CHAMOIS ECO-TECH COMPREHENSIVE PLAN: LOOKING FOR Tesi di Laurea in Architettura Costruzione e CittĂ Anno accademico 2017 | Sessione settembre 2017 Studentessa - Mariolina De Paolis Relatori - Alessandro Mazzotta | Giuseppe Roccasalva
Schema del processo *** 1. Incontri Partecipati
2.
1. Raccolta Generale Casi Studio
3. 2. 3..
Riflessione e Analisi Critica
Viaggio-Studio
1. Riflessione e Analisi Critica
Raccolta Casi Studio Alpini-Montani 2.. Riflessione e Analisi Critica
Co l’A nfro tel nto ier di con pro Co g. n l’A fro tel nto ier di con pro g. Co l’A nfro tel nto ier di con MO prog . ST RA Co l’A nfro tel nto ier di con pro g.
COSTRUZIONE SCENARIO STRATEGICO
WORKSHOP
CONCLUSIONI o ent ico am ateg r fin Af rio St na le Sce con ali to c o on L e nfr na Co litich iu e d ca Po ion egi raz strat di bo Ela isione Stato dio u v ello St si d l Caso ali An to de t e Fa ion raz tri bo ncon ela i Ri da I ipat o c Inf arte p
Indice 0. PREMESSA 1. INTRODUZIONE Turismo e Borghi: un rinnovato interesse
p.1
2.1. PROLOGO //A. Casi paradigmatici
p.7
2.1.1. l’arte come veicolo della rinascita. “Il Borgo degli Artisti” *Bussana Vecchia *Calcata *Cervara di Roma *Biennio *Modica Alta *San Sebastiano Curone
p.11 p.14 p.26 p.30 p.38 p.42 p.48
2.1.2. un modello ricettivo che complessifica le regole del turismo. p.57 L’Albergo Diffuso p.62 *Santo Stefano di Sessanio p.68 *Sassi di Matera p.74 *Torre del Colle *Castel S Giovanni della Botonta p.77 p.79 *Eremito 2.1.3. retorica ambientale e neo-utopia sociale. L’Eco Villaggio *Torri Superiore *PER 2.1.4. connettività fra le mura storiche. “Il Borgo Telematico” *Colletta di Castelbianco 2.1.5. nonsoloturismo per la produzione. “Il Borgo Produttivo” *Solomeo *Borgo Pischiello
p.83 p.88 p.93 p.99 p.101 p.107 p.111 p.116
2.1.6. musealizzazione spontanea. “Il Borgo Museo” *Poggioreale Antica
p.123
2.2. PROLOGO //B. Spunti di riflessione
p.135
3.1. LA QUESTIONE MONTANA //A. Il contesto alpino
p.163
3.1. LA QUESTIONE MONTANA //B. Letture e interpretazioni
p.187
3.2.1. Il restauro e progetto contemporaneo motori di nuove interpretazioni *Ostana *Paraloup
p.189
p.128
p.190 p.196
3.2.2. utenza e integrazione sociale nella gestione dell’ospitalità p.203 p.235 diffusa p.206 *Borgata Sauris p.218 *Mascognaz 3.2.3. la riscoperta del moderno, implicazioni nel turismo. Le Ski Total *Sansicario *Sestriere *Cervinia
p.223 p.226 p.235 p.243
3.2.4.archeologica industriale in rete. Il Parco Minerario *Cogne *Brusson
p.255
4. CASO STUDIO. CHAMOIS Eco-tech Comprehensive Plan
p.269
p.256 p.262
0
PREMESSA
A
vendo avuto la possibilità di partecipare ad un lavoro corale incentrato su Chamois (AO), un lavoro che indagasse le potenzialità intrinseche del luogo, apportando per mezzo del segno contemporaneo dell’architettura nuove possibilità ad un contesto alpino e ai suoi fruitori, ho contribuito con la mia ricerca, alla realizzazione di un piano di trasformazione del paese. Una visione strategica finalizzata ad intercettare le esigenze e le potenzialità presenti e future del luogo in un disegno comprensivo di una pluralità di progetti volti allo sviluppo del territorio. Il progetto di architettura contemporanea in un contesto alpino, un borgo alpino come scenario di una trasformazione futura, una comunità in cui individuare possibili attori ed i fruitori. Il contesto nel quale l’Atelier di Tesi “Chamois Eco-Tech Comprehensive Plan” ha condotto la ricerca, è stato creato dal susseguirsi di momenti significativi, la cui somma ha portato alla determinazione di un quadro completo, composto da più segmenti dedicati alla comprensione e all’analisi del territorio e della società oggetti di studio, dal dibattito e dal confronto con la popolazione abitante, dall’osservazione di casi emblematici e infine dall’avanzamento di una proposta tale da abbracciare tutte le tematiche emerse nel percorso progettuale. La possibilità del dialogo con gli abitanti locali, scaturita dall’organizzazione di una serie di incontri partecipati, ha costituito una fase essenziale
dell’intero iter. Attraverso questo processo di partecipazione, che ha dimostrato la valenza sociale dell’architettura, non solo in quanto elemento fisico inserito in un contesto antropizzato, ma anche come tema di dibattito e strumento di indagine collettiva, sono state poste le basi per il disegno del “Comprehensive Plan”. Obiettivi, strategie e visioni, che sono stati prodotti in nell’arco della durata del Workshop e successivamente reinterpretati e ricalibrati, portando avanti un lavoro di costante correlazione e confronto fra l’avanzamento progettuale, e la dimensione teorica ricondotta dalle analisi appositamente effettuate. L’indagine svolta nel contesto alpino, grazie anche all’opportunità di intraprendere un viaggio organizzato, dedicato all’osservazione diretta di casi studio appositamente selezionati, e le strategie e gli scenari emersi dall’analisi condotta attraverso l’individuazione dei casi paradigmatici in un’ulteriore fase di ricerca estesa all’intero contesto italiano, costituiscono infatti la premessa metodologica di questa tesi, il cui intento è quello di presentare la proposta di una visione strategica che accompagni e concorra alla delineazione del “Comprehensive Plan” del paese di Chamois, apportando ulteriori spunti e complessità al lavoro corale. La creazione di un contributo strategico, oltre a costituire una linea guida che permetta l’identificazione di un determinato approccio alla progettazione e gli obiettivi da perseguire con esso, assume la valenza di strumento, per mezzo del quale risulta possi-
bile verificare e coordinare fra loro le singole progettualità contribuendo all’armonia, alla coerenza e alla definizione delle progettazioni nelle loro complessità. Previa un’analisi approfondita delle dinamiche che investono i centri minori italiani, riscoperti in questi ultimi anni per il loro valore storico e potenziale, questa Tesi di Laurea Magistrale propone una lettura del paese di Chamois, volta all’identificazione delle caratteristiche intrinseche ed estrinseche permeanti il territorio, e, a partire da questa, l’avanzamento di una visione strategica coerente con il luogo e con gli intenti di trasformazione avanzati, proiettata su un’ipotesi di sviluppo territoriale incentrato su un offerta turistica di qualità (scelta avvenuta coerentemente con l’identità del paese), esplicitata dal segno dell’architettura contemporanea che, senza mascherarsi dietro mimetismi, si pone come veicolo per l’innovazione del centro, concorrendo a rinnovate percezioni della montagna.
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Capitolo primo
INTRODUZIONE Turismo e Borghi: un rinnovato interesse
1
L
e vie strette strette, le chiese, il profumo di pietanza preparata da qualche nonna, le pietre, una fontanella, finestre di legno, passi che rintoccano per le stradine, scale e scalette, porticine portoni e porticati. E ancora chiese, piazzette, pozzi. Effigi e vecchie insegne, anziani abbronzati, palazzotti, mura, salite e discese. Un campanile. Dagli angoli si intravedono scorci di natura. Alberi e montagne, il mare, i campi coltivati e colline rigogliose. E poi ancora mattoni, cancelli in ferro, orticelli, volte e torrette. Su e giù per stradine, pioggia e pavimento scivoloso; sole e odore di mare; neve, pini e montagne.. Un castello; aiuole fiorite, panchine. Il silenzio allegro, un mulo, un cane. La luce mattutina, il buio della sera e il calore del camino. Qual’ è il ruolo dell’ architettura contemporanea? Quali sono i segni fisici da ricercare in questa delicata azione di rivitalizzazione e disvelamento dei luoghi della tradizione? Da qualche tempo è possibile riscontrare un forte interesse nei confronti del partimonio minore, di tutti quei piccoli centri italiani, che per anni son o stati, in parte o del tutto, marginali ai processi di sviluppo , economico, territoriale, culturale e sociale che vedevano nelle città il teatro delle proprie rappresentazioni. Complici la crisi economica, la sempre maggior consapevolezza dell’importanza del partimonio storico, artistico, paesaggistico, ed enogastronomico del Paese, 2
e le nuove interpretazioni sorte sul vivere e sulle dinamiche sociali, per contrastare l’enorme freddezza e la scioccante onnipresenza della digitalizzazione dei nostri tempi, i borghi sono tornati ad essere i luoghi del vivere. Sono inaffti accoglienti, per certi aspetti , lo sono più delle città, sono silenziosi, alcuni sono malridotti, spopolati, eppure contengono delle potenzialità. è questo potenziale inespresso che alletta gli esperti, ed anche, e sempre più i giovani, che trovano in questi piccoli centri una dimensione in cui sperimentare modi del lavoro lontani dalle pressioni urbane-. ma i borghi italiani piacciono soprattutto ai turisti, stranieri e nostrani; sono attirati dalle nuove dinamiche di ospitalità che stanno prendendo piede , modelli lontani da quelli tradizionali. ci si sente a casa in questi posti, è per quello che piacciono tanto. Quest’anno, il 2017, è “l’annata dei borghi” si è assistito ad un notevole incremento delle visite rispetto agli ultimi anni , e con esse un rifiorire delle associazioni a questi rivolti (Borghi Autentici, Borghi più belli d’Italia, Touring Club..), che negli ultimi tempi hanno intensificato l’opera di promozione al pubblico, messa in rete delle singole realtà e diffusione dell’informazione. A cosa si deve la loro rinascita? quali sono le strategie messe in capo per la loro valorizzazione? l’obiettivo di questo capitolo è quello di individuare, tramite una raccolta non esaustiva di “casi paradigmatici”, alcune delle dinamiche che concorrono alla riattivazione sociale ed economica di queste località minori, cercando di capire quali sono o potrebbero es3
sere le implicazioni dell’architettura in questi processi. il fine ultimo è quello di ottenere un quadro rappresentativo della situazione italiana dei centri minori , tra i quali figura Chamois, caso studio di questa tesi di laurea, che possa fornire una base di competenze tali da poter operare nel lavoro di ricerca di una visone strategica per lo sviluppo del paese, volto all’apporto di una maggior complessità al disegno corale del “Comprehensive plan” di Chamois.
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2017 ANNO DEI BORGHI
1. OBIETTIVI PIANO STRATEGICO 2017-22 DEL TURISMO
RINNOVAMENTO E AMPLIAMENTO DELL’OFFERTA TURISTICA
2.
VALORIZZAZIONE DI NUOVE METE
3..
CREAZIONE DI OCCUPAZIONE
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2.1
Casi Paradigmatici
PROLOGO// A.
7
Q
uesto capitolo è dedicato all’indagine sul fenomeno della rivitalizzazione dei borghi storici, in particolare quelli italiani, poiché negli anni è maturato un forte interesse nei confronti di questi luoghi in quanto catalizzatori di opportunità, sia per il rilancio dell’intero Paese (interessi legati ai capitali provenienti dal turismo), sia per i singoli individui che intravedono in essi speranze di una vita migliore (numerose sono infatti le iniziative dei privati che, investendo in nuove attività, innescano la trasformazione dell’intero territorio) Vengono individuati dei ‘paradigmi descrittivi’aventi lo scopo di classificare in tipologie i differenti approcci che hanno determinato la rivitalizzazione di quei centri che altrimenti sarebbero andati incontro ad un futuro incerto, di abbandono e decadenza. All’interno di ciascuna tematica sono riportati diversi casi studio, in modo tale da poter analizzare i processi, differenti per ogni località, che vedono come prodotto finale la trasformazione socio-economica del paese in questione.
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2.1.1
l’arte come veicolo della rinascita. “Il Borgo degli Artisti” * Bussana Vecchia *Calcata *Cervara di Roma *Biennio *Modica Alta *San Sebastiano Curone
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U
n borgo abbandonato, vecchie case decadenti, ruderi in mezzo alla natura. Prima che questa ritorni a dominare selvaggia, riappropriandosi del terreno, invadendo con le fronde quelli che un tempo erano i rifugi degli uomini, un gruppo di artisti decide di instaurarsi in questo scenario fatiscente. Ed è così che casa dopo casa il villaggio prende vita, incominciano i restauri, si intravedono dei laboratori, barattoli di vernice negli angoli vicino alle porte, quadri appesi lungo le pareti in pietra, sculture in piazza, colore e musica. In poco tempo il brulicare di quell’attività fa notizia: “Sapete, in quel borgo un tempo triste e abbandonato, ora vivono gli artisti! Potremmo andare uno di questi giorni a farci un giro da quelle parti, a buttare l’occhio e veder che combinano!”. E voilà, il gioco è fatto!, il borgo riattivato! Ovviamente questa non è che la versione estremamente semplificata e fantasiosa di uno dei molteplici processi, che vedono come risultato la ripresa, vitale ed economica, di una piccola località storica che per la sua marginalità stava da tempo andando incontro alla decadenza, allo spopolamento e dunque all’abbandono. Meccanismi la cui riattivazione finale, non sempre coincide con una precisa programmazione iniziale, spesso infatti non è che il frutto di iniziative di singole persone che vedono in quei paesi dimenticati dal tempo, una speranza di vita migliore. Le forme e i metodi attraverso i quali questi luoghi rinascono, sono molteplici e le più disparate, come anche gli 12
effetti finali sul territorio e sulla popolazione che lo abita. Vedremo ora di analizzare, attraverso una catalogazione di casi emblematici individuati tra i piccoli centri italiani, alcuni esempi dei differenti processi che vedono nell’inserimento (più o meno pianificato) di un programma artistico, una svolta positiva per la vita e le dinamiche socio-economiche della località in questione. Lo scopo di questa raccolta di storie, è quello di illustrare come all’interno di dello stesso campo d’azione (quella dell’intervento a sfondo artistico-culturale), è possibile riconoscere una pluralità di percorsi, ciascuno dei quali si distingue dagli altri per mezzo di una complessità di variabili tra cui spiccano in primo luogo le caratteristiche morfologiche del luogo, la condotta dell’ amministrazione locale e senza dubbio il carattere, l’inventiva e le energie che i singoli cittadini hanno impiegato per riscuotere il proprio territorio dal torpore del declino e dell’abbandono. Incominciamo così questo percorso, partendo subito dall’esempio più eclatante, controverso e certamente noto di questo fenomeno: Bussana Vecchia.
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*Bussana Vecchia dalla ricerca artistica di nicchia alla banalizzazione di una proposta a fini commerciali
B
ussana Vecchia rappresenta senza dubbio uno dei casi più noti fra i vari episodi di rivitalizzazione spontanea dei centri storici minori. In Liguri, nella Valle Armena, in provincia di Imperia, poco distante da San Remo, si trovano le due Bussana, quella Vecchia, tra le cui case svetta un campanile barocco, e quella Nuova, costruita a valle della precedente. La costruzione della Nuova Bussana, si deve all’abbandono forzato del borgo storico da parte degli abitanti, conseguenza del disastroso terremoto del 1887. La rinascita dell’antico centro coincide invece con l’intuizione di un artista torinese. Nei primi anni ‘60, Mario Giani, in arte Clinzia, fondò assieme al poeta G. Fronte ed al pittore V. Giuffrè, la cosiddetta “Comunità Internazionale degli Artisti”. Gli ideatori assieme ai membri di tale iniziativa si insediarono così nel territorio ligure, dando l’avvio ai lavori di restauro dei primi ruderi. Gli spazi occupati furono di comune accordo destinati alla sperimentazione artistica di tutti i partecipanti e perciò destinati all’intera comunità, e non a specifici proprietari. Questa iniziativa, sorta in maniera del tutto spontanea, addirittura senza alcuna considerazione delle problematiche legate alla proprietà o ad altri aspetti giuridici, ebbe negli anni un successo sempre maggio14
re, vedendo l’adesione a tale progetto di numerosi artisti nazionali ed internazionali. Nonostante i problemi generati dalle condizioni di gestione e di convivenza, gli abitanti stessi portarono avanti autonomamente i restauri del borgo. L’aspetto del luogo, un tempo abbandonato, cambiò così radicalmente, al punto da essere definito “un villaggio vivo più che mai in un contesto ufficialmente ancora morto” (1). In seguito l’apertura di qualche bottega, una trattoria ed uno spazio espositivo per gli artisti, fecero si che il borgo, ormai brulicante di vitalità, si trasformò in meta turistica. Fu proprio in seguito a questa svolta, che alcuni cittadini, fra i quali lo stesso Clinzia, decisero di abbandonare il luogo, sostenendo che l’aumento del turismo snaturasse e affievolisse la vocazione di centro di sperimentazione artistica, motore iniziale dell’intero processo di recupero del paese. Ma la svolta turistica ebbe anche altre conseguenze. Con la rinascita di Bussana Vecchia, sorsero infatti anche i problemi giudiziari, legati alla questione delle proprietà territoriali. È vero infatti che gli artisti, insediandosi nel vecchio centro, avviarono autonomamente i lavori che portarono al risanamento del borgo, altrimenti lasciato in stato di abbandono, ma è vero anche che lo fecero stabilendosi e curando le varie abitazioni senza tener conto delle proprietà, in pratica occupando abusivamente l’intera zona. Intorno agli anni ‘60 gli effettivi proprietari, di cui la maggior parte si era spostata a vivere nel nuovo 15
centro, intravedendo nel rinnovato interesse per il sito la possibilità di guadagni, incominciarono a rivendicarne la proprietà. Fu così che nel successivo periodo diversi artisti, coloro che non furono in grado di dimostrare l’usucapione, si videro costretti ad abbandonare Bussana. Nel 1976 si tenne un incontro con tutti gli abitanti del villaggio per decidere delle sorti del paese. In quell’occasione venne fondato il “Comitato del Borgo di Bussana Vecchia”, che poi venne riconosciuto ufficialmente dal Comune di Sanremo e dall’amministrazione decentrata di Bussana Nuova, che ne concesse quindi la nuova toponomastica di “Bussana Vecchia”. Nello stesso anno vengono inoltre riconosciute le prime residenze e nel 1977 venne portata l’elettricità all’intero paese. Agli inizi degli anni ottanta la popolazione residente contava circa un centinaio di persone. Se inizialmente gli occupanti regolavano la gestione degli immobili con scambi di cifre simboliche, rimborsi spese, destinati più che alla ricchezza del singolo, all’intera comunità artistica e ai progetti di restauro generali; attorno agli anni ‘80 e ‘90 gli abitanti non erano più esclusivamente artisti: il boom economico-speculativo dell’epoca spinse molte persone a pensare di poter fare guadagni facili con il turismo estivo, aprendo botteghe di artigianato più dozzinale, ed abbassando quindi il livello qualitativo delle produzioni artistiche presenti. L’aumentato l’interesse nei confronti di Bussana, generò quindi la nascita di un vero e proprio mercato immobiliare. Nonostante la confusione a livello burocratico e la mancanza di un piano urbanistico adeguato, 16
si verificò l’acquisto, da parte di non residenti, di un numero sempre maggiore di case destinate a fini turistici. Tutti processi che diedero il via a pesanti operazioni di ristrutturazione ed interventi senza controllo. Di fronte all’evidente assenza di ordine, nel 1986 il Comune di San Remo decise di bandire un concorso internazionale per la definizione del piano particolareggiato per Bussana Vecchia. Risultò vincente il progetto sviluppato dal team dell’architetto Claudio Baracca (2), che oltre a vari lavori di ristrutturazione, consolidazione e mantenimento, interessanti tra l’altro per la proposta di mantenere visibili le tracce del terremoto, promuoveva una gestione degli immobili in convenzione con i privati. Nonostante l’approvazione da parte del Comune, il progetto non venne mai messo in pratica, lasciando così gli interventi di restauro al caso e senza alcuna programmazione. Le controversie legali, le necessità di lavori di ristrutturazione e le speculazioni continuano, alternandosi, a minare lo sforzo di coloro che si erano insediati nell’area con una finalità ben precisa, quella di trasformare uno spazio abbandonato in un luogo sperimentazione collettiva nel campo artistico. Tuttavia l’occupazione del paese da parte degli artisti ha generato nel tempo un benefico ritorno di immagine, con il conseguente arrivo dei primi turisti. Malgrado la fuga dei principali artisti fedeli allo spirito della “Comunità Internazionale degli Artisti”, l’animo creativo e pittoresco è permaso, incrementando la notorietà del paese e le richieste di affitto. 17
Attualmente Bussana Vecchia si presenta come meta turistica “di nicchia” recentemente affermata, un centro che per vivacità richiama gli ambienti bohemien in stile francese. La ricerca artistica che precedentemente aveva animato e determinato la rinascita di Bussana, oggi lascia il posto ad una banalizzazione e commercializzazione di prodotti di artigianato, conseguenza quasi diretta della riscoperta del paese dal punto di vista turistico. Avvantaggiata dalla posizione, strategica poiché facilmente raggiungibile dai centri di maggior affluenza (ad esempio Imperia, San Remo, Diano Marina e Alassio), offre una possibile alternativa per i visitatori che vogliono godere del ricco paesaggio dell’entroterra ligure che si mostra fra gli scorci di questo paese il cui fascino sta proprio nella precarietà e spontaneità del recupero dei suoi edifici.
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* Vorrei vivere in un bel paese povero Ricco soltanto di calore umano Con case antiche e mura screpolate Tra gente che saluta anche all’esterno Vorrei ascoltare i canti del paese Passar le notti in una osteria Vedere l’alba sorgere al mattino un po’ assonnato ma in giusta compagnia Voglio vedere i bimbi dentro l’orto rubare le albicocche del curato Voglio ascoltare il Sindaco in piazza parlare del raccolto com’è andato Voglio compare il latte dal vaccaro Sentire il raglio di una vecchia mula Vedere le galline razzolare seduto all’ombra sotto il pergolato Voglio vivere in quel paese povero! Voglio essere ricco come loro! * E. A. Fronte,Voglio vivere, Bussana Vecchia, 1978 19
Il terremoto a Bussana, 1887
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dall’alto: Bussana Antica Comunità Internzionale degli Artisti; Clinzia 1961
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Progetto per Bussana, arch. Baracca
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dall’alto: vista cortile interno
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del centro storico;
(1) AA.VV., Bussana: rinascita di una città morta, Istituto
geografico
De
Agostini,
Novara
1987,
pp.
184-185.
(2) “Il progetto vincitore, intitolato “Città Invisibili” e redatto dal gruppo capeggiato dall’arch. Claudio Baracca, ha proposto di lasciare così com’è la parte già recuperata, salvo indispensabili interventi statici e tecnologici, e di recuperare con telai antisismici, richiesti dalle condizioni geologiche della zona, la parte sepolta, da assegnare all’Ente pubblico, incaricato di occuparsi della sua riqualificazione.Dall’analisi territoriale effettuata scaturiscono nel progetto proposte inerenti: l’accesso al centro e l’uso della collina4, la struttura urbana5, l’intervento geologico, la definizione della città e l’immagine della città6.Per le principali emergenze del castello, della chiesa e dell’oratorio è prevista la trasformazione in sedi di servizi ed è inoltre suggerita, nell’ambito della proposta riguardante la defi-
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nizione della città, la opinabile costruzione di nuove mura attrezzate, fungenti allo stesso tempo da collegamento viario e da consolidamento statico.A ciò si somma il recupero di qualche abitazione e la realizzazione per i residenti di due negozi, di un emporio e di un “Laboratorio per il recupero edilizio”, collegato con le scuole edili locali.” 4: “Sono previsti due diversi tipi di accesso al borgo: da sud per i residenti, veicolare, con parcheggio, e da sud per i turisti, veicolare fino a due parcheggi, o pedonali oppure con funivia. È tracciato un percorso anulare lungo le mura esterne. Circa l’uso della collina è previsto un campeggio nella zona sud-est e precise differenziazioni culturali tra zone a parco-pineta, uliveto e coltivazioni di fiori all’aperto” op.cit 5: “La riorganizzazione del tessuto urbano è previsto attraverso il recupero delle antiche vie, la loro riconnessione con un nuovo percorso perimetrale e la previsione di una fascia di servizi che utilizza i principali edifici pubblici, cioè il Castello, la Chiesa e l’Oratorio.” Op.cit 6: “Dal raffronto tra i profili della situazione originale, quelli dei dopo-terremoto e quelli della situazione attuale, emerge di non ripristinare le sporgenze, gli aggetti e le coperture, ma di rendere indelebile il volto del terremoto attraverso i segni e le tracce del suo passaggio.” Op.cit, AA.VV., “Bussana: rinascita di una città morta”, Istituto geografico De Agostini, Novara 1987, pp. 184-185
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*Calcata dove la promozione artistica diventa un mezzo per il rilancio promosso dal governo
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n altro borgo caratterizzato da una forte vocazione artistico-culturale, è quello di Calcata; questo comune laziale sorge su di una rupe tufacea, circondato da un vegetazione lussureggiante, distante soli 40 km a nord di Roma. La storia di questo paese tuttavia presenta alcune differenze rispetto la vicenda di Bussana Vecchia. Innanzitutto il villaggio non fu mai completamente abbandonato, nonostante molti calcatesi si videro costretti dal podestà di epoca fascista a lasciare le proprie case. Attorno gli anni ‘30 infatti, una legge invitava allo sgombero di un certo numero di edifici, in quanto decretati pericolanti. Gli abitanti dovettero spostarsi in un insediamento sostitutivo che venne realizzato due chilometri più a valle. Solamente negli anni ‘90 un decreto ha salvato l’intero borgo dal rischio dell’abbattimento. Il fascino di questa località ha incantano artisti italiani e stranieri che hanno potuto acquistare a poco prezzo le case rimaste vuote, trasformandole in curate abitazioni. E così fra le vie strette di questa borgata si riuniscono belgi, olandesi, americani, che assieme agli hippies che si sono stabiliti nelle antiche grotte scavate nel tufo, contribuiscono alla vitalità del villaggio. La rivitalizzazione però non è stata semplicemente il frutto spontaneo della scelta di singole persone di insediarsi nel paese spopolato. In questo caso 26
infatti il processo è stato attentamente studiato e promosso dall’amministrazione comunale di Castellalto, che ha innanzitutto decretato l’elaborazione di un accurato piano territoriale. Tale piano prevedeva oltre al recupero architettonico del borgo, compresi casolari nelle vicinanze, la realizzazione di aree naturali protette ed un parco botanico, insieme al risanamento ambientale di un tratto del fiume Vomano. L’intenzione è stata quella di perseguire la vocazione culturale del paese con la volontà di renderlo un fulcro artistico destinando il centro storico ed il territorio circostante alla residenza abituale e alle attività condotte dai locali. Nel 1988 venne promossa a livello comunale l’iniziativa Castellarte, in merito alla quale l’intera Calcata venne convertita in una galleria d’arte a cielo aperto. Questa idea è stata ripresa con successo nel 2000 con l’evento “Castelbasso progetto cultura” (3) dove, grazie anche all’appoggio della Fondazione Malvina Menegaz per le Arti e le Culture, il settore artistico viene integrato ad altre attività come quelle letterarie, teatrali, musicali e gastronomiche. La Calcata di oggi è ancora caratterizzata da un fascino bohémien, ma artisti e poeti non sono gli unici abitanti del borgo, infatti numerosi operatori nel campo delle tecnologie digitali, attratti dal fascino locale, hanno qui aperto nuove attività, ed è proprio grazie alle loro competenze che il paese rimane sempre all’avanguardia. Il segreto del successo e la vitalità di Calcata, sono da ricercarsi sicuramente nell’energia e nelle iniziative dei singoli individui che la abitano, ma non 27
solo. È doveroso infatti sottolineare il lavoro di amministrazione comunale, che attraverso buone pratiche, regolamentazioni sensibili e lungimiranti, è in grado di incanalare gli sforzi e le aspettative dei cittadini in una rivitalizzazione culturale e territoriale realmente percettibile e tangibile, rivestendo in modo corretto il ruolo di “attivatore” e di “garante” di politiche in grado di determinare uno sviluppo coerente del paese. Di recente iniziativa: “Magellanea”, nuovo festival di illustrazione promosso dal Comune e realizzato con il sostegno del Consiglio Regionale del Lazio, a cura di Librimmaginari. Il festival è organizzato in laboratori, mostre e letture e live drawing. Calcata è un luogo vibrante di cultura dove le arti si mescolano in un susseguirsi di eventi manifestazioni che dimostrando che le dimensioni non contano; ciò che conta è l’impegno e la serietà con cui queste vengono portate avanti.
(3) Il programma completo, la filosofia dell’iniziativa e future programmazioni sono consultabili al sito: http://www.fondazionemenegaz.it
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dall’alto: vista del borgo; Marikje artista del paese
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*Cervara di Roma conservazione del patrimonio storico artistico e nuove aperture alle interpretazioni dei beni paesaggistici e naturali
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ervara, situata a 1053 m s.l.m, si trova nel parco naturale regionale dei monti Simburini; è un Comune italiano di 471 abitanti della città metropolitana di Roma Capitale nel Lazio. * Cervara di Roma vive sola, scolpita in cima ad una montagna di pietra. È una scultura del cielo, che al cielo volerebbe se l’aria la sostenesse. * Questi versi sono tratti dal poema che si trova inciso nella piazza principale. Le parole con le quali Raphael Alberti descrive questo piccolo Comune, sono solo una delle innumerevoli testimonianze di color che nel tempo si sono soffermati nella tranquillità di questa località che, per le sue fattezze, ricorda un presepe scavato nella roccia. Cervara ha un legame con l’arte forte e consolidato ormai da molto tempo. Fin dalla fine del ‘700 infatti, le regioni italiane furono mete ambite dagli artisti di tutto il mondo, desiderosi di rappresentare sulle loro tele i nostri preziosi paesaggi. La bellezza di Cervara, che emerge dalla compagna romagnola, non sfuggì all’attenzione dei pittori, che allora come oggi si prodigavano nella ricerca artistica facendosi ispirare dalla particolarità del borgo e dalla natura che lo circonda. Tra i primi a soggiornare nel paese furono nel 1810 Giu30
seppe Antonio Kock e Bartolomeo Pinelli, quest’ultimo famoso per i suoi ritratti delle donne di Cervara. In seguito qui giunsero Filippo Ferrari, Ernest Schweinfurth e Samuel Finley Breese Morse (4), l’inventore del telegrafo. Colui che più di tutti dimostrò interesse per questo luogo e le abitanti, fu Ernest Hebert, un allora giovane artista di Grenoble, che ammaliato dalla loro bellezza ne immortalò sulla tela ogni loro espressione. Il risultato della sua permanenza in questa piccola località fu una serie di ritratti denominati les cervarolles, così pregiati da essere tutt’ora conservati a Parigi, presso il Museo d’Orsay. In seguito alle vicende della prima e poi della seconda guerra mondiale, Cervara invece di chiudersi nella propria minuscola realtà, seppe proseguire e reinventarsi in questo suo legame con la cultura artistica. Incominciò così l’organizzazione di eventi e mostre di pittura estemporanea e si assistette alla realizzazione dei primi murales. Nel 1984 la spinta creativa del borgo richiamò gli allievi dell’Accademia delle Belle Arti di Firenze. Guidati dal Professor Vincenzo Bianchi, gli alunni si adoperarono nella progettazione e nella lavorazione concreta della “Scalinata degli Artisti”, un’opera dal grande valore artistico, arricchita e caratterizzata dalla presenza di sculture e di poesie, che furono ricavate mediante incisione della roccia circostante la scalinata, sia dai giovani artisti che dagli abitanti stessi del borgo. Questa testimonianza, insieme alla “scalinata della Pace” e alle numerosissime opere, siano esse recenti o risalenti al Grand Tour, che si 31
trovano sparse per tutto il borgo, caratterizzano ed esaltano la bellezza del paese, che tutt’oggi può essere definito come un museo a cielo aperto. Oggi, oltre al piacere di perdersi fra i vicoli stretti impregnati d’arte accompagnati dai profumi dei prodotti della tradizione, i visitatori di hanno la possibilità di prendere parte a svariate attività, fra le quali lunghe passeggiate nel limitrofo Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini. Nella località di Prataglia, frazione di Cervara, inoltre ha sede dal 2008, l’Area Faunistica del Cervo(5). Arte, fauna, natura e paesaggio non sono l’unica offerta di Cervara, questo piccolo Comune, di soli mille abitanti, vanta infatti un osservatorio astronomico. Inaugurato anch’esso nel 2008, l’Osservatorio astronomico “Claudio del Sole” (6), si trova poco distante da Cervara, in un luogo isolato dall’illuminazione proveniente dal centro abitato. È il ritrovo ideale per gli appassionati, ma anche per un gruppo di amici che vuole provare l’esperienza di osservare le stelle, ed eventualmente cogliere l’occasione per dormire in mezzo alla natura, dal momento che è presente un ostello, proprio lì nei paraggi A differenza dei comuni precedentemente descritti, quello di Cervara, sebbene venga riconosciuto come “Paese degli artisti”, a ricordare le testimonianze presenti nell’area, attualmente non presenta i segni di una comunità che vede nella ricerca nel settore artistico-culturale la propria identità. 32
Non pervengono infatti notizie riguardanti iniziative a livello amministrativo, e neppure spontanee (secondo logiche bottom up), dirette ad una riconsiderazione delle attività culturali-artistiche intese come fonte di rilancio turistico e sociale per il paese. È possibile che sia l’amministrazione comunale che i residenti stessi di questo piccolo borgo costruito in simbiosi con la roccia, circondati da così tanta storia, natura e tradizione, lavorino in un’ottica di preservazione e di conservazione, piuttosto che promuovere delle azioni legate all’attualizzazione di quella che una volta era l’identità del luogo. Non sono infatti reperibili informazioni che trattino di un qualche tentativo di formazione di una nuova comunità degli artisti, piuttosto, è evidente l’intenzione di ricercare nell’ambiente naturale delle possibilità di sviluppo per il centro. Si ritrova quindi parallelamente un processo di promozione del patrimonio artistico pervenuto fino ai giorni nostri, curato dal punto di vista della preservazione, ed uno legato alla proposta e all’offerta di un più vasto numero di attività che vertono attorno ad esperienze in rapporto all’ambiente naturale locale, alla sua natura alle risorse paesaggistiche e faunistiche. Cervara di Roma è dunque un luogo dove la tradizione storica e culturale rimane impressa nel tessuto urbano, nelle vie, nelle piazze del paese, mente il dinamismo della comunità si concentra nella ricerca di un’offerta turistica di altro tipo, appunto più incentrato sull’interpretazione del patrimonio naturale. 33
vista del borgo di Cervara
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Ernest Hebert Les Cervarolles 1859
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(4) Del quale si ricordano ancora le seguenti parole: “C’è qualcosa di stranamente maestoso nella calma di un posto come questo. Vi regna, per lo più, un silenzio perfetto..”, Samuel S.F. Breeze Morse, 1830. (5) L’ Area faunistica del Cervo si trova in Località Prataglia, frazione di Cervara di Roma, ed è nata nel 2008 per la tutela di un piccolo nucleo di cervi.Questi splendidi esemplari, provenienti dal Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, sono tenuti in semi libertà e curati dal personale dell’Ente, che li alimenta e li monitora costantemente attraverso uno strumento radiotelemetrico prima di rimetterli in libertà. Questo interessante progetto naturalistico ha come obiettivo il ripopolamento del territorio e l’educazione ambientale, anche attraverso visite didattiche. ( Cervara di Roma, Area Faunistica del Cervo, https://www.cervaradiromaturismo.com ) (6) L’Osservatorio, realizzato su iniziativa dell’ASTRIS dal Comune di Cervara di Roma (1000 abitanti) che resta proprietario dell’edifi-
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cio, sorge a 4 Km dal centro abitato di Cervara di Roma, all’interno del Parco Regionale dei Monti Simbruini, in una cornice naturale […], raggiungibile da Roma in circa 40 minuti. Adiacente all’Osservatorio si trova una locanda-ostello in grado di ospitare fino a 30 persone, utilissimo punto di appoggio logistico per tutti i frequentatori dell’Osservatorio, che lo rende particolarmente adatto ad ospitare campi di osservazione della durata di più giorni.La possibilità di utilizzare l’Osservatorio Astronomico “Cladio Del Sole”, risponde all’esigenza dell’ATA di trovare un sito adatto a installare la strumentazione per le attività di osservazione e ricerca amatoriale dei soci nonchè di potenziare l’offerta didattica dell’Associazione con attività di campi-scuola particolarmente interessanti, che si vadano ad integrare con le attività attualmente svolte presso l’Osservatorio Astronomico sociale “Franco Fuligni” al Vivaro. (Associazione Tuscolana di Astronomia Livio Gratton, Osservatorio C. del Sole, http://lnx.ataonweb.it)
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*Biennio recupero edilizio e residenze d’artista, un borgo che punta sui giovani creativi
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i troviamo in provincia di Brescia, nella Valle Camonica. Biennio è stato riconosciuto come uno dei Borghi più belli d’Italia; ad influenzare il giudizio oltre al meraviglioso contesto storico e paesaggistico, alla ricchezza degli edifici, è anche la presenza di una offerta culturale e turistica forte e differenziata. Ogni anno, soprattutto durante il periodo estivo, i vicoli medievali di questo paesino si riempiono di curiosi, che ammontano quasi a 200.000 nel mese di Agosto, quando si tiene la Mostra Mercato, un evento ricorrente della durata di nove giorni, durante i quali i visitatori hanno la possibilità di ammirare le produzioni degli artigiani locali, di gustare i prodotti della tradizione e di assistere a spettacoli musicali e manifestazioni culturali. Negli ultimi anni il Comune di Biennio, in collaborazione con il Distretto Culturale di Valle Camonica, si è adoperato per attrezzare il territorio di alcuni punti espositivi e di ospitalità per artisti e artigiani provenienti da altre località. In questo modo il settecentesco Palazzo Simoni-Fè, le fucine storiche, la cinquecentesca Casa degli Artisti, rappresentano solo alcune delle strutture che, grazie a questa iniziativa, sono state recuperate nel tempo, ammodernate ed attrezzate a laboratori o a centri di promozione della creatività. L’intero processo a portato alla creazione delle condizioni necessarie per la promozione di un progetto più ampio. 38
“Bienno Borgo degli Artisti” è il progetto che il Comune di Bienno, in collaborazione con il Distretto Culturale di Valle Camonica e le Associazioni “Bienno Borgo degli Artisti” e “Bienno Turismo”, ha messo in atto per invitare nuovi artisti, designers, creativi a risiedere nel centro storico di Bienno. È un’iniziativa per la promozione di nuove produzioni artistiche e culturali, che intende esaltare il modello della “bottega d’artista”, ossia del luogo di lavoro e di espressione della creatività, aperto alla fruizione, dove l’artista riesce a trovare nel proprio intimo e nel contesto che lo circonda e lo ospita, stimoli alla propria ispirazione. Bienno Borgo degli Artisti ha instaurato un rapporto di collaborazione e scambio culturale con la cittadina di St. Paul de Vence, situata nei pressi di Nizza, meta turistica molto frequentata, nota per aver dato ospitalità ad artisti del calibro di Chagall, Picasso e Prevèrt. Tale progetto prevede dunque l’individuazione di artisti che intendano vivere e condurre la propria ricerca creativa nell’ambito del borgo medievale di Biennio, concedendo ai giovani partecipanti l’assegnazione a titolo gratuito di alloggi e di botteghe in cui poter svolgere le loro attività. L’intento del Comune è dunque quello di riscattare attraverso la spinta culturale, l’identità del borgo, in modo tale da renderlo un territorio vivo, cercando di acquisire giovani abitanti. Una strategia sicuramente intelligente che indaga la possibilità concreta di garantire un futuro per 39
questa piccola realtà. Un futuro che va al di là della sopravvivenza determinata dall’interesse turistico per il borgo, ma che punta al ripopolamento, all’insediamento di attività per i giovani, alla riconsiderazione della tradizione in un’ottica di sviluppo e di progresso.
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Locandina della residenza artistica del 2017 nel nel paese di Biennio 41
*Modica Alta workshop a sfondo artistico-culturale e partecipazione sociale per riattivare il centro storico
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icilia, presso Modica, in provincia di Ragusa. Il Comune, reso famoso grazie alle riprese della serie televisiva il “Commissario Montalbano” (7) tratta dai racconti di Camilleri, vanta una ricchezza straordinaria in campo artistico e architettonico, tanto da essere stato riconosciuto dall’ Unesco, nel 2002, Patrimonio dell’Umanità. Il caso di Modica presenta grandi differenze rispetto ai comuni descritti fino ad ora. Innanzitutto le dimensioni, quelle di Modica sono decisamente superiori, come del resto il numero degli abitanti (54.551 contro i 1000 di Cervara di Roma). Nonostante ciò, nel nucleo urbanistico più antico, il borgo di Modica Alta, dove la città custodisce le sue più pregiate testimonianze storiche, si verificano fenomeni già riscontrati in precedenza. Qui, come in alcuni degli esempi finora riportati, si assiste ad un tentativo da parte della comunità di opporsi all’ondata di abbandono e di degrado che affligge quello che una volta era il centro della città. Negli anni infatti, per necessità legate allo sviluppo del Paese, i confini del Comune si sono sempre più allargati. L’espansione urbana ha avuto come effetto uno spostamento sostanzioso della popolazione e delle attività ad essa connesse, che ha portato a poco a poco all’esclusione del borgo storico dalle dinamiche sociali, sempre più concentrate nella nuova estensione sviluppatasi attorno al tessuto più antico. 42
In queste circostanze numerose sono state le iniziative condotte dai cittadini, soprattutto dai giovani residenti, atte a riportare l’attenzione generale (dei cittadini di Modica e dei turisti) su questa meravigliosa parte della città, il cui rischio è quello di rimanere immobile nella sua bellezza. Fra i molteplici tentativi di riscatto, è il caso di sottolineare il progetto Modica “Borgo degli Artisti”. “Recupero e valorizzazione di Modica Alta, attraverso un bando di progettualità urbana rivolto a giovani laureati. E’ quanto accadrà nei prossimi mesi in questa parte della città di Modica da decenni in fase di abbandono. Modica Alta racchiude tesori artisti unici e dimenticati. E’ luogo di arte e cultura millenaria. Dietro l’apparente indifferenza dei cittadini si scopre una vitalità solo sopita.” (8) “Il progetto -spiega il sindaco Antonino Buscema- si sviluppa nell’arco temporale di quindici mesi e ha l’obiettivo di definire strategie sul recupero sostenibile del costruito e del tessuto sociale, sostenere lo sviluppo delle attività commerciali e artigianali, fino a definire nuovi percorsi di conoscenza delle importanti testimonianze storico-artistiche e nuove idee di riuso innovativo degli spazi pubblici” (8.a). Tale iniziativa risale al 2011, individuato dall’Anci tra gli interventi a sostegno della “Creatività giovanile” finanziati dal Dipartimento della Gioventù della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha come fine la formazione di giovani nel campo dello sviluppo e l’innovazione delle attività culturali e artistiche nei centri storici. “È interessante, continua il sindaco, la scelta di 43
Modica Alta quale campo di azione poiché nel passato questa è stata una prolifica zona commerciale oltre che un punto di riferimento di una vasta area provinciale che oggi si vuole riconoscere, in termini urbanistici, sociali e aggregativi con un elaborato di alto profilo scientifico per la crescita collettiva della città” (8.b) . Come riportato dal sito dell’Anci (9): “Nell’ambito del programma, in particolare, si promuove il workshop Laboratorio di Visioni Urbane Mediterranee - inaugurato proprio ieri a Modica e che si svolgerà fino al 10 gennaio 2013 - dedicato alla organizzazione partecipata di eventi artistici e culturali nel centro storico della parte alta della città. Le attività del laboratorio si baseranno sui principi del community planning con il coinvolgimento attivo degli abitanti del quartiere e di tutti i portatori di interessi che saranno sensibilizzati sui temi in oggetto. I giovani ricercatori selezionati saranno guidati in un percorso formativo e operativo che si propone di raggiungere principalmente tre risultati: mappatura e rappresentazione del quartiere attraverso metodologie innovative analogiche e digitali; costruzione di un quadro conoscitivo del Borgo di Modica Alta rispetto alla possibilità di introdurre nuove funzioni in ambito sociale, commerciale, culturale e artistico e, infine, definizione delle strategie urbane del Laboratorio per la promozione delle arti, che sarà avviato dal “Borgo degli artisti” nel corso del 2013, e destinato a permanere negli anni successivi quale soggetto culturale in grado di decodificare e interpretare in modo originale la contemporaneità, oltre a sperimentare le potenzialità espressive del luogo, compresa la necessità di coinvolgere i cittadini residenti e i visitatori […]Insomma, le parole 44
guida del nostro futuro -conclude Buscema nel discorso di inaugurazione dell’iniziativa- sono ri-significazione degli spazi pubblici, ristrutturazione sostenibile degli edifici per attirare i giovani ed eventi radicati nella realtà e nella memoria del quartiere per attirare turisti e visitatori”. Assistiamo perciò ancora una volta alla disponibilità da parte del Comune di abbracciare non solo le richieste, ma anche le proposte operative che nascono dai singoli individui appartenenti alla comunità. Ancora una volta attraverso la promozione della cultura, delle arti e delle tecnologie innovative si innesca un processo di rivitalizzazione di un tessuto urbano che a causa dell’abbandono e della noncuranza, stava per perdere la sua vocazione di narratore e contenitore di storie, eventi e tradizioni legate al nostro passato. Vocazione che invece, fortunatamente, si sta tentando di salvare, di trasformare in altro, in un miscuglio di contemporaneità e tradizione, che vede nel passato e nella storia un luogo, fisico e metafisico, in cui lavorare per la costruzione di un futuro migliore. Ad oggi, diversi anni dopo l’esperienza dei vari workshop di partecipazione, qualcosa è cambiato, la testimonianza più forte del processo di studio e partecipazione, della volontà di cambiare degli abitanti, è rappresentata dalla vecchia scuola di San Teodoro, trasformata in centro culturale e base operativa del Borgo degli Artisti. L’ “Orfanotrofio Modica”, si occupa della gestione e della realizzazioni di eventi culturali, della ricerca di risorse umane e della sponsorizzazioni di attivi45
tà legate al recupero del territorio. “Un angolo di Berlino nel cuore di Modica”, così definito dai turisti, un segno che, a partire da questa iniziativa, qualcosa è cambiato.
(7) Una strategia che recentemente ha preso piede in diversi Comuni italiani, è quella di promuovere turisticamente il proprio territorio sfruttando la visibilità dei programmi televisivi. Numerosi sono ad esempio i casi in cui la RAI, attraverso accordi specifici, si impegna nel registrare un programma tv, spesso una serie, all’interno di una località, esaltandone così il fascino ed estendendone la notorietà ad un pubblico più vasto.. grazie alla pubblicità ottenuta tramite “Il Commissario Montalbano”, la sua casa, per altro edificio abusivo situato sulla spiaggia di Santa Croce Camerina, è ora un famoso bed&breakfast) (8) Reteiblea quotidiano web, Modica Alta diventa il Borgo degli artisti: progettazione urbana con laureati anche dall’estero, in http:// reteiblea.it/modica-alta-diventa-il-borgo-degli-artisti-progettazione-urbana-con-laureati-anche-dallestero ) (8.a) ibidem (8.b) ibidem (9)Nella sezione “I Comuni che funzionano/Buone pratiche in Comune- Modica creativa”)
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vista del centro storico di Modica
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*San Sebastiano Curone case-bottega e “artigianato d’innovazione”, un borgo che punta sulla qualità dell’offerta
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an Sebastiano Curone, in Piemonte, in provincia di Alessandria, un piccolo centro aggrappato alle propaggini dell’Appennino Ligure. Un castello, una piccola cappella dedicata a San Sebastiano, un edificio per la dogana alla Cascina Cabella e la presenza di posti di ristoro sulla via che da Piacenza portava a Genova, favorirono, tra il Quattro ed il Cinquecento, lo sviluppo di un abitato dipendente da Gremiasco nel Feudo Imperiale di Fabbrica Curone, posseduto prima dai Fieschi e successivamente passato ai Doria. Il territorio acquistò importanza strategica e commerciale sotto gli Spagnoli, quando il porto di Genova costituiva la base di partenza o di arrivo per gli scambi commerciali con la Spagna e la Pianura Padana. Il paese divenne luogo di incontro e di contrattazioni lungo la Via del Sale (o del Cereale, a seconda delle merci), dove i mulattieri, provenienti da Genova e dallo Stato di Milano, si scambiavano i prodotti: per questo a San Sebastiano Curone si formò una sorta di “centro logistico”, un polo commerciale con ampi deposti di merci, locande ed osterie. La fioritura economica ha portato alla realizzazione di fabbriche oggi riconosciute ed apprezzate, come la Piazza Roma, su cui si affaccia il Palazzo Mazza Galanti, sede del Municipio e della Comunità Montana, con la sua facciata in stile liberty riccamente decora48
ta, opera dell'artista locale Bourges; di fronte s’innalza il Palazzo Pollini, con un festoso cornicione floreale; opposto alla chiesa si trova il Palazzo Giani, con un ampio scalone interno; infine ricordiamo il Palazzo Signoris, con pregevoli interni decorati dal Bourges. Nei tempi più recenti il paese ha risentito delle dinamiche legate allo spopolamento ma allo stesso modo di altri centri, anche gli appartenenti a questa località hanno lottato contro il destino dell’abbandono, con modalità inerenti a quelle analizzate finora. La “fase di difesa” è cominciata nel Settembre del 2004, con la prima edizione di un evento modesto, della durata di un weekend, denominato “Artinfiera”. Si trattava di una manifestazione che aveva come attrazione principale l’esposizione lungo le vie del borgo, delle produzioni di artisti artigiani provenienti da ogni parte d’Italia. L’evento accumula successi di anno in anno, richiamando l’attenzione di un pubblico sempre più vasto. La riuscita di tale iniziativa facilita così la formazione di partnership importanti, e fra tutte, quella con la Cittadellarte di Michelangelo Pistoletto. La costanza e l’impegno creano le premesse per uno sviluppo del progetto di partenza, portando Artinfiera ad evolversi in Artinborgo. Il cambio di nome, di per sé poco significativo, introduce invece un grande passo in avanti: una quindicina di antiche botteghe un tempo abbandonate, vengono finalmente recuperate e messe a disposizione dal Comune agli artigiani che sceglieranno di trasferire la propria at49
tività nel paese. L’esperienza della fiera, un tempo poco più di un mercato, diventa un’occasione per ripensare ad una fiera nazionale dell’artigianato d’innovazione, indirizzando così l’evento verso una produzione di qualità. Questi processi rafforzano l’identità del paese, che vede nascere nuove iniziative, come i corsi della sua Libera Università dell’Artigianato Sperimentale (10). Gli eventi e le manifestazioni promossi riscuotono sempre maggior successo, dovuto alla serietà degli insegnamenti e della ricerca artistica, che si riflette nella qualità dei prodotti e quindi nella validità generale dell’esperienza. A coronare le manifestazioni di tipo artistico ed artigianale, ci sono ovviamente fiere ed eventi legati alla dimensione eno-gastronomica, ormai una costante legata alla promozione del territorio e della cultura. Il Manifesto dell’Associazione Nazionale degli Artisti Artigiani qui riportato, offre un interessante punto di vista che vede nell’attualizzazione dell’artigianato, e quindi nel connubio fra innovazione e tradizione, la questione centrale della ricerca che viene sviluppata presso San Sebastiano Curone. MANIFESTO: 1. PER DEFINIRE L’ARTIGIANATO D’INNOVAZIONE occorre in primis riconoscerlo come depositario di una forma di sapere morale che si tramanda da generazioni e che, se non tutelata, rischia di sparire per sempre. Il sapere in questione è legato alla pratica del lavoro manuale e al contatto diretto con la materia. La pra50
tica del lavoro e il contatto con la materia coinvolgono il corpo dell’autore non meno delle sue facoltà razionali, tanto che l’esperienza maturata si deposita nel “gesto” come forma di sapere non verbale e a- razionale, anteriori rispetto al contenuto razionale e verbale dell’opera. 2.
L’ARTIGIANATO IN SE STESSO È PORTATORE DI VALORI come la cura del mondo e l’aver cura dell’altro che sono valori insopprimibili e fondamentali, rimandando ad un sistema della qualità dell’esistenza che è premessa e fine ultimo del buon vivere. La dimensione del lavoro artigianale implica necessariamente una differente visione temporale. L’attenzione alla materia e la cura del gesto modificano il tempo della coscienza, generando un sistema di valori in netta antitesi alla logica contemporanea del consumo e del servizio. 3.
PER QUESTO IL MANIFESTO DELL’ARTIGIANATO D’INNOVAZIONE SI SOFFERMA INNANZITUTTO e per lo più sul tema della qualità come evento in cui si definiscono le posizioni dell’artigiano, della sua opera e del fruitore della medesima. In questa visione si prendono nettamente le distanze dalla qualità intesa come attributo dell’opera, come visione intrinseca o estrinseca. La qualità è per noi l’orizzonte fenomenico in cui esistono l’autore, l’opera e il fruitore. 4. IL TEMA DELLA NOVITÀ COME INNOVAZIONE ASSUME IN TUTTO QUE51
STO
UN’IMPORTANZA CRUCIALE. Assumiamo la novità nella sua radice profonda, quando “novus” significa sia “nuovo” sia “di poco conto”, ai margini dell’orizzonte conoscitivo. Questa novità, tanto vicina da passare inosservata nell’uso tradizionale e immediatamente diversa nella forma che le viene conferita dall’artigianato di ricerca, abbraccia la pratica del lavoro e la materia, sia essa comune o aliena. EXPERIMENTUM Una delle microeconomie possibili è quella che unisce solidamente l’artigianato d’innovazione al vecchio borgo di paese.
Il fenomeno dell’abbandono delle aree rurali e della migrazione nei centri produttivi è stato nell’immediato dopoguerra un fenomeno mondiale: la logica del consumo richiedeva allora grandi concentrazioni di uomini sia per la produzione sia per il consumo del prodotto. L’esito di questo processo è lo stato di abbandono e decadimento culturale in cui versano la maggior parte delle aree marginali. Tuttavia, proprio perché sono “marginali”, le vecchie e desuete borgate rappresentano una risorsa creativa e uno spazio fisico praticabile per le microeconomie. Il borgo era tradizionalmente una cellula produttiva, luogo di scambio e centro di cultura. La riattivazione del borgo come centro di artigianato non deve consistere in un reazionario ritorno 52
all’economia pressoché autarchica del tempo passato, quanto piuttosto nella ridefinizione dell’area marginale come “nuovo” centro di cultura e creatività, capace di indurre un meccanismo opposto a quello della logica del consumo, che riporti al centro dell’esistenza il sistema della qualità a discapito del consumismo. Un’economia così caratterizzata è in grado di attrarre nei borghi le masse urbane, generare un’inversione di tendenza che già oggi, è evidente per chi li abita, si avverte come una necessità collettiva. Se è sempre più evidente la necessità di fuga dalle città per motivi economici ed esistenziali, la trasformazione del borgo in centro non solo è funzionale a questa esigenza, ma anche alla contemporanea crisi del sistema economico mondiale. Questo processo non può che generare un miglioramento generale di entrambe le realtà, città e borgo, oltre a salvaguardare e promuovere il sapere dell’artigianato. Lo spazio fisico del borgo accoglie la bottega e la piccola realtà produttiva e rifiuta per collocazione il consumismo più sfrenato. La ridefinizione degli spazi fisici del borgo condurrebbe ad un miglioramento delle condizioni economiche degli abitanti, al recupero di spazi desueti e alla riattivazione del sistema culturale del medesimo. Le vecchie botteghe per lo più abbandonate o al più utilizzate come magazzino, hanno costi di locazione altamente vantaggiosi. Il singolo artigiano che provi ad aprire una attività nelle vecchie botteghe sarebbe isolatamen53
te destinato al fallimento.Ma un collettivo di attività artigianali può avere risultati inaspettati: Il borgo ritorna ad essere centro di cultura e novità. (11)
(10) “..Il più utile degli atenei italiani, perché al posto di pezzi di carta dispensa sapere vero, concreto, tangibile. Si passa così dalla textile designer Lucia Lapone, specializzata nell’antica tecnica di tintura naturale giapponese dello Shibori, alle illustrazioni di Greta Penacca; dalle pratiche di rilegatura di Marta Wrubl, professionista attiva nel campo del restauro del libro antico, alla folta schiera di chi interpreta al meglio il genius loci di queste terre. Manipolando il legno dei suoi boschi generosi: scolpendo e pirografando. Un’utopia? Pare di no, se è vero che sono una quarantina i professionisti che hanno mostrato forte interesse alla possibilità di tornare a popolare San Sebastiano. Animata in queste settimane dalle lezioni della sua università, in attesa dell’appuntamento annuale con Ar-
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tinfiera.� (Franceso Sala, Art Tribune, Un borgo del Piemonte rinasce offrendo botteghe abbandonate ad artisti artigiani: accade a San Sebastiano Curone. Con l’ok di ABO e Pistoletto, in http://www.artribune. com) (11)
ArtinFiera, Associazione Nazionale degli Artisti Artigiani,
Manifesto, in http://www.artinborgo.it)
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2.1.2
un nuovo modello ricettivo che complessifica le regole del turismo. L’Albergo diffuso
*Santo Stefano di Sessanio *Sassi di Matera *Torre del Colle *Castel S. Giovanni della Botonta *Eremito
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“L’era social non l'hanno inventata Mark Zuckerberg e i suoi amici di Harvard nel 2004. Correva l'anno 1977 e il genio di Facebook non era ancora nato: un gruppo di universitari svizzeri sbarcò in un Friuli devastato dal terremoto dell'anno precedente e, guidato da un architetto del Politecnico di Zurigo, inventò un modo nuovo di concepire il turismo: molto social, ambientalista ante litteram, rispettoso della cultura e della storia del luogo e con un occhio all'economia reale. Erano solo tesi di laurea ma in quel gruppo di pionieri c'era chi ha preso l'idea sul serio, l'ha rielaborata e ha costruito un modello di ricettività made in Italy, l'albergo diffuso, che tutte le regioni italiane e qualche Stato europeo hanno recepito e messo in pratica Ormai diffuso in tutta Italia, dal Piemonte alla Sicilia, dal Veneto alla Sardegna, è una sorta di hotel orizzontale, con camere e servizi distribuiti in edifici diversi, all'interno di un unico centro storico. «L'albergo diffuso doc – afferma Giancarlo Dall'Ara, presidente dell'Adi, l'associazione che riunisce un centinaio di strutture italiane – è aperto tutto l'anno perché propone al turista di vivere il luogo dove dimora temporaneamente come se fosse un abitante autoctono, è sostenibile perché si insedia in edifici esistenti e perché spesso propone prodotti agricoli e artigianali a chilometri zero». Vivere la vita del borgo in ogni stagione: è il primo comandamento di chi offre questo tipo di ospitalità nei paesi e nelle città dello Stivale. «È la terza via per rianimare i piccoli centri – continua Dall'Ara – spesso abbandonati a causa di un inurbamento che li dissangua. Al contrario delle altre due strade che sintetizzo con due neologismi, 58
museificazione e disneyficazione, questa terza via prevede la presenza dei residenti». Tessuto urbano, sociale ed economico si intrecciano per proposte slow e green che intendono recuperare, mantenere, condividere il genius loci unico e irripetibile nascosto in ogni contrada del Belpaese. I problemi non mancano. Quelli burocratici soprattutto. Ogni regione ha legiferato in materia, ma molte normative sono farraginose e non coordinate tra loro. Due giovani laziali, per esempio, hanno impiegato 5 anni per aprire il loro albergo, in Lombardia non esiste un regolamento attuativo, nonostante la legge regionale sia stata approvata nel 2009, in Friuli Venezia Giulia hanno consentito di aprire alberghi diffusi sparsi per intere vallate o in territori vasti di comuni confinanti. Dall'Ara è categorico: «Se vado in vacanza con un amico, non possiamo soggiornare in stanze che distano 10-15 chilometri l'una dall'altra. Le unità abitative dell'albergo diffuso dovrebbero essere posizionate in un raggio di 2-300 metri, in modo tale da vivere la vacanza e la vita del borgo anche a piedi» (12) .
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uello degli alberghi diffusi, è dunque un altro fenomeno che, nell’ambito della riattivazione dei centri storici minori, deve essere assolutamente analizzato in quanto generatore di effetti positivi sul territorio e sulle attività umane che esso ospita. Il Presidente dell’ADI (Associazione Italiana Alberghi Diffusi), Giancarlo Dall’Ara, definisce l’albergo diffuso come:un modello di ospitalità originaleun modello di sviluppo turistico del territorio “Si tratta infatti di un modello di ricettività concepito 59
per proporre all’utenza una permanenza nel luogo caratterizzata dalla possibilità di usufruire di un’offerta esperienziale; un’alternativa al comune servizio alberghiero, che permette il vantaggio di poter risiedere in abitazioni o stanze del centro storico, a soli “..200 metri dal “cuore” dell’albergo diffuso: lo stabile nel quale sono situati la reception, gli ambienti comuni, l’area ristoro.” (13) Questo tipo di ospitalità diffusa rappresenta anche un esempio virtuoso di sviluppo del territorio a basso impatto ambientale poiché incentiva la ristrutturazione e il recupero delle strutture già presenti, escludendo così la necessità di costruire ex novo. Un AD (albergo diffuso) può costituire inoltre un centro importante all’interno del paese per organizzare e stimolare iniziative da parte dei produttori locali, considerati come elemento chiave dell’offerta ricettiva. “Un AD infatti, grazie all’autenticità della proposta, alla vicinanza delle strutture che lo compongono, e alla presenza di una comunità di residenti riesce a proporre più che un soggiorno, uno stile di vita. Proprio per questo un AD non può nascere in borghi abbandonati. E poiché offrire uno stile di vita è spesso indipendente dal clima, l’AD è fortemente destagionalizzato, può generare indotto economico e può offrire un contributo per evitare lo spopolamento dei borghi.” Vediamo dunque come alcune delle località nostrane si sono approcciate a questa tematica, indagheremo, come ciascun paese ha saputo interiorizzare ed interpretare questi meccanismi di ospitalità diffusa convertendoli in opportunità concrete di sviluppo locale. 60
(12) Marco Angelillo, La Stampa, I borghi abbandonati rinascono con gli alberghi diffusi amici dell’ambiente, in http://www.lastampa.it (13) Alberghi diffusi, Ideatore del modello in http://www.alberghidiffusi.it (14)
Sito Ufficiale degli Alberghi Diffusi, Un’idea di Giancarlo
dell’Ara,in http://www.albergodiffuso.com/
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*Santo Stefano di Sessanio il primo caso di albergo diffuso in Italia
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orgo di origine medioevale, Santo Stefano di Sessanio si presenta come un suggestivo agglomerato fortificato sulla sommità di un colle ai piedi del Gran Sasso. Gli importanti reperti di origine paleolitica(15) raccontano il passaggio dei primi agricoltori e pastori, nostri antichissimi antenati. Il nome di questo borgo proviene invece da un passato un po’ più recente, se così si può dire, quello romano. “Sextantio” (originariamente “Sextantia”), infatti, doveva indicare la distanza, di sei miglia appunto, che separava il piccolo borgo di Santo Stefano di Sessanio (ai tempi niente di più che un piccolissimo insediamento di poca importanza) ed il più grande pagus romano di San Marco, che si trovava in una vallata tra Castel del Monte e Rocca Calascio e che sicuramente era il più importante nella zona. Il nome invece di “Santo Stefano” deriva quasi sicuramente dalla più importante chiesa del paese, dedicata appunto all’omonimo Santo. Le prime notizie riguardo Santo Stefano di Sessanio risalgono al 760 d.C., quando queste terre furono donate al monastero di San Vincenzo al Volturno da parte del re longobardo Desiderio. Con la caduta dell'Impero romano ed il pericolo continuo delle invasioni barbariche, il paese tende ad arroccarsi, dotandosi di fortificazioni difensive, men62
tre l’opera dei monaci determina un aumento delle terre coltivabili e quindi un aumento della popolazione. Il passaggio sotto la proprietà dei Medici, determinò un notevole sviluppo per Santo Stefano di Sessanio, che divenne un centro importante per la produzione della lana carfagna, materiale che veniva poi lavorato a Firenze ed in seguito rivenduto in tutta Europa come prodotto di pregio. I Medici mantennero la proprietà della Baronia, e quindi di Santo Stefano di Sessanio, fino al 1743., data in cui il borgo entra a far parte del Regno delle Due Sicilie, diventando così patrimonio privato del Re di Napoli. Con l’Unità d’Italia, Santo Stefano di Sessanio diventa Comune. “Santo Stefano di Sessanio, una delle più fedeli testimonianze della complessa evoluzione storico -sociale dei borghi dell’Appennino centro-meridionale costruitisi nel periodo dell’incastellamento, oggi si presenta con un impianto urbanistico tipicamente medievale e con stratificazioni architettoniche tardo-medievali e proto-rinascimentali di complessa articolazione: corti, patii, vicoli, passaggi coperti, con la presenza nelle abitazioni di archi, logge, portali, camini e cornici in pietra. Il tutto con quella originale apparenza di sviluppo urbano spontaneo e non pianificato e con le storiche stratificazioni sovrapposte le une sulle altre.[...]L’eccezionale integrità e fusione tra il contesto antropico e il contesto ambientale rappresenta l’aspetto più caratteristico e qualificante di questo luogo”.(16) 63
Recentemente, dalla fine degli anni sessanta ad oggi, il borgo sta riscoprendo una nuova vita, grazie al turismo, alla promozione dei prodotti agroalimentari locali e agli interventi di restauro, frutto delle amministrazioni che si sono susseguite negli ultimi anni e dai giovani che hanno dato un contributo alla pro-loco incoraggiando lo sviluppo del territorio. Oggi Santo Stefano di Sessanio costituisce la porta meridionale del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga e, come il vicino borgo di Castel del Monte, rientra nella selezione de “I Borghi più belli d’Italia”. Un contributo decisivo a questa rigenerazione è stato dato, a partire dal 2004, dall’arrivo di un imprenditore di origini italo-svedesi, Daniele Elow Kihlgren, che essendo rimasto colpito dalla bellezza e dall’integrità del borgo abruzzese decise di acquistare e ristrutturare gran parte degli edifici del centro storico, con il fine ultimo di realizzare un albergo diffuso con il nome di “Sextantio”. La Società, Sextantio s.r.l. è riuscita infatti ad acquisire un patrimonio immobiliare di circa 3500 mq, comprensivo di alcuni degli edifici più importanti del borgo, con lo scopo appunto di realizzare un albergo diffuso “che prevede, oltre alle strutture ricettive, botteghe di artigianato tradizionale, una cantina di prodotti enogastronomici tipici, una locanda basata sulla cucina locale oltre a servizi per il turismo e le attività connesse: una sala conferenze e diversi luoghi per incontri, un centro benessere ed un centro escursioni.” (17) Inoltre, come la società stessa, diretta da Kihlgren, ci tiene a sottoli64
neare: “ Il progetto prevede primariamente ed in assoluta autonomia rispetto alle esigenze di ridestinazione, interventi volti a garantire il permanere delle caratteristiche di integrità architettonica degli immobili storici con un approccio conservativo seguito con la dovuta coerenza.” (18) L’idea di trovare una strada alternativa rispetto alla consueta ridestinazione turistica, è sorta infatti proprio per contrastare la possibile violazione dell’integrità del patrimonio del borgo abruzzese, concretizzatasi nella scelta di evitare la realizzazione di nuove strutture ed evitando una sovrapposizione di stili conseguente ad interventi di ristrutturazione volti all’inserimento di segni contemporanei. L’intento è dunque quello di potenziare la promozione del turismo, rispettando al contempo la vocazione e l’autenticità del paese, senza snaturarne il cattare e preservandone le fattezze. La società Sextantio a tal proposito, si è impegnata a stilare, con l’ente di tutela del territorio del Parco Nazionale e del Comune, la “Carta dei valori per S. Stefano di Sessanio”, un documento che sancisce la tutela dei vari patrimoni riconducibili al concetto intuitivo di “autenticità” e di “identità autoctona”, come presupposto di base della progettazione di queste aree. “La filosofia di fondo articolata in questa espressione di volontà ha dato il via da parte nostra, quale soggetto privato, ad una serie complessa di studi con le qualificate istituzioni di ricerca (Università D’Annunzio, Museo del65
le Genti d’Abruzzo, etc.) ed alcuni tra i rappresentanti della migliore “intellighenzia” regionale, quale presupposto alla progettualità dell’albergo diffuso e delle attività connesse. Dalle ricerche propriamente storiche alle indagini con l’ausilio della memoria degli anziani, per definire l’organizzazione del borgo e le destinazioni d’uso storiche degli immobili prima dello spopolamento. La conoscenza delle destinazioni d’uso originarie è stato impegno propedeutico e motivo ispiratore per ogni ipotesi di ridestinazione che quasi in ogni singolo vano conserverà quella originaria”(19) Ad affiancare la questione architettonica ( per la quale Daniele Kihlgren ha fatto affidamento sull’architetto Lelio Oriano Di Zio) c’è anche quella che riguarda lo sviluppo economico del borgo; l’albergo diffuso si dimostra anche sotto questo aspetto uno strumento molto utile poiché parallelamente alla ristrutturazione e rifunzionalizzazione attenta dei diversi locali, permette di preservare e potenziare le attività legate alle tradizioni e alla cultura locale. L’utenza che sceglie di soggiornare nell’albergo diffuso ha quindi la possibilità di vivere un’esperienza completa nel territorio, un’offerta ricettiva che non si limita al pernottamento in una stanza suggestiva, ma che permette un approfondimento dell’intera cultura, la conoscenza dei mestieri tradizionali, prodotti tipici e delle usanze locali. Considerato l’aumento del turismo nel tempo, la scommessa di Santo Stefano di Sessanio si è dimostrata vincente, ed il modello dell’albergo diffuso è stato adottato in molte altre località, italiane e non. 66
Sfortunatamente, la regione Abruzzo ha incontrato negli ultimi anni numerose difficoltà a causa dei devastanti terremoti e questo borgo, come molti altri, ne ha risentito. Lo stesso Sextantio, un esempio virtuoso di preservazione del patrimonio storico ed innovazione a livello locale, è stato costretto ad arrestarsi temporaneamente(20). Il mio augurio è che possa ripartire al più presto possibile e con nuove iniziative estese a tutta la Regione, che possano diventare, a loro volta, un esempio da seguire in tutto il nostro Paese.
(15) Il 15 giugno del 1979, venne rivenuto da Fulvio Giustizia (archeologo paletnologo e storico abruzzese, classe 1939), il primo fossile umano d’Abruzzo, di circa 80 mila anni fa (Comune di Santo Stefano di Sessanio, Storia del Comune, in http://www.comunesantostefanodisessanio.aq.it) (16)AA.VV. , Santo Stefano di Sessanio e l’Albergo diffuso, in “pubblicazione ragionata della Sextantio”, Poligrafica Mancini, 2005, p.7 (17) Ibid., p. 19 (18) Ibid., p. 19 (19) Ibid., p. 25 (20) M. Signori, Abruzzo Web, Sfuma il sogno Santo Stefano di Sessantio, Albergo Diffuso licenzia tutti e cambia, in http://www.abruzzoweb.it )
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*Sassi di Matera L’albergo diffuso 2.0
L
’episodio di Sextantio, proprio in seguito al successo dell’operazione, è diventato un modello per altre località italiane, prima su tutte Matera, in particolare l’area dei Sassi. I Sassi costituiscono la parte antica della città , interamente ricavata scavando nella roccia calcarenitica (chiamata localmente tufo), si compongono sistemi abitativi articolati, incasellati lungo i pendii di un profondo vallone chiamato la Gravinia. Questo intricato sistema di roccia, architetture, passaggi e gallerie forma uno scenario di grande effetto, un paesaggio di inestimabile bellezza. I Sassi si suddividono in due distinti Rioni: Sasso Barisano e Sasso Caveoso, separati dal colle della Civita, che rappresenta l’insediamento urbano più antico, di stampo medievale, della città di Matera. Il fascino di questi luoghi, è universalmente conosciuto, tanto che nel 1993 sono stati proclamati Patrimonio dell’Umanità. Attualmente il paese è una nota meta turistica, ambita da persone di ogni età, grazie alla vasta offerta culturale, che spazia dagli eventi artistici alle proposte enogastronomiche, fino a tour organizzati per gli amanti de trekking, della natura e della storia. L’ampia possibilità di scelta, da parte dell’utenza, riguarda anche il settore ricettivo, che è stato potenziato secondo le modalità che abbiamo visto precedentemente. Anche in questo caso il soggetto che ha reso possibile 68
la trasformazione delle grotte dei Sassi in albergo diffuso è Daniele Kihlgren, che dopo il successo di Sextantio, si è adoperato per investire capitali a Matera. Qui nascono “le Grotte di Civita”, ancora una volta un progetto di restauro conservativo cosciente e giudizioso, volto a riproporre gli antichi locali scavati nella roccia in chiave ricettiva, secondo le modalità dell’albergo orizzontale. L’implemento della capacità di accoglienza e la bellezza senza uguali di questo sito hanno attirato negli anni sempre più turisti. Ma Matera e i suoi cittadini non si arrestano a questo traguardo, è doveroso infatti sottolineare gli sforzi di questo Comune che, anno dopo anno, iniziativa su iniziativa, ha trasformato il piccolo centro storico in un luogo pulsante di vita e di futuro. L’obiettivo infatti è quello di trasformare il “turista del week end” in un “abitante temporaneo” , sfida che viene condotta con la giusta strategia: incentivando un atteggiamento rivolto a garantire maggior attenzione nelle esigenze dei giovani, all’istruzione, potenziando i trasporti e i mezzi di condivisione, guardando al futuro, mantenendo i valori generati dalla tradizione. A segnare la volontà di proseguire su questo fronte: la candidatura nel 2019, “Matera Capitale Europea della Cultura” (21). La capitale della cultura 2019: non vogliamo diventare una cartolina E poi c’è Matera. Eccezione delle eccezioni. Capitale europea della cultura nel 2019. Dove tornano giovani andati a studiare al Nord o all’estero. Dove arrivano gli stranieri a fare impresa. E dove a 69
fronte di 60 mila abitanti l’anno scorso (dunque anche prima del successo della candidatura, sancito il 17 ottobre), i turisti sono stati 153mila persone per 244mila pernottamenti. Raddoppiati in cinque anni eppure, anziché esultare, a Matera si stanno preoccupando perché i turisti stanno diventando troppi e crescono a ritmi troppo sostenuti (+16,5% in un anno), con il rischio di diventare «città cartolina». Mordi e fuggi, perdendo l’anima. Matera è un miracolo che non nasce all’improvviso. È il frutto di pensieri lunghi. Dei giovani come l’urbanista Pietro Laureano che quarant’anni fa immaginarono di far entrare i Sassi nel circuito dei beni Unesco, primo sito del Sud. E dei giovani come la sociologa Ilaria D’Auria, che nel 2009 immaginarono la candidatura a capitale europea, telefonarono a un professore italiano che insegna in Gran Bretagna e si fecero spiegare come si fa. Ecco uno dei tratti peculiari (e originali, nel panorama italiano e non solo meridionale) del caso Matera: i tempi lunghi. Il secondo è la capacità di attrarre capitali e persone da fuori. I più conosciuti come l’attore Mel Gibson, che nei Sassi alla fine del 2002 girò il film sulla Passione di Cristo, o il milanese Daniele Kihlgren, che ha impiantato un albergo diffuso con tassi di riempimento costantemente sopra l’80%. E i meno noti, ma non meno significativi: l’inglese che produce gioielli tra i Sassi con materiali di riciclo del territorio; l’architetto irlandese che restaura case nei centri storici lucani; la traduttrice americana che organizza il festival di letteratura rosa più importante d’Europa. Terzo elemento: il turismo a Matera è destagionalizzato (una chimera in gran parte d’Italia), tan70
to che gli albergatori hanno chiesto di anticipare di due settimane il festival organizzato con Radio3, «perché a fine settembre siamo già pieni». Il fatto è che a Matera - altra eccezione - la parola turista non piace. Nel dossier 2019 risuonano altre espressioni. Come «cittadino temporaneo», perché l’obiettivo è trasformare chi arriva per un weekend in una persona che vive a Matera per un tempo più lungo, ci ritorna, si radica in quello che Vittorio Sgarbi definisce «un luogo assoluto». Un’altra espressione chiave è «abitante culturale», riferito a una persona che non aspetta lo Stato ma si occupa personalmente del patrimonio culturale cittadino sentendosene proprietario e responsabile. Per questo la vulcanica soprintendente Marta Ragozzino (una che due minuti prima dell’inaugurazione di una mostra trovi fuori sotto il sole a spostare le transenne, non dentro a stringere le mani alle autorità) ha deciso di affidare ai materani le opere del museo di Palazzo Lanfranchi, consentendo di portarsele a case, per diventare «ambasciatori» della cultura nel quartiere. «Tutto questo esisteva già, noi l’abbiamo trasformato in una narrazione - dice Paolo Verri, capo della struttura organizzativa - guardare tra vent’anni è l’unico modo per arrivare in tempo, se pensiamo a recuperare il tempo perduto non ce la faremo mai». Quindi non solo b&b, festival, pub. Tra due mesi arriveranno i primi venti allievi della scuola di restauro, per fare «export di competenze culturali» e partecipare nel tempo a progetti anche all’estero. E una delle idee più forti del dossier di candidatura attiene al capitolo «open data e open democracy» con investimenti sugli studenti tra 8 e 12 anni, nella regione con il più basso tasso di lettura d’Europa. 71
Poi, certo, senza treni nazionali e aeroporti Matera resta lontana. Nei giorni scorsi la Regione Puglia ha stanziato 20 milioni per eliminare i cinque passaggi a livello che portano il viaggio delle ferrovie locali Bari-Matera a 75 minuti. Chissà se fino al 2019 questa «grande opera» sarà completata e consentirà di viaggiare da Bari a Matera in treno in tre quarti d’ora (meno che in auto). Ma in ogni caso quella che si presenterà all’Europa come capitale della cultura sarà una città tutt’altro che disconnessa. (22)
(21) Per il programma completo si consulti il sito: http://www.matera-basilicata2019.it (22) Giuseppe Salvaggio, in La Stampa, Il miracolo Matera, dove arrivano giovani e stranieri a fare impresa, 02/08/2015, p.20
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vista dei Sassi di Matera
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*Torre del Colle l’albergo diffuso come rilancio turistico di un borgo dalla posizione strategica “Si esce dal mondo quando si entra nel piccolo borgo medievale di Torre Del Colle, tra vigneti di Sagrantino e ulivi, sui colli a pochi passi da Bevagna. In una quiete fuori dal tempo..” (23)
A
nticamente conosciuto come “ Castrum Turris Collis”, Torre del Colle ha conservato fino ad oggi il suo carattere medievale grazie alla sua possente struttura rettangolare in pietra arenaria. Prima “Torre S. Lorenzo” (dal nome della chiesa dedicata al Santo di origine spagnola che nel XVII secolo) poi Torre del Colle, ebbe il suo sviluppo intorno all'anno mille, anche se nelle zone limitrofe al castello sono state rinvenute tracce di un tempio romano dedicato a Latona, madre di Apollo e Diana, venerati anche a Bevagna. Il rinvenimento di un acquedotto e frammenti di iscrizioni funerarie, fanno supporre l’esistenza di un vero e proprio Pagus Romano. Contesa tra i comuni di Bevagna, Todi e Perugia, tra i Trinci e lo stato della Chiesa, la storia di Torre del Colle è stata caratterizzata da una forte instabilità politica. Con l’avvento della modernità, che vede l’abbandono delle campagne per maggior possibilità di benessere nelle città, questa località subì un forte spopolamento, come del resto la maggior parte dei piccoli centri storici che costellano il nostro Paese. In seguito al rinnovato interesse nei confronti 74
delle realtà più minute e genuine anche questo borgo ha intravisto nella “ricettività alternativa” una possibilità di rilancio nel settore turistico, diventando così una meta frequentata da coloro che voglio visitare Assisi, Spello, Montefalco e Spoleto o per fare escursioni nella natura a piedi o in bicicletta. In questo caso, come nei precedenti, alcune architetture del sito storico sono state ristrutturate e messe a sistema secondo il modello dell’Ostello diffuso, che qui prende il nome di TurrisCollis. Gli alloggi, affacciati sulle mura millenarie, sono sparsi lungo i vicoli, sollecitando così i visitatori a sentirsi un po’ più “abitanti del borgo”, e meno dei semplici turisti. Ad oggi sono stati ristrutturati gli edifici che fino a qualche decennio fa ospitavano l’Emporio e la Scuola del paese, dove le stanze dell’Ostello, che può accogliere fino a 21 ospiti, sono state progettate ciascuna secondo un tema differente. Dislocato come consuetudine, seppur rimanendo vicino alle unità abitative, all’entrata del borgo, è collocato il ristorante in cui è possibile assaporare la tipica cucina locale. Nonostante le piccole dimensioni di questo centro, frazione del Comune di Bevagna dal bassissimo numero di abitanti (pari a 33), manifestazioni e sagre non mancano, tra queste “Borgo in festa”, evento enogastronomico accompagnato da musica e danze. La strategia dei promotori dell’innovazione ricettiva del borgo, è stata quella di caratterizzare questo Albergo diffuso secondo una propria specificità, promuovendosi come una sorta di “ciclo-hotel”, in75
fatti, si dimostra il tentativo di intercettare l’interesse di tutti gli appassionati delle due ruote, avanzando servizi dedicati e specifici per questo sport. La scelta di declinare l’offerta ricettiva selezionando una caratteristica congrua, non solo con le caratteristiche del territorio circostante, ma anche con la possibilità di dedicare maggior attenzione ad un fenomeno sempre più diffuso come quello del cicloturismo, ha determinato la conversione del borgo in una tappa di riferimento per coloro che intraprendono vacanze in bicicletta nella regione.
schema del percorso cicloturistico di Torre del Colle
(23) Turris Collis, “Il Borgo”, in http://www.turriscollis.com
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*Castel San Giovanni della Botonta un esempio di caratterizzazione dell’albergo diffuso
N
ella suggestiva ambientazione del borgo medievale di Castel San Giovanni della Botonta, in Umbria, sorge la struttura ricettiva di Torre della Botonta, una fortezza albornoziana risalente al 1300, il cui nome al tempo significava “luogo di confine”. L’intero borgo oggi rivive grazie alla visone di Fortunato Baliani, ex ciclista (24) che ha deciso di intraprendere il restauro delle fabbriche medievali al fine di convertire l’intero complesso storico in un albergo diffuso, aperto nel 2010. La reception è collocata nella torre di guardia, mentre camere, alloggi, servizi e ristorazione sono diffusi all’interno delle mura, dando così modo agli ospiti di poter vivere a pieno tutti gli spazi del borgo. La passione di Baliani per la bicicletta non è mai stata messa da parte, si riscontra infatti fra le attività che vengono offerte ai visitatori. Anche in questo caso, come nel precedente, si riscontra non solo uno sforzo nel convertire il complesso in AD, ma anche di caratterizzarlo, rendendo la struttura ancor più apprezzabile, allargando così la varietà dell’utenza potenzialmente interessata. Rivolgendosi agli amanti delle due ruote questo borgo offre infatti la possibilità di poter contare sull’esperienza di un campione disponibile ad accompagnare i visitatori in tour organizzati per le campagne umbre. Ovviamente non è necessario essere dei ciclisti per apprezzare la bellezza di questi luoghi, dove natu77
ra e buona cucina sono garantiti a tutti. Inoltre, per ampliare l’offerta, a 2 km dal borgo è presente una Natural spa ad esso convenzionata, così da poter assicurare un ulteriore servizio per chi preferisce una tipologia di vacanza all’insegna dell’assoluto relax. L’impresa di Baliani unisce passione, storia, tradizione e natura; elementi tenuti insieme dalle mura storiche di questo piccolo centro, che sono oggi testimoni di come rinnovate percezioni del patrimonio possano portare ad interpretazioni in grado di legare presente e passato generando nuove realtà.
(24) Fortunato Baliani ha gareggiato per ben 16 stagioni nella massima categoria disputando ben 8 Giri d’Italia dove ha ottenuto ottimi risultati come le varie classifiche vinte. Aveva la caratteristica di essere un ottimo scalatore. Nelle tappe alpine del Giro d’Italia è stato spesso all’attacco, nel tentativo di guadagnare punti per la speciale classifica della maglia azzurra che premia il miglior scalatore della corsa rosa. Durante il Giro d’Italia 2006 è transitato per primo sul Passo Pordoi , passaggio che è ricordato da una stele che è situata sul passo, dove sono impressi in una lista tutti coloro che, nella storia del Giro, sono transitati per primi su questo valico alpino. Ha vinto 13 gare nei professionisti e ottenuto rigorosi piazzamenti. ( Torre della Botonta, Bike Hotel, Fortunato Baliani, in http://torredellabotonta.com )
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*Eremito Ostello De l’Alma A Parrano ritiro sprituale, digital detox e ospitalità diffusa
L
’ultimo interessante spunto per questa indagine, è quello rappresentato da Eremito l’Hostelito del Alma, situato a Parrano, ancora una volta in Umbria. Si tratta di un’antica dimora, totalmente restaurata, secondo le norme della bioedilizia, rispettando l’estetica e la tradizione dei monasteri medievali. Il complesso è collocato nel cuore della riserva naturale dell’Elmo, circondato da oltre 3.000 ettari di natura lussureggiante, a soli 30 Km da Orvieto. In questo luogo bellezza, tranquillità e pace sono stati d’ispirazione per Marcello Murzilli, l’ideatore di questo particolare ostello. “La prima volta che mi sono affacciato in questa valle ho sentito di trovarmi in un posto unico:i colori, le luci, lo scintillio del guado del fiume, gli immensi boschi della Riserva Naturale… e là, in cima al colle che dominava tutta questa meraviglia incontaminata, soltanto un rudere.” (25) Da questa percezione nasce infatti la proposta di un’offerta ricettiva incentrata sulla spiritualità. Nonostante non si tratti di un esempio di Albergo Diffuso vero e proprio, ho trovato opportuno inserirlo in questa sezione della ricerca in quanto modello di ospitalità alternativo che è stato in grado di attrarre sul territorio un buon numero di visitatori. Ciò è stato possibile grazie alla lungimiranza e alla sensibilità del suo artefice, che ha visto nelle caratteristiche au79
tentiche del luogo un potenziale da interpretare ed assimilare sotto forma di una proposta “esperienziale”. Inaugurato nel 2013, l’Hostelito del Alma si caratterizza infatti come un luogo “dove rigenerarsi ritrovando il contatto con le priorità della vita, perse di vista nel caos della quotidianità” (26) riscoprendo i vantaggi dell’essenzialità e del silenzio. Eremito rappresenta inoltre il primo caso di hotel “Digital Detox” in Italia, scegliendo a questo scopo di non dotare l’intera area, camere comprese, di segnale telefonico, né tantomeno di wi-fi, lasciando così al fruitore, costretto ad abbandonare tutti i mezzi tecnologici, la possibilità di approfittare della situazione per scoprire che si può impiegare il tempo a disposizione in mille altri modi. “Seppur dotata dei comfort indispensabili, nella vostra stanza non troverete telefono, televisione o connessione wi-fi, ma uno scrittoio in pietra e una comoda seduta. Lasciatevi ispirare dai paesaggi incantatati che ammirerete dalla vostra finestra, abbandonandovi al verde mare della Valle.” (27) Perseguendo il lusso dell’essenziale, questo ostello rappresenta una sorta di tempio laico della meditazione, dove il visitatore può concentrarsi sulla ricerca del suo io più profondo, ed abbandonare lo stress della città da cui proviene. Numerose sono le attività ed i workshop a cui è possibile partecipare, tra queste vi sono lo yoga, esperienze di preghiera, passeggiate a cavallo ed escursioni nella natura circostante. A coronare il tutto un’area relax fornita di bagni 80
di vapore ed una piccola piscina ricavata dalla roccia. La cucina, rigorosamente vegetariana e biologica, offre piatti le cui materie prime arrivano dall’orto del monastero o da aziende agricole limitrofe. L’Eremo di Murzilli rappresenta il lusso delle cose semplici, un’esperienza nel silenzio del paesaggio Umbro, pensato per i viaggiatori solitari e cercatori dell’anima.
immmagine campeggio “Digital Detox”
(25) Eremito Resort, La Storia, in http://www.eremito.com (26) (Ibid.) (27) Eremito Resort, Le Celluzze,in http://www.eremito.com
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2.1.3
retorica ambientale e neo-utopia sociale. L’Eco-villaggio *Torri Superiore *PER Parco di Guardea
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T
ra utopia e realtà, retorica e banalizzazioni, si destreggiano invece gli ecovillaggi. Un ecovillaggio è descrivibile, estendendone il significato a più moderne interpretazioni, come un insieme di persone che attraverso il lavoro sostenibile e la vita comunitaria sperimenta una forma di società alternativa rispetto quella proposta attualmente nelle nostre metropoli più o meno tecnologicamente avanzate, promuovendo valori quali il rispetto dell’ambiente, l’importanza della salute fisica, la solidarietà e la partecipazione sociale.
nal tory cial, order
“An ecovillage is an intentional, traditioor urban community using local participaprocesses to integrate ecological, economic, soand cultural dimensions of sustainability in to regenerate social and natural environments.” (28)
Presenti maggiormente negli Stati Uniti(29) (se ne possono contare più di 2.000), ma con un buon livello di crescita anche in Europa e in Italia(30), queste realtà sono connesse fra loro tramite una fitta rete di siti internet e di associazioni, a livello nazionale e internazionale(31) che permettono la diffusione di notizie e la possibilità di rimanere aggiornati sulle differenti modalità di gestione dei vari villaggi e in ultimo permette agli estranei in materia di avvicinarsi a questo mondo ed eventualmente scegliere di farne parte in prima persona. Si tratta di un fenomeno che vede negli ultimi anni una forte crescita. Sarà perché è ormai facile intravedere nella vita che si svolge nelle città i segnali di un cambiamento necessario, o sarà forse per il forte richia84
mo alla sostenibilità e all’ecologia che sempre più sta facendo leva sulle nostre coscienze, sta di fatto che quella delle comunità ecosostenibili rappresenta una proposta valida e sempre più apprezzata da giovani e meno giovani, mossi non solo da motivi economici (vivere insieme costa decisamente meno), ma anche dal crescente bisogno di uno stile di vita sobrio e a basso impatto ambientale, basato su relazioni autentiche e di solidarietà. Nonostante pertinente alle questioni legate alla valorizzazione delle tradizioni, del rispetto della natura e del territorio, un discorso di questo tipo può a prima vista sembrare lontano dai temi investigati fino ad ora, e di per sé lo è se si esaminano solamente i casi di villaggi sorti di recente, in seguito ad una sorta di “atto di fondazione” da parte degli appartenenti di una determinata comunità. Ci sono invece alcuni casi in cui si assiste alla rinascita di un borgo, ancora una volta in crisi, spopolato o sull’orlo dell’abbandono, proprio in seguito alla conversione di tale centro in ecovillaggio. Secondo il Global Ecovillage Network infatti, gli ecovillaggi possono essere suddivisi in tre categorie: di tipo urbano, quando si tratta di uno o più quartieri che decidono di agire secondo una visone comune adottando strategie per convertire la città, o parti di essa, a pratiche rivolta alla partecipazione, alla sostenibilità e alla promozione di eventi culturali..; ecovillaggi intenzionali, se sorti in seguito alla decisione di costruire fisicamente la comunità da zero in un luogo vergine; ed infine, veniamo al nostro caso: gli ecovillaggi tradizionali, ovvero i villaggi e le comunità rurali esistenti 85
che decidono di utilizzare i processi di partecipazione sociale per combinare la saggezza tradizionale con le innovazioni positive ottenendo così una svolta sostenibile ed una riattivazione del paese al livello sociale ed economico. A quest’ultima categoria appartengono i casi che in questa sede seguiterò ad analizzare.
(28) Global Ecovillage Network,What is an Ecovillage?,in https:// ecovillage.org (29) Vorrei ricordare che in Arizona esistono Cosanti ed Arcosanti, ecovillaggi nati dall’intenzione di un architetto italiano, torinese per la precisione, traferitosi negli Stati Uniti negli anni ’50. Si tratta di Paolo Soleri , uno dei primi docenti in campo architettonico che si è interessato alla questione delle città ecosolidali, proponendole come modello alternativo alle metropoli americane. Dagli studi di Soleri nasce una vera e propria teoria, quella dell’Arcologia, che lega appunto architettura ed ecologia. Un legame non solamente teorico, destinato al mondo dei libri, ma anche, e soprattutto, pratico poiché nel 1956 viene fondata Cosanti, città ideata per accogliere 5000 persone, dove sperimentare la vita etica e sostenibile professata da Soleri. Sorse inseguito Arcosanti, dove ancora oggi, nonostante la morte di questo architetto visionario, si vive e si progetta seguendo i dettami dell’Arcologia, accogliendo ogni anno numerosi studenti affascinati da questo luogo della sperimentazione.
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per approfondimenti: P. Soleri, Arcology: The City in the Image of Man, MIT Press ,Cambridge 1969 P. Soleri, Arcosanti: An Urban Laboratory?, The Cosanti Press 1993 (30) Dove ad oggi sono circa 25 secondo: RIVE, Rete Italiana Villaggi Ecologici,in http://ecovillaggi.it (31) Alcune tra le associazioni ed enti a livello internazionale, nazionale e locale: GEN,Global Ecovillage Network (https://ecovillage. org); RIVE, Rete Italiana Villaggi Ecologici, (http://ecovillaggi.it); Habitat Ecovillaggio, (https://www.ecovillaggiohabitat.it); Associazione Basilico (http://www.associazionebasilico.org)
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*Torri Superiore ecovillaggio e turismo
L
e origini dell’insediamento medievale a Torri Superiore, il complesso più antico di edifici separato di poche centinaia di metri dal villaggio principale, sono incerte, ma si ritiene che possa risalire al tardo XIII secolo. Il villaggio, ai piedi delle Alpi Marittime, presenta una struttura particolare, simile ad una roccaforte, sicuramente dovuta a motivi di sicurezza e di difesa contro gli aggressori. L’insediamento medievale è composto da tre corpi principali, separati da due vicoli interni in parte coperti. Oltre 160 vani con soffitti a volta, a botte o a crociera, solo collegati da un intricato labirinto di scale e terrazzi, che caratterizzano il luogo e lo rendono tutt’oggi suggestivo. La pietra, la calce e la sabbia utilizzate per la costruzione erano di origine locale, e provenivano dalla valle o dal letto del vicino torrente Bevera. Sono visibili nel tessuto edificato i segni di una stratificazione, dovuta all’ampliamento nel tempo del paese, di cui le ultime parti risalgono alla fine del XVIII secolo. Anche in questo caso, secondo le modalità che abbiamo già avuto modo di riscontrare in precedenza, nel corso del XX secolo, il villaggio medievale di Torri Superiore fu gradualmente abbandonato da tutti gli abitanti, cadendo in preda al degrado, trasformandosi lentamente in uno dei molti paesi fantasma (ricordiamo il sito www. paesifantasma.it ). Per contrastare la rovina e la decadenza del paese nacque l’Associazione Culturale Torri Superiore, che all’inizio degli anni ’90 da inizio a lun88
ghe trattative con gli storici proprietari, per l’acquisto delle residenze abbandonate. Lo scopo dell’associazione fu da subito quello di, una volta ottenuto il borgo, trasformarlo in Ecovillaggio, mettendo a disposizione abitazioni e risorse per una nuova comunità residente. L’intero villaggio venne negli anni sottoposto ad una complessa operazione di restauro (dal 1997 al 2012) che, previa un dettagliato studio della struttura degli edifici, ha determinato un delicato equilibrio fra gli spazi ad uso pubblico e quelli ad uso privato. Coerentemente con la decisione di diventare un Ecovillaggio, anche tutti i lavori restauro sono stati condotti adottando tecniche e tecnologie sostenibili, dalla scelta dei materiali alla produzione di acqua calda tramite pannelli solari: “L’accurato piano di restauro prevede la conservazione e riqualificazione dei caratteri medievali della struttura attraverso l’uso di materiali naturali ed eco-compatibili, dei principi della bioedilizia e di interventi strutturali in armonia con l’ambiente circostante. Per la gestione dei cantieri sono state impiegate piccole ditte locali con il sostegno costante dei membri dell’Associazione e dei residenti, e con il contributo generoso di gruppi di volontari da tutto il mondo.” (32) Nei lavori di ristrutturazione sono stati impiegati pietra naturale locale, calce (per gli intonaci e le pitture murali) e materiali isolanti naturali (sughero, fibre di cocco). Tutti serramenti sono in legno sostenibile, ed vengono adoperati smalti e pitture 89
ecologiche. L’acqua calda si ottiene tramite pannelli solari. Gran parte dell’energia elettrica del centro culturale viene autoprodotta, attraverso strutture fotovoltaiche e in alcune delle unità abitative sono stati installati piccoli impianti di fitodepurazione. Un’etica che ha accompagnato sin dal principio questo progetto per Torri Superiore, ora Ecovillaggio a tutti gli effetti. La sua piccola comunità infatti sperimenta già da tempo i meccanismi della partecipazione sociale, o “metodo decisionale del consenso”, per cui attraverso il dibattito si ricerca il consenso generale sulle decisioni da prendere riguardanti l’interesse comune.(33) Per quando riguarda l’offerta ricettiva invece, Torri Superiore propone differenti tipologie di soggiorno, dalle più spartane aventi i servizi in comune, alle camere private con bagno, per coloro che necessitano di una maggiore privacy. Anche in questo caso si seguono i dettami di una vita basata sull’etica e sul rispetto della natura, incominciando ad esempio dalla scelta dei trasporti, privilegiando quelli pubblici a quelli privati. Naturalmente i servizi di ristorazione offrono sulle tavole i prodotti tipici locali e biologici e quelli direttamente coltivati negli orti del villaggio, favorendo così un’economia che mira all’autoproduzione. Numerose le attività che il visitatore può scegliere di seguire durante la sua permanenza, sono infatti previsti diversi corsi che esplorano le differenti tecniche di artigianato (ceramica, decorazione, autocostruzione e quant’altro) , corsi legati al benessere fisico come quelli di yoga e capoeira, corsi di ita90
liano per stranieri ed inoltre si tengono convention e seminari sui temi legati all’Ecovillaggio e sostenibilità. La comunità di Torri Superiore si è distinta non solo a livello nazionale, ma anche a livello internazionale, partecipando da diversi anni a numerose associazioni e programmi volti all’approfondimento delle tematiche ambientali e sociali. È infatti parte della GEN, Global Ecovillages Network, il servizio educativo ed informativo( www.gen.ecovillage.org) che, a livello mondiale, offre sostegno ad ecovillaggi e comunità, e alle persone interessate ai loro obiettivi. Dal 1999 al 2003 Torri Superiore ha inoltre ospitato la segreteria della Rete Europea (GEN-Europe, www.gen-europe.org), ed è la sede legale della rete GEN a livello internazionale. Oltre a rivestire un ruolo attivo nello sviluppo della rete mondiale degli ecovillaggi, Torri Superiore è membro fondatore della RIVE (Rete Italiana Villaggi Ecologici, www.ecovillaggi.it), che riunisce le esperienze più significative a livello nazionale, oltre che membro attivo dell’Accademia Italiana di Permacultura (www.permacultura.it). Sicuramente esemplare per la conduzione degli sforzi per lo sviluppo costante del progetto di ecovillaggio, Torri Superiore è anche, o prima di tutto, una località che gode di un forte richiamo legato alla sua posizione geografica, alla ricchezza del paesaggio, e per la sua caratterizzazione “naïf ”, offre la possibilità di un soggiorno alternativo alla generica gita in giornata.
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(32) Torri Superiore, Restauro del Borgo, in http://www.torri-superiore.org (33) “Il metodo decisionale del consenso si fonda sulla responsabilità di tutti i membri del gruppo ed evita le spaccature tra maggioranza e minoranza che possono minare il clima interno e la fiducia reciproca. La prima fase della decisione è il dibattito: ogni proposta viene presentata e discussa apertamente da tutti i partecipanti, che possono apportare modifiche, anche sostanziali, fino a giungere ad una formulazione condivisa da tutto il gruppo. In fase decisionale si possono assumere tre posizioni: chi dà il proprio consenso garantisce anche una partecipazione diretta alla realizzazione del progetto; chi sta da parte si dichiara d’accordo, ma non partecipa per motivi personali. La terza posizione è il blocco, una posizione che deve essere spiegata apertamente a tutti. In presenza di un blocco (anche espresso da una sola persona) la proposta non viene approvata. La nostra comunità usa il metodo del consenso da molti anni, con risultati soddisfacenti. Nel caso di nuovi residenti, per noi vale anche il blocco per motivi personali.” (Torri Superiore, Il metodo del consenso, in http://www.torri-superiore.org )
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*PER Parco per l’Energia Rinnovabile ecovillaggio e educazione
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ra gli innumerevoli casi di villaggi agricoli riconvertiti in ecovillaggi, vorrei segnalare quello del PeR, poiché ritengo molto interessante l’approccio con il quale è stato condotto l’intero intervento. Nonostante il nome non rimandi direttamente all’immagine di un piccolo centro storico, come invece è quasi sempre successo fin’ora, il PeR, Parco per l’Energia Rinnovabile si trova nel Comune di Guardea, in Umbria, e si tratta di un piccolo borgo rurale situato tra Todi e Amelia. Il progetto nasce nel 1999 con l’acquisto del terreno e dei ruderi da parte dei due ideatori: Alessandro Ronca e Maria Chiara Flugy Papè, accomunati dallo scopo di perseguire uno stile di vita etico e sostenibile, senza però rinunciare alla modernità e alla tecnologia, che possono essere impiegate in maniera positiva, e quindi green, traendone grandi benefici. Grazie a un iniziativa privata nasce così il PER, aperto nel 2009 in seguito ai lavori di restauro e ristrutturazione interamente realizzati con materiali e tecnologie sostenibili (34) ,volti ad aumentare l’efficienza energetica, il risparmio di acqua e la produzione stessa di energia, mediante ad esempio, l’impiego di collettori solari. Un grande impiego di risorse per la creazione di un’azienda agricola biologica che oltre ad offrire un’attività ricettiva agrituristica tutto l’anno, si impegna anche a rappresentare un simbolo ed un esempio per 93
coloro che vogliono intraprendere una strada simile. Tale impegno si dimostra anche attraverso la promozione di differenti attività a livello didattico, formativo ed informativo; il PeR è infatti un Centro di Educazione Ambientale accreditato presso la Regione Umbria e Fattoria Didattica riconosciuta. Il PeR rientra pienamente nei parametri dell’ecovillaggio non solo per quanto riguarda la filosofia dell’approccio agricolo, ma anche per la modalità con la quale avvengono le dinamiche sociali e dei contesti decisionali. Anche qui infatti vige la formula della partecipazione: “Adottiamo le tecniche dalla condivisione per prendere decisioni generali, quelle della “Comunicazione non violenta” per raccontarci gli stati dì animo che si creano nella vita insieme, “Deep democracy e Sociocrazy” come pure il bastone della parola perché tutti si sentano uguali tra uguali e tutti si sentano ascoltati nelle proprie sensazioni e nei propri bisogni. Si vive insieme, si lavora insieme, si cucina e pranza insieme, si festeggia insieme, si condivide insieme, senza ideologie, credi, posizioni estreme, confrontandoci, impegnandoci a risolvere i conflitti che nascono, ascoltando i bisogni degli altri sapendo che anche i nostri saranno ascoltati e che non saremo soli.” (35) Tutti i principi dichiarati dai soci del PeR vengono riproposti ai visitatori che, senza rinunciare al comfort della modernità, avranno modo di provare sulla loro pelle uno stile di vita totalmente convertito all’etica e all’ecologia: 94
“Il PeR è stato pensato per ospitare persone desiderose di fare una esperienza nuova, diversa durante il soggiorno presso il Natural Hotel che è la struttura ricettiva del Parco. L’arredamento, la scelta dei colori ed il livello di comfort li abbiamo voluti di uno standard alto per stimolare la curiosità degli ospiti sul modo in cui le energie rinnovabile e le soluzioni di risparmio energetico permettano di migliorare il comfort, ridurre i consumi e rendere sostenibile la gestione economica. Il PeR si trova in una area verde naturale immerso in 6.000 ettari di bosco a 570 m s.l.m. E’ un azienda agricola biologica e svolge attività ricettiva agrituristica tutto l’anno. Il contatto con la natura, il silenzio tutt’intorno si fanno apprezzare per il beneficio che donano ai nostri ospiti coinvolti dall’atmosfera che si respira. […]La cucina si avvale dei nostri prodotti naturali ed è essenzialmente vegetariana vegana per consentire a tutti indistintamente di mangiare con piena soddisfazione seguendo ognuno i propri principi alimentari. Soggiornando al PeR condividerete con noi i momenti di convivialità che rappresentano il nostro essere quotidiano, assisterete alle attività giornaliere di conduzione di una azienda agricola e sarà nostro piacere illustrarvi come funziona il PeR e ascoltare le vostre impressioni.”(36) Sperduto tra le valli Umbre, il PeR rappresenta un esempio riuscito di una ricerca verso una realtà, alternativa a quella proposta dai modelli urbani a cui ormai siamo abituati, possibile e coerente con gli anni in cui viviamo. Una realtà che vede nel connubio fra etica, consapevolezza e avanzamento tecno95
logico, le premesse per una vita migliore per tutti. È doveroso che le iniziative di tali persone, che credono in progetti come questo, vengano supportare ed incoraggiate dallo Stato; portate da esso come esempio virtuoso e applicabile, con le dovute modifiche e considerazioni, ad altri contesti, ad altri paesi che hanno bisogno di strategie come questa per tornare a vivere.
(34) I “4 come”: 1. L’ efficienza energetica: “Siamo partiti dal concetto più ovvio, tuttavia spesso sottovalutato: che un edificio ecologico deve evitare gli sprechi d’energia. I blocchi in Isotex (composti da cemento e legno mineralizzato) costituiscono la struttura portante all’interno del muro di pietra tradizionale ricostruito coi sassi originali dell’edificio crollato; sono stati eliminati i ponti termici con l’esterno, il tetto ha uno spessore isolante di 12 cm.” 2. La distribuzione energetica: “Un altro concetto base è la distribuzione integrata dell’energia. Tutto il casale è riscaldato col sistema a pavimento, la luce diurna passa nelle stanze buie attraverso un sistema tubolare di lenti e specchi. D’inverno l’aria calda viene anche da un piccolo ma efficientissimo (ed economicissimo) sistema solare ad aria, d’estate ci si rinfresca gratis con le sonde geotermiche sotto le fondamentale, in alcuni ambienti più esposti a sud, l’aria fresca giunge a circolazione naturale da una presa che la pesca nel bosco esposto a nord.”
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3. L’acqua: “Il terzo concetto guida è importante ovunque, ma ancora di più in un luogo come questo con lunghi periodi di bel tempo, e quindi di siccità: è l’uso ottimale dell’acqua. Le acque grige sono recuperate per il riutilizzo negli scarichi e poi, dopo la fitodepurazione, per innaffiare il giardino. Il risultato lo scoprirete in ogni camera, quando vi laverete o userete lo sciacquone: potrete consumare pochissima acqua senza modificare il comfort e le abitudini cui siete abituati e migliorando l’igiene, perchè l’acqua piovana è più amica della pelle e per lavarsi basta metà del sapone abituale.” 4. Autonomia energetica condivisa: Solo dopo questi tre concetti noi poniamo quel quarto che molti considerano al primo posto: la produzione energetica. Collettori solari sul tetto e a terra per la produzione di acqua calda sanitaria e integrazione al riscaldamento e moduli fotovoltaici a film sottile per la produzione di energia elettrica si integrano con la struttura dell’ antico casale. Nella torretta è inserito direttamente nel muro di pietra il modulo per la produzione di aria calda diretta. I due generatori eolici sfruttano la brezza del luogo, che per la maggior parte dell’anno è tesa e continua, quindi ha un’ottima resa energetica che usiamo “a isola” (off grid). Inoltre a un generatore ad olio vegetale (prodotto e spremuto in azienda) sopperisce ai picchi di richiesta energetica. Due grandi serbatoi per complessivi 4000 lt litri accumulano il calore prodotto dai collettori solari e dalle stufe a biomassa (alimentate in gran parte dagli scarti agricolo pellettizzati) e forniscono l’acqua calda sia dei bagni che per il riscaldamento.D’estate il calore prodotto in eccesso viene inviato alla vasca da idromassaggio esterna.” (Per, Il parco dell’energia rinnovabile, in http://www.per.umbria.it ) (35) Per, Il parco dell’energia rinnovabile, Filosofia, Ibid. (36) Per, Il parco dell’energia rinnovabile, Ecoturismo e Ospitalità, Ibid.
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2.1.4
connettività fra le mura storiche . “il Borgo telematico” *Colletta di Castelbianco
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alla raccolta di esperienze finora analizzate, è possibile considerare come il tema dell’avanzamento tecnologico sia, tranne in alcuni rari casi, un tema ancora poco sperimentato nell’ambito dei processi più o meno spontanei che determinano la rivitalizzazione dei nostri centri minori. Nella maggior parte delle situazioni ad ora esaminate (ad eccezione del PeR, vedi sopra) infatti, il tema tecnologico non rientra nelle strategie che conducono alla riattivazione. Spesso espresso secondo una modalità più o meno normalizzata, quella racchiusa negli standard di comfort dell’offerta ricettiva, il dato tecnologico è messo in secondo piano, o addirittura in qualche caso volontariamente escluso (come è successo per “l’Eremito” che promuove il “digital detox” una filosofia legata alla liberazione dagli apparecchi digitali- smartphone, tablet, computer..-) nel processo di riconversione di questi luoghi, quasi a dimostrare che, in questi contesti, dove la natura e la storia dominano indiscusse il tempo, non ci sia spazio per l’evoluzione digitale a cui tutti noi più o meno velocemente ci stiamo arrendendo. Un episodio particolare però è rappresentato dal borgo di Colletta di Castelbianco (Sv), poco distante dal Comune di Albenga, che costituisce, ad oggi, il primo e unico caso di borgo telematico in Italia. 100
*Colletta di Castelbianco “il borgo telematico”
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a storia di questo piccolo agglomerato urbano, è simile a quelle finora raccontate, villaggio di origine medievale, costruito in simbiosi con il terreno per motivi di difesa, è stato oggetto a partire dal XVII di un sempre maggior spopolamento che ha avuto il culmine in seguito al terremoto del 1887, lo stesso che colpì Bussana. Il Borgo è rimasto pressoché disabitato per tutto il secolo successivo, salvo sporadiche e temporanee ri-occupazioni delle vecchie abitazioni ed in particolare delle stalle ai piani terra, presentandosi alla fine del '900 in un grave stato di rovina. Negli anni ‘90 del ‘900 il paese è diventato oggetto di un importante progetto sperimentale di riqualificazione che, sul modello dei “televillages” americani, prevedeva la conversione del borgo in televillaggio. Tale trasformazione è stata condotta su iniziativa di una società di Alessandria, la Sivim (Società Imprenditoriale Sviluppo Iniziative Immobiliari) che, successivamente l’acquisto del borgo per 2 milioni di dollari, affidò l’operazione di restauro all’architetto genovese Giancarlo De Carlo. I lavori sono stati condotti nel rispetto delle antiche strutture, privilegiando l’uso di materiali locali e mantenendo la conformazione originale delle abitazioni. Giocando sull’assetto interno degli spazi, conservando l’aspetto originario delle facciate, sono stati ricavati più di una sessantina di appartamenti, ognu101
no dei quali è stato dotato di avanzata tecnologia. Sono stati previsti infatti l’inserimento di Cablaggio a larga banda (155 mbs), centrale telefonica digitale privata, voice mail, telefonia mobile (cordless), router personale che interconnette la rete locale con la rete Internet, e poi ancora firewall con funzione di filtraggio monodirezionale del traffico di rete, intranet server, web server e Tv satellitare, tutti sistemi sapientemente nascosti dietro le pareti in pietra. Il bar è un “telecaffe”, attrezzato di dispositivi per videoconferenze e Internet, allo stesso modo l’anfiteatro originario, ricavato nella montagna, è un “teleteatro” collegato alle infrastrutture di rete, un locale è addirittura stato adibito a lavanderia comune, con lavatrici ed asciugatrici automatiche. Un’interessante gioco tra una tecnologia delicata ed un contesto che preserva la sua bellezza storica e naturale(i vicoli in pietra, gli archivolti scavati nella roccia, la piscina condominiale nascosta tra gli ulivi..), che ha determinato nel 2007 l’entrata di Colletta di Castelbianco nella rosa dei Borghi più belli d’Italia. Una riconversione del paese condotta perseguendo la sperimentazione della tecnologia avanzata e del suo utilizzo e significato. Una soluzione pensata non solamente per attirare i turisti che non vogliono rinunciare al comfort tecnologico, (per quanto riguarda questo settore, la ricettività viene amministrata secondo la strategia dell’albergo diffuso. Viene inoltre offerta ai proprietari la possibilità di agganciarsi a tale rete durante i periodi di non permanenza, in 102
modo tale da ampliare l’offerta e non lasciare le case vuote e sfitte per troppo tempo) , ma soprattutto una strategia mossa dalla volontà creare una nuova comunità di residenti. Un luogo dedicato a tutti coloro che vorrebbero abbandonare le frenesie della città, che potrebbero così lavorare nella quiete di questo borgo, sfruttando il potenziamento telematico dell’intera area. La conversione all’alta tecnologia del paese ha avuto un discreto successo, vi sono infatti numerose persone che hanno deciso di venire ad abitare a Colletta. Tra queste vi sono Professori e Ricercatori Universitari, e un buon numero di stranieri, scrittori, musicisti ed architetti, che innamoratisi del luogo, hanno scelto di comprare casa e di stabilirsi qui, svolgendo a distanza il proprio lavoro. Nonostante ciò Colletta si sta oggi rivelando, contrariamente alle aspettative sorte con il progetto di trasformazione, un’ambita meta di villeggiatura per il weekend piuttosto che una nuova comunità stabile. Tale fatto, sebbene positivo poiché implica l’apprezzamento del pubblico e quindi la buona riuscita dell’operazione di restauro, dimostra la parziale riuscita della conversione in villaggio telematico, che come spesso accade in queste situazioni, assume una deriva commerciale, concorrendo alla promozione turistica del centro.
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progetto di Giancarlo De Carlo per Colletta di Castelbianco
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dall’alto: progetto di Giancarlo De Carlo per Colletta di Castelbianco; schema
della
LAN
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del
paese
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2.1e
nonsoloturismo per la produzione. “Il Borgo Produttivo� *Solomeo *Borgo di Pischiello
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T
rattando dei differenti scenari di riattivazione dei Borghi e dei piccoli villaggi disseminati sul nostro Territorio, è possibile riscontrare come, nella maggior parte dei casi finora analizzati, dalle operazioni di restauro e rivitalizzazione ne consegua una trasformazione del luoghi che determina sempre più spesso la conversione di questi in località di villeggiatura. Tale dato è la dimostrazione del fatto che, nonostante i numerosi sforzi di pianificazione e le buone intenzioni di coloro che prendono parte alle iniziative di rilancio del paese, la formazione e la crescita di una comunità all’interno di queste situazioni non rappresentano questioni semplici. Perché questo si verifichi è infatti necessario che si determinino delle dinamiche sociali più complesse di quelle che comporta la gestione del settore turistico, più o meno prettamente stagionale. I fenomeni dell’aggregazione sociale, così come della nascita di una comunità di residenti, sono fortemente legati al discorso della produzione e dello sviluppo di un contorno di attività lavorative legate al territorio, che sebbene la crescita del settore turistico comporti l’incremento di una parte di queste, non è pensabile che con esso si possa esaurire lo spettro delle complessità che determinano una realtà socialmente viva e attiva. Non a caso nel documento: “Strategia nazionale per le Aree interne: definizione, obiettivi, strumenti e governance” viene riportato che un “fattore dello sviluppo locale può essere riassunto con il termine “la108
voro”. La traiettoria seguita dalle Aree interne negli ultimi decenni ha “svuotato” il territorio di lavoro: da una parte, le fasce della popolazione in età lavorativa si sono molto ridotte (così come i tassi di attività); dall’altra, la conoscenza incorporata nel lavoro è progressivamente diminuita. Ma non ci può essere ricostruzione economica delle Aree interne se il lavoro non ritorna a essere centrale nei sistemi delle Aree interne. Ciò può avvenire attraverso: a) l’immigrazione e la ricostituzione di una solida fascia di popolazione in età lavorativa; b) un aumento della conoscenza astratta e della conoscenza pratica incorporata nel lavoro (necessaria per produrre quei beni/servizi per i quali esiste una domanda nello spazio nazionale, europeo/globale); c) una adeguata remunerazione del lavoro stesso.”(37) Si denota dunque l’importanza dell’inserimento e il potenziamento di attività produttive (lavoro), al di là dei settori già nominati in precedenza (turistico, agro-alimentare, artigianale), in quanto fattori indispensabili per una proficua e duratura riattivazione locale. Sebbene dall’analisi degli episodi fino ad ora illustrati, sia possibile riscontrare che una buona parte dei processi di trasformazione sono stati innescati più o meno spontaneamente (con il supporto di investimenti, anche cospicui, di fondi pubblici e privati, nelle operazioni di rilancio), è da sottolineare che affinchè si inneschi il meccanismo successivo, ovvero lo sviluppo reale del borgo o villaggio che sia, è necessario il supporto di coloro che si possono permettere lo spostamento di capitali importanti. Persone che credano nella risorsa che tali luoghi rappresentano per il futuro del Paese 109
e che siano disposti ad effettuare operazioni lungimiranti e di considerevole portata, innovative sotto ogni aspetto, al fine da innescare un vero cambiamento. Sebbene questo meccanismo possa oggi, in Italia, sembrare lento, pesante e difficoltoso da ingranare, non è vero che un passo avanti in tale direzione sia impossibile, o che non esistano episodi a dimostrarlo. In questo senso infatti qualcosa è scattato, dalla scala mondiale a quella nazionale; si parla ormai di Green Economy, Aziende sostenibili, tecnologia pulita, ma si torna anche a guardare al passato, ai mestieri di un tempo, alla qualità della vita dei centri minori, all’importanza della salute fisica e psicologica, un nuovo mix dove l’innovazione è al servizio della tradizione, dove si punta alla qualità e al rispetto del patrimonio, naturale o culturale che sia. È in questo ventaglio di tematiche che pian piano individuiamo, nei borghi abbandonati, nei villaggi sperduti, nei micro paesini delle nostre colline, lo spazio delle nuove possibilità, della crescita etica e di un nuovo futuro possibile. Sono storie di lavoro, di uomini sensibili e lungimiranti, di tradizione, sfide, soddisfazioni e grandi passioni quelle che proseguirò a raccontare in questa ulteriore tappa del mio racconto.
(37) Accordo di Partenariato 2014-2020, Strategia nazionale per le Aree interne: definizione, obiettivi, strumenti e governance, Documento tecnico collegato alla bozza di Accordo di Partenariato trasmessa alla CE il 9 dicembre 2013, p.12
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*Solomeo “cultura da imprenditore”
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’ episodio di Solomeo rappresenta una delle interpretazioni possibili, ed un esempio virtuoso, del processo che vede nello sviluppo in senso produttivo di un piccolo centro, un’occasione per un rigenerazione totale del luogo. La riuscita dell’intera operazione è in questo caso riconducibile alla lungimiranza e alla sensibilità di un imprenditore nostrano: Brunello Cucinelli. Nato nel 1953 in provincia di Perugia, è il noto proprietario di un’importante azienda di cashmere. “Nel 1982, dopo il matrimonio con Federica Benda, Brunello si trasferisce a Solomeo, che diventa l’oggetto dei suoi sogni e il grande laboratorio dei successi di imprenditore e di umanista. L’accoglienza che il mercato, nel frattempo divenuto internazionale, riserva ai suoi prodotti di qualità, gli dà la possibilità di attuare i suoi ideali. Nel 1985 acquista il Castello diroccato del XIV Secolo del borgo e ne fa la sede dell’azienda; nel 2000, dovendo adeguare le strutture produttive alle crescenti richieste del mercato, acquista e riadatta un opificio già esistente ai piedi del borgo di Solomeo, evitando di costruirne uno nuovo. La nuova costruzione del Foro delle Arti, con l’annessa Biblioteca Neoumanistica Aureliana, il Ginnasio, l’Anfiteatro e il Teatro, divengono il luogo deputato della cultura e dell’arte. Nasce in questo periodo la volontà, concretizzata nel 2012, di presentare l’impre111
sa alla Borsa di Milano, e anche qui non si trattò solo dell’aspetto finanziario, perché Brunello vide nella più larga partecipazione alla sua attività d’imprenditore la possibilità di diffondere estesamente gli ideali di un capitalismo nuovo, un “Capitalismo Umanistico”. (38) Lo sforzo umanistico di Cucinelli non si esaurisce nell’esperienza del Foro delle Arti, nel 2013 infatti fonda la Scuola di Solomeo di Arti e Mestieri, uno spazio dove futuro e tradizione si fondono in un laboratorio di preservazione e trasmissione dei valori e delle conoscenze del passato. A Solomeo, grazie al suo mecenate, nuove strutture, progettate nel rispetto della natura del luogo, sorgono accanto a quelle esistenti, che vengono accuratamente restaurate e rifunzionalizzate, in modo tale da dotare il paese di tutti gli spazi necessari alla comunità locale. Nel 2014, la Fondazione Brunello e Federica Cucinelli, presenta il “Progetto per la Bellezza”, un piano di recupero del territorio ai piedi del borgo che prevede la bonifica dei terreni, il restauro delle vecchie fabbriche presenti nell’area e la realizzazione di tre grandi parchi tematici: Parco agrario, Parco dell’Oratorio Laico e Parco dell’industria. “L’iniziativa simboleggia il valore cruciale della terra, dalla quale, secondo il pensiero di Senòfane, «tutto proviene». Con questo progetto Brunello sottolinea l’imperativo di ridare dignità alla terra, e sentendosi un piccolo custode del creato dimostra che «La Bellezza salverà il Mondo», tutte le volte che il Mondo, a sua volta, salverà la Bellezza.” (39) 112
E così, progetto dopo progetto Solomeo rinasce, gli antichi edifici accolgono nuove vite, e le nuove strutture si intrecciano alle preesistenze creando spazi di aggregazione e nuove istituzioni all’insegna della cultura e dell’arte. L’opera di Bruno Cucinelli, che ha saputo trasformare un antico centro in un prometteente borgo produttivo, ha avuto riscontri e riconoscimenti a livello nazionale(40) ed internazionale(41). “Ha 42 anni, è il terzo produttore al mondo di cashmere, lavora in un castello e parla un linguaggio francescano. I suoi operai ricevono un salario più alto della media e mangiano in una sala del ‘500 sopra tavoli di massello. I suoi mercati sono il mondo, i rapporti con la clientela sono personali, il fatturato in crescita supera i 60 miliardi. Gli industriali lo considerano un «diverso». I suoi paesani un mecenate. I suoi operai un amico.” (42) Il valore di quest’uomo e della sua impresa non deriva solamente dal magnifico risultato del suo intervento di rigenerazione totale a Solomeo, che grazie a lui oggi ospita una nuova e attiva comunità ed è ambita meta turistica, ma anche e forse soprattutto dalla sua etica professionale, dalla sua cultura, e dalla sensibilità che continua a dimostrare nei confronti del proprio lavoro, dei propri dipendenti e del proprio Paese. Una cultura che ha reso possibile la ristrutturazione di fabbriche storiche e la conversione di queste in spazi lavorativi di qualità, dove futuro e tradizione non stridono nell’insieme del loro accostamento, anzi, al contrario, si esaltano uno nella vicinanza all’altro.
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(38) Brunello Cucinelli, a cura di Massimo De Vico Fallani, Solomeo: Brunello Cucinelli, a Humanistic Enterprise in the World of Industry, Quattroemme, 2011 (39) Brunello Cucinelli, in http://www.brunellocucinelli.com (40) Negli anni Brunello Cucinelli ha ricevuto negli anni un numero straordinario di riconoscimenti nazionali e internazionali per il suo “Capitalismo neoumanistico”, ma tra tanti, quelli che rispecchiano meglio la sua realtà umana sono la nomina a Cavaliere del Lavoro, consegnatagli dal Presidente della Repubblica e la Laurea ad honorem in Filosofia ed etica nei rapporti umani, con cui l’Università degli Studi di Perugia gli ha voluto rendere omaggio, Brunello Cucinelli, http://www.brunellocucinelli.com (41) all’imprenditore italiano è stato dedicato un articolo: Rebecca Mead, Letter from Umbria, The Prince of Solomeo, The New Yorker, 29/03/2010, p.72 (42) Maurizio Nardini, In 17 anni è diventato il re del cashmere, la Nazione, 04/03/1997, p.20
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dall’alto: immagine suggestiva; the Project of Beauty, modello in scala 1:1500 dell’intervento
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*Borgo Pischiello tradizione come contenitore dell’innovazione
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l “Pischilello” a Passignano sul Trasimeno costituisce una seconda declinazione circa il tema della produttività come motore di riattivazione dei piccoli centri storici italiani. Villaggio umbro affacciato sul lago Trasimeno, è dominato da una villa settecentesca, appartenuta ai marchesi Bourbon di Sorbello, che costituisce il fulcro dell’articolato borgo che un tempo ospitava un opificio dove si frangevano le olive, magazzini per le uve e i cereali, una falegnameria, una bottega per la lavorazione del ferro ed ovviamente una chiesa(43). Secondo un iter già più volte analizzato, l’intero paese è stato oggetto di spopolamento, compresa la villa che, a partire dagli anni ’50, è stata lasciata in uno stato di totale abbandono, vittima del degrado del tempo e delle razzie delle forniture e dei beni ancora rimasti al suo interno. Il riscatto del borgo si deve in questo caso all’intuizione Giancarlo Luigetti, amministratore unico dell’azienda ART group, Advanced Research Technology, e leader della cordata di imprenditori che hanno appoggiato l’iniziativa. Nel 2003 infatti è datato il progetto di questa azienda, che acquisendo i terreni, decide di stabilire a Pischiello la propria sede. «Il progetto e la realizzazione del Centro – come ricordato da Giancarlo Luigetti durante la cerimonia di 116
inaugurazione– nascono da lontano e si fondano sulla visione iniziale di costruire un luogo di confronto e aggregazione tra ricercatori provenienti dall’Università e dall’Impresa in un contesto ambientale che favorisse la generazione di idee fortemente innovative. Il Pischiello possedeva tutti i requisiti per diventare quel luogo. E se oggi siamo qui significa che l’intuizione era giusta». Il disegno e la realizzazione del Centro, vertono sulla necessità iniziale di costituire uno spazio adatto al confronto e all’aggregazione tra i ricercatori legati all’Università e all’Impresa, combinata con la volontà di reinterpretare il Borgo, inteso come un contesto fisico e ambientale adatto a ospitare la più impegnativa missione di centro di ricerca e tecnologia avanzata, con particolare, ma non esclusivo, riguardo al comparto automotive della Formula 1. Sulla base di tali considerazioni è stato dunque presentato, agli inizi del 2003, il progetto imprenditoriale e di quello di recupero del borgo ai numerosi soggetti istituzionali coinvolti a vario titolo sia nell’iter di approvazione dei progetti, che nel progetto stesso e loro coinvolgimento attraverso la stesura di un accordo di programma che riconoscesse la valenza dell’iniziativa imprenditoriale (Regione dell’Umbria, Provincia di Perugia, Comune di Passignano sul Trasimeno, Soprintendenza ai Monumenti, Università degli Studi di Perugia, Sviluppumbria, ecc.) Parallelamente a questa fase è stato svolto un processo di informazione e partecipazione della cittadinanza e degli esponenti politici locali alla fase pro117
gettuale attraverso una serie di riunioni organizzate appositamente per esporre i contenuti dell’intervento e recepire gli umori e le aspettative dei partecipanti. (44) Il restauro del Borgo è stato avviato nel 2005 a seguito delle trattative e degli accordi previsti dal progetto; è stato condotto, anche per la necessità di rispettare i numerosi vincoli ambientali ed urbanistici pendenti sull’intera area, seguendo due filoni di intervento che prevedono rispettivamente: l’utilizzo di materiali idonei e provenienti dall’antica tradizione edile locale, e la ricerca della minima invasività e massima reversibilità degli interventi di consolidamento e restauro.(45) I 13.000 mq complessivi dell’area, sono stati suddivisi secondo le particolari esigenze dell’ azienda, ma con una grande sensibilità nei confronti delle preesistenze e della storia e tradizioni del paese. 6.000 mq sono stati destinati all’ area operativa, completamente ristrutturati e rifunzionalizzati come quartier generale, edifici industriali e residenziali. 3.500 mq del borgo storico, compresa la vecchia chiesa, sono stati restaurati e destinati alla ricettività e ad ospitare i corsi di formazione; i restanti 3.500 mq, occupati dalla villa padronale, sono dedicati alle attività ricreative, di formazione e di accoglienza. Con il progetto venne infatti accordato con l’amministrazione comunale di Passignano, anche il completo recupero del pregevole complesso architettonico allora praticamente in rovina, la Villa allora è stata infatti oggetto di un attento intervento di recupero e 118
di restauro, che ne ha riportato alla luce la bellezza . Da Luglio 2008 il Pischiello è sede della ART presso la quale operano ingegneri e tecnici impegnati nella progettazione ed industrializzazione di componenti e sistemi avanzati. Il personale tecnico e manageriale proviene, prevalentemente, dall’Ateneo di Perugia e dal mondo dell’industria automobilistica, la cui esperienza e professionalità è riconosciuta e ricercata dalle imprese del comparto: tutte le scuderie di Formula 1 ricorrono alle soluzioni tecniche messe a punto dalla squadra del Pischiello. L’intera operazione è stata fortemente sostenuta, fin dagli esordi, dai numerosi enti a livello locale e regionale, pubblici e privati, poiché entrambi hanno creduto in questo progetto e hanno visto nella realizzazione di questo un’occasione di crescita e un potenziale di sviluppo per tutto il territorio, come ricordato anche dalla presidente della Regione Umbria, Maria Rita Lorenzetti, intervenuta all’inaugurazione: «Di Luigetti – ha affermato – mi è sempre piaciuta la ‘ruvida sobrietà’. La sua passione di uomo e imprenditore fortemente legato alle sue radici umbre, ma proiettato verso il futuro. Dentro le tecnologie che all’interno di questo Centro vengono sviluppate c’è tutto lo spirito umbro e credo molto nella visione di crescita della nostra regione che è qui rappresentata». Si tratta quindi di un ulteriore declinazione della questione circa la produttività, che illustra come il connubio fra avanzamento tecnologico/ industriale e preservazione del territorio sia possibile, anzi proprio l’inserimento di attività di que119
sto tipo permettono il riscatto e la valorizzazione di località altrimenti destinate all’abbandono. Questi luoghi proprio per le loro caratteristiche fisiche e morfologiche, costituiscono un terreno fertile per operazioni di questo tipo, dove una o più figure private si propongono come motore di una trasformazione. In accordo con gli enti di riferimento e le istituzioni locali, attraverso pratiche partecipative, innescano processi di consolidazione ed innovazione che porta come risultato la ripresa totale del territorio, una nuova visibilità per il paese ospitante e nuove prospettive di lavoro e di crescita per i residenti. Questo è il terreno fertile per la crescita di una nuova comunità, più forte, più stabile e duratura. “La via per la competitività attraverso prodotti e servizi high tech. Il territorio come valore attraverso cui costruire una strategia industriale. Creare occupazione di alto profilo attraverso innovazione e creatività. Creare una struttura attorno alle persone ai valori del lavoro dell’azienda Integrare il contributo del mondo accademico come parte integrante della strategia di gruppo -creando uffici per le università all’interno del centro-passioneentusiasmo-trasparenza-sincerità-grande professionalità Question mark: Ma se non facciamo questo come pensiamo di ripartire e come pensiamo di creare occupazione per i nostri laureati, come pensiamo di attirare nuovi talenti?Siamo disponibili a cooperare, mettrere a disposizione la nostra esperienza per far diventare cento/ mille queste esperienze e come sempre ci sarà un miglioramento continuo: le prossime verranno anche meglio.” (46) Chiamata “Cittadella dell’innovazione”, il 120
Centro Europeo di ricerca e progettazione avanzata, costituisce oggi una parte importante nel Distretto Tecnologico dell’Umbria. Un luogo-simbolo, un biglietto da visita del territorio e della sua vitalità, che punta ad uno sviluppo economico ed occupazionale in grado di andare oltre il turistico.
(43) Taglio del nastro al Centro Ricerche “Il Pischiello” ART, Advanced Research Technologies, in http://www.innovazione-tecnologica.it (44) L’intero iter viene accuratamente descritto nel documento a cura di: Gianni Orlandini, Advanced Technoloy Lab e ART, Advanced Research Technoloy, Centro Ricerche “Il Pischiello” – Passignano sul Trasimeno, in http://www.iborghisrl.it/new/wp-content/uploads/2011/10/Gianni-Orlandini_Presentazione.pdf (45) Si veda Gianni Orlandini, Advanced Technoloy Lab e ART, Advanced Research Technoloy, Centro Ricerche “Il Pischiello” – Passignano sul Trasimeno, ibidem (46) Discorso a conclusione del documento di presentazione del progetto Pischiello della ART group, ibidem
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2.1.6
musealizzazione spontanea. “Il Borgo Museo” *Poggioreale Antica
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“Il museo (…) è il luogo del simbolo per eccellenza. Il luogo di una comunicazione diretta e silenziosa.” (47) “Musealizzazione con questo termine si indica un tipo di intervento che tende a preservare e conservare un determinato ambiente, al fine di restituire la sua fisicità al pubblico. Trasformare in museo un luogo, un ambiente originariamente destinato ad altro uso.(48)
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n operazione di questo tipo in architettura si riscontra di frequente, ad esempio per i siti archeologici; apprezzando reperti storici, interpretandoli come simboli, e quindi portatori di informazioni e di bellezze legate ad un passato ormai lontano, ci si impegna a conservarli e a proteggerli, e allo stesso tempo a renderli fruibili e visitabili, venendo così a creare una pluralità di siti che possono essere paragonabili a dei musei a cielo aperto. Una situazione analoga è quella che stanno vivendo alcuni piccoli paesi, che avendo ormai da tempo perso la loro vocazione sociale, sono ora testimonianze fisiche, mattoni e pietre, appartenenti ad un tempo passato. In tali condizioni, ovvero l’estremo stato di abbandono del paese, e quindi la mancanza di un tessuto sociale attivo, così come la precarietà strutturale degli edifici, è molto difficile che l’applicazione di strategie di rivitalizzazione come quelle finora descritte possa condurre a dei risultati positivi per il luogo in questione. Questo perché, come d’altronde è già emerso dalle analisi svolte in precedenza, affinché un borgo, o un piccolo centro, si possa considerare effettivamente ri124
scattato dalla precedente condizione di disagio, è fondamentale che si ristabilisca una componete sociale solida e consistente, e tale operazione è quantomeno delicata. Nonostante siano accaduti e continuino a crearsi casi di ripopolamento, spontaneo o conseguente a investimenti di privati, non tutti i luoghi possiedono le caratteristiche necessarie ad innescare meccanismi di questo tipo. Una motivazione, prima fra tutte, è lo stato di degrado delle abitazioni, spesso dovuto all’abbandono, altrettanto spesso conseguenza di una necessità di fuga immediata causata da qualche disastro ambientale. Nonostante il fenomeno della musealizzazione possa essere interpretato negativamente, poiché ricondotto a quei processi di spersonalizzazione, privazione dell’identità e mercificazione di un bene, nei casi in cui non si verificano le condizioni necessarie ad una vera e propria rivitalizzazione (intesa come sociale, culturale ed economica), questo approccio costituisce una via possibile per la conservazione e la trasmissione del patrimonio culturale, storico ed artistico del nostro Paese. Questi luoghi, ridotti a insieme di ruderi, intesi nel senso romantico del termine, intreccio di opera dell’uomo, genio e natura, sebbene svuotati della loro funzione primaria, esistono e persistono tuttavia come contenitori di Storia e di storie. Documenti di vite trascorse, di tradizioni superate, di maestranze perdute, racchiudono fra le strade strette e i loro portici traballanti una ricchezza che se non è possibile rigenerare, è quantomeno doveroso proteggere e conservare. Ad ogni modo, anche per quan125
to riguarda questo tipo di processi, esistono differenti variabili, che dipendono ancora una volta dalle caratteristiche intrinseche dei luoghi stessi, così come dalla sensibilità e dalle intenzioni degli attori (enti pubblici e privati) che prendono parte a suddette operazioni. Una possibilità sperimentata in tale direzione è ad esempio quella di rendere il borgo in questione un vero e proprio museo, sostituendo la sua funzione iniziale con quella di contenitore. Un’operazione del tutto similare a quella a cui siamo abituati nei nostri centri storici cittadini, dove le antiche fabbriche di origine Sei-Sette-Ottocentesca, e via dicendo, si trovano oggi ad ospitare le più svariate collezioni d’arte. L’operazione in tal caso sarebbe quella di estendere a più edifici del borgo la funzione museale, rifunzionalizzando i restanti in modo tale da ospitare i servizi normalmente presenti in un qualsiasi istituzione culturale (biglietteria, caffetteria, guardaroba, servizi igienici, bookshop..), gli spazi in questione devono ad ogni modo presentare determinate caratteristiche strutturali, in modo tale da assicurare la fattibilità del progetto. Il risultato che si ottiene è la creazione di un unico complesso avente la vocazione di ospitare iniziative culturali che possono comprendere l’arte in tutte le sue declinazioni (o quasi), ed il visitatore è chiamato a contemplare non solamente l’oggetto in esposizione, ma l’insieme dei contenitori. Un’alternativa a questa strategia, è quella di musealizzare il borgo al pari di un sito archeologico. In 126
questo caso non è necessaria una rifunzionalizzazione delle strutture, ma si effettuano lavori di restauro, preservazione e messa in sicurezza, ed inoltre lo studio di itinerari e percorsi differenziati, al fine di convertire l’intera area in un circuito espositivo a cielo aperto. Un ragionamento del genere è associabile a quei siti che seppur versando in gravi stati di abbandono e decadenza, sono oggetto di forte interesse in quanto patrimonio storico e culturale di forte impatto e bellezza. Allora sì che il “borgo museo” diventa un’occasione per inoltrarsi in un viaggio culturale, ma anche un’esperienza totale, grazie alla quale si possono rivivere avventure cavalleresche, intrighi di dame, re e regine, signori feudali, botteghe di fabbri dove si forgiano ferri e spade, vicoli bui e castelli; e poi ancora la tranquilla vita contadina, il giorno del mercato, i bambini in festa.. quanto ci spronano la fantasia e quanto ci raccontano questi luoghi sospesi…
(47) Maria Clara Ruggieri Tricoli, I fantasmi e le cose : la messa in scena della storia nella comunicazione museale, Ed. Lybra Immagine, Milano 2000, p. 69 (48) Voce musealizzare, “Vocabolario Lo Zingarelli”, edizione Zanichelli, 2016, p.298
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*Poggioreale Antica valorizzazione “dal basso”
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a storia di questo luogo si intreccia con una vicenda particolarmente dolorosa che risale al 1968. Nella notte a cavallo tra il 14 e 15 Gennaio un terribile terremoto scosse le fondamenta di questo piccolo paesino barocco, allora ricco di arte e di vita, e di molti Comuni della Valle del Belice. Gli abitanti presi dal panico dovettero abbandonare in fretta e furia le proprie abitazioni, temendo per la propria vita e per quella dei propri figli. Il sisma causò la morte di quattrocento persone, rase al suolo quattro centri abitati e ne danneggiò molti altri. Gli abitanti di Poggioreale dovettero letteralmente ricostruirsi una vita, ricreando un centro poco distante dal vecchio; alcuni di essi furono invitati ad abbandonare l’Italia, per recarsi in America ed in Australia, usufruendo di alcuni biglietti aerei emessi dallo Stato. Il risultato di questa tragedia è stato il completo abbandono del paese, contrassegnato in tempi recenti da un’ordinanza comunale che vieta l’accesso all’intera area.Ancora oggi, a distanza di mezzo secolo, Poggioreale Antica persiste, con le sue macerie ed i suoi resti, case a metà e vegetazione incolta, testimoni di quel fausto episodio. Grazie ad una bizzarra rete di passaparola, da molti anni questa cittadina fantasma attira numerosi curiosi e turisti, che essendo capitati nei dintorni, non si lasciano sfuggire la possibilità di recarsi in visita, noncuranti del cancello e del divieto d’accesso imposto dalla legge. 128
Recentemente, spinto dall’attaccamento al luogo d’origine e fomentato dalla curiosità generale, Giacinto Musso, poggiorealese di nascita e costruttore edile di professione, decide di incanalare le sue energie e il suo impegno nella salvaguardia e conservazione del centro antico. Il suo lavoro ha inizio dalle basi; con l’aiuto di volontari si adopera per la pulizia dei marciapiedi, impraticabili per l’accumulo di pietre e polvere. Procedendo a piccoli passi vede aumentare sempre più il consenso fino a quando, a metà del 2011, Giacinto assieme ad un gruppo di ex residenti costituisce un’associazione per la rinascita della Poggioreale Antica, sfidando l’avviso che vieta “severamente l’accesso e il transito a qualsiasi titolo”. (49) La creazione di questa organizzazione pone così le basi per il processo di messa in sicurezza dei ruderi e attira l’attenzione da parte del mondo politico, che per anni non ha mostrato segni di interessamento nonostante le continue razzie e il decadimento dell’intera area. “Tra i nostri obiettivi – spiega Musso – vi è quello di riabbracciare i compaesani all’estero, in particolare la forte comunità in Australia e in America, in Louisiana. Raggruppare figli, nipoti e pronipoti degli emigrati, per conoscerne la storia e magari dare loro la possibilità di visitare la casa dei nonni [..] È in fase avanzata l’iter di approvazione del progetto di messa in sicurezza di corso Umberto I e di piazza Elimo, che verrà finanziato con fondi dell’Unione europea. Obiettivo condiviso con l’amministrazione comunale, in continuità con la pre129
cedente, è fare diventare il luogo un museo a cielo aperto, fruibile dai turisti, ma la priorità è arginare i crolli”. Questo scenario, a metà fra il romantico ed il post-apocalittico, suscita emozioni forti per coloro che ci si addentrano; fra coloro che ne hanno riconosciuto l’immenso fascino c’è anche il regista Giuseppe Tornatore, che ha prescelto questi luoghi come set per alcune scene delle celebri pellicole Malena e L’Uomo delle Stelle. Grazie all’impegno dell’associazione, oggi si ha la possibilità di percorrere le strade un tempo inagibili a causa dell’intricata vegetazione e dei cumuli di macerie; i volontari organizzano esplorazioni in sicurezza, permettendo così ai visitatori di apprezzare le rovine e gli scorci dell’antico paese. Si disvelano al pubblico l’antica chiesa di Gesù e Maria, con catacombe annesse, purtroppo danneggiata nelle sue pitture dall’umidità, o il giardino pensile del Palazzo dei Principi, residenza estiva della famiglia Morso-Naselli, e poi ancora magazzini, officine, frantoi e pescherie risalenti all’epoca fascista. Ancora una volta per mezzo dell’organizzazione di Giacinto Musso, si possono apprezzare i risultati degli interventi di recupero, come quello che, attraverso finanziamenti europei, ha permesso il restauro dell’antico acquedotto, di fonte Cannoli e del lavatoio dei muli. Altri progetti di recupero sono in serbo per Poggioreale, come quello per il Palazzo Agosta, che sarà destinato a diventare museo e centro di accoglienza turistica. In questi anni di volontariato, nonostante atti di vandalici e sciacallaggio, sono stati raccolti mol130
ti oggetti: utensili, attrezzi agricoli, antichi giocattoli, effetti personali, sono tutti testimoni della vita precedente al terremoto, reperti che contribuiscono alla ricostruzione della memoria storica, che arricchiscono l’immaginazione e le sensazioni dei turisti, che girovagando per le strade ormai deserte, si lasciano trasportare facilmente in una storia ormai lontana. Il futuro di una cittadina fantasma non può che essere quello individuato da Giacinto e dai suoi compagni, ovvero quello della conservazione, della protezione e dell’informazione e qual è il miglior mezzo per realizzare tale intento se non quello di rendere Poggioreale stessa un museo? Accessibile a tutti, salvaguardata e messa in sicurezza, questa località riscopre una nuova vocazione, quella narrativa, quella del racconto. Un tempo brulicante di vita, Poggioreale Antica oggi si ritrova ancora una volta ad ospitare persone, se pur non più i suoi abitanti. Accoglie per le sue vie una moltitudine di menti curiose che, perdendosi per le strade, in un’atmosfera romantica e malinconica, apprendono attraverso l’osservazione degli antichi edifici traballanti e le narrazioni dei Ciceroni locali, diversi episodi della storia del nostro Paese. Lo sforzo di voler proteggere un patrimonio come quello di Poggioreale è un forte segno di cultura. Cultura, dal latino colore, e quindi coltivare, ma anche curare, trattare con riguardo ed addirittura celebrare; proprio queste accezioni indicano una via d’intervento per tutti 131
quei luoghi che riconosciamo in quanto simbolo, ma anche monito per il futuro delle nostre generazioni. La musealizzazione, intesa come formula di salvaguardia e trasmissione è a mio avviso un approccio che dimostra attenzione e delicatezza nei confronti di quei luoghi che, nonostante abbiano perso definitivamente la vocazione sociale congrua della città (o del paese), si dimostrano ancora vitali poiché scatenano l’interesse dei più. In tal senso, piuttosto che snaturare l’essenza di questi spazi per mezzo di iniziative banali, scontate, volte alla commercializzazione turistica, e per lo più fallimentari, appare coerente la decisione di convertire essi stessi in Istituzioni Culturali, incrementandone il carattere narrativo, la propensione che queste presenze hanno alla trasmissione di valori e bellezze storico-artistiche e sociali che rappresentano la vera e grande ricchezza dell’Italia.
(49) Valentina Barresi, La voce di New York , Intervista a Giacinto Musso, fondatore dell’ Associazione “Poggioreale Antica”, Nel Belice rinasce il borgo fantasma, in http://www.lavocedinewyork.com/ mediterraneo/2016/01/29/nel-belice-rinasce-il-borgo-fantasma
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immagine della piazza principale di Poggioreale, ancora in stato di abbandono dopo il terremoto del 1968
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2.2
Spunti di Riflessione
PROLOGO// B.
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T
utti i casi precedentemente elencati forniscono interessanti spunti per poter condurre alcune considerazioni. Come abbiamo avuto modo di apprendere “la questione dei borghi e dei piccoli centri storici italiani si va affermando come un’importante opportunità di valorizzazione dell’identità dei luoghi e di sviluppo –turistico ma non solo- dei territori, in grado di catalizzare una progettualità pubblico-privata integrata, di promuovere nuove forme di ospitalità turistica, di valorizzare l’immagine territoriale promuovendo lo sviluppo di attività artigianali e commerciali, il recupero del partimonio edilizio e paesaggistico, gli aspetti identitari, etc.” (50) Sebbene abbia voluto indicare con questa ricerca l’esistenza di una serie di situazioni, aventi come oggetto la rigenerazione dei borghi, dei quali oggi abbiamo maggior coscienza del loro valore: Come ricordato dall’ottavo rapporto nazionale Piccoli Comuni di Legambiente a cura di Sandro Polci e Roberto Gambassi: “I borghi, già oggi – ha dichiarato Rossella Muroni, presidente di Legambiente - pur soffrendo in tanti casi di calo demografico e rarefazione dei servizi basilari, concorrono allo sviluppo di strategie per 136
ridurre le diseguaglianze sociali ed economiche e per creare un ‘sistema Italia’ capace di generare competitività e miglioramento della qualità di vita dei cittadini..” Credo che sia tuttavia opportuno analizzare queste trasformazioni con occhio critico, in modo tale da poter formulare dei ragionamenti che possano essere d’aiuto per l’avanzamento di strategie volte ad indicare una linea di intervento, o per lo meno di riflessione, per quei paesi che ad oggi necessitano di un rilancio e di una nuova vita. Fra questi rientra Chamois, borgata alpina di montagna sita in Valle d’Aosta, che come vedremo rappresenterà il caso studio prescelto per questa tesi di laurea magistrale. Riprendendo genericamente le fila del discorso, da questa analisi emergono una moltitudine di percorsi differenti, che d’altronde conducono a scenari completamente diversi, così come si distinguono fra loro le varie località finora analizzate. Proprio le caratteristiche intrinseche del luogo, a partire da quelle geo-climatiche, sono un punto di partenza che necessariamente deve essere preso in considerazione per poter comprendere le dinamiche di trasformazione del paese. Dal percorso d’indagine precedente emerge che la maggior parte delle realtà minori del nostro Paese hanno adottato una strategia di rilancio improntata sull’offerta turistica. Tale direzione è il più delle volte coerente con le peculiarità di questi luoghi, che si presentano come pro137
dotto di pregiate stratificazioni architettoniche accumulate nei secoli, inserite in un contesto paesaggistico di rilievo. Da questo punto di vista, la valenza, in quanto patrimonio artistico, storico e culturale, è indubbia, così come lo è la loro vocazione turistica, proprio per questo forte connubio di natura e arte, il cui apprezzamento è dimostrato dai valori delle statistiche, in crescita ormai da qualche anno (dal 2015 gli arrivi sono cresciuti del 13,3%-dati ISTAT-, ed è previsto un ulteriore aumento) Nonostante un discorso di questo tipo sia valido per quasi tutti i piccoli centri italiani, è doveroso riconoscere che alcuni di questi godono di qualità architettoniche, ambientali, geografiche (..) maggiori rispetto ad altri e perciò hanno più facilità nel portare a termine una rigenerazione che orbita attorno all’approccio turistico ed alla creazione di iniziative peculiari, incentrate sulla valorizzazione di tali caratteri. A dimostrazione di ciò basti pensare ai paesi della Liguria, Bussana Vecchia o Torri Superiore, le quali potendo contare sulla loro localizzazione, vicinanza con il mare, paesaggio mediterraneo e distanza minima da centri urbani di maggior estensione, hanno entrambe assistito ad un tipo di rilancio, che, sebbene è stato condotto mediante distinte modalità, si è verificato per entrambe per mezzo di una sponsorizzazione turistica del proprio territorio. Un discorso simile riguarda anche i Borghi delle colline Umbre; anche se legate ad una tipologia di turismo differente da quello marittimo, com138
binano sapientemente il contesto naturale e storico, con un’offerta enogastronomