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Medicina Dossier

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BIMESTRALE DI DIVULGAZIONE SCIENTIFICA SU SALUTE E BENESSERE

Registrazione Tribunale di Pescara n° 1114/7 Agosto 2007 - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Roma/Aut. N. 12/2008

Foto: Vittorio Jannuzzi – Milano

Anno 3 - Numero 7

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PAGINE DEDICATE ALLA

INFARTO I PROBLEMI CARDIACI SI POSSONO PREVENIRE

DIETA I CONSIGLI DI ROSANNA LAMBERTUCCI

BENESSERE TUTTI I TRATTAMENTI PER CURARE LA VOSTRA BELLEZZA DURANTE L’ESTATE

REPORTAGE Tutto quello che bisogna sapere per smettere di fumare INTERVISTE Umberto Veronesi Luca Barbareschi Claudio Mencacci

TROVARE IL GIUSTO EQUILIBRIO TRA ALIMENTAZIONE E ATTIVITÀ FISICA

ALBERTO TOMBA


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Bimestrale di divulgazione medico scientifica su salute, benessere e informazione. Iscrizione al R.O.C. numero 17206 del 15/12/2008 Anno 3 - Numero 7 - 2009 Registrazione Tribunale di Pescara n° 1114/7 Agosto 2007 Progetto Editoriale Mario Pompilio

Direttore Responsabile Maurizio Costanzo Caporedattore Cristiana Zappoli Art Director Laura Lebro

Redazione Bahri Adis, M.F. Caravaggio, Biagio Costanzo, Mattia Curcio, Erika D’Alberto, Carlo de Ryski, Marco Di Clemente, Silvia Di Persio, Maurizio Ferrara Ruiz, Andrea Giuliani, Renato Minicucci, Valerio Spinelli, Valeria Tancredi, Mercedes Vescio, Gianfranco Virardi Redazione e progetto grafico KORE EDIZIONI Via Paolo Costa, 28c - 40137 Bologna Tel. 051.5875433 - Fax 051.5875795 www.koreedizioni.it - info@koreedizioni.it

RDM Via S. Cresimata, 1 - 65012 Cepagatti (PE) Tel. 800.985369 - Fax 085.9152202 Ricerca iconografica Erika D’Alberto Amministrazione e pubblicità RDM di Mario Pompilio Via S. Cresimata, 1 - 65012 Cepagatti (PE) P.IVA 01616240683 Tel. 085.9152202 - 347.1614708 mario@dossiermedicina.it Ufficio Stampa Studio Gallini - Comunicazione d’Impresa Via Vallazze, 11 - 20131 Milano Tel. 02.2367048 r.a. - Fax 02.70633840 Stampa La Tipografia Via Tassoni, 26/28 - 65122 Pescara Tel. 085.4214934 - 085.75234 latipografia@alice.it Distribuzione regionale e nazionale Per la distribuzione nelle edicole in Italia Eurostampa srl RDM La riproduzione anche parziale e sotto qualsiasi forma del materiale contenuto, anche rielaborata e diffusa sotto forma elettronica, è espressamente vietata senza l’autorizzazione scritta dell’editore. Tutti i diritti su testi, manoscritti, materiale grafico e fotografico sono di proprietà dell’editore. www.dossiermedicina.it - info@dossiermedicina.it




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Sommario Editoriale News dal Mondo In copertina

Lo sport può cambiare il mondo

24 28

IN PRIMA PERSONA

32 38

PREVENZIONE

Anche a tavola si previene il tumore

34

42

PATOLOGIE E TERAPIE

Malattie reumatiche. Il tempo è salute

NUOVE FRONTIERE

46

Helicobacter pylori. Nuova terapia

50

PSICOLOGIA

54

Attacchi di panico. Chiediamo aiuto

56

PSICOLOGIA DELLO SPORT

61

LINGUAGGIO

64

REPORTAGE

74

DISTURBI DELLA VISTA

I primi segnali della maculopatia

78

Nuove tecniche per i nostri occhi

80

CURE ALTERNATIVE

Ecco come curare i traumi del parto

L’ESPERTO RISPONDE

88

MEDICINA & SOCIETÀ La vita di pancia...

ALIMENTAZIONE

94

Alla ricerca dell’energia perduta

106 112 118 123

BELLEZZA E BENESSERE

110 116 122

Viso invecchiato? Le giuste soluzioni...

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LA CURA DEL SORRISO

132 136 139

Nuove tecniche per i denti

Il principio laico della scienza Proteggiamo i bambini

Possiamo calcolare i rischi del cuore

E se il papà... è depresso

Neoplasie al seno. Il futuro è già realtà

Allenare la nostra mente

Basta alla balbuzie con LIDCOMBE Le nostre vite in fumo

Mangiare sano? È uno stile di vita Più attenzione alla nostra pelle Iniziare l’estate in forma

Con il laser frazionato sempre giovani Combattere il cancro orale Più cura per le gengive Invisalign per teenager

La tecnologia che sorride

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Udire bene... sentirsi meglio

Nuove armonie del volto con la rinoplastica I risultati dopo la liposcultura

Ultrasuoni in odontoiatria

Implantologia mini-invasiva



Editoriale

Dossier Medicina

Giugno

Scelte di vita? Parliamone

R

ecessione. Crisi. I problemi della quarta settimana. Aumento del costo del denaro. E così via… L’economia in questi mesi sembra proprio non navigare in mari tranquilli. Anzi, tutt’altro. Conseguenze? Siamo tutti poveri. Anzi, volendo proprio citare il titolo di uno straordinario film, girato nel 1957 da Dino Risi, potremmo dire “poveri ma belli”. Esattamente. Perché secondo i dati dell’Isplad, l’International-Italian Society of Plastic Aesthetic and Oncology Dermatology, i primi due mesi del 2009 hanno fatto registrare un incremento, quasi del 20%, delle visite e terapie estetiche da parte delle donne e del 10% degli uomini, rispetto allo stesso periodo del 2008. Quindi, la crisi non sembra riguardare il campo della chirurgia estetica. Forse perché in un momento di progressive incertezze come questo abbiamo più che mai bisogno di rafforzare la nostra identità. Cerchiamo di proiettare nel mare magnum delle difficoltà della vita la nostra immagine intesa come sintesi di benessere e bellezza, seduzione e voglia di sentirsi appagati esteticamente. Il raggiungimento di un ideale fisico rappresenta dunque l’immediato tentativo di recuperare la sicurezza perduta. L’ostinazione di molte donne, nel voler migliorare il proprio aspetto, non è così diverso dal voler essere madri a tutti i costi. Infatti le aspiranti mamme si sottopongono ai lunghi calvari della fecondazione assistita, deluse inoltre da una contraddittoria e limitante legge 40. Allora, senza troppi giudizi e falsi moralismi, bisogna prendere coscienzadelfattochecisonomigliaiadidonnedisposteatuttopurdidiventaremamme o di risultare più belle e attraenti. Ben vengano dunque ritocchi estetici e fecondazioni assistite se garantiscono una modalità di vita più fiduciosa e positiva. D’altronde ognuno deve decidere liberamente della propria vita. E se qualcuno non può farlo non è più una persona, non è più un essere umano, ma un automa. (Anzi a tal proposito, non dimentichiamo che nei prossimi mesi sarà in discussione alla Camera la legge che rende obbligatorio, anche per chi non vuole, il sondino o la macchina che ti prolunga la vita in modo artificiale). Dare un senso alle nostre scelte può riscattare, a volte, un’esistenza infelice. Società, Chiesa, Governo, non devono condizionare la nostra vita. E di vita - nella sua accezione più ampia - parliamo in questo nuovo numero di DossierMedicina,conUmbertoVeronesi,LucaBarbareschi,ClaudioMencacci,Rosanna Lambertucci, Fausto Salaffi, Luigi Di Matteo, Dino Vaira, Giuseppe Vercelli e molti altri. Vite interrotte, da curare, guarire e indagarne i meccanismi più reconditi. Parliamo di quella vita che fa tutt’uno con chi la vive. Dal punto di vista della prevenzione, della cura, della diagnosi. Vite, dunque, che coincidono con l’esistenza e da cui sono inseparabili. di Maurizio Costanzo


News dal mondo Trapianti di staminali

Nel mondo i trapianti di staminali da cordone ombelicale aumentano ogni anno: si è passati dai 10.000 interventi del 2007 ai 20.000 nel 2008. Le cellule staminali da cordone ombelicale si sono infatti rivelate preziose per curare malattie quali leucemie, linfomi, ma anche malattie rare come la talassemia. Il successo degli interventi con staminali cordonali dipende da più fattori, tra i quali la loro maggiore compatibilità anche nel caso di trapianto eterologo, con una diminuzione del rischio di rigetto.

UN VACCINO CONTRO L’HIV

La felicità di genitori e figli Un nuovo studio, pubblicato su “Bioscience Hypotheses”, suggerisce che i sentimenti e gli umori che provano i genitori nel corso della vita possono influenzare i figli, fin da prima della nascita. In particolare, secondo Alberto Halabe Bucay del Research Center Halabe and Darwich in Messico, un vasto gruppo di sostanze chimiche generate nel cervello in seguito a differenti disposizioni d’animo, possono influire su ovuli e sperma. Nel suo articolo, il ricercatore suggerisce che gli ormoni e le sostanze chimiche figli di genitori felici o depressi possono lasciare il segno sulle cellule germinali, dando luogo a modificazioni proprio nel momento del concepimento. Sostanze chimiche prodotte nel cervello come le endorfine, ma anche marijuana ed eroina, sono note per avere significativi effetti su spermatozoi e ovociti, alterando la struttura dei geni che sono attivi in queste cellule. Lo studio suggerisce una via attraverso la quale la psicologia dei genitori prima del concepimento può effettivamente incidere sui geni del bambino.

Nuove terapie genetiche Alcuni scienziati finanziati dall'UE hanno sviluppato un nuovo metodo, non virale, per portare i geni all'interno di una cellula. La tecnica sembra evitare gli effetti collaterali, come il cancro, che possono verificarsi quando vengono usati i virus per introdurre geni in una cellula. La terapia genetica comporta l'inserimento di geni nelle cellule di un paziente e si è rivelata efficace nel trattamento di una serie di malattie che altrimenti sarebbero incurabili. Potrebbe essere usata per le malattie ereditarie e per le malattie che colpiscono il cuore e il cervello. 14 Dossier Medicina

Un gruppo di ricercatori americani ha forse scoperto la tecnica che porterà finalmente alla realizzazione del vaccino contro il virus dell'Aids: ha creato infatti un anticorpo artificiale trasportato nell’organismo da un virus. Questa molecola sintetica del sistema immunitario è riuscita a proteggere le scimmie contro la versione animale dell’Hiv, che viene chiamata Siv. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista “Nature Medicine”.

L'ETÀ DELLA PRIMA MESTRUAZIONE

Un'equipe di scienziati inglesi ha localizzato due geni sui cromosomi sei e nove che, con tutta probabilità, indicano a quale età una bambina diventerà donna, ovvero quando avrà la sua prima mestruazione. Lo studio, apparso su “Nature Genetics”, aiuta non solo a spiegare perché le ragazze in sovrappeso hanno una pubertà più precoce, ma può gettare luce sullo sviluppo di alcune malattie. La durata della vita riproduttiva è infatti connessa con il rischio di sviluppare alcune patologie, come quelle cardiache, il cancro al seno o l'osteoporosi, influenzate, si ritiene, dall'ormone femminile, l'estrogeno, che viene prodotto in quantità maggiori durante l'età fertile.


Il gene della calvizie

Ricercatori giapponesi hanno identificato un gene che potrebbe essere il responsabile della calvizie. Sarebbe il Sox21, così chiamato dai ricercatori del National Institute of Genetics di Mishima che l'hanno scoperto. Questo gene, se è “spento” determina una ciclica perdita di pelo nei topi. La speranza è che faccia lo stesso effetto negli uomini, spiegano i ricercatori guidati da Yumiko Saga sulle pagine della rivista “Pnas”, in modo da offrire la possibilità di intervenire. Il Sox21 «è probabilmente coinvolto - spiega Saga - nella differenziazione delle cellule staminali che formano lo strato esterno del capello». Gli scienziati hanno trovato tracce di questo stesso gene su campioni di pelle umana analizzati dopo la reazione dei topi.

Latte e cereali per gli sportivi

LAVORARE ALLONTANA L’ALZHEIMER Uno studio dell'istituto di psichiatria del King’s College di Londra sostiene che mantenere il cervello attivo lavorando fino a tarda età è un modo efficace per tenere lontano e ritardare l’Alzheimer. Gli studiosi sono arrivati a questa conclusione dopo aver analizzato i dati di 1.320 pazienti malati di demenza, di cui 382 uomini, che dimostrano che ogni anno in più di lavoro corrisponde a 6 settimane di ritardo dell’inizio della vecchiaia: la “riserva cognitiva” ritarda la demenza, causata dalla perdita di cellule nel cervello.

Dai ricercatori americani dell’Università del Texas ad Austin, arriva un suggerimento semplice ed efficace per favorire il recupero muscolare senza ricorrere ai drink energetici o a bevande similari. In uno studio pubblicato su “International Society of Sports Nutrition”, suggeriscono latte e cereali per ritrovare le forze. Sono infatti in grado di ricostituire la riserva di glicogeno e favorire la sintesi proteica. La ricostituzione dell’energia muscolare, inoltre, è immediata come ha dimostrato l’esperienza su 12 ciclisti sottoposti ad un moderato sforzo in una pedalata di due ore. Gli scienziati hanno realizzato due biopsie muscolari: una appena dopo l’attività fisica e una 60 minuti dopo la colazione. Scoprendo così l’efficacia dell’integrazione a base di latte e cereali.

DALLA CALIFORNIA IL RIMEDIO AL PANICO

La floriterapia californiana, figlia di quella classica del dottor Bach, è nata negli anni 70 per opera dei coniugi Patricia Kaminski e Richard Katz. Presenta alcuni rimedi per affrontare con più serenità le situazioni avverse, per combattere stati di ansia e panico. Il fiore giusto, in questo caso, è il Red clover, che secondo le ricerche dei due floriterapeuti è utile a tutte quelle persone che sono suscettibili all'isterismo e all'ansia di massa, facilmente influenzabili dal pensiero di gruppo.

LA LENTE SALVA - RETINA

Ha ottenuto un riconoscimento come “migliore invenzione europea”. È una lente a contatto salva-retina, inventata in Spagna, ed è stata premiata a Ginevra. È stata la ricercatrice spagnola Celia Sànchez Ramos, professore dell’Università di Madrid, a realizzare filtri per lenti a contatto in grado di proteggere la retina. Ad assegnare il riconoscimento è stata l'Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale. La lente è anche in grado di rallentare in certi casi il degrado della visione verso la cecità ed è basata sulla scoperta che un filtro giallo può proteggere la retina dagli effetti dannosi dei colori viola e blu dello spettro della luce, che possono deteriorarne i neuroni della retina e quindi la visione.

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News dall’Italia

Labbro leporino: perché? Alcuni ricercatori italiani hanno identificato la variante genetica rs987525, responsabile della labiopalatoschisi o labbro leporino. Una ricerca guidata dal Prof. Michele Rubini, ricercatore in Genetica Medica del Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica dell'Università di Ferrara, e condotta da un gruppo di scienziati dell'Università di Bonn, in Germania, e del Consorzio Eurocran, ha permesso di individuare la principale variante genetica che causa il cosiddetto labbro leporino (labiopalatoschisi). Chiamate anche “labbro leporino”, le labiopalatoschisi sono fessurazioni del labbro e del palato che si manifestano alla nascita in tutto il mondo con una frequenza di circa un neonato ogni 700. Sono malformazioni congenite che richiedono importanti interventi chirurgici e precise cure riabilitative, peraltro pienamente disponibili solo nel mondo occidentale. Anche se da anni è noto che sono principalmente dovute a cause genetiche, finora erano stati individuati solo geni di minore importanza. Studiando il genoma di 460 bambini nati con labiopalatoschisi, i ricercatori sono arrivati a capire che la principale variazione genetica associata alla labiopalatoschisi si trovava sul cromosoma 8, in una regione in cui con gli approcci tradizionali non si sarebbe mai pensato di indagare.

UNA SUPER DIALISI Nuove speranze per gli oltre 45 mila italiani in dialisi per insufficienza renale, pazienti che aumentano al ritmo di 10 mila all'anno. Una nuova tecnica concepita e studiata nel nostro Paese, all'Ospedale di Seriate in provincia di Bergamo, promette infatti di depurare il sangue con la massima efficienza e di aumentare del 35% la sopravvivenza dei malati. Questa dialisi si chiama “emofiltrazione online mista” ed è

Guarire dal tumore della tiroide si può

l tumore tiroideo è il più frequente dei tumori endocrini e rappresenta l'1,5% di tutte le neoplasie. La sua prognosi è certamente fra le migliori in tutto il panorama oncologico. In particolare il carcinoma papillare si avvicina al 100% di guarigione con l'eccezione dei casi che si presentino con malattia avanzata. Una diagnosi di carcinoma tiroideo, perciò, non ha assolutamente implicazioni drammatiche e non deve essere vissuto in modo allarmante. Lo ha evidenziato Daniele Barbaro, direttore della Sezione di Malattie Endocrine e Metaboliche della A.S.L. 6 di Livorno nel corso di un convegno svoltosi sull’argomento e organizzato da A.T.T.A. onlus Toscana, associazione nata con lo scopo di dare supporto alle persone con tumore tiroideo.

stata presentata presentata in anteprima globale al Congresso mondiale di nefrologia (Wcn), ospitato dal 22 maggio a Milano. È dotata di un controllo computerizzato dell'andamento della seduta dialitica, che permette la massima depurazione possibile del sangue del paziente senza effetti collaterali. I risultati clinici preliminari su un ristretto numero di pazienti sono stati decisamente incoraggianti.

PAPÀ DEPRESSI DOPO IL PARTO

La depressione post-parto colpisce anche l'uomo. Spesso impreparati a diventare padri, o incapaci di adattarsi alle nuove responsabilità e alla rivoluzione portata dal bebé nel menage quotidiano, 5 neopapà su 100 entrano nel tunnel del mal di vivere. Con gravi rischi per il benessere della coppia, della partner e del bambino. A sostenerlo è uno studio condotto a Milano dall'equipe dello psichiatra Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell'ospedale Fatebenefratelli. Sono stati osservati 120 neopapà, tutti italiani, 35 anni in media, con un lavoro stabile e un livello di istruzione medio-alta. E i risultati sono che il 5% del campione, analizzato sulla base di specifiche scale di valutazione scientificamente validate, ha mostrato una forma di depressione direttamente legata al lieto evento. Sintomi che durano circa un anno, quindi un po' meno rispetto a quelli femminili, ma che possono avere pesanti ripercussioni sulla vita della coppia e del bambino.

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A breve il sangue artificiale

Uno scienziato italiano, il Dr Luigi Adamo, in forza presso la Scuola di Medicina di Harvard, ha scoperto una nuova via verso il sangue artificiale. Il tutto senza incorrere in problemi etici legati all´uso delle cellule staminali embrionali. Ha infatti svelato perché il cuore dell´embrione comincia a battere prima che i tessuti abbiano bisogno di essere irrorati dal sangue. È lo stimolo meccanico generato dal battito cardiaco a indurre la formazione dei precursori del sangue (cellule staminali originate dalla parete dei vasi embrionali che nell´adulto si trovano nel midollo) da cui si generano globuli rossi, bianchi e tutte le altre cellule ematiche. Dunque lo stimolo meccanico potrebbe essere la tessera mancante per rigenerare in laboratorio cellule staminali del sangue funzionanti in vivo, cioè nel corpo umano.

Obesità infantile diffusa In Italia il 23,6% dei bambini è in sovrappeso e il 12,3% obeso, il che significa che un terzo ha un rapporto sbagliato con l'alimentazione. A lanciare l'allarme è Michele Carruba, direttore del centro di ricerca sull'obesità dell'Università di Milano. Un bambino obeso ha l'86% di probabilità di rimanere tale anche da adulto, senza contare le conseguenze immediate. Addirittura si cominciano ad individuare casi di bambini che si ammalano di diabete di tipo 2, una malattia che un tempo veniva chiamata diabete senile. Molteplici le cause scatenanti che interagiscono per arrivare a queste situazioni: eccessiva e cattiva alimentazione, ridotta attività fisica, fattori di tipo genetico/familiare. Rari, invece, i casi di obesità legati ad alterazioni ormonali.

FARMACI CONTRO IL MELANOMA Nuovi potenziali farmaci contro il melanoma, la forma più aggressiva e letale di cancro cutaneo nella popolazione caucasica di pelle chiara, sono stati scoperti da alcuni scienziati del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Una famiglia di molecole, derivati della porfirina e sintetizzati dal gruppo di Lorenzo Pellerito del Dipartimento di Chimica Generale e Inorganica dell’Università di Palermo, è in grado di raggiungere in modo selettivo le cellule malate ed attivare al loro interno il processo di morte programmata inducendole a suicidarsi. Lo ha dimostrato uno studio condotto da Giovanna Barbieri e Maria Assunta Costa dell'Istituto di Biomedicina e Immunologia Molecolare del CNR di Palermo.

INTERVENTI ALLA CORNEA

Migliorano le tecniche del trapianto di cornea e sempre più spesso si preferisce utilizzarne una per due interventi. Sempre più innovative anche le tecniche di correzione dei difetti visivi. A spiegare le nuove possibilità è stato Carlo Maria Villani, direttore di oftalmologia dell'azienda ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma, a margine del congresso internazionale organizzato dalla Società Oftalmologica Italiana (Soi) che si è tenuto a maggio a Roma. La tendenza è quella di ridurre i trapianti a tutto spessore a favore della divisione della cornea in due strati. Migliorano anche gli interventi alla cornea per correggere i difetti visivi: ormai si può intervenire anche su miopie più importanti con un miglioramento nel decorso postoperatorio. Sono interventi fatti prevalentemente sui giovani con difetto stabile da almeno un anno.

Endometriosi: ne soffre il 10% delle donne

Il 10% delle donne soffre di endometriosi, percentuale che sale fino al 17% tra le adolescenti e al 30% nell'età fertile. Questi alcuni dati presentati dal 28 al 30 maggio a Roma, al Policlinico Gemelli. L’endometriosi è una malattia cronica e complessa, originata dalla presenza anomala del tessuto che riveste la parete interna dell’utero, endometrio, in altri organi quali ovaie, tube, peritoneo, vagina, intestino, provocando sanguinamenti interni, infiammazioni croniche e tessuto cicatriziale, aderenze ed infertilità. Tra i campanelli d'allarme di questa malattia, dunque, il dolore associato alla mestruazione e ai rapporti sessuali e la sterilità.

Dossier Medicina 17


In copertina CORRETTA ALIMENTAZIONE E COSTANTE ALLENAMENTO (POSSIBILMENTE ALL’ARIA APERTA). È QUESTA LA RICETTA DI ALBERTO TOMBA PER MANTENERSI IN FORMA. IL GRANDE CAMPIONE ITALIANO RIFLETTE SUI BENEFICI CHE SI POSSONO TRARRE DALLA PRATICA SPORTIVA. BENESSERE FISICO. E SOPRATTUTTO MENTALE di Andrea Giuliani

MONDO

LO SPORT PUÒ CAMBIARE

IL

U IL LIBRO A 20 anni dagli ori olimpici di Calgary e a 10 dal suo ritiro dalle competizioni ufficiali, Alberto Tomba ha voluto celebrare la sua carriera raccontandosi in un libro - biografia, “Prima e seconda manche”, scritto con l’aiuto della giornalista Lucilla Granata (Foto: Vittorio Jannuzzi, Milano)

n campione resta sempre un campione. Anche quando si ritira dalle competizioni. L’impulso a conquistare il traguardo non viene mai meno. Alberto Tomba ce l’aveva sulle piste da sci e continua ad avercelo oggi nella vita di tutti i giorni. Lo si capisce dalle scelte che ha fatto, come quella di essere uno dei grandi campioni fondatori della Laureus Academy & Sport For Good Foundation, associazione no profit che aiuta, attraverso lo sport, le comunità più disagiate in giro per il mondo. Quotidianamente, a sostegno di una forma fisica impeccabile e di una effervescente vitalità che gli permette di viaggiare ancora molto per affrontare i suoi numerosi impegni, il campione italiano segue un’alimentazione equilibrata e una regolare attività sportiva. Corsa all’aria aperta d’estate, nuoto in piscina d’inverno e una dieta tipicamente mediterranea. Sono questi semplici gesti quotidiani i “segreti” di Alberto Tomba (la sua «manutenzione ordinaria», come lui stesso racconta) per mantenere il suo fisico sempre al top. Lo sport per lui è fonte di energia e valvola di sfogo. Una sorta di migliore amico per la vita, da cui non potrebbe mai separarsi.

«Continuo a praticare tanto sport, prediligo la corsa, soprattutto all’aperto, a cui mi dedico appena arriva la primavera, e poi il nuoto in piscina, ma anche in mare, che aiuta a liberarsi dai liquidi in eccesso e fa benissimo alla pelle. In pratica cerco di dedicare allo sport un’ora al giorno, per stimolare non solo i muscoli ma anche l’apparato respiratorio e circolatorio. Insomma, manutenzione ordinaria».

«Lo sport per me è la vita. In generale anche oggi, quando devo risolvere un problema, faccio sempre sport. È una valvola di sfogo ma anche una fonte di energia. Lo è per molti. Per tutti quelli che incontro a fare jogging o in bici. Li vedi in completa sintonia mente-corpo. È una sensazione impagabile, che ti rimette in contatto con la natura e con te stesso».

Che alimentazione seguiva durante gli allenamenti, prima del suo ritiro dalle gare?

Cosa rappresentava per lei lo sport prima del ritiro? E cosa rappresenta oggi?

Dopo il suo ritiro dalle gare ufficiali come fa a mantenersi in forma? 18 Dossier Medicina

Ci sono esercizi che esegue quotidianamente?

«La corsa all’aria aperta, soprattutto in mezzo al verde, sia per una questione di ossigenazione che per il terreno: non è duro come l’asfalto e ha un impatto più morbido. Poi nuoto, comincio con stile libero, aumentando gradatamente le vasche, poi passo ad altri stili più impegnativi che mi permettono di stimolare tutti i muscoli. Il nuoto è lo sport più completo e l’acqua diminuisce il peso specifico del corpo, garantendo prestazioni che non affaticano le articolazioni. Un allenamento mutuato da quando gareggiavo è quello sui pattini in linea, fantastici per migliorare l’equilibrio. Se capita, poi, mi piace giocare a tennis, andare in canoa, ma anche pallacanestro e pallavolo mi divertono, perché sono giochi di squadra. Anni fa giocavo anche a golf con discreti risultati, ma è uno sport troppo statico per me, forse tra qualche anno riprenderò, ma per ora prediligo gli sport più “movimentati”». «Un’alimentazione più calorica, per sopportare lo stress di lunghi allenamenti. Avevo una maggior massa muscolare, ma anche la parte grassa non scherzava, perché con gli sci lunghi di allora il peso era una componente importante nella gestione del movimento. E poi proteine per i muscoli e carboidrati per l’energia».


Foto: Vittorio Jannuzzi – Milano

ALBERTO TOMBA Nato a Bologna 43 anni fa. Campione di sci, con 50 vittorie complessive in Coppa del Mondo, è il terzo sciatore di sempre per numero di successi. È stato uno dei principali testimonial dei Giochi Olimpici di Torino 2006


In copertina Credits Francesco Panunzio – Milano per FILA

qua fuori pasto. Non è che abbia inventato niente, è una dieta piuttosto mediterranea, con molta attenzione a come mi sento e, se mi capita di esagerare, il pasto successivo lo tengo più leggero. Insomma cerco di prendermi cura di me attraverso il cibo, come suggeriva Ippocrate: "fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo"». Cosa faceva prima di una gara per trovare la concentrazione?

«Cercavo di svuotare la mente da tutto. Bevevo un po’ di the caldo, pensavo alla ricognizione della mattina. Guardavo il traguardo e vedevo il gradino più alto del podio». Pensa che lo sport, agonistico e non, possa cambiare la vita di un individuo?

SLALOM TRA GLI IMPEGNI

Alberto Tomba è stato uno dei più importanti campioni dello sci di tutti i tempi. La sua bacheca vanta 3 medaglie d’oro e 2 d’argento alle Olimpiadi e 2 medaglie d’oro e 2 di bronzo ai Mondiali. È stato 89 volte sul podio e nel 1995 ha vinto la Coppa del Mondo Generale. Si è ritirato dalle gare ufficiali nel 1998. Attualmente si dedica a progetti legati alla neve, talent scouting, test materiali ed eventi promozionali. Sempre sulla neve e sempre a contatto con il pubblico, per trasmettere l’entusiasmo per lo sci, per lo sport e per i suoi valori. Sta inoltre partecipando a una serie di appuntamenti tutti europei, anticipazione delle attività legate alle prossime Olimpiadi Invernali di Vancouver 2010.

E che dieta segue oggi?

«La parola dieta io non la intendo in senso di privazione e dimagrimento ma, come i greci, la considero sinonimo di stile di vita o modo di vivere, in questo caso, di alimentazione. Credo che, se valutiamo le reazioni del nostro corpo, tutti noi capiamo quali alimenti ci disturbano, quali ci danno energia, ci rilassano o ci stimolano. Io cerco di nutrirmi nel modo più vario, ma con moderazione. Alla mattina faccio una colazione con frutta, cereali, un po’ di carboidrati, ma non mi faccio mancare il caffè, da buon italiano, anche se mi limito ad un paio di tazzine al giorno. Se mi viene fame tra un pasto e l’altro faccio uno spuntino a base di frutta o una buona spremuta di arance e pompelmo. A pranzo prediligo carboidrati, che non mescolo con la carne, ma piuttosto con le verdure. Ed alla sera proteine, meglio se di carne bianca o di pesce, che cerco di mangiare almeno 3-4 volte la settimana, prediligendo quello di piccola dimensione, che ha più omega3 e, nel caso, meno mercurio. A fine pasto poi, un po’ di frutta e verso l’estate, se capita, anche un gelato leggero. E come condimento olio extra-vergine di oliva di qualità e parmigiano reggiano. Poco sale e tanta ac20 Dossier Medicina

«Assolutamente sì, soprattutto per i più piccoli. Lo sport è scuola di vita. Insegna i valori della correttezza, della lealtà e il rispetto per tutti, anche per l’avversario. Sono lezioni utili nella vita di tutti i giorni. Pensiamo al gioco di squadra, dove spesso ti sacrifichi per raggiungere l’obiettivo comune. Non è forse l’esempio di un team di lavoro? Oppure il sacrificio, la determinazione, i duri allenamenti che ti portano a perseguire l’obiettivo sportivo, esattamente lo stesso iter che da adulto ti trovi ad affrontare nel lavoro e nella vita di tutti i giorni. Oppure per la riabilitazione di chi ha subito un trauma psicologico, ma anche di chi ha commesso un crimine. Lo sport può essere anche la strada che si persegue per unire popoli che sono divisi dall’odio e da guerre fratricide. A questo proposito, sono membro fondatore della Laureus Academy & Sport For Good Foundation, insieme a più di 40 campioni internazionali di ogni sport come Nadia Comaneci, Michael Johnson, Boris Becker, Giacomo Agostini, il cui spirito e obiettivo è proprio quello di portare lo sport dove ci sono problemi di ordine sociale ed economico, di droga, di delinquenza minorile. Attraverso la presenza di grandi esempi dello sport mondiale, cerchiamo di avviare allo sport chi ha perso speranza, amici, famiglia, e li vediamo rinascere, sorridere, sperare nuovamente. È stato Nelson Mandela, nella prima riunione dell’Academy, a fornirci il motto che abbiamo fatto nostro: “Sport can change the World”. Lo sport può cambiare il mondo. In meglio aggiungerei. Io ci credo». Cosa spinge e alimenta la volontà di uno sportivo nel tentativo di arrivare primo?

«Lo spirito competitivo è in ognuno di noi, ma in modo diverso. Alcuni ne hanno tanto e allora si votano alla competizione. Lo vedi in certi campioni. Io ne sono sicuramente un esempio. Ma anche Michael Jordan, Valentino Rossi, e alcuni altri. Lo spirito competitivo ti sprona a superare qualsiasi ostacolo, proiettandoti verso la vittoria. Certo, abbiamo anche una buona dose di sportività e sappiamo che l’importante è comunque partecipare. Ma vincere, beh, vincere è un’altra cosa».


Foto: Vittorio Jannuzzi – Milano

IL NUOTO È UNO SPORT COMPLETO. L’ACQUA DIMINUISCE IL PESO SPECIFICO DEL CORPO. OFFRE PRESTAZIONI CHE NON AFFATICANO MOLTO LE ARTICOLAZIONI


In copertina L’INTERVENTO DOPO L’INCIDENTE - Parla il Professor Rubens Giorgio Mattioli «Conosco Alberto da più di dieci anni, e lo considero prima di tutto un caro amico. Deve essere così anche per lui perché, dopo essere stato colpito al volto da uno sconosciuto lo scorso gennaio, si è fermato subito a Modena da me per una prima sincera valutazione. Ho immediatamente constatato che quello non sarebbe stato un trauma senza conseguenze chirurgiche, ma Alberto mi ha chiesto di trovare una soluzione temporanea che gli consentisse di rispettare gli appuntamenti promozionali invernali che ancora affollano la sua agenda. Ma arrivati alla primavera, sono sorti i primi problemi seri di respirazione, soprattutto durante lo jogging che pratica giornalmente all’aria aperta per tenersi in forma. Insieme abbiamo deciso di risolvere definitivamente il problema e lo scorso 11 maggio l’ho sottoposto ad un intervento di rinosettoplastica funzionale ricostruttiva, necessaria dopo il trauma subito. Il colpo al viso, infatti, aveva causato una frattura delle ossa nasali, una deviazione della piramide nasale e un collasso con conseguente infossamento della cartilagine triangolare di sinistra. A queste lesioni si associava anche un netto danno funzionale. L'intervento ha previsto la riduzione della frattura e la ricostruzione della valvola nasale attraverso innesti di cartilagine che hanno creato il nuovo sostegno della cartilagine triangolare. Si tratta di un intervento breve, ma delicato e necessario per il ripristino della funzionalità nasale, importantissimo per chiunque, ma vitale per un atleta come Alberto, che continua a praticare sport intensamente. Il recupero è stato sereno e veloce, con conseguente riuscita dell’intervento e completa ripresa. Alberto ha ripreso la sua tabella di allenamenti all’aria aperta, con notevole miglioramento dell’attività respiratoria, una conseguente migliore ossigenazione, e prestazioni al 100%.». Prof. Dott. Rubens Giorgio Mattioli, Chirurgia Funzionale del naso e del viso

Se non avesse potuto praticare lo sci, quale altro sport avrebbe scelto?

«Ho cominciato con lo sci nautico da piccolissimo. Papà mi portava al mare insieme a mio fratello Marco e ci metteva sugli sci, poi, quasi contemporaneamente, sono passato alla neve. Mi piaceva anche il motocross e anche con il tennis non scherzavo. Recentemente ho giocato qualche set con Boris Beker per un evento benefico e mi ha fatto i suoi complimenti... chissà forse ho un futuro da senior». Lo scorso ottobre è uscita la sua prima biografia ufficiale, scritta con l’aiuto della giornalista sportiva Lucilla Granata ed edito da Sperling & Kupfer per la sezione “I fuoriclasse”, come è stata l’esperienza da scrittore?

«Quello della biografia era un progetto che accarezzavo da tempo. Poi è arrivato il 2008, un anno di celebrazioni, a 20 anni dalle prime medaglie olimpiche di Calgary 1988, e a dieci anni dal ritiro, dopo la vittoriosa gara di Crans Montana a Marzo 1998. Ho sentito che era l’anno giusto per festeggiare con la biografia. È stata un’esperienza fantastica: ho ripercorso la mia carriera non da protagonista, ma da spettatore come tutti gli altri. Rivedendo le gare registrate, rileggendo gli articoli di giornale che non avevo mai visto. E la risposta del pubblico è stata incredibile: 15.000 copie vendute sino ad oggi, terza ristampa (un record per un libro sportivo) e soprattutto una valanga di lettere e mail in cui la gente mi ringrazia per le emozioni che ho fatto rivivere attraverso questo libro. Una grandissima soddisfazione, un libro mio, diretto, semplice, che parla di me, niente filtri, niente interpretazioni, solo sincerità e sport al 100%». 22 Dossier Medicina

Qual è il ricordo legato alla sua prima vittoria?

«Non ci credi. Poi ci credi. Poi festeggi. E poi non vedi l’ora di riprovare quell’incredibile emozione. Non è un punto di arrivo, da lì parte tutto: le conquiste, le sconfitte, tutto». Provi a descriverci il suo stato d’animo il giorno in cui ha annunciato il ritiro dalle gare.

«Sono arrivato al ritiro dopo 12 anni di carriera agonistica incredibile. Ho vinto Ori e Argenti Olimpici e Mondiali, Coppe del Mondo di specialità e generale. Molti gli obiettivi che mi ero prefissato erano raggiunti. Dall’altra parte ero sottoposto ad una pressione dei media che non riuscivo più a sopportare. Il mio carattere spontaneo, le mie dichiarazioni dirette, spesso troppo sincere, venivano travisate, sfruttate, sezionate ed interpretate a piacere. Ero continuamente sotto i riflettori di una stampa che non mi piaceva e non mi interessava. Lo spirito sportivo a cui mi ero dedicato era sempre più in secondo piano. In una parola non mi divertivo più. Era arrivato il momento di cambiare. Di cercare nuovi stimoli, sempre nello sport, ma in maniera più umanamente gratificante. È per questo che mi sono ritirato. Ma solo dalle competizioni ufficiali. Dalla neve, dallo sport, quello no. Mai». Qualcuno ha detto che lei non è mai diventato uno sciatore, perché è nato che lo era già. Lo pensa anche lei?

«Penso che ogni persona abbia un destino già segnato. Quando scopri qual è ci devi lavorare comunque su, ma buona parte della strada è già fatta. Io credo di aver avuto la fortuna di incontrare prestissimo il mio destino. Forse non appena nato, ma sicuramente intorno ai cinque anni».



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In prima persona

UMBERTO VERONESI

È chirurgo, ricercatore, uomo di scienza e di cultura. La sua attività clinica e di ricerca è stata incentrata per lunghi decenni sulla prevenzione e sulla cura del cancro. Ha creato una Fondazione, che porta il suo nome

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SCIENZA Il principio laico della

GLI SCIENZIATI POSSONO, ANZI DEVONO, CONTRIBUIRE AL PROCESSO DI PACE NEL MONDO. QUESTO IL PENSIERO DI UMBERTO VERONESI. CHE IN QUESTA INTERVISTA PARLA DELL’IMPORTANZA DELLA DIETA VEGETARIANA E DEI PROGRESSI DELLA RICERCA SULLE CURE DEI TUMORI di Silvia Di Persio

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ecuperare la forza della nostra razionalità, coltivarla e svilupparla all’interno di un progetto coerente, libero e innovativo per il nostro futuro». Basterebbero queste parole per identificare il pensiero di Umberto Veronesi come il pensiero di un uomo libero. Grazie alla scienza. Dalla pace nel mondo a una scelta alimentare individuale, ogni ambito per Umberto Veronesi può e deve essere illuminato dalla razionalità scientifica, perché il progresso possa essere benessere per le generazioni di oggi e per quelle di domani. Specchio di questa concezione la sua instancabile attività di promozione della ricerca scientifica, in particolare attraverso la Fondazione Umberto Veronesi e l’Istituto Europeo di Oncologia. Lo abbiamo incontrato per parlare di presente e futuro della ricerca, di alimentazione e salute, ma soprattutto per capire se davvero la fiducia nella scienza ci permetterà di vivere meglio tutti.

Professore Veronesi, lei è sostenitore del vegetarianismo e del testamento biologico. Nel novembre2004hapresentatoil“Manifestobiotech” sostenendo la mancanza di prove dell’esistenza di danni per chi consuma prodotti derivati da coltivazioni geneticamente modificate. Ha difeso i termovalorizzatori e organizza l'incontro mondiale “Science for peace”. Il suo è un pensiero trasversale e indipendente. Esiste un legame tra questi diversi impegni e un concetto di "salute” più ampio che giunge a coinvolgere anche la pace?

«La mia posizione a favore delle coltivazioni ogm e dei termovalorizzatori si basa su dati scientifici. Il mio impegno per la definizione di una legge sul

testamento biologico è dettato dall’etica laica a cui si riferiscono gli uomini di scienza, e in particolare dal principio laico della “responsabilità della vita”, secondo cui il valore principale è quello dell’autodeterminazione: io sono davvero libero di scegliere la mia vita e di decidere la mia morte. Come scienziato sono inoltre consapevole dell’importanza della funzione civilizzatrice – e quindi anche pacificatrice – della scienza, la cui ragione d’essere è il miglioramento delle condizioni dell’uomo. Da questa consapevolezza è nata l’iniziativa del movimento Science for peace. Credo che gli scienziati possano e debbano contribuire al processo di pacificazione mondiale, sviluppandolo e accelerandolo. La forza pacificatrice della scienza è basata sulla diffusione della razionalità - mentre la guerra è una soluzione irrazionale dei conflitti – e su un linguaggio universale che non conosce frontiere e nazionalismi».

Attraverso la Fondazione Umberto Veronesi e l'Istituto Europeo di Oncologia si occupa di divulgazione della cultura scientifica e del benessere. Crede che nel nostro paese manchi una cultura di questo genere?

«Nel nostro Paese la scienza, che ha fatto progressi e raggiunto obiettivi impensabili solo trent’anni fa, effettivamente non si è impegnata a sviluppare parallelamente una cultura del pensiero scientifico, che instauri un consenso forte sul potere della razionalità, con il risultato che parte della nostra società è ancora percorsa da tendenze antiscientifiche. Inoltre serpeggiano da tempo in Europa, e non solo, movimenti oscurantisti e antiscientifici che inducono a un pericoloso ritorno a ideologie e superstizioni. Anche il tiepido sostegno alla ricerca

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In prima persona SONO CONVINTO, COME MOLTI ALTRI SCIENZIATI NEL MONDO, CHE QUELLA DELLE STAMINALI SIA UNA DELLE VIE DI RICERCA PIÙ PROMETTENTI PER LA RIDUZIONE DELLA MORTALITÀ PER CANCRO

è espressione di questa mentalità che, se non contrastata, può portare al declino del Paese. La Fondazione Umberto Veronesi lavora per promuovere lo sviluppo della scienza e la consapevolezza che senza di essa non progredisce la civiltà, e per sensibilizzare cittadini e scienziati affinché tutti insieme creino una coscienza collettiva sui grandi problemi e le grandi scelte del progresso scientifico».

Lei attribuisce un ruolo molto importante all’alimentazione per prevenire le neoplasie più diffuse, sostenendo in particolare il vegetarianismo. Quali sono le ragioni per una scelta che vada in questa direzione?

«Non ci sono dubbi che un’alimentazione povera di carne e ricca di vegetali sia più adatta a mantenerci in salute. Attraverso tutti gli alimenti che ingeriamo, noi immettiamo nel nostro organismo una certa quantità delle sostanze tossiche solubili disperse nell’ambiente. Queste sostanze si accumulano più facilmente nel tessuto adiposo, dove rimangono per molto tempo esponendoci più a lungo ai loro effetti tossici. Frutta e verdura sono alimenti poverissimi di grassi e ricchi di fibre: queste, agevolando il transito del cibo ingerito, riducono il tempo di contatto con la parete intestinale degli eventuali agenti cancerogeni presenti nella dieta quotidiana. Non

è così per gli alimenti di origine animale. Quando ingeriamo una quantità eccessiva di calorie sottoforma di proteine, grassi e zuccheri, queste vengono convertite in molecole di trigliceridi e accumulate nel tessuto adiposo come depositi di riserva. È proprio qui, nel grasso corporeo, che più facilmente si accumulano le sostanze dannose presenti nell’ambiente. Ecco perché esiste una correlazione tra diete ricche di grassi saturi (provenienti da fonti animali) e alcuni tumori. Frutta e verdura invece, oltre a contaminarci molto meno degli altri alimenti, sono scrigni di preziose sostanze come vitamine, antiossidanti e inibitori della cancerogenesi (come i flavonoidi e gli isoflavoni), che consentono di neutralizzare gli agenti cancerogeni, di “diluirne” la formazione e di ridurre la proliferazione delle cellule malate. Non solo quindi possiamo consumarne in abbondanza, ma dobbiamo anzi farlo quotidianamente per assicurarci un’adeguata protezione. La scelta di mangiare poca carne, o di non mangiarne affatto, che in me è ispirata essenzialmente dal rispetto per la vita e dalla solidarietà verso gli esseri viventi, può essere anche un modo per aiutare le popolazioni più indigenti, che soffrono la fame. Oggi abbiamo sufficienti dati per confermare che ridurre il consumo di carne nel mondo occidentale può contribuire a ridurre la scarsità di cibo e di acqua nei Paesi più poveri. Perché in realtà i prodotti agricoli sarebbero sufficienti a sfamare tutti se non fossero in gran parte utilizzati per alimentare gli animali da allevamento; perché i terreni destinati al pascolo potrebbero essere coltivati e dare più alimenti; perché per produrre un chilo di carne occorrono 20mila litri d’acqua».

La sua attività di oncologo si identifica anche con l’impegno contro il tabagismo. Le donne fumano più degli uomini e sembra che il fumo sia alla

UMBERTO VERONESI

Decide subito dopo la laurea, di dedicare la sua opera professionale allo studio e alla cura dei tumori, entrando all’Istituto dei Tumori di Milano, di cui diventa Direttore Generale nel 1975. Nel 1982 fonda la Scuola Europea di Oncologia, punto di riferimento mondiale per chi cerca una formazione nel campo della diagnosi e della cura dei tumori. È membro di diverse associazioni scientifiche internazionali e ha ricevuto innumerevoli premi e onoreficenze, tra cui, nel 1975, il Gold Medal of Italian Health Ministry, il National Award of American Cancer Society nel 1977 e nel 1995 lo Strang Award for Cancer Prevention a New York.

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base di una patologia “femminile” come l’artrite reumatoide. Il binomio donna-fumo è valido anche per certe patologie oncologiche?

«Il fumo è lo stile di vita che in assoluto riesce a provocare, da solo, più disastri al nostro corpo di qualsiasi altro agente esterno. Più di un quarto di tutte le forme di cancro nel mondo occidentale è causato sicuramente dal fumo; si tratta di tumori in maggioranza del polmone (dei quali il 90% è correlato al fumo) ma anche di tumori di esofago, laringe, corde vocali, vescica, pancreas, rene, stomaco, sangue (leucemia mieloide). Uno studio pubblicato negli USA dal Journal of the National Cancer Institute ha evidenziato che il fumo di sigaretta contribuisce a elevare l’incidenza di sviluppo di cancro al seno, soprattutto nelle donne che hanno cominciato a fumare presto, o almeno 5 anni prima della prima gravidanza. Non solo: le donne che fumano corrono un rischio maggiore di sviluppare un tumore al collo dell’utero e hanno problemi di infertilità. Il dato più preoccupante è comunque l’aumento della mortalità (più del 50% dagli anni ’80 ad oggi) per tumore del polmone nella popolazione femminile. A causa della persistenza e della diffusione dell’abitudine al fumo, anche nelle adolescenti, il tumore del polmone uccide ogni anno in Italia 5.600 donne». La sua forma fisica invidiabile farebbe pensare che oltre a fattori come alimentazione e attività fisica, anche le passioni filantropiche, la curiosità nei confronti dell’altro, possano essere in qualche modo fonte di benessere, di contro a una esclusiva attenzione alla propria persona spesso ossessiva. È una correlazione azzardata?

«Credo che la cosa più importante sia tenere sempre in esercizio la mente, con progetti, idee, ricerche, studi. Anche, più banalmente, con i giochi di intelligenza. E poi, aspetto forse collegato al primo, mantenere una grande curiosità, che anima le passioni intellettuali e spinge a non smettere mai di cercare nuovi stimoli. Amo molto leggere, ascoltare musica, andare al cinema e teatro. Cerco di mantenere nella quotidianità un equilibrio fra entusiasmo del cuore e scetticismo della ragione, senza mai cadere nel pessimismo». Una recente ricerca dell’IFOM-IEO di Milano ha rivelato le ragioni dell’immortalità delle cellule staminali del cancro. Qual è la portata di questa scoperta? Possiamo essere ottimisti?

