondo: meglio conosciuta all’estero come Monna Lisa, l’opera è esposta al museo del Louvre di Parigi e attira ogni giorno migliaia di visitatori. Monna Lisa (abbreviazione di Madonna Lisa che oggi avrebbe lo stesso significato del termine “signora”) è Lisa Gherardini, moglie di Francesco del Giocondo, nobile e mercante italiano.

14. Leonardo da Vinci,la Gioconda,1503.

Secondo Giorgio Vasari, celebre storico d’arte fu proprio Francesco a commissionare il ritratto della moglie a Leonardo. Esso consiste in una figura a mezzobusto girata leggermente a sinistra ma con il volto frontale, ruotato verso l’osservatore, espediente leonardesco per esprimere la dolcezza del volto femminile. Il carattere magnetico della

2.1.3 La femminilità muscolosa di Michelangelo Buonarroti Scultore, pittore e architetto, Michelangelo Buonarroti (Arezzo, 1475), è uno dei grandi maestri del Rinascimento. Michelangelo elabora un concetto per28


ta esclusivo appannaggio degli uomini.

sonale di bellezza che si distacca dal canone rinascimentale soprattutto per l’entità della muscolatura. Egli non è in grado di dipingere la delicatezza e la sensualità del corpo femminile; non a caso le sue donne sono tutte muscolose, gigantesche, mascoline. È nel 1532 che Michelangelo, quando gli viene commissionata un’opera prestigiosa come il Giudizio Universale (1508-1510), mostra questo suo concetto e lo applica alle donne raffigurate. Le donne di Michelangelo, che siano Madonne o Sibille della Cappella Sistina, vengono sempre ritratte come donne dall’aspetto possente, muscoloso, che incarnano la forza mentale quanto fisica. Una donna, nella concezione di Michelangelo, non è mai una figura eterea che galleggia nell’aria, intenta a guardarsi intorno; è meno principessa delle sue sorelle contemporanee e quattrocentesche, ma sicuramente più realistica. Non perde i suoi tratti femminili, le donne di Michelangelo rimangono donne a tutti gli effetti: la vera differenza, l’elemento aggiuntivo delle sue raffigurazioni, è l’incarnare nelle donne una forza che fino ad allora era sembra-

16. Leonardo da Vinci, Sibilla Eritrea, Giudizio Universale, 1508.

L’artista considerava le donne (e Maria in primis) delle creature molto forti, in grado di sopportare eventi tragici, le considerava creature intelligenti, in grado, come le Sibille15-16, di gestire informazioni e messaggi superiori. Michelangelo escogita un corpo femminile mascolinizzato in quanto spiritualizzato, più conforme al Figlio, che aumenta in virilità con l’età e con la saggezza. Le sue donne perciò sono tanto più mascolinizzate quanto più si avvicinano spiritualmente a Dio. Sono creature nel cui volto la mascolinità e la femminilità si fondevano in una maniera che a lui pareva divina. Il problema è fondamentalmente uno: la muscolosità è da sempre associata al corpo maschile e alla mascolinità. Pertanto, una donna muscolosa non rispecchia i canoni estetici femminili classici e vederne una, soprattutto in un ambiente rinascimentale, in cui fino ad ora la donna ha sempre avuto un aspetto divino e un corpo formoso, potrebbe risultare sconcertante.

15. Leonardo da Vinci, Sibilla Delfica, Giudizio Universale, 1508.

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commissionata da Gerolamo Marcello in occasione delle proprie nozze presenta la dea sdraiata su un prato, all’ombra di un grande cespuglio, sopra una coltre di morbide stoffe di seta. La dea si gode il calore del pomeriggio estivo, abbandonandosi al silenzio di una radiosa giornata in campagna; il paesello sullo sfondo appare deserto e certamente nessuno turberà il suo riposo. Era, questa, una novità iconografica molto importante. Il soggetto evoca, con la sua posa, il tema antico della Venere pudica; associando il tema del paesaggio al nudo classico; tuttavia, Giorgione propose un’invenzione artistica semplice, dolce e castamente sensuale, creando un’immagine destinata ad avere uno straordinario successo. Si tratta di un’opera pittorica fondamentale per la sua originalità: neanche le opere famose dell’antichità avevano infatti presentato una dea così intensamente femminile, sdraiata con tanta sensuale naturalezza, quasi inconsapevole della propria nudità e sognante. Una Venere dormiente

2.1.4 La Venere di Urbino di Tiziano e la Venere di Dresda di Giorgione Il confronto tra due opere di analogo soggetto consente di evidenziare le due “anime” della pittura veneziana, rappresentate da Giorgione e da Tiziano. Nel viaggio che si sta compiendo, nella scoperta del concetto di bellezza mutata nel tempo, Venere, dea greco-romana dell’amore e della bellezza femminile, è certamente il personaggio mitologico più rappresentato nella storia dell’arte e senza dubbio il più celebre. Tra i memorabili capolavori che la videro trionfare nella sua seducente nudità, ricordiamo la Venere di Dresda di Giorgione e la Venere di Urbino di Tiziano. La Venere addormentata, detta anche Venere di Dresda17 (Castelfranco Veneto, 1508), è uno tra i più grandi e celebrati capolavori di Giorgione (14771510), pittore rinascimentale, esponente di spicco della scuola veneta. L’opera,

17. Giorgione, Venere di Dresda, 1508.

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simbolo della castità, che dorme nella natura, fondendosi con essa. Si deve proprio al grande maestro Tiziano Vecellio (Pieve di Cadore,1488), che noi tutti conosciamo come Tiziano, la realizzazione di un altro celebrato capolavoro del Rinascimento veneto: la Venere di Urbino18 (1538). In questa celebre opera (così chiamata perché commissionata dal duca di Urbino). Tiziano riprese la posa della figura della Venere dormiente di Giorgione. L’artista però ambientò la donna in un interno rinascimentale, sdraiata, e con degli atteggiamenti del tutto diversi. Il quadro intende sottolineare l’importanza della dimensione erotica all’interno del matrimonio. Nonostante l’evidente legame iconografico con la precedente Venere di Dresda di Giorgione, la dea tizianesca è infatti meno idealizzata e, anzi, mostra con malcelato pudore la sensualità del proprio corpo, consapevole della propria bellezza. È sdraiata mollemente nel letto disfatto di una camera signorile, dove due domestiche le

stanno prendendo i vestiti da un baule nuziale. Puntando lo sguardo invitante allo spettatore, quasi con intento seduttivo, ella sembra volerlo condurre in un mondo dominato dall’eros. Ma se le rose che Venere tiene in mano, i suoi capelli sciolti e le lenzuola disfatte sono evidenti simboli erotici, l’anello al dito, il cane (simbolo di fedeltà coniugale) acciambellato ai piedi della donna e la pianta di mirto sul davanzale rimandano al tema del matrimonio e dell’amore eterno e giustificano la destinazione del dipinto, con il quale il duca di Urbino Guidubaldo voleva fornire un modello erotico appropriato e culturalmente elevato alla sua giovanissima sposa.

2.2 Rembrandt: l’artista del periodo barocco La grande attenzione all’eleganza che si sviluppa in epoca rinascimentale cresce

18. Tiziano, Venere di Urbino, 1538.

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19. Rembrandt, Danae, 1636.

e si accentua a dismisura nel periodo barocco. Il termine Barocco descrive infatti un linguaggio, originario di Roma, che fiorì durante il periodo 1560-1720 e in cui dominò l’eccesso in tutti i campi. La donna barocca si trasforma in una Venere provocante nell’atteggiamento e nell’aspetto, infatti le sue forme sono abbondanti. Nel suo sguardo compare una punta di malizia e di erotismo, poichè la bellezza barocca è una bellezza matura, la cui femminilità non è finalizzata al ruolo di moglie o madre, ma a quello di dama, corteggiata. Viene celebrata la donna dall’incarnato chiaro e pallido, a sottolineare la differenza con la vita dei contadini e delle contadine, che si espongono quotidianamente al sole per lavorare nei campo. Oltre all’incarnato, la donna barocca deve avere i capelli folti, meglio su lun-

ghi fino ai piedi e biondi , di un biondo tendente al bruno. L’ideale di bellezza femminile è celebrato in tutte le sue forme dall’artista barocco Rembrandt, nella sua opera Danae19 (1636). Secondo la mitologia greca Danae, figlia di Acrisio, re di Argo, fu amata da Zeus. Il padre, spaventato da una profezia, l’aveva rinchiusa in una torre di bronzo per impedirle di avere figli, ma il dio riuscì a possederla ugualmente. Zeus, infatti, trasformatosi in pioggia d’oro - secondo altre versioni, in monete d’oro - riuscì a raggiungere la fanciulla: dalla loro unione nacque Perseo, che uccise accidentalmente il nonno in un torneo. Nel corso degli anni, Danae è stata rappresentata differentemente dagli artisti, a secondo del periodo storico e del loro stile. La versione di Rembrandt ha delle 32


donna istruita, che si mostra sempre sorridente in tutta la sua femminilità più intima e caratterizzata da una carnagione pallida. Questo concetto si può osservare in artisti celebri come Francisco Goya e Édouard Monet.

caratteristiche uniche poichè rappresenta la donna stesa su un sontuoso letto a baldacchino mentre accoglie, nuda e sorridente, la luce che la investe. Qui non c’è più la pioggia d’oro : lo sguardo delle due donne, non rivolto verso l’alto, dà l’idea dell’arrivo di una persona fisica che Danae accoglie con un gesto della mano.

