Menabo marilina marchica

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Marilina Marchica signs and landscapes a cura di Cristina Costanzo


Marilina Marchica signs and landscapes a cura di Cristina Costanzo


In copertina PaperLandscape#, tecnica mista su tela, 2015

Via Atenea, 91 - Agrigento FAMGallery www.famgallery.it info@famgallery.it

Volume realizzato in occasione della mostra Marili a Marchica sig s a d la dscapes a cura di Cristina Costanzo Agrigento, Fam Gallery 3 settembre| 24 settembre 2016

® 2016 Copyright immagini FAM Gallery e Marilina Marchica © 2016 edizioni FAM Gallery Tutti i diritti di riproduzione delle immagini e dei testi so o vietati se o espressa e te autorizzati dall editore. La

isura delle opera è espressa i

e ti etri, l altezza pre ede la ase


Marilina Marchica signs and landscapes

A cura di Cristina Costanzo Con testi di Alfonso Leto Dario OrphĂŠe La Mendola Ideazione e realizzazione Paolo Minacori Apparati Maria Rosso Crediti fotografici Angelo Pitrone Ufficio stampa Carmela Grasso Simonetta Trovato Grafica e allestimenti

Assicurazioni Generali Agenzia di Agrigento Con il patrocinio del COMUNE DI AGRIGENTO

Ringraziamenti Cristina Costanzo Alfonso Leto Dario OrphĂŠe La Mendola Angelo Pitrone Maria Rosso



L’incontro con un giovane artista è sempre entusiasmante. Di Marilina Marchica conoscevo la produzione visitando le collettive dove ha esposto e attraverso le immagini che lei stessa veicola sui social. Le prima sensazioni che le opere di Marilina suscitano sono di una materia familiare, invitante, quasi tattile, e sono percezioni che vanno costruendo, poco a poco, piccoli depositi di memoria. L’idea parte dal muro, il degrado, il deterioramento, l’impronta, le incisioni e i segni che formano le sue parti. Con lo scorrere del tempo anche ciò che gli era estraneo, in superfice, è passato a far parte del muro. L’incisione, il solco, il colpo, la cavità, la perforazione, sono elementi che finiranno per appartenergli. Da questo topos iniziale, comincia il progetto comunicativo di Marilina Marchica, il grafema si espande e raggiunge la dimensione del paesaggio (Landscapes#), altre volte si riduce ad una ricerca segnica (Signs#). Ogni opera è una complessa narrazione che racconta di terra, di silenzio, di memoria, di fragilità. La pubblicazione di questo volume e la prima mostra personale di Marilina Marchica, con la cura ed il testo critico di Cristina Costanzo e i contributi di Alfonso Leto e Dario Orphée, che ringrazio, dà il via, in un contesto di prima storicizzazione, alla carriera della giovane pittrice, secondo i canoni che l’odierno sistema dell’arte pretende.

Paolo Minacori



Indice

A levare, tra materia e memoria Cristina Costanzo

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Pittura smodata Alfonso Leto

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L at osfera di se stessi Dario OrphĂŠe La Mendola

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Opere

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Didascalie

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Biografia

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Bibliografia

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A levare, tra materia e memoria Cristina Costanzo

Protagonisti della ricerca di Marilina Marchica (Agrigento, 1984) sono il segno e la traccia mediante la riduzione e la sottrazione di molteplici e contrastanti pensieri, stati d’animo e sentimenti che l’artista trasferisce sulla superficie delle sue opere. Olio, iuta, smalto, carta, ferro, carboncino, paste di marmo, come elemento dominante o contaminati tra loro, sono oggetto della continua scoperta di un’artista curiosa e sensibile, interessata alle diverse sfumature della realtà, ai paesaggi e alle città che giorno dopo giorno accolgono eventi e individui, segni di un tempo in continuo divenire. La sua formazione, dopo gli studi al Liceo Artistico di Agrigento, si compie presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove consegue la Laurea in Pittura con una tesi sulle Architetture urbane, relatore Adriano Baccilieri. Proprio tale clima culturale suggerisce un confronto tra alcune delle sue opere, in particolare la serie “City”, e la ricerca di uno dei maggiori esponenti dell’arte italiana del XX secolo, Giorgio Morandi che a Bologna è nato e ha operato per tutta la vita. “City” è una serie di vedute urbane che si caratterizza per un tratto sintetico, riconoscibile grazie a una peculiare cifra stilistica in cui si fondono stasi e memoria. All’orizzonte si stagliano le case con i loro muri dalle superfici che si increspano sulla materia raccontando un vissuto comune. Le tonalità cromatiche più frequenti sono il bianco e il grigio con la reiterazione, sempre contenuta, del rosso capace di accendere immagini poetiche e rarefatte che accolgono un senso, intimo e profondo, di appartenenza ai luoghi. La linea dell’orizzonte ritorna nella serie “Landscapes”, paesaggi entropici in equilibrio tra ordine e disordine, caos e cosmo. Vi compare un’efficace prassi minimalista, volta a cogliere la dimensione nascosta di tali paesaggi in cui il tempo e i luoghi si ricongiungono nello spazio della memoria, campo d’azione prediletto dell’artista. Interessante il modus operandi sviluppato nel corso di un soggiorno in Spagna, durante il quale l’artista con la sua macchina fotografica esplora diversi luoghi e in particolare, tra strade e palazzi, attira la sua attenzione Plaza de San Felipe Neri, sita nel centro storico di Barcellona, dove alcuni bambini si rincorrono sullo sfondo della chiesa gotica dalle superfici scheggiate e forate dal bombardamento del 30 gennaio 1938. Il muro, diaframma tra ciò che è custodito all’interno e ciò che sta fuori, diviene di fondamentale importanza per l’indagine dell’artista che cristallizzando crolli e demolizioni li libera dall’oblio conferendo loro una dimensione universale, metafora della vita e delle sue stagioni. La fragilità, intesa come caducità della vita, è un’imprescindibile chiave di lettura per il lavoro dell’artista come si evince dal progetto “Terra fragile”, legato all’interesse degli esordi per le architetture urbane con i loro ruderi. Il progetto si focalizza su alcuni temi ricorrenti nella ricerca della Marchica come il rapporto 8


“uomo-natura”, “memoria-tempo”, e “terra-materia”. Epifanico l’episodio relativo al crollo di un costone argilloso a ridosso di un palazzo nel centro di Agrigento che richiama l’artista invitandola, in uno scenario destabilizzante, a raccogliere “pezzi di case”, mattoni, piastrelle, piatti. Quei frammenti di una vita vissuta, oltre quel muro e oltre quella frana, esercitano un grande fascino sull’artista, interessata a collezionarli, catalogarli, attraversarli, e la invitano a riflettere sulla memoria, spesso oggetto di un cortocircuito che può fungere da scintilla per un nuovo inizio. “L’unica radice che ho mi fa male”, scrive la poetessa Alda Merini, ed è proprio a questa radice, intesa come origine e inizio, che si rivolge Marilina Marchica, ribelle e a tratti ermetica, con l’omonima serie. “Radice” è il titolo di un nucleo di dipinti, di rothkiana memoria, in cui l’astrazione della realtà è animata da qualcosa di viscerale che allude non soltanto alla nascita ma anche alla rigenerazione e diviene tutt’uno con l’esistenza. Il progetto “TAG/Impronta”, condotto con Roberto Pecoraro, porta alle estreme conseguenze l’indagine sulla materia e sulle sue qualità espressive. La città funge da richiamo per l’artista che torna a focalizzarsi sull’architettura urbana, sulle strade e sui muri puntellati ed esposti al degrado, osservati e ricercati in quanto espressione della memoria. La Marchica realizza una serie di calchi in silicone da cui ricava un’impronta delle architetture originali ma a cui conferisce un nuovo significato. Ne deriva una sorta di “calco semantico”: l’impronta, in un continuo confronto tra passato e presente, accoglie la “memoria del divenire”. Le più recenti opere realizzate su lastre di ferro, infine, sono icone intime e misteriose che scaturiscono dalla scarnificazione di segni e contenuti e si ricollegano all’indagine sulla memoria come frontiera, attraverso una ricerca particolarmente originale volta a scandagliare il significato più profondo della relazione tra uomo e natura nel tempo. Confrontandosi con la realtà oggettiva, estraniandosene o avvicinandosi ad essa a tal punto da perdere l’insieme, l’artista resta fedele a un procedimento a levare che tende a rimuovere ciò che è superfluo per mostrare e condividere il senso che emerge dagli strappi, dalle lacerazioni e dagli scarti, in una parola l’essenza. Le opere della Marchica, riconducibili a serie che hanno una data di inizio ma sono in costante aggiornamento, esprimono pertanto un universo sommerso, capace di emergere per mostrarci, attraverso la forma, l’essenza più profonda, la nostra e quella dell’artista. Tra intimismo e sperimentazione andando oltre e guardando altrove Marilina Marchica rappresenta quelle molteplici, variabili e invisibili “costellazioni di significato” che fanno parte del quotidiano e connotano il contemporaneo come scenario mutevole e incerto.