«La scoperta del Professor Pelicci e del suo team di ricerca è di importanza fondamentale perché, grazie ad essa, è stato trovato anche il modo di eliminare le cellule staminali del cancro, che sono le vere responsabili dell’inguaribilità della malattia. Dopo aver osservato che queste cellule, grazie a un particolare modo di rimediare al danno genomico, riescono ad evadere il processo fisiologico dell’invecchiamento e della morte e quindi ad alimentare all’infinito il tumore, i ricercatori hanno trovato il metodo per eliminarle bloccando proprio il loro sistema di riparazione del genoma.

LE RICERCHE ATTUALMENTE IN CORSO PRESSO L’ISTITUTO EUROPEO DI ONCOLOGIA 1. Progetti di farmacoprevenzione per donne con predisposizione genetica al tumore del seno, attraverso l’assunzione regolare di particolari sostanze (Tamoxifen e Fenretinide) in grado di ridurre in modo sostanziale il rischio della malattia. 2. Progetti di anticipazione diagnostica: del tumore del seno, mediante un utilizzo intensivo e razionale di ecografia, mammografia e risonanza magnetica su donne volontarie del tumore del polmone in forti fumatori tramite due tecnologie avanzate di diagnostica per immagini, TAC Spirale a basso dosaggio e PET 3. Nuovi metodi di trattamento: con ultrasuoni, mediante la tecnologia Hifu: sotto la guida dell’immagine ecografica, gli ultrasuoni vengono convogliati esattamente sul bersaglio dove si trasformano in calore che distrugge le cellule tumorali con terapia radiante con protoni e ioni carbonio: particelle pesanti ed elettricamente cariche, che penetrano nei tessuti senza deviare molto dalla direzione iniziale e depositano gran parte della loro energia alla fine del loro percorso. Consentono quindi un trattamento dei tumori profondi più “conforme” al bersaglio tumorale che si vuole raggiungere, risparmiando di più i tessuti sani con isotopi radioattivi per portare la radioattività direttamente sulla cellula malata. Si tratta della radioterapia recettoriale, una tecnica che convoglia una carica radioattiva sulla lesione tumorale sfruttando i recettori, molecole che si trovano sulla membrana della cellula neoplastica in qualche tipo di tumore e che funzionano come calamite naturali 4. Progetti di ricerca sui marcatori delle cellule staminali tumorali (le cellule responsabili della diffusione del tumore) su vaccini antitumorali per il melanoma e per il carcinoma polmonare

Le potenziali implicazioni di questa ricerca sulle cure dei tumori sono straordinarie. Finora infatti le terapie anti-tumorali si focalizzavano sulle cellule proliferanti, considerate le vere responsabili del cancro, mentre sfuggiva alle cure quella modesta percentuale di cellule staminali (le madri, appunto) che non proliferavano ma erano in grado di sopravvivere al danno genomico e di far crescere il tumore. Ora la ricerca si dedicherà all’identificazione di farmaci intelligenti (inibitori del riparo del DNA) che riescano ad attivare un meccanismo di autodistruzione delle cellule della leucemia, trasformandole in cellule capaci di invecchiare. Questi farmaci permetteranno di intervenire a uno stadio abbastanza precoce del tumore e anticipare così la sua evoluzione. Inoltre agiranno come farmaci-bersaglio, colpendo solo le cellule tumorali e risparmiando i tessuti sani. Ritengo, come molti altri scienziati nel mondo, che quella delle staminali sia la via di ricerca più promettente per la riduzione della mortalità per cancro, come dimostrano anche i recenti studi sulle staminali della mammella, del colon e della prostata».

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In prima persona

LUCA BARBARESCHI Attore, produttore, sceneggiatore, regista e conduttore televisivo, nato in Uruguay nel 1956. Nel 2008 è stato eletto deputato con il Popolo della Libertà. Nel 2007 ha creato la Fondazione “Luca Barbareschi Onlus – Dalla parte dei bambini”

Proteggiamo

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LA SUA È UNA LOTTA DIFFICILE MA NECESSARIA. IN DIFESA DEI BAMBINI “VIOLATI”. BAMBINI CHE SUBISCONO VIOLENZA DA PARTE DI ESTRANEI O FAMILIARI. PER SCONFIGGERE LA PEDOFILIA, DI CUI È STATO VITTIMA, LUCA BARBARESCHI HA FONDATO UNA ONLUS di Cristiana Zappoli

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a Fondazione Luca Barbareschi Onlus – Dalla parte dei bambini porta il mio nome perché io stesso ho subito violenze quando ero un bambino». È così che Luca Barbareschi comincia a raccontare la sua avventura contro la pedofilia. Un percorso cominciato il 19 aprile del 2007, giorno di fondazione della onlus. «In realtà è iniziato molto prima», spiega Barbareschi. «Intanto ho dovuto investire parecchi soldi, perché le fondazioni hanno bisogno di un capitale sociale permanente di 130.000 euro. Poi ho voluto creare un network di un certo livello, perché ci tenevo ad avere diverse sedi in giro per l’Italia dove organizzare eventi e dove avere punti di ascolto. Adesso abbiamo sedi in Lombardia, Liguria, Piemonte, Lazio e spero, entro l’anno prossimo, di raggiungere altre quattro regioni italiane. Bisogna essere presenti in più luoghi possibili, perché un bambino abusato va, prima di tutto, ascoltato. Per ascoltarlo dobbiamo “esserci” con strutture adeguate e persone qualificate». Barbareschi, attore, regista, produttore, parlamentare, ha creato questa Fondazione per tutelare i bambini vittime di pedofilia. Fornire loro un aiuto di consulenti, medici, psicologi, cercando di affiancare le famiglie bisognose anche da un punto di vista economico. Da quando è nata la Fondazione si pone come obiettivo quello di raccogliere fondi da destinare a progetti annuali. «Quest’anno insieme al Ministro Gelmini e a Vodafone - spiega l’attore – stiamo cercando di aiutare il progetto La cura del girasole Onlus, un’associazione per la cura del disagio e dell’abuso sui minori che stava scomparendo. Vogliamo rimetterla in piedi». L’attore ha deciso così di stare dalla parte dei bambini. «Ho provato sulla mia pelle cosa vuol dire su-

bire degli abusi. Avevo 8 anni quando ho subito le prime violenze da parte di un padre gesuita che insegnava nella scuola che frequentavo, il Leone XIII. L’umiliazione, il senso di colpa che ho provato me lo ricordo bene. Non era solo un problema di penetrazione, c’erano anche gli schiaffi e altre punizioni fisiche. Venivo trascinato per un orecchio lungo i corridoi, fino a farmi sanguinare. Non posso dimenticare quello che è stato fatto a me e decine di allievi in quegli anni». L’abuso fisico è anche un abuso psicologico. Il cervello umano è una macchina perfetta, tutto quello che succede viene registrato per sempre. «Spesso la violenza viene vissuta come una pesante responsabilità dal bambino. Io sentivo che era colpa mia e quelle emozioni me le sono portate dietro per anni. Certe sensazioni le senti addosso per una vita intera. Elaborare quella sofferenza è stato un processo complicato e lungo». A distanza di tantissimi anni Barbareschi è tornato al Leone XIII, chiedendo ai Padri Gesuiti di riconoscere le loro responsabilità e fare una donazione a una fondazione che si occupa di aiutare i bambini. Ma le cose, purtroppo, non sono andate per il verso giusto. I Padri Gesuiti non hanno voluto riconoscere alcun tipo di coinvolgimento in questa faccenda, rifiutando le accuse di Luca Barbareschi. Ovviamente, com’era prevedibile, ciò non ha fermato la volontà dell’attore romano di andare fino in fondo. «Vado avanti, a costo di farmi portare in tribunale. Non ho paura». In questi anni Barbareschi ha fatto molto per la lotta contro la pedofilia. È stata la prima persona conosciuta dal grande pubblico a schierarsi apertamente e pubblicamente contro gli abusi e le violenze sui minori («il 92% dei quali avviene all’interno del nucleo familiare», specifica) ma in poco tempo è riuscito a coinvolgere

Luca Barbareschi in veste di presentatore per l’evento “Parla con noi”, da lui organizzato a Roma, al teatro Sala Umberto, in occasione della prima Giornata Nazionale contro la Pedofilia, il 5 maggio di quest’anno. L’evento aveva un canale dedicato su Youtube e ha avuto più di 600mila contatti

i bambini

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In prima persona

All’evento “Parla con noi” hanno partecipato numerosi personaggi dello spettacolo: Ettore Bassi, Massimo Ghini, Enrico Ruggeri, e, in collegamento sul maxi schermo, Giorgio Panariello. Si sono avvicendati, inoltre, personaggi del mondo della politica: Gianfranco Fini, Giorgia Meloni, Gianni Alemanno (nella foto sopra) e Piero Marrazzo (sotto)

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altri personaggi dello spettacolo e della politica. Il lavoro incessante della Fondazione ha portato a un grande risultato: il 5 maggio scorso si è celebrata la Prima Giornata Nazionale contro la Pedofilia. In occasione della quale Barbareschi ha presentato l’evento Parla con noi, con l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica. Sul palco del Teatro Sala Umberto, a Roma, politici ed esponenti del mondo dello spettacolo hanno dato vita a interessanti momenti di approfondimento sul tema della pedofilia. Si sono avvicendati il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, il ministro per la Gioventù, Giorgia Meloni, il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, e altri diversi deputati. Inoltre erano presenti anche attori e cantanti, quali Ettore Bassi, Massimo Ghini, Enrico Ruggeri, e, in collegamento sul maxi schermo, Giorgio Panariello. «Il canale su Youtube dedicato all’evento - racconta l’organizzatore dell’evento - ha avuto 600mila contatti, sono numeri importanti. Essendo un canale tematico, chiunque si è collegato lo ha fatto perché aveva interesse a sentire quello di cui parlavamo». Ma se da internet arrivano se-

gnali positivi, lo stesso non si può dire della carta stampata, come spiega Barbareschi: «Il giorno dopo l’udienza dal Presidente della Repubblica, avvenuta il 4 maggio, che ha sancito la legge che ha istituito il 5 maggio come Giornata Nazionale contro la Pedofilia, e nonostante la presenza in occasione dell’evento Parla con noi, di ministri, attori e personaggi dello spettacolo, non è stata pubblicata una sola riga sui quotidiani nazionali. Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Giornale, non hanno scritto nulla riguardo a questo importante passo avanti nella lotta alla pedofilia. E quando, sdegnato, ho scritto una lettera ai direttori di queste testate, non mi hanno neppure risposto. D’altronde dobbiamo renderci conto che in Italia esiste una mafia che difende la pedofilia. Se il giro di affari esiste qualcuno dovrà pure guadagnarci. Un sito pedo-pornografico incassa 200mila euro al giorno grazie alla pubblicazione di foto in cui uomini di 50 anni violentano bambini di 2». Il percorso che porta alla sconfitta dei pedofili comunque è ancora molto lungo. «Io ho dato il mio contributo - specifica Barbareschi - così come fanno tante altre associazioni con cui noi collaboriamo abitualmente come, per esempio, il Telefono Azzurro. Ma c’è da fare ancora tantissimo. Le persone non si rendono conto della portata di questo fenomeno. Mi sono trovato più di una volta a cena con dirigenti di azienda, grandi manager, amministratori delegati e, quando ho snocciolato i dati della pedo - pornografia in rete e ho descritto quello che accade, sono rimasti esterrefatti. Non riuscivano a credere che il business della pedo - pornografia ha superato quello del narcotraffico». Il prossimo step? «Per fronteggiare al meglio questa piaga sociale bisogna prevedere pene adeguate contro i pedofili. Il passo successivo sarà una legge contro la pedofilia e la pedo - pornografia da approvare il prossimo anno in modo bipartisan». Non possiamo che augurarci che questo avvenga al più presto.


COLLOQUIO CON IL PROFESSOR FRANCESCO MONTECCHI, NEUROPSICHIATRA INFANTILE CHE COLLABORA CON LA FONDAZIONE LUCA BARBARESCHI ONLUS - DALLA PARTE DEI BAMBINI Qual è il primo approccio di un medico con un bambino che ha subito abusi?

«Non fare domande sul sospetto di abuso ma osservare. Ascoltare ciò che il bambino dice liberamente, se è medico curante o consultato. Effettuare una visita completa come in qualunque patologia pediatrica verificando, dopo una accurata anamnesi, lo stato di accrescimento, lo stato nutrizionale e se ci sono indici fisici di abuso». La ferita provocata da un abuso potrà guarire?

«Tutti i bambini e i giovani hanno nella loro vita degli eventi avversi, a volte traumi più o meno gravi conseguenti a esperienze di abusi. È opinione corrente che bisogna aiutare a “dimenticare”. Ma dimenticare implicherebbe un processo di rimozione determinato dall’incapacità di sostenere psicologicamente la realtà dell’accaduto. I traumi rimossi o negati o normalizzati, si inglobano in una parte della personalità, che può essere gravemente danneggiata, minacciando le aree più sane in una pericolosa ri-traumatizzazione. Il ricordo deve avere un posto circoscritto all’interno della memoria delle numerose esperienze negative vissute, delle piccole e grandi violenze subite nel corso della propria evoluzione. Elaborare e circoscrivere il ricordo delle esperienze subite attiva la spinta vitale che ogni bambino possiede, un’energia che fa superare ogni ostacolo, permettendo di elaborare positivamente e trasformare le esperienze negative in energie positive da investire nella propria evoluzione. In questi casi la natura e le conseguenze dei traumi superano le ferite dell’anima, e un evento negativo può tradursi in un’occasione di crescita. Le risorse riparative vengono utilizzate non solo per difendersi, ma anche per “produrre” maggiore umanità, trasformando una persona ferita in persona creativa, più sensibile e attenta a se stessa, agli altri e ai propri figli, quando avrà una sua famiglia. Investirà le proprie energie per aiutare il prossimo». Cosa “scatta” nella testa di un bambino che subisce una violenza?

«Senso di colpa per la convinzione di essere la causa del comportamento abusante. Senso di colpa per i vantaggi secondari ricavati dall’abuso, angoscia per il timore della reiterazione dell’abuso, depressione per non avere le garanzie affettive da chi dovrebbe fidarsi, vergogna per l’esperienza sperimentata e per i familiari». Che differenza c’è, dal punto di vista dell’impatto psicologico sul bambino, tra una violenza perpetrata da un estraneo e una da un familiare?

«Gli abusi extrafamiliari, se effettuati non con violenza

ma con la seduzione e la gentilezza, inizialmente il bambino può viverli come esperienze che danno vantaggi affettivi e fisici, solo dopo si accorgerà dell’inganno. Negli abusi intrafamiliari sottostà a una dipendenza affettiva di cui solo inconsciamente realizza l’inganno e il tradimento, ma ciò che è più devastante è il non avere le garanzie affettive e di protezione di cui ha necessità e il senso di tradimento da parte di chi dovrebbe rispettarlo e proteggerlo».

Quando ad abusare del bambino non è un familiare, come cambia il rapporto tra la vittima e la propria famiglia? Come devono comportarsi i genitori?

«Il bambino ha vergogna e senso di colpa nei confronti dei suoi genitori. I genitori è opportuno che non facciano mai interrogatori che produrrebbero una distorsione dei processi di memoria e ridurrebbero l’attendibilità del racconto. È opportuno inoltre che non stigmatizzino il bambino/a per l’esperienza subita, non neghino o appaino increduli di ciò che ascoltano. Si impegnino invece prevalentemente nell’intervento giudiziario considerato come l’unica soluzione alla ferita subita. È invece doveroso che osservino e ascoltino il bambino, accolgano i sentimenti penosi vissuti dal figlio, consultino professionisti clinici esperti di abusi e si impegnino a garantire al bambino un percorso di aiuto psicologico. Sarebbe anche opportuno che tutta la famiglia si affidasse a un aiuto psicologico».

FRANCESCO MONTECCHI

neuropsichiatra infantile e psicanalista junghiano infantile, è stato primario di Psichiatria Infantile all’Ospedale Bambin Gesù di Roma

Come si fa ad essere realmente sicuri che un bambino abbia subito abusi?

«Gli unici elementi certi sono i segni fisici compatibili con l’abuso, in assenza dei quali il bambino abusato esprime la sofferenza attraverso le espressioni del disagio: disturbi psicosomatici, psichiatrici e comportamentali che però possono non essere specifici di abusi perché sono modalità espressive di sofferenza che possono appartenere anche ad altri condizioni. Per dirimere il sospetto che i sintomi psicologici del bambino possono essere collegati a esperienze di abusi è necessario fare una complessa valutazione diagnostica, medica, psicologica (individuale attraverso il colloquio clinico, valutazione testologica e comportamentale, diagnosi familiare) e sociale nonché una verifica degli indicatori di rischio e di protezione».

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Prevenzione INDIVIDUARE IL TUMORE APPENA SI FORMA A VOLTE È POSSIBILE. SOPRATTUTTO È IMPORTANTE TENERE PRESENTE ALCUNI ACCORGIMENTI DA METTERE IN PRATICA DURANTE IL NOSTRO VIVERE QUOTIDIANO. BISOGNA RIVOLGERSI FREQUENTEMENTE A ESPERTI PER ASCOLTARE I LORO CONSIGLI di Valerio Spinelli

IL TUMORE I

ANCHE A TAVOLA SI PREVIENE

GIOVANNI CELENZA Oncologo e Igienista, ha lavorato all’Istituto di Medicina Industriale dell’E.N.P.I. e all’Istituto di Oncologia “Felice Addarii”. È stato docente di Oncologia Medica presso l’Istituto di Igiene dell’Università di Bologna. Ha diretto il Poliambulatorio Oncologico dell’Istituto Bernardino Ramazzini di Bologna. Attualmente è libero professionista

tumori rappresentano il maggior problema della sanità pubblica di tutti i paesi più industrializzati. Nonostante questo la sopravvivenza a questa malattia è notevolmente aumentata, grazie soprattutto alla diffusione dei programmi di prevenzione, oltre che alla maggior disponibilità di terapie efficaci che sono in continuo aumento grazie alle ricerche che si effettuano quotidianamente in tutto il mondo. Il Dottor Giovanni Celenza ha dedicato la sua vita proprio alla prevenzione dei tumori perché, ci tiene a sottolineare, «prevenire è sempre meglio che curare».

Dottor Celenza, cosa si intende per prevenzione?

«Come dice la parola stessa, significa “venire prima”, e cioè arrivare prima che la malattia insorga in pazienti a rischio o prima che l’evoluzione della malattia diventi inarrestabile». Come è possibile fare ciò?

«La prevenzione può essere primaria, che vuol dire individuare le cause ed eliminarle, e secondaria, cioè riu-

scire a diagnosticare un tumore alla sua insorgenza in modo da bloccarne l’evoluzione». Che cos’è un tumore?

«Il nostro organismo è fatto di tantissime cellule che nascono, si riproducono e muoiono secondo un meraviglioso e naturale meccanismo che resta in equilibrio grazie all’azione dei geni regolatori. Quando questo equilibrio si rompe, non c’è più regolazione, le cellule continuano a riprodursi in maniera disordinata e incoordinata, originando una massa nascente che è, appunto, il tumore. Può essere benigno, quando le cellule nascenti restano confinate nell’organo dove si sono sviluppate, o maligno, quando le cellule lasciano l’organo del primitivo sviluppo e vanno a colonizzare altri organi vicini o lontani. Sono queste le metastasi». Sappiamo quali sono le cause dei tumori?

«Sono molti i fattori e le sostanze che sono state individuate come causa del loro insorgere. Tra i fattori principali ricordiamo l’età, la razza, il sesso, la familiarità, l’ereditarietà. Tra le sostanze, l’amianto o asbesto, che può dare origine al tumore della pleura noto come mesotelioma e che può insorgere anche dopo 20 e più anni dall’esposizione ad esso. I solventi chimici, che entrano nella composizione delle vernici e dei mastici e che causano tumori all’apparato urinario ed al sistema emolinfopoietico. Il cloruro di vinile, principale componente delle sostanze plastiche in circolazione, che causa tumori al fegato. Petrolio e catrame, che causano tumori alla pelle, allo scroto e ai polmoni. Un eccesso di estrogeni può dare tumori alla mammella, al fegato e all’utero. Importantissimi, perché hanno notevole importanza sociale, sono il fumo di tabacco e gli alcolici, che possono causare l’insorgere di tumori ai polmoni, alla cavità orale, alla laringe, vescica, esofago e fegato. Ci sono poi alcuni geni ereditari che predispongono al cancro a colon, mammella, ipofisi, surrene e isole pancreatiche, rene, retina, ossa». È possibile eliminare dall’ambiente le sostanze accertate come cancerogene?

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PIÙ VITAMINE MENO RISCHI

La dieta è considerata un aiuto fondamentale per la prevenzione del cancro. A tutt’oggi una notevole quantità di studi è in corso sugli alimenti, soprattutto vegetali, per il loro contenuto in vitamine, antiossidanti, stimolanti la motilità intestinale, vasoprotettori, ecc., a dimostrazione della loro importanza che consiglia l’uso di una dieta molto ricca in frutta e verdura. Bisogna mangiare quotidianamente questi due alimenti, crudi e cotti, soprattutto quelli contenenti fibre come cardi, finocchi, carote, derivati integrali del grano. È importante ricordarsi sempre di mangiarne cinque porzioni al giorno di cinque colori diversi. Ad ogni colore corrispondono frutta e verdura diverse: rosso (angurie, arance, barbabietole, peperoni, ciliegie, pomodori, fragole), giallo (albicocche, arance, carote, clementine, cachi, limoni, meloni, nespole, pesche, pompelmi, zucche, peperoni), verde (asparagi, bietole, basilico, broccoletti, carciofi, cavoli, cetrioli, cicoria, cima di rapa, lattuga, spinaci, uva, kiwi, zucchine), viola (fichi, frutti di bosco, melanzane, prugne, radicchio, uva nera), bianco: cavolfiori, aglio, cipolle, funghi, mele, pere, porri, sedano, finocchi.

«Per molte di queste sono state fatte leggi ad hoc, come ad esempio quella che riguarda l’eliminazione dell’asbesto dalle costruzioni nuove e la regolamentazione delle modalità e cautele nella rimozione di questa sostanza dalle vecchie costruzioni, specie pubbliche come scuole, ospedali, teatri, palestre. Per altre, attualmente sono in vigore regole di prevenzione per gli addetti molto severe e adozione di controlli medici più frequenti per scoprire in anticipo eventuali alterazioni». Della prevenzione, cosa ci può dire?

«Per la prevenzione primaria ho già detto. La prevenzione secondaria è quella che da anni si sta facendo con programmi di screening di massa su vaste aree della popolazione, soprattutto femminile, con lo screening per il tumore della cervice uterina, che ormai è quasi debellato, e con lo screening mammografico che, pur con qualche lacuna, permette di scoprire tumori della mammella quando il nodulo è appena di mezzo centimetro. Da poco è in corso la ricerca del sangue occulto nelle feci per scoprire il tumore del colon retto. È inoltre in atto la vaccinazione contro alcuni virus come quello dell’Epatite B per prevenire il tumore del fegato e quello del papilloma virus (HPV) per prevenire il tumore al collo dell’utero (nelle ragazze molto giovani, già dai 12 anni). È molto importante, inoltre, prestare attenzione all’alimentazione e all’ambiente che ci circonda. Non bisogna esporsi al sole senza adeguata protezione, ma farlo gradatamente, per evitare l’insorgere dei tumori della pelle, in partico-

lare il melanoma. Persone di razza bianca con pelle chiara devono esporsi al sole con la massima cautela. È sconsigliabile l’esposizione totale concentrata sul fine settimana o d’inverno nei paesi caldi, con possibilità di ustioni di grado elevato». Per quanto riguarda l’alimentazione?

«È importante mangiare moderatamente carne rossa, pochi grassi animali, ma soprattutto, due o tre volte alla settimana, mangiare pesce, perché contiene molti acidi grassi insaturi (Omega 3), specialmente il pesce azzurro. Bisogna mangiare molta frutta e verdura, cruda e cotta, soprattutto contenenti fibre come cardi, finocchi, carote, derivati integrali del grano. Siccome non è possibile stabilire con precisione grammi e calorie della dieta quotidiana, ci possiamo aiutare ricordando di mangiare cinque porzioni al giorno di frutta e verdura di cinque colori diversi. Non bisogna dimenticare di fare un po’ di attività fisica (10 minuti di passeggiata veloce e un po’ di ginnastica dolce tutti i giorni) e di stare sempre attenti al peso: l’obesità favorisce, oltre che il diabete e le cardiopatie, anche il cancro. È sempre consigliabile, in tutti i modi, rivolgersi periodicamente ad un oncologo, per poter avere tutti i consigli pratici atti ad individuare l’inizio di un processo dubbio o sospetto».

Notevole incidenza dei tumori intestinali si ha nelle persone che fanno poca attività fisica e hanno tendenza all’obesità. È importante fare almeno 10 minuti di passeggiata veloce e della ginnastica dolce, tutti i giorni

Dottor Giovanni Celenza, Oncologo e Igienista Poliambulatorio CKF - Piazza dei Martiri, 1/2 40122 Bologna -- cell. 347.5456254

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Prevenzione LA RICERCA HA FATTO GRANDISSIMI PASSI AVANTI NELLA CURA DEI TUMORI. IN PARTICOLARE PER QUANTO RIGUARDA IL TUMORE AL SENO: OGGI L’80% DELLE DONNE MALATE HA LA POSSIBILITÀ DI GUARIRE. CI SPIEGANO COME IL PROFESSOR STEFANO CASCINU E IL DOTTOR NICOLA BATTELLI di Gianfranco Virardi

NEOPLASIE AL SENO

IL FUTURO È GIÀ REALTÀ

L

a neoplasia mammaria è il tumore più frequente nel sesso femminile e la sua incidenza negli ultimi 20 anni è aumentata soprattutto nei paesi industrializzati. Sono aumentate però anche le possibilità di guarigione, grazie alla ricerca e all’utilizzo di nuovi farmaci. Abbiamo incontrato il Professore Stefano Cascinu, Direttore della Clinica di Oncologia Medica degli Ospedali Riuniti di Ancona e il Dottor Nicola Battelli, Dirigente Medico presso la stessa struttura, per capire cosa è veramente cambiato negli ultimi anni nel trattamento del tumore alla mammella

Professor Cascinu, come è cambiata negli ultimi anni la prognosi delle donne con diagnosi di neoplasia mammaria?

«Nonostante l’aumento delle donne colpite negli ultimi anni, la mortalità si è sensibilmente ridotta grazie alla diagnosi precoce mammografica e alla introduzione di terapie mediche “precauzionali”, che chiamiamo adiuvanti, sempre più efficaci e mirate alla singola paziente. Lo screening mammografico dovrebbe essere effettuato ogni 12-18 mesi tra i 40 e i 50 anni e annualmente dopo i 50 anni, sempre associato alla auto palpazione che dovrebbe iniziare già dalla giovane età. Una maggiore attenzione va riservata alle famiglie con casi di neoplasia mammaria ereditaria ove siano state dimostrate alterazioni genetiche del BRCA1 e BRCA2. In questi casi è suggeribile iniziare precocemente i controlli strumentali utilizzando anche la Risonanza Magnetica mammaria che è in grado di individuare, soprattutto nei seni giovani e densi, un numero maggiore di neoplasie rispetto alla mammografia. Grazie alla diagnosi precoce e all’utilizzo di terapie mediche post chirurgiche siamo riusciti a modificare in molti casi la storia naturale di questa malattia. Oggi possiamo affermare con orgoglio, grazie anche ad un 36 Dossier Medicina


laborioso impegno multidisciplinare, che l’80% dei nuovi casi di tumore della mammella è guaribile. Va comunque ricordato che questa malattia è estremamente eterogenea e comprende sottotipi così diversi da modificare la prognosi e la stessa terapia medica».

STEFANO CASCINU È Direttore della Clinica di Oncologia Medica degli Ospedali Riuniti di Ancona. Dal 2006 è Professore Ordinario di Oncologia Medica presso l’Università degli Studi di Ancona. È stato Dirigente Responsabile presso la Clinica Oncologica di Messina, Direttore della U.O. di Oncologia di Parma. È autore, inoltre, di circa 200 pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali

Dottor Battelli, i tumori della mammella sono tutti uguali o presentano caratteristiche diverse?

«Il tumore al seno può avere comportamenti molto diversi. È come se potesse indossare “vestiti” diversi in grado di renderlo più o meno aggressivo e invasivo. Questi “vestiti” altro non sono che i recettori. I più importanti “vestiti-recettori” conosciuti sono tre: per gli estrogeni, per il progesterone e per l’HER2. Si possono, così, identificare tre distinti sottogruppi che avranno anche differenti trattamenti: il sottogruppo dei tumori con recettori estrogenici e/o progestinici positivi (65 % dei casi); il sottogruppo dei tumori con HER2 positivi (20% dei casi); il sottogruppo dei tumori “triplo-negativi” (assenza dei recettori estrogenici, progestinici e dell’HER2)(15% dei casi)». Ci sono, quindi, dottor Battelli, scelte terapeutiche più adatte per ogni sottotipo cosicché ogni donna con tumore al seno riceverà la terapia più mirata ed efficace?

«I tumori che presentano i recettori estrogenici e/o progestinici, che sono quelli a migliore prognosi, verranno trattati con terapie ormonali, eventualmente aggiungendo la chemioterapia solo in caso di rischio elevato di ripresa di malattia. La terapia ormonale può utilizzare il più conosciuto farmaco anti estrogeno, Tamoxifen, o avvalersi di nuovi farmaci come gli inibitori dell’Aromatasi quali il Letrozolo, l’Anastrozolo e l’Exemestane. Questi farmaci sono generalmente più sicuri rispetto al Tamoxifen non aumentando il rischio del tumore all’utero (il più temibile effetto collaterale del tamoxifen) e hanno dimostrato un aumento della sopravvivenza libera da malattia nella donna in menopausa. Sono in corso sperimentazioni anche nelle donne in pre menopausa per dimostrarne l’efficacia. Il sottogruppo dei tumori HER2 positivi avrebbe un andamento meno favorevole rispetto al precedente ma grazie alla scoperta di un nuovo farmaco selettivo per l’HER2 la sua prognosi è migliorata notevolmente. Questo nuovo farmaco è un anticorpo monoclonale chiamato Trastuzumab ed è in grado di legarsi alla sola cellula tumorale uccidendola e risparmiando così la cellula sana. Associando il Trastuzumab alla chemioterapia si ottengono percentuali di guarigioni molto elevate. Purtroppo questa combinazione terapeutica può essere utilizzata solo in questo specifico sottogruppo che

rappresenta, come già detto, il 20% di tutte le neoplasie mammarie. Per queste pazienti i risultati sono veramente eccezionali con pochissimi effetti collaterali legati all’utilizzo di questo anticorpo. L’ultimo sottogruppo, quello dei tumori “triplo-negativi” ha, purtroppo, la peggiore prognosi avendo come unico possibile trattamento post chirurgico la chemioterapia. Questo gruppo di tumori è oggi molto studiato e si stanno sperimentando trattamenti chemioterapici innovativi associati a nuovi farmaci a bersaglio molecolare. Uno di questi farmaci è il Bevacizumab che è un anticorpo monoclonale in grado di inibire il VEGF e cioè bloccare la formazione di nuovi piccoli vasi sanguigni (neo angiogenesi) necessari al tumore per sopravvivere e crescere». Dottor Battelli, ha parlato più volte di nuovi farmaci ma poco di chemioterapia. Quindi qualcosa è cambiato nella cura dei tumori?

«Anche le chemioterapie sono cambiate negli ultimi 10 anni, ma la rivoluzione in campo terapeutico in effetti, l’abbiamo avuta con l’introduzione di nuovi farmaci a bersaglio molecolare, cioè medicinali che, come dicevo prima, colpiscono solo le cellule malate che possiedono quella determinata caratteristica biologica. In altre parole, grazie al fondamentale apporto dell’anatomo patologo che ci identifica, sul tumore, quelle caratteristiche biologiche che cerchiamo di colpire e neutralizzare, riusciamo ad intervenire utilizzando farmaci che bloccano solo le cellule che possiedono quella particolare alterazione dando pochi effetti collaterali e grandi risultati. Nel tumore della mammella, ma anche nelle neoplasie del colon-retto e del polmone, sono sta-

I TRE FATTORI CHE DETERMINANO L’AUMENTO DELL’INCIDENZA DEL TUMORE DELLA MAMMELLA

60%

maggior numero di diagnosi precoci, grazie all’uso della mammografia

30%

è il reale incremento

10%

aumento della vita media

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Prevenzione È IMPORTANTE AUTOPALPARSI

L'autopalpazione è una tecnica che consente alla donna di individuare le trasformazioni del proprio seno. Una volta al mese è consigliabile che ogni donna si metta davanti allo specchio per osservare le proprie mammelle. Bisogna stare attenti a eventuali affossamenti o raggrinzimenti della pelle. Anche il capezzolo non dovrebbe avere retrazioni o sporgenze irregolari. Dopo essersi attentamente guardate, è possibile passare alla palpazione: meglio eseguirla in posizione supina e con una mano dietro la nuca. Con l'altra mano, a dita distese e ravvicinate, bisogna palpare la mammella opposta, con pressione leggera e movimento rotatorio di scorrimento della pelle sulla ghiandola sottostante. Così è possibile apprezzare la superficie del tessuto ghiandolare, che si presenta granulare nelle donne giovani, per diventare sempre più liscia e omogenea con il passare degli anni.

te utilizzate con grande successo terapie a bersaglio molecolare che ci hanno permesso di migliorare e aumentare notevolmente la sopravvivenza».

Professor Cascinu, la ricerca in campo oncologico come prosegue?

NICOLA BATTELLI Specializzato in Oncologia Medica e Medicina del Lavoro è Dirigente Medico presso la Clinica di Oncologia Medica degli Ospedali Riuniti di Ancona. Fa parte della Unità Funzionale di Senologia degli Ospedali Riuniti di Ancona. È autore di diverse pubblicazioni scientifiche sul tumore alla mammella

«La ricerca in campo oncologico si sta sempre più orientando all’individuazione di “bersagli molecolari” ove poter intervenire con trattamenti specifici in grado di ottenere grandi risultati e soprattutto, come già detto, pochi effetti collaterali. Nel tumore della mammella oltre al Trastuzumab abbiamo già registrato il Bevacizumab, farmaco che inibisce la creazione di nuovi vasi sanguigni di cui il tumore necessita per crescere. In questi giorni è entrato in commercio il Lapatinib utile sempre nelle neoplasie con iper espressione dell’HER 2 neu. Questo farmaco ha il vantaggio di essere dato in compresse, quindi per bocca, e anche psicologicamente è molto ben accettato dalle pazienti. I risultati sono molto buoni nella malattia metastatica e sono attualmente in corso sperimentazioni cliniche per confermare il vantaggio anche nella fase adiuvante e cioè dopo la chirurgia. Ma in realtà in sperimentazione sul tumore mammario abbiamo oggi molte molecole a bersaglio molecolare sempre più selettive e verosimilmente efficaci come il Pertuzumab che rivestirà un ruolo certamente fondamentale in futuro sempre nei tumori HER2 positivi avendo già dimostrato in linee cellulari tumorali grande efficacia. Infine sono in corso di sperimentazione quelle che noi chiamiamo “piccole molecole” che avranno nel prossimo futuro un ampio spazio terapeutico nel

trattamento del tumore al seno: sono farmaci molto selettivi che colpiscono solo determinate cellule tumorali e che presentano un’ottima tollerabilità e spesso grande efficacia terapeutica. Attualmente molti di questi nuovi farmaci sono già in commercio per i tumori del colon, del polmone, del rene e di altre neoplasie. Nella nostra struttura abbiamo in corso diversi studi clinici sperimentali con l’utilizzo di nuovi farmaci che potrebbero garantire percentuali sempre più elevate di guarigione».

Dottor Battelli, per concludere, quanto è importante lo stile di vita dopo una diagnosi di neoplasia mammaria?

«Oggi si dà molta importanza a questo aspetto che sembra influenzare per circa il 20% la prognosi dei pazienti con una diagnosi di tumore. Importanti risultati sono stati ottenuti nel tumore del colon ove il vantaggio della attività fisica regolare può garantire risultati anche simili a quelli ottenuti con la chemioterapia. Nel tumore alla mammella recenti studi clinici hanno evidenziato come una corretta alimentazione ricca di verdure e frutta e una costante attività fisica siano in grado di ridurre il rischio di ricaduta e quindi aumentare le possibilità di guarigione. Il vantaggio sembra più importante nelle pazienti che presentano tumori con i recettori ormonali (estrogenici e progestinici) positivi ma è comunque significativo per tutte le sottoclassi di neoplasie mammarie rispetto a chi segue un’abitudine di vita più sedentaria. Oggi l’oncologo dovrebbe sempre suggerire alle pazienti in cura per tumore della mammella corrette abitudini alimentari e una costante attività fisica; soprattutto si deve far capire alla paziente che per ottenere la guarigione, oggi sicuramente possibile, non è sufficiente utilizzare la chemioterapia, l’ormonoterapia e i nuovi farmaci ma seguire un corretto stile di vita». Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Ancona Ancona, Via Conca 60100 - Tel centralino 071.5961 Clinica di Oncologia Medica: segreteria - Tel.0715964169



Prevenzione

Possiamo calcolare

I RISCHI DEL CUORE DA CLEVELAND ARRIVA IL CARDIO MPO. UN TEST CHE FORNISCE UN'INDICAZIONE DIAGNOSTICA IN CASO DI SINDROME CORONARICA ACUTA. SERVE CIOÈ A PREVENIRE L’INFARTO. COME SPIEGA IL PROF. GIOVANNI USSIA, DOCENTE DI CHIRURGIA GENERALE ALL’UNIVERSITÀ DI BOLOGNA di Valeria Tancredi

GIOVANNI USSIA Ricercatore, Docente di Chirurgia all’Università di Bologna. Ha al suo attivo 9mila interventi chirurgici. È stato parte dell’équipe che ha eseguito il primo trapianto di fegato a Bologna. Ha eseguito nel 1990 i primi interventi di chirurgia laparoscopica come colecistectomie, ernioplastiche, isterectomie

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oter sconfiggere le malattie e addirittura la morte è uno dei sogni più ardenti dell’essere umano dalla notte dei tempi. Ma l’uomo si è dovuto ben presto rendere conto che contro la morte nulla può, facendo, questa, parte inestricabile della vita, mentre le malattie possono in alcuni casi essere sconfitte. La medicina moderna è andata anche oltre, arrivando a sostenere che una maggiore prevenzione consente di abbassare la mortalità, specialmente per quelle malattie cosiddette “della modernità”, legate cioè allo stile di vita degli occidentali: alcuni tipi di tumore, il diabete, l’infarto. «Bisognerebbe eliminare i fattori di rischio che provocano il cancro: pesticidi in agricoltura, obesità, inquinamento, fumo – spiega il professor Giovanni Ussia, docente di Chirurgia Generale e Toracica all’Università di Bologna che ha importato dall’America in Italia una metodologia che consente di stanare per tempo due delle più gravi malattie “della modernità” - ma bisogna essere rea-

listici. Oggi non siamo in grado o non vogliamo eliminarli, magari in futuro lo saremo. Diventa quindi fondamentale la prevenzione secondaria che permette di individuare per ogni singolo soggetto la malattia da cui rischia probabilmente di essere colpito». Non si tratta naturalmente di stregoneria o di leggere nel futuro ma, secondo il professore Ussia, di un nuovo sistema di prevenzione attuabile concretamente già da oggi e che può salvare vite umane. Esiste infatti una fase della malattia che è detta preclinica, quando cioè non si avvertono neanche i sintomi minimi della malattia, ma essa è già potenzialmente presente. La domanda che si fanno tutti gli addetti ai lavori quindi è: si può individuare o predire una malattia grave come l’infarto del miocardio o il tumore del colon prima che si manifestino e non dopo? La differenza è infatti sostanziale. «La nostra medicina è curativa, aspettiamo che si manifesti e, solo successivamente, la curiamo», spiega il professore Ussia, «Questo sistema ha però dei grandi limiti perché negli ultimi 20 anni i risultati reali sui grandi numeri in termini della diminuzione dell’incidenza, della mortalità e della capacità di cura è variato di poco. Il 50% dei pazienti di cancro al colon entro i 5 anni è deceduto, il tumore al polmone è ancora più devastante e così via, ciò significa che grandi passi in avanti non ne abbiamo fatti». Ed ecco che entra in gioco la metodologia sviluppata nel centro per la cura del cuore di Cleveland che dopo anni di sperimentazione ha ricevuto l’ok del FDA e della CE e che consente di valutare in anticipo il potenziale sopravvenire di un infarto. «Il test si chiama Cardio MPO – racconta entusiasta il professore Ussia che sta introducendo questa tecnica anche in Italia insieme ai suoi colleghi – e serve a misurare la mieloperossidasi nel sangue. La mieloperossidasi, è una


I fattori di rischio cardiovascolare

FUMO La nicotina che un fumatore inala quotidianamente ha un forte effetto di restringimento delle arterie

OBESITÀ Decine di ricerche hanno evidenziato che il sovrappeso e l’obesità aumentano di molto il rischio di infarto e ictus

DIABETE Lo squilibrio metabolico indotto dalla malattia incrementa l’arteriosclerosi

PRESSIONE L’ipertensione accelera la degenerazione delle arterie e le rende più fragili

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Prevenzione DA CLEVELAND IL KIT

Tra pochi mesi sarà possibile iniziare anche in Italia la commercializzazione del Cardio MPO, l’innovativo test che permette di prevedere la possibilità di subire un infarto. Le prossime fasi comprenderanno la distribuzione agli ospedali e ai laboratori d’analisi del kit per il dosaggio e l’informazione a medici e pazienti di questa possibilità. Lo sbarco da Cleveland in Italia di questa novità scientifica lo si deve al professor Giovanni Ussia e ad altri luminari della medicina che hanno partecipato allo studio clinico, quali Sandro Boccanelli Presidente emerito dell’Anmco e primario del San Giovanni di Roma, Enrico Fusineri primario di Cardiologia dell’Ospedale di San Donato Milanese, Mario Cavazza Direttore dell'Unità Operativa di Medicina d'Urgenza e Pronto Soccorso del S. Orsola di Bologna, Daniele Coen Direttore della Struttura di Medicina d'Urgenza e Pronto Soccorso del Niguarda di Milano.

proteina che si trova su un particolare tipo di globuli bianchi e possiede una significativa azione pro-infiammatoria che può contribuire direttamente al danneggiamento dei tessuti dell'organismo. Dunque, livelli elevati di questa proteina possono fornire un'indicazione diagnostica in caso di sindrome coronarica acuta». Lo scopo è senz’altro ambizioso: prevenire l’infarto tout - court con tutto quello che ne consegue in termini di salvataggio di vite umane e di risparmio delle cure successive. «Su 120 mila casi di infarto del miocardio, 35 mila non sopravvivono, sono morti improvvise e la metà di queste non avevano avuto neanche nessun segno premonitore, il primo segno della malattia è stata proprio la morte». Continua il chirurgo: «comunque sono contento dei buoni risultati della sperimentazione che presto pubblicheremo. Conto che entro due mesi Cardio MPO dovrebbe essere disponibile al pubblico». Ma con quale frequenza va fatto questo test e quando non è opportuno farlo? «Si è visto che nei soggetti con dolore toracico il Cardio MPO è in

ANCHE CON LA MENTE SI GUARISCE

“Mens sana in corpore sano”, finalmente questo concetto entra anche nella medicina moderna che utilizza le tecnologie più sofisticate per avvalorare questa tesi. È stato dimostrato che un’attitudine positiva alla vita fa ammalare meno e, in caso di malattia, consente una più rapida guarigione. Il professor Ussia fa parte di quei medici che sposa questa idea con convinzione: «La mente è forse la parte più importante del corpo. L’influenza della mente sul benessere globale è enorme per questo bisogna puntare sull’unitarietà della persona. Abbiamo creato tanti medici specialisti che curano piccoli pezzi, ma in realtà ci vuole un medico che affronti la persona nel suo insieme, nella sua unità mente - corpo perché non siamo fatti a compartimenti stagni». L’Anderson Cancer Center in Texas sta studiando l’influenza della mente nella guarigione dal cancro e in particolare si sta constatando che i metodi di meditazione sono strumenti potentissimi per il benessere generale. «Presto apriremo un centro simile in Calabria – anticipa Ussia – e se otteniamo buoni risultati trasferiremo l’esperienza nel resto di Italia dove esiste un centro del genere solo a Merano».

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grado di predire, fino a sei mesi prima, che quel dolore cardiaco è legato a rischio infarto» chiarisce Ussia. Ma non si può andare oltre i sei mesi? «Ci deve essere una piccola motivazione per fare questo test, stiamo provando a farlo anche in chi non ha nessun disturbo, non è costoso, quindi si può estendere anche a tutta la popolazione, ma è meglio individuare le fasce più a rischio. A questa particolare analisi del sangue, possiamo affiancare, oltre alla visita medica e ai comuni e sempre fondamentali esami clinici, lo studio con una macchina eccezionale, detta super TAC, che consente di studiare le calcificazioni nelle coronarie senza dover infilare un catetere nel cuore per vedere appunto se sulle coronarie si sono formate le placche che sono un indice dell’arteriosclerosi che fa sì che poi un’arteria si chiuda e provochi un attacco di cuore». Sempre grazie all’aiuto di un nuovo ritrovato della tecnologia è oggi anche possibile prevenire con utile anticipo il cancro al colon. Questo ha quasi sempre origine da un “polipo” (escrescenza che si forma sulla mucosa dell'intestino, specialmente nel colon e nel retto) che inizialmente si presenta “benigno”, il che significa che la patologia ancora non è presente. Asportare il polipo quando è ancora benigno consente quindi di evitare la malattia. Per prevenire il cancro al colon è fondamentale controllare periodicamente se nel proprio intestino si sono formati polipi, ma l’analisi che lo consente, la colonscopia, è invasiva, fastidiosa e dolorosa. «Già da molti anni esiste la colonscopia virtuale che garantisce la stessa precisione di quella classica senza i fastidi correlati», spiega il professor Ussia. «all’inizio era una tecnica che veniva vista con sospetto dalla classe medica, solitamente conservatrice, ma gli americani hanno fatto uno studio che dimostra che la colonscopia virtuale è comparabile per accuratezza a quella normale». Il vantaggio di questa tecnica è che consente di visualizzare l’intero colon tramite l’esecuzione di una TAC dell’addome dopo insufflazione di aria nell’intestino evitando quindi di inserire la fastidiosa sonda Prof. GIOVANNI USSIA Specialista in Chirurgia Generale e Toracica Studio, via Montegrappa 16, 40121 Bologna tel. 051.307215 - email: giovanni.ussia@unibo.it


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Patologie e terapie

Malattie reumatiche

IL TEMPO È SALUTE SPESSO LA DIAGNOSI GIUNGE IN RITARDO. E QUANDO SI SCOPRE DI SOFFRIRE DI UNA MALATTIA REUMATICA È TROPPO TARDI. MA OGGI ESISTONO STRUMENTI TECNOLOGICAMENTE AVANZATI PER SCOPRIRE LA PATOLOGIA. IL CONSIGLIO? NON ANDARE DAL MEDICO GENERICO MA DA UNO SPECIALISTA di Silvia Di Persio

Q

uando si parla di malattie silenziose ci si riferisce spesso a patologie che colpiscono l’organismo senza dare segni percepibili della loro azione fino a quando non è ormai troppo tardi per intervenire. Altre volte le malattie sono silenziose perché pur trasmettendo segni percepibili non incontrano orecchie in grado di comprenderli in tempo. È questo troppo spesso il caso delle malattie reumatiche, patologie i cui segnali, anche se ben evidenti, non incontrano in tempo i canali diagnostici adeguati e con essi un'opportunità vitale: l’interruzione della progressione della patologia e l'inevitabile compromissione della qualità di vita in termini di produttività e di benessere individuale. Le patologie reumatiche sono a tutt’oggi numerosissime e vanno dalla più comune osteoartrite (o artrosi) in cui la sintomatologia articolare è dovuta a eventi traumatici, sovraccarichi e in genere a processi degenerativi legati all'invecchiamento, alle più drammatiche malattie reumatiche croniche autoimmuni, accomunate sotto l’acronimo MA.R.I.C.A. Anche in questi casi come per l’osteoartrite la sintomatologia è articolare, diffusa o localizzata, sebbene accompagnata da manifestazioni cutanee e dal coinvolgimento di organi diversi a seconda della patologia in questione. A fare la differenza è un fattore che ne definisce l’in-

sorgenza, lo sviluppo e la complessità: una risposta anomala del sistema immunitario che andando ad aggredire l’organismo stesso innesca un processo infiammatorio cronico. La più nota patologia reumatica autoimmune è l’artrite reumatoide, patologia che in Italia colpisce lo 0,5% della popolazione adulta tra i 30 e i 50 anni con infiammazione cronica causata dall’azione continua del linfocita T contro l'organismo. Segue la spondilite anchilosante, patologia che fa la sua comparsa tra i 20 e i 30 di età e la cui risposta autoimmune sembra essere scatenata da batteri presenti nell’intestino. Poi l’artrite psorisiaca, che si manifesta con lesioni cutanee che precedono la sintomatologia articolare, e ancora il lupus eritematoso sistemico in cui i sintomi ulteriori sono affaticabilità, febbre e l’implicazione di articolazioni e tessuti diversi, e molte altre patologie analoghe fino a quelle più rare. I dati epidemiologici relativi a queste malattie sono stati per diversi anni scarsi e oggi, con la loro diffusione grazie a studi compiuti in diverse aree del centro Italia e a un recente rapporto del Censis, risultano impressionanti. Ben il 25% della popolazione italiana adulta soffre di queste patologie. Quasi il 40% dei pazienti affetti da patologie muscoloscheletriche non si rivolge immediatamente al medico mentre del restante 60%, solo il 4% viene visitato da un reumatologo.

LE PIÙ IMPORTANTI PATOLOGIE REUMATICHE

I processi reumatici possono colpire muscoli, ossa, articolazioni in qualunque parte del nostro corpo. Ma a seconda del tipo di patologia vengono coinvolte parti diverse dell’organismo. ARTROSI Colonna cervicale REUMATISMI EXTRARTICOLARI Muscoli, spalle e cuore OSTEOPOROSI Colonna dorsale LOMBALGIA Colonna lombare ARTRITI Piccole articolazioni e mani

44 Dossier Medicina


25%

degli italiani soffre di una patologia reumatica. Tra 15 anni saranno il 26%

300mila

le persone colpite da artrite reumatoide in Italia

5milioni

le persone che soffrono di artrosi nel nostro paese


Patologie e terapie PREVENZIONE? ALIMENTAZIONE E ATTIVITÀ FISICA

Lo stile di vita è al centro della prevenzione e della cura di patologie reumatiche degenerative come l’osteoartrite. Riduzione dell’assunzione di alcol e di alimenti di origine animale e aumento del consumo di pesce, frutta secca e oli di semi per l’assunzione di Omega 3. Ma anche una regolare attività fisica aerobica volta a rinforzare i muscoli, aumentare l’elasticità e ridurre così il sovraccarico articolare. Quindi sì alle passeggiate, alla bicicletta, agli esercizi in acqua. E sì a una mirata fisioterapia. Da valutare caso per caso invece l'importanza di questo aspetto per le malattie reumatiche croniche autoimmuni. Per quanto riguarda l’alimentazione nell'artrite reumatoide, si è studiato senza risultati di rilievo l’utilizzo di un olio di pesce. Sul fronte dell’attività fisica per questa patologia si consiglia sempre un’attività di tipo riabilitativo, di preferenza idroterapia. L’esercizio fisico è invece parte della terapia standard della spondilite anchilosante. Divieto assoluto di fumo per ognuna delle patologie. Nel caso dell’artrite, il fumo è ormai considerato un fattore scatenante.

Una situazione allarmante se si considera la progressiva condizione invalidante a cui vanno incontro questi individui nel pieno della propria produttività lavorativa, spesso ignari della patologia di cui soffrono. I dati statistici confermano che il 30% dei soggetti in età lavorativa affetti da reumatismi infiammatori perde il lavoro a causa della malattia entro 3 anni. Fortunatamente a questo quadro epidemiologico desolante si possono sovrapporre i progressi diagnostici e terapeutici compiuti dalla reumatologia. Oggi una diagnosi precoce mediante tecniche di imaging estremamente sofisticate e l’attuazione tempestiva della corretta terapia possono condizionare l’evoluzione del processo patogenetico fino a una remissione stabile della malattia, che si identifica in una interruzione della progressione del danno alle articolazioni. Si chiama “window of opportunity” ed è quella finestra della possibilità che, in caso di diagnosi effettuata entro i primi 3 - 6 mesi dall'esordio, equivale alla guarigione dagli effetti invalidanti della malattia. Ipotizzando un protocollo diagnostico tipo, ai primi sintomi di tumefazione, dolore simmetrico delle articolazioni, rigidità mattutina, gonfiore e progressiva Il Professore Luigi Di Matteo

CURARE UN PAZIENTE AL MOMENTO GIUSTO EQUIVALE AD AVERE UN INDIVIDUO ATTIVO NELLA SOCIETÀ

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difficoltà di movimento, il paziente con sospetta artrite reumatoide verrà indirizzato da un reumatologo e in caso di conferma della diagnosi dovrà iniziare la terapia quanto prima. Nel caso delle poliartriti croniche (artrite reumatoide, artrite psoriasica e spondiliti), gli interventi si articolano in una serie di terapie da utilizzarsi singolarmente e/o in combinazione caso per caso, sulla base della progressione della malattia. I farmaci vanno dagli anti-infiammatori non steroidei, i FANS, che agiscono sulla sintomatologia algica del paziente, ai corticosteroidi, potenti anti-infiammatori, a farmaci che modificano il decorso della malattia, i DMARDs, gli unici in grado di prevenire l’erosione articolare, per giungere infine agli innovativi farmaci biologici che svolgono la loro azione in modo estremamente mirato e selettivo, puntando direttamente al Tnf-alfa o ai linfociti B o T, anticorpi direttamente coinvolti nella risposta autoimmune e nella reazione infiammatoria. Questi farmaci sono in fascia H e vengono pertanto somministrati direttamente nei Centri ospedalieri di riferimento per la cura dell’artrite reumatoide. Al riguardo, il professore Luigi Di Matteo, Vice-presidente della SIR, Società Italiana di Reumatologia, e Primario della Divisione di Reumatologia del Polo Ospedaliero “Spirito Santo” di Pescara, ci spiega: «L’equivoco termine “biologico” che nell’immaginario collettivo richiama terapie di medicina alternativa ha portato pazienti affetti dalle malattie più disparate ad accorrere al reparto di reumatologia richiedendo questa cura. In realtà il termine si riferisce al fatto che si utilizzano biotecnologie estremamente sofisticate, tecniche di ingegneria molecolare, per la produzione di un anticorpo che va ad agire direttamente sugli agenti coinvolti nell’infiammazione. La tecnica è estremamente selettiva e ci permette di cambiare l'anticorpo bersaglio in caso di mancata risposta al primo intervento». Ma in primo piano rimane la questione tempo con la necessità di aver accesso in qualsiasi momento a terapie diverse o di combinarle, caso per caso, nell’ambito del pool indicato nel modo più efficace per il singolo paziente, oltre alla possibilità di continuare a monitorare il paziente anche dopo la remissione per prevenire o


agire tempestivamente su possibili recrudescenze. «Abbiamo da poco fatto un’interpellanza parlamentare per richiedere un aumento dei finanziamenti per le terapie. I tagli stanno colpendo molte regioni e ad esempio molti pazienti arrivano dal Lazio perché nella loro regione non hanno accesso alla terapia. Ma non è facile far comprendere alla politica quanto sia conveniente spendere nei costi diretti rispetto a farlo successivamente, con i costi indiretti che sono tre volte superiori», aggiunge il professore Di Matteo. «Curare un paziente al momento giusto equivale ad avere un individuo attivo nella società invece che spese indirette di gestione del paziente elevatissime. Ma in un periodo di crisi come quello attuale si mira a una sistematizzazione rigida della possibilità di accesso alla cura, del tutto in contrasto con la flessibilità che gli interventi richiedono: è possibile, ad esempio, che per la remissione di un’artrite all’esordio, sia altrettanto necessario poter accedere alla terapia biologica che per i casi di artrite severa. Ma se per limitare le spese dirette si prevede che questa terapia sia disponibile solo per i casi di artrite severa, allora si perderà l’opportunità di remissione per il paziente con patologia precoce». Oggi la SIR sta compiendo molti sforzi in direzione della comunicazione relativa a questa e ad altre patologie reumatiche, considerate a basso impatto emotivo perché colpiscono la sensibilità collettiva meno di quanto non facciano altre patologie altrettanto drammatiche che però non hanno la stessa incidenza sulla popolazione adulta attiva. Ma se è da una parte necessario raggiungere la stragrande maggioranza dei pazienti e le alte sfere della politica, bisognerà dall’altra indirizzare lo sforzo comunicativo alla creazione e al potenziamento di una rete sanitaria integrata perché, secondo quanto afferma il professore Fausto Salaffi - Professore associato di Reumatologia presso la Cattedra e Scuola di Reumatologia dell’Università Politecnica delle Marche, respon-

LE EMOZIONI NELLE MALATTIE REUMATICHE

Ansia, rabbia, depressione. Difficoltà a riconoscere le emozioni e a distinguerle dalle sensazioni corporee. Si chiama Alessitimia e secondo uno studio condotto su un campione di 37 pazienti ne soffre il 54% dei malati di artrite reumatoide e il 42% di pazienti con lupus eritematoso sistemico. Ancora da stabilire se il predominio del pensiero concreto sulla dimensione affettiva e relazionale tipico di questa patologia sia da attribuire alla convivenza forzata del paziente con il dolore fisico cronico o se invece si tratti di una specie di disregolazione autoimmunitaria che colpisce la psiche.

Professore IlIl Professore Fausto Salaffi

PER ERRORE MOLTE VOLTE IL PAZIENTE VIENE MANDATO DALL'ORTOPEDICO INVECE CHE DAL REUMATOLOGO

sabile del Centro per la Diagnosi Precoce e la Terapia delle Artriti e consigliere SIR - «dove c’è una rete assistenziale integrata la diagnosi dell’artrite reumatoide viene effettuata precocemente». «Il medico di base deve conosce le red flags, quelle bandierine rosse che consentono di porre un iniziale sospetto diagnostico. Dove funziona questo legame il paziente viene diagnosticato entro i 7 mesi. Dove non funziona si arriva a 24 mesi quando ormai si è persa la possibilità di intervento remissivo». Le red flags di cui parla il professore sono delle linee guida e dei rigidi protocolli diagnostici internazionali così sofisticati da permettere una predittività a lunghissimo termine dell’evoluzione di tutte le patologie reumatiche. Si tratta di elementi diagnostici che riguardano parametri clinici, di laboratorio e strumentali per prevedere fin dall’inizio gli sviluppi della patologia. «Ormai utilizziamo tecniche sofisticatissime. Presso il nostro centro, ad esempio, vengono da tutta Europa a seguire dei corsi di formazione sulle ecografie ed è un peccato che i pazienti non trovino i canali per giungervi», continua il professore Salaffi. «Purtroppo la mancata conoscenza dei protocolli diagnostici al livello della medicina di base porta molto spesso il paziente a perdersi da un medico all’altro per giungere dal reumatologo dopo un anno o due dall’insorgenza del sintomo quando ormai la “finestra di opportunità” per la remissione della malattia si è chiusa. Un errore molto diffuso è che il medico generico effettui una diagnosi di artrosi nel caso di un’artrite reumatoide e il paziente viene mandato dall'ortopedico invece che dal reumatologo». Oggi grazie all’impegno dei reumatologi italiani si sta facendo molto per ricompattare questa rete dalle continue deviazioni e interruzioni affinché sul futuro dei pazienti, accanto alla strada della malattia, si possa prefigurare un secondo percorso: quello dell’opportunità.

Dossier Medicina 47


Nuove frontiere

DINO VAIRA Professore Associato di Gastroenterologia del Dipartimento di Medicina Interna dell’Università degli Studi di Bologna

48 Dossier Medicina


Helicobacter pylori

NUOVA TERAPIA DOPO LA CARIE È L’INFEZIONE PIÙ FREQUENTE AL MONDO. NE SONO AFFETTI VENTIQUATTRO MILIONI DI ITALIANI. L’HELICOBACTER PYLORI È L’AGENTE RESPONSABILE DELLA GASTRITE, DELL’ULCERA E DEL CANCRO ALLO STOMACO. DINO VAIRA, GASTROENTEROLOGO DELL’OSPEDALE SANT’ORSOLA DI BOLOGNA, HA ELABORATO UNA TERAPIA PER SCONFIGGERLO di Cristiana Zappoli

I

l 2 giugno, presso l’auditorium di Chicago (lo stesso dell’investitura del Presidente Obama), si è tenuto un importante congresso di gastroenterologia sul trattamento dell’infezione da Helicobacter pylori. A rappresentare l’Europa è stato il professore italiano Dino Vaira, che ha parlato di fronte a una numerosa platea, ben 15mila specialisti arrivati da tutto il mondo, insieme al Professor Nimish Vakil, in rappresentanza degli Stati Uniti, e al Professor Wong, in rappresentanza dell’Asia. Era il 1982 quando due medici australiani, Barry Marshall e Robin Warren, che nel 2005 avrebbero poi ricevuto il Premio Nobel per la medicina proprio grazie a questa scoperta, isolarono per la prima volta il batterio Helicobacter pylori, individuandolo come il principale responsabile di gastriti e ulcere dello stomaco e del duodeno. Le implicazioni di questa scoperta sono state notevoli. Prima di allora si pensava che l’ulcera fosse provocata dallo stress o dall’acidità di stomaco causata da alcuni cibi. Quello che i medici australiani riuscirono a dimostrare è che, invece, l’ulcera ha origine prevalentemente infettiva. Cosa che, naturalmente, ha permesso di individuare le cure più adatte per sconfiggerla e per sconfiggere le sue complicanze (per esempio perforazioni o emorragie), spesso anche molto gravi. Ma le conseguenze di questa scoperta sono state ancora più importanti: riuscire a contrastare l’Helicobcter pylori, non vuol dire solo arginare questo tipo di problemi, vuol dire anche prevenire il tumore allo stomaco. Questo batterio è infatti considerato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità un fattore di rischio classe I per questo tipo di cancro. E un grandis-

simo contributo alla ricerca per sconfiggere l’Helicobcter pylori arriva proprio dall’Italia e in particolare dal Professor Dino Vaira, specialista in gastroenterologia dell’Ospedale Sant’Orsola Università degli Studi di Bologna, motivo per cui proprio Vaira ha rappresentato l’Europa al Congresso americano di Gastroenterologia di Chicago. Proprio questo congresso ha sancito a livello mondiale le linee guida europee per la prevenzione e la diagnosi e l’importanza della terapia sequenziale messa a punto da Vaira.

Professor Vaira, come si prende e come si trasmette l’Helicobacter?

«L’Helicobacter pylori è un fastidioso batterio che si annida all’interno dello stomaco umano ed è responsabile di molti disturbi gastrici. Attualmente la sorgente considerata più probabile è lo stomaco umano, in cui sembrerebbe giungere tramite la cavità orale durante l’infanzia (verosimilmente quando la mamma assaggia il cibo dei bambini); l’altra modalità è la cattiva igiene (spazzolino, asciugamano, tovagliolo in comune ecc.). Attualmente è l’infezione più frequente al mondo dopo la carie e in Italia 24 milioni di persone ne sono affetti».

Helicobacter pylori (immagine al microscopio a scansione)

Che conseguenze comporta? E al di fuori dello stomaco, è possibile causa di altre patologie?

«L’Helicobacter pylori è l’agente responsabile della gastrite, dell’ulcera e del cancro dello stomaco. È sicuramente coinvolto in patologie extraintestinali quali l’emicrania, l’infertilità e malattie cardiovascolari». Quindi è vero che può provocare il cancro allo stomaco?

«Il ruolo di questo batterio nello sviluppo del cancro gastrico è indiscusso, al punto che le linee guida più

Dossier Medicina 49


Nuove frontiere tamente meno gradito dal paziente, come risorsa da utilizzare in specifiche situazioni cliniche».

Ci parli della cura che ha studiato per eliminare l’Helicobacter: la terapia sequenziale.

aggiornate lo indicano come fattore carcinogeno di prima classe, esattamente come il fumo per il cancro del polmone». Come si fa a scoprire se si ha l’Helicobacter?

«Scoprire l’infezione è estremamente semplice. Negli ultimi anni sono state messe a punto diverse metodiche per fare diagnosi d’infezione. I test disponibili possono essere di due tipi: non invasivi (“test del respiro” o Urea Breath Test e ricerca dell’antigene del batterio nelle feci); invasivi (ovvero che richiedono l’esame endoscopico e il prelievo di campioni bioptici). L’opportunità di utilizzare una metodica non invasiva accurata, facilmente utilizzabile e non costosa offre al medico, e quindi anche al paziente, la possibilità di chiudere l’iter diagnostico in molti casi in maniera semplice ed efficace lasciando l’esame endoscopico, più costoso e cer-

«Negli ultimi anni assieme al Dottor Zullo dell’Ospedale Nuovo Regina Margherita di Roma abbiamo proposto una nuova terapia “sequenziale” di 10 giorni, composta da una semplice duplice terapia (inibitori della pompa b.i.d. e l’amossicillina 1 g b.i.d) per i primi 5 giorni, seguita da una triplice terapia (inibitori della pompa b.i.d., claritromicina 500 mg b.i.d. e tinidazolo 500 mg b.i.d.) nei successivi 5 giorni. La scelta dell’inibitore di pompa è caduta sull’esomeprazolo per la sua maggiore attività in vitro su colture di H pylori. Ad oggi, lo schema di trattamento sequenziale è senza dubbio la terapia di eradicazione di H. pylori più sperimentata dopo le triplici terapie, essendo stata somministrata in oltre 3.200 pazienti arruolati in tutto il mondo. Il dato complessivo dimostra una percentuale media di eradicazione pari al 94%, con valori costantemente superiori al 90%. Pertanto, l’elevata efficacia, la buona tollerabilità ed il costo contenuto, fanno della terapia sequenziale una valida alternativa alla triplice standard come trattamento di prima linea nella pratica clinica. Questa proposta è ulteriormente rafforzata dal fatto che, in caso di fallimento della terapia sequenziale, l’infezione può essere curata in un’elevata percentuale di casi (86% su 35 pazienti trattati) con una triplice terapia composta da esomeprazolo (40 mg b.i.d.), levofloxacina (250 mg b.i.d.) ed amossicillina (1 g bi.d.) somministrata per 10 giorni. In pratica, lo schema sequenziale in prima battuta e la triplice terapia basata sulla combinazione levofloxacina nel ri-trattamento successivamente, costituiscono un efficace approccio terapeutico per il trattamento dell’infezione da Helicobacter pylori». Pensa che la ricerca abbia ancora da fare riguardo a questo batterio?

«Assolutamente sì. E in futuro ci sarà una terapia mirata e differenziata per ciascun paziente».

I SINTOMI CHE ANNUNCIANO LA PRESENZA DELL’HELICOBACTER

T

utti potrebbero avere un’infezione da Helicobacter Pylori senza saperlo, poiché la maggior parte sono silenti e del tutto asintomatiche. Quando presenti, i sintomi principali sono gastrite o ulcera peptica. I sintomi di gastrite comprendono: nausea vomito

50 Dossier Medicina

dolore all’addome raramente anche febbre L’Helicobacter Pylori può anche causare ulcere peptiche conosciute come ulcere gastriche o duodenali a seconda della localizzazione): nei bambini più grandi e negli adulti il sintomo più comune di ulcera peptica è dolore e bruciore allo stomaco, di solito nell’area

sotto le costole e sopra l’ombelico. Questo dolore spesso peggiora a stomaco vuoto e migliora non appena si mangia qualcosa, si beve latte, o si assumono degli antiacidi. Le ulcere peptiche possono arrivare a sanguinare causando ematemesi (vomito di sangue) o melena (feci nere con sangue o che sembrano pece).


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Psicologia

Ăˆ stato dimostrato che con la nascita di un figlio molti padri manifestano stati depressivi. Molte ricerche sia in Italia che all’estero sono state condotte su questo problema

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DA MOLTI ANNI SI CONDUCONO RICERCHE SUI DISTURBI DEPRESSIVI DEI NEOPAPÀ. DOPO LA NASCITA DEL FIGLIO UN PADRE SI SENTE OPPRESSO E ACCUSA SINTOMI COME LA PERDITA DI APPETITO E INSONNIA. TRA LE CAUSE: LO STRESS PROVOCATO DALLE NUOVE CONDIZIONI FAMIGLIARI di Valerio Spinelli

e se il papà è...

DEPRESSO L a nascita di un figlio è un evento gioioso ma è allo stesso tempo un cambiamento ad alto impatto psicofisico per tutta la famiglia, a maggior ragione visto che la depressione post parto materna è un disturbo che si declina anche al maschile, colpendo i neopapà. La definizione di questa forma maschile del disturbo è frutto di una ricerca britannica pubblicata nel dicembre del 2005 sulla prestigiosa rivista medica The Lancet. Dallo studio, condotto su un numero molto elevato di neopapà a 8 settimane dalla nascita del bambino, è risultato che il 4% dei padri ne soffre. I sintomi, come nel caso della depressione post-parto femminile sono ansia e senso di colpevolezza immotivati, paura, panico, senso di inadeguatezza e inefficacia rispetto agli eventi, insonnia, crisi di pianto e pensieri autodistruttivi. Che esistesse una grande vulnerabilità anche nei padri rispetto al cambiamento che si verifica con la nascita di un figlio era stato già dimostrato da una ricerca condotta sempre in Inghilterra nel 1965 da due psichiatri dell’Università di Birmingham, Trethowan e Conlon, sul comportamento del futuro padre durante l'attesa del figlio. La ricerca realizzata su un campione di 327 mariti, dimostrava come un futuro padre su 9, circa l’11% del campione, manifestasse sintomi particolari quali perdita di appetito, mal di denti e nausea. Proprio i più classici disturbi che sopravvengono nella donna durante la gravidanza. I due stu-

diosi definirono il disturbo sindrome della couvade e la interpretarono come una forma di somatizzazione dei disturbi dei quali soffrivano le mogli in attesa, che si verificava a causa della situazione d’ansia che i futuri papà sperimentavano rispetto al grande cambiamento in atto. I problemi erano quelli che i limiti della mancanza del legame fisico tra il padre e il bambino e quelli di distacco affettivo impliciti nel ruolo sociale di padre imponevano alla piena espressione delle paure e delle angosce per l’imminente paternità. Attraverso la somatizzazione il futuro papà oltre a esprimere questo vissuto stressante rivendicava allo stesso tempo una partecipazione più attiva all’evento che si prospettava. «Fin’ora conoscevamo il fenomeno attraverso la psichiatria transculturale - ci spiega Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale Fatebenefratelli - la “sindrome della covata” era stata interpretata dal punto di vista della cultura proprio perché il padre non poteva mostrarsi con delle vulnerabilità». In effetti prima ancora che l’espressione venisse utilizzata dai ricercatori inglesi, la couvade indicava una serie di rituali che nelle società tribali riassorbivano

CLAUDIO MENCACCI Dirige il Dipartimento di Psichiatria dell'Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli- Oftalmico di Milano. È vicepresidente della Società Italiana di Psichiatria e della Fondazione Idea (Istituto per la Ricerca e la Prevenzione della Depressione e dell'Ansia), primario del Centro Studi Prevenzione e Cura dei Disturbi Depressivi nella Donna


Psicologia

Risultano problematici gran parte dei rapporti tra padre e figlio. Da numerose ricerche risulta che i figli di padri che hanno sofferto di depressione post parto sono impulsivi e iperattivi

54 Dossier Medicina

in maniera indolore i possibili disagi legati al passaggio di stato verso la paternità. Estremamente vari e spesso molto diversi tra loro, questi rituali potevano prevedere che il futuro padre seguisse la stessa dieta e le stesse prescrizioni di cautela, come l’evitare di sollevare pesi, previste per la donna incinta. In altri casi, dopo il travaglio e la nascita del bambino, il padre si metteva a riposo e si asteneva da ogni attività, ricevendo quelle cure e quelle visite del gruppo che durante la gravidanza erano state destinate alla madre. In altre culture ancora, alla comparsa dei primi dolori del travaglio da parte della compagna, il futuro padre iniziava a imitare i movimenti del parto. Attraverso l’imitazione della maternità ognuno di questi riti a suo modo attribuiva un riconoscimento sociale e materiale analogo alla condizione di paternità. Lo studio sulla depressione post parto paterna pubblicato su The Lancet ha permesso di valutare nel nostro contesto socioculturale il disagio a cui quei riti in contesti diversi rispondevano, rilevandone allo stesso tempo i possibili effetti sullo sviluppo dei figli. In Italia lo stesso studio è stato recentemente replicato dal professore Mencacci e dalla sua equipe milanese dell’Ospedale Fatebenefratelli. «Il campione inglese era molto elevato – ci spiega Mencacci - con la mia equipe di Milano abbiamo replicato lo studio in piccolo. Il nostro campione era costituito da 120 neopapà italiani con un’età di cir-

ca 35 anni, un lavoro stabile e un livello di istruzione medio-alta. I risultati, ottenuti sulla base di scale di valutazione specifiche come la Scala di Edimburgo utilizzata anche per la valutazione del post-parto nelle donne, sono in linea con quelli inglesi: il 5% dei neopapà del nostro campione ha mostrato una forma di depressione a fronte del 10% della percentuale di donne che soffre dello stesso disturbo, con una differenza nella durata dei sintomi che nei padri è di circa un anno, un po’ meno che nelle madri». Anche sul fronte delle cause scatenanti, le differenze di genere ci sono. Nella donna infatti la depressione post parto ha degli interessi ormonali e biologici notevoli. Nell’uomo la lettura del fenomeno dal punto di vista biologico è quella di una reazione all’attivarsi di situazioni di stress da parte di soggetti che in passato hanno già sofferto di episodi di ansia o che hanno una familiarità con il disturbo depressivo. «Oggi le nostre conoscenze in merito al fenomeno dello stress ci permettono di affermare che è sotto la pressione del cambiamento di richieste, così come del senso di esclusione dal rapporto privilegiato madre-figlio, del cambiamento fisico della compagna, delle implicazioni in termini di sessualità e di rapporto di coppia modificato che i padri cedono. Il disturbo si manifesta allora con perdita di interesse e di senso, incapacità di dare qualsiasi contributo, anche con sintomi somatici


LA COLPA È DELLO STRESS

La depressione maschile scatenata dall'arrivo di un figlio resta ancora un fenomeno poco comprensibile. Tutti si aspettano che una nascita sia per forza di cose un momento di gioia, ma non sempre è così. Nella società moderna il sesso forte diventa un remoto ricordo, e se le donne vivono grandi disagi, i maschi soffrono enormi debolezze. Molto probabilmente si tratta invece di una reazione allo stress, una difficoltà di adattamento associata a diversi fattori. Molti padri, per esempio, oggi sono assolutamente impreparati al progetto genitoriale, alla trasformazione della donna durante e dopo la gravidanza, alla fatica di ritrovare un equilibrio di coppia dopo la nascita di un bimbo e all'impossibilità materiale che tutto ritorni come prima. Lo stress insomma gioca un ruolo fondamentale in questa delicata situazione famigliare. Ma cos’è lo stress, esattamente? E perché determina tutta una serie di fattori secondari? Possiamo dire che è una reazione di adattamento dell’organismo a un generico cambiamento fisico o psichico. Come si attiva? Attraverso stimoli esterni e stimoli interni. Questo vuol dire che lo stress dovuto a una situazione esterna può essere aggravato ad esempio dal pensiero continuo su quello stesso stimolo. Le conseguenze dello stress sono: fatica, ansia, panico, insonnia, depressione a livello psichico; tachicardia, irregolarità del battito cardiaco, ipertensione a livello cardiaco; asma bronchiale, iperventilazione a livello polmonare; colon irritabile, morbo di Chron, dispepsia, sul fronte gastrointestinale; eiaculazione precoce e diminuzione del desiderio a livello uro-genitale e eccessiva sudorazione delle estremità a livello della pelle. Come si cura? Rilassamento (yoga, meditazione ecc.). Biofeedback, ovvero terapia comportamentale basata sul monitoraggio delle funzioni alterate dallo stress, ad esempio rilevazione del battito cardiaco e attuazione di strategie di modifica e normalizzazione del parametro da parte del paziente, con un premio come rinforzo positivo per ogni riuscita. Terapia farmacologica.

NELLE FAMIGLIE FINO A POCO TEMPO FA IL PERIODO NEONATALE ERA GESTITO SOPRATTUTO DALLA MADRE E NON VENIVA COINVOLTA LA FIGURA DEL PADRE come stanchezza, mal di schiena e disturbi del sonno». Anche sul fronte delle ripercussioni del disturbo paterno sulla neofamiglia ci sono delle differenze con la depressione post parto materna. Se infatti il disagio crea in entrambi i casi delle incomprensioni tra i partner che possono portare alla rottura della coppia e a ripercussioni sui figli di entrambi i sessi, è solo la depressione post parto maschile che causa disturbi comportamentali nell’età dell’adolescenza dei soli figli maschi. «Durante il primo periodo dell’adolescenza – spiega Mencacci - in ragazzi con padri che hanno sofferto di depressione post parto si verificano disturbi della condotta. Questi ragazzi sono più impulsivi, sono iperattivi e hanno maggiori difficoltà a concentrarsi. Per le figlie femmine invece esiste una protezione di genere che stiamo studiando a livello neuronale, in particolare in relazione all'effetto dei neuroni specchio o all'attivazione della corteccia prefrontale ma anche in questo caso non siamo ancora in grado di spiegarci fino in fondo le ragioni dell’attivazione di questo tipo di protezione nelle neonate femmine». Una differenza ulteriore è costituita dal fatto che difficilmente l'esito della depressione paterna potrà essere il neonaticidio come invece può accadere nella depressione post parto femminile. In entrambi i casi però rimane l’importanza di prestare la giusta attenzione ai due poli della genitorialità, al diventare padre così come al diventare ma-

dre e a tutti i diversi cambiamenti legati al passaggio da coppia a famiglia. E questo è possibile in primo luogo con una risposta sociosanitaria efficace. A Milano, ad esempio, il professore Mencacci con la sua equipe psichiatrica del centro ambulatoriale Centro Studi Prevenzione e Cura dei Disturbi Depressivi nella Donna, specializzato in disturbi psichiatrici comparsi durante la gravidanza, il post parto e la perimenopausa, segue le madri e i padri prima e dopo la nascita del bambino con delle terapie di gruppo nelle quali si lavora proprio sul disturbo dell’adattamento al cambiamento. «Al padre non è stato mai richiesto uno specifico adattamento alla nuova situazione di paternità», precisa. «Non sarà necessario risalire alla tradizione spartana in cui i figli restavano con la madre e non vedevano il padre fino all’età di sette anni per avere degli esempi di padri esclusi dall’educazione dei figli. Fino a non molto tempo fa esisteva una dimensione della famiglia allargata che gestiva la neomadre. Tutto il periodo neonatale era assorbito da una rete sociale che non lo coinvolgeva. Ma le cose sono cambiate con l’odierna famiglia nucleare. Ora è il padre il primo supporto della neomamma». Alla ricerca e alle strutture di sostegno familiare il compito di rilevare questi cambiamenti, accompagnandoli verso lo sviluppo di una genitorialità diversa, più autentica e priva di lati oscuri.

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Psicologia

Attacchi di panico

CHIEDIAMO AIUTO

IL 7% DELLA POPOLAZIONE MONDIALE SOFFRE DI ATTACCHI DI PANICO. LE PERSONE COLPITE SONO SPESSO QUELLE CHE APPAIONO PIÙ SICURE E STABILI. SI PUÒ GUARIRE MA È NECESSARIO RENDERSI CONTO CHE C’È BISOGNO DI UN AIUTO. COME SPIEGA LA PSICOLOGA MILENA MICOZZI di Gianfranco Virardi

D

ifficoltà respiratorie, aumento della frequenza cardiaca, dolori al petto, sudorazione e derealizzazione. È con questi sintomi che si manifesta il disturbo da attacchi di panico (DAP). La persona che ne viene colpita ha paura di morire, di perdere il controllo e di impazzire, percepisce che qualcosa di irreparabile sta per accadere e prova una profonda angoscia che dura pochi minuti, al massimo una decina, che sembrano interminabili. Inizia così un percorso personale nel tunnel della paura di aver paura che porterà la persona che ne soffre a mettere le strategie di evitamento delle situazioni scatenanti l’attacco al centro della propria quotidianità. L’OMS ha calcolato che il 7% della popolazione mondiale ne soffre, mentre uno studio coordinato dall'ISS ha dimostrato che in Italia tre milioni e mezzo di per-

Nella foto, la dottoressa Milena Micozzi 56 Dossier Medicina

sone adulte hanno sofferto di un disturbo mentale negli ultimi 12 mesi e di costoro, quasi due milioni e mezzo hanno presentato un disturbo d’ansia dei quali quasi un milione di disturbo da attacchi di panico. Il DAP inoltre colpisce la fascia sociale più attiva, quella di età compresa tra i 20 e i 40 anni, le donne più degli uomini. «Le persone colpite da attacchi di panico – ci spiega la dottoressa in Psicologia Milena Micozzi - sono spesso delle persone molto strutturate a livello sociale e personale. Si tratta di persone che appaiono stabili, sicure di sé, forti, mature. Non è un caso che questo sia il disturbo della nostra epoca concepita per ottenere sempre la massima performance. Il massimo numero di informazioni e di amici che si moltiplicano con i blog e i social network, il massimo impegno nel lavoro e nel mantenimento della forma fisica, così come il massimo coinvolgimento nella sfera familiare e nell’educazione dei figli. È chiaro che in questa tendenza globale alla perfezione e al riconoscimento sociale a tutti i costi, il rischio è di spingersi troppo avanti». Se allora intorno alla sua immagine positiva la persona crea una gabbia fatta di richiesta di consenso e di azioni per ottenerlo, l'attacco di panico arriva a ricordare le istanze più autentiche e l’incapacità di ognuno di aspirare alla perfezione. «L’importante è saper ascoltare quello che il crollo psicologico ci dice – osserva la dottoressa Micozzi - e ricorrere all'aiuto terapeutico necessario. In fondo esiste anche un aspetto positivo di questo disturbo ed è quello di tornare a prendere contatto con quelle parti più autentiche di noi stessi che nella corsa alla perfezione tendevamo a soffocare. In questo senso dal percorso terapeutico la persona potrà davvero uscire in pace con se stessa, disponendo allo stesso tempo di quegli strumenti che le permetteranno di dare di volta in volta ascolto alle proprie istanze». Spesso però la tendenza della persona colpita dagli attacchi è quella di isolarsi perché se il primo attacco arriva in modo inaspettato e improv-


Sono tantissime le persone in Italia e nel mondo a soffrire di attacchi di panico. È un disturbo molto comune. Viviamo infatti in un’epoca nella quale spesso ci vengono richieste perfomance di altissimo livello: dobbiamo essere sempre al massimo sul lavoro, nella vita privata, con gli amici. Il rischio è quello di pretendere troppo da noi stessi e, alla fine, di non reggere più lo stress

viso, per i successivi si stabilisce una predittività in base alla quale la persona colpita tenderà a evitare un certo percorso o un certo luogo e in alcuni casi tenderà a non voler uscire di casa. «Il pensiero che in molti casi si stabilisce nella mente della persona colpita – continua la dottoressa Micozzi - e che la porta a ritirarsi o a vivere con angoscia qualsiasi attività è quello di essere affetta da una malattia grave o di non riuscire a controllare i propri impulsi. L’attacco di panico può essere associato in questo caso ad agorafobia, ovvero all’ansia di avere un attacco in luoghi pubblici in cui si teme di non poter essere soccorsi. Si inizia così con l’evitare le piazze, i luoghi affollati, le strade larghe, i mezzi pubblici, ma anche quelli privati, si evita anche di prendere l’ascensore». Dunque oltre all’agorafobia l’attacco di panico porterà con sé, a seconda dei casi, una serie di disturbi d’ansia come claustrofobia, la paura dei luoghi chiusi, fobia sociale, la paura delle situazioni sociali, oppure si cercherà di evitare delle situazioni che ricordano un trauma vissuto e sarà il caso del disturbo post-traumatico da stress, fino a rendere la persona dipendente e impossibilitata ad agire attivamente nella società. «Dopo il primo attacco, il secondo può arrivare subito o a distanza di mesi. Ma è comunque questo attacco a confermare che succederà di nuovo e sarà rinforzato dal successivo, mettendo in moto il comportamento evitante che, se continuo, metterà in moto a sua volta un’alterazione dell’umore in senso depressivo. La persona prima attiva

nel suo ambiente rinuncia ai propri interessi, al proprio lavoro, spesso anche gestire i rapporti familiari diventa difficile. In questo senso il disturbo da attacco di panico è estremamente invalidante». Uscire dal guscio diviene quindi il primo obiettivo del percorso di guarigione per la persona colpita da questo disturbo. La percentuale di riuscita nelle cure raggiunge il 9095%, quasi la totalità. «La cosa più importante è cercare di agire tempestivamente, non aver paura di chiedere aiuto - conclude la dottoressa Micozzi - perché agendo nelle prime manifestazioni il processo di evitamento è meno diffuso. Lo psicoterapeuta farà una prima valutazione del caso, successivamente verrà formulata una diagnosi preliminare e proposto un percorso terapeutico personalizzato. Molto spesso però il disturbo da attacchi di panico viene diagnosticato dopo diversi anni perché una sintomatologia che richiama quella da infarto, porta a compiere un percorso di esami clinici che prolungano i tempi di intervento. La psicoterapia è un aiuto concreto perché l’ansia è un campanello d’allarme che ci sta ad indicare che qualcosa non va più come prima e che ora bisogna lavorare ed affrontare le situazioni esistenziali in modo diverso. L’importante è non aver paura di aver paura e di chiedere aiuto». Dottoressa Milena Micozzi, Psicologa Via Maestri del Lavoro, 27 - 65120 Pescara Cell. 339.5067685 - email: milena.micozzi@libero.it

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Psicologia dello sport

ALLENARE LA NOSTRA MENTE C

UTILIZZARE LE PROPRIE RISORSE PER DIVENTARE PROTAGONISTI DEL PROPRIO DESTINO. E AFFRONTARE LA VITA CON INTENSITÀ. LO SPORT AIUTA A POTENZIARE IL FISICO, MA ANCHE LA MENTE E LE PROPRIE CAPACITÀ. LO SPIEGA GIUSEPPE VERCELLI, PSICOLOGO DELLO SPORT di Cristiana Zappoli

oncentrazione: la mente di un atleta deve essere fissa sull’obiettivo, sia esso la gara o anche solo l’allenamento. Consapevolezza: le capacità che ha già, i suoi punti di partenza, e quelle che può e deve raggiungere. Gestione dello stress: è fondamentale che un atleta non venga schiacciato dal nervosismo, dall’ansia da prestazione, dalla paura di non raggiungere l’obiettivo. Motivazione: per uno sportivo professionista è tutto. Per dare il meglio di sé la motivazione deve essere solida. La psicologia dello sport si focalizza proprio su questi fattori mentali e psicologici (e anche su altri) che interagiscono nella pratica sportiva. Perché bisogna sempre tener presente che i dubbi sulle proprie capacità personali, la scarsa fiducia in se stessi e tensione costante, impediscono la piena espressione delle proprie potenzialità. Al contrario un atleta deve imparare a controllare i propri pensieri negativi e incanalare le energie mentali verso la giusta direzione e fare tesoro delle proprie emozioni positive. Ma la psicologia dello sport non va in aiuto solo di chi ha fatto dello sport un mestie-

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re e lo pratica ad alti livelli. Studia anche la pratica collettiva e comune, ovvero le conseguenza della pratica sportiva sui bambini, gli adolescenti, gli adulti e gli anziani. Perché, da sempre, l’attività sportiva aiuta ognuno di noi a migliorare la propria vita. Ne è convinto il professor Giuseppe Vercelli, psicoterapeuta di alcune delle nostre squadre nazionali a Pechino 2008.

Professor Giuseppe Vercelli, da dove e come nascelapsicologiadellosport?Eperchéassumesempre più importanza?

«Il primo laboratorio di psicologia dello sport fu fondato da Carl Diem a Berlino nel 1920. Con l’avvento della grande depressione e della seconda guerra mondiale l’interesse per la psicologia dello sport si spense fino agli anni ’60 in cui, grazie alle ottime prestazioni degli atleti russi, si risvegliò la curiosità per la psicologia dello sport. In Italia, la psicologia dello sport, approda nel 1965, anno in cui Ferruccio Antonelli istituì il Primo Congresso Internazionale di Psicologia dello Sport. Negli anni, le ricerche e gli studi hanno preso piede e oggi la psicologia dello sport, soprattutto all’estero, viene vista come parte integrante di un allenamento a 360° che agisce sullo sviluppo dell’Intelligenza Agonistica dell’individuo - atleta».


Mente e corpo: un binomio indissolubile nella ricerca della serenità nella nostra vita?

«Mente e corpo costituiscono la nostra essenza come individui, insieme all’ambiente in cui viviamo e ci troviamo ad agire. Qualsiasi attività che permetta di migliorare la relazione e la connessione tra mente, corpo e ambiente genera benessere alla persona». Per molti anni abbiamo valutato lo sport solo dal punto di vista dei benefici muscolari, trascurando l’aspetto psicologico. Oggi le cose sono cambiate, perché?

«Perché si è visto che solo l’allenamento fisico non è più sufficiente in un mondo sportivo dove si insegue la perfezione assoluta della prestazione e dove si è sempre più spinti verso la ricerca della vittoria. Molti atleti con livelli di preparazione fisica al top hanno dimostrato di non riuscire ad esprimere le loro potenzialità in occasioni importanti. Partendo da queste considerazioni ci si è chiesto che cosa fosse stato trascurato e ci si è accorti che un fisico eccellente non produce risultati se non è accompagnato da una mente forte e preparata». Dal punto di vista psicologico quanto è importante praticare una disciplina sportiva oggi?

«Il vantaggio psicologico è indubbio ed è rilevabile a qualsiasi età. Nella formazione dell’essere umano lo sport può essere vissuto come una metafora della vita e come un efficace banco di prova dove i bambini/ragazzi possono sviluppare e allenare life-skills, ovvero capacità che saranno utili anche fuori dal contesto sportivo. Nell’età adulta lo sport viene in aiuto per la gestione dello stress

e si è visto essere utile per prevenire disturbi di ansia e depressione. Nell’età senile il discorso si amplifica maggiormente e studi dimostrano che gli anziani che praticano sport hanno una minor incidenza di patologie psichiatriche rispetto ai non praticanti».

Praticare una disciplina sportiva con regolarità, inseriti magari in un contesto di squadra, con delle regole e orari precisi, offre maggiori benefici rispetto alla semplice corsetta nel parco?

«Dipende da quali sono gli obiettivi che ciascuno si prefigge. L’attività sportiva regolamentata, magari in un contesto di squadra ha dei risvolti psicologici sicuramente interessanti per quanto riguarda la capacità di lavorare in team e acquisire una mentalità cooperativa e collaborativi. Per molti, soprattutto quando gli impegni scolastici e lavorativi aumentano, diventa difficile riuscire a conciliare un’attività sportiva strutturata con tutti gli altri impegni e si predilige pertanto la classica corsetta nel parco. Tuttavia anche questa attività, se fatta regolarmente, può essere di aiuto alla persona per allentare tensioni, regolare energia, aumentare la concentrazione e dedicarsi un momento di divertimento quotidiano». Cosa scatta nella mente degli sportivi al momento della gara?

«Dipende. È troppo soggettivo per poter dare una risposta generalizzabile. Si può dire cosa teoricamente dovrebbe passare nella mente in una prestazione ideale, ovvero solo i pensieri funzionali alla prestazione che favoriscono la massima concentrazione e l’esaltazione dei punti di forza dell’atleta stesso. Ogni altro pen-

GIUSEPPE VERCELLI È lo psicologo dello sport della squadra nazionale di sci alpino e della squadra nazionale di canoa e kayak, con le quali ha partecipato alle Olimpiadi Invernali di Torino 2006 e alle Olimpiadi di Pechino 2008. Dirige l’Unità Operativa in Psicologia dello Sport di Torino e ha sviluppato con i colleghi il costrutto di “Intelligenza Agonistica” e il modello SFERA, applicato in campo sportivo, manageriale, organizzativo, educativo e terapeutico

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Psicologia dello sport

PIÙ SPORT PER GESTIRE MEGLIO LE NOSTRE EMOZIONI

Praticare una disciplina sportiva non porta vantaggi solo al corpo. Mente e corpo sono infatti talmente legati, che lo sport provoca anche vantaggi psicologici. Nella formazione di ognuno di noi, infatti, la pratica sportiva sviluppa e allena i cosiddetti life-skills, ovvero abilità e competenze utili per affrontare problemi e stress della vita quotidiana. Per esempio la capacità di avere costruttive relazioni interpersonali, interagendo con gli altri in maniera positiva e riuscendo a creare e mantenere relazioni amichevoli che possono avere forte rilievo sul benessere mentale e sociale. E poi l’autoconsapevolezza, ovvero il riconoscimento di sé, del proprio carattere, delle proprie forze e debolezze, dei propri desideri e delle proprie insofferenze. Per non parlare della gestione delle emozioni, cioè il riconoscimento delle emozioni in noi stessi e negli altri, e la gestione dello stress, imparando ad agire in modo da controllarlo a tutti i livelli.

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siero può essere fuorviante anche se ogni mente è totalmente diversa ed è sempre rischioso e banalizzante cercare di trovare una regola comune a tutti». Come la pratica sportiva può influenzare le normali relazioni sociali?

«Lo sport, soprattutto se di squadra, può essere un buon mezzo per creare o consolidare legami sociali. I bambini che hanno avuto esperienze di sport di squadra sono, in media, più abituati alla collaborazione e alla cooperazione e questo atteggiamento lo potranno esportare anche in altri ambiti della vita». C’è uno sport che più di un altro influenza beneficamente la nostra esistenza?

«Quello che ci genera le migliori sensazioni».

Chi pratica sport vive la vita con maggiore intensità e pienezza?

«Penso di sì, ma non ci sono studi scientifici su campioni così vasti da poterlo affermare in senso assoluto. Si può altresì affermare che chiunque sappia utilizzare appieno le proprie risorse, per superare le innumerevoli sfide che quotidianamente la vita ci propone, vive con intensità e pienezza perché si sente maggiormente protagonista del proprio destino». Cosa prova un atleta quando vince?

«In generale prova un senso di godimento, di piacere, di benessere, forza e potenza. L’intensità di queste sensazioni dipende dall’importanza e dal significato attribuito alla sfida vinta».

Un approccio sbagliato nei confronti di una disciplina sportiva può influenzare negativamente la crescita di un adolescente?

«Sì, purtroppo questa è una delle conseguenze negative di una pratica sportiva mal gestita. Spesso vediamo adolescenti che hanno perso totalmente la motivazione allo sport o addirittura arrivano ad avere livelli molto bassi di autostima e autoefficacia in conseguenza di esperienze alquanto negative in ambito sportivo. Soprattutto in fase adolescenziale il clima del gruppo dei pari e il rapporto con l’allenatore sono un elemento fondamentale per la strutturazione di un’identità sana del giovane». Prendiamo in esame due categorie di adolescenti: chi pratica uno sport e chi invece no. Che differenze si verificano durante la loro crescita?

«Precisiamo innanzitutto che la crescita di un individuo è condizionata da numerosi fattori di cui lo sport è solo uno, anche se molto importante. Si può dire che i ragazzi che hanno praticato sport costantemente sin dalla giovane età hanno maggiori capacità di organizzazione del proprio tempo e una maggiore propensione alla gestione delle sconfitte, rispetto ai non praticanti. Ogni disciplina sportiva influenza poi il giovane in relazione ad aspetti specifici della personalità che sono strettamente collegati allo sport praticato». Che emozioni si provano dopo una sconfitta?

«Sono molteplici e sono assolutamente soggettive. Ci sono però alcune fasi che tutti si trovano ad affrontare, con tempi e modalità assolutamente soggettive. C’è una fase iniziale di shock o negazione a cui fa seguito una fase di rabbia e la tendenza a ricercare la causa del fallimento, all’interno o all’esterno. Superato questo momento, l’atleta comincia ad accettare la sconfitta, provando tristezza e delusione. L’ultima fase è caratterizzata dall’accettazione e dal superamento della sconfitta, trasformando il limite in una possibilità di crescita e apprendimento». Ritiene che si possa essere soddisfatti oggi dello svolgimento delle attività fisiche all’interno delle scuole primarie e secondarie?

«Anche qua non penso sia possibile generalizzare. Ci sono professori molto preparati che propongono una buona iniziazione all’attività fisica, anche se il tempo limitato a loro disposizione non può essere sufficiente per un ragazzo che voglia praticare regolarmente attività motoria». Chi vince nell’ambito dello sport ha una vita di maggiori successi?

«Non è possibile affermare che vi sia una correlazione diretta tra vittoria nello sport e vittoria nella vita. La storia ci ha portato testimonianza di grandi attori dello sport che hanno vinto tutto e una volta smessa l’attività sportiva si sono persi sulla strada della depressione, o si sono trovati di fronte sconfitte e insuccessi personali di ogni tipo. Molto dipende da quanto l’atleta è stato in grado di far tesoro della propria esperienza, iniziando a costruirsi parallelamente una vita futura su basi solide, utilizzando le competenze acquisite durante la vita sportiva. E molto dipende dall’ambiente sociale in cui tale attività sportiva è stata praticata».

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Linguaggio

Basta alla balbuzie con LIDCOMBE

ERRORI DI COMUNICAZIONE E DINAMICHE SBAGLIATE RISCHIANO DI BLOCCARE L’EVOLUZIONE DELL’ELOQUIO DEL BAMBINO. OGGI CON IL METODO LIDCOMBE, UN SISTEMA DI PREMI E RICOMPENSE, SI ELIMINA LA BALBUZIE di Andrea Giuliani

L

e potenzialità del linguaggio possono attuarsi solo e soltanto se l'uomo riesce a stabilire rapporti interpersonali affetivamente soddisfacenti. Per avviare l'uso della lingua parlata è determinante l'apporto degli adulti e del modo in cui si pongono nei confronti del bambino. Quando il bambino vive in un ambiente in cui si parla poco, o si creano continue dispute, quando gli viene negato il diritto di parola e gli si forniscono pochi modelli verbali, vengono a crearsi le condizioni sufficienti perché il linguaggio non si sviluppi. La comunicazione tra bambino molto piccolo e la madre è stata definita da U.Neisser “proto conversazione”. Già tra le sette e le quindici settimane puntano l’attenzione sul viso della madre e reagiscono con sorrisi e borbottii alle sue sollecitazioni. Se la madre interagirà e sosterrà il tentativo di comunicazione toccandolo, sorridendogli e parlandogli dolcemente con voce leggera e rilassata, allora il bambino produrrà suoni. Una “proto conversa-

zione” disarmonica può essere - in futuro, se non riordinata - la responsabile delle disfluenze più o meno gravi del linguaggio. La balbuzie, alla sua comparsa in età infantile, può essere inizialmente giustificata come un atteggiamento di timidezza del bambino o con un ritardo del linguaggio. Un problema grave che colpisce un bambino su 20 tra i 2 e i 4 anni di età e nella maggior parte dei casi non si interviene in modo tempestivo. Il genitore tenderà in moltissimi casi a negare il problema vedendo i miglioramenti dell’eloquio del bambino e giudicando gli “inceppamenti” come occasionali. Il risultato è che attuando una strategia di attesa di guarigione spontanea dal disturbo, soltanto il 20% dei bambini colpiti riacquisterà un eloquio fluente. «Secondo una recente ricerca australiana i futuri balbuzienti hanno sviluppato questa disfunzione già prima dei tre anni di età», afferma il dottor Marco Santilli, specialista di Rieducazione al Linguaggio e di Ricerca Scientifica nel settore della balbuzie. «Questo ci fa capire – pro-

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Linguaggio

Nell’applicazione del nuovo metodo LIDCOMBE, la famiglia ha un ruolo primario. All’interno di essa il bambino deve trovare le motivazioni per affrontare ed eliminare il blocco dell’eloquio

segue - quanto sia importante intervenire in età prescolare, facendo in modo di accelerare il processo di risoluzione, prima che questo diventi un problema. Quando la balbuzie si manifesta in età precoce non è detto che quei sintomi debbano necessariamente portare a un affermarsi del problema. Una delle possibilità è che rivelino una certa predisposizione che spesso però non è facile cogliere anche perché molti bambini che iniziano a balbettare hanno un ricco vocabolario già a due anni. Allo stesso tempo la ricerca ci dice che non bisogna preoccuparsi se il bambino inizia a balbettare perché è spesso fisiologico intorno ai 2 anni, ma è altrettanto sbagliato pensare che il risultato sia sempre quello di una risoluzione spontanea». Proprio a causa di questa indeterminatezza di partenza che caratterizza la natura della mancanza di fluidità nel linguaggio del bambino, la gestione del problema da parte del genitore diviene ancor più delicata e difficile. In una situazione a impatto emotivo così elevato tanto per il genitore come per il bambino entrano in gioco fattori molteplici come l’educazione impartita, che se molto rigida, rischia di raggelare le reazioni del bambino

creando un circolo vizioso. In altri casi sarà invece l’eccesso di protezione a bloccare il bambino. E quando è il genitore stesso ad avere problemi di balbuzie percepisce quella del figlio con senso di colpa. È nell'ambito di queste dinamiche così complesse che errori di comunicazione con il bambino rischiano di comprometterne l'evoluzione dell'eloquio, scatenando l'insorgenza di una balbuzie resistente. «I ricercatori - continua il dottor Santilli - hanno seguito più di 1600 bambini a partire dagli 8 mesi di età. È stato osservato un inizio spesso improvviso che si sviluppa in meno di tre giorni almeno in metà dei casi seguiti. L’insorgenza si è vista essere più frequente tra i bambini di sesso maschile e tra i gemelli ma anche nei casi di educazione severa della madre e nei casi di bambini che, già all’età di due anni, avevano un vocabolario particolarmente ricco. A fronte di questi dati che ci danno una panoramica della balbuzie in età infantile resta la necessità di evitare che il bambino sperimenti sentimenti di ansia rispetto alla sua fluidità di linguaggio». Oggi, un nuovo metodo comportamentale di cura della balbuzie che giunge dall’Australia affida proprio al genitore un ruolo primario, eliminando il senso di inadeguatezza e di incapacità di azione che spesso il genitore del bambino balbuziente si trova a sperimentare. Si chiama metodo LIDCOMBE, prevede che dopo un’adeguata formazione da parte di uno specialista, di uno psicologo e anche di un logopedista siano i genitori stessi a impartire la cura al proprio bambino. Con questo meto-

Nella foto, Marco Santilli, Responsabile del Centro Specialistico per l’eliminazione della balbuzie. Per diversi anni ha partecipato alle trasmissioni Uno mattina, TG2 Salute e Medicina 33


do non si insegna al bambino a controllare la parola o il respiro, quindi non si focalizza la sua attenzione sul problema, ma si fa in modo che il bambino sviluppi un allenamento all’eloquio fluido attraverso un sistema di premi e ricompense. In Italia questo metodo è utilizzato presso il Centro Specialistico per l’Eliminazione della Balbuzie fondato dal dottor Marco Santilli, nelle sue sedi presenti in tutta Italia. «Il metodo, che si basa sul trattamento precoce della balbuzie, è stato sviluppato dal prof. Mark Onslow dell’Università di Sidney», specifica Marco Santilli. «La novità del metodo consiste proprio nel fatto che i genitori hanno la possibilità di aiutare loro stessi il bambino nell’ambiente familiare e quotidiano, partendo dalla considerazione che spesso il problema di balbuzie è più psicologico che fisiologico. Si tratta di seguire l’eloquio del bambino in famiglia per intervalli di circa 15 minuti e di commentare successivamente l'eloquio in modo gratificante o neutro ma mai in modo negativo. Una mamma che dopo una ripetizione corretta della parola da parte del bambino gli dice “bravo, questa volta hai detto bene”, premia il bambino e allo stesso tempo gli fornisce un dato sulla giusta articolazione senza mortificarlo. Un'ulteriore novità del metodo è costituito dall'età di intervento, il periodo prescolare tra i 2 e i 6 anni, che in più si rivela estremamente utile nel facilitare l’inserimento del bambino nel mondo della scuola». La priorità rimane quella dell'intervento precoce. «Per i ricercatori dell'università di Sidney è sempre meglio intervenire piuttosto che aspettare. Durante il loro studio hanno seguito 54 bambini dai 3 ai 6 anni, sottoponendo la metà di loro al metodo LIDCOMBE. Si è visto che i bambini sottoposti a questo trattamento avevano ridotto del 77% il loro livello di balbuzie, rispetto al 43% di riduzione dell’altra metà non trattata». L’importanza dell’intervento precoce riguarda anche la possibilità di agire in una fase in cui il bambino non ha coscienza della sua balbuzie. Infatti, è proprio con il passare degli anni che con la balbuzie si sviluppano problemi relativi all’autoefficacia, ovvero alla percezione che si ha della propria capacità di poter modificare gli eventi. Per il balbuziente adulto la paura di non poter superare la prova è molto elevata. Il soggetto ha una valutazione negativa delle proprie possibilità e questo lo induce a evitare situazioni in cui potrebbe balbettare. Ma ciò che è più importante è che questa percezione di sé porta il soggetto adulto con problemi di fluidità a rinunciare a possibili obiettivi di modificazione del disturbo e a considerare i propri limiti di eloquio come dei tratti che rimarranno permanenti. In questo senso l’intervento precoce presenta l’ulteriore vantaggio di lavorare su soggetti che non sono giunti a una simile percezione limitante della propria autoefficacia. A conferma di questo dato «uno screening condotto in Australia sulla balbuzie infantile ha dimostrato che i bambini che balbettavano non erano

GENITORI, ECCO COSA FARE

È importante che il bambino senta il sostegno e la gratificazione dei genitori, questo permette la crescita dell’autostima e consapevolezza di sé. Ecco come: Utilizzare un linguaggio facile, semplice, morbido, rallentato in presenza del bambino, offrendo un "modello" verbale e articolare in modo chiaro e preciso, in particolare dopo aver ascoltato la difficoltà del bambino, senza scadere nell'artificiosità e "stranezza". Modellare l'eloquio in modo disteso, consigliando la stessa modalità agli altri membri della famiglia. Per stimolare il bambino al raggiungimento della fluidità utilizzare un livello di comunicazione meno complesso ed articolato, privilegiando un vocabolario elementare e frasi corte. Non interrompere, anticipare le frasi o finire il discorso di un bambino che balbetta. Nella conversazione rispettare i "turni" d'inserimento verbale e non sovrapporsi mentre si parla. Attendere che termini la sua frase e il suo discorso con disponibilità e attenzione. Prendere la consuetudine di commentare singole situazioni o momenti del fare (discorso parallelo), piuttosto che porre frequenti domande che affaticano il bambino. Durante i momenti o le giornate di maggiore difficoltà verbale offrire al bambino le più ampie occasioni di linguaggio e la possibilità di parlare liberamente, stimolato da percorsi ludici per lui particolarmente interessanti e gradevoli. Organizzare percorsi e momenti di attività non-verbali, di costruzione ecc., che possano "scaricare" e alleggerire la tensione verbale, valorizzando forme comunicative alternative. Evitare "competizioni verbali" quali ad esempio obbligare a raccontare eventi ad amici o parenti, al fine di limitare e contenere la "pressione" del livello di costruzione verbale del bambino. Non evidenziare al bambino le sue difficoltà verbali. Invitatelo a parlare lentamente come specchio imitativo di movimenti armonici delle labbra e con pause armonico/metriche proprio come si fa nella musica rispettando le pause. Evitare di parlare della "diversità", si comunicano forti livelli d'ansia che appartengono all'adulto ma non al bambino che "vive la difficoltà" ma non la "prova" ancora. Il bambino potrebbe equivocare la natura dello stimolo interpretandolo come un rimprovero riguardo la sua incapacità a parlare.

più timidi e riservati rispetto ai coetanei» aggiunge Marco Santilli. Oggi l’attenzione intorno alle ripercussioni di questo problema tra i ragazzi è molto elevata. «Sottoporre i bambini al trattamento con il metodo LIDCOMBE vuol dire andare a diminuire il tasso di adulti balbuzienti che oggi corrisponde a una popolazione dell’1%, attraverso un recupero naturale e sottrarre il bambino da un atteggiamento di silenzio doloroso che spesso costituisce il suo ambiente secondo un approccio più attendista». Centro Specialistico per l’Eliminazione della Balbuzie/ Dott. Marco Santilli. Sede centrale: L.go S. Luca - Roma - Via Tivoli n°66 - Roma. Via La Marmora 16, Pescara. Numero verde: 800 - 090732 cell. 340-86.71.477; 347-59.42.640; 06.66192828. www.marcosantilli.it / info@marcosantilli.it

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Reportage

Le nostre vite in LE STIME DICONO CHE NEL 2030 I DECESSI PER TABAGISMO SARANNO 8 MILIONI ALL’ANNO. SI PUNTA TUTTO SULLA PREVENZIONE. A TUTT’OGGI, NEGLI OSPEDALI ITALIANI, UN RICOVERO SU CINQUE AVVIENE PER MALATTIE LEGATE AL FUMO. SI CHIEDE AIUTO E PARTECIPAZIONE ANCHE AI MEDICI DI FAMIGLIA. INTANTO IN TUTTA EUROPA CAMPAGNE CON IMMAGINI SHOCK SUI PACCHETTI DI SIGARETTE di Silvia Di Persio

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l momento giusto per smettere di fumare non arriva mai. Il vizio si lega a filo doppio a così tante azioni della quotidianità da rendere inimmaginabile la possibilità di svolgerle senza il sostegno della compagna di una vita: la sigaretta. E se in alcuni casi l’idea di smettere di fumare si affaccia in modo più o meno forte alla coscienza del fumatore, in altri l'assenza di una sintomatologia importante associata al fumo diviene un’autorizzazione a fumare per tutta la vita, almeno fino all’evidenza del danno irreversibile. Il tabagismo costituisce oggi una delle forme di dipendenza più radicate e difficili da combattere, oltre che il primo fattore di rischio di morte nei paesi industrializzati. Solo nel XX secolo nel mondo sono morte 100 milioni di persone per danni da tabacco. Una media di 5,4 milioni di decessi all'anno che è destinata ad aumentare costantemente perché l’industria del tabacco è inarrestabile e di anno in anno è alla ricerca di nuovi fumatori che rimpiazzino i precedenti. Le stime dicono che nel 2030 i decessi per tabagismo saranno più di 8 milioni all’anno e che l’80% di questi decessi avverrà nei paesi in via di sviluppo dove, a fronte delle politiche antifumo occidentali, le compagnie del tabacco stanno investendo in modo massiccio in termini di imma-


Gli organi che maggiormente sono bersagliati dall’effetto del fumo POLMONI Il tumore ai polmoni è una delle principali cause di morte ed è provocato, nel 90 per cento dei casi, dal fumo di sigaretta. Il fumo può danneggiare le vie respiratorie e provocare enfisema e BPCO (broncopneumopatia cronica).

GOLA Il fumo può provocare tumori alla cavità orale, bocca, faringe, laringe, gola ed esofago. Inoltre i fumatori sono più soggetti ad infezioni del tratto respiratorio alto (raffreddori e ulcere alla gola) dovute a infezioni batteriche o virali e a periodontiti.

APPARATO RIPRODUTTIVO Il fumo può provocare nelle donne tumori alla cervice e infertilità anche negli uomini (dove si associa ad impotenza). Nelle donne in gravidanza può provocare distacco della placenta o placenta previa.

CUORE È uno degli organi che maggiormente risente dell’effetto fumo. Il fumo provoca malattie cardiovascolari, coronariche, aterosclerosi e indurisce le arterie; aumenta la pressione arteriosa, stimola la produzione di acidi grassi liberi.

VESCICA Il cancro alla vescica è una neoplasia strettamente legata al fumo di sigaretta che rappresenta il principale fattore di rischio con il 65 per cento dei casi tra gli uomini e il 30 tra le donne. Il sintomo principale è la presenza di sangue nelle urine.


Reportage gine e di presenza industriale sul territorio. È per arginare questa epidemia mondiale, soprattutto a fronte dell’evitabilità delle morti per tabagismo, che l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), con il suo rapporto WHO Report on the Global Tobacco Epidemic, ha lanciato l’allarme, indicando le azioni preventive che dovranno essere incentivate. In particolare ai governi si chiede di attuare politiche di prevenzione e monitoraggio sull’uso del tabacco, di proteggere le persone dal fumo e avvertirle dei relativi pericoli, di offrire aiuti per smettere di fumare e di aumentare le tasse sul tabacco, scoraggiando inoltre ogni forma di promozione e pubblicità del tabacco, in uno sforzo preventivo che nel complesso sia teso ad affermare una concezione di benessere che coincida con delle condizioni di sviluppo individuale ottimali e che concorra ad affermare una mentalità della "cultura della salute” da contrapporre al modello imposto dalle industrie del tabacco. È grazie alle politiche di prevenzione e di studio del fenomeno portate avanti da organizzazioni di ricerca come ISS (Istituto Superiore della Sanità), LILT (Lega Italiana per la Lotta ai Tumori) e SITAB (Società Italiana di Tabaccologia) che l’Italia oggi recepisce queste direttive e si pone in prima linea nella lotta al tabagismo. «In primo luogo deve diffondersi la consapevolezza che ciò che si inala con le sigarette non è la sola nicotina ma

Nella foto a sinistra: Piergiorgio Zuccaro, Direttore dell'Osservatorio Fumo, Alcool e Droga dell’ISS

anche una quantità di più di 50 sostanze cancerogene», ci spiega il professore Piergiorgio Zuccaro, Direttore dell’Osservatorio Fumo, Alcool e Droga dell’ISS. «Se paragoniamo il tabagismo all’inquinamento ambientale, fumare non equivale a respirare lo smog di città, al quale purtroppo si è costretti, bensì a mettersi un tubo di scarico in bocca ripetutamente durante la giornata. In più bisogna considerare che non sono soltanto i polmoni a essere colpiti da que-

DIFFERENZE, TRA UOMO E DONNA

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isulta sempre più evidente che le differenze di genere incidono in maniera determinante sul processo disassuefazione dal tabacco e sulle malattie da fumo. Verificando ad esempio l’efficacia delle terapie farmacologiche separatamente sugli uomini e sulle donne, è risultato che mentre per bupropione e vareniclina non si riscontrano differenze di efficacia relative al genere, nel caso della terapia a base di nicotina, l'efficacia è maggiore negli uomini. Altre ricerche indirizzate, invece, allo studio dell’influenza dei cambiamenti ormonali nelle donne durante il processo di disassuefazione hanno dimostrato che la probabilità di riuscita nella dismissione del tabacco sarà maggiore durante l’ultimo periodo del ciclo mestruale perché il desiderio di fumare è maggiore nei giorni immediatamente precedenti l'inizio del ciclo mestruale. Per quanto riguarda le patologie correlate al tabagismo è stata riscontrata una maggiore predisposizione delle donne rispetto agli uomini e ad ammalarsi di tumore al polmone e a subire gli effetti del fumo passivo.

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ste sostanze tossiche ma l’intero organismo che per nostra fortuna è una macchina meravigliosa e affronta e metabolizza questi veleni. Ma pensiamo comunque a quello che può comportare la somministrazione continua». A svolgere un ruolo fondamentale nello sforzo preventivo, non solo la diffusione delle informazioni sulle sostanze contenute nelle sigarette ma anche una presentazione ad alto impatto emotivo dei danni causati dal fumo. In Inghilterra, dove si investono molte risorse nella lotta al tabagismo, le campagne puntano a scatenare reazioni di rifiuto che possano superare gli effetti benefici della nicotina, o comunque a fare riflettere sul prezzo che questo piacere impone in termini di salute, con delle immagini shock di tumori alla gola e ai polmoni accompagnate dall’indicazione “il fumo può portare a una morte lenta e dolorosa”, che sostituiscono le classiche avvertenze sui pacchetti di sigarette. In Italia, dove le campagne mediatiche sono state fin’ora troppo discontinue a causa di problemi nei finanziamenti ma soprattutto a causa della mancanza di una task force di esperti della prevenzione del tabagismo che si occupasse di ideare delle campagne ad hoc della durata minima di efficacia di almeno 3 anni, l’intervento di maggiore incidenza si è avuto a livello legislativo, in particolare con la legge del ministro Girolamo Sirchia sul divieto di fumo nei pubblici esercizi. Anche se, indirettamente, questa misura ha avuto una portata mediatica così elevata che in pochi anni ha permesso lo sviluppo di una diffusa mentalità antifumo nel nostro paese. Lo dimostra il dato ISS secondo cui la prima ragione di disassuefazione da tabacco in Italia è la “maggiore consapevolezza dei danni provocati dal fumo” con una percentuale di ex fumatori del 40%, subito seguita dalla motivazione “insorgenza di problemi di salute” con il 38%. Questo vuol dire che quando si sceglie, quando cioè non è la malattia che costringe il fumatore a intraprendere il percorso di disassuefazione, lo si fa per consapevolezza del valore negativo del fumo. Il dato ha un rilievo ancora maggiore se si considera che la motivazione è in crescita rispetto a quella per insorgenza dei danni da fumo. «Si tratta di un


«PROTEGGIAMO GLI ADOLESCENTI DAL FUMO» Sempre più l’industria del tabacco cerca nuovi consumatori nel mondo dei giovani. E lo fa attraverso le immagini, le sponsorizzazioni nel mondo dello sport, la vendita di pacchetti con numero ridotto di sigarette. Ne parliamo con il Professore Giacomo Mangiaracina

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a prima automobile, il primo bacio, la prima esperienza sessuale e, inevitabilmente, la prima sigaretta. Sono molti gli aspetti che in età adolescenziale, oltre a costituire dei veri momenti di iniziazione all'età adulta, si caricano di valori simbolici spesso spropositati o del tutto infondati. Questa tendenza non sfugge all’industria del tabacco e ai suoi esperti di marketing che indirizzano principalmente agli adolescenti le proprie strategie mirate a caricare il fumo di significati appetibili. Spirito di avventura, temerarietà, sono queste alcune immagini che il marketing associa alla sigaretta con le proprie iniziative mirate. E i risultati in termini di efficacia non si fanno attendere: il 44% di ragazzi e ragazze tra i 15 e i 17 anni. Oggi proteggere i giovani dalle mire di queste industrie e dalla conseguente dipendenza da tabacco è il principale obiettivo di tutti gli operatori della prevenzione nel settore. «Gli anglosassoni li definiscono “nicotine hoocked". I giovanissimi vengono letteralmente agganciati, reclutati e fidelizzati come nuovi consumatori» ci spiega Giacomo Mangiaracina, Direttore Scientifico dell’Area Tabagismo della LILT. «Del resto è prevedibile che se in Italia muoiono ogni anno 80mila persone a causa del fumo, l’industria del tabacco tenderà a rimpiazzare continuamente questi consumatori persi. Ed è chiaro che proprio tra i giovanissimi, tra coloro cioè che hanno la possibilità di essere consumatori più longevi, che le industrie del tabacco cercano il proprio rimpiazzo. I nuovi acquirenti delle multinazionali del tabacco sono i ragazzini tra gli 11 e i 14 anni. È a questo target che puntano i produttori del tabacco e lo fanno proprio attraverso l'immagine, con le sponsorizzazioni, ad esempio nel mondo dello sport, oppure agevolando l’accesso al fumo con i pacchetti da 10, fino all'ultima proposta di vendere le sigarette sfuse». Quali sono allora le misure per difendere i nostri figli da questo aggancio? Innanzitutto bisogna conoscerli, conoscerne le paure e l’emotività. E poi cercare di comprendere il legame che si stabilisce tra i ragazzi e il fumo, quand'è che questo legame diventa dipendenza, per quali ragioni dopo la prima sigaretta il giovane sceglie di continuare

con la seconda. «Oggi sappiamo che la paura di alcune malattie aleggia tra i giovani», afferma Giacomo Mangiaracina. «Da una ricerca che ho realizzato con la Fondazione Pfizer alcuni anni fa su un campione di 17mila studenti è emerso ad esempio che i ragazzi non hanno paura del fumo ma temono i tumori. Una paura irreale vista la scarsa incidenza dei tumori sui giovani, allo stesso modo in cui è del tutto infondato non aver paura del fumo». Ma una grande possibilità di lavorare su questo immaginario. Un secondo dato importante è che l’80% dei nostri ragazzi fa l'esperienza del fumo e noi non possiamo impedirlo. «Le ricerche dicono proprio che non bisogna fare programmi per impedire che i ragazzi facciano l'esperienza – continua Giacomo Mangiaracina - lasciamogliela fare, non sarebbe facile impedirlo e non è detto che dopo questa esperienza il ragazzo diventi un fumatore». In effetti di questo 80% solo un ragazzo su 4 diventa fumatore sulla base di meccanismi diversi che porteranno a ripetere l'esperienza nonostante sia sgradevole oppure a non ripeterla affatto. «Per alcuni ragazzi la sigaretta significa sfida: devono riuscire a superare questo disagio e dimostrare al mondo intero che sono capaci di fumare come fuma tanta gente. Quindi la sgradevolezza diventa uno stimolo». Sulla base di queste tendenze sono stati tracciati i profili di “sensation seeking” per definire l’approccio al fumo dei ragazzi che vanno alla ricerca delle sensazioni forti e di "novelty seeking" per coloro che tendono invece a esplorare le novità. «Ciò che vogliamo fare con la ricerca è entrare in quel processo di elaborazione, in quel travaglio mentale che sta tra la sigaretta di prova e il fumo sistematico. Più informazioni riusciamo ad avere all’interno di questo processo più sarà possibile intervenire con delle strategie efficaci». In attesa che la ricerca faccia delle scoperte determinanti su questi meccanismi bisogna lavorare sui messaggi e contrastare quelli lanciati dalle industrie. In primo luogo in famiglia. «Non c’è messaggio più bello di un genitore che smette di fumare», sottolinea il professore Mangiaracina. E poi bisogna intervenire nella scuola perché la trasmissione di una mentalità passa sempre attraverso l’educazione. «In Italia mancano le vere campagne di prevenzione nella scuola. È necessaria una task force a livello nazionale per la creazione di campagne mediatiche realizzate da esperti e della durata di almeno 3 anni. Come SITAB abbiamo proposto che si aumenti il costo delle sigarette, misura che in altri paesi si è dimostrata efficace per scoraggiare i più giovani, e poi che questo aumento al costo di un euro per fumatore finanzi delle campagne. Se noi non investiamo sulle campagne non ci sarà mai una vera prevenzione sul fumo». Tutto dimostra che ridurre il fumo giovanile a un solo meccanismo di emulazione, come è stato fatto per diversi anni, non ha senso. «Forniamo loro contenuti alternativi – consiglia il professore - ricordiamogli che chi fuma non è un vincente ma un perdente, che chi fuma puzza e che le industrie del tabacco costruiscono delle strategie sulle loro teste, che li stanno usando. Fidiamoci del senso critico dei nostri ragazzi».

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Reportage cambiamento di mentalità - continua il professore Zuccaro - che sta avvenendo nel nostro paese e negli altri paesi occidentali e che porta ad attribuire un valore negativo al fumo nell’ambito della società di riferimento. Basti considerare che in Italia nel 1957 il totale di fumatori maschi era il 70% mentre la stima per il 2008 è del 26,4». Il fatto però che ben il 94,3% degli ex fumatori intervistati abbia smesso senza alcun tipo di supporto, pone dei dubbi rispetto all’accessibilità delle misure di aiuto per smettere di fumare. «In realtà – fa notare Zuccaro - il dato deve essere letto come positivo, perché vuol dire che se la percentuale di disassuefazione è già così elevata anche senza l’accesso alle strutture di supporto, un’incentivazione all’utilizzo degli strumenti di cura oggi disponibili potrebbe portare a risultati sorprendenti. Bisogna ricordare che in Italia le strutture ci sono e funzionano ma c’è il problema di un coinvolgimento e di una sensibilizzazione della classe medica rispetto alla pratica della prevenzione». In effetti, grazie allo sforzo congiunto nella creazione di punti di riferimento terapeutici delle organizzazioni di ricerca, il fumatore dispone di diversi aiuti per smettere. Da una parte i centri antifumo che utilizzano terapie integrate, dall’altra una forma di aiuto a distanza che pone l’Italia in linea con i paesi del Nord Europa. È il caso della Quit Line SOS LILT 800-99-88-77. Chiamando questo numero verde i fumatori che per ragioni diverse non possono recarsi al centro antifumo vengono seguiti a distanza da operatori professionisti della dipendenza da tabagismo. Entrambi gli interventi, in sede e telefonici, integrano il supporto psicologico con quello farmacologico. Alla terapia psicoterapeutica si accede pagando il ticket. Per quanto riguarda il farmaco attualmente di maggiore efficacia, la vareniclina, le organizzazioni scientifiche si stanno battendo affinché venga inserito tra quelli rimborsabili. «La vareniclina - ci spiega Zuccaro - è un nuovo farmaco antagonista della nicotina estremamente efficace nel ridurre il desiderio di fumare e nel contrastare i sintomi dell’astinenza. La sua molecola va a legarsi al recettore alfa4-beta2 normalmente preposto a legarsi alle molecole di nicotina. Abitualmente, quando il recettore è libero richiede nicotina. Per il momento il farmaco è classificato in fa70 Dossier Medicina

scia C e ha un costo elevato. Ne abbiamo richiesto lo spostamento in fascia A, tra i farmaci gratuiti, all'Agenzia Italiana del Farmaco, ma la richiesta è stata rifiutata senza una ragione ben precisa. Comunque, se si considera quanto si spende durante tutta una vita per l’acquisto delle sigarette, la spesa per l’acquisto del farmaco diviene un investimento sulla nostra salute che sarà peraltro circoscritto al periodo di 3 - 6 mesi necessari al trattamento». Per aumentare i finanziamenti da destinare alla cura del tabagismo, l’ISS, la SITAB e la LILT propongono oggi di innalzare il prezzo minimo delle sigarette e di utilizzare il conseguente incremento di risorse per istituire un fondo completamente dedicato alla lotta al tabagismo e far convergere, in uno sforzo coerente, ricerca, campagne mediatiche, formazione e interventi terapeutici secondo le indicazioni dell’OMS. «In Inghilterra, ad esempio, accanto alla distribuzione gratuita dei farmaci il governo britannico ha imposto su ogni pacchetto delle tasse elevate che hanno fatto salire il prezzo alle stelle per scoraggiare i cittadini dal vizio. Questa politica si è dimostrata una strategia vincente nella riduzione del consumo». Riducendo così anche la spesa per i farmaci. In attesa che misure analoghe vengano attuate anche nel nostro paese, rimane da risolvere il problema del coinvolgimento della classe medica già sottolineato nelle 10 principali azioni di lotta al tabagismo stilate al 31 maggio 2007. Si tratta di insegnare ai medici, tradizionalmente formati a curare l'organo, come

gestire la dipendenza da tabacco. In Italia le organizzazioni scientifiche lavorano per la formazione degli operatori sanitari alla medicina della prevenzione. Nella catena degli interventi, un ruolo chiave è svolto dal primo referente sanitario della persona che fuma: il medico curante. È nel suo ambulatorio che si realizza il primo intervento di prevenzione, il colloquio breve sul fumo della durata di 5 minuti chiamato “minimal advice”, che fin’ora ha permesso di ottenere circa il 2,5% di successi. «Il medico di base – spiega Zuccaro - deve imparare a fare prevenzione. Deve chiedere informazioni sullo stato rispetto al fumo a ognuno dei propri assistiti, al di là della presenza o meno di una sintomatologia associata al fumo. In caso di risposta positiva deve essere lui stesso a informare il paziente dei danni provocati dal fumo e dei benefici derivati dallo smettere, a prescrivere dei trattamenti farmacologici che aumentino la possibilità di successo nella cessazione o a indirizzarlo presso un centro antifumo. Noi portiamo avanti delle campagne di sensibilizzazione del medico di base e ci occupiamo di formazione sui protocolli e sulle procedure di gestione dei pazienti fumatori, però non sempre vengono recepite». Il 2009 è l’“Anno del Respiro”, mentre il mese di maggio è stato dichiarato “Mese contro il Fumo” da Lega Tumori, Istituto Superiore di Sanità e società scientifiche. Tante iniziative per continuare a riflettere sulle strategie dell'antitabagismo, per portare tra la gente la voglia di una vita senza tabacco.


LE TERAPIE PER DIRE BASTA

Oltre ai farmaci o alle terapie psicologiche tradizionali per smettere di fumare, moltissime persone si rivolgono a metodi alternativi. I risultati non sono certo garantiti ma sempre più spesso vengono utilizzati. Eccone alcuni. AGOPUNTURA: alcune ricerche scientifiche ultimamente ne hanno dimostrato l’efficacia. Una cosa importantissima è affidarsi a persone esperte e, dal punto di vista medico, con un titolo riconosciuto. Devono essere persone laureate in medicina e aver seguito dei corsi di specializzazione in tecniche orientali. IPNOSI: la medicina non consente ancora di annoverarla tra i metodi con una riconosciuta validità scientifica. Comunque anche per l’ipnosi, come per l’agopuntura, in Italia si sta mutando atteggiamento. Infatti la serietà di questa disciplina è negli ultimi anni fortemente cresciuta e molti operatori hanno ormai acquisito grande capacità e notevole esperienza. AURICOLOTERAPIA: si basa sulla stimolazione di punti specifici, presenti nel padiglione auricolare, secondo le mappe della medicina orientale. Questa stimolazione viene eseguita con aghi, oppure con l’infissione di clip metalliche o di altri materiali. A tutt’oggi non ci sono comunque risultati che possano confermare l’attendibilità di questo metodo. LASERFIT: si fonda sul principio dell’auricoloterapia ma prevede l’uso di una luce laser a bassa intensità. Non ha effetti concreti, ma può aiutare dal punto di vista psicologico e dell’autosuggestione. L’operatore visualizza su uno schermo il grado di intossicazione dei polmoni, misurando l’ossido di carbonio contenuto nell’aria emessa dal paziente. E decide poi quali punti stimolare.

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Reportage

L’UTILITÀ DEI CENTRI ANTIFUMO

Perché recarsi presso un centro antifumo? Che aiuto può darci? Quali sono le terapie che si utilizzano? Vi forniamo una serie di risposte per una maggiore informazione

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sufficiente sentirsi a disagio con il proprio tabagismo o esprimere il proprio desiderio di smettere anche attraverso un solo “vorrei”. Il passo successivo sarà quello di entrare in uno dei 200 centri antifumo accreditati dalla SITAB presenti in tutta Italia e intraprendere quel percorso terapeutico che nei moltissimi casi di successo potrà terminare con la disassuefazione da fumo. La sicurezza è quella di affidarsi a delle cure che non sono più metodi per smettere di fumare ma “terapia del tabagismo”. Questo vuol dire che l'improvvisazione, che fino a qualche anno fa aleggiava rispetto alla cura di questa dipendenza, ha ceduto il passo a terapie create da specialisti che sanno utilizzare metodologie accreditate scientificamente. Attualmente le strutture per la terapia del tabagismo che hanno l’esperienza e la competenza di approccio multimodale riconosciute sono distribuite in tutta Italia, anche se in modo non omogeneo. Nel Nord ce ne sono molte, abbastanza nel Centro,

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soprattutto nel Lazio, e un po’ meno nel Sud. Una delle politiche della salute che la SITAB desidera attuare va proprio in direzione di una moltiplicazione di questi centri. Abbiamo visitato il centro antifumo di GEA Progetto Salute a Roma, per comprendere meglio, con l’aiuto del professore Giacomo Mangiaracina, responsabile di GEA e Direttore Scientifico Area Tabagismo della LILT, quali sono le modalità di accesso al servizio e come si articola un percorso di cura del fumo. La prima cosa che scopriamo è che accedere a un centro antifumo è molto semplice. Spesso è il medico di base che se opportunamente formato trova le parole giuste per spingere il proprio paziente a richiedere un supporto, in altri casi è il fumatore stesso a effettuare le proprie ricerche per il centro di zona. Le modalità di accesso sono diverse perché diverse sono le strutture organizzative di ognuno dei centri. Si può trattare di un centro presente presso un S.E.R.T, un ospedale o una sede

della Lega Tumori. Nella maggioranza dei casi al centro si arriva con la richiesta del medico curante ma in altri casi potrebbe essere richiesta una quota associativa. Nel caso di richiesta del medico le indicazioni presenti sulla prescrizione potranno variare da “visita pneumologica”, è l’esempio di una struttura ubicata in una divisione di malattie respiratorie, a “storia e valutazione breve con diagnosi tabagismo”, come accade nei centri inseriti nelle ASL, un esempio ne è il centro presente presso il policlinico Umberto I di Roma. Per questa ragione sarà sempre opportuno informarsi presso il centro stesso sulle modalità di accesso specifiche. Una volta effettuato l’accesso al servizio, il paziente viene invitato a sostenere il colloquio clinico. Si tratta della prima fase dell’approccio integrato che si compone di colloquio, farmaco o terapia sostitutiva con la nicotina e contemporaneo percorso terapeutico psicologico. Con il colloquio si valuta la motivazione della persona, la sua intenzionalità e quindi l’adesione o meno al percorso. È importante valutare in anticipo questi aspetti per aggirare le resistenze molto forti o semplicemente rimandare il trattamento. Dal colloquio, che dura anche più di un'ora, possono inoltre emergere altre dipendenze del paziente, delle co-dipendenze, per le quali sarà necessario stabilire delle priorità di intervento. In altri casi il paziente potrebbe essere sotto trattamento psichiatrico, magari presentare delle forme depressive che richiederanno un lavoro di equipe con il professionista che lo cura, dando luogo a un triangolo terapeutico. Quindi all’atto del colloquio non è tutto così scontato. Come avviene per tutte le altre patologie, anche nel caso del tabagismo è necessaria una valutazione caso per caso che permetterà di compilare una cartella clinica molto particolareggiata. Il colloquio comprende anche dei test come quello per la dipendenza nicotinica, la mi-


surazione del monossido di carbonio, e la misurazione della pressione arteriosa. Nel caso in cui sia possibile iniziare il percorso, il fumatore accede alla terapia farmacologica e psicologica. La terapia farmacologica non è obbligatoria ma viene proposta come possibilità. Alla GEA il 50% di pazienti accetta il farmaco. Altri pazienti possono scegliere strade alternative come l’omeopatia, i fiori di Bach, una tisana o altri tipi di integrazione. L'evidenza scientifica è dalla parte del farmaco perché negli altri casi non è possibile valutare l'efficacia in modo oggettivo, ad ogni modo la cosa importante è che la propria scelta risulti di aiuto nella gestione dell'astinenza da nicotina. I farmaci attualmente in uso sono due: il Bupropione e la Vareniclina. Il primo è uno psicofarmaco che esiste da trent’anni, proposto di recente come coadiuvante per il tabagismo in casi particolari. La Vareniclina è invece un farmaco di ultima generazione con pochissime controindicazioni e un'efficacia molto elevata. Bisogna inoltre ricordare che questo farmaco è a pagamento ma alcune regioni stanziano dei finanziamenti per l’acquisto e la prescrizione gratuita da parte dei propri centri antifumo. Per quanto riguarda invece i percorsi di terapia psicologica, quella utilizzata e, secondo gli studi scientifici internazionali,

più efficace è la terapia di gruppo. La durata della terapia di gruppo è di circa 10 incontri per sei settimane al massimo. Il percorso si affida a due modalità di approccio, uno è quello della GDF (gruppi per la disassuefazione da fumo) utilizzato ad esempio presso la Lega Tumori e l’altro è quello della GFT (gruppi di fumatori in trattamento). Entrambi i metodi sono stati creati dal professor Mangiaracina rispettivamente nel 1985 e nel 1975 e le differenze tra l’uno e l'altro hanno importanza per i soli operatori. Ciò che con-

Giacomo Mangiaracina, responsabile di GEA e Direttore Scientifico Area Tabagismo della LILT

ta è che, con una buona conduzione nel gruppo, si creano un dinamismo e un’effervescenza che lo rendono un’esperienza molto divertente. È bandita l’espressione “malattia” in favore di “transitare da una condizione a un’altra”. Ed è estraneo il concetto di “lavorare per smettere di fumare" rispetto a quello di “lavorare su dei processi di cambiamento”. In questo modo la terapia è focalizzata proprio su una delle principali preoccupazioni del fumatore: ciò che diventerà dopo che la terapia avrà scorporato la personalità dipendente che con il tabagismo ha sviluppato. Condividere in un gruppo questo dissesto iniziale e, soprattutto, condividerlo momento per momento senza pensare al dopo, ma basandosi sul presente del cambiamento trasforma questo passaggio in una grande occasione di crescita personale che non si dimenticherà facilmente. Alla fine del trattamento il paziente viene riaffidato al medico di famiglia che ne gestirà il mantenimento o eventuali ricadute. In quest’ultimo caso il professor Mangiaracina sottolinea l’importanza di non colpevolizzarsi o avvilirsi perché è dimostrato che provare di nuovo a smettere dopo una ricaduta non vuol dire ricominciare da capo ma ripartire da un punto di consapevolezza, dunque di forza, superiore rispetto al tentativo precedente.

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Disturbi della vista

I primi segnali della NON ESISTONO CURE CHE PERMETTANO LA GUARIGIONE. MA CI SONO TERAPIE CHE MIGLIORANO LA QUALITÀ DI VITA DI CHI NE È AFFETTO. LA DEGENERAZIONE DELLA MACULA È UNA PATOLOGIA CHE COLPISCE PRINCIPALMENTE GLI OVER 50. NE PARLIAMO CON IL DOTTOR NICOLA DEFRANCO, RESPONSABILE DEL REPARTO OCULISTICA DELL’OSPEDALE I.N.R.C.A. DI ANCONA di Cristiana Zappoli

PREVENZIONE E DIAGNOSI CAUSE

Le cause non sono ancora state definite con esattezza. Uno dei fattori maggiormente responsabili nel determinare lo sviluppo di una neovascolarizzazione coroideale in occhio miope è la rottura della membrama di Bruch.

PREVENZIONE

I soggetti a rischio devono evitare interventi di riduzione laser della miopia ed estrazioni di cataratta. L'unica forma di "prevenzione" è la tempestività d'intervento, in caso di comparsa dei minimi sintomi sottoporsi a visita oculistica ed eseguire una fluorangiografia.

CONSEGUENZE

La degenerazione maculare non può portare alla cecità intesa come termine letterario della parola. Quel che nella peggiore delle ipotesi si può verificare è la comparsa di una macchia scura centrale (scotoma assoluto) che impedisce le funzioni più elementari ed importanti della visione, come la lettura ed il riconoscimento delle persone. Viene sempre conservata la visione periferica circostante.


MACULOPATIA

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a retina è la membrana più interna dell’occhio. Al centro della retina si trova la macula, una struttura che controlla la capacità di discriminazione fine e distinta, ovvero la capacità di riconoscere gli oggetti e i colori. Il resto della retina serve invece ad ampliare il campo visivo e ad attirare l’attenzione sugli oggetti che sono stati precedentemente individuati dalla macula. L’importanza di quest’ultima è quindi facilmente intuibile. Il suo danneggiamento, infatti, è causa di diminuzione irreversibile della funzione visiva. Dalla maculopatia, dunque, non è possibile guarire totalmente, ma è possibile arginarla attraverso cure adeguate. In Italia colpisce in media l’1,6% della popolazione fra i 50 e i 65 anni, e la percentuale aumenta notevolmente tra gli over 75, arrivando al 27,9%. Spesso, tra l’altro, la percezione della malattia in chi ne è colpito non è immediata, inizialmente infatti il problema può non venire notato perché si supplisce alle carenze dell’occhio colpito con l’occhio sano. Il Dottor Nicola Defranco, Responsabile del reparto di Oculistica dell’Ospedale I.N.R.C.A. di Ancona, spiega che «le cause che portano alla degenerazione maculare sono diverse: traumi, infezioni, miopia elevata, a volte predisposizione ereditaria, i parenti di primo grado di un soggetto che ne è affetto presentano, infatti, un rischio 3 volte maggiore di sviluppare la stessa patologia rispetto alla popolazione generale. Ma la più frequente è certamente l’invecchiamento. Il 14,4 % di chi ne è colpito ha fra i 55 e i 64 anni, il 19,4% tra i 65 e i 74 anni, il 36,8% ha più di 75 anni, e la prevalenza della malattia è destinata ad aumentare con il progressivo aumento della vita media». Durante il processo di invecchiamento dell’occhio, dunque, la retina centrale si altera fino a perdere la sua funzione, questo tipo di degenerazione è chiamata maculare senile, ed è la principale causa di cecità legale nei soggetti di età superiore ai 50 anni nei paesi industrializzati. Ne esistono di due tipi, entrambi legate ad anormalità dei vasi capillari tipiche dell’età avanzata. La degenerazione di tipo secco o atrofica, che è la più diffusa tanto da riguardare il 90% di tutte le maculopatie, è caratterizzata da un assottigliamento progressivo della retina centrale che risulta scarsamente nutrita dai capillari poco efficienti e, conseguentemente, si atrofizza; generalmente causa una moderata riduzione visiva. In questo caso compaiono lesioni caratteristiche denominate drusen, che all'esame del fondo oculare

Di fianco, il Dottore Nicola Defranco, Responsabile del reparto di Oculistica dell’Ospedale I.N.R.C.A. di Ancona

appaiono come piccole macchiette giallastre nell'area centrale della retina. E la degenerazione di tipo umido o essudativa, meno comune ma più grave, complicata dalla formazione di vasi capillari anormali che trasudano siero o sanguinano, stimolando poi la formazione di una cicatrice. Dottor Defranco, perché invecchiando si corre il rischio di essere colpiti dalla maculopatia?

«In realtà non è ancora del tutto accertato. Probabilmente la responsabilità è delle alterazioni della circolazione. Spesso questa patologia viene come conseguenza dell’ipertensione arteriosa, del diabete, del colesterolo elevato. Estremamente a rischio sono i fumatori, nei quali si riscontra il manifestarsi della malattia circa 5 – 10 anni prima che negli altri pazienti. Alcuni ricercatori pensano che anche l’eccessiva esposizione ai raggi ultravioletti sia tra le cause della degenerazione maculare, per questo è sempre consigliabile proteggere gli occhi con occhiali da sole». Colpisce entrambi gli occhi?

«Non necessariamente. Una volta colpito un occhio, il rischio dell’altro di ammalarsi oscilla tra il 5 e il 25%». Come viene diagnosticata?

«Attraverso l’oftalmoloscopia (esame della retina con uno strumento chiamato oftalmoscopio) diretta o indiretta, con test che riguardano la visione dei colori o tramite il test di Amsler, che permette di individuare la malattia in uno stadio decisamente precoce. Il test consiste nel fissare un foglio di carta a quadretti con

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Disturbi della vista

NICOLA DEFRANCO Si è laureato in Medicina e Chirurgia e si è specializzato in Oftalmologia presso l’Università degli Studi di Ancona, dove, fino al 1995, è stato aiuto della Clinica Oculistica della stessa. Nella sessione 1989 ha conseguito l’Idoneità Nazionale a Primario Oculista. È inoltre autorizzato dal Ministero della Sanità all’espianto e impianto di cornea (D.M. 11 agosto 1988). Dal maggio 1995 dirige il Servizio di Oculistica dell’Ospedale I.N.R.C.A di Ancona. Dal 2007 ad oggi effettua consulenza presso l’infermeria della caserma del Comando Regionale della Guardia di Finanza di Ancona. È consulente oculistico di vari enti pubblici e privati. Effettua interventi chirurgici come:cataratta, glaucoma, laser ad eccimeri per correzione difetti visivi etc… Ha pubblicato e partecipato a numerose pubblicazioni scientifiche.

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un’appropriata correzione ottica. Se fissando il punto situato al centro del foglio si osserva una distorsione o un’interruzione delle righe vuol dire che esiste un problema alla macula. Altri due importanti metodi diagnostici sono la fluorangiografia e l'angiografia al verde di indocianina. In entrambi i casi si inietta un mezzo di contrasto in una vena del braccio e poi si esegue una serie di fotografie della retina e della macula, il colorante mette così in evidenza le anomalie dei vasi. Tra le tecniche elaborate più di recente, la più utile è certamente l’OCT, che permette l’acquisizione e l’elaborazione computerizzata di immagini a due e tre dimensioni della sezione oculare che ci interessa».

UN’INDAGINE APPROFONDITA

La tomografia a coerenza ottica, o OCT, è una recente tecnica di imaging, non invasiva, che fornisce immagini ad alta risoluzione di sezioni della retina umana in vivo, permettendo con il solo ausilio di una sonda laser ad infrarossi innocua, la diagnosi, la stadiazione e il follow-up di numerose affezioni retiniche (degenerazione maculare, glaucoma, neovascolarizzazione coroideale, etc etc). Un computer converte poi i dati ottenuti con la scansione ottica in immagini, consentendo una sorta di esame istologico "in vivo" della retina, senza effettuare alcun prelievo anatomico sul paziente.

Quali sono i sintomi che possono spingere un paziente a fare un controllo?

«Prima di tutto la distorsione delle immagini e la conseguente difficoltà nella lettura, non riuscendo più a percepire distintamente le lettere, e l’alterazione della percezione dei colori. La maculopatia non porta nessun tipo di dolore, ma gradatamente si può arrivare alla perdita totale della visione centrale». La degenerazione della maculopatia può portare alla cecità?

«No, anche nei casi di perdita totale della visione centrale, la visione paracentrale viene conservata. La penalizzazione nel vivere quotidiano è comunque notevolissima. Leggere, scrivere, riconoscere oggetti piccoli può diventare quasi impossibile».

LA RETINA E IL DIABETE

La retina è una parte del nostro occhio importantissima ma anche delicata. Fra i problemi più seri che possono colpirla c’è sicuramente la retinopatia diabetica. Una patologia che può colpire chi soffre di diabete: è la più frequente causa di cecità nella popolazione in età lavorativa nei paesi occidentali e la causa di circa il 12% dei nuovi casi di cecità in un anno. L’iperglicemia danneggia i vasi sanguigni di tutto l’organismo e in particolar modo quelli di minor diametro, compresi i capillari della retina. Generalmente viene classificata in retinopatia diabetica non proliferante (che può essere lieve-moderata o moderata-grave) e retinopatia diabetica proliferante. Le attuali possibilità terapeutiche consentono un buon controllo del quadro metabolico e conseguentemente della retinopatia diabetica. Una retinopatia diabetica può essere presente pur non causando una diminuzione della vista, che si manifesta solo quando le alterazioni della retina coinvolgono la parte centrale (macula). Pertanto l’unico modo per scoprire alterazioni dei vasi retinici è quello di sottoporsi ad un esame del fondo dell’occhio. Il miglior trattamento per curarla consiste nel prevenirne lo sviluppo e accorgersi per tempo della sua presenza.

Si può guarire dalla maculopatia?

«No, attualmente la guarigione totale non è ancora possibile. Si può però cercare di rallentare l’evoluzione della malattia e rafforzare la capacità visiva periferica». Come?

Sopra, il Dottor Edoardo Defranco mentre esegue un esame O.C.T. (tomografia a coerenza ottica)

«Sono in corso diverse ricerche che cercano di individuare terapie sempre più efficaci, e grandi speranze sono riposte nello studio delle staminali che, forse, potrebbe portare fra qualche anno alla possibilità di guarigione. Attualmente il laser può essere utile a rallentare la degenerazione maculare umida: la trasformazione dell’energia laser in energia termica determina una coagulazione localizzata dei neovasi. Questo metodo non può però essere utilizzato per arginare la degenerazione secca. In quest’ultimo caso l’unico modo per aiutare l’occhio è utilizzando ausili ottici e affidandosi a specialisti dell’ipovisione, per sfruttare meglio la visione periferica. La degenerazione umida può essere trattata anche con iniezioni endovitreali, che hanno lo scopo di eliminare la molecola responsabile dell’accumulo di liquido nello spazio sottoretinico. Quest’ultima terapia può anche essere combinata con il laser per cercare di ottenere risultati migliori». STUDIO OCULISTICO Defranco Via dell’Industria, 10, 60127 - Ancona Tel. 071.34732 - 338.2564207

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Disturbi della vista

Nuove tecniche PER I NOSTRI OCCHI I VIZI DI REFRAZIONE SONO I DIFETTI DI VISTA CHE PROVOCANO UNA RIDOTTA CAPACITÀ O ADDIRITTURA UN’INCAPACITÀ TOTALE. OGGI È POSSIBILE GUARIRNE ALCUNI E PER GLI ALTRI NEGLI ULTIMI ANNI SI SONO INDIVIDUATI GLI INTERVENTI CORRETTIVI a cura di Renato Minicucci

P Nella foto sotto, il Dottor Renato Minicucci mentre effettua un’operazione di chirurgia refrattiva

er refrazione si intende il modo in cui i raggi luminosi vanno a fuoco sulla retina ed è una delle principali funzioni dell'occhio. In presenza di un difetto di refrazione, la messa a fuoco dell'occhio è imperfetta e le immagini appaiono sfuocate o distorte. In pratica i raggi luminosi non vanno a fuoco sulla retina, ma davanti (provocando miopia) o dietro (provocando ipermetropia e presbiopia), oppure parte sulla retina e parte davanti o dietro (portando all’astigmatismo semplice), oppure ancora davanti e parte dietro alla retina (provocando astigmatismo misto). Oggi siamo in grado di correggere, in alcuni casi anche definitivamente, questi difetti. Seguendo metodologie diverse a seconda dell’entità del problema e dell’età del paziente.

NEI BAMBINI

In età pediatrica i difetti di refrazione possono condizionare in maniera pesante lo sviluppo visivo del bambino. L’ipermetropia può, infatti, determinare l’insorgenza di uno strabismo convergente che, se non viene trattato precocemente, diventa fisso e necessita di interventi chirurgici che, purtroppo, spesso non riescono a restituire una perfetta visione binoculare. Di frequente l’ipermetropia e l’astigmatismo, specie se più presenti in un solo occhio, determinano altresì l’ambliopia, cioè una pigrizia di un occhio che richiede per lo più un trattamento occlusivo, cioè la chiusura dell’occhio migliore per fare recuperare l’acutezza visiva al peggiore. Un altro caso importante da considerare è quello delle miopie congenite che, se non vengono diagnosticate in età pediatrica, portano a quei casi di miopia degenerativa che costituiscono una malattia invalidante in età adulta. È estremamente importante che tutti i bambini a tre anni di età vengano visti dal medico oculista che, eventualmente, si avvarrà dell’apporto dell’ortottista, che mette in pratica la tecnica specializzata nella misura dell’angolo di strabismo e nei trattamenti riabilitativi prescritti dal medico specialista. Ancora oggi ci sono troppi pediatri che richiedono per i loro assistiti solo la visita ortottica, pensando di fare effettuare ai loro piccoli pazienti un esame completo e ricevendo, invece, delle risposte parziali che possono provocare danni anche gravi. NEGLI ADOLESCENTI

Nell’adolescenza è molto frequente l’insorgenza della miopia scolare che va diagnosticata e corretta nei tempi giusti per fermare l’inevitabile progressione del di-

RENATO MINICUCCI Dopo essere stato dirigente ospedaliero si è dedicato alla chirurgia della cataratta con impianto di lenti intraoculari e alla chirurgia refrattiva incisionale e con il laser ad eccimeri per la correzione dei difetti visivi di miopia, ipermetropia, e astigmatismo. Pratica la chirurgia funzionale ed estetica delle palpebre ed è Perito di Oculistica del Tribunale. È Presidente del Collegio dei Revisori dei Conti dell’Ordine dei Medici di Pescara e Segretario regionale del Sindacato Polispecialistico Branche a visita. È membro della Società Oftalmogica Italiana e Socio Fondatore della Società Italiana Laser in Oftalmologia.

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4 disturbi da non trascurare Oggi si possono correggere i principali vizi di refrazione, seguendo metodologie diverse a seconda del problema e dell’età del paziente.

MIOPIA

Consiste nella difficoltà di mettere a fuoco le immagini lontane. Le immagini sono focalizzate davanti alla retina, anziché sulla retina stessa. Questo difetto rifrattivo si presenta in età scolare e continua a svilupparsi fino ai 25 anni circa.

IPERMETROPIA

Non consente una buona visione né da vicino né da lontano. La curvatura della cornea è troppo lieve, ne consegue che in giovane età la visione a distanza è chiara, ma gli oggetti posti vicino all'occhio sono sfocati.

PRESBIOPIA

Si manifesta come difficoltà a mettere a fuoco da vicino: si ha difficoltà a leggere, a lavorare al computer, ecc. Questo avviene perché l'ampiezza accomodativa si è ridotta. Insorge mediamente intorno ai 40 anni.

ASTIGMATISMO

È un difetto che non consente una buona visione né da vicino né da lontano. Può essere congenito e tende a diminuire con gli anni. Esiste un secondo astigmatismo che si sviluppa in età avanzata. Può comparire anche dopo interventi chirurgici come cataratta, trapianto di cornea, distacco di retina

sturbo. Oggi si possono correggere i difetti di refrazione sia con le tradizionali lenti da vista sia con le lenti a contatto e, dai vent’anni in su, con la chirurgia refrattiva che permette di eliminare completamente miopia, astigmatismo ed ipermetropia realizzando il sogno di molti ametropi di vederci bene senza occhiali in tutte le ore della giornata. La fotocheratectomia con laser ad occimeri (PRK) si è rivelata una tecnica sicura e affidabile per la correzione di tali difetti di vista con diciotto anni di successi che si sono mantenuti nel tempo. Per le miopie elevatissime e per le ipermetropie oltre le sei diottrie, si può risolvere il problema impiantando nell’occhio una ICL, una lente intraoculare fachica, cioè senza asportare il cristallino, come invece si fa nei pazienti più anziani. NEGLI ADULTI

Dopo i 40 anni si assiste all’insorgere della riduzione della capacità di mettere a fuoco, chiamata presbiopia (dal greco “visione del vecchio”) e anche questo fenomeno, peraltro fisiologico, va diagnosticato e seguito dal medico oculista perché spesso si associa all’insorgere di malattie oculari come il glaucoma, ovvero la malattia della pressione intraoculare, che se non diagnosticate e curate nei tempi e nei modi giusti possono portare alla cecità. Anche le malattie sistemiche come il diabete, l’ipertensione arteriosa e le malattie endocrine possono provocare danni seri alla retina e

al nervo ottico. La presbiopia viene oggi corretta con le lenti progressive e con le lenti per vedere da vicino a profondità aumentata, che consentono una visione ottimale dai 40 ai 20 centimetri e sono ideali per tutti i lavori che vengono svolti in ufficio. NEGLI ANZIANI

Dopo i 60 anni si assiste all’insorgere della cataratta, che porta molto spesso ad una miopizzazione dell’occhio: quanti anziani si vantano di vederci bene da vicino, anche se vedono appannato da lontano? L’intervento di asportazione della cataratta con impianto di lente intraoculare è anch’essa un’operazione refrattiva che elimina molti difetti di refrazione ed è oggi l’intervento chirurgico più praticato in Italia: se ne effettuano circa cinquecentomila all’anno. I difetti di refrazione determinano quindi una serie di problematiche che necessitano della competenza del medico chirurgo specialista in oculistica per una soluzione veramente ottimale: non devono assolutamente essere affidate agli ottici, come a volte invece succede, che hanno una visione limitata dell’apparato visivo e non hanno le competenze necessarie per diagnosticare e curare le malattie dell’occhio. Dott. RENATO MINICUCCI Specialista in Oculistica Corso Vittorio Emanuele, 406 - 65122 Pescara Tel. 085.4211934 - e-mail: remini499@hotmail.com

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Cure alternative

ECCO COME CURARE I TRAUMI DEL PARTO

INSONNIA, IPERATTIVITÀ O DANNI DI CARATTERE NEUROLOGICO. SONO TANTE LE CONSEGUENZE NEGATIVE SUBITE DAL FETO DURANTE IL PARTO a cura di M. F. Caravaggio

I

l parto naturale spesso può essere causa di problemi per molti bambini. Non è detto che solo un parto cosiddetto traumatico, che comporta l’utilizzo della ventosa o del forcipe, possa creare danni e squilibri al neonato. Gli sforzi muscolo-scheletrici durante il parto possono causare nel neonato problemi per tutta la vita. Riconoscere e curare questi disturbi nell'immediato post-partum è una delle fasi più importanti della medicina preventiva. I traumi possono essere provocati da pressioni esercitate dalla pelvi della madre, compressioni in caso di gravidanza gemellare, scarsa elasticità del muscolo uterino, cordone ombelicale corto, contrazioni uterine premature, travaglio prolungato o veloce, l’uso di farmaci che aumentano le contrazioni uterine, parto cesareo. A. Towbin, un medico esperto del trauma spinale e del bulbo cerebrale, spiega: “Il processo della nascita è un avvenimento potenzialmente traumatico e scioccante. Gli stress meccanici imposti da manipolazioni ostetriche e anche l’applicazione di procedure standard ortodosse, possono rappresentare un trauma per il feto”. I traumi principali della nascita sono quasi tutti di natura neurologica. Purtroppo molti di questi avvengono durante il parto e spesso sono addirittura non diagnosticati. Un segno evidente di questi traumi può essere un’insufficienza respira-

Nella foto a destra, Marco Franco Caravaggio, specialista in chiropratica

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toria nel neonato, mentre altri problemi correlati a questi traumi possono manifestarsi anche dopo qualche anno. Una giusta nutrizione durante la gravidanza, un costante esercizio e una regolare cura chiropratica aiutano a creare le migliori condizioni per una sana crescita. Sì, perché la cura chiropratica concentra la propria attenzione sulle relazioni tra struttura e funzione e sul modo in cui tale equilibrio influenza il recupero e il mantenimento della salute. È una scienza clinica che si occupa dell’analisi e del trattamento degli squilibri del sistema strutturale muscoloscheletrico, biochimico, mentale ed energetico dell'organismo. L’obiettivo è quello di individuare e correggere gli squilibri, soprattutto a livello del sistema strutturale, mediante correzioni manuali e specifiche e senza dover ricorrere ai farmaci, stimolando la capacità di guarigione dell'organismo. Ecco perché è molto utile nella risoluzione dei traumi causati dal parto. I DISTURBI SONO TANTI

A volte un parto naturale nasconde delle sublussazioni che causano disturbi di vario genere: insonnia, iperattività o addirittura danni di carattere neurologico. Con i segnali neurologici vitali danneggiati, la salute del vostro bambino è compromessa già dal suo primo respiro. Solo un esame chiropratico può verificare la presenza di sublussazioni. Come si fa a comprendere se c’è un danno neurologico? I sintomi si possono vedere già da


PRESTARE ATTENZIONE DURANTE L’ALLATTAMENTO

Durante l’allattamento molte sono le accortezze che le mamme devono avere nei confronti dei loro bambini. È importante per le mamme che allattano in modo naturale, cambiare spesso mammella: questo cambiamento aiuta lo sviluppo neurologico del bambino, perché offre l’opportunità di percepire stimoli esterni alle orecchie e agli occhi in modo alternato.

subito. Uno studio recente rivela che su un campione di 1.250 bambini esaminati 5 giorni dopo il parto, 211 soffrono di vomito, iperattività e insonnia. Un’anormalità spinale è stata riscontrata nel 95% di questi neonati. Con degli aggiustamenti spinali si verifica nei neonati una diminuzione del pianto, rilassamento muscolare e sonnolenza. I ricercatori hanno notato infatti che una colonna non sana è causa di tanti danni: scoordinazione, crisi epilettiche, indebolimento del sistema neurovegetativo (con conseguenze che portano al vomito, problemi digestivi e intestinali) e diminuzione delle difese immunitarie, specialmente nelle orecchie, naso e gola. E DOPO IL PARTO…

Le cause delle sublussazioni nel vostro bambino non si fermano al parto. Uno studio condotto da Kravitz, Driessen, Comberg e Karach, ha dimostrato che il 47,5% dei neonati durante il primo anno di vita cade da una certa altezza (dal letto, culla, fasciatoio ecc.), e spesso a testa in giù. Immaginate quindi l’effetto che hanno queste cadute sul loro fragile collo e sulla loro colonna vertebrale. Un’al-

tra fonte di stress spinale (sublussazione), può essere causata dal cambio dei pannolini, in quanto le gambe possono essere tirate con forza, in modo asimmetrico o erroneo, creando torsione nel bacino o alla colonna. Le mamme che allattano i propri figli in modo naturale, cambiano spesso mammelle: questo cambiamento aiuta lo sviluppo neurologico del bambino, perché dà l’opportunità di avere stimoli esterni alle orecchie e agli occhi in modo alternato (perché quelli appoggiati al seno della mamma, rimangono momentaneamente ostacolati). Quindi per le mamme che allattano i propri figli con l’ausilio del biberon, sarebbe opportuno cambiare spesso posizione (una volta usando il braccio destro, un’altra il sinistro), in modo che il bambino abbia uno sviluppo neurologico normale. I bambini devono essere liberi di muoversi il più possibile, perché se questo movimento viene limitato, inibisce la formazione di connessioni neurologiche (sinapsi) del cervelletto. Queste opportunità di sviluppo si presentano solo nei primi 2-3 anni di vita. Privato di un ambiente stimolante il cervello del bambino soffre. Interferenze nel sistema nervoso dovute a una

SCAPOLE SPORGENTI E NERVOSISMO: ALLARMI?

I problemi alla colonna vertebrale possono colpire anche soggetti molto giovani, ed essere la causa di numerosi malesseri o patologie infantili. Quali sono i segnali a cui bisogna stare attenti? Scapole sporgenti, camminata con un piede leggermente ruotato all'intero o all'esterno, frequenti cadute, nervosismo, iperattivismo, dolori alle orecchie, problemi dentali, sonno non regolare.

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Cure alternative IL METODO NETWORK SPINAL ANALYSIS

È l'unico metodo attualmente riconosciuto che permette di valutare lo stato di tensione del sistema nervoso e lo stato di salute della colonna vertebrale, nonché di aiutare il corpo a sviluppare una strategia progressiva di autocorrezione e di rilascio dei blocchi accumulati. Dopo gli esami e le valutazioni iniziali, viene effettuato un programma di cura articolato in stati progressivi con lo scopo principale di favorire il rilascio delle tensioni accumulate lungo il midollo spinale. Attraverso contatti manuali, in particolare a livello cervicale e sacrale, viene attivata quella parte del cervello che attualmente è separata da questi blocchi.

sublussazione vertebrale possono ridurre il potenziale per la crescita e per lo sviluppo ottimale del bambino. IL PIANTO È UN SEGNALE

Quali altre conseguenze possono derivare ai bambini dagli stress spinali? Poiché a parole non possono spiegarci quello che sentono, i bambini spesso si esprimono con pianti inspiegabili, mancanza d’appetito, strofinano la testa, le orecchie o hanno reazioni allergiche. Altri

orecchie dei bambini sono un esempio di questo processo: l’otite media infantile è una condizione che sta diventando sempre più comune negli ultimi anni. È molto dolorosa, può provocare grande sofferenza nei bambini e una notevole preoccupazione nei genitori, che si sentono impotenti e timorosi di una perdita dell’udito nei loro bambini. Infatti, negli Stati Uniti il 35% delle visite pediatriche sono effettuate per questo problema. Purtroppo la ricerca mostra che le cure tradizionali con an-

SCIOGLIERE LE TENSIONI 1 Nel nostro corpo resta la

memoria anche del più piccolo trauma, fisico o psicologico. In particolare nella colonna vertebrale, sotto forma di leggere tensioni e spostamenti delle vertebre (dette "sublussazioni"), che interferiscono nel funzionamento del Sistema Nervoso. In questo modo avvertiamo dolore e ci sentiamo più fragili emotivamente e fisicamente. Bastano però delle mirate pressioni sulle vertebre a sciogliere tensioni e blocchi vecchi di anni e a dare nuova energia a tutto il corpo e alla mente. CORPO È UNA RETE 2 IlILcorpo di una persona ha in

sé le potenzialità necessarie per vincere le malattie e raggiungere il benessere. Ma per fare ciò è necessario liberare e ripulire i canali attraverso i quali le energie si sprigionano. Il nostro corpo è una "rete" (da qui il termine Network) nella quale ogni cosa è correlata ad un'altra. Al suo interno c'è un'intelligenza innata che sostiene ogni singola funzione dell'organismo. Utilizza come tramite il sistema nervoso, il vero punto di incontro tra mente e corpo. Agire con una lieve pressione in un punto preciso del corpo e del sistema nervoso significa attivare un punto della "rete", innescando un processo di benessere e di autoguarigione. 84 Dossier Medicina

Il dottor Marco Franco Caravaggio mentre svolge un’accurata visita alla schiena di una giovane paziente

invece dondolano la testa come strategia naturale per autocorreggere la pressione o la tensione nelle vertebre del collo e il sistema nervoso. Capita di vederli con la tendenza ad avere la testa da un lato, o di avere una preferenza nell’essere allattati solo da una mammella. Questi comportamenti devono essere interpretati come un’arma di difesa, un atteggiamento naturale determinato da un cattivo funzionamento della colonna vertebrale e da un sistema nervoso indebolito. Uno studio eseguito dal chiropratico statunitense Vallone su 20 bambini con tali difficoltà, ha rilevato che il 75% dei neonati che facevano applicazioni chiropratiche, hanno mostrato miglioramenti nell’allattamento. La cura chiropratica aiuta inoltre i bambini sofferenti di coliche e ridà normalità allo schema del sonno alterato. MAMMA, MI FA MALE L’ORECCHIO.

La Chiropratica, nel senso puro della parola, non è un trattamento per sintomi o malattie. Non tratta la condizione, ma la persona con la condizione. Quando la persona è più sana percepisce i sintomi, le varie condizioni, e le malattie andare via da sole. Le infezioni alle

tibiotici o mettendo tubicini nelle orecchie (timpanostomia), hanno un successo molto limitato nel fermare la ricaduta. Uno studio recente (Paradise J, M.D.) ha mostrato che con la somministrazione di un antibiotico (Amoxicillin), la funzione del sistema immunitario viene compromessa e di conseguenza i bambini hanno maggiori problemi e sono più soggetti a nuove infezioni all’orecchio, rispetto a quelli a cui è stato somministrato un placebo. Molte sublussazioni vertebrali vengono trovate, infatti, molto spesso nei bambini sofferenti di mal di orecchie cronico. Un sistema nervoso indebolito può rendere l’orecchio medio o la tromba di Eustachio più soggetti a un accumulo di fluido o a un’infezione. Quindi, ristabilendo un giusto flusso nervoso con sicuri e naturali metodi chiropratici, il bambino si avvia lentamente verso la guarigione.

PER SAPERNE DI PIÙ FAMIGLIA CHIROPRATICA sas di Caravaggio Marco Franco - Via Polidoro di Mastrorenzo, 1/B, 66034, Lanciano (CH), tel. 0872 - 713261



L’esperto risponde

Udire bene... SENTIRSI MEGLIO

DEI SETTE MILIONI DI ITALIANI CON PROBLEMI UDITIVI PIÙ DI UN TERZO NON NE È COSCIENTE. OLTRE TRE MILIONI NON FANNO NULLA PER OVVIARE AL DISTURBO. IL DOTTOR DE CARIA CI ILLUSTRA COME RICONOSCERE I SINTOMI E TROVARE LA GIUSTA SOLUZIONE di Erika D’Alberto

L

e difficoltà di comunicazione determinate da una diminuzione della capacità uditiva, possono essere viste come un evento assai complesso che può essere causa di difficoltà nella vita di tutti i giorni tali da portare a un’alterazione della qualità della vita della persona. Una persona che sente poco, spesso tende a isolarsi spontaneamente dal gruppo familiare o dalla cerchia di amici e diminuisce nel tempo i momenti di socialità come andare al cinema o al bar. Del problema sordità abbiamo parlato con il dott. Antonio R. De Caria, Audiologo del Centro Ricerche e Studi Amplifon.

Dottor De Caria quante persone in Italia soffrono di problemi di udito?

«In Italia le persone con diminuzione dell’udito sono circa sei milioni, di questi circa settecentomila con età inferiore a tredici anni. Secondo alcune stime internazionali, nel mondo, 350 milioni di individui hanno problemi uditivi. Questo dato corrisponde al 7% circa della popolazione mondiale». Com’è indicata la diminuzione dell’udito?

«La riduzione della capacità uditiva è detta ipoacusia, questo termine già da molto tempo ha sostituito il vecchio termine sordità. Infatti, per sordità ormai intendiamo la persona che ha perso totalmente la possibilità di sentire le voci e i suoni, mentre per ipoacusia, intendiamo la diminuzione più o meno grave della funzione uditiva». Quali sono le cause?

«I disturbi della funzione uditiva possono essere causati da problemi che interessano l’orecchio esterno, l’orecchio 86 Dossier Medicina

medio o l’orecchio interno. Le alterazioni dell’orecchio esterno o medio portano a una difficoltà di trasmissione dei suoni. Un semplice tappo di cerume o un’infiammazione dell’orecchio medio, come l’otite, è spesso causa di ipoacusia trasmissiva. Altre volte l’ipoacusia trasmissiva è causata da vere e proprie patologie. In questi casi l’intervento chirurgico o l’utilizzo dell’apparecchio acustico dà la possibilità di sentire bene».

Quali sono le alterazioni dell’orecchio interno?

«È ormai risaputo che il rumore, gli stress emotivi e lavorativi, le abitudini alimentari e voluttuarie quali fumo e alcool, l’utilizzo eccessivo di farmaci, alcune malattie come il diabete, possono causare danni alle cellule dell’orecchio interno e al nervo acustico. L’alterazione della normale fisiologia dell’orecchio interno o il nervo acustico determina un’ipoacusia detta neurosensoriale. In questo caso la persona non solo si lamenta di un calo uditivo, ma ha anche difficoltà a comprendere il significato delle parole. Molto spesso questo tipo di ipoacusia colpisce la persona anziana ed è quindi legato all’età. Tuttavia ogni organismo invecchia in modo differente da un altro, sia per particolari caratteristiche di ordine genetico, sia per il modo di condurre la propria vita». Ci sono sintomi che ci avvisano della diminuzione dell’udito?

«Normalmente la diminuzione uditiva progredisce lentamente negli anni e la persona non ha coscienza di quanto sta avvenendo. Si comincia ad avere consapevolezza del problema solo quando il calo dell’udito raggiunge livelli tali da determinare difficoltà a sentire la voce degli altri, la televisione o a sostenere una normale conversazione. Superati i cinquant’anni, il mio consiglio è di effettuare annualmente un controllo dell’udito. L’acufene, in rari casi, può comunque rappresentare il sintomo d’esordio di un problema uditivo». Dottor De Caria che cosa è l’acufene?


ANTONIO ROCCO DE CARIA

Specializzazione in Audiologia Università degli Studi di Milano. Specializzazione in Idrologia Medica, Università degli Studi di Pavia. Attività di Day Service per lo Studio e la Cura degli Acufeni presso l’Unità Operativa di Otorinolaringoiatria dell’Ospedale di Piacenza

«L’acufene è una sensazione sonora avvertita da un soggetto in uno o in entrambe le orecchie o, più in generale, al centro della testa senza che vi sia una sorgente esterna che la produca. L’acufene si può avvertire sottoforma di ronzio, tintinnio, scroscio, fischio o sibilo oppure può presentarsi come un suono più complesso che varia nel tempo. È importante sottolineare che l’acufene è solamente un sintomo quasi sempre associato a un deficit uditivo che spesso è la vera causa dell’insorgenza dell’acufene». Quali aspetti caratterizzano gli acufeni?

«Generalmente gli acufeni vengono suddivisi in soggettivi, ovvero percepiti solo dal paziente, causati da un’attività anomala di una o più parti del sistema uditivo e acufeni obiettivi, rari, che possono essere uditi da un operatore esterno quale un parente o un medico, attribuibili a disfunzioni dell’articolazione temporomandibolare, rumori funzionali arteriosi o venosi, spasmi muscolari. Le cause più frequenti degli acufeni soggettivi sono i deficit uditivi, i processi patologici a carico dell’orecchio, l’esposizione al rumore, l’utilizzo indiscriminato di farmaci ototossici che possono colpire l’orecchio interno sia nella sua porzione uditiva che in quella destinata al mantenimento dell’equilibrio. Oltre alle caratteristiche uditive il fastidio procurato dall’acufene è molto spesso condizionato dalle condizioni psico-emotive del paziente, per questo il trattamento frequentemente prevede un “counsel-

ling” di sostegno associato alla terapia utilizzata». Quale terapia utilizzare per gli acufeni?

«Gli approcci terapeutici oggi disponibili sono differenti, di solito multidisciplinari e ci fanno ottenere eccellenti risultati. È chiaro che la terapia si deve intraprendere solo dopo che la persona è stata ben inquadrata dal punto di vista diagnostico, in modo da personalizzare la cura poiché non esiste un’unica terapia utile per tutti. Per esempio, nelle persone con calo dell’udito e acufeni la correzione del deficit uditivo con gli apparecchi acustici molte volte da sola è risolutiva». A tal proposito, che cosa deve fare una persona che sente poco?

«Innanzi tutto rivolgersi a un medico specialista che con una visita e un semplicissimo esame audiometrico, della durata di cinque minuti, valuta la capacità uditiva del soggetto e le soluzioni possibili». Quali soluzioni?

«Le soluzioni per porre fine alle difficoltà uditive sono ormai molteplici. Dopo un’accurata diagnosi medica, nei casi in cui non si può intervenire chirurgicamente o con farmaci, il trattamento di successo è l’applicazione di apparecchi acustici che permettono di ripristinare la capacità uditiva anche nei casi di sordità gravi. L’applicazione e regolazione dell’apparecchio acustico è sempre estremamente personalizzata, seguendo quelle che sono le richieste della persona riguardo l’esigenze comunicative e di vita sociale».

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L’esperto risponde Che cos’è un apparecchio acustico?

«Si tratta di un piccolissimo apparecchio elettronico che riceve, analizza e amplifica i suoni ambientali per poi riproporli con volume adeguato all’orecchio del soggetto ipoacusico. Attualmente l’apparecchio acustico non è più considerabile un semplice amplificatore di suoni ma, grazie alla tecnologia, è stato notevolmente perfezionato ed è divenuto un vero e proprio piccolissimo computer, che offre alla persona che sente poco un’amplificazione chiara, controllata e con-

fortevole. Gli apparecchi acustici digitali di ultima generazione sono in grado di riconoscere il parlato dal rumore di fondo e quindi di esaltare il parlato riducendo il rumore, un sistema, pertanto, in grado di fornire una resa sonora di alta qualità molto simile a quella fisiologica. Questo tipo di apparecchi acustici possono essere così piccoli che si collocano interamente nel condotto uditivo.

Quindi non più apparecchi antiestetici?

«Ormai si può parlare di apparecchi acustici invisibili e, grazie alla recentissima tecnologia detta open, anche il soggetto che li indossa non si accorge di averli poiché l’orecchio è completamente libero». Chi applica e regola l’apparecchio acustico?

«L’audioprotesista, la cui professionalità in Italia è regolata da un corso di laurea triennale, è il responsabile dell’applicazione e personalizzazione dell’apparecchio acustico. Un’appropriata collaborazione tra audioprotesista e medico specialista, per la valutazione del beneficio derivante dall’utilizzo degli apparecchi, garantisce alla persona ipoacusica di ottenere il massimo delle prestazioni uditive e di trovare le giuste soluzioni a quelle che sono le proprie esigenze comunicative». Nei casi di sordità grave come si interviene?

«Gli apparecchi acustici di ultima generazione sono estremamente potenti e hanno la capacità di correggere sordità gravi. Nei casi in cui la persona ha una sordità totale o profonda si può ricorrere all’impianto cocleare, che è una protesi dell’orecchio interno. L’impianto cocleare è un dispositivo elettronico, che si applica chirurgicamente in anestesia generale, in grado di sostituire la funzione delle cellule ciliate cocleari e di trasformare il suono in potenziali elettrici che stimolano direttamente il nervo acustico, in modo da determinare sensazioni uditive a livello delle aree corticali». Possiamo dire che con i nuovi apparecchi acustici la sordità è sconfitta?

Possiamo sicuramente dire che un enorme passo avanti è stato fatto. Questi nuovi apparecchi danno la possibilità di recuperare, nella maggior parte dei casi, in modo completo, una capacità che il soggetto in passato ha posseduto e che si è deteriorata a causa di processi di diversa natura. Il soggetto che non sente, tolto dal silenzio che lo ha indotto all'isolamento, riacquista sicurezza, fiducia in se stesso, maggiore autonomia e ritrova la forza e il desiderio di comunicare e di sentirsi parte integrante della società.

Dottor DE CARIA ANTONIO ROCCO Medico Chirurgo Specialista in Audiologia, Specialista in Idrologia Medica. Studio Medico Via Bertolotti n. 8 – 46100 Mantova; Tel. 334 9972274 e-mail:antonio.decaria@tiscali.it 88 Dossier Medicina



Medicina & societĂ

DALLA PANCIA ALLA VITA Per un uomo abbracciare la pancia della propria compagna in dolce attesa è un modo per sentire vicino il nascituro. A volte si riesce a percepire anche il battito cardiaco

90 Dossier Medicina


LA VITA DI PANCIA... La “Venere di Urbino”, dipinto ad olio su tela, realizzato nel 1538 dal pittore Tiziano e conservato oggi nella Galleria degli Uffizi di Firenze. In quell’epoca la curvatura della pancia rappresentava un alto grado di seduzione per gli uomini, oggi invece risultano piacenti gli addomi scolpiti assolutamente privi di grasso

SIMBOLO DI POTERE. STRUMENTO DI SEDUZIONE. SECONDO CERVELLO. TONDA UN TEMPO E TONICA OGGI. LA PANCIA HA UNA STORIA MEDICO SOCIALE VARIA. COME VARIE SONO LE CONSIDERAZIONI CHE LETTERATI E SCIENZIATI HANNO ESPRESSO SULLA SUA BELLEZZA E FUNZIONE di Silvia Di Persio

La pancia di un lottatore di sumo è simbolo di potenza, fascino, vittoria e sfida. La prominenza rappresenta il segno distintivo di questo sport. Nel culturismo, invece, l’addome scolpito è il segno della perfezione estetica

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Medicina & società

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Sensuale e profondamente intenso, il tango argentino è un tipo di ballo che vede i due protagonisti mettere le pance a stretto contatto. Quando giunse in Italia, i primi anni del Novecento, suscitò grande scandalo

uando si dice “reagire di pancia” per intendere una reazione impulsiva legata più alla visceralità che al pensiero, quando si dice “ridere di pancia” per indicare un umorismo anche in questo caso meno ragionato e più legato all’immediatezza, in entrambi i casi non si dice una cosa del tutto sbagliata. Anche la pancia ha una sua intelligenza, una postazione di regia dell’organismo, un centro decisionale per la gestione delle risposte ai diversi stimoli. Si chiama cervello enterico o sistema nervoso enterico ed è una rete nervosa formata da circa 100 milioni di neuroni situati nella parete intestinale e collegata ai principali sistemi di regolazione del nostro organismo: il sistema endocrino, il sistema immunitario e il sistema nervoso. In condizioni normali, lungo l'asse privilegiato cervellopancia costituito dal nervo vago, il sistema nervoso centrale manda segnali a quello enterico affinché entrino in funzione i muscoli presenti intorno al tubo di-

gerente che, con il loro contrarsi, attivano la peristalsi per l’avanzamento delle sostanze in un’unica direzione. In situazioni di pericolo invece l’intestino riceve segnali di stress derivanti dalle emozioni che l’individuo sperimenta e si ha la secrezione di istamina e altre sostanze chimiche che stimolano una risposta di tipo infiammatorio la cui persistenza può dare luogo alle patologie infiammatorie croniche dell’intestino come il morbo di Crohn, rettocolite ulcerosa e colite spastica. Ma la comunicazione privilegiata cervello-pancia non è unidirezionale perché l'intestino stesso, con la sua produzione del 95% di serotonina, il neurotrasmettitore responsabile della regolazione di umore, fame e del sonno, contribuisce al benessere del sistema nervoso centrale. Insomma, una scoperta quella sul cervello enterico che ha rappresentato il riconoscimento scientifico di quanto da sempre affermato attraverso i luoghi comuni e le forme dell’immaginario popolare, ovvero che la pancia è sede di emozioni e sentimenti. Una consapevolezza, questa, che nella forma di dualismo mente – pancia declinato anche come dilemma tra ragione e sentimento, ritroviamo in altre culture e in altre epoche, tanto da poter affermare che, a prescindere dalla latitudine, la rabbia fa torcere le budella, l’amore fa sentire le farfalle nella pancia, la paura provoca una fitta nello stomaco. In Oriente la pancia è il centro individuale che ospita le emozioni contrapposte al giudizio. La prevalenza di un'istanza sull'altra compromette il benessere individuale, per il quale sarà necessario ristabilire una situazione di equilibrio. Secondo la filosofia taoista, nel-

I TANTI MAL DI PANCIA

Sono tanti i sintomi che annunciano il mal di pancia. Fitte acute, un senso di peso, crampi fastidiosi. E non sempre l’intensità del dolore corrisponde alla gravità delle cause che lo provocano. Le cause del mal di pancia possono essere tante. Ma quando nella sintomatologia addominale persistente o ricorrente il dolore occupa un posto di particolare rilievo, la diagnosi più ragionevole e più probabile è quella di colon irritabile (spesso erroneamente indicato col termine di colite spastica). Tra le altre possibili cause di mal di pancia ci sono un'alimentazione incongrua e la stitichezza. Vi sono alcuni segni tipici di patologie addominali che si presentano con dolore e punti dolenti alla palpazione come il quadrante addominale inferiore destro in caso di appendicite, e come il segno di Murphy in caso di colecistite acuta, e il segno di Blumberg che segnala la presenza di peritonite.


Nella danza del ventre la pancia viene usata per sedurre. È una danza particolarmente adatta al corpo femminile, perché aumenta la flessibilità e la tonicità del seno ma soprattutto della pancia: gli addominali sono coinvolti profondamente nei movimenti, modellando la linea e giovando agli organi interni. Il ventre di chi pratica il “body building”, invece, non basta che sia piatto, deve essere addirittura incavato

la pancia è situato il centro del respiro che, tenuto in esercizio attraverso la meditazione, permette di recuperare l’equilibrio sospendendo il pensiero e l’eccesso di razionalità a garanzia di un ritrovato contatto con il proprio corpo. La pancia, inoltre, è sede di uno dei più importanti centri simbolici dedicati alla comprensione delle relazioni umane: il chakra del potere che, situato nella parte anteriore dell’addome, governa le funzioni psicologiche di capacità di provare piacere, espansività, consapevolezza della vita, azione, volontà ed energia individuale. In giapponese pancia o ventre si dice Hara e rappresenta il luogo di incontro tra la pressione dell'energia del Cielo e quella della Terra che, riunendosi al centro, diventano la forza vitale umana che da tale centro sgorga, nutrendo e proteggendo la nostra vita. Ecco perché nel Seppuku, il suicidio rituale della casta nei nobili guerrieri meglio noto come Harakiri, si compie mediante sventramento auto inflitto a cui segue la decapitazione. Un annullamento completo dell’energia umana. Ma questa relazione tra pancia ed energia vitale si esprime anche in senso positivo attraverso il concetto di maternità. Si pensi ad esempio all’azione di toccare la pancia di una donna incinta, una consuetudine, quasi un gesto istintivo che richiama proprio il contatto con l’energia della vita che prende forma. Sembrerebbe partire da questa consapevolezza il luogo comune che vuole che la

donna sia più bella durante la gravidanza, uno splendore particolare che anche l’arte ha colto per secoli con le rappresentazioni pittoriche di tante madonne incinte. In realtà questa bellezza non è solo una suggestione, ma si basa su un’evidenza scientifica che dimostra come durante i nove mesi della gravidanza, oltre all’esaltazione della femminilità con il seno che cresce e i fianchi che si arrotondano, la donna gode di uno splendore particolare dell’incarnato dovuto al miglioramento della circolazione e dell’irroramento dei vasi sanguigni, mentre la pelle diventa più morbida e liscia e i capelli più folti e lucenti grazie agli ormoni gravidici come gonadotropina corionica umana, progesterone, estrogeni e prolattina. Alla madre terra era invece originariamente dedicata la danza del ventre nata secoli fa nelle antiche società matriarcali della Mesopotamia e praticata dalle sacerdotesse di Ishtar, dea della fertilità, dell’amore e della sensualità. I movi-

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Medicina & società PANCETTA? ALLORA SEI ANSIOSO

Ebbene sì, la “pancetta” un tempo era segno di ricchezza, opulenza, benestare. Addirittura di salute e benessere. Oggi sappiamo benissimo che non è così. Siamo tutti consapevoli delle conseguenze dannose della “pancetta” sul nostro organismo. A formarla sono i vari strati di cellule speciali, gli adipociti, che si riempiono con una goccia di trigliceridi. Quando per motivi dietetici o per eccessiva sedentarietà le entrate energetiche sono superiori alle uscite, la produzione di grasso da depositare nelle cellule adipose aumenta. Le cellule reagiscono aumentando il loro diametro e incorporano quindi una goccia di trigliceridi più grande. Nasce così la cosiddetta “pancetta”, che l’immaginario comune corrisponde oggi alla rappresentazione di un individuo pantofolaio, apatico, svagato, sedentario. Mai però il comune buon senso si è rivelato più lontano dalla realtà. Recenti indagini hanno messo in luce come l'accumulo di grasso nella regione dell'addome sia una diretta conseguenza di un temperamento ansioso o di stress prolungati. Questa è almeno la strabiliante conclusione, apparsa sulla rivista “Journal of endocrinal Investigation”, cui è giunta un'equipe di endocrinologi dell'Università di Goteborg in Svezia.

menti sussultanti e vibranti del bacino rievocavano movenze femminili come il parto o l’atto sessuale. I movimenti sinuosi di questa danza permettono di tonificare il perineo, la parte esterna del pavimento pelvico, la porzione che chiude inferiormente la cavità addominale-pelvica e che sostiene l’utero e la vescica. In questo senso, la danza del ventre, tonificando questa parte, risulta molto efficace nel trattamento di disturbi che interessano l’apparato urogenitale femminile come anorgasmia, incontinenza urinaria, vulviti, disturbi della menopausa e dolori mestruali. Sempre a un femminile più identificato nella maternità e nella procreazione può essere associato il canone estetico del passato che accettava ed esaltava le morbide rotondità del ventre della donna. Uno sguardo al mondo dell'arte con il ventre morbido e prominente della Venere di Urbino di Tiziano mostra lo scarto estetico compiutosi nel corso dei secoli, fino alle pance toniche e muscolose della bellezza attualmente in voga. Ma anche nelle diversità dei modelli estetici ciò che rimane inalterata nel tempo è l’attrattiva sessuale dell'addome femminile, sia esso tatuato, bucato dal piercing o sempre rigorosamente scoperto secondo la moda degli ultimi anni. Nessun mistero invece per la pancia dell’uomo, sempre in bilico tra il simbolo di forza al suo massimo stato di tonificazione con la cosiddetta “pancia a tartaruga” dei fitness addicted, e l’indice di abbondanza e benessere con l’immagine più tipica del ricco industriale della ripresa economica post-guerra. Solo una valorizzazione estetica per questo attributo al maschile, che

LA PANCIA HA UNA SUA INTELLIGENZA, QUASI FOSSE UN CENTRO DECISIONALE PER LA GESTIONE DELLE RISPOSTE AI DIVERSI STIMOLI 94 Dossier Medicina

come addome pendulo, scientificamente definito ptosi addominale, sarà variabilmente un problema da risolvere o un attributo attraente. È quest’ultimo caso quello del Giappone, in cui i lottatori di sumo possono contare sull'ammirazione di tante giovani fan. E pensare che per aumentare al massimo il proprio ventre e raggiungere così l’equilibrio ottimale e l’abbassamento del baricentro necessario per non essere atterrati durante il combattimento, i campioni dell’antica lotta giapponese seguono una rigida dieta a base di abbuffate di Chanko nabe, traducibile come «tutto quello che puoi buttare in pentola», una pietanza ipercalorica realizzata con pesce, verdure di stagione o carne, alla cui assunzione dovrà seguire un pisolino che permetterà di assimilare al meglio il tutto, per l'invidia di qualsiasi uomo occidentale. Nel caso in cui la prominenza addominale non sia così autoindotta a scopo sportivo, la pancia gonfia, può essere sintomo di disbiosi intestinale causata da un’alimentazione troppo ricca di alimenti raffinati, dall’assunzione di farmaci o ancora una volta, dallo stress. Determinante in questo senso l’azione dell’ormone “neuropeptide Y” (NPY) che, in condizioni di stress, permette l’accumulo di maggiori quantità di grasso alle cellule del tessuto adiposo proprio intorno al punto vita. Si torna così alla necessità di ristabilire l’equilibrio mente-corpo a partire dalla pancia perché il secondo cervello, dimostrando ancora una volta di essere ben più di un semplice ricettacolo di bassi istinti primari, può influenzare gli “umori” del “primo” . Questo avviene attraverso l’assimilazione di alcuni alimenti che, innalzando il livello di serotonina nell’intestino, svolgono una funzione antidepressiva. In generale, gli alimenti che migliorano l'umore sono gli ortaggi, la frutta e il pesce. Accanto, ça va sans dire, a dolci e cioccolato.



Alimentazione

PERDUTA Alla ricerca dell’energia

PROCESSI DI INVECCHIAMENTO, STRESS, SFORZO FISICO, AFFATICAMENTO DOPO UN PERIODO DI DEGENZA, GLI INTEGRATORI ALIMENTARI CI DANNO ENERGIE. E GARANTISCONO UN NUTRIMENTO COMPLETO IN CASO DI DIETE IPOCALORICHE. IMPORTANTE CHE CIÒ AVVENGA SOTTO CONTROLLO MEDICO di Mercedes Vescio

A

Quando ci si sente affaticati per eccessivo sforzo fisico, gli integratori devono essere presi sotto controllo clinico affinché non concorrano ad alterare una serie di parametri ematologici ed ematochimici

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minoacidi ramificati, arginina, bicarbonato di sodio, carnitina, chitosano e creatina. Sono solo alcuni degli innumerevoli integratori alimentari che il mercato del benessere propone. Un panorama di sostanze ampissimo che, insieme ai supplementi alimentari, vengono catalogate sotto il nome di “nutraceutici”, una parola coniata solo nel 1990 per unire i termini “nutrizione” e “farmaceutica” e definire quegli estratti di piante, animali, minerali ma anche prodotti di sintesi che in forma di prevenzione o di terapia, sono entrati a far parte della spesa destinata al benessere psicofisico. E se non sempre è semplice orientarsi tra tante bevande, pillole, polveri ed estratti, molto più semplice sarà comprendere la funzione che questi preparati svolgono. Come ci spiega il professore Pier Luigi Pompei, docente di Farmacologia, farmacoterapia e nutrizione dello sport presso l’Università di Camerino. «Gli integratori sono sostanze di origine naturale o sintetica che svolgono principalmente tre compiti. Il primo è quello di ripristinare la perdita di sostanze endogene causata da varie condizioni e circostanze, ad esempio in caso di fabbisogno energetico causato da deficit alimentari. Il secondo compito è quello di rispondere a condizioni di “depauperamento or-

ganico” legato ad aumentata attività fisica mentre il terzo è finalizzato al mantenimento di condizioni organiche di equilibrio dei contenuti di varie sostanze, al fine di rallentare il fisiologico processo di invecchiamento. I supplementi invece sono sostanze che hanno primariamente il compito di indurre, fermo restando una condizione basilare di eccellenza, effetti positivi nell'aumento della performance fisica. Tra le varie categorie di integratori e supplementi alimentari o come meglio si definiscono oggi “nutraceutici” annoveriamo i complessi vitaminici, le sostanze ergogeniche, quelle sostanze cioè in grado di aumentare il lavoro muscolare, gli anticatabolici che controllano la produzione di cortisolo e gli idrosalini che comprendono le diverse bevande sportive per l’integrazione dei sali minerali». In questo modo la larga diffusione degli integratori si spiega da una parte con l’attenzione a uno stile di vita sano, dall’altra la diffusione degli integratori nasce dalle difficoltà legate al mantenimento di ritmi di vita sostenuti che mette a constante rischio di depauperamento nutrizionale il nostro organismo. Anche la stagione calda alle porte pone la necessità di creare una barriera di difesa dell’organismo dai danni del sole. «In effetti, l'arrivo della stagione calda, per una serie di motivi costituisce una sorta di “insulto”al nostro organismo soprattutto per quanto riguarda l'esposizione prolungata ai raggi ultravioletti. Oltre ai normali schermi solari, delle parziali forme di protezione sono senz’altro i preparati multivitaminici a base di betacarotene. Mentre nelle donne con problemi di vene varicose, l’utilizzo di vasoprotettori nei periodi precedenti all’esposizione solare può sicuramente costituire una forma di protezione valida». A fronte di tutti questi vantaggi in termini di benessere, oggi sappiamo che un italiano su tre fa uso di integratori alimentari. «Le vitamine - ci spiega il professor Pompei - cioè le ammine della vita, sono sostanze normalmente contenute in una dieta equilibrata e ricca di frutta e verdura e intervengono in processi parti-


colari nel metabolismo dei macronutrienti come carboidrati, lipidi e proteine. In più svolgono un’azione antiossidante importante e rilevante, pertanto sono molto richiesti dal mercato soprattutto in quegli stati di conclamato “affaticamento” del soggetto. I sali minerali sono di uso molto comune soprattutto negli sportivi che praticano sport di endurance. Infine la categoria dei fermenti lattici, magari in concomitanza di multivitaminici, rappresenta un’ampia classe di integratori per svariati utilizzi che vanno dal controllo e ripristino della normale omeostasi della flora intestinale successivamente a una terapia antibiotica, al trattamento di condizioni particolari di disbiosi intestinale». Ma se ogni condizione ha il suo integratore, lo stesso vale per le diverse età e per i diversi momenti di transizione da uno stato all’altro come gravidanza, menopausa o terza età, periodi che implicano un equilibrio fisiologico estremamente delicato. È noto che vitamina D, acido folico e zinco sono molto importanti per le mamme in dolce attesa, che vitamina A, beta-carotene e calcio non dovranno mancare durante la menopausa così come omega-3, zinco e magnesio devono essere assunti per limitare i processi di invecchiamento della terza età. Un discorso diverso va invece fatto per i nostri ragazzi anche loro in una fase di passaggio in cui è importante che non manchino i giusti elementi nutritivi. «L’età adolescenziale di per sé è una fase di transizione nella quale avvengono molti processi di modificazioni organiche che sono normalmente monitorate dai regolari controlli pediatrici. Pertanto di base non esiste la necessità di utilizzare integratori, sempre che il regime nutrizionale sia vario e adeguato al fabbisogno del ragazzo. Ma questo non sempre accade in questa fascia di età. I ragazzi tendono a mangiare cibi spesso poco sani, grassi e ipercalorici. Molti ragazzi poi praticano sport a livello agonistico soprattutto in discipline particolarmente dispendiose dal punto di vista psicofisico. In questi casi un'integrazione per esempio multivitaminica in particolari periodi dell'anno può sicuramente risultare utile». Al di là di questi accorgimenti relativi alle valutazioni caso per caso, le controindicazioni per queste sostanze sono analoghe a quelle che di base si riscontrano nell’uso di ogni farmaco. «È fuori discussione – precisa il professore Pompei - che ad ogni nutraceutico sia anche associato un effetto collaterale proprio come nel caso dei farmaci. In questo caso specifico tutto dipende da due condizioni fondamentali che sono il dosaggio e il tempo di assunzione dell’integratore stesso. Gli integratori e i supplementi cioè devono essere presi per certi periodi in certe condizioni, appunto sotto controllo clinico affinché non concorrano ad alterare una serie di parametri ematologici ed ematochimici, dando luogo, ad esempio, a un aumento dei livelli di azotemia e di creatinina nel caso si assumano dosaggi elevati e non giustificati di aminoacidi e proteine o a patologie particolari collegate all'abuso di vitamine soprattutto del gruppo liposolubili».


LE AZIENDE INFORMANO

OGGI SI PUÒ RAGGIUNGERE EQUILIBRIO MUSCOLARE

T

DAGLI STUDI DI MÉZIÈRES E SOUCHARD SONO NATI DUE METODI DI RIABILITAZIONE ADATTI A TUTTI E UTILIZZATI IN DIVERSE SITUAZIONI. CI SPIEGANO MEGLIO QUESTE TECNICHE INES DEL BENE E GABRIELLA ASTA RESPONSABILI DEL CENTRO FKT STUDIO DI FISIOTERAPIA

utta la nostra attività muscolare, sia quella statica che quella dinamica, è sempre concentrica e comporta un accorciamento muscolare. È questo il motivo per cui un muscolo soggetto ad accorciamento deve essere rieducato in maniera permanente in allungamento. È proprio su questo presupposto che si basa la Rieducazione Posturale Globale, una tecnica attraverso la quale si raggiunge l’equilibrio muscolare libero da tensioni. La RPG nasce nel 1981 e si basa sui principi del Metodo Mézières, che agisce sulle cause che determinano i disequilibri morfologici «secondo una visione globale del corpo visto nella sua unitarietà» come spiega Ines Del Bene, esperta di terapie riabilitative, responsabile, insieme a Gabriella Asta, del Centro di Fisioterapia FKT a Vasto, in provincia di Chieti. «Si tratta – prosegue – di individuare come le tensioni muscolari che ognuno di noi ha, alterano la normale simmetria corporea. Con movimenti precisi ed esercitando muscoli spesso inattivi, si riuscirà a restituire lunghezza, elasticità e benessere alla muscolatura che ha subito una contrattura». Osserva

l'individuo da un punto di vista sia strutturale che funzionale. Individua le disfunzioni che sono alla base della patologia al fine di eliminare o ridurne le cause. La Rieducazione Posturale Globale è una forma di riabilitazione fondata su basi strettamente scientifiche che può essere applicata solo da fisioterapisti che hanno frequentato appositi corsi di specializzazione post laurea. «Ad oggi - prosegue Grabriella Asta, specialista del Metodo Mézières - si considera la riabilitazione parte integrante della medicina, fondamentale sia per il trattamento del dolore che per i casi cronici. Attualmente si assiste alla ribalta di alcuni trattamenti specifici per patologie che fino a ieri avevano come unico approccio la chirurgia e la farmacologia». La RPG ha un’ampia applicazione, sia per l’aspetto puramente posturale sia per il trattamento del dolore, soprattutto del rachide, anche se non dovuto a problemi posturali. Per esempio si applica in casi di scoliosi, cifosi, lordosi, ginocchia vare o valghe, piede piatto o cavo; cervicalgie, lombalgie, sciatalgie (anche con presenza di protusioni o ernie); durante la correzione dentale (apparecchi o bite); in collaborazione con


LE AZIENDE INFORMANO

CAMPI DI APPLICAZIONE DELLA RIEDUCAZIONE POSTURALE GLOBALE • Malattie neurologiche • Patologie dello sport, agonistico e non • Anomalie articolari cervicali, dorsali o lombari • Limitazioni funzionali post - traumatiche e post - operatorie • Anomalie respiratorie che riguardino l'escursione toracica, diaframmatica, la frequenza ed il ritmo ventilatorio • Anomalie strutturali: scoliosi, iperlordosi, ipercifosi, ginocchia vare o valghe, piedi piatti o cavi

correzione ortottica; per migliorare l’aspetto estetico, morfologia, portamento ed elasticità. «Il compito del fisioterapista – prosegue l’esperta - in questo tipo di tecnica, è semplicemente quello di guidare il paziente al proprio e originale stato di salute. Facendogli prendere coscienza dell’organizzazione dei propri movimenti e rendendolo artefice del ripristino della propria simmetria corporea». È un approccio dolce e quindi adatto anche ad anziani e bambini. La Rieducazione Posturale nasce grazie agli studi della fisioterapista Francoise Mézières che individua nelle tecniche di riabilitazione posturale la soluzione per il trattamento dell’ipercifosi dorsale di una delle sue pazienti. Capisce la necessità di utilizzare un trattamento globale che coinvolga l’insieme delle componenti della struttura corporea, per ristabilire l’armonia e l’equilibrio tra il corpo e le funzioni di cui esso si compone. «Oltre al Metodo Mézières nel nostro centro applichiamo anche il Metodo Souchard, - prosegue Del Bene che proprio nel Metodo Souchard è specializzata - che deriva poi dall’altro. Souchard è stato infatti prima allievo e poi collaboratore della Mézières. Questa seconda tecnica si basa su una netta distinzione di comportamento e ruolo dei muscoli della statica e dei muscoli della dinamica: i muscoli

statici devono essere esercitati in modo eccentrico e quelli dinamici in modo concentrico. Pone inoltre particolare attenzione al diaframma, il nostro più importante muscolo respiratorio, e al nervo fibroso che lo sostiene». Le posture Souchard vengono eseguite attivamente dal paziente ed è grazie a questo lavoro consapevole che il sistema nervoso centrale memorizza le correzioni che il fisioterapista suggerisce al paziente sia verbalmente che manualmente. Le posture da eseguire vengono scelte dal fisioterapista ad hoc per ogni paziente. Entrambi i trattamenti si svolgono in diverse sedute della durata di un’ora circa e sono sempre individuali, mai di gruppo, da non confondere quindi con le sedute di ginnastica dolce o correttiva. La fisioterapia è un campo in continua evoluzione e questo viene, al giorno d’oggi, decisamente recepito dai pazienti e dalla gente comune. Alcuni medici sono ancora diffidenti e scettici, ma una conoscenza più approfondita della materia serve nella maggior parte dei casi a sedare ogni dubbio. «Fare fisioterapia e riabilitazione in modo professionale – cocludono Del Bene e Asta - e con molta attenzione alle esigenze di ogni paziente, in questo modo si ottengono i risultati e si dimostra senza dubbio l’importanza e la serietà del nostro lavoro».

FKT STUDIO DI FISIOTERAPIA Ft. Ines Del Bene - Via Giulio Cesare, 4/C - 66053 Vasto (CH) tel. 0873.361098 - cell. 333.3783048



Benessere in vetrina

Pensare al corpo

Capelli e pelle. Per l’estate è bene curarli. Pelle luminosa e liscia, capelli sempre morbidi al tatto

L

’estate è ormai arrivata. Sole, mare e spiaggia. Le vacanze si prospettano sempre più all’insegna del relax e del divertimento, ma non dimentichiamoci mai di prenderci cura del nostro corpo. Non bisogna trascurarlo, anzi più che mai in questi mesi si sente la necessità di essere in forma, sempre belli e tonici. Andiamo allora alla ricerca di tutti quei

prodotti che possono tornarci utili per il nostro benessere fisico. Bisogna proteggersi dai raggi solari e dalla salsedine del mare. Tanti sono i danni provocati ai capelli e all’epidermide in questo periodo dell’anno. Necessitano quindi lozioni quotidiane per il corpo, per idratare e dare morbidezza alla pelle, renderla luminosa e vellutata.

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Benessere in vetrina COME STAR MEGLIO

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PROTEZIONE PER BAMBINI

Lichtena Sole Bimbi Latte Spf 50+ di Giuliani è un latte ricco e fresco, dalla protezione molto alta, indicato per le pelli sensibili e delicate dei bambini facilmente soggette a irritazioni e scottature. Basato sulla tecnologia Liquisome® S assicura un’efficacia schermante potenziata che ottimizza la copertura dai raggi, trattenendo i filtri solari sulla superficie della pelle. La formula è Very Water Resistant, senza parabeni e senza profumo. Il tubo da 100 ml costa € 21,00. In vendita in Farmacia.

Stimola Bronz® di Phyto Garda srl è un integratore alimentare coadiuvante per favorire la produzione di melanina, rinforzare le difese naturali della pelle ed intensificare il colore dell’abbronzatura. Contiene sostanze utili per contrastare gli effetti dannosi dei radicali liberi sulle strutture cellulari cutanee: la Tirosina favorisce la produzione fisiologica di melanina, i carboidrati preservano l’idratazione cutanea, mentre un estratto naturale dalla polpa di melone svolge un’azione antiossidante. La confezione da 15 compresse costa € 12,50. In vendita in Farmacia.

PER AVERE CAPELLI PIÙ SANI

Bioscalin® Antiforfora Compresse di Giuliani è un integratore alimentare ricco di componenti con una specifica utilità nel riequilibrare gli stati desquamativi del cuoio capelluto, riducendo nel contempo le fastidiose conseguenze dovute alla presenza della forfora, come il prurito. La sua formula contiene Tricolact®, un fermento vivo ad attività probiotica, antiinfiammatoria e riequilibrante della cute ed è arricchita da vitamine B6 e B2 che, associate ad un pool di antiossidanti, riducono gli stati desquamativi. Il blister da 15 compresse costa € 20,00. In vendita in Farmacia.

DARE RESPIRO AI PIÙ PICCOLI

Narhinel Aspiratore Soft di Novartis aiuta a liberare delicatamente ma efficacemente le vie respiratorie dei bambini che non sono ancora in grado di soffiare il nasino da soli, facilitando anche la poppata e il riposo. Grazie alla sua forma ergonomica e al ricambio anatomico morbido si utilizza facilmente, perché è il genitore a controllare l’intensità dell’aspirazione. La confezione costa ca. € 8,30. In vendita in Farmacia e nelle sanitarie.

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PROTEGGERSI CON GLI OMEGA 3 Fish Factor Skin di Avantgarde è un integratore alimentare dall’azione protettiva ed anti-infiammatoria particolarmente indicato per le pelli sensibili. Gli acidi grassi Omega-3 ad alta concentrazione contenuti nelle perle contribuiscono a ridurre le reazioni infiammatorie, mentre la vitamina E con Tocotrienoli svolge un’azione antiossidante. La confezione da 30 perle grandi costa € 25,00. In vendita in Farmacia.



Benessere in vetrina BONTÀ PER DIABETICI

Giusto Diabel Biscotti di Giuliani sono biscotti ad alto contenuto di fibre e senza zuccheri aggiunti, in grado di soddisfare le particolari esigenze di chi soffre di diabete. Dolcificati con acesulfame, saccarina e maltitolo, non influiscono sull’assetto glico-lipidico del diabetico. Disponibili in diversi gusti per venire incontro a tutte le esigenze: Domino, biscotti al gusto di nocciola, Primavera, aromatizzati alla vaniglia e Cioccolini, al sapore di cacao. La confezione da 150 g costa € 3,90. In vendita in Farmacia e nei negozi specializzati.

ESSERE SEMPRE IN FORMA

Tonalin® Oil di Solgar è un integratore a base di CLA (acido linoleico coniugato) estratto da olio di semi di cartamo e consigliato a chi segue un regime dimagrante, agli atleti e a tutti coloro che vogliono mantenere il proprio “benessere in forma”. La sua efficacia si basa su un insieme di varianti strutturalmente simili dell’acido linoleico che contrastano l’accumulo di grassi e riducono la proliferazione di adipociti, impedendone la maturazione. La bottiglietta da 60 Perle-Softgels costa € 52,00. In vendita in Farmacia e nelle migliori Erboristerie.

UN AIUTO PER L’ABBRONZATURA Dermasol Solaire Spray corpo effetto ghiaccio è uno spray solare rinfrescante con filtri a bassa protezione UVB-UVA, particolarmente indicato per le pelli più resistenti o già abbronzate. La presenza del Mentil Lattato dona sollievo durante l’esposizione al sole. Il suo contenuto in vitamina E, estratto di Malva, burro di Karatè e olio di Riso svolge un’azione antiossidante, lenitiva e idratante. Il prodotto è senza alcool, ipoallergenico e non comedogenico. Il flacone da 200 ml costa € 21,00. In vendita in Farmacia.

MIGLIORIAMOCI CON I FIORI

Oppression free di Green Remedies è una combinazione di 6 Essenze Floreali Australiane creata per quei periodi in cui si sente la necessità di attenuare il carico mentale, fisico e dieteticoalimentare. Può essere di aiuto per divenire più flessibili e aperti verso qualsiasi cambiamento, come quando si sente il bisogno di apportare modifiche nell’alimentazione o nello stile di vita, a favore di abitudini più sane. Il flacone da 30 ml costa € 18,50. In vendita nelle migliori Farmacie, Erboristerie e Parafarmacie.

LA PASTA PER I CELIACI Pasta G-Mix Giusto® Senza Glutine di Giuliani è una pasta senza glutine che conserva sapore, tenuta di cottura e colore della pasta tradizionale. Realizzata con Giusto Mix, brevetto esclusivo di Giuliani, è a base di una miscela di farine e lieviti selezionati, “naturalmente ricchi” di vitamine e minerali e per questo più facilmente assimilabili. La confezione da 500 g costa € 4,90. In vendita in Farmacia e nei negozi specializzati.

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MENO PROBLEMI CON LA MENOPAUSA

Menopase di Vitabiotics è un integratore alimentare specifico per la menopausa. Ogni capsula contiene 21 sostanze nutrienti, fra cui isoflavoni di soia che attenuano i sintomi della menopausa, quali caldane, sudorazione notturna e secchezza vaginale. La presenza di vitamine E, A, B6, B12 e acido folico, aiuta a diminuire il rischio di malattie cardiovascolari, mentre magnesio e vitamina D prevengono la fragilità ossea e osteoporosi. Il prodotto può essere assunto in associazione o indipendentemente da Terapie ormonali di sostituzione (THS). La confezione da 30 capsule costa € 22,00. Il prodotto è distribuito in Farmacia da Pharmaidea.



Promozione - Nuove terapie

ARTETERAPIA

L

curarsi con l’arte

’arteterapia non è una scoperta recente, piuttosto è una ri-scoperta. Nell’antica Grecia c’era Socrate, oggi ci sono gli arteterapeuti. Gli scopi cambiano, i metodi anche, ma si tratta sempre di maieutica. Si tratta sempre di mettere in grado l’allievo, in questo caso il paziente, di acquisire una chiara coscienza di sé, dei propri pensieri e dei propri vissuti. Sì, perché tramite l’arteterapia i pazienti esternano le loro emozioni più profonde e inconsce. Possiamo dire che l’arteterapia produce effetti tellurici nella psiche. L’arte di celebri pittori, scultori o fotografi oltre a es-

sere conosciuta e apprezzata dalla maggior parte di noi è, come risaputo, portatrice di messaggi, più o meno evidenti, che suscitano emozioni in estimatori di tutti i tempi. Molti maestri, tra cui Van Gogh, Picasso e Paul Klee, hanno sottolineato che l’arte è una proiezione del proprio io più profondo e questo vale anche per gli ‘artisti in erba’. Lo scopo dell’arteterapia, si badi bene, non è quello di insegnare una certa forma d’arte, bensì proprio quello di aiutare l’individuo a esprimere le proprie emozioni e angosce più profonde e raggiungere la serenità praticando il disegno, la danza, la pittura. L’attività creativa favorisce un allargamento di vedute che porta all’individuazione di soluzioni per le proprie angosce. Dopo aver trasferito le proprie sensazioni in

un qualsiasi oggetto artistico il paziente è infatti in grado di raggiungere una comprensione più profonda di sé, perché il soggetto vede le proprie emozioni dal di fuori e può valutarle meglio. Può apprezzare

quello che prima non apprezzava di sé, può amare ciò che odia, può capire l’incomprensibile, può vedere l’invisibile. La riuscita estetica dell’opera come prodotto socialmente riconosciuto non ha alcuna importanza: quel che si vuole ottenere è un rapporto migliore tra il corpo e la mente, una ricostruzione dell’identità e dell’equilibrio dell’individuo. Spesso si tratta di un vero e proprio ritorno all’infanzia: i bambini esprimono i loro sentimenti con semplicità e senza paura. L’arteterapia cerca proprio di recuperare que-

ste caratteristiche del bambino negli adulti, che di solito le hanno perse con l’inizio dell’adolescenza. Nel

bambino rafforza il valore di quello che prova. L’arteterapia fu utilizzata per la prima volta nel secondo dopoguerra: i corsi venivano tenuti a livello informale in alcuni ospedali ed erano presieduti da artisti. Il fine era quello di aiutare i sopravvissuti a superare i traumi subiti. Ben presto, però, medici e psicoterapeuti si accorsero dell’importanza di questa pratica che aiutava il soggetto a esprimersi liberamente affrontando così emozioni e conflitti inconsapevoli, altrimenti inesprimibili, e aiutava al contempo il te-

rapeuta a comprendere più profondamente il paziente. Da allora questa tecnica si è diffusa, soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, ed è stata applicata in vari campi. Oltre a essere un efficace mezzo per aiutare le persone a sviluppare la loro creatività affinché si possano esprimere in modo libero e non più condizionato, l’arteterapia è un’ottima forma di prevenzione. È consigliata infatti ai bambini che entrano nel periodo adolescenziale, alle donne che hanno partorito o a quelle in menopausa e a neopensionati che rischiano di sentirsi inutili e disorientati. Vi sono però altri ambiti di applicazione, come ad esempio quello riabilitativo e quello terapeutico. L’arteterapia può aiutare, infatti, a ritrovare una maggiore autostima: chi la pratica riesce più efficacemente a combattere ansia, depressione e anoressia. L’arteterapia viene utilizzata inoltre in ambito

psichiatrico, per il recupero da dipendenze da droga e da alcool e per gli anziani affetti dal morbo di Parkinson e Alzheimer. È anche un’attività indicata per i por-

tatori di handicap in quanto favorisce momenti d’incontro dove ci si può esprimere riscoprendo le proprie capacità. Le sedute di arteterapia necessitano di un’atmosfera tranquilla e piacevole, perciò lo studio del terapeuta deve essere innanzitutto luminoso e possibilmente con un caldo pavimento in legno. La stanza, poi, dovrebbe essere ricca di stimoli come fogli di carta, matite, creta, strumenti musicali, oppure quasi vuota per lasciare il paziente libero di danzare o ascoltare musica in tutta tranquillità. Si tratta, insomma, di un luogo in cui deve essere privilegiata la creatività nelle sue numerose applicazioni, inducendo un ritorno all’infanzia. In questa stanza è l’emisfero cerebrale destro quello da far lavorare, l’emisfero cioè della fantasia, della creatività, dei segni corporei, dell’intuizione: tutte inclinazioni che possediamo, ma che purtroppo utilizziamo solo raramente.


A CHI RIVOLGERSI...

ARTELIEU è un’associazione scientifico-culturale senza finalità di lucro il cui scopo principale è lo studio, la ricerca, la diffusione delle arti terapie. Si prefigge di cogliere i rapporti tra la psicopatologia e la creatività e di perseguire una metodologia per l'approccio terapeutico attraverso l’arte. È stata fondata nel 2003 da psicologi, psicoterapeuti, sociologi, artisti e cultori dell’arte e si rivolge ad un pubblico globale, dal bambino all’adulto, compresi gli anziani e i portatori di handicap.

Le eccellenze di Artelieu

Artelieu non ha intenti esclusivamente riabilitativi o terapeutici nel senso medicale. Opera nella convinzione che le persone in qualche modo ‘soffrono’ del fatto di non poter esprimere se stesse. Non possono perché non sanno di aver qualcosa da dire. Per integrarsi e raggiungere degli scopi l’uomo deve esprimersi. Per farlo l’essere umano mette in opera un insieme di mezzi e azioni congrui alla natura della sua espressione. C’è una stretta relazione tra ciò che l’uomo vuole esprimere, ciò che egli può esprimere e ciò che si attende da questa espressione. (dal libro di Laura Grignoli, Percorsi trasformativi in arteterapia, Ed. Franco Angeli, 2008)

A chi è utile l’arteterapia?

All’Artelieu vengono persone che hanno bisogno di aiuto immediato, ma anche persone , quali i bambini e gli adolescenti, che hanno bisogno di un aiuto a crescere. La terapia attraverso l’arte si rivela un ottimo intervento preventivo quando si lascia che i bambini e i ragazzi possano esprimere le loro emozioni e le loro paure. Il loro immaginario è intriso di fantasmi che possono essere elaborati solo se possono affrontarli in via indiretta. Noi pensiamo che sollecitare il potenziale creativo dell’adolescente attraverso un mezzo espressivo, in un’ottica terapeutica, ha in sé qualcosa di sovversivo esattamente come è nella tendenza maturativa del ragazzo.

Arte + Psicoterapia

Perché parlare di arte, diagnosi con l’arte, patologie espressive, arte terapia? La risposta sta nel constatare che il modo di affrontare le problematiche psicopatologiche sta cambiando: molte certezze cliniche, un tempo assodate come verità inalterabili, si stanno progressivamente sfaldando. A nostro avviso non può essere valida ed efficace come unica modalità di ‘cura’ quella verbale. Il vissuto di ogni persona è una rete di eventi, episodi a volte collegati, a volte sconnessi, intrisi di emozioni all’interno di una semiologia di sensi e non solo di significati concettuali verbalizzabili. Ci sono sfumature e dissolvenze stratificate nella memoria che non possono essere srotolate in parole. In profondità esiste ancora dentro ciascuno di noi un linguaggio dimenticato, quello che conserva i ricordi di ciò che abbiamo fatto e avvertito sensorialmente prima di arrivare a possedere un linguaggio simbolico convenzionale.

Gli obiettivi

L’Arteterapia si propone come supporto alla persona in difficoltà, a corto di simbolicità, per aiutarla a districare i fili di una matassa di parole mute o incoerenti. Ai bambini, agli psicotici, ma in generale a tutti coloro che attraversano momenti difficili. Favorire l’incontro tra più linguaggi artistici può offrire l’opportunità di fronteggiare il dolore, la rabbia, l’angoscia. La nostra mente può ritrovare elementi semantici di energie liberatorie non computabili, analoghe alle dissolvenze, alle percezioni chiaroscurali delle ombre e delle penombre. Se nell’impeto dell’artista l’ascolto è solipsistico, nell’Arteterapia l’ascolto è anche da parte dell’altro. La produzione consiste in una proiezione libera che esclude la ricerca estetica, il risultato, l’aspettativa di guadagno. Il laboratorio arteterapeutico ha perfino qualcosa di pedagogico nella misura in cui vuol educare l’altro a osservare, ad ascoltare come se toccasse le cose: quelle sentite, quelle fiutate, quelle viste o assaporate, in modo da ristabilire equilibrio tra percezione e pensiero per non essere travolti da fantasie sterili. Lo scopo dell’arteterapia è, dunque, di riabilitare la linea trasmissiva tra il sentire e il provare, permettendo di elaborare nel modo più autentico quello che si sente, ovvero di saper modulare immagini interne ed esterne, riscoprendo il ‘colore’ e le sfumature dei linguaggi non verbali.

PER SAPERNE DI PIÙ ARTELIEU Associazione Italiana Studi sulle Psicopatologie dell’Espressione e Arteterapia Segreteria: Via Alcione 137/G, 66023 Francavilla al mare (Chieti). Tel. 085.4914348 - www.artelieu.it


Bellezza & Benessere

ROSANNA LAMBERTUCCI Giornalista, scrittrice, autrice e conduttrice di programmi televisivi e radiofonici, è stata l’antesignana dei programmi dedicati alla salute e al benessere

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Mangiare sano?

È UNO STILE DI VITA

IL VOLTO PIÙ NOTO DEL GIORNALISMO TELEVISIVO DEDICATO ALLA SALUTE E AL BENESSERE È TORNATO. NEL SUO ULTIMO LIBRO ROSANNA LAMBERTUCCI RACCONTA UN NUOVO STRAORDINARIO METODO DIMAGRANTE di Biagio Costanzo

È

il racconto di un’esperienza vissuta in prima persona. Dapprima sotto forma di appunti, di considerazioni personali, poi di pagine autobiografiche. Una giornalista, la Lambertucci, appronta o forse sarebbe meglio dire, affronta un percorso come una dieta, che la porta ad ascoltare il suo corpo e ad avere degli ottimi risultati. Lasciato in un cassetto per qualche tempo fin quando, la ERI Edizioni Rai e la Mondadori non le chiedono di farne un libro. Così Rosanna Lambertucci, volto televisivo di Rai Uno molto noto, torna in libreria con: Il Viaggio Dimagrante. Una dieta che lei stessa ha sperimentato per prima, per poi decidere di farne partecipe anche altri. Per saperne di più abbiamo incontrato l’autrice, chiedendole innanzitutto di parlarci di questa sua nuova esperienza.

Se dovesse definire in poche parole il suo ultimo libro?

«La storia di un viaggio! Un viaggio doppio, nel senso che l’ho intrapreso sia come pubblicazione che come dieta vera e propria per me». Come nasce quindi questa sua nuova fatica libraria?

«Nasce all’incirca due anni fa, dopo essermi sottoposta a estenuanti diete, di tutti i tipi. Per motivi di lavoro io vivo molto anche in Francia. Fu proprio durante uno di questi viaggi che ho conosciuto un dietologo francese, e ho fatto delle riflessioni su questo tipo di dieta che lui porta avanti. Ho deciso di sperimentarla su di me. Adattando questa concezione della dieta che risentiva delle influenze francesi, alle mie esigenze di “donna italiana”, mediterranea».

Ha seguito una metodologia?

«Certo ! Grazie ai miei ormai venticinque anni di esperienza, ho perso in breve tempo ben 5 chili, che non solo ho perso, ma non ho più ripreso, togliendoli per giunta laddove davvero ne avevo bisogno, ad esempio nel punto vita, che è insomma il punto critico delle donne, i fianchi, un po’ di pancia, i glutei. Senza sciupare il viso e senza toccare i muscoli, senza indebolirmi».

IL LIBRO A sinistra, la copertina dell’ultimo libro di Rosanna Lambertucci, Il viaggio dimagrante, in cui spiega come perdere peso in sole sei settimane e come imparare a mantenere i risultati ottenuti

Insomma dalle pagine di un diario alle librerie?

«Durante l’applicazione del “mio adattamento” di questa dieta, che è stato un lavoro davvero scrupoloso, ho preso costantemente degli appunti su un diario, che poi ho dimenticato in un cassetto. Senonchè la scorsa estate la Mondadori e la ERI Edizioni Rai, mi hanno commissionato un libro che trattasse proprio di questi argomenti. Allora e solo allora ho deciso di andare a riprendere questi appunti, li ho ripuliti da quelle che potevano essere delle mere considerazioni personali, arrichendoli con tutta una serie di nozioni che secondo me erano fondamentali, e così ho anche colto l’occasione per raccontare o per rispondere anche a quelle domande che spesso mi vengono poste: sulla mia vita professionale e sul perché delle mie scelte».

Come ha strutturato il libro?

«Possiamo identificare una prima parte in cui ci sono delle pagine autobiografiche, nelle quali racconto con molta sincerità del perché io sono arrivata ad occuparmi di salute, pur avendo frequentato la Facoltà di Giurisprudenza, che aveva poco a che fare con la medicina e con tutto ciò che le ruota attorno. Per poi aggiungere delle tabelle della dieta, che non temo di de-

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Bellezza & Benessere

«Sì, perché ho potuto raccontarla in prima persona, grazie agli appunti che avevo raccolto nel mio “diario”. Inoltre, nelle prime due settimane sconsiglio vivamente attività fisiche intense, pur mantenendo ovviamente un po’ di movimento e nel far questo dobbiamo rafforzare la massa magra ed eliminare la massa grassa, senza rischiare di sciupare il corpo». Una dieta quindi indicata anche agli over 50? Cioè una dieta rivolta a un pubblico di persone anziane che non deve sottoporsi a un regime alimentare stressante?

«Certamente sì, se ha funzionato per me, che ho superato ahimè i quarant’anni, allora certamente funzionerà anche per gli anziani. Ma, e qui attenzione, con alcune avvertenze. Non ci devono essere delle controindicazioni. Quindi questa dieta va seguita solo e soltanto qualora il medico curante non riscontri alcuna conseguenza negativa nel corpo del paziente che si sottopone alla “mia dieta”». Con alcune indicazioni e attenzioni.

NOI ITALIANI SIAMO DAVVERO FORTUNATI, ABBIAMO LA DIETA MEDITERRANEA CHE È LA MIGLIORE ALIMENTAZIONE DEL MONDO finire “matematiche”, tale è la precisione con cui si possono applicare. Ho arricchito il libro di tutta una serie di nozioni fondamentali per far capire quale sia il meccanismo di questa dieta». Qual è il principio fondamentale che differenzia questa sua nuova dieta dalle altre?

«Certamente “mettere a riposo l’insulina”, che è l’ormone della fame e del successivo “meccanismo” dello stoccaggio dei grassi. Nel momento in cui io do una pausa al pancreas, evitandogli di lavorare troppo, per produrre insulina, per abbassare quella che è la glicemia nel sangue, io non ho più lo stimolo della fame, e ho quindi la possibilità di alimentarmi in maniera “più severa” nelle prime due settimane». Ma non basta! Qual è il segreto?

«Il segreto di questa dieta non è nemmeno nelle prime due settimane in cui c’è un regime più restrittivo, in cui si mangiano solo ed esclusivamente proteine e solo alcune verdure, non tutte. Ma nelle settimane successive, in cui c’è il “reinserimento degli alimenti”. In questo periodo che parte dalla terza settimana, si può incominciare a reinserire la frutta ad esempio, poi nella quarta settimana i latticini, nella quinta il pane, nella sesta la pasta e i legumi. Tutto questo è il risultato di un cambiamento del metabolismo corporeo». Insomma possiamo dire che si è appassionata molto a tutta questa faccenda.

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«Esatto! Questo non è il libro di un medico dietologo. È il libro di una giornalista che racconta una sua esperienza, e questo è molto importante sottolinearlo. Io ho solo raccontato me stessa, cioè cosa ho realmente fatto per giungere a questi risultati. Naturalmente consultandomi costantemente con un medico, con il quale lavoro in televisione ormai da una vita, che è il professor Pier Luigi Rossi, specialista in Scienza dell’Alimentazione. Si può dire che sia il primo libro che scrivo per me, quando in realtà l’avevo scritto originariamente solo nel mio diario». Una dieta che denota una scelta di vita?

«Esatto! Il modo di mangiare è una scelta di vita! Questa che ho fatto è in realtà una dieta estremamente semplice, per una persona che non ha né il tempo né la voglia di complicarsi troppo la vita».

Lei ha sicuramente il merito, durante questi venticinque anni di esperienza televisiva di aver divulgato, fra l’altro, un concetto di benessere generale. Fino a non molto tempo fa, essere “Più sani e più belli”, per citare un suo programma, era prerogativa delle classi più abbienti. Lei ha dimostrato, invece, a un pubblico televisivo molto vasto, che non solo era doveroso essere più sani ma che era anche possibile essere più belli. Una sorta di democratizzazione del concetto di “bellezza”.

«Quello che ho cercato di dimostrare, e non solo in questo mio ultimo libro, è che l’unico modo per cercare di migliorare la propria persona, dal punto di vista fisico è proprio l’alimentazione. E noi italiani siamo davvero fortunati, da questo punto di vista. Abbiamo la dieta mediterranea che è la migliore alimentazione del mondo, e questo è ormai accertato».


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Bellezza & Benessere

Viso invecchiato? LE GIUSTE SOLUZIONI... LA COMPARSA DELLE RUGHE A UNA CERTA ETÀ. UN PROBLEMA CHE DA SEMPRE ATTANAGLIA IL GENERE UMANO. SOPRATTUTTO LE DONNE. OGGI MOLTO SI PUÒ FARE IN QUESTO SENSO. SOPRATTUTTO SI PUÒ DARE ELASTICITÀ E NUOVO TURGORE ALLA PELLE DEL VISO. PER RINGIOVANIRLA a cura di Marco Di Clemente

I

n gran parte delle persone la comparsa delle prime rughe causa un profondo senso di disagio e una forte preoccupazione. Terribilmente infastidita dagli odiati solchi, vorrebbe farli sparire subito. L’idea irrazionale è quella di voler vincere la battaglia immediatamente e la conseguente richiesta come primo approccio è il riempimento delle loro nemiche. Quello che invece va fatto capire è che una pelle che mostra i primi segni d’invecchiamento, rughe comprese, va curata e rivitalizzata nella sua interezza con una trattamento che recuperi e mantenga la giovinezza dei tessuti, attraverso la riorganizzazione e rivitalizzazione della struttura della pelle. È importante per prima cosa ottimizzare il turgore, l’elasticità cutanea: solo così il viso apparirà migliorato nel complesso e avrà più luce. È a quel punto poi che si potrà passare a riempire le rughe, che comunque, giunti in questa fase, nel complesso saranno molto meno evidenti e daranno meno fastidio nella valutazione dell’estetica del viso. Perché allora desiderare un viso sul quale le rughe sono state ridotte, senza curarsi affatto di una pelle priva di elasticità e turgore? Per non considerare l’importanza della rivitalizzazione del collo, una delle prime parti del nostro corpo a mostrare i segni dell’età, che non può assolutamente essere riempito con filler. Per ringiovanire veramente un viso quindi bisogna rivitalizzarlo. Come?

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Biorivitalizzazione Si tratta dunque del primo giusto approccio che il medico estetico può proporre, ovviamente senza dimenticare la prescrizione dei prodotti cosmetici (creme e sieri) adeguati al tipo di pelle in questione. In cosa consiste? Non è altro che l’introduzione nel derma di sostanze utili a ottimizzare la funzione cutanea, come ad esempio l’acido ialuronico, che può essere unito ad aminoacidi, minerali, vitamine ecc. L’acido ialuronico è uno zucchero normale componente del sottocutaneo, e costituisce la materia fondamentale nella quale sono immerse le fibre di collagene ed elastina. Col passare degli anni diminuisce l’attività dei fibroblasti, cioè delle cellule deputate alla produzione di collagene ed acido ialuronico, i quali col richiamo di acqua determinano il turgore e la compattezza della cute. Ecco che apportando direttamente nel tessuto da trattare una quantità di acido ialuronico adatta a contrastare il suo impoverimento, la pelle ritrova nutrimento e giovinezza. Si mira dunque a ricreare le condizioni fisiologiche di una cute giovane, attivando in modo naturale il lavoro dei fibroblasti nello stimolare una corretta produzione naturale di collagene, che sarebbe invece poco utile introdurre direttamente dall’esterno. In sintesi l’infiltrazione locale di agenti biorivitalizzanti determina tre principali ef-


fetti benefici: idratazione, per immediata azione di richiamo nei tessuti di acqua (visibile sin dai primi trattamenti), stimolazione dei fibroblasti a produrre collagene ed elastina, (comincia ad avvenire a fine ciclo), importante azione di contrasto dei radicali liberi, veri e propri “agenti dell’invecchiamento” (stimolati per esempio da inquinamento e radiazioni solari).

In cosa consiste Si iniettano gocce di prodotto sottocute con microiniezioni effettuate con un ago sottilissimo, sia lungo le rughe, sia vicino al canto esterno degli occhi, che nella parte centrale delle guance e sul collo, dove insomma si vuole riacquistare il turgore. Volendo si possono infiltrare anche punti di agopuntura per stimolare la rivitalizzazione e il drenaggio cutaneo. Il trattamento non dura più di un quarto d’ora e alla fine residua, solo per un’oretta, un lieve arrossamento nelle zone di inoculo. A volte si possono creare delle piccole ecchimosi, contrastabili con una crema all’arnica. In ogni caso la paziente può truccarsi da subito.

possono essere effettuati direttamente una volta al mese. Il trattamento si può fare in qualsiasi periodo dell’anno. Classicamente i periodi più gettonati sono in primavera, e poi a settembre per “riparare” i danni provocati dal sole durante l’esposizione estiva.

Sinergia Un ciclo di biorivitalizzazione può poi essere un’ottima preparazione ad un filler. Non solo perché, come dicevamo, ha poco senso limitarsi a riempire le rughe se poi la cute dell’intero viso è avvizzita, spenta e poco turgida. Ma anche e soprattutto perché, nutrendo il sottocutaneo con un buon deposito di acido ialuronico, poi il derma riassorbirà molto più lentamente l’altro tipo di acido ialuronico, più denso, che utilizzeremo come filler per riempire le rughe. Ed a quel punto il riempimento durerà più a lungo. Siamo insomma davanti ad un trattamento efficace e sicuro, come dimostrano ormai molti studi, che permette di ottenere risultati reali sul ringiovanimento del viso e del collo, in modo peraltro molto naturale, e senza spendere grosse cifre. L’importante è non avere fretta.

Le rughe di vecchiaia sono causate da quel rilassamento della pelle che inizia a manifestarsi già intorno ai 30 anni, con la comparsa delle prime pieghe ai lati della bocca, sotto le palpebre e sulla fronte

Quando Un ciclo classico si effettua con un trattamento a settimana per un mese, poi due trattamenti ogni quindici giorni. Infine per prolungare i risultati si può proseguire con una seduta di mantenimento mensile. Esistono dei tipi più costosi, per chi ha meno tempo, che

Dott. MARCO DI CLEMENTE Esperto in medicina ad indirizzo estetico Chieti:Via Principessa di Piemonte 12 - Città S.Angelo: Via Salara 28 - Pescara: Via Regina Elena 62 Info: marco.dc@email.it - tel. 320 5357183

Cosa aiuta la nostra pelle? ACIDO IALURONICO È un polisaccaride presente naturalmente nell’organismo umano, con la funzione principale di attrarre e legare l’acqua, idratando la pelle e donandole volume. Spesso è unito ad aminoacidi e vitamine per contribuire ad una corretta nutrizione della pelle. POLINUCLEOTIDI Ottenuti dalla trota ad uso alimentare, utilizzati inizialmente come cicatrizzanti, incrementano l’attività dei fibroblasti e comportano un aumento secretivo di tutte le proteine della matrice dermica. Contribuiscono di conseguenza ad una maggiore tonicità della pelle. AGAROSIO Zucchero con catene di poliaminoacidi che hanno particolari proprietà nella ricostruzione della rete proteica e nella capacità di trattenere liquidi per imbibizione.

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Bellezza & Benessere Secondo la cultura greca la pelle era il vestito donatoci dagli Dei per rappresentare nel migliore dei modi la nostra anima al mondo

8 Consigli da seguire

Chi ha la pelle grassa deve usare per la pulizia detergenti oleosi e non particolarmente schiumosi

Per combattere le impurità della pelle ci si può preparare una maschera a base di frutta secca e yogurt Non stare troppo vicino a fonti di calore, si possonno dilatare i vasi sanguigni del viso e provocare un eritema Proteggere la pelle con creme ad alta protezione per evitare che dopo l'estate compaiano macchie e rughe

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I consigli di Gino Mattutini

Più attenzione ALLA NOSTRA PELLE LE COSE IMPORTANTI DA SEGUIRE? SEMPLICE: UN’ALIMENTAZIONE A BASE DI FRUTTA, VERDURA E PESCE AZZURRO. IMPORTANTE È SVOLGERE UN’ACCURATA IGIENE UTILIZZANDO UN DETERGENTE GIUSTO. RICORRERE SE NECESSARIO A QUALCHE TRATTAMENTO CON L’ARGILLA, ANTICO E SEMPRE UTILE RIMEDIO. E PER CHI VOLESSE RITROVARE UNA LUMINOSITÀ ORMAI PERSA SI PUÒ RICORRE AL LASER, FILLER CON ACIDO IALURONICO, BOTULINO E BIORIVITALIZZANTE. A SPIEGARCI TUTTO È IL DOTTOR GINO MATTUTINI, CHIRURGO E DERMATOLOGO di Mattia Curcio

Al mattino passare sul viso un cubetto di ghiaccio è una buona ginnastica per i nostri vasi sanguigni

Non ingerire troppi zuccheri raffinati, perché il pancreas è costretto a secernere più insulina che rende meno luminosa la nostra pelle Mangiare frutta e verdura di stagione aiuta la pelle a star bene

Quando si assumono farmaci è bene chiedere al medico se sono compatibili con l’esposizione al sole. Esistono farmaci che possono favorire la comparsa di macchie cutanee

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Bellezza & Benessere

M GINO MATTUTINI È responsabile del Servizio di Dermatologia e Chirurgia Dermatologica presso la "Casa di Cura Villa dei Pini" di Civitanova Marche. Nella Dermatologia Estetica si occupa di Filler per riempimento rughe, botulino, mesoterapia, trattamenti per la cellulite scleroterapia di capillari. Dal 2001 è responsabile regionale ISPLAD

oltissime sono oggi le tecnologie che la scienza medica mette a disposizione dei dermatologi per i problemi della pelle. Con le applicazioni dei fillers, botulino e dei laser di ultima generazione, infatti, è molto più semplice cancellare i segni del tempo e restituire alla pelle parte della sua giovinezza persa. Ovviamente queste applicazioni riguardano anche quei problemi molto diffusi tra gli uomini e le donne di tutte le età e cioè: macchie e rilassamento cutaneo, rughe e angiomi. «Il laser è oggi considerato una delle tecnologie più avanzate nel settore dermatologico», ci spiega il dottor Gino Mattutini, specializzato in dermatologia chirurgica, oncologica e in medicina estetica. «E risolve - continua - egregiamente il problema delle macchie sulla pelle. Però bisogna stare attenti, le macchie cutanee presentano a seconda delle tipologie problemi diversi. E ogni singolo problema viene trattato con un’apparecchiatura diversa». Dottor Mattutini come si svolge una seduta in cui vengono utilizzate le applicazioni laser?

«Prima si effettua una visita accurata, per valutare la natura delle macchie da rimuovere e poi si interviene con il laser per eleminare le cellule troppo colorate della pelle». Durante l’intervento di sente dolore?

«Dolore assolutamente no. Si percepisce però un leggerissimo pizzicore. E per alcuni pazienti molto sen-

sibili che non desiderano sopportare questo fastidio si possono applicare creme anestetiche». Qual è il tempo di durata di una seduta?

«Tutto è subordinato alla grandezza della macchia da trattare. Normalmente la durata media comunque si aggira intorno ai venti minuti. Per lavorare su macchie di una dimensione maggiore si stabilisce un ciclo di più sedute. Importante, però, far passare almeno trenta giorni tra l’una e l’altra». Cosa sente il paziente dopo la prima seduta?

«Potrebbe accusare per uno o due giorni un leggero arrossamento e gonfiore». Cosa bisogna fare in questi casi?

«Bastano dei semplicissimi impacchi freddi o fare uso di creme lenitive. Può succedere che potrebbero comparire sulla parte trattata delle piccole crosticine, ma in questo caso non bisogna affatto preoccuparsi perché cadranno naturalmente». Ha qualche raccomandazione da dare in questa fase post-trattamento?

«Consiglio sempre alle pazienti di non truccarsi e condurre una vita normale. Dopo che le crosticine saranno cadute, la pelle sembrerà più chiara rispetto a tutto il resto. Ci vorrà qualche mese prima che riprenda perfettamente la sua uniformità». Che protezione dovrà utilizzare un paziente?

«Innanzitutto è importante proteggere la pelle con creme solari ad altissimo fattore di protezione. È infatti risaputo e scientificamente provato che i raggi soSopra nella foto: il dottor Mattutini durante una seduta in cui viene utilizzato il laser per lo smacchiamento della pelle

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lari potrebbero causare la ricomparsa di una nuova macchia. Ovviamente consiglio anche di non fare uso di lampade abbronzanti». In quale periodo dell’anno conviene effettuare il trattamento?

«Il periodo migliore per il trattamento è nei mesi freddi, questo permette che la pelle guarisca definitivamente per l’estate successiva».

Dottor Mattutini parliamo ora di protezione della pelle. Quali sono i suoi consigli a riguardo?

«È molto importante svolgere un’accurata e corretta igiene, iniziando dal lavaggio del viso al mattino con detergenti oleosi».

Quali sono le metodiche in aiuto della cute stressata dal sole?

«Ovviamente è importantissimo rivolgersi a uno specialista qualificato che può suggerire, per esempio, un trattamento adeguato al proprio tipo di pelle, come biorivitalizzanti, filler e botox, specifici per le rughe, laser per fotoringiovanimento cutaneo ed eventualmente creme specifiche e integratori alimentari». Il fumo danneggia la pelle?

PER AVERE UNA PELLE LUMINOSA BASTANO SEMPLICI ACCORGIMENTI, COME UNA BUONA PROTEZIONE E MANGIAR BENE lita, liscia e tonica. Il perché è presto detto: l’argilla deterge in profondità e riequilibra la produzione di sebo». Per quanto riguarda l’alimentazione invece cosa mangiare per aiutare la nostra pelle?