2.3.1 La Maja di Francisco Goya

2.3 La donna borghese di fine Settecento ed Ottocento

Francisco José de Goya y Lucientes, a tutti noto semplicemente come Goya (Spagna, 1746), è ritenuto uno degli artisti più influenti e importanti di questo periodo. Propone un esempio diverso di bellezza femminile che possiamo osservare in una delle opere più celebri , ossia la Maja Desnuda20 (1797) – esposta insieme a La Maja Vestida21 (1780) – al Museo Nacional del Prado di Madrid. L’opera mostra una donna distesa, dipinta con dolci pennellate su un divano. Giovane e bella, con la pelle di porcellana, assume una posa particolare: le mani dietro la testa e la sfrontatezza di non nascondere il seno e il pube, conferiscono alla donna un carattere sensuale e trasgressivo per l’epoca. Del resto, il nome è un’indicazione precisa: Maja significa “bella” e “attraente”. La leggera

Tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, la donna conquista maggiore libertà rispetto alle epoche precedenti infatti ha la possibilità di uscire non solo per funzione religione, ma anche per passare il tempo e frequentare salottini. Le donne diventano consapevoli della loro bellezza che è presto valorizzata ed esibita, infatti ciò che caratterizza questo periodo storico, è la prevalenza di nudi. La donna borghese mantiene le forme generose e femminili unitamente ad una vita che deve apparire stretta, anche a costo di sofferenze e svenimenti. Si tratta di una

20. Francisco Goya, Maja Desnuda, 1797.

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21. Francisco Goya, Maja Vestida, 1780.

donna sensuale che induce al peccato e sfida con la sua sfrontatezza la società dell’Inquisizione e i suoi precetti contro il nudo.

torsione del bacino, il formato orizzontale della tela e il naturalismo con cui dipinge Goya contribuiscono a rappresentare, nel complesso, un corpo che si sta muovendo sensualmente per cercare la posizione più comoda da assumere. Possiamo perciò dedurre, che la donna dipinta, è una donna sicura di se e completamene a suo agio. Quello sguardo così accattivante e seducente ci indica subito la natura della protagonista: una dama della società spagnola, realmente esistente. L’opera venne commissionata da Manuel Godoy, il potente ministro di Spagna, l’unico in grado di sfidare i divieti i processi dell’Inquisizione che vietavano il nudo femminile esplicito e che consentiva solo nudi che riproducessero Venere o Danae. Grazie all’aiuto di Godoy, Goya attuò uno stratagemma per fuggire dall’accusa: dopo l’opera Maja Desnuda, ne fece un’altra intitolata Maja Vestida, identica nella posa e nelle dimensioni, ma questa volta Goya la ritrae abbigliata con ricche vesti, quasi a voler realizzare una copertura destinata a celare la versione assai più scandalosa con il nudo. Questi due quadri sono gli esempi più eclatanti di come il concetto di bellezza femminile continui ad evolversi nel tempo, raggiungendo le sembianze di una

2.3.2 I nudi di Édouard Monet Édouard Manet (1832-1883) è considerato uno degli artisti più famosi e rivoluzionari dell’Ottocento francese. Il suo nome viene subito associato alla scena parigina, all’ambiente dei prestigiosi Salon, e agli amici impressionisti che in quel periodo stavano scalando la vetta della storia della pittura. Manet non è mai stato un impressionista ma la sua pittura rivoluzionaria ha comunque fatto scandalo. Manet si prefigura come un precursore della liberazione del corpo femminile. Priva il nudo della sua rappresentazione accademica e mitologica, dotata di un’aura eterna e atemporale, e la colloca violentemente nella quotidianità del contemporaneo. La sua musa è Victorine Meurent, una ragazza parigina, il cui corpo diventa emblema di due opere destinate a rimanere nella memoria collettiva: Colazione sull’erba 22 (1863) e Olympia23 (1863). Colazione sull’erba (1863) fu la prima 34


ni completamente vestiti, e due donne, di cui una nuda e una in sottoveste. Si trovano immersi in un ambiente naturale, in un bosco idilliaco con un piccolo ruscello nel quale una delle due donne si sta rinfrescando. La scelta del soggetto sembra accettabile ai nostri occhi, ma ai contemporanei dell’artista esso risultava impudico e volgare. Infatti, benché i due uomini non stiano toccando in alcun modo le donne, e nemmeno le stiano guardando, la loro nudità lascia intendere che siano delle prostitute. Come se non bastasse, la donna nuda in primo piano guarda lo spettatore dritto negli occhi, sfacciata e senza temerne la reazione. Non era comunque la nudità in sé a scandalizzare, quanto il contesto in cui è inserita. All’Accademia e ai Salon i nudi erano più che ben accetti, ma solo se erano protetti dal contesto mitologico o storico. Una scena di vita quotidiana, realistica come quella della Colazione, non avrebbe mai potuto giustificare il nudo; era un insulto, come se Manet insinuasse che nella vita reale quei personaggi potessero davvero girare per i boschi in quel modo. Nel

22. Édouard Manet, Colazione sull’Erba, 1863. Dettaglio.

opera presentata al Salon e inizialmente intitolata Il bagno. L’opera non rispecchiava il gusto del tempo, e sconvolse principalmente per due aspetti: il soggetto scelto e la tecnica di realizzazione. Per quanto riguarda il soggetto, l’opera presenta quattro personaggi, due uomi-

23. Édouard Manet, Olympia, 1865. Dettaglio.

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busti che comprimono esageratamente il ventre, evidenziano i fianchi e il seno, costringono il profilo della donna in una rigida forma ad “S”, che diventa l’ideale estetico dell’epoca, ampiamente rappresentato dai manifesti di Toulouse Lautrec24.

1863, pochi mesi dopo la realizzazione di quest’opera l’artista dipinse un secondo capolavoro, l’Olympia (1865). In realtà, i giudici tentarono di nascondere il più possibile questo quadro, nella speranza di soffocare le prevedibili polemiche. Olympia presenta una donna completamente nuda, sdraiata sopra il suo letto disfatto e ornata guarda verso l’osservatore con espressione sfacciata. La sua mano sinistra è posata sul pube, in un gesto di apparente pudore ma in verità piuttosto sfrontato. Il pubblico capì subito che si trattava di una prostituta, ritratta con l’atteggiamento impudente e confidenziale di chi riceve un cliente abituale. Questa ipotesi venne confermata maggiormente dagli altri elementi presenti nell’opera, la domestica di colore, il quale rimandava al tema della prostituzione dato che le prostitute non avevano domestiche bianche, le quali si rifiutavano di lavorare per loro, il gatto nero, simbolo di lussuria e tradimento. Perfino il titolo dell’opera chiariva gli intenti Parigi vantava, in quegli anni, almeno 35.000 prostitute, un dato per niente irrilevante, perciò possiamo considerare Manet come l’artista che stravolge i canoni morali ottocenteschi attraverso una rappresentazione del corpo femminile nella sua cruda realtà, senza veli simbolici. È una sfida al tabù della sessualità, da cui l’artista ne esce vincente.