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Pittura smodata Alfonso Leto Nell’estate del 1953, soggiornando ad Agrigento, Nicholas De Staël, grande pittore della sintesi e del dominio della visione, era rimasto folgorato dai colori saturi di luce, dagli orizzonti risoluti, dall’organizzazione plastica del paesaggio, dalle sue topografie. Proprio qui, i suoi colori si erano riaccesi violentemente (dopo una produzione cupa e tendente alla monocromia). Produsse una grande quantità di disegni e di appunti che poi, pregno di quelle visioni, trasformò in un memorabile ciclo di opere dedicate al nostro paesaggio. Proprio così: pare che qui da noi, ad Agrigento, bisognerebbe essere stranieri (oltre che genialmente sensibili) per entrare in intimità con la visione d’insieme, con l’anima stessa della forma che dal Caos (parola che sembra forgiata proprio qui) si riordina nelle forme e in una lingua primordiali. Oppure è così anche quando si è già stranieri “a casa propria”, nella propria terra natìa, come mi appaiono la pittura e lo sguardo di Marilina Marchica, agrigentina di anagrafe e di fatto. Se ho usato, in controluce, il ricordo, forse a pochi noto, di De Staël ad Agrigento, per introdurre la pittura di Marilina, è proprio perché il sotterra che nutre il lavoro della nostra artista è lo stesso che ha nutrito il lavoro dell’artista russo-francese, la medesima ossessione: trascinare la realtà alle soglie dell’astrazione, come uno scalpo portato in dote, un baratto di guerra, la comprova di essere riusciti a giocare e a battere quella che gli artisti delle avanguardie chiamavano termine oggi alquanto lontano “la visione oggettiva della realtà”: il confine da superare. Ciò che però rende originale, e non emulativo, il lavoro di Marilina è proprio la rarità odierna di un codice visivo come il suo (geneticamente inscritto nel côté espressionista- informale-materico), per una giovane artista come lei, specialmente se guardiamo il contesto della sua generazione quasi interamente fagocitata dall’ondata dei neoinstallatori di ritorno, dai pittori consacrati alla fotomania, di fotografi ricettatori di antiche simbologie giá forgiate dalla pittura... Insomma, tutta una merceologia dell’estetica contemporanea al cui cospetto le opere di Marilina Marchica si presentano con uno smodato (alias senza moda) desiderio di fregarsene altamente e consapevolmente di tutto ciò. Una pittura che si fa già raffinato e concreto esercizio di nostalgia. Nostalgia di quel tempo in cui negli studi degli artisti si sentiva lo stesso odore pungente del fabbroferraio, del fuochista, del mesticatore; un batti e ribatti di lamiere che ostinatamente l’artista vuole far entrare nel suo paradiso del linguaggio, bruciando, bucando, corrodendo, graffendo le pareti uterine della superficie perché l’immagine fuoriesca urlando tutta la sua indisponibilità a stare al mondo; piegando, gualcendo, sporcando la vecchia tela fino a simulare lo stato di de-composizione dell’immagine, sia essa paesaggio, sia essa figura, non importa: paesaggi e figure “voci di dentro”, che nello stesso momento in cui invocano il confronto con la realtà se ne ritraggono rigettandola, per rifondare una visione autonoma e parallela. Questi quadri, infine, ci fanno desiderare quel tempo in cui un giovane pittore di nome Jackson Pollock sognava il futuro dell’arte scrivendo così in una lettera al padre, nel 1932:

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«…Ancora una settantina d’anni e sarò un buon artista. Essere artista è la vita stessa: è vivere, voglio dire. E quando dico artista, non lo dico in senso stretto; penso all’uomo che costruisce le cose, che crea, che lavora la terra, le pianure dell’Ovest come le miniere di ferro della Pennsylvania. È sempre un problema di costruzione: con un badile, con una penna o con un pennello. (…) Questo è il nuovo compito dell’artista: costruire col muratore, col carpentiere…». Ecco ciò che auguro a Marilina e alla sua pittura che sembra invocare, desiderare, quelle premonizioni di Pollock: un futuro in cui le sue visioni possano ingigantirsi, diventare architettura, sfondare il muro del suo studio, della galleria, e incarnarsi nella città.

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L’atmosfera di se stessi Dario Orphée La Mendola

Il paradigma percettivo da cui prendiamo le mosse non è quello in cui vi è un soggetto che si riferisce a un soggetto. Il fatto percettivo basilare per la nostra indagine è anteriore a ogni scissione soggetto/oggetto. G. Böhme Siccome un bel tacere non fu mai scritto un bello scritto non fu mai tacere. A. Zanzotto

1. Una certa autonomia, insieme alla scoperta di una differente “posizione percettiva” da parte del pittore, avvenuta, per convenzione, durante il diciannovesimo secolo, permetterà all’arte di mutare nelle forme simboliche e interrogarsi maggiormente sul suo valore di “superficie” dell’esistenza che rappresenta verosimilmente il fenomeno, approdando lentamente alle caratteristiche di strumento di indagine (e sapiente capriccio dell’artista, aggiungerei) in grado di oltrepassare qualsiasi limite imposto dal senso, più di quanto non lo fosse stato in passato. Tale strumento, ovviamente, sfiderà il fenomeno stesso: il quale, in coscienza di sé, dunque imitato, rimarrà sempre immagine, ma adesso sarà strettamente affiancato all’emozione che esso suscita e ai concetti intrisi di innumerevoli, e probabilmente indicibili, prospettive. L’opera, insomma, almeno per gli occhi che oggi hanno il privilegio di gustare le ultime intuizioni, è qualcosa di poco diverso da ciò che rappresenta, spesso nemmeno riconoscibile in base a quello che desirerebbe narrare; e tuttavia, senza affermare o negare precise sue indicazioni, apre pagine della mente su cui affiorano affascinanti terminologie con la freschezza di una sorpresa. Ed ecco che finalmente, stanco dello spazio che lo circonda, anche per rispondere a una necessaria evasione dettata dalla tendenza onirica, lo sguardo del pittore, che si lascia attraversare dal fenomeno con cui ha lungamente lottato, corregge le cornici del mondo e ne dipinge altre: i suoi pennelli muovono verso geometrie innovative e si intingono su una tavolozza i cui colori hanno regole segrete; le sue pulsioni catturano le categorie e le trasformano. Tutto questo, che comunque risente di una condizione fisica che ci riguarda (altrimenti non si sarebbe minimamente tentato il gioco), e della quale non saremo mai slegati finché percepiamo, se ne sta “appeso” in una configurazione che definiamo, in modo corretto, atmosfera. 2. Atmosfera è affine a respirare. La parola disegna una precisa immagine: un soffio di vapore che rincorre se stesso all’interno di un globo, mescolandosi. Posta in questo modo, chiaramente non può sussistere divisione tra

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atmosfera e chi la esperisce; soprattutto perché il nostro esperire è atmosferico. Entrambe le condizioni si intrecciano in un dialogo che è “interno” ed “esterno” alle affezioni dell'anima: le uniche “lanterne” con la facoltà di illuminare gli angoli bui in cui vaghiamo. Questa è la differente “posizione percettiva” che coadiuva gli interrogativi sorti, giustamente, accanto quelle cornici del mondo che vuole essere sempre decodificato. 3. Marilina Marchica passa gli anni di studio tra l’Accademia di Bologna e le viuzze della città vecchia di Barcellona. In questi due luoghi inizia a maturare interesse, poi amore, nei confronti delle architetture urbane: la sua costante figurativa in pittura. Se ancora a Bologna ella opera per una figura fissa, anche “pesante” nella sua presenza, cioè veramente architettonica, pure nelle solidità, in Spagna, e con il ritorno ad Agrigento, i soggetti e punti di fuga, precedentemente schematici, si perdono con la fluidità dei paesaggi immaginari; quasi, a un tratto, l’osservazione della Marchica venga spostata su “finestre” più elevate, e la sua pupilla riceva una velatura (o il suo contrario, fa lo stesso) che concentra l’attenzione a elementi più sentimentali che sensoriali. A Barcellona, tra le calle della ciudad vieja, imbracciando la reflex, immersa nel gotico, e da questo suggerita, si avvia il suo orizzonte pittorico. Le foto, spesso ossessive, scattate per catalogare ogni curiosità che, dentro ella si sarebbero trasformate più tardi in collage di pennellate, diventano fonte utile per estrapolare dei ritagli astratti i quali, in un ordine determinato dalla stessa Marchica, si agganciano l’un l’altro congelando “pezzi” di significato in cui la forma è l’eco di se stessa: ora componendosi, ora modificandosi. 4. Vicoli, piazze e palazzi. La natura, prima manipolata, poi riempita di logica e dunque resa città, luogo in cui la vita dall’uomo gli appartiene perché illusoriamente da se stesso prodotta, è ispirazione di ogni suo bozzetto. Finché l’impatto con un muro (un impatto prettamente psichico, simile a una sorta di improvvisa verità manifestata) non accompagnerà la sua ricerca in un porto dalle acque calme, nel quale sondare i fondali e trovare il giusto collante per quei frammenti sovrapposti unicamente dalla voglia di foggiare imprendibili visioni. Ed è in plaza San Felipe Neri, infatti, che ciò giunge. Lo scenario: un’assolata giornata; schiamazzi di bambini che giocano; la vita che passa come sempre; Marilina al centro della piazza. Sul muro che la racchiudeva, la Marchica si accorse dei fori causati dal bombardamento del 1938. Ella intravide, tra foro e foro, e dal sussurrare del presente, il quale è silenzioso nella vastità della sua leggiadria, la memoria impressa dal tempo; e dalla violenza. Ma è con il ritorno ad Agrigento che le conoscenze iberiche si contestualizzano: la città dei Templi e dei crolli, dei resti architettonici antichi e contemporanei, indirizzeranno Marilina a una pittura meno strutturata e più “fragile”, come l'arenaria da cui Girgenti respira, e il cemento della speculazione che la soffoca. 5. La tecnica è mista: paste di marmo, carte, collage, iuta, oli e smalti; le cromie tenui che non sbavano dalle scale di grigi, metaforicamente analoghe al territorio; e sul palco i paesaggi urbani, taciturni, che fioriscono dai materiali raccolti dall’autrice nel corso del tempo. Nell’esecuzione tutto è proiettato all’indefinito, anche se questo diventa ostacolo murario, i cui rilievi assorbono la memoria custodendola in profonde ferite, testimonianza rugosa del passato, o panorama appena percettibile, attraversato da gelidi venti e privo di sentieri in grado di guidarci verso un’ipotetica uscita. Il silenzio delle atmosfere grigiastre si accorda ai tratti scarni che la strutturano, in cui la materia che accoglie e si decompone è sempre protagonista. Nulla è eccessivamente informe, poiché tutto è una nostalgia del disegno più elementare: quella traccia tenera della matita sulla carta, che magicamente riesce a costruire significati e a incantare nell’atmosfera di se stessi.

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OPERE

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LANDSCAPES#

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WALL#

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SIGNS#

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ROOT#

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DIDASCALIE

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Opera

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Titolo

Tecnica

Misure (hxl) cm

Anno

Pag.

Landscape#

Tecnica mista su tela

80x80

2016

18

Landscape#

Tecnica mista su tela

80x80

2016

19

PaperLandscape#

Tecnica mista e collage su tela di juta

70x70

2016

20

PaperLandscape #

Tecnica mista e collage su tela di cotone

70x70

2016

21

PaperLandscape#

Tecnica mista su tela

100x120

2015

22

Landscape#

Tecnica mista su tela di juta

98x103

2014

23

PaperLandscape#

Tecnica mista e collage su tela

50x50

2015

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Opera

Titolo

Tecnica

Misure (hxl) cm

Anno

Pag.

PaperLandscape#

Tecnica mista e collage su tela

50x50

2015

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PaperLandscape#

Tecnica mista e collage su tela di juta

100x70x2

2016

26

Landscape#

Tecnica mista su tela

100x100

2016

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PaperLandscape#

Tecnicamista su tela

60x80

2016

28

PaperLandscape#

Tecnica mista su tavola

67x67x2

2015

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Landscape#

Tecnica mista su tela

70x50

2016

30

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Opera

60

Titolo

Tecnica

Misure (hxl) cm

Anno

Pag.

Landscape#

Tecnica mista su lastra di ferro

100x40x2

2016

31

Landscape#

Tecnica mista su lastra di ferro

100x40x2

2016

32

Landscape#

Tecnica mista su tela di juta

150x156

2014

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Wall#

Tecnica mista su tela di cotone

85c120

2015

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Opera

Titolo

Tecnica

Misure (hxl) cm

Anno

Pag.

Sign#

Tecnica mista su tela

80x60

2016

38

Sign#

Tecnica mista su tela

200x100x2

2016

39

Sign#

Tecnica mista su tela

100x70x2

2016

40

Sign#

Tecnica mista su tela

100x100

2016

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Sign#

Tecnica mista su tela

400x2

2016

42

Sign#

Tecnica mista su tela

30x40x2

2016

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Opera

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Titolo

Tecnica

Misure (hxl) cm

Anno

Pag.

Sign#

Tecnica mista su tela

30x40x2

2016

44

Sign#

Tecnica mista su tela di cotone

300cm

2016

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Sign#

Tecnica mista su lastra di ferro

100x80x2

2016

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Sign#

Tecnica mista su lastra di ferro

100x80x2

2016

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Sign#

Tecnica mista lastra di ferro

100x80x2

2016

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Sign#

Tecnica mista su lastra di ferro

100x80x2

2016

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Opera

Titolo

Tecnica

Misure (hxl) cm

Anno

Pag.

Root#

Tecnica mista su tela di juta

150x156

2015

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Root#

Tecnica mista su tela

80x80

2016

53

Root#

Tecnica mista su tela

40X40

2016

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Root#

Tecnica mista su tela di cotone

40x40

2016

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Biografia / Biography

Marilina Marchica è nata ad Agrigento nel 1984, dove vive e lavora. Nel 2004 ha conseguito il diploma presso il Li eo Artisti o Mi hela gelo di Agrige to, el 2007 ha svolto l Eras us presso la U iversidad Politécnica de Valencia e nel 2008 si è laureata i Pittura presso l A ade ia di Belle Arti di Bolog a. Ha parte ipato a diverse ostre sul territorio azio ale e all estero. Marilina Marchica was born in 1984 in Agrigento, where she lives and works. After receiving her diploma at Liceo Artistico Michela gelo i Agrige to, she oved to “pai for the Eras us project at the U iversidad Politécnica de Valencia and in 2008 she graduated in Painting at the Accademy of Fine Arts in Bologna. She has taken part in several exhibitions in Italy and abroad.

Mostre collettive | Group Shows 2016 Realmonte, Galleria A Sud Arte Contemporanea, Fuoriquadro - Incontrarsi a Sud 2015 Milano, Fondazione Bracco, La terra nutre il pianeta, a cura di / curated by Mostrami Factory Milano Caltagirone, S.C.I. Spazio Contemporaneo Indipendente, # Mansurcing Numero Zero, a cura di / curated by Demetrio Di Grado, testi critici di / essays by Valentina Leonardi, Nicola Aniello Bravo, Maria Rita Orlando Agrigento, Galleria Officina delle Arti, Tag/impronta project, Marilina Marchica e Roberto Pecoraro 2014 Paler o, Galleria L altro Arte Co te pora ea, Selfie and Portraits, a cura di / curated by Nicola Aniello Bravo Pietrasanta, Corte palle, Visioni Urbane 65


Agrigento, Studio Artificio, RI-tratto, a cura di / curated by Studio Artificio Agrigento, Opening Studio Artificio, a cura di / curated by Studio Artificio, testo critico di/ essay by Dario Orphèe Agrigento, Opening Cannameli Gallery project, a cura di / curated by Studio Artificio 2013 Boston, Center Audio Concepts, De Colores, International Exhibition, a cura di / curated by Elements Design Gallery Paler o, Galleria L altro Arte Co te pora ea, Colori della Costituzione Caltagiro e, MACC Museo d Arte Co te pora ea Caltagiro e, Pink Art&Design, a cura di / curated by Andrea Branciforti, Demetrio Di Grado, testo critico di /essay by Domenico Amoroso Palermo, Chiesa di San Mamiliano, Quest’ora su tutte le ore, a cura di / curated by Nicola Bravo 2012 Bologna, Museo Civico di Arte Industriale Bargellini, Eternepartenze - Rassegna Internazionale della creatività nel presente, a cura di / curated by Alfonso Fraia, Tiziana Marongiu Milano, Bertold Brencht Centre, Circuiti dinamici 14, a cura di / curated by StatArt Torino, Centro Culturale Azimut, Io Espongo Bologna, Circolo artistico Iterarte, Emerging Artists Exhibition Fiere d’arte | Art Fairs 2010 North Sensation South, a ura di / urated y ‘o erto Pe oraro, L Altra Arte, Agrige to Agrigento Art Fair, a cura di / curated by Centro Studi Erato, testo di / essay by Francesco Gallo, Agrigento 66


Bibliografia | Publications Dario Orphèe, Marilina Marchica, Quarterly of Art / Officina delle Arti, n. 3/2016, Agrigento 2016, pp. 14-17 Fuoriquadro, catalogo della mostra a cura di / catalogue exhibition a cura di Aldo Gerbino, A Sud Arte Contemporanea, Realmonte 2016 The new collectors book 2015, a cura di / curated by Basak Malone, New York 2015 #Mansurcing Numero Zero, catalogo della mostra a cura di / catalogue exhibition curated by Valentina Leonardi, Nicola Aniello Bravo, Maria Rita Orlando, Caltagirone 2015 Selfie and portraits, catalogo della mostra a cura di / catalogue exhibition curated by Nicola Aniello Bravo, Palermo 2014 Pink Art & Design, catalogo della mostra a cura di / catalogue exhibition curated by Domenico Amoroso, Caltagirone 2013 Eternepartenze Rassegna Internazionale della creatività nel presente, catalogo della mostra / catalogue exhibition, Bologna 2012 Circuiti Dinamici, catalogo della mostra a cura di/ catalogue exhibition curated by Daniele Pacchiana, Jessica Paolillo, Milano 2012 North Sensation South, catalogo a cura di / catalogue curated by Roberto Pecoraro, Agrigento 2010 Agrigento Art Fair, catalogo a cura di / catalogue curated by Centro Studi Erato, testo di / essay by Francesco Gallo, Agrigento 2010 Sitografia | Websites http://marilinamarchica.tumblr.com/ https://www.saatchiart.com/MarilinaMarchica https://www.artfinder.com/marilina-marchica 67


Finito di stampare nel mese di settembre 2016 per conto di FAM Gallery, Agrigento | Italy

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