«È importante seguire un’alimentazione corretta, ricca di sostanze che hanno il potere di difendere e rigenerare la pelle. La vitamina C serve per stimolare la ricostruzione dell’epidermide dall’interno, per questo conviene mangiare molti agrumi. Poi indispensabile è non far mancare dalla nostra tavola il pesce azzurro, come sgombri, alici, merluzzi, perché sono ricchi di grassi Omega 3 e Omega 6, sostanze che aiutano il nostro organismo a ritardare l’invecchiamento del corpo e della pelle. Raccomando sempre di mangiare, inoltre, frutta e verdura crude, per fare un buon rifornimento di vitamine e sali minerali». Gli alimenti dannosi?

«I vasi sanguigni vengono induriti dal fumo e perdono elasticità. I tessuti poco ossigenati rallentano il metabolismo, provocando un calo di collagene ed elastina»

«Formaggi grassi, caffè, cioccolata, alcolici e carni rosse devono essere consumati occasionalmente».

«L’argilla è un rimedio molto antico ma ancora molto valido ed efficiente. Si può acquistare in qualsiasi erboristeria e deve essere spalmata con cura sulla pelle e lasciata asciugare. Dopo quindici minuti si deve risciaquare accuratamente. Alla fine di questa semplicissima operazione si può godere di una pelle pu-

Dott. GINO MATTUTINI Specialista in Dermatologia e Venereologia, Dermatologia Oncologica e Medicina Estetica Ancona, 2, via Valenti - Tel. 071.2900617; Recanati 48, via del Mare - tel. 071 7573340; Civitanova Marche presso Casa di Cura Villa dei Pini - tel. 0733 7861; Castelfidardo: 2, v. Donizetti - tel. 071 7822408.

Quando bisogna usare invece l’argilla?

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Bellezza & Benessere

Nella successione di foto a destra, il prima e il dopo di due interventi di rinoplastica effettuati dal dottor De Luca

CON LA RINOPLASTICA

Nuove armonie del volto

BISOGNA FARE DELLE GIUSTE VALUTAZIONI PRIMA DI PROCEDERE CON UN INTERVENTO DI RINOPLASTICA. LA FORMA DEL NASO SI DEVE ADATTARE ALLA MORFOLOGIA DEL VOLTO. E AL CARATTERE DELLA PERSONA di Andrea Giuliani

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ono molte le trasmissioni televisive che hanno trattato funzionalità ed estetica del naso. Molte star se lo sono confezionato a misura, altre pur di averlo alla “francese” sono andate contro le regole fondamentali della geometria del viso. In qualsiasi campo della medicina non bisogna dimenticare che va privilegiato sempre lo stato salutare degli interventi, specialmente per quelli chirurgici. Ne parliamo con il dottor Carlo De Luca.

Dottor De Luca è proprio così importante avere un bel naso?

«Penso che sia opportuno fare una premessa nel caso in cui si debba procedere ad un intervento di rinoplastica. Ho l’impressione che la "banalizzazione" degli interventi di chirurgia estetica, che nel caso del naso io preferisco definire morfologica, faccia dimenticare quanto questo tipo di intervento sia importante per il paziente e quanto esso risponda a una sua motivazione profonda. La rinoplastica non è un intervento di chirurgia estetica, ma di chirurgia morfologica, perché non modifica solo il naso. Questo intervento trasforma tutto il viso, dato che ne rimodella le proporzioni. Sapendo quanta importanza riveste l’aspetto del volto per ogni individuo e il ruolo nelle relazioni umane, si capisce molto bene come questo intervento possa cambiare completamente un “destino”. Si comprende allora la vera misura delle nostre responsabilità. Noi chirurghi dobbiamo valutare e programmare bene l’intervento da fare perché ogni errore sarebbe assai grave. La prima cosa è parlare chia-

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ramente con il paziente per capire le sue motivazioni e sottolineare all’interessato quello che è o non è possibile ottenere con l’intervento». Quanto conta la perfezione geometrica in rapporto alla funzionalità?

«Un naso ben operato non si deve notare. Profondamente cosciente della individualità di ogni persona, bisogna sempre rispettare la personalità di ogni volto. Questo si esprime nell’adattare la forma del nuovo naso alla morfologia del viso di ognuno che è data dall’insieme delle strutture e delle linee che caratterizzano ogni individuo. Mentre, per esempio nella donna prevale la bellezza, nell’uomo è più importante il carattere. È importante quindi “giocare” con le sfumature nel modificare le linee e le proporzioni, cancellando gli aspetti caricaturali e i lati estetici negativi. Infatti il problema non è tanto quello di cambiare il naso, quanto dare una nuova armonia al volto, permettendo così alla personalità di esprimersi. Questo intervento quindi non deve assolutamente essere banalizzato e dev’essere visto come un atto determinante nell’ambito di una “chirurgia psicologica”». Secondo lei, quando si ha l’indicazione ad un intervento di chirurgia nasale?

«Ogni qualvolta un paziente mi fa una richiesta del genere valuto attentamente il caso, per poi decidere. Valutare un caso clinico significa fare una serie di accertamenti come l’endoscopia nasale a fibre ottiche, la citologia nasale, la rinomanometria con test di decongestione nasale, le prove allergometriche, una va-


I consigli di Carlo De Luca lutazione morfologica computerizzata con programmazione virtuale dell’intervento. In linea di massima, le malformazioni più frequenti che richiedono un intervento di chirurgia funzionale o estetica del naso, o entrambe, sono: la scoliosi o deviazione del setto nasale che può essere isolata o associata ad una deviazione della piramide nasale con o senza gibbo osteocartilagineo; il naso a sella, che è spesso di natura post-traumatica o esito di un precedente intervento troppo demolitivo; deficit funzionali della valvola nasale per malformazioni delle cartilagini alari e triangolari, in questo caso spesso coesistono alterazioni della punta e del vestibolo nasale. Un discorso a parte merita l´ipertrofia dei turbinati inferiori, che condiziona una insufficienza respiratoria nasale da cause spesso allergiche o disreattive, che io tratto in anestesia locale con il L.A.S.E.R a Diodi ambulatorialmente». Qual è l’età minima per sottoporsi a questa chirurgia?

«In genere si aspetta che lo sviluppo morfologico sia completo, in linea di massima non prima dei 16/17 anni». Ci potrebbe dare qualche accenno sulle tecniche operatorie?

«Le tecniche chirurgiche si possono riassumere in due categorie: la tecnica chiusa e la tecnica aperta. Nella tecnica chiusa l’accesso alle strutture nasali si ottiene attraverso incisioni endonasali non visibili; nella tecnica aperta, detta anche Open, si pratica un’incisione a livello della columella, praticamente sotto la punta del naso, che risulta minimamente visibile all’esterno. La scelta della tecnica dipende in parte dal lavoro da eseguire e in parte dalla preferenza e l’abitudine del chirurgo. Personalmente, eseguo quasi sempre la tecnica chiusa. Utilizzo la tecnica aperta nei casi di malformazioni complesse o di reinterventi perché permette una migliore esposizione delle strutture nasali, e poi l’incisione esterna a volte può rimanere visibile». L’intervento può essere eseguito ambulatorialmente o necessita un ricovero ospedaliero?

«L’intervento, previa esecuzione degli esami ematochimici, radiografici e cardiologici necessari, viene effettuato preferibilmente in anestesia generale e portato a termine nell’arco di 30/90 minuti, comunque anche se fosse eseguito in anestesia locale viene effettuato sempre in regime di ricovero presso una struttura che è convenzionata con il sistema sanitario nazionale. La struttura deve essere altamente specializzata e dotata di tutti i presidi di emergenza. Nelle prime 24 ore dopo l’intervento di rinoplastica potrà comparire un edema (gonfiore) del volto, delle palpebre e del naso, accompagnato quasi sempre da ecchimosi, ma in genere il dolore è assente o minimo però il fastidio maggiore è rappresentato dalla presenza dei tamponi nasali. Può essere presente nelle prime 24 ore una modesta lacrimazione che scompare rapidamente. Dopo 48-72 ore dall’intervento vengono rimossi

i tamponi nasali che però rimarranno in sede per complessivi 3-4 giorni se sarà stata eseguita anche la correzione del setto. Il gesso verrà rimosso dopo 12-15 giorni ed a quel punto il naso sarà già presentabile anche se non avrà il suo assetto definitivo. L’edema e le ecchimosi scompaiono gradualmente, dai 5 ai 10 giorni. La permanenza in ospedale deve protrarsi per almeno 24 ore». Si può parlare di risultati garantiti?

«La chirurgia correttiva del naso, come tutti gli interventi chirurgici, può essere soggetta raramente a complicanze e insuccessi anche se è eseguita da un chirurgo esperto. Le complicanze immediate, che compaiono nel periodo post-operatorio e che, praticamente, vengono dominate con una certa facilità sono: l’emorragia, l’ematoma, le infezioni, la periostite, le lesioni del dotto naso-lacrimale, le ecchimosi, l’edema periorbitario, le perforazioni del setto nasale. Le complicanze tardive che intervengono a varia distanza di tempo dall’intervento e che, a seconda della natura, possono essere responsabili dell’insuccesso chirurgico sono: la diastasi delle lamine osteo-cartilaginee, la formazione di un callo osseo o fibroso con irregolarità del profilo nasale, l’alterazione anatomica della valvola nasale con conseguente insufficienza respiratoria, la persistenza o la comparsa di deviazione della piramide, l’asimmetria della punta. Di solito le imperfezioni si ritoccano in anestesia locale dopo un anno, ad esiti stabilizzati. In questo periodo, il paziente noterà una riduzione della sensibilità della cute del naso che gradualmente riprenderà spontaneamente. In taluni casi non sarà possibile ottenere una completa correzione della deviazione per la particolare struttura della cartilagine».

CARLO DE LUCA Ha svolto l’attività professionale presso la Clinica ORL dell’Università di Perugia, la Clinica Pierangeli di Pescara, l’Ospedale di Vasto, la Clinica Villa Maria di Campobasso, dove attualmente è Dirigente Medico ORL. Dal 1993 è Direttore del Centro Inalazioni e Fisiokinesiterapia di San Salvo (CH)

Ci sono delle accortezze da seguire prima e dopo l’intervento?

«Sì, è importante non assumere anticoncezionali per almeno un mese prima dell’intervento, inoltre, eliminare il fumo per almeno 10 giorni prima è auspicabile. Sono inoltre da evitare nei giorni precedenti l’intervento anche i farmaci antinfiammatori come l’aspirina e antidolorifici in genere. Non possono essere usati gli occhiali e non ci si deve esporre al sole per tre mesi. La ripresa delle normali attività avviene dopo qualche giorno. In conclusione, se l’intervento viene pianificato correttamente ed eseguito con perizia, è possibile ottenere, nella quasi totalità dei casi, una rinoplastica ben riuscita che è quella in cui ad un buon risultato estetico si associa una perfetta funzionalità nasale associata a una migliorata autostima».

Dott. Carlo De Luca. Medicina Estetica. Specialista Otorinolaringoiatra. Dirigente medico Clinica Villa Maria, Campobasso. Direttore Centro Inalazioni & FKT Via Venezia, 21 – 66050 San Salvo (CH) Tel: 0873-343500 - E-mail: delucaotorino@gmail.com

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Bellezza & Benessere Piccoli consigli per stare in forma

Iniziare l’estate

IN FORMA

SOVRAPPESO, CELLULITE, SEGNI DELLA PELLE. PROBLEMI CON CUI SPESSO CONVIVIAMO OGNI GIORNO MA CHE IN ESTATE CI CREANO PIÙ IMBARAZZO DEL SOLITO. PER RISOLVERLI AFFIDIAMOCI ALLA SERIETÀ DI PROFESSIONISTI DELLA MEDICINA ESTETICA. PER STUDIARE SOLUZIONI AD HOC PER IL NOSTRO STILE DI VITA E PER IL NOSTRO FISICO

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Bere molta acqua, eliminare le bibite zuccherate ed eliminare gli alcolici

Mangiare tantissima verdura che è anche dissetante Non dimenticarsi degli spuntini di metà mattina e metà pomeriggio: per esempio uno yogurt o un po’ di frutta Non rinunciare al gelato, ottimo sostituto del pranzo o della cena Affidarsi ad un medico per scoprire i vantaggi delle terapie anti cellulite, per esempio la cavitazione

Fare un po’ di movimento ogni giorno: camminare, nuotare, andare in bicicletta

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an mano che l’estate si avvicina, tutti noi sentiamo il bisogno di rimetterci in forma. La famigerata “prova costume” ci attende dietro l’angolo e appare minacciosa e crudele. Per perdere qualche chilo, migliorare la propria silhouette e prepararsi nel modo migliore all’esposizione ai raggi solari, è bene affidarsi al parere di un professionista, che possa consigliarci su una dieta adatta a noi o su trattamenti estetici sicuri ed efficaci. Vanno assolutamente evitati i metodi “fai da te”, che spesso risultano assai dannosi da diversi punti di vista. Ecco alcuni consigli per non farsi sorprendere dall’estate alle porte.


I consigli di Laura Mazzotta

Una dieta equilibrata Per rimettersi in forma l’alimentazione è fondamentale. Ci vuole una dieta moderatamente iperproteica ma ben bilanciata, varia e non troppo restrittiva. Fondamentale: essere sempre seguiti da un medico. In questo modo è possibile eliminare rapidamente qualche chilo ma senza provare troppo il fisico. La dieta deve essere molto varia e ricca di frutta e verdura. La giornata deve incominciare con una colazione leggera fatta di yogurt e cereali o latte e cereali. A pranzo si può mangiare un po’ di pasta condita con pomodoro fresco o, magari, una classica insalatona decisamente adatta a questo periodo dell’anno, visto che, oltre ad essere gustosa, è molto dissetante. Per cena va bene sia la carne che il pesce accompagnati da abbondante verdura. Il pranzo o la cena possono essere sostituiti da un gelato, a cui non è assolutamente necessario rinunciare. Anche in questo caso si potrebbe accompagnarlo alla verdura. Sono molto importanti gli spuntini di metà mattinata e metà pomeriggio, che ci aiutano a non arrivare a tavola “affamati”: uno yogurt o un po’ di frutta sono perfetti. È importantissimo bere tanto ed eliminare del tutto bibite zuccherate e alcolici, che sono senza dubbio fra i maggiori nemici della linea!

Radiofrequenza per tonificare i tessuti La radiofrequenza è una tecnica estremamente innovativa, progettata per trattare cellulite, adiposità, rilassamento cutaneo di viso e corpo, cicatrici post-acne, residui da liposuzione. Veramente efficace, non delude certamente le aspettative. Non ottiene gli stessi risultati della liposuzione, ma consente l’eliminazione delle adiposità localizzate, ed è totalmente non invasiva. Approvata dalla Food and Drug Administration (FDA) per il trattamento delle rughe del viso, la radiofrequenza che trasforma l’energia in calore sembra dare risultati sorprendenti. Sono inoltre stati pubblicati anche lavori scientifici sui trattamenti per la tonicità del collo, dell’addome, dei glutei e del seno. Si lavora sia con il sistema bipolare sia con quello unipolare. Il primo consente il recupero dell’elasticità cutanea e quindi determina il rassodamento dei tessuti; mentre il secondo consente di trattare le adiposità localizzate, intervenendo direttamente sugli adipociti, riducendoli di volume e ottenendo un rimodellamento della silhouette. Le aree di trattamento sono diverse: viso, collo, decoltè, interno braccia, mani, addome, interno cosce. I vantaggi sono significativi. Per prima cosa

nessuna invasività, estrema praticità e sicurezza della tecnologia, benefici a breve termine, assenza di gonfiori, di infezioni e cicatrici, recupero veloce e, infine, minimo rischio. Il funzionamento è presto detto. La radiofrequenza, attraversando i tessuti, incontra una resistenza che la converte in energia termica che si sviluppa seguendo un gradiente termico inverso, ed è tanto maggiore quanto più si scende in profondità negli strati del derma. Il riscaldamento nel derma profondo stimola l’azione delle cellule del tessuto connettivo che producono collagene ed elastina con effetto progressivo nei mesi successivi, stimolando anche l’attività dei fibroblasti con sintesi di nuovo collagene e aumento della densità dermica. Ciò distende visibilmente i tessuti e riduce la lassità cutanea, con un aumento della consistenza del derma e un marcato effetto tensiorio determinando un visibile effetto simil-lifting. Nel viso la profondità di azione si limita al derma profondo (pochi millimetri), mentre nelle altre sedi, dove c’è necessità di agire più in profondità, si arriva fino ad alcuni centimetri, rendendo possibile il trattamento di zone diverse quali il contorno occhi, gli zigomi, la fronte, il collo, le braccia, l’interno e l’esterno coscia, i glutei, l’addome.

Mesoterapia contro cellulite e cuscinetti

Per modellare il proprio corpo in modo da sentirsi a proprio agio in costume, è importante seguire una dieta sana ed equilibrata e affidarsi ai consigli di un medico esperto

La mesoterapia è un ottimo aiuto per combattere le principali casistiche di cellulite. Consiste in un’iniezione intradermica distrettuale di un insieme di farmaci in piccole dosi attraverso aghi sottili lunghi più o meno 4 mm applicati a multiniettori che possono avere da 3 a 18 aghi, oppure con ago singolo, metodica meno invasiva e traumatica per il tessuto. Lo scopo di questa terapia è favorire l’eliminazione dei liquidi in eccesso, disintossicare l’organismo, migliorare tonicità ed elasticità della cute, migliorare la circolazione veno-linfatica e diminuire i cuscinetti e la pelle a buccia d’arancia. Essendo una terapia che si pratica attraverso piccole punture, può lasciare segni e lividi, per questo è consigliabile non farla a ridosso dell’estate, quando già si scoprono le gambe. Andrebbe fatta un po’ prima, per lasciare il tempo ai segni di scomparire. Le sostanze che vengono iniettate hanno il compito di migliorare la circolazione periferica.

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Bellezza & Benessere

Cavitazione

La pelle del viso

Per combattere la cellulite durante il periodo estivo se non si vogliono avere inconvenienti fastidiosi come i lividi che la mesoterapia spesso causa, si può effettuare la cavitazione, magari associata a radiofrequenza. Un trattamento che rimodella, in poche sedute, il profilo del corpo, permettendo di raggiungere risultati simili a quelli ottenuti con la chirurgia. La cavitazione, metodo totalmente indolore e di tecnologia avanzatissima, attua una lipolisi grazie alle onde ultrasoniche di una sonda applicata sulla zona da trattare. Si creano pressioni che stimolano e aumentano gli scambi tra l’adipocita e gli spazi intracellulari, drenando lo stesso adipocita dall’eccesso di liquidi contenuti al suo interno. Si procura così, prima la rottura dei legami intrecellulari degli adipociti, poi la rottura specifica della parete cellulare di una parte degli adipociti. Gli effetti prodotti sono molteplici e tutti finalizzati al miglioramento estetico e funzionale della silhouette del paziente. Vi è fin da subito un’evidente disgregazione del tessuto adiposo e un progressivo rimodellamento del profilo corporeo, oltre alla riduzione della consistenza del grasso. Inoltre si ottiene una notevole modificazione dell’aspetto a buccia d’arancia, nonché un miglioramento del tono e dell’elasticità dei tessuti.

È possibile effettuare interventi di preparazione della pelle del viso al sole. Per esempio iniezioni rivitalizzanti con vitamine o botulino, per evitare le rughette da espressione dovute al corrucciare dei muscoli mimici per la luce intensa del sole. Le rughe del volto sono l’“espressione” della contrazione mimica: i movimenti dei muscoli pellicciai (i muscoli mimici) provocano, ad ogni espressione del viso, una contrazione e un rilassamento della pelle. A lungo andare la pelle resta profondamente segnata in modo indelebile e in parte i muscoli non riescono più a rilassarsi completamente. Queste rughe possono essere spianate con l’uso della tossina botulinica. In particolare quelle della fronte e della gabella, la parte della cute compresa tra le arcate sopraccigliari. La tossina viene iniettata nei singoli muscoli di cui si vuole modulare l’attività per attenuare i rilievi prodotti sulla cute. L’effetto è dosabile e dipende dal numero dei punti di iniezione e dal dosaggio somministrato. L’applicazione del botulino comincia a dare risultati apprezzabili dopo 4-5 giorni, quando cioè inizia il processo di rilassamento del muscolo corrugatore. Il risultato dura dai tre mesi e mezzo ai quattro mesi, per mantenere stabili i risultati deve essere ripetuto ogni 6 mesi circa. L’applicazione può essere quindi ripetuta. L’applicazione al volto è abitualmente ben tollerata e non richiede anestesia locale. L’unico effetto collaterale potrebbe essere un modesto arrossamento della cute delle zone trattate, che scompare, però, in poche ore. Il botulino svolge anche un’importante azione preventiva sulla formazione di queste rughe. Infatti, con l’iniezione della tossina, i muscoli si adattano ad una nuova motilità che mantengono anche quando gli effetti cominciano gradualmente a svanire. La tossina botulinica è una sostanza utilizzata con successo in molti campi della medicina da oltre 15 anni. Il suo impiego in campo estetico risale a circa 10 anni fa e si deve all’osservazione fortuita fatta da un oculista che notò come dopo il trattamento di un caso di strabismo, le rughe intorno agli occhi erano andate via via spianandosi. Essendo un farmaco, ed il suo utilizzo per la correzione delle rughe un trattamento farmacologico a tutti gli effetti, per essere sicuro ed efficace deve essere utilizzato da mani esperte.

La ginnastica contro la cellulite

L'esercizio fisico è senza dubbio un importante alleato contro la cellulite. Unendolo a trattamenti specifici e ad una giusta dieta si possono ottenere risultati portentosi. Il movimento, infatti, fa aumentare la richiesta di ossigeno da parte dei tessuti, migliorando così attraverso l'ossigenazione la circolazione sanguigna. È importante però non esagerare: gli esercizi anticellulite devono essere regolati ed equilibrati in base alle necessità ed al proprio stato di forma fisica. Una pratica troppo intensa infatti potrebbe addirittura avere effetti controproducenti, portando in superficie i nodi cellulitici. Si può camminare, correre, nuotare, pedalare, c’è l’imbarazzo della scelta. La ginnastica più utile è quella di tipo aerobico, che stimola l'ossigenazione dei tessuti e mobilita i depositi di grasso. Però bisogna muoversi e bisogna farlo con costanza: almeno mezz'ora al giorno di esercizio fisico è il tempo ideale per ottenere risultati concreti e mantenersi in forma. L'esercizio aerobico è salutare per quattro motivi: permette di bruciare facilmente calorie dimagrendo nelle zone in cui si necessita; tonifica i muscoli sviluppando massa magra a discapito di quella grassa; fa migliorare l'azione dell'insulina, l'ormone che regola il metabolismo degli zuccheri. L'allenamento aerobico abbassa il livello degli zuccheri mentre l'insulina evita di trasformare questi ultimi in grasso di deposito e favorisce la vascolarizzazione dei tessuti contrastando il rallentamento della circolazione venosa e linfatica, prima causa della cellulite.

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PER SAPERNE DI PIÙ Dottoressa Laura Mazzotta Studio medico: Via Polonia 44 - FERRARA Centro medico: Viale della Pace 81 – ROVIGO Telefono 347.5158440



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I consigli di Riccardo Lucchesi

LA LIPOSCULTURA I risultati dopo

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La successione di foto, ben rappresenta i risultati ottenuti sei mesi dopo un trattamento di liposcultura

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uando si parla di “risultati” in ambito chirurgico, di qualsivoglia specialità si tratti, bisogna tenere conto dei tempi di guarigione necessari allo smaltimento di tutti gli effetti legati all’infiammazione acuta, in particolare l’edema o gonfiore. La durata dei tempi di guarigione è ovviamente molto variabile e dipende dalla specifica invasività della tecnica chirurgica utilizzata, dalla risposta e sensibilità individuale al trauma e da un elenco di altri fattori. Ogni intervento deve quindi essere affrontato con la consapevolezza che si potrà pienamente godere dei benefici previsti solo dopo che sia trascorso questo intervallo di tempo. Per la chirurgia estetica e in particolare per la liposcultura valgono questi stessi principi con il vantaggio che questi interventi, diciamo così di tipo voluttuario, vengono quasi sempre eseguiti su persone in ottimo stato di salute, quindi in condizioni ideali; l’invasività rimane confinata nell’ambito del grasso sotto-cutaneo, tessuto relativamente “povero” da un punto di vista anatomico, in cui non decorrono strutture particolarmente importanti o delicate (ben diverso è il caso degli interventi chirurgici eseguiti per risolvere o alleviare stati patologici più o meno gravi o addirittura con carattere di urgenza). Ad ogni buon conto, durante le precedenti visite e colloqui con la paziente bisogna spiegare che la presenza di lividi o di ecchimosi è parte normale (normalissima…) della prima settimana post-operatoria e che in ogni caso la loro maggiore o minore persistenza o entità non potrà modificare in alcun modo il risultato definitivo. A titolo chiarificatore, potremmo anche condensare il concetto, valido per quasi tutte le umane attività, con le sagge parole “il buongiorno si vede dal mattino”, a significare che, ammesso che la tecnica sia stata applicata correttamente, nonostante l’infiammazione acuta tipica delle prime ore è già possibile intravedere con chiarezza un inequivocabile primo risultato: una forma, un profilo già ben diversi da quelli di prima. Ed è un bene che la paziente se ne renda conto fin dai primi giorni: il cambiamento percepito è così incoraggiante da infondere rinnovata fiducia utile per affrontare più serenamente e con maggior entusiasmo il periodo di convalescenza (nella pratica è sufficiente mostrare alcune fotografie scattate al momento della prima medicazione, due giorni dopo l’intervento, confrontandole con quelle pre-operatorie).

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Ciò è senz’altro utile sia alla “paziente- impaziente” cioè ansiosa di poter fare ritorno alla propria vita di tutti giorni che a quella diciamo così “sconfortata” (la più comune…), cioè con un passato di battaglie continue (raramente vinte) contro il sovrappeso o curve eccessivamente abbondanti. Per tutte scatterà una nuova determinazione necessaria soprattutto nei primi tempi per migliorare ulteriormente la propria linea incrementando l’attività fisica o limitando apporti calorici eccessivi, secondo uno stile di vita più “igienico”. L’associazione dell’effetto “modellante” della liposcultura con quello “dimagrante”, di una dieta equilibrata e buona attività fisica è la formula che conduce ad un risultato straordinario. Esiste la diffusa ed errata convinzione che gli accumuli adiposi eliminati possano riformarsi: in realtà l’efficacia della liposcultura risiede proprio nella capacità di eliminare permanentemente il numero di adipociti in eccesso in un’area specifica, privandola di fatto della possibilità di accumulare più grasso rispetto ai piani vicini. Questo fa sì che ogni eventuale aumento di peso avvenga comunque in forma armonica: gli adipociti (cioè le cellule responsabili dell’accumulo di grasso) non si replicano e quindi non si può ricostituire l’accumulo localizzato che è stato eliminato. Nei casi meno estesi è possibile fare ritorno alle normali attività lavorative d’ufficio già il giorno successivo l’operazione, avvertendo solo un minimo indolenzimento. Dovrà essere comunque indossata una speciale guaina elasto-compressiva, invisibile sotto i normali indumenti, per mantenere la forma esattamente voluta dal chirurgo per un periodo di 1520 giorni. Saranno opportuni, se eseguiti da personale esperto, anche dei micromassaggi connettivali per facilitare o accelerare lo smaltimento dei liquidi di natura infiammatoria. Il ritorno in palestra è consigliabile non prima di 15 giorni dall’intervento, e l’esposizione al sole non prima di 30 giorni (sempre però proteggendo accuratamente le piccole cicatrici con una crema ad alto schermo, per evitare pigmentazioni permanenti). Dr. Riccardo Lucchesi Specialista in Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica Viale Piave 11 - 20129 Milano Tel. 02. 794224 www.riccardolucchesi.it


Bellezza & Benessere

I consigli di Clara Rigo

SEMPRE GIOVANI

Con il laser frazionato

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l sistema laser Fraxel SR 1500 è una nuova tecnologia avanzata nata negli USA, ora utilizzata anche in Italia, che serve ad ottenere in modo efficace, sicuro e prevedibile il ringiovanimento cutaneo con una convalescenza minima. Questa apparecchiatura impiega un laser a fibre ottiche che unisce i vantaggi dei laser ablativi e quelli non ablativi. Come un laser non ablativo non vaporizza gli strati superficiali della cute e non crea abrasioni o croste, ma riesce ad arrivare ugualmente in profondità.

Come agisce

Attraverso il manipolo si producono migliaia di minuscoli buchini, cioè profonde colonne di microcoagulazione termica all'interno della pelle: passando oltre lo strato corneo più superficiale che rimane indenne, la luce laser arriva precisamente nel derma dove le zone colpite, dette “zone di trattamento microtermiche” o MZT, si trovano accanto a zone completamente indenni di tessuto che non viene danneggiato e rimane sano. Questo comporta che la cute sana, adiacente alla zona trattata, stimoli più rapidamente la guarigione, attivando una forte replicazione di cellule nuove che risalendo dal basso, spingono le vecchie cellule usurate verso la superficie, da dove si staccano per microesfoliazione. Proprio il rispetto, durante il trattamento, di alcune zone di tessuto cutaneo che non viene trattato permette alla pelle danneggiata di guarire molto più rapidamente che con tutti gli altri sistemi tradizionali. Inoltre i risultati ottenuti sono costanti e prevedibili, senza alcun rischio per la cute e nessun tempo di convalescenza. Indicazioni del trattamento

Il sistema Laser Fraxel SR 1500 è impiegato per cancellare o attenuare macchie di melanina dovute a svariate cause e di tutti i tipi, da più scure a più chiare. Spiana inoltre le rughe sottili del volto intorno agli occhi, sulle guance, intorno alla bocca, sul collo. Ringiovanisce pelli rovinate dal sole, rugose e disidratate e spiana cicatrici di acne da lievi a molto visibili, migliorando la tessitura cutanea e la pelle con pori dilatati Ringiovanisce la pelle del viso, collo, decolletè, mani, completando e/o mantenendo il risultato di altri trattamenti effettuati in queste zone come peeling, filler o interventi chirurgici come lifting o ble-

faroplastica. Attenua cicatrici residue in generale, da lievemente rilevate a depresse di varie zone del corpo. È indicato anche per quell'inestetismo denominato “Poichilodermia di Civatte”, comune alterazione frequente in donne e uomini di mezza età, che si manifesta ai lati del collo e del viso. Cosa succede sulla cute

La lunghezza d’onda del Fraxel ha come bersaglio l’acqua, elemento che è presente in quantità elevata nel tessuto epidermico e nel derma sottostante, saltando e preservando lo strato corneo e quindi senza effetto ablativo di superficie. Il tutto si traduce nella mancata formazione di croste e quindi nella modesta visibilità del trattamento appena eseguito, con recupero immediato dell'attività lavorativa e dei rapporti sociali. A differenza dell'uso dei laser ablativi che aggrediscono la superficie della cute, questo laser penetra più in profondità. Ne deriva un maggior effetto ristrutturante profondo proprio là dove occorre agire sia per il fotoringiovanimento, sia per le macchie scure, sia tan-

Nelle foto gli evidenti risultati ottenuti sulla pelle dopo il trattamento con il sistema laser Fraxel SR 1500

to più per le cicatrici. I programmi di trattamento possono essere molto variabili e a seconda della patologia si possono abbinare altre metodiche. In media occorrono dai 2 ai 4 trattamenti laser, a distanza di circa 4 settimane tra una seduta e l'altra. Sebbene i primi effetti siano visibili da subito, occorrono 3 - 4 mesi per un buon risultato, che va ancora migliorando nel tempo a distanza di 4 - 5 mesi dall’ultimo trattamento. Dottoressa Clara Rigo Specialista in Dermatologia e Dermatologia Estetica Verona: Lungadige Cangrande, 9 - 37126 VR Tel. 045 8300334 - Milano: Day Clinic Monteverdi, Tel. 320.1106247; www.chirurgiadermalogiaestetica.it

Dossier Medicina 125


LA CELLULITE NON È PIÙ UN TORMENTO Moltissime donne provano un disagio profondo verso la cellulite. Almeno una su tre dichiara di vivere la buccia d’arancia con ribrezzo e repulsione, di vergognarsene e provare ansia ai limiti della nevrosi. Ad alcune la cellulite rende difficile il rapporto con gli altri, altre invece arrivano a temere l’idea di spogliarsi rifiutandosi perfino di andare al mare e in piscina per evitare l’imbarazzo. Impariamo a conoscerla per trovare gli strumenti giusti e sconfiggerla. Per sempre


E

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ffetti della cellulite? La degenerazione della microcircolazione del tessuto adiposo può contribuire alla sensazione di pesantezza e gonfiore delle zone interessate. La cellulite nel tempo evolve inoltre passando attraverso tre stadi: edematosa, caratterizzata da gonfiore diffuso per accumulo di liquidi stagnanti che si avvertono al tatto grazie alla pastosità della pelle; fibrosa, con la pelle dura che al tatto presenta noduli diffusi (a “buccia d’arancia”) e sclerotica, con la pelle indurita dall’aspetto a “materasso” con avvallamenti e gonfiori molto evidenti che provocano dolori.

CHE COS’È LA CELLULITE La cellulite è un fenomeno con aspetti patologici alquanto complessi, la sua origine è influenzata da molteplici fattori di notevole rilevanza soggettiva. Studi scientifici hanno chiarito che la cellulite non è un semplice accumulo di grasso. La cellulite è infatti causa di processi infiammatori a carico del tessuto adiposo, intersiziale e dei vasi sanguigni. È bene dunque chiarire che la cellulite non può essere legata al sovrappeso, la sua origine

è da ricercarsi in primo luogo negli aspetti genetici, stile di vita, alterazioni endocrine e squilibri della microcircolazione.

LE PARTI INTERESSATE Le parti più interessate dalla cellulite sono glutei,

cosce, ginocchia, caviglie; più raramente, addome e arti superiori. Il fastidioso e tanto odia-

to inestetismo è causato da un'infiammazione dei tessuti che porta alla trasudazione di liquidi negli spazi intercellulari, quindi il primo danno è a livello di capillari, che per cause varie, quali stress, stipsi, fattori ereditari, fumo, sedentarietà, abuso di medicinali, cause ormonali ma soprattutto cattiva alimentazione perdono la loro tonicità causando un rallentamento del flusso sanguigno particolarmente evidente negli arti inferiori.

COSA MANGIARE Per contrastare questo terribile inestetismo è molto importante eliminare i cibi di cui la cellulite si nutre come cibi fritti, hot dog, wurstel, insaccati mol-

Nelle foto sopra alcuni trattamenti con CULTRA, uno strumento studiato appositamente per la snellezza del corpo. Gli inestetismi della cellulite e i grassi localizzati a livello della culotte de cheval, dei glutei, dei fianchi e dell’addome, sono spesso molto difficili da trattare. Con CULTRA oggi è possibile ottenere ottimi risultati nel trattamento dei grassi localizzati, anche quelli resistenti alle diete e all’esercizio fisico. CULTRA (come si può vedere dalle foto in alto) dispone di un manipolo esclusivo. Grazie alla sinergia tra l’aspirazione controllata del tessuto e la doppia emissione ultrasonica angolare, l’effetto cavitazione generato dal manipolo CULTRA ha un’azione mirata ed estremamente efficace sulla cellula adiposa senza andare a coinvolgere le zone circostanti. Una seduta per il trattamento con CULTRA varia da 20 a 40 minuti, a seconda della zona da trattare. Indicativamente è richiesto un ciclo di 7/10 sedute ogni 7/10 giorni


to grassi, alcolici, burro, maionese, strutto, lardo, mascarpone e gorgonzola e sostituirli con i cibi in grado di combatterne la formazione. È di fondamentale importanza bere molto, almeno 2 litri di acqua al giorno ed evitare i cibi troppo grassi e salati che peggiorano la circolazione e determina-

no ritenzione idrica. Bisogna prediligire i cibi leggeri come pesce, carne bianca, formaggi magri, cereali, ortaggi e legumi, tutti cibi che non costringono l'apparato digerente ad un lavoro eccessivo perché più facili da digerire. Andrebbero evitati però i frutti più zuccherini come uva, fichi e banane. Il minerale che più aiuta ad eliminare la cellulite è il ferro: per questo è buona norma mangiare cibi ricchi di ferro come il fegato, gli spinaci, i legumi, le uova (preferibilmente fresche e cucinate alla coque), il pesce e le alghe.

FARE MOVIMENTO La pigrizia favorisce o aggrava la cellulite perché rallenta i circoli di ritorno sanguigno e linfatico, favorendo il ristagno dei liquidi nelle gambe. Facendo poco movimento, non si sollecita a dovere la “pompa del piede”, quel cuscinetto venoso sotto l’arco plantare che, compresso a ogni passo, spinge il sangue verso l’alto. Ma a provocare la pelle a materasso sono anche le posture errate mantenute a lungo, tipiche di chi passa molte ore alla scrivania. Quindi bisogna muoversi con attenzio-

ne e cura. Per iniziare si possono compiere frequenti e semplici movimenti (tamburellare le dita, alzarsi

Sopra, un trattamento di ICOONE. La progettazione della tecnologia ICOONE prese ispirazione da una straordinaria intuizione di un chirurgo francese che ha dimostrato la struttura microalveolare del tessuto. Icoone con il suo sistema integrato Roboderm, permette di combattere gli inestetismi della cellulite in modo efficace grazie alla Multi Micro Stimolazione Alveolare effettuata attraverso i rulli micro - alveolari. Cellulite e inestetismi cutanei hanno i minuti contati. Il loro trattamento si è arricchito infatti di una nuova e rivoluzionaria tecnica in grado di agire direttamente sul tessuto connettivo, la sede in cui si accumulano prevalentemente i depositi di grasso e dove sono presenti i fibroblasti, le cellule attive deputate alla produzione delle fibre collagene. Icoone è in grado di aumentare l'ossigenazione, gli scambi metabolici e il riassorbimento dei liquidi interstiziali dei tessuti profondi, e di favorire la produzione delle fibre elastiche del sottocute.

per sgranchire le gambe, cambiare spesso posizione sulla sedia) che, secondo uno studio

americano permettono di bruciare 350 calorie al giorno senza fare fatica. La seconda strategia per ottenere contorni ben definiti evitando di iscriversi in palestra è puntare sui 10 mila passi giornalieri da

percorrere, per esempio, nei tragitti casa-ufficio, scrivania-fotocopiatrice, supermercato-tintoria. Migliorano l’apporto di ossigeno ai tessuti cu-

tanei e contrastano la ritenzione idrica, eliminando i gonfiori alle gambe e i cuscinetti localizzati. Si può anche pensare ad una corsettina con calma, senza eccessivi sforzi: la corsa aiuta a contrastare la cellulite. Provate, allora, quella dolce, che abbina respirazione e sequenze di movimenti.


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5 REGOLE DA APPLICARE 1 Niente angoscia

Affrontate il problema con calma e serenità. Si risolve meglio

2 Gli strumenti giusti

Per sconfiggere la cellulite non bastano pillole o massaggi. Va affrontata con gli strumenti giusti

3 Combattere su più fronti

Ci vuole una strategia multifattoriale che comprenda corretti stili di vita

4 Attenzione ai prodotti

Le promesse eccessive si traducono in insuccessi che demoralizzano

5 Evitare i falsi esperti

Diagnosi e terapie non possono essere effettuate da chi non è esperto

6 La costanza premia

Oltre alla strategia d’attacco

INFO STUDI MEDICI SPECIALISTI SKIN LASER CLINIC, Piazza Accademia, 18 Pescara, Tel. 085.4531036, Cell. 348.4377692 Via Leopardi 14, Roseto (Teramo) Tel. 085.8930468; Via Pontida, 6 San Benedetto del Tronto, Tel. 0735.658266 www.laserclinic.it / e-mail: info@laserclinic.it



Medicina Dossier

I nostri esperti rispondono

Dr. Maurizio Alfredo Ferrara Ruiz

Dr. Giovanni Boccuccia

Dr. Antonio Di Giulio

Dr. Enzo Caporossi

La cura del sorriso Dr. Carlo De Ryski

Dr. Bahri Adis

Inutile nasconderlo: il sorriso incide tantissimo sull’aspetto del viso. È importante, quindi, averne cura affidandosi a medici esperti, spesso aiutati da tecnologie all’avanguardia

Dr. Alessandro Palumbo


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Combattere il cancro orale Questo tipo di carcinoma nel nostro paese non è diffusissimo ma può essere mortale. Anche in questo caso la parola d’ordine è prevenire. Con l’aiuto del proprio medico dentista di fiducia è possibile a cura del dottor Maurizio Alfredo Ferrara Ruiz

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l cancro orale è un cancro della bocca che, nella maggior parte dei casi, coinvolge i tessuti delle labbra o della lingua, ma può localizzarsi anche sul palato, guance e gengive. L’80% dei pazienti colpiti da questa gravissima patologia può sopravvivere, laddove si riesca ad attuare una politica di diagnosi precoce. L’esame obiettivo per l’individuazione o il sospetto di un cancro orale (carcinoma squamocellulare), richiede non più di 300 secondi e deve includere un’anamnesi medica e dentale, una accurata ispezione extra ed intra orale della cavità buccale, della testa e del collo, così come la palpazione di siti specifici. La percentuale di cancro orale varia da paese in paese. Per esempio in Africa, ogni cento tumori in differenti localizzazioni, quasi quaranta riguardano la cavità buccale e questo fatto viene relazionato ad abitudini legate all’uso del tabacco in più modi ed alla continua esposizione ai raggi solari delle regioni più scoperte del viso. I carcinomi della cavità MAURIZIO ALFREDO FERRARA RUIZ Originario di Caracas (Venezuela), ha conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna. Si è perfezionato in Protesi dentaria, Chirurgia orale e Implantologia e Biomateriali presso l'Università G. D'Annunzio di Chieti. Presso l'Università di Firenze si è perfezionato in Odontoiatria Infantile e presso l'Università di Verona si è perfezionato in Traumatologia dentale. È libero docente in Patologia odontostomatologica a Providence (Rhode Island - USA), è socio della Società Italiana Odontoiatria Infantile, dell'International Association Dental Traumatology, della Società Italiana di Odontoiatria Conservatrice e dell'Associazione Italiana Odontoiatria Generale.

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Dossier Medicina

orale sono comunque tumori poco frequenti, presentandosi in una percentuale che va dal 4 al 5% di tutta la patologia maligna, anche se si deve sottolineare il loro alto tasso di mortalità. In genere il tumore colpisce più il sesso maschile che quello femminile e nel 95% dei casi, pazienti sopra i 40 anni di età. Inizialmente questo tipo di tumore può apparire sotto forma di lesioni potenzialmente cancerogene come le leucoplasie, cioè “placche” o “strie” di tessuto bianco alternate o meno a zone rosse (cosiddette eritroplasie, più gravi), il più delle volte senza provocare dolore, specie in fase iniziale. Una volta invase le strutture più profonde, il carcinoma provoca un’intensa sintomatologia dolorosa. Nelle forme conclamate si assiste ad una graduale perdita di elasticità dei tessuti interessati, ad un notevole indurimento degli stessi, nonché alla presenza di fissurazioni e ulcerazioni che una volta raggiunti gli strati più profondi, provocano dolori vivissimi e trisma. È im-

portante ricordare inoltre che il carcinoma squamocellulare metastatizza per via linfatica e non per via ematica e che può presentarsi macroscopicamente sotto 3 forme: una forma ulcerata (la più frequente, circa il 40%), con ulcere a fondo emorragico - sanioso, delimitate da un bordo spesso, fibroso e duro; una forma infiltrante, che ha la prognosi peggiore in quanto è quella diagnosticabile più tardivamente e, infine, una forma vegetante (la meno frequente), che cresce occupando spazio, ed è dunque la forma più facile da diagnosticare (bottone esofitico). Tra i fattori di rischio che possono favorire l’insorgenza del cancro orale, un posto rilevante occupano il fumo, il consumo di alcolici, alcuni tipi di anemie, alterazioni delle abitudini alimentari e dell’habitat, alcuni virus come il papilloma virus, il basso consumo di frutta e verdura, l’uso di droghe (marijuana), l’età ed il sesso (più frequente in quello maschile). Il carcinoma squamocellulare costituisce


ALTERAZIONE BENIGNA L’alterazione benigna evidenzia di massima una chiara causa ed è ben circoscritta. L’ulcerazione è dolorosa e le misure terapeutiche locali mostrano un notevole effetto. Nella figura (sopra) si può osservare l’ulcerazione dolorosa nel vestibolo del mascellare inferiore; la sua delimitazione è nettamente visibile e palpabile. Quale causa è stato accertato un trauma causato dalla base protesica. L’ulcerazione è guarita in 10 giorni dopo la correzione della protesi.

ALTERAZIONE MALIGNA L’alterazione maligna non mostra di massima una causa accertata ed è mal delimitata. L’ulcerazione è indolore e le misure di terapia locale rimangono senza alcun effetto. In figura è rappresentata l’alterazione osservata da un mese e pennellata con tinture che non causano alcun dolore mentre il contorno, non chiaramente delimitato, è ulcerato produttivamente.

CARCINOMA DEL PAVIMENTO DELLA BOCCA Il pavimento della bocca rappresenta comunemente la sede più frequente d’insorgenza di un carcinoma intraorale. Molte lesioni si presentano come ulcerazioni, talvolta estese fino alla superficie ventrale della lingua. Lesioni non ulcerate consistono in tumefazioni fisse, con una superficie granulare. La biopsia è essenziale per la diagnosi.

una patologia con notevoli implicazioni psico – sociali ed economiche, anche perché la maggioranza dei casi arriva alla diagnosi in periodi avanzati della malattia e richiedono trattamenti costosi sia da un punto di vista biologico che economico, sovente con impossibilità di reintegrarsi nel lavoro in tempi brevi. Da non sottovalutare anche i problemi di adattamento sociale: spesso, infatti, il trattamento della neoplasia richiede terapie mutilanti e deturpanti. In accordo con le statistiche, solo il 15% dei casi viene diagnosticato in fase iniziale, mentre il restante 85% viene diagnosticato in periodi già avanzati della malattia. La sopravvivenza del paziente affetto da carcinoma orale dipende in gran parte dal tempestivo riconoscimento di esso, dalla localizzazione e dal trattamento corretto. Se diagnosticato in tempo, il range di sopravvivenza può aumentare del 50% nei 5 anni seguenti lo sviluppo della malattia. Il paziente, purtroppo, può ignorare la presenza della lesione poiché in molti casi è asintomatica nel suo periodo iniziale, oltre che poco evidente. Bisognerebbe abituarsi ad effettuare controlli di routine presso il proprio dentista di fiducia, per evitare che la malattia continui ad avanzare. Dal momento che la normale attività masticatoria può portare a molte variazioni delle mucose e degli altri tessuti orali e periorali (per esempio morsicature accidentali o lesioni da taglio e/o schiacciamento, nonché ingestione di cibi e bevande bollenti) simulando aspetti pericolosi dei tessuti stessi, è di vitale importanza che un professionista controlli qualunque tipo di ulcera o zona iperpigmentata che non guarisca o migliori in due settimane. L’approccio giusto nei confronti di una lesione potenzialmente cancerogena o con forte sospetto di malignità, si attua cercando di eliminare i fattori locali (per lo più meccanici) che possono averle causate. Se la lesione, dopo tali procedure, non migliora il suo aspetto clinico nel giro di una settimana, deve essere effettuata una biopsia rivolgendosi al proprio dentista. Se il risultato della biopsia confermasse la presenza del tumore, questo verrà trattato per via chirurgica associata a radioterapia, se il cancro non è in stato avanzato, altrimenti si assocerà una chemioterapia preventiva e successivamente procedimenti chirurgici, oppure trattamenti sincroni in relazio-

I segni e i sintomi

1. Per quanto riguarda le labbra, le

gengive, la lingua, il pavimento della bocca e il palato i segni e sintomi sono: cambio di colore dei tessuti (strie o placche bianche, rosse o miste); dolore sulle labbra ed in altre zone di tessuto molle difficoltà nell’ingerire il cibo e le bevande difficoltà nel masticare, parlare o muovere la lingua e la mandibola

2. cambio del timbro della voce 3. cali drastici di peso 4. astenia

5. presenza di ulcere (mucose) o lesioni crostose (labbra) che non guariscono dopo 15 giorni

6. cambiamenti nel modo di masticare o mordere

7. alito pesante (foetor ex ore) a causa delle aree di necrosi 8. presenza di masse o tumefazioni a livello del collo o sovraclaveari

ne ai risultati ottenuti dal trattamento previo. Il più delle volte è davvero necessaria una stretta collaborazione tra il chirurgo, il radioterapista, lo psichiatra ed il nutrizionista. In sede di prevenzione, i fattori più importanti rimangono comunque prendere coscienza dell’importanza del controllo periodico dei tessuti orali e periorali, seguire un’alimentazione sana, nonché l’abbandono dei vizi (fumo, alcol, esposizione raggi UV) che portano alla compromissione della salute del nostro organismo. È necessario, quindi, mantenere un’igiene orale adeguata, evitare l’ingestione di cibi e bevande particolarmente calde, moderare o limitare o addirittura eliminare il consumo di alcol e di sigarette, nonché effettuare un auto esame del cavo orale regolarmente, per individuare qualsiasi anormalità o cambiamento sospetto. Tutti noi dobbiamo convincerci che possiamo migliorare la nostra salute e la nostra qualità di vita attraverso una semplice pratica chiamata prevenzione. Dott. Maurizio Alfredo Ferrara Ruiz Via Magni 4, 40132 Bologna Tel: 051.405566; Fax: 051.405566 E-mail: maurizio.ruiz1@virgilio.it

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Nuove tecniche per i denti La ricerca intesa come unica strada da seguire. L’intuizione del twin-implant. La scelta di materiali sempre innovativi. Antonio Di Giulio, Direttore Sanitario del San Babila, ci spiega tutti i vantaggi dei nuovi impianti dentali di Gianfranco Virardi

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n’eccellente alternativa a ponti e protesi dentali - per decenni considerati l’unica alternativa possibile per sostituire denti mancanti - sono oggi gli impianti, che permettono di riavere un dente molto simile a quello naturale. Si integrano perfettamente con le ossa mandibolari e mascellari e offrono un’ottima base su cui applicare i nuovi denti. «L’impianto sostituisce in maniera ottimale i denti persi e mantiene alte le creste ossee, quindi, l’estetica dei denti e del volto, oltre che la funzione masticatoria e di conseguenza quella digestiva», ci spiega il dottor Antonio Di Giulio, Direttore Sanitario del San Babila Day Hospital di Milano e Roma. «Il titanio, che si usa per l’implantologia, è un metallo biocompatibile che tende a legare con l’osso molto facilmente, ma è anche molto importante che l’impianto venga eseguito correttamente e da professionisti esperti». È sempre possibile inserire gli impianti?

«Da quando ho iniziato a praticare l’implantologia mi resi subito conto che non sempre era possibile inserire gli impianti en-

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dossei. Le viti, ad esempio, per essere inserite hanno bisogno di osso abbastanza compatto, quindi non osteoporotico, cioè non vacualizzato. L’osso non deve essere basso, poiché se le viti sono corte, potrebbero non tenere nel tempo e se l’osso è sottile non può contenerle e, quindi, non possono essere applicate affatto». Ma lei usa gli endossei?

«Certo che li utilizzo, ho impiantato migliaia di lamine Linkow e di viti, ma solo nei casi in cui l’osso è abbastanza alto e largo da ricevere impianti adeguati a resistere nel tempo. In definitiva possono essere applicati soltanto se l’osso non è osteoporotico, non è sottile, non è basso o vuoto. Ma tutti gli altri?». Scusi, quali altri?

«Sono molti i pazienti che si rivolgono all’implantologo perché cercano un aiuto quando non ce la fanno più a portare le protesi mobili, quando queste non tengono con nessun tipo di colla. Intanto precisiamo che le protesi mobili non andrebbero portate a lungo, in quanto distruggono l’osso per alterata emodinamica da compressione». Vuole chiarire meglio?

«Le flange di queste protesi gravano direttamente sulla cresta ossea, per cui il sangue non arriva all’osso e questo si abbassa. Queste persone vengono classificate come “invalidi dentali”: possono arrivare anche ad abbandonare il lavoro, a isolarsi , in più si alimentano male proprio nell’età in cui hanno bisogno di un’alimentazione adeguata. Ma ciò che più li distrugge è l’isolamento e la depressione. Sono proprio quelli il cui osso si è ridotto al minimo». E voi cosa fate per queste persone?

«È proprio su questi casi che la nostra ricerca si è concentrata per riuscire ad ottenere un impianto applicabile anche a questi pazienti, ma che sia semplice, non complicato con trapianti di osso autologo, ossia prelevato da altre zone dello scheletro, come l’osso del cranio o la cresta iliaca. Noi li aiutiamo con un tipo di impianto che abbiamo messo a punto in oltre vent’anni di studi: il twin-implant (metodica Di Giulio). Ma già a quel tempo era difficile impiantare i casi con osso deficitario. Ho quindi ripreso gli studi sulla mia tesi di laurea, che trattava dell’impianto che circonda la cresta ossea, si applica intorno all’osso invece che nell’osso. Esaminando i pro e i contro, decisi che, riveduto e corretto secondo le ultime conoscenze tecnico-scientifiche, poteva essere un valido mezzo per i casi con cresta ossea ridotta. Iniziamo ad applicarlo nell’84, con la realizzazione di un impianto in fusione di cromocobalto. Ma noi volevamo fonderlo in titanio, essendo il metallo anallergico per eccellenza. Il San Babila Day Hospital è nato proprio per avere una struttura completa per poter fare ricerca con un laboratorio tecnico proprio. Nel ’96, messa a punto da un ingegnere italiano la macchina per fondere il titanio anche nelle piccole strutture, riusciamo finalmente a costruire impianti in titanio che circondano l’osso. In questo periodo


ANTONIO DI GIULIO È Direttore Sanitario del San Babila Day Hospital di Milano e di Roma ed è a capo del team di ricerca implantologica. Medico chirurgo, specialista in Odontoiatria e Protesi Dentaria, specialista in Anestesia, è stato allievo del prof. Leonard Linkow, inventore dell'impianto endosseo a lamina, con il quale ha tenuto corsi di insegnamento negli anni 70. È stato consulente per l'Italia della Implants International di New York, assistente del Reparto di Chirurgia Maxillo-Facciale, primario R. Molinari, presso l'Istituto dei Tumori di Milano, professore a contratto di Chirurgia Maxillo-Facciale e di Odontotecnica alla Scuola di Specializzazione di Odontostomatologia dell'Università Cattolica di Roma. Nel 1970 ha ricevuto l'Ambrogino d'Oro per la sua ricerca in implatologia. Membro dell'ADI (Association of Dental Implantology di Londra, 1999), è anche perito di II Odontoiatra-Implantologo del Tribunale di Milano.

«Da una TAC multislice 64 rileviamo il modello stereolitografico che riproduce la cresta ossea al millesimo di precisione. Sul modello studiamo innanzitutto le zone più adatte all’applicazione dell’impianto, ma è determinante rilevare soprattutto i sottosquadri, le asperità ossee e le anfrattuosità, poiché sono quelle su cui l’impianto si àncora. Anzi, più la superficie ossea è rugosa e sottosquadrata più l’ancoraggio è stabile. L’ancoraggio è immediato, poiché l’impianto è diviso in due parti gemelle che vengono assemblate nel momento dell’applicazione sull’osso, in questo modo è possibile superare i sottosquadri e le anfrattuosità ossee che costituiscono le zone ossee su cui l’impianto si blocca immediatamente, otteniamo così il primo bloccaggio tecnico. Infatti appena applicato lo si utilizza con la protesi provvisoria, mentre la definitiva si applicherà dopo circa un mese. Il secondo bloccaggio è quello biologico dovuto alle sostanze che generano osso sull’impianto».

tanto aprire e divaricare la fibromucosa gengivale per posizionare l’impianto già realizzato. Nell’impianto a vite oltre che aprire e divaricare la fibromucosa, si deve anche trapanare l’osso, operazione che va fatta con molta cautela, perché l’osso non va assolutamente scaldato nel fresaggio, altrimenti si distrugge e l’impianto non attecchisce, e poi non devono essere coinvolte le strutture annesse, come le fosse nasali, il nervo mandibolare, pena l’insensibilità permanente del labbro e del mento. Inoltre l’osso non deve essere osteoporotico per poter ricevere le viti, che vengono inserite nella midollare. Ricordiamo che questa è meno consistente della corticale, su cui invece si blocca l’impianto twin. Ci sono poi tanti altri accorgimenti che nel twin non abbiamo bisogno di rispettare, perché lo studio, la preparazione e la realizzazione di questo impianto sono già eseguiti a monte sul modello stereolitografico dell’osso, su cui l’impianto viene già provato e collaudato nella tenuta e nell’ancoraggio. Quindi, quando noi lo applichiamo, sappiamo già come si bloccherà, su quali anfrattuosità e rilievi della cresta possiamo contare per il suo ancoraggio immediato, quali zone ossee possono supportare meglio il carico masticatorio delle barre dell’impianto e il suo comportamento nel tempo. Queste sono molto estese, per cui il carico della masticazione viene ripartito sia sulla barra palatale o interna sia sull’esterna o vestibolare. Le due barre sono contrapposte parallele e questa contrapposizione scarica non solo il carico verticale, ma anche quello orizzontale, che è il più nocivo perché tende a dislocare sia i denti che gli impianti, soprattutto quelli a radice unica come la vite, se oltretutto sono inserite in un numero insufficiente e in osso osteoporotico».

«Si impiega molto meno tempo per questo impianto che per le viti. Infatti basta sol-

«Difatti lo adottiamo sempre quando ci tro-

iniziamo anche a ricoprire l’impianto con le varie sostanze osteoinducenti». Cosa vuol dire ricopertura dell’impianto con sostanze osteoinducenti?

«Noi pensammo che il vecchio impianto, eseguito in cromocobalto, applicato sull’osso esterno, quello corticale, che è più consistente di quello dove vanno inserite le viti, aveva bisogno non solo di essere realizzato in titanio come le viti, ma che doveva essere ricoperto nel momento dell’applicazione sull’osso da quelle sostanze che nel giro di alcuni mesi inducono formazione di nuovo osso. Quindi, quando l’osso neoformato copre l’impianto, lo blocca definitivamente sull’osso del paziente, facendolo diventare a tutti gli effetti un endosseo osteointegrato». Come si realizza questo impianto?

Quanto tempo dura l’intervento?

Sembra un impianto risolutivo per i casi indicati.

viamo di fronte a casi con osso ridotto, anche fortemente ridotto come negli “invalidi dentali”, dove le viti non si possono assolutamente applicare o con metodiche non molto gradite al paziente».

Altro confronto con le viti?

«Le viti, in genere, tranne in alcune zone ossee, hanno bisogno di un’attesa di 3-4 mesi per raggiungere l’osteointegrazione. Ciò potrebbe anche non verificarsi o verificarsi in parte, per metà dell’impianto o un terzo soltanto, mentre nel twin è dovuta alle sostanze osteoinducenti applicate da noi, che, se funzionano nelle cisti, nel rialzo del seno e in tutte le altre metodiche chirurgiche di riempimento osseo, è ovvio che funzionano anche intorno al nostro impianto. Questa formazione di nuovo osso sull’impianto è verificabile con una nuova TAC e un altro modello stereolitografico di controllo». Ma se una vite non si osteointegra, lei cosa fa?

«Faccio un modello stereolitografico e preparo l’impianto twin che, essendo in titanio, può penetrare dove è rimasto il vuoto osseo della vite che non ha attecchito». Lo fate solo voi del San Babila Day Hospital?

«Noi del San Babila Day Hospital adottiamo la metodica del twin messa a punto dalla nostra più attuale ricerca, ma lo iuxtaosseo nelle sue linee generali è adottato da alcuni colleghi. San Babila Day Hospital Via Stoppani, 36 20129 Milano; Tel: 02.2046941; Via Oglio, 9 – 00198 Roma - Tel: 02.8546472; Numero verde: 800.168.990; www.sanbabiladayhospital.it

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Più cura per le gengive Fumo, mancanza di igiene accurata dei nostri denti, eccessi di zucchero. Sono fattori determinanti alla comparsa della gengivite. Le precauzioni da utilizzare sono tante. Il dottor Enzo Caporossi ce ne suggerisce alcune di Erika D’Alberto

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engivite è un termine che indica l'infiammazione delle gengive, che inizia intorno al colletto del dente e causa emorragie. La gengivite se non è curata, può provocare danni permanenti alle gengive e caduta dei denti. Nel parliamo con il dottor Enzo Caporossi, medico chirurgo dentista.

Dottor Caporossi cos’è la gengivite e come si manifesta?

«La gengivite è una malattia infiammatoria delle gengive, caratterizzata da gonfiore, arrossamento, calore e sanguinamento conseguenti all'accumulo di placca. Il sanguinamento avviene soprattuto durante lo spazzolamento dei denti, per quanto riguarda quella parte di gengiva posta tra dente e dente, e durante il passaggio del filo interdentale. Il sanguinamento delle gengive non è mai un fenomeno normale, la sua presenza non va mai trascurata. Anche se molto frequente nella popolazione, ancorché in chi effettua una discreta igiene orale, esso andrebbe sottoposto all'attenzione del dentista. Curare la gengivite serve a evitare la progressione della malattia infiammatoria che coinvolge le gengive, in particolare la gengiva marginale, verso i tessuti più profondi deputati al sostegno delle radici dentali. I sintomi più frequenti della gengivite acuta sono sensibilità spiccata delle gengive, sanguinamento e dolore all'atto della masticazione, mentre il segno più diffuso sia delle forme acute che croniche di infiammazione delle gengive è un arrossamento del margine gengivale. La presenza di questi segni e sintomi, evidenzia la formazione di “tasche parodontali”, che sono delle aree di raccolta dei batteri responsabili di questa malattia, i quali trovano un habitat ideale in quelle zone in cui l'abbondanza di residui di cibo e la scarsa presenza di ossigeno permettono loro di sopravvivere. Se non si inizia tempestivamente una cura, nelle tasche gen-

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givali si può formare del pus, che farà evolvere la gengivite in parodontopatia cronica, uno stadio della malattia in cui i denti, avendo perso il loro sostegno, cominciano a muoversi spontaneamente». Qual è la causa della gengivite?

«La mancanza di igiene accurata dei denti è una delle cause della gengivite: i residui di cibo si fermano tra i denti o tra i denti e le gengive, permettendo ai batteri presenti nella bocca di iniziare la loro azione infettiva sulle gengive stesse. Le gengive appaiono arrossate, a volte gonfie, e sanguinano facilmente al contatto dello spazzolino da denti e del filo interdentale. Le altre cause potenziali della gengivite sono il tartaro che si deposita sui denti, la presenza di carie e le protesi che irritano le Enzo Caporossi si laurea in Medicina e Chirurgia a Perugia nel 1983. Nel 2006 segue il Master di secondo livello in Chirurgia Orale e Implantologia avanzata a Chieti

gengive. Se lo stato di salute generale contribuisce a causare la gengivite, è indispensabile una visita medica. Una dieta ben equilibrata, scarsa di cibi zuccherini e ricca di vitamine è un buon coadiuvante nella cura dei disturbi delle gengive. È importante sottolineare che mentre per la gengivite la soluzione terapeutica è relativamente semplice e poco impegnativa, quando la malattia evolve verso la parodontite cronica, il piano di trattamento diventa più complesso e richiede più disponibilità e attenzione da parte del paziente». Quali sono le terapie che si adottano in questi casi?

«Le malattie delle gengive possono richiedere diversi tipi di trattamento in base alla gravità della malattia e in base a numerosissimi fattori locali e sistemici. Il trattamento chirurgico “a lembo”, cioè con una vera e propria incisione delle gengive è, in genere, eseguito dopo una preparazione iniziale meno invasiva. Essa consiste in ablazione del tartaro sottogengivale e raschiamenti all’interno delle tasche, in anestesia locale. È necessario imposta-


re un programma personalizzato che consiste in sedute di igiene professionale, sedute di curettage in anestesia locale con o senza scollamento delle gengive e trattamenti con medicamenti locali (ad esempio infiltrazioni locali di antibiotico). Potrebbe anche essere necessario eseguire dei piccoli interventi chirurgici per rigenerare la porzione di osso alveolare distrutto dalla malattia, attraverso l’innesto di biomateriali rigenerativi (solfato di calcio, idrossiapatite, ecc.). La situazione clinica deve essere poi seguita nel tempo e rivalutata». Come si mantiene lo stato di salute delle gengive?

Gli spazzolini usurati non sono in grado di pulire i denti, anzi possono danneggiare le gengive. Bisogna allora sostituire lo spazzolino con uno nuovo ogni 2-3 mesi o non appena le setole si usurano. Quando queste ultime hanno perso la loro forma e si sono deformate, non sono in grado di pulire efficacemente

Dai denti direttamente al cuore

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n sorriso pulito può salvare il cuore. Basta sottoporsi con regolarità a una semplice pulizia dei denti per ridurre la probabilità di aterosclerosi. A dimostrarlo è uno studio tutto italiano, condotto dall’Università degli Studi e dall’Ospedale Sacco di Milano e pubblicato su «The Faseb Journal». La ricerca ha coinvolto 35 persone sane, 15 uomini e 20 donne di età media 46 anni, colpite da infezione gengivale (parodontopatia) ma senza altri fattori di rischio cardiovascolare, fumo compreso.

Da alcuni anni è stata suggerita una possibile correlazione tra parodontopatia e malattie di cuore e arterie. In particolare, si era ipotizzato che alcuni batteri gengivali aumentassero il pericolo di placca aterosclerotica: la formazione di un «tappo» arterioso ad alto rischio di eventi mortali. In sintesi, i risultati ottenuti hanno mostrato che, dopo il trattamento dell’igienista dentale, miglioravano significativamente i parametri infiammatori e immunologici responsabili dello sviluppo della placca aterosclerotica.

«La pulizia del solco gengivale, lungo il perimetro di ogni dente, nel corso delle quotidiane manovre d'igiene orale serve a mantenere lo stato di salute delle gengive e a prevenirne le malattie infiammatorie determinate dalle tossine prodotte dai batteri della placca. La tecnica di spazzolamento appropriata, infatti, prevede una leggera inclinazione dello spazzolino rispetto all'asse verticale del dente, affinché le setole possano penetrare nel solco gengivale, e che il movimento di pulizia avvenga con direzione verso il basso nell'arcata superiore e verso l'alto nell'arcata inferiore. Lo spazzolamento dei denti, oltre a una tecnica adeguata, richiede un tempo non inferiore a 2 minuti. Non basta cioè una spazzolata superficiale a rimuovere tutti i residui di cibo. Addirittura recenti ricerche suggeriscono che la rimozione di placca batterica aumenta del 10% portando da 2 a 3 minuti il tempo di spazzolamento». Cosa può dirci riguardo all’azione del fumo sulle gengive?

«Che il fumo influisca sul colore dei denti è conoscenza comune, infatti può provocare macchie esterne sullo smalto e infiltrare la guaina che avvolge i prismi che lo compongono. Lo smalto in questo modo perde translucentezza, diventa giallognolo e opaco. Che abbia effetto anche sulla salute delle gengive e, più in generale, sui tessuti di sostegno dei denti non è altrettanto conosciuto. Eppure è così. Il fumo favorisce le parodontopatie e, chi ne è affetto, oltre a rivolgersi alle cure dello specialista, dovrebbe smettere di fumare affinché vadano a buon fine». Dr. Enzo Caporossi, Odontoiatra Piazza Pericle Fazzini 08 - 63039 San Benedetto del Tronto - Tel: 0735/781784

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Ultrasuoni in odontoiatria Un’alternativa all’avanguardia, sicura e per niente traumatica agli interventi tradizionali. Il Dottor Giovanni Boccuccia spiega quali sono i vantaggi pratici e psicologici della chirurgia piezoelettrica per pazienti e dottori di Valerio Spinelli

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a chirurgia ultrasonica piezoelettrica è una reale alternativa che si offre come approccio diverso nei confronti di tecniche di chirurgia orale tradizionali. Il rispetto di strutture anatomiche nobili rappresenta un fattore essenziale delle metodiche chirurgiche e la chirurgia ultrasonica, attraverso il taglio selettivo, micrometrico e l’effetto cavitazionale, garantisce la salvaguardia di tali strutture. Ovvero di vasi, nervo alveolare inferiore, membrana sinusale, fosse nasali. La chirurgia piezoelettrica è una nuova tecnica che permette di tagliare e rimodellare le ossa attraverso un apparecchio che utilizza gli ultrasuoni per “tagliare” l’osso con tutte le modalità e in tutte le morfologie che fino ad ora erano state proprie degli apparecchi rotanti. Si tratta di un bisturi che sfrutta un principio fisico con onde agli ultrasuoni. Il taglio piezoelettrico avviene grazie ad una microvibrazione ultrasonica modulata di soli 60-200 micrometri di ampiezza che è in grado di tagliare i tessuti mineralizzati con grande efficacia nel massi-

mo rispetto dei tessuti molli ai quali non si reca danno neppure in caso di contatto accidentale. Inoltre la cavitazione, che è propria del meccanismo ultrasonico, favorisce una buona visuale e la vibrazione micrometrica assicura una grande precisione di taglio che permette all’operatore di avvicinarsi notevolmente a strutture di grande delicatezza come il nervo alveolare o la membrana Shneideriana che riveste il seno mascellare. Negli ultimi decenni le tecniche di chirurgia dentaria si sono rapidamente sviluppate soprattutto per fare fronte alla necessità di posizionare impianti in condizioni di scarsa presenza di osso. In questi casi, sia per le procedure di rigenerativa e quindi di raccolta dell’innesto osseo, sia per la delicata fase di inserimento dell’impianto, la chirurgia ultrasonica è di grande aiuto in quanto permette di tagliare facilmente l’osso corticale senza surriscaldarlo e senza ledere I tessuti molli. I vantaggi psicologici del paziente sono notevoli, visto che questi tipi di interventi, oltre ad essere estremamente sicuri, sono molto

poco traumatici. Fra i dentisti che utilizzano questa metodologia c’è il Dottor Giovanni Boccuccia, professionista di Pescara: «le applicazioni della chirurgia ultrasonica in odontoiatria sono notevoli. Si possono eseguire interventi semplici come le estrazioni, oppure rimuovere cisti, modificare l’anatomia del mascellare superiore oppure rimuovere tessuto malato intorno ai denti. E sono molti altri gli interventi possibili con questa tecnica».

Dottor Boccuccia, quali vantaggi offre la chirurgia orale ultrasonica rispetto alla tradizionale?

«La chirurgia ad ultrasuoni piezoelettrici a bassa frequenza, viene utilizzata per agire nei confronti dei tessuti mineralizzati quindi sul tessuto osseo, verso il quale ha una grande efficacia di taglio e rimodellamento mentre rispetta i tessuti molli sui quali risulta inerte. Per questo risulta più difficile, rispetto ai metodi tradizionali effettuati con strumenti manuali o rotanti, ledere strutture vasali, nervose e mucose. Questa ed altre caratteristiche fisiche, permettono di avere precisione di taglio, sicurezza di esecuzione, visibilità operatoria e migliore guarigione post chirurgica». Quali sono le applicazioni della chirurgia ultrasonica?

«Le applicazioni della piezochirurgia consistono nell’eseguire azioni di taglio (osteoGIOVANNI BOCCUCCIA Laureato in Medicina e Chirurgia presso l'Università G. D'Annunzio di Chieti nel 1983, fin da subito si approccia all'Odontoiatria ed in particolare alla Chirurgia orale presso strutture specialistiche di Roma. Si dedica all'implantologia dal 1988. Si è perfezionato in Odontoiatria Legale e Forense presso l'Università di Chieti e svolge la libera professione a Pescara ponendo attenzione alle nuove tecniche.

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Macchinari di ultima generazione

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l Piezotome, dell’azienda Satelec, è un generatore piezoelettrico per chirurgia implantare innovativo, potente, preciso e silenzioso, studiato per interventi delicati come osteotomie, raschiamenti o rialzi del seno mascellare. Questo apparecchio di ultima generazione integra una nuova versione del modulo elettronico SP Newtron, una fra le più sofisticate del mercato, che consente la funzione Piezotome e la funzione Newtron associate nello stesso apparecchio. La prima funzione consente che il segnale piezo modulato (alta frequenza alternata ad una bassa ampiezza del segnale) permetta il rispetto del tessuto osseo e una riparazione cellulare ottimale per un taglio netto e una migliore cicatrizzazione. La funzione Newtron consente che il segnale piezo sinusoidale corrisponda all’ampiezza costante delle frequenze nella funzione Newtron garantendo un elevato grado di precisione negli interventi quotidiani (parodontologia, endodonzia, ecc.). Durante interventi lunghi ed intensivi, il manipolo Piezotome, completamente sterilizzabile, perfettamente equilibrato, offre al professionista che lo utilizza grandi vantaggi, infatti non presenta: • nessun riscaldamento, riducendo così il rischio di necrosi • nessuna perdita di potenza, aumentando così la rapidità d’intervento • nessuna vibrazione parassita, per una precisione ed un confort ottimali

tomia) e rimodellamento (osteoplastica) della superficie ossea. Di conseguenza, oltre che in odontoiatria dove tra le molteplici applicazioni ci sono le estrazioni di radici incluse, le toilettes alveolari, la chirurgia parodontale, gli interventi per il rialzo del seno mascellare e l’espansione di cresta, trova impiego anche in ortopedia, neurochirurgia ed otorinolaringoiatria». Per praticare la chirurgia ultrasonica è necessario aver seguito corsi specifici?

«L’operatore esperto in tecniche chirurgiche tradizionali con strumenti manuali o rotanti, utilizzerà la piezochirurgia, dopo un primo momento di smarrimento, dato che si troverà a operare senza colpi, vibrazioni e con un sito operatorio esangue e perfettamente visibile per azione della soluzione fisiologica cavitata sulle superfici, troverà solo vantaggi a perseguire questa tecnica. Personalmente le prime volte che l’ho utilizzata mi sembrava quasi di “non lavorare”, tanto era il confort e la sensazione di controllo che avevo, gli stessi vantaggi li riceve il paziente che viene meno traumatizzato per la scarsità di rumori e di vibrazioni, tenendo conto che il decorso post operatorio è più

favorevole con edemi e dolenza ridottissimi o assenti e con una migliore guarigione tissutale. La necessità di seguire un corso di apprendimento per conoscere le potenzialità e le modalità d’uso di questo strumentario è però consigliabile sia per acquisire la manualità necessaria che per ottenere la migliore efficienza dal macchinario; inoltre le case produttrici di questi apparecchi propongono corsi un po’ su tutto il territorio nazionale, perciò non è arduo reperirne qualcuno in prossimità della propria sede». Quali macchinari si utilizzano per questi interventi?

«Da qualche tempo sono presenti varie marche e modelli di strumenti per la chirurgia piezoelettrica, che differiscono tra di loro soprattutto per le frequenze utilizzate, si tratta di strumenti ultrasonici tre volte più potenti di quelli odontoiatrici e lavorano sotto irrigazione continua di soluzione fisiologica per detergere dai frustoli ossei, responsabili dell’aumento di temperatura prodotta nella rima di taglio dai normali ultrasuoni, con una gestione computerizzata che permette l’adattamento alle varie tipologie di osso e controlla anche gli eventua-

li malfunzionamenti dell’apparecchio, del manipolo o dell’elettronica. Questi apparecchi sono corredati da numerosi inserti che permettono vari utilizzi che si possono riassumere in: inserti taglienti per trattare le strutture ossee con efficienza ed efficacia quando è necessario un taglio fine e definito come per le osteotomie per gli ottavi; inserti leviganti a superficie diamantata per lavorare su strutture difficili e delicate , per esempio per preparare la finestra del seno mascellare senza ledere la membrana schneideriana; inserti non taglienti per la separazione dei tessuti molli, ad esempio la lateralizzazione dei nervi».

Da quanto tempo esiste questo tipo di chirurgia?

«La chirurgia piezoelettrica è una giovane disciplina che nasce in Italia nel 1997 per opera del Professor Tommaso Vercellotti che fece ingegnerizzare il primo apparecchio con caratteristiche adatte alla chirurgia ossea nel 1998, e perciò in continua evoluzione». Dottor Giovanni Boccuccia Via Firenze, 169 - 65122 Pescara Telefono 085.4223136

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Invisalign per teenager È facile da usare. Non ci si accorge neppure del trattamento. È privo di placchette e fili metallici che irritano la bocca. Restituisce un sorriso di cui andare fieri. Invisalign è l’alternativa trasparente ai tradizionali apparecchi per i denti di Carlo de Ryski

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a alcuni anni è giunta anche in Italia la sistematica Invisalign, una cura ortodontica praticamente invisibile che utilizza, invece delle solite placchette e fili metallici, una serie di mascherine trasparenti da calzare sui denti. Esse gradualmente spostano i denti fino a far loro raggiungere la posizione desiderata. Il trattamento, brevettato e prodotto esclusivamente, su prescrizione e progettazione dello specialista, dalla Align Technology di Santa Clara in California, è nato come cura ortodontica per gli adulti. Le esperienze accumulate in dieci anni di applicazione con un milione di pazienti trattati in tutto il mondo hanno consentito di estendere recentemente tale trattamento anche agli adolescenti che hanno alcuni denti permanenti ancora non erotti. La cura Invisalign Teen offre numerosi vantaggi, sia pratici che funzionali. Anzitutto il costo è essenzialmente identico a quello di una cura ortodontica tradizionale. Il trattamento è invisibile e senza alcun risvolto antiestetico. Consiste in una serie di mascherine trasparenti facilmente rimovibili dal paziente che, calzate sui denti con

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Carlo de Ryski

studiata gradualità, provocano i movimenti dentali desiderati. Questi allineatori hanno uno spessore inferiore a un millimetro e presentano una superficie liscia: non recano quindi alcun fastidio alla lingua e all’interno delle guance. Non dovendo utilizzare più placchette e fili si eliminano gli inconvenienti dovuti al loro distacco e rottura, come fastidi, dolore e corse dal dentista per riparazioni impreviste. Si può dire che il paziente, già dall’inizio della cura, sa quali e quanti saranno i suoi appuntamenti fino alla sua conclusione. Essendo poi gli allineatori facilmente rimovibili, è possibile svolgere una corretta igiene orale, con l’eliminazione delle carie e delle discolorazioni che si possono presentare durante le tradizionali cure, a causa delle ingombranti apparecchiature non rimovibili. Tra i vantaggi, possiamo citare anche la brevità di questa cura rispetto a quelle tradizionali: i movimenti dentali sono infatti altamente selettivi.

Se la possibilità di raggiungere i risultati finali desiderati da parte di Invisalign è la medesima delle cure tradizionali, fondamentale è l’esperienza del professionista che lo applica, poiché la complessità del trattamento risiede nella fase di progettazione. La cura Invisalign è progettata con un particolare software, sviluppato dalla Align Technology, che permette di visualizzare i movimenti dentali prescritti dallo specialista, verificandone l’entità, la fattibilità e la distribuzione nel tempo. Il paziente svolge un ruolo attivo, interagendo con lo specialista, a cui può esprimere eventualmente i suoi desideri e il suo parere in merito ai movimenti dentali che si andranno a compiere. Terminata la progettazione, professionista e paziente conosceranno il numero delle mascherine necessarie per compiere la cura e quindi la durata della medesima. È possibile inoltre utilizzare le mascherine come veicolo per gel sbiancanti. Con Invisalign la cura ortodontica, caratterizzata tradizionalmente da apparecchi “antiestetici”, diventa uno strumento di bellezza su due fronti, allineamento dei denti e loro colore. Per i ragazzi con i denti ancora in crescita, la cura prevede, oltre ad alcune modifiche progettuali, che riguardano lo specialista, alcune caratteristiche dedicate alle specificità dell’adolescenza, come le mascherine di sostituzione e gli indicatori di utilizzo. Tutte queste attenzioni sono dedicate a semplificare soprattutto l’uso delle mascherine e a rendere più adeguata la cura per i pazienti più giovani, pur mantenendo tutte le attrattive di una tecnica nata per il nuovo millennio. Dottor Carlo de Rysky Specialista in Odontostomatologia e Ortognatodonzia - Invisalign Platinum Doctor Viale della Libertà, 4a – 27100 Pavia Tel. 0382.24192 - e-mail: info@derysky.it


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Implantologia mini-invasiva È molto importante non recare disagio al paziente, sia durante l’intervento sia nella fase pre e post operatoria. Per queste ragioni nel campo dell’implantologia sempre più frequentemente si adopera una tecnica mini-invasiva di Bahri Adis

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e protesi dentarie sono – secondo il Dizionario Medico – “apparecchi che consentono la ricostruzione di un dente parzialmente distrutto, la sostituzione di uno o più denti mancanti, la correzione di malocclusioni dentarie, perdite ossee, deficit funzionali”. Le protesi dentarie di ricostruzione possono essere fisse o mobili. Quelle fisse sono costituite da una struttura metallica (di lega oro-platino o di titanio) ricoperta da zirconio-ceramica o altri materiali. Le protesi dentarie mobili sono invece caratterizzate da una base che poggia sulla mucosa e parzialmente sui denti, sulla quale sono montati denti finti in zirconio-ceramica o altro, inseriti in una finta gengiva avente il colore simile a quello naturale. Negli ultimi anni si è assistito al prevalere, in campo implantologico, di un approccio di tipo mini-invasivo, capace di recare il minimo disagio al paziente, sia in sede di intervento che nella fase pre e post operatoria. Anzitutto, l’adozione della tecnica monofase consente la ricostruzione dell’osso in una sola seduta, evitando la necessità del secondo intervento. I vantaggi per il paziente sono enormi: l’intervento implantologico risulta indolore e fattibile nel 99% dei casi. L’individuo supera le difficoltà connesse alla mancanza di denti già dopo due giorni, con l’inserimento di una protesi provvisoria. Trascorsi tre mesi necessari perché il processo di guarigione giunga a compimento, l’individuo è sottoposto a controlli radiografici. Segue il rilevamento dell’impronta di precisione con la presa della masticazione, al fine di realizzare le capsule in zirconio-ceramica. Le protesi realizzate devono rispondere a diversi requisiti. In primo luogo esse devono consentire il ristabilimento della corretta masticazione, soddisfacendo il cosiddetto fattore funzionale. L’obiettivo perseguito è

Bahri Adis

quello di avvicinarsi, con la massima approssimazione, alla masticazione dell’individuo in possesso dei suoi denti naturali. Ad essere ripristinate sono anche le funzioni articolari di apertura, chiusura, lateralità destra-sinistra (movimenti che avvengono sul piano orizzontale e consentono lo spostamento della mandibola verso destra e verso sinistra), protusione e retrusione (movimenti che avvengono nel piano orizzontale, con scivolamento dell'arcata dentaria inferiore sotto quella superiore) e la corretta fonetica. Imprescindibile è la considerazione del fattore estetico. Il concetto di bello, in odontoiatria, non si riduce a quello “bianco-bianco”: il “bravo” professionista deve essere consapevole del fatto che l’estetica è una questione complessa, in cui intervengono diversi aspetti. Nella scelta del colore, l’odontoiatra deve tener presente la carnagione e il riflesso dei capelli. Ad esempio, se la pelle è molto scu-

ra, non è consigliato il bianco puro che risalterebbe troppo con un effetto artificiale e monocromatico. In generale, è il bianco naturale ad essere perseguito come modello. La naturalezza è ottenuta realizzando, sullo strato più esterno del dente “artificiale”, delle fessure che, partendo dal colletto fino alla parte finale del dente, ricreano quel gioco di ombra e luce che una chiostra dentale possiede. Sul lato della forma, quella del dente deve seguire quella del viso. Se il volto è tondo, quadrato, affilato, la foggia dei denti deve essere simile. Le dimensioni del dente sono realizzate considerando anche la statura dell’individuo, la cresta alveolare e l’aspetto della bocca. Una volta realizzato e inserito l’impianto sarà necessario effettuare visite a cadenza semestrale: in tali occasioni, l’odontoiatra farà una pulizia approfondita al fine di scongiurare la complicanza più temuta in implantologia, la perimplantite, un’infiammazione e/o infezione dei tessuti che circondano l'impianto, causata o da una masticazione non corretta o dalla presenza del tartaro fra osso e impianto. Ma per tenere sotto controllo la placca batterica, fondamentale è la collaborazione del paziente, che deve essere “educato” nel praticare correttamente l’igiene degli impianti e dei denti residui. Quest’ultima prevede la pulizia orale tre volte al giorno e l’uso, due volte alla settimana e prima di coricarsi, di un colluttorio dall’azione antibatterica e antisettica. L’individuo ha il dovere di seguire un comportamento “virtuoso” se vuole che il suo impianto, correttamente posizionato e protesizzato, superi la barriera più difficile da aggirare. Quella del tempo. Studio Medico Odontoiatrico Tedesco Dottor Bahri Adis Odontoiatra specialista in Implantologia e Parodontologia Viale Beatrice D’Este, 17 – 20122 Milano Tel. 02.58303737 - www.dentesthetic.com

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La tecnologia che sorride Nuove diagnosi approfondite. Pianificazione virtuale dell’intervento. Tempi di trattamento ridotti. Diminuzione dei margini d’errore. L’implantologia guidata dal computer rappresenta oggi una nuova frontiera in campo dentistico di Mario Pompilio

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a quando è nata l'implantologia guidata dal computer si può finalmente parlare di svolta epocale nel mondo dell'odontoiatria. Nasce in definitiva la tecnica supportata dai software che permette di velocizzare e rendere più sicure e precise le diagnosi e le terapie e quindi offrire interventi più agevoli per chi desidera avere un sorriso smagliante. A parlarci di questa metodica è il dottor Alessandro Palumbo, odontoiatra che svolge la sua professione a Pescara e a Roma, tra i primi professionisti in Italia ad applicare queste metodiche. Per mezzo delle più avanzate tecniche di chirurgia minimamente invasiva e dell’implantologia guidata dal computer, offre ai suoi pazienti piani di trattamento capaci di trasforma-

re i denti di una dentiera mobile, in una sola seduta, in denti fissi sostenuti da impianti, senza rischi e con la possibilità di utilizzo immediato. L’ausilio delle guide ottenute con la stereolitografia computerizzata riesce a rendere l’implantologia osteointegrata una tecnica semplice e applicabile in quasi tutte le situazioni cliniche, anche in presenza di gravi atrofie delle ossa mascellari laddove l'implantologia tradizionale, cioè effettuata a mano libera, renderebbe questi interventi molto difficili o addirittura impossibili anche per mani esperte. Dottor Palumbo, si può parlare di una importante svolta per l'implantologia?

«Direi assolutamente di sì. Bisogna prima di tutto spiegare cosa significa e a chi è rivolta questa nuova metodica. Infatti l'implantologia è la metodica dedicata ai pa-

zienti che hanno perduto i propri denti, o sono portatori di una dentiera mobile e desiderano una nuova dentatura fissa che duri nel tempo. Un’evoluzione dell’implantologia classica è l'implantologia computer guidata. Quasi sempre la mancanza dei denti, l’utilizzo di protesi mobili, e l’età avanzata, determinano atrofia delle ossa mascellari che normalmente rendono difficili o impossibili i trattamenti implantoprotesici classici. L’implantologia guidata dal computer riesce, invece, a dare risposte anche in casi estremi come questi, o in pazienti affetti da gravi parodontopatie, in quanto riesce a sfruttare anche i più minimi residui di osso. Considerando l’affidabilità e la precisione della tecnica, una nuova tendenza vede nel piano di trattamento l'impiego di un ridotto numero di impianti per ogni arcata: in genere 4 per l'inferiore e 4-8 per il mascellare superiore (Tecnica All On Four e Full Arch Few Implant F.A.F.I.). È necessario tenere conto della quantità e della qualità dell'osso residuo ed esaminare attentamente la biomeccanica delle protesi fisse, che saranno ancorate sugli impianti». I vantaggi di questa metodica riducono il margine d'errore e aiutano anche chi ha paura del dentista?

ALESSANDRO PALUMBO Laureato in Odontoiatria & Protesi Dentale all’Università de L’Aquila. Libero professionista dal 1987 con attività prevalente dedicata alla chirurgia, implantoprotesi ed ortodonzia. Membro attivo di numerose società scientifiche tra le quali CAI Academy e Simplant Academy Relatore in congressi nazionali ed internazionali, Past President del Cenacolo Odontostomatologico dell’Adriatico. Effettua consulenze esterne. È stato mentor nel programma education della Nobelbiocare. Profondo sostenitore dell’odontoiatria minimamente invasiva e della CGI

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«Esattamente. Immaginate uno studio dentistico di 20 anni fa. C’erano limiti che oggi sono praticamente inesistenti: materiali, attrezzature, strumenti e nuove metodiche, hanno fatto il loro percorso e usufruito di milioni di euro di investimento da parte delle aziende produttrici per risolvere problematiche che prima richiedevano mesi di cura. Oggi gli interventi sono di brevissima durata e garantiscono qualità e sicurezza in assoluto rispetto dei costi. Numerosi casi clinici da me trattati negli ultimi sette anni con l’implantologia guidata dal computer mostrano una percentuale di successo degli impianti e delle protesi prossima al 100%. Questo metodo offre enormi possibilità di successo e minima invasività chirurgica. L'esame attento delle informazioni volumetriche provenienti dalla Tac Denta-Scan e le opportunità offerte dal programma di navigazione SimPlant aumentano le opportunità di sfruttare anche volumi di osso basale molto ridotti, offrendo in tal modo al paziente la possibilità, altrimenti negata, di ricevere protesi fisse a funzione immediata. La Computer Guided Dentistry rappresenta senza dubbio, rispetto ai complessi ed invasi-

vi interventi di ricostruzione ossea, una metodica più semplice e predicibile, valida anche in caso di severe atrofie dei mascellari. Questa, a mio parere, sarà una tecnica destinata ad essere sfruttata da un sempre maggior numero di pazienti e di dentisti. Questa metodica, associata alla sedazione cosciente, rappresenta un ausilio straordinario per abbassare le tensioni, ridurre la soglia del dolore e indurre uno stato di profondo e duraturo benessere anche nei pazienti fobici».

Come avviene la procedura e come si deve preparare un paziente?

«La maggior parte del lavoro viene fatto fuori della bocca del paziente, in sua assenza. Per questo motivo riesco a trattare pazienti riferiti da colleghi lontani o che provengono da fuori regione senza difficoltà. Nel corso della prima visita effettuiamo la preparazione del paziente e viene illustrata la metodica. Un ruolo importante è svolto dall'odontotecnico che, in stretta collaborazione con l’odontoiatra, dovrà affiancarlo e seguire le sue indicazioni fin dal primo momento, progettando i denti adeguati al caso specifico. Il paziente effettuerà in seguito un esame TAC Denta Scan indos-

sando i denti appena progettati che rappresenteranno una guida indispensabile per il lavoro definitivo. Con i dati raccolti dall’esame TAC si effettua sul computer un intervento virtuale in tre dimensioni posizionando nel modo più opportuno gli impianti, tenendo conto di tutte le informazioni comprese quelle estetiche. Il risultato virtuale e la pianificazione possono essere preventivamente mostrate al paziente attraverso il computer. Il posizionamento virtuale degli impianti verrà registrato e trasmesso in un file che, inviato alla casa madre, consentirà di realizzare una guida stereo litografica che sarà usata nella chirurgia per guidare in sicurezza la mano del chirurgo. Nella seconda seduta si effettua l’intervento chirurgico con la guida e il paziente viene dimesso dopo qualche ora con la protesi fissa su impianti già funzionanti. Di norma sarà sufficiente un periodo di almeno due mesi, durante i quali il paziente userà le protesi fisse inserite durante la seconda seduta, per permettere la completa osteointegrazione degli impianti. Trascorsi questi mesi si finalizza il lavoro nel corso di altri 2 o 3 appuntamenti conclusivi con sedute di sole verifiche, durante le quali si

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L pi, ma le metodiche e i materiali. Tutto questo consente di ottenere risultati più duraturi e precisi in tempi ridotti. Il computer, in sintesi, interviene nell’ambito della realizzazione delle protesi e sostituisce i metodi artigianali dell’odontotecnico e l’abilità chirurgica del medico, con la predicibilità ed il controllo, tipici dei processi industriali di precisione».

In quali ambiti dell’odontoiatria il computer può intervenire?

«Diagnosi, terapie chirurgiche implantoprotesiche e realizzazione di protesi individualizzate, ma prodotte con processi industriali. Esistono, inoltre, anche altre discipline come l’Ortodonzia e la Posturologia che si avvalgono con successo dell’uso del computer». Sopra: visione tridimensionale di un mascellare riabilitato con sei impianti. Osso, prolungamento degli impianti e denti virtuali. A fianco:Visione tridimensionale di un piano di trattamento virtuale per riabilitazione di una mandibola edentula. Determinanti anatomiche e distanze. 1 Osso: ramo mandibolare destro; 2 Scanprosthesis; 3 Alveolare inferiore sinistro della mandibola; 4 Impianto oste integrato; 5 Proiezione negli spazi interocclusali degli assi degli impianti

ottimizzano la funzione e l’estetica della protesi definitiva».

L’ausilio del computer è più utile in fase diagnostica o in fase di pianificazione dell’intervento?

«È utilissimo in entrambe le fasi, l’una è integrata nell’altra. In passato era utilizzato solo nella fase diagnostica in quanto mancavano le applicazioni tecniche per sfruttarlo nello stadio clinico operativo. Oggi, invece, grazie alla stereolitografia, si possono applicare i suoi vantaggi a 360°. L’utilizzo dei software cosiddetti di navigazione permette di navigare virtualmente nell’anatomia del paziente. Nella fase diagnostica le immagini tridimensionali dei tessuti molli e delle ossa mascellari dei pazienti vengono esaminati nei più intimi dettagli. Questo è possibile in seguito all’acquisizione dei dati DICOM della TAC del paziente in esame. Durante questa fase diagnostica ho sul mio computer tutte le informazioni tridimensionali di cui ho bisogno per effettuare le valutazioni sui volumi, la qualità e la quantità dell’osso del paziente. Questo mi consente di effettuare un intervento virtuale con il posizionamento ideale nello spazio degli impianti, tenendo conto di tutte le corrette

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Dossier Medicina

indicazioni. La pianificazione così ottenuta viene salvata e inviata in un file alla casa di produzione delle guide chirurgiche. Questa realizza delle mascherine guida, simili a delle piastre di montaggio di precisione, che contengono degli anellini guida ad altissima precisione che indirizzeranno la fresa usata dal chirurgo per la preparazione del sito implantare nell’esatta posizione, inclinazione e profondità stabilita nella pianificazione per il corretto alloggiamento degli impianti stessi. Le guide, in resina speciale, sono realizzate con tecnica industriale e computerizzata, chiamata stereolitografia. Questa consente di replicare qualsiasi oggetto presente sul computer in tre dimensioni con massima fedeltà. Saranno per cui realizzate in resina delle repliche tridimensionali in dimensioni reali delle ossa mascellari e/o mandibolari del paziente». Quali vantaggi porta all’odontoiatria l’assistenza del computer?

«Con l’introduzione delle nuove metodiche computerizzate in implantoprotesi utilizzate sia in fase diagnostica che operativa, l’odontoiatria (come altre discipline) è stata rivoluzionata e lo sarà sempre più. Questa rivoluzione non riguarda i princi-

Questa metodologia riduce di molto i tempi di trattamento?

«I tempi di trattamento sono ridotti drasticamente. Basti pensare che dopo una seduta di poco più di un’ora, viene montata al paziente la sua nuova protesi fissa sostenuta dagli impianti appena inseriti (carico immediato), dandogli la possibilità di masticare e sorridere immediatamente. In passato erano necessari mesi o addirittura anni per poter raggiungere questi risultati. In pratica si può dire che con l’implantologia computer guidata, i portatori di protesi totale o parziale mobile possono dare “un calcio” alla dentiera in un sol colpo». È una metodologia utilizzabile per qualunque paziente?

«Poiché l’implantologia guidata dal computer, o Computer Guided Implantology C.G.I., consente degli interventi minimamente invasivi, è particolarmente indicata per i pazienti normalmente considerati a rischio di insuccesso. L’unico limite reale all’applicazione di questa metodica è una ridotta apertura patologica della bocca o un’angusta dimensione della rima labiale. Si tratta, quindi, di una metodologia che consente di operare in grande sicurezza e con precisione sub millimetrica accurata, accorciando di molto i tempi di trattamento e quindi adatta e consigliabile a tutti».

Dott. Alessandro Palumbo, Odontoiatra C.so Umberto 1°, 35 - 65122 Pescara; Tel e Fax: 085.373328; Mob.3929784505 Sito internet: www.alessandropalumbo.net e-mail: alepalu@tin.it






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