24. Toulouse Lautrec, Mouline Rouge.

Una delle prime forme di pubblicità, che ha fatto la storia dell’advertising, è senza alcun dubbio il manifesto e le opere di Lautrec ne sono da testimonianza. Le sue opere ed i suoi disegni, raccontano molti aspetti della vita parigina, della vita notturna in ambienti come il Mouline Rouge, ma soprattutto delle donne che frequentavano quegli ambienti, inserendo nelle composizioni contenuti importanti relativi ai cambiamenti in atto in quel periodo. Parallelamente, si afferma un’altra figura, ossia la femme fatale, anche sotto l’influenza del decadentismo. È una donna bellissima, aggressiva, dal corpo sinuoso e lo

2.4 La “femme fatale” della Belle Epoque Alla fine dell’Ottocento, con la Belle Epoque, arriva la ventata di ottimismo e benessere, che viene amplificata con la diffusione della fotografia, della radio e del cinema. Si fa strada l’impiego di 36


sguardo magnetico, con occhi e capelli scuri ed una pelle molto chiara, che prende vita inizialmente dalla paura borghese riguardo l’emancipazione della donna di fine Ottocento, che a poco a poco acquista sempre più libertà, simbolo di una cultura nuova. È una donna che rifiuta di essere passiva, infatti il termine fatale rispecchia il suo contraddire le regole sociali della sua epoca, ribellandosi. Questa figura femminile viene dipinta dall’artista Gustav Klimt.

so artistico fin dai primissimi anni di vita nella bottega del padre, un orafo che per primo gli trasmise il fascino dell’uso dell’oro. Gustav Klimt è definito dai critici il pittore delle belle donne, poichè per l’artista esse sono il simbolo di un universo misterioso. Le sue figure femminili appartengono alla ricca borghesia di Vienna e sono spesso eleganti, ammalianti, altezzose in quanto consapevoli della loro bellezza, ma anche più “tradizionali” e materne, affettuose. Nel 1903 Klimt si recò due volte a Ravenna, dove conobbe lo sfarzo dei mosaici bizantini: l’oro musivo (dei mosaici), gli suggerì un nuovo modo di trasfigurare la realtà. Fu così che nacquero alcuni dei capolavori klimtiani più celebri: Giuditta I25 (1901), il Ritratto di Adele Bloch-Bauer I26 (1907) sono alcune tra le opere dove Klimt si presenta convertito all’oro di Bisanzio. È l’uso dell’oro che contraddistingue le tele del cosiddetto periodo aureo o dorato di Klimt. La donna fatale per eccellenza nelle sue opere è Giuditta, eroina biblica che usa la sua bellezza per sedurre e uccidere il crudele generale Oloferne, che opprimeva il suo popolo. Il primo dipinto di Klimt, “Giuditta I”, pur volendo rappresentare tale evento, non rinuncia ad un acceso erotismo che, secondo il tema della femme fatale, è legato alla morte, richiamata dalla testa del generale che Giuditta ha tra le mani. Giuditta è rappresentata con gli occhi socchiusi e le labbra dischiuse, in atteggiamento quasi di sfida, mostrando come un trofeo la testa di Oloferne. La modella che Klimt prese a riferimento per la rappresentazione della Giuditta è Adele Bloch-Bauer, sua amica e mecenate, che ritroveremo perciò in entrambe le opere, una donna dell’alta società viennese che incarna perfettamente l’ideale femminile della Vienna fin du siècle.

2.4.1 Gustav Klimt e le sue donne d’oro Gustav Klimt (Vienna, 1862) è stato uno dei maggiori esponenti austriaci della corrente artistica dell’Art Noveau, lo stile internazionale che si sviluppa tra il 1890 e il 1914. Egli sviluppa il suo sen-

25. Gustav Klimt, Giuditta I, 1901.

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26. Gustav Klimt, Ritratto di Adele Bloch-Bauer,1907.

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Capitolo 3 L’estremizzazione dei canoni estetici agli inizi del Novecento


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3.1. Il corpo come specchio degli stati interiori dell’artista

degli artisti più influenti del Novecento e conosciuto per le numerose opere di volti e corpi femminili. Sono tante le donne che hanno costellato l’esistenza dell’artista - compagne di una sera, semplici modelle o amiche di sbronze- , ma furono solamente due quelle che furono in grado di lasciare la traccia indelebile nel suo cuore: Beatrice Hastins e Jeanne Hebuterne. Lo stile di Modì - com’era soprannominato in Francia, non lasciò indifferente il mondo, tanto che ancora oggi, le sue donne sono riconoscibili da chiunque. I suoi nudi sono ammirati per la bellezza delle forme, la modernità dei corpi sinuosi e morbidi, i seni pieni, la vita fine, i fianchi dolcemente rotondi. Nell’immaginario collettivo l’arte di Modigliani è spesso associata a ritratti di donne dal collo particolarmente lungo e affusolato e due occhi sprovvisti di pupille. In realtà i caratteri distintivi che osserviamo hanno un chiaro riferimento alle maschere di legno africane28, dai volti con grandi occhi vuoti, nasi stilizzati e schiacciati ed elegantissimi colli lunghi, che divennero fonte di ispirazione per lui.

L’inizio del Novecento vede un radicale stravolgimento della concezione di bellezza nell’arte. A partire dal Cubismo o e dagli studi di Picasso, i corpi e i volti raffigurati non esprimono più quella grazie e quell’eleganza ricercate in passato. Le Demoiselles D’avignon27 di Picasso ne sono un esempio, risentono della scultura etnica ed iniziano a sperimentare il corpo come specchio degli stati interiori dell’artista, che verranno valorizzati e messi i primo piano. Vedremo delle donne dai volti e dai corpi scomposti, come frammenti di un fremito interiore, un vero e proprio superamento o “estremizzazione” dei limiti della rappresentazione femminile.

27. Picasso, Le Demoiselles D’avignon, 1907. Dettaglio.

3.1.1 Le donne di Amedeo Modigliani Amedeo Modigliani (Livorno,1884) è uno

28. Maschera tradizionale africana

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3.1.2 La grande ritrattista dell’art Decò: Tamara de Lempicka

Da questi elementi sarebbero nati i ritratti di Modì o le Demoiselles d’Avignon di Picasso. Si è soliti sentir dire che gli occhi sono un’apertura, una finestra che permette di scorgere l’animo umano; ebbene a differenza degli altri artisti, quando Modigliani ritrae qualcuno egli fa fede a questo suo intimo credo. Questa è la ragione per la quale gli occhi dipinti nei suoi quadri sono privi delle pupille, proprio perchè egli non poteva dipingere ciò che non conosceva: ovvero l’anima degli uomini e delle donne che stava ritraendo. Ma ogni cosa ha la sua eccezione e l’eccezione vi fu in effetti. Di una persona egli rappresentò le pupille: Jeanne Hébuterne29. Inoltre il collo lungo sottolineava la flessuosità e diversità del genere femminile, che può, attraverso la bellezza, assurgere a mete più elevate, quasi spirituali, e distaccandosi dalla banale realtà di tutti i giorni, raggiungere dimensioni ulteriori. Perciò, il collo lungo, tanto amato da Modì, altro non è che una allegoria della perfezione femminile.

Tamara de Lempicka (Varsavia, 1898) è stata un’attrice polacca, protagonista indiscussa della pittura Art Déco. Dopo aver vissuto nella sua città natale e dopo la rivoluzione comunista, si trasferì a Parigi , città che poteva garantirle il tenore di vita da lei desiderato. Una donna affascinante quanto misteriosa, simbolo dell’emancipazione femminile e di un secolo rivoluzionario come il Novecento. Per capire Tamara dobbiamo sapere che è la diva, l’eleganza, la trasgressione, l’indipendenza e la modernità.

30. Tamara de Lempicka, Ritratto di Marjorie Ferry, 1932.

Tamara con il pennello racconta delle donne più belle del ‘900 e racconta un po’ di tutte noi. Le caratteristiche che resteranno costanti nella sua produzio-

29. Amedeo Modigliani, Ritratto di Jeanne Hébuterne, 1919

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ne presentano figure costruite da linee fortemente spigolose, geometriche e una ridotta gamma di colori. I toni metallici contribuiscono alla creazione di immagini levigate e di figure che hanno le sembianze di manichini. I suoi ritratti da molti critici sono considerati “freddi”, ma guardandoli da un’altra prospettiva, essi appaiono come una visione interiore che l’artista ci ha offerto, a cui ci lascia partecipare. Tutte le sfaccettature di Tamara de Lempicka, come donna, sono racchiuse nei suoi personaggi, solitamente modelle prese dai più eleganti ritrovi di prostitute. Donne sensuali, vestite solo di un rossetto, che si accarezzano e si riversano sul divano o sul letto. Scene, erotiche, intime e familiari che coinvolgono lo spettatore, uomo o donna che sia. Le donne ritratte nei suoi quadri appaiono sempre diverse ma sono sempre la stessa: Tamara30.

niste con tutto il loro desiderio di esser indipendenti e senza nessun altro nella scena. Forse Tamara descrisse così bene le donne proprio perché le amò, non a caso era bisessuale dichiarata. Donne spogliate da ogni pregiudizio e virtù, semplicemente vive e libere. Il suo Autoritratto in Bugatti31 (verde altro non è che il simbolo dell’emancipazione femminile, immagine di modernità per eccellenza. Come si legge in Le Figaro (1930):

“L’automobile non segnerà soltanto un’epoca, ma sarà il simbolo della liberazione della donna: avrà fatto, per spezzare le sue catene, molto più di tutte le campagne femministe e le bombe delle suffragette. Dal giorno in cui ha afferrato un volante Eva è diventata uguale da Adamo”.

3.1.3 L’imperfetta bellezza di Frida Kahlo Un’artista di cui sentiamo parlare molto spesso nei nostri giorni, è proprio lei, Frida Kahlo33, la donna messicana icona internazionale di donna indipendente e rivoluzionaria per il periodo storico, in cui il maschilismo era estremamente predominante e il ruolo della donna era di sottomissione e obbedienza alla famiglia. Frida Kahlo (Messico, 1907) è considerata una delle più importanti pittrici messicane, un vero e proprio punto di riferimento come modello di bellezza autentica, naturale ed incontaminata. La storia di Frida Kahlo è molto affascinante: una vita di costante sofferenza che è riuscita a convogliare e raffigurare attraverso la sua più grande passione: l’arte. La prova più dura per Frida Kahlo arriva però nel 1925: un giorno,

31. Tamara de Lempicka, Autoritratto sulla Bugatti Verde, 1929.

È un errore pensarle fredde, malinconiche e irraggiungibili: semplicemente sono loro stesse, ritratte da protago45


può apprezzare il suo aspetto fisico minuto, le sue sopracciglia e la peluria dei baffetti che si contrappongono ai tradizionali canoni estetici e che rendono a tutti gli effetti Frida una bellezza imperfetta! Nonostante Frida fosse contro gli standard di bellezza femminile, è ancora considerata, tutt’oggi, una delle donne più attraenti del Novecento.

mentre torna da scuola in autobus, viene coinvolta in un terribile incidente32 tra il suo autobus e un tram, e riporta la frattura multipla della spina dorsale, di parecchie vertebre e del bacino.

32. Foto di Frida Khalo costretta all’immobilità dopo l’incidente.

Furono le lunghe giornate a letto immobilizzata da busti di metallo e gessi che permisero alla donna di sviluppare il suo talento. Frida coglie tutte le sue esperienze negative, come la relazione “aperta” con Diego Rivera, un vero donnaiolo, per creare un’arte di grande impatto emotivo. Un continuo inno alla vita, che nonostante il dolore fisico e psichico, non ha mai rinunciato a vivere fino in fondo. Frida Kahlo aveva sfidato i modelli di “bellezza femminile”, non adattandosi mai alle norme sociali. Infatti mantenne costantemente intatto il suo stile personale, soprattutto nei vestiti. All’epoca, quando le donne amavano indossare abiti stretti, Frida indossava la tehuana, un costume largo di origine messicana. Dal 1937, quando compare su Vogue, il mondo non ha mai smesso di celebrarla: Frida esprime la libertà di essere se stessa, una donna che vive senza maschere. Questa è una libertà che le donne hanno dovuto imparare a desiderare e che non sempre hanno avuto. Di Frida Kahlo si

33. Foto di Frida Khalo.

3.1.4. Le donne morbide di Fernando Botero Uno degli artisti contemporanei che fanno segnare la maggior distanza tra critica e pubblico è sicuramente il colombiano Fernando Botero (Medellin, 1932). Artista amato in maniera incondizionata da gran parte del pubblico e guardato con sufficienza da molti critici, se non snobbato o addirittura respinto. La critica definì le sue opere come “semplicistiche caricature di figure in carne, inserite in soleggiati contesti familiari”. La parte opposta della critica apprezza il lavoro di Botero considerandolo una 46


sorta di icona dell’arte contemporanea, riconoscibile al pari dei più grandi artisti di sempre. È indubbio il fatto che la sua estrema riconoscibilità sia dovuta al suo peculiare stile, tanto fedele a se stesso quanto di non difficile lettura, fondato sull’uso delle cosiddette forme dilatate che dànno vita alle “figure grasse” che costituiscono un tratto distintivo dell’arte di Botero al punto da renderlo quasi proverbiale (sarà capitato pressoché a chiunque di sentir chiamare in causa le opere dell’artista di Medellín in paragoni con amici o conoscenti con qualche chilo di troppo). È lecito domandarsi il motivo per il quale Botero dipinga uomini o donne grasse. Tutto ebbe inizio nel 1956, quando l’artista applicò la sua “dilatazione” ad un oggetto: un mandolino34 per dipingere una natura morta. Fu colpito e attratto dalla forma dilatata oltre il naturale, perché gli provocata una profonda sensualità.

esseri umani, conferendo a tutti quell’aspetto “grasso” che costituisce un po’ il suo marchio di fabbrica. Tuttavia, agli occhi di Botero, le sue non sarebbero semplicemente “figure grasse”. Ciò che dipinge sono volumi poichè è estremamente interessato al volume, alla sensualità della forma. Donna seduta, 1997 ne è un esempio.

35. Fernando Botero, Donna seduta, 1997.

L’artista, come ha avuto modo di affermare, associa le forme dei suoi soggetti al piacere, all’esaltazione della vita, perché l’abbondanza comunica positività, vitalità, energia, desiderio: tutti concetti che hanno a che fare con la sensualità, intesa tuttavia non tanto in senso erotico quanto come espressione di piacere. In conclusione, le opere di Botero fanno discutere ma per altri sono dotati di un significato profondo, una vera e propria proposta alternativa di canone di bellezza, che nonostante non corrisponda alla sua finalità, viene comunicata. L’arte è interpretazione soggettiva e Botero ne è un esempio!

34. Fernando Botero, Natura morta con mandolino, 1992.

Botero trovò il suo stile, e iniziò a dilatare le forme di altri oggetti, di animali, di 47



Capitolo 4 Dalle molteplici rivoluzioni estetiche del Novecento al Terzo Millennio


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4.1 Il binomio magrezza-formosità del primo Novecento

4.1.2 La garçonne androgina degli anni Venti

Il Novecento è un’epoca di importanti eventi storici che porteranno radicali trasformazione nella vita politica, economica e sociale: le due guerre mondiali, l’avvento della società di massa, i processi di industrializzazione mutano profondamente la vita dell’uomo e l’organizzazione della società. Con questa nuova realtà, la posizione della donna è oggetto di un grande cambiamento: ella non si riconosce più nell’immagine di una creatura debole, passiva e inferiore all’uomo, bensì si unisce alle altre donne per combattere tutte le discriminazione di una società che da secoli le opprime. Si vede perciò l’affermazione di un nuovo ideale di bellezza femminile, quello del corpo atletico e scattante, sinonimo di liberazione da divieti e costrizioni, immagine di una donna che lotta in difesa dei propri diritti, lavoratrice e non più solo moglie e madre. In realtà il concetto di bellezza, durante tutto il Novecento, non è mai rimasto lo stesso però ogni 10-15 anni sembra che ciclicamente si ripropongano, alternandosi, dei concetti molto simili tra loro o assolutamente opposti, creando un binomio tra magrezza- formosità. Le donne rappresentanti la bellezza “ideale”, epoca dopo epoca, non saranno frutto delle arti figurative o di fantasia, stilizzazione e idealizzazione dell’artista, bensì di donne reali e modelle, realmente esistenti in quegli anni. Con la fotografia e il cinema le cosiddette icone di bellezza saranno perciò delle incarnazioni viventi, che detteranno i canoni estetici del momento e contribuiranno al loro continuo cambiamento.

Il mito della donna fatale è destinato a scomparire molto presto. Con la prima Guerra Mondiale la donna deve uscire di casa per lavorare in fabbrica al posto del marito che combatte al fronte. È perciò costretta ad abbandonare la cura del corpo e comincia ad assumere caratteri androgini. Durante i “ruggenti” anni Venti, pervasi da un nuovo senso di libertà e speranza, l’ideale di bellezza femminile cambia radicalmente: ora è la garçonne androgina a rappresentare a pieno il modello del momento. Il termine “garçonne” nasce dalla moda diffusa in questo periodo del taglio mascolino dei capelli, alla maschietta36 ossia corti per la prima volta anche per le donne.

36. Taglio alla “maschietta” di una garçonne androgina

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Coco Chanel37, icona di questi anni, dai tratti androgini, invita le donne ad esporre la pelle ai raggi solari, poichè l’abbronzatura non è sinonimo di appartenenza ad una classe sociale inferiore ma è espressione di salute e benessere fisico, ad eliminare i guanti e ad accorciare le gonne. Inoltre è ricordata per aver diffuso tra le donne la predilezione per la moda confortevole, androgina e sportiva poichè voleva emancipare la donna e renderla indipendente. E’ un grido alla libertà e all’abbandono di paludamenti ottocenteschi, di corpetti e di gonnellini fissati con stecche di balena.

Inoltre i tratti androgini della donna, la fanno apparire un’eterna adolescente, con seno e vita inesistenti, fianchi stretti, corpo asciutto, magro, asessuato, simbolo di aspirazione all’uguaglianza e parità tra i sessi. La donna ora conduce una vita più dinamica e comincia a praticare sport, sia per il benessere fisico che per migliorare l’aspetto. Infatti adesso anche nelle donne si comincia ad apprezzare il fisico atletico. Con il taglio dei capelli la donna degli anni Venti rinuncia a un’arma di seduzione molto antica. Ma, dopo il periodo buio della grande guerra, questa trasformazione è abbracciata con entusiasmo, così come il nuovo e rivoluzionario modello di bellezza, senza curve, magro e mascolino. Va comunque precisato che la “magrezza” dell’epoca, non è mai eccessiva o scheletrica, ma piuttosto morbida ed elegante.

4.1.3 La politica del corpo fascista e la maggiorata degli anni Cinquanta È già con l’arrivo degli anni Trenta che ritorna l’ideale della donna sensuale, femminile ed elegante con una silhouette a sirena. Le donne sentono l’esigenza di rimettere in evidenza le loro forme e si impone cosi il canone della donna seducente, emancipata e femminile, incarnata dalle grandi dive di Hollywood, come Jon Crawford38, che raggiungono la massa e vengono diffuse grazie al mezzo cinematografico.

38. Jon Crawford, icona degli anni Trenta.

37. Coco Chanel, icona degli anni Venti.

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È con l’affermarsi del regime fascista che In Italia, come in Germania, viene dedicata al corpo della donna un’attenzione ancora più precisa e sistematica, tanto che si può parlare di una vera e propria politica del corpo39. Gli anni Quaranta sono un periodo di crisi e di grande ristrettezza, perciò si ricerca uno stereotipo femminile di donna più in carne, reazione alla carenza di cibo che caratterizza questo periodo.

si della casa e della famiglia. La campagna contro la donna magra, pallida e sterile si apre ufficialmente nel 1931 quando il capo dell’Ufficio stampa di Mussolini ordina ai giornali di eliminare tutte le immagini che mostrano figure femminili snelle e dal piglio mascolino. La magrezza femminile diventa un punto centrale nel dibattito sulla bellezza, tanto che Mussolini chiede ai medici di intervenire a difesa del “grasso”, con-

39. Manifesti fascisti durante la Prima Guerra Mondiale.

La preoccupazione di Mussolini è quella di assicurare all’Italia una nuova stirpe, robusta, sana e forte e così le donne vengono invitate ad un programma di igiene salutistica-alimentare, in quanto possibili madri e quindi prime responsabili del miglioramento della razza. Il modello di bellezza imposto alla donna italiana deve avere forme prosperose e fianchi ampi, ed essere forte e robusta; solo così sarà una vera madre e una buona moglie, in grado cioè di occupar-

tro la moda della magrezza che si stava diffondendo precedentemente. E così, durante la guerra iniziano a comparire su molte riviste degli Stati Uniti le prime pin-up, ragazze solitamente procaci con gambe lunghe, fianchi ampi e seno prosperoso, Rita Hayworth40, soprannominata “l’atomica” per le sue curve esplosive, ne sarà da icona come simbolo di benessere e di ricchezza che presto si diffonderà in Italia, un paese segnato dai danni della guerra. 53


prio il beauty mark che Marylin Monroe aveva sulla guancia sinistra.

40. Foto di Rita Hayworth, pin-up icona nel periodo fascista. 41. Foto di Marylin Monroe, maggiorata icona degli anni Cinquanta.

Negli anni Cinquanta le curve femminili continuano a dominare e si incarnano nelle attrici straniere come Marilyn Monroe42, e italiane, quali Sofia Loren, Gina Lollobrigida, le cui misure seno-vita-fianchi 90-60-90 rappresentano la formula della bellezza, ancora metafora del desiderio sociale di benessere economico. E’ l’epoca delle “maggiorate”, il cui corpo è metafora del sogno di opulenza che vive Europa e che si tradurrà nel boom economico. La struttura fisica in voga è quella a clessidra, caratterizzata da seno e fianchi prosperosi contrapposti a un punto vita decisamente sottile. Il capelli sono corti, ma non per questo meno femminili: la messa in piega è un appuntamento quotidiano, per ottenere i riccioli così rappresentativi di questo periodo. Massima attenzione è dedicata anche al trucco: sulla base color avorio spiccano gli occhi delineati dall‘eyeliner a virgola (il famoso cat-eye) e labbra rosse. Un vezzo comune è quello di disegnarsi un neo: una moda nata per imitare pro-

4.1.4 La donna “grissino” degli anni Settanta L’ideale della maggiorata subisce un drastico cambiamento negli anni Settanta, periodo segnato da importanti rivolte sociali e si afferma un nuovo modello femminile dal fisico sottile e filiforme, quasi un ritorno al modello della donna degli anni Venti. Anche il trucco esalta le caratteristiche infantili del viso: gli occhi diventano sempre più grandi, grazie a decisi tratti di eyeliner e ciglia disegnate sulle palpebre, mentre la bocca passa in secondo piano, scegliendo rossetti dalle tonalità rosa baby. Twiggy42, in inglese “ramoscello”, è una modella e attrice inglese, magra ai limiti dell’anoressia, ed è considerata la portavoce di questa nuova estetica: una bellezza acerba, quasi bambina, 54


boom delle supermodelle. S’instaura un ideale di bellezza difficile da raggiungere: gli anni Ottanta vogliono un fisico proporzionato, con seno abbondante, vitino da vespa e gambe lunghissime, sottolineate dai body e dai costumi sgambatissimi. Purtroppo però, il concetto di “supermodella”, comincia a raggiungere dei canoni estetici esagerati negli anni 90, che inoltre rispecchieranno quasi del tutto quelli dei nostri tempi. Infatti, a partire dagli inizi degli anni Novanta si afferma un nuovo trend, la cui icona portante è Kate Moss43.

caratterizzata da un fisico adolescenziale e del tutto privo di curve. Con lei nasce la donna grissino, che ai giorni nostri, sarebbe l’ideale per chi vuole cavalcare le passerelle della moda. Inoltre, Twiggy è la modella che nel 1966 viene ritratta con la prima minigonna della storia, inventata da Mary Quant. La minigonna, emblema dell’emancipazione femminile, porta le donne a mostrare maggiormente il loro corpo, decidendo di conseguenza di raggiungere la magrezza perfetta per vestire l’indumento. Altro modello di riferimento in questi anni è Audrey Hepburn, donna naturale e graziosa diventata famosa nel campo del cinema, della moda, dei giornali per il suo stile essenziale e chic costituito da tubini neri, fili di perle e foulard di seta.

43. Foto di Kate Moss, icona degli anni Ottanta. 42. Foto di Twiggy con la prima minigonna di Mary Quant.

In questo decennio si assiste a un riaffermarsi della magrezza come ideale estetico. Bellezza diventa sinonimo di magrezza, vista non solo come semplice modello da imitare, ma passaporto per il successo e l’affermazione nella società. Inizia la propaganda del “magro è bello” sulle riviste di moda e si ha

4.1.5 Gli ideali estetici dagli anni Novanta ai giorni nostri Arrivano gli anni Ottanta e scoppia il 55


tratta una sfida quotidiana, incessante. Altissime, sottilissime, elegantissime, le modelle incarnano l’ideale estetico della maggior parte delle ragazze di oggi: è questo il modello che le riviste patinate femminili forniscono come simbolo della donna di successo, del-

un’associazione tra magrezza e potere sociale. Questo canone porterà nel terzo millennio l’ossessione morbosa per il corpo: è il corpo al centro dell’interesse e non la persona; non conta tanto essere quanto apparire. Questo è il concetto che rappresenta al meglio la società contemporanea.

4.2 La dittatura del corpo perfetto e l’influenza dei mass media In quest’epoca dove la tecnologia è in continua evoluzione, è ormai risaputo che i media hanno un effetto diretto nel condizionare gli atteggiamenti e le credenze del loro pubblico. Ormai l’intera popolazione mondiale passa gran parte del suo tempo a contatto con i mass media e difficilmente potrebbe farne a meno. Tali mezzi, per la loro stessa struttura comunicativa, influenzano la cultura e la percezione della realtà, proponendo modelli e stili di vita che fanno leva sulla desiderabilità sociale. I mass media hanno contribuito ad accrescere notevolmente il culto della fisicità e dell’ostentazione della bellezza poichè il loro scopo è proprio vendere modelli di bellezza femminile ripetuti più e più volte, la cui intensità, non solo non sembra ridursi ma continua a crescere con il passare degli anni. Nella nostra, cosiddetta “civiltà dell’immagine”, tutto ciò porta ad una forte frustazione a fronte di modelli praticamente irraggiungibili. L’impatto che la bellezza fisica ha sulle nostre vite è notevole. Il mass media bombardano di idee sbagliate le teste di donne e uomini sempre più ossessionati dal proprio aspetto fisico, dal forte desiderio di apparire belli ed unici. Per molti si

44. Foto di una modella al limiti dell’anoressia.

la donna che ha vinto nella vita. Oggi nelle riviste di moda vengono mostrate solo immagini stereotipate di corpi femminili magri44, tonici e abbronzati, che rispecchiano i canoni di bellezza corrente. Le immagini vengono spesso postprodotte per renderle più belle e conformi all’ ideale di perfezione odierno. Pancia piatta, magrezza “sana”, seno, sedere grande e sodio rappresentano lo stereotipo del momento. Un esempio di come i mass media influenzino le donne è l’ossessione per il #thighgap, in italiano “spazio o varco tra le cosce”. Il thigh gap ha una data di nascita ben precisa: dicembre 2012,

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quando durante uno show di Victoria’s Secret hanno sfilato in passerella molte top con cosce sottili e che presentavano questa conformazione. In particolare, furono le foto di Cara Delevigne45 e

neficio sulla salute, è puramente un’ossessione fine a sé stessa. Purtroppo, negli Stati Uniti questa mania ha avuto effetti devastanti su alcune adolescenti che, pur di raggiungere questo obbiettivo, si sono sottoposte a diete estreme o chirurgia. Essere belle dunque, secondo questo canone imposto e ormai collettivo, significa essere magre, esili, slanciate. Ideale fuorviante che spesso resta tale e perciò troppo spesso motivo di frustrazioni, depressione patologie alimentari e mentali.

4.2.1 La bellezza ai tempi di Instagram Vivere nella generazione corrente, non dev’essere per nulla facile, soprattutto per gli adolescenti, poiché con i social network tutto è stato stravolto, così come il modo di vedere la realtà e percepire il proprio corpo. Quel che predomina sui social è fortemente legato al concetto di bellezza, poiché essi sono basati sull’apprezzamento della gen-

45. Cara Delevigne durante lo show di Victoria Secret che mostra il suo varco tra le cosce.

del suo fisico androgino a far nascere questo ideale di bellezza del tutto illusorio: lo spazio tra le cosce, difatti, non dipende solo dal peso, ma soprattutto dalla conformazione del proprio corpo. Inoltre, va sottolineato che avere lo spazio tra le cosce non porta alcun be-

te, sui like e sui follower, e secondo il pensiero comune “ciò che non è bello non piace”. Prima dell’avvento dei social non c’era questa costrizione al confronto con figure ideali o icone estetiche 57


pria vetrina, in cui ciò che conta è farsi mostrare ed essere apprezzati. Ormai a tutti capita di passare ore a dubitare di sé o essere indecisi su quale sia il selfie migliore da postare. Il risultato è che veniamo percepiti come una generazione di narcisisti, una generazione che maschera un bisogno essenziale, l’essere apprezzati. Infatti, tutte le volte che riceviamo un’approvazione, il nostro corpo produce dopamina, la molecola della gratificazione. I like online sono l’equivalente dell’essere apprezzati, accettati e anche amati nella vita reale ma, come per tutte le cose, il rischio di perdere il controllo è davvero alto. L’impulso compulsivo a guardare il telefono in ogni momento della giornata può generare molto rapidamente una spirale negativa di invidiosa disperazione, l’equivalente di una droga. Il problema più importante

da prendere come riferimento. Qualsiasi problema relativo all’adolescenza, come dei semplici brufoli o un corpo in fase di sviluppo, diventava secondario. Oggi è tutto più complicato, l’adolescente, oltre ad essere impegnato nel delicato processo di costruzione della propria identità, vive all’interno di contenitori, come se fosse limitato nell’esprimere la sua vera natura, che è diversa in ognuno di noi. Uno dei social più utilizzati al mondo è proprio Instagram, che nasce nel 2010, e consiste in una piattaforma con un’impostazione molto più vicina a Snapchat e ai nuovi media sociali incentrati su fotografie e video di ogni tipo. Gli utenti possiedono un profilo personale su cui caricare qualsiasi contenuto multimediale, condividendo cosi con i proprio followers i momenti della propria giornata. Una vera e pro-

46. Filtri di bellezza di Instagram utilizzato da alcuni Influencer su Instagram.

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tempo o per porre fine a un disagio psicologico. Oggi invece lo si fa per diventare il clone di qualcuno di famoso, magari andando dal chirurgo con la foto dell’influencer di riferimento. Tutto ciò ha portato la nostra generazione a nascondere qualsiasi tipologia di imperfezione, cambiare le fisionomie del viso o del proprio corpo, creando un’immagine irrealistica. Ciò che conferma questa tendenza è la diffusione dei filtri di bellezza46 di Snapchat e Instagram con l’obiettivo di avere un volto iper perfetto, come se fosse ritoccato in digitale da filler. Recentemente però i filtri sono stati banditi47, poichè l’utilizzo ha contribuito ad alimentare in soggetti con scarsa autostima, uno stato di malessere. La conseguenza è un numero crescente di giovani donne che si presenta dal chirurgo estetico con la foto modificata del proprio viso chiedendo di avere lo stesso aspetto nella vita reale. A mio parere, i filtri dovrebbero rappresentare un’esperienza positiva per gli utenti, per dare un tocco di particolarità o una pellicola personale ai proprio contenuti,

è che ormai ragazzi e ragazzi, vengono a contatto con influencer e celebrità che non dovrebbero diventare icone di bellezza da seguire o imitare, poiché molte non celebrano una bellezza naturale, ma una finta bellezza, realizzata dalla medicina estetica. Quando si parla di “Instagram Face” ci si riferisce a un ideale di bellezza molto preciso: labbra carnose, sopracciglia folte ma ordinate, zigomi prominenti, occhi allungati, naso piccolo. Solitamente a questo viso fa seguito un corpo altrettanto conformato: seno grande, vita stretta, fianchi e sedere pieni e alti, gambe lunghe e affusolate, possibilmente abbronzate. Con l’Instagram Face questo meccanismo è diventato ancora più perverso: l’idea non è più quella di diventare “la versione migliore di se stesse”, ma diventare qualcun altro. Intanto, l’età media di chi si sottopone agli interventi si sta abbassando sempre di più, segnando un cambio di direzione rispetto al passato, quando si interveniva sul corpo – in modo spesso molto invasivo – per rimediare ai naturali segni del

47. Articolo su Fanpage.it del 24 Ottobre 2019.

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quindi un risultato del genere è davvero sconcertante. Così, se da un lato i movimenti femministi promuovono un’idea di bellezza unica e quindi speciale, che trasforma i difetti in punti di forza48 (lentiggini, smagliature, cellulite o peli), dall’altra c’è Instagram “finto” in cui prevalgono contenuti opposti e che celebra falsi contenuti. Purtroppo, dato l’aggravarsi sempre più della situazione, avremmo bisogno di profili che possano portare un cambiamento nella società superando l’idea ricevuta di bellezza, andando

oltre e mostrando la vera realtà, ma soprattutto post che riconoscano ogni tipo di forma, colore o stranezza per arrivare ad avere più stima di se stessi.

4.2.3 Le campagna pubblicitarie controtendenza La pubblicità sembrerebbe essere ormai qualcosa che fa parte di noi. Non si considera abbastanza quanto la nostra formazione come persone sia influenzata dai suoi parametri, veicolati soprattutto dalla televisione e negli ultimi anni anche attraverso internet. Le pubblicità ci dicono chi siamo e chi dovremmo essere oltre a cosa comprare, poiché riesce a raggiungere il nostro subconscio e ad influenzare il nostro modo di essere e pensare. Questo può portare a serie conseguenze, in particolar modo se viene condizionata l’immagine dell’individuo, cosa che succede molto spesso. L’advertising ormai contribuisce alla creazione e al consolidamento di pregiudizi o stereotipi all’interno della società, e ciò avviene molto spesso con il corpo femminile. Sin dalle origini infatti, le campagne pubblicitarie hanno avuto come testimonial volti e corpi femminili, utilizzati in maniera inadeguata e alterata. Attualmente, è ancora molto evidente all’interno delle

48. Influencer svela l’inganno dei social e i loro difetti, considerati punti di forza.

49. Campagna Pubblicitaria “I love my body” di Victoria Secret

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te campagne pubblicitarie, promuovendo una figura della “donna perfetta” e alimentando aspettative irreali sul “corpo ideale” e sugli standard di bellezza. In realtà, la pubblicità potrebbe fungere da promotrice di cambiamenti verso una società più egualitaria, più realistica e più “umana“. A tal proposito diversi brand hanno provato a contrastare questa tendenza, contribuendo dunque a far diminuire gli stereotipi di bellezza femminile in pubblicità. Impossibile, allora, non menzionare il progetto di Dove Show Us51(“mostrate noi”), che ha avviato una vera rivoluzione sul web. Una galleria fotografica su Instagram e l’hashtag di riferimento #showus è ciò che è servito a 116 fotografe provenienti da 39 paesi diversi che ritraggono donne di tutto il mondo nella loro bellezza naturale e autenticità senza l’utilizzo di filtri o distorsioni digitali. Donne che vivono ogni giorno in perfetta sintonia con loro stesse, che hanno fatto delle loro imperfezioni dei punti di forza, donne unite per distruggere li stereotipi di bellezza patinata e per diffonderne una

50. Irina Shayk, modella dal corpo “perfetto” posa per Intimissimi.

pubblicità49 la presentazione di un corpo ideale50 che ogni donna dovrebbe avere, al punto da diventare quasi degli oggetti o degli elementi accessori totalmente passivi e anonimi. Questo atteggiamento porta ad una oggettivazione del corpo femminile, che emerge in mol-

51. Progetto #Showus - Dove.

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52. Progetto #ProudInMyCalvins - Calvin Clain. Modella Jari Jones in primo piano.

visione più vera. Nel mese dedicato al Gay Pride 2020, il marchio di alta moda statunitense Calvin Klein, ha deciso di lanciare #ProudInMyCalvins52. Il brand è da sempre molto vicino alla comunità LGBTQ, sostenendone le battaglie, e questa volta ha scelto come testimonial Jari Jones53. La cover girl è un’afroamericana transgender e oversize: le sue foto vengono sfoggiate sui cartelloni pubblicitari e sui social del brand, che l’ha voluta proprio perché incarna valori importanti. Un vero onore presentare un’immagine di un corpo che troppo spesso viene demonizzato, molestato, fatto sentire brutto, soprattutto dopo un momento storico particolare del razzismo, esploso nuovamente dopo la morte di George Floyd. La campagna infatti mette sui cartelloni pubblicitari di mezzo mondo l’immagine di una “grassa donna nera trans”, un atto importante e di grande valore sul piano comunicativo e sociale. Altri brand, invece, cercano di lottare contro i tabù che riguardano il corpo – in particolare quello femmi-

nile –, come il ciclo mestruale, oppure cercano di promuovere la “normalizzazione” di immagini che riguardano i peli presenti sul corpo, cosa che paradossalmente non viene mai mostrata in pubblicità di rasoi o prodotti utili alla depilazione. Ne è un esempio la campagna pubblicitaria del marchio di rasoi americano Billie Razors, lanciata nel 2019 e diventata iconica sin da subito. La campagna è intitolata Red, White, And You Do You54, nello spot le modelle55, di varia etnia e taglia, sono in spiaggia ed a bordo piscina in costumi da bagno di vario genere, sfoggiando i loro peli

53. Modella Jari Jones per Calvin Klein.

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54. Progetto “Red, White, And You Do You - Billie Razors.

anni ed è una modella non professionista ed è nelle ultime settimane vittima di body shaming perché il suo viso non corrisponde ai canoni di bellezza tra-

in qualsiasi forma ritengano opportuna, che sia rasata o meno. La campagna è in netto contrasto con quella degli altri marchi di rasoio per donne che spesso mostrano una donna che fa scivolare un rasoio su una gamba senza peli. Ovunque andiamo, vediamo pubblicità che ci dicono che l’unico modo per apparire belli in costume è essere magri, in forma e senza peli. Questa campagna pubblicitaria ha proprio come obbiettivo normalizzare i peli del corpo e mostrare che abbiamo opzioni. Le donne devono sentirsi libere di fare ciò che vogliono con il proprio corpo, poichè ogni corpo è pronto per l’estate, al di là della depilazione. Come ultimo caso di grande successo, in grado di far parlare tutto il mondo, c’è la quello della modella di Gucci scelta per la sfilata57 del settembre 2019 a Milano per la collezione primavera/estate 2020. Si chiama Armine Harutyunyan56, è nata in Armenia, ha 23

55. Modelle per il progetto di Billie Razors.

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dizionale. Naso adunco, sopracciglia folte, volto ovale, è stata oggetto di insulti anche sulla scia di una notizia, in realtà non confermata da alcuna fonte, secondo cui sarebbe stata inserita dalla casa di moda tra le centro modelle più sexy del pianeta. Gucci l’ha scelta proprio per sparigliare le carte e offrire un modello di bellezza non tradizionale, nel nome dell’inclusione e della “body positivity”. Siamo nel solco delle ricerca di modelle più vicine alla realtà di tutti i giorni, infatti Armine non è una faccia comune bensì una scelta molto intellettuale. Ogni giorno si cerca una nuova personalità, un volto interessante ed il suo riesce ad esprimerne una molto forte e un carisma particolare. A molti utenti di Instagram non è piaciuto, e hanno lanciato una vera e propria valanga di insulti all’indirizzo della ragazza, tra paragoni infelici, insulti personali e commenti volgari.Purtroppo non tutti si rendono conto che aldilà dei nostri pregiudizi, dietro ad un viso che può essere bello o brutto c’è un’anima, un essere umano con dei sentimenti. Gucci ha preso il vostro make-up, la vostra costosissima chirurgia estetica, il vostro desiderio di diventare più belle di Venere, i vostri sacrifici di una vita per costruire un’inutile apparenza trascurando la sostanza e li ha letteralmente cestinati, stravolgendo il vecchio concetto di canone di bellezza. Armine è una modella di Gucci, mentre chi continua con il body shaming è indubbiamente un modello da non seguire.

56. Modella Armine Harutyunyan.

57. Armine Harutyunyan sfila per Gucci.

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Capitolo 5 Progetto Portrait


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5.1 Concept del Progetto

scattando una foto a se stelle, una sorta di ritratto del ritratto, nel vero significato della parola. In questo modo si vorrebbero celebrare delle nuove concezioni di bellezza femminile, proposti nel Novecento da alcuni celebri artisti e perciò non molto distanti da noi. Visioni che difficilmente ai giorni nostri verrebbero accettate o considerate “normali”. Il tutto è accompagnato da uno slogan, che riesca a riassumere i diversi concetti e farli diventare una cosa sola. I tre artisti presi in questione sono Fernando Botero, Frida Khalo e Tamara de Lempicka.

Il seguente progetto, intitolato “Portrait”, nasce in occasione dell’uscita del nuovo iPhone 11 Pro da parte del noto brand Apple, che con le sue caratteristiche ambisce a diventare uno dei migliori smartphone dell’anno. Il fiore all’occhiello del nuovo iPhone è la tripla fotocamera posteriore, implementata per la prima volta, ma soprattutto l’aver migliorato diverse funzionalità, tra cui la Modalità Ritratto, per realizzare scatti con effetto bokeh degni di un vero artista. Il brand Apple, è da sempre conosciuto come il top della modernità e della tecnologia, caratterizzato da una “neutralità” nei confronti delle tematiche attuali, soprattutto sociali. Tutto sommato, essendo uno dei brand più popolari a livello mondiale, potrebbe effettuare un cambio di rotta per contribuire alla sensibilizzazione della società riguardo alcune tematiche importanti. Il progetto “Portrait” consiste perciò nella creazione di una campagna adv, al fine di pubblicizzare innanzitutto il nuovo prodotto e contemporaneamente avviare una sorta di campagna di sensibilizzazione culturale per contrastare lo stereotipo di bellezza femminile moderno. Invogliare le donne a fotografare se stesse e credere nelle proprie diversità, senza coprirle o alterarle, è il messaggio che si vuole trasmettere. La scelta delle modelle avrà un ruolo importante, in quanto non ci saranno le solite donne che ritroviamo nelle pubblicità, ma delle donne che hanno lasciato un segno nella storia dell’arte, abbattendo gli stereotipi di bellezza femminile e proponendo una visione insolita, ognuna portatrice di un messaggio diverso e profondo. Le tre protagoniste sono rappresentate nel momento in cui stanno

Fernando Botero, artista colombiano, propone negli anni Trenta, grazie al suo stile fondato sull’uso delle cosiddette forme dilatate, diffonde a livello artistico il concetto di “figura grassa”. Frida Kahlo, artista messicana, esprime la libertà di essere se stessa, una donna che vive senza maschere. Nonostante avesse corpo minuto, sopracciglia folte e la peluria dei baffetti, è da sempre considerata una bellezza imperfetta. Tamara de Lempicka, artista polacca, propone negli anni Venti una nuova visione di donna moderna, trasgressiva, libera di vivere la sua bisessualità senza pregiudizi. Una donna sempre curata, attenta alla sua immagine e vestita alcune volte solo di un elegante rossetto rosso. Una modo di sentirsi bella, da non giudicare. Un ulteriore scopo è quello di creare una connessione tra il top della tecnologia e l’arte, da sempre capace di racchiudere molteplici significati in una sola opera. È lecito pensare che insieme possano far nascere qualcosa di “diverso” ma allo stesso tempo di grande impatto comunicativo. A livello stilistico, l’idea è quella di rispettare la linea già utilizzata 69


mezzo possibile per arrivare al suo obbiettivo e per raggiungere con più facilità il pubblico.

dalla Apple, in modo tale che chiunque, possa riconoscerla a primo impatto, aggiungendo però un pizzico di novità.

5.2 Target Il Brand Apple ha sempre compreso quanto sia importante, per una compiuta fidelizzazione, poter contare su un target molto vasto. Da anni infatti, soddisfa milioni e milioni di clienti, di tutte le età, poichè sono molteplici le motivazioni che spingono adulti e giovani ad acquistare un prodotto Apple. L’intera filosofia Apple poggia su un’idea complessiva di semplicità, immediatezza ed eleganza facile. Packaging, design, sistema operativo, interfaccia, acquisti e assistenza: tutto facile. Il cliente si sente soddisfatto, gratificato e pure un po’ in gamba. Al giorno d’oggi non c’è un solo momento all’interno della giornata in cui non potresti aver bisogno di un prodotto Apple: laptop, Apple TV, iPod, iTunes, iPhone, iPad. Con te tutto il giorno. Essendo un target molto ampio, la scelta di voler includere riferimenti alla storia dell’arte, verrà impostata prendendo in esame solo opere d’arte recenti, ma allo stesso tempo icone che gran parte della popolazione conosce, poichè portatrici di riflessioni sociali.

5.3 Campagna adv La campagna pubblicitaria verrà veicolata su un mix di mezzi digitali e cartacei, poichè Apple essendo una brand famoso a livello mondiale, utilizza ogni 70


Fernando Botero Donna seduta, 1997.

Tamara de Lempicka

Ritratto di Marjorie Ferry, 1932.

Frida Kahlo

Ritratto con gatto, 1940.

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Campagna adv - Cartacea

Slogan pubblicitario:

Modalità Ritratto Per uno scatto a regola d’arte.

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Poster 70x100

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Poster 1x1

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Poster 3x6

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Banner

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Campagna adv - Digitale

Slogan pubblicitario:

Modalità Ritratto Per uno scatto a regola d’arte.

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Slogan pubblicitario secondario: Con tre fotocamere puoi valorizzare al meglio te stesso, in tutta la tua unicità. D’altronde non è questo ciò che rende uno scatto affascinante?

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Sito Web

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Sito Web Mobile

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Instagram Post

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Instagram Stories

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Facebook desktop / mobile

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Conclusioni Alla luce di quanto analizzato fino ad ora, abbiamo riscontrato come ogni epoca storica abbia avuto uno specifico modello di bellezza ideale. Ogni civiltà, ogni artista analizzato ha elaborato una propria concezione, estremamente influenzata dal suo modo di pensare ma anche dal contesto storico e socio-culturale. È stata una scoperta continua che mi ha permesso di osservare come, a differenza di pochi anni, si possano maturare pensieri così diversi. Ciò che ha reso questo viaggio così affascinante è proprio il mondo che si apre e la diversità che si cela dietro la semplice frase “bellezza femminile”. Si è rivelato ancora più interessante scoprire come si è evoluto il concetto di bellezza nella società in cui viviamo. Potrei sostanzialmente affermare che i passi in avanti fatti in ambito pubblicitario, sono apprezzabili considerando il ruolo e l’aspetto che la donna assumeva molti anni fa. La realtà però è molto più dura da accettare, poichè nonostante ciclicamente vengano lanciate pubblicità dove si finge un campo di rotta, utilizzando modelle oversize o delle donne “naturali”, tutto ciò potrebbe rappresentare il classico contentino per mettere a tacere le frequenti critiche. Promuovere un’idea che metta in evidenza la normalità di un corpo è sicuramente un messaggio positivo, ma solo quando “l’imperfezione” entrerà nei cartelloni pubblicitari, nei ci-

nema, nelle televisioni, nelle passerelle allora sì che la direzione sarà cambiata. E forse allora, donne e uomini, capiranno che in bellezza, la perfezione non esiste. Nonostante ciò, i social credo vivamente possano fare la differenza, infatti qualcosa pian piano sta accadendo e forse andremo sempre più non tanto verso l’imposizione di un nuovo canone di bellezza, passo molto lontano da raggiungere, ma verso l’esaltazione e l’amore che ogni donna deve avere per il proprio corpo così come è. Le ossessioni per la forma e la paura di non essere accettate dovrebbero scomparire , focalizzandoci sull’unicità di ognuna di noi. Ciò che vorrei che accadesse nel futuro, è di assistere sempre meno a discriminazioni fisiche ed estetiche, poichè ciò che si è potuto constatare dal viaggio appena compiuto, è che siamo noi stessi i responsabili dell’affermazione di un canone estetico e alla creazione di pregiudizi. É il nostro modo di pensare che automaticamente potrà influenzare o essere influenzato da ciò che propone la pubblicità. Nessuno ha il diritto di decidere cos’è giusto e cos’è sbagliato, cos’è bello o cosa non lo è, cos’è strano e cosa invece è normale. Ogni donna è bella, comprese le sue imperfezioni, poichè sono proprio esse a renderle perfetta.

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Ringraziamenti Eccomi qui, nelle ultime pagine di questa tesi, ma soprattutto nelle ultime pagine di questi tre lunghi anni accademici. Non mi è semplice descrivere in poche parole quanto ha significato per me questo percorso, fatto sicuramente di alti e bassi, di lati positivi e negativi, ma pur sempre il mio percorso! Colgo l’occasione per ringraziare il mio relatore Antonino Foti e la mia docente di corso Paola Iannarilli per il contributo professionale ed umano che hanno fornito non solo durante la stesura della tesi, ma dall’inizio del mio percorso accademico. I ringraziamenti più sentiti vanno alla mia famiglia che da sempre ha investito e creduto in me, pur di non farmi mancare nulla. I vostri sacrifici, dei quali ve ne sarò per sempre grata, verranno sicuramente ricompensati. Questo traguardo lo considero il punto di partenza. Grazie ai miei compagni di corso perchè senza di loro nulla sarebbe stato lo stesso. Questi tre anni ricchi di risate, chiacchierate e intere giornate passate insieme, li porterò sempre con me, perchè il famoso terzo piano non rappresenta un semplice spazio, ma il nostro spazio.

so una strada completamente diversa, non hanno mai smesso di supportarmi e di apprezzare ciò che faccio. Mi auguro che nonostante un giorno le nostre strade si dividano, ognuno di noi riesca a realizzarsi e raggiungere i propri obbiettivi. D’altronde si resta amici anche quando si prendono strade diverse, se realmente lo si vuole. Ringrazio Francesco, il più grande compagno di questa avventura. Per molti il nostro percorso accademico potrebbe apparire “insolito” perchè condividere lo stesso interesse, vivere le stesse giornate, lavorare agli stessi progetti, consigliarsi costantemente ma soprattutto laurearsi lo stesso giorno non è da tutti. Ad oggi però sono certa che siano state proprio queste dinamiche ad unirci ancora di più. Paradossalmente se non avessi deciso tre anni fa di cominciare questo percorso, non avrei conosciuto te. Questo traguardo raggiunto insieme, nel vero senso della parola, perciò lo dedico anche a noi! Infine vorrei ringraziare me stessa, poichè nonostante la vicinanza delle persone citate fino ad ora mi abbia aiutata, la vera forza motrice che mi ha permesso di arrivare fino qui sono io.

Grazie ai miei più cari amici Rossella, Teresa, Martina, Gaetano e Matteo perchè nonostante ognuno di noi abbia intrapre103


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“Siate sempre orgogliose di quello che siete, la bellezza non è nel conformismo, ma nell'unicità di ognuna di noi.”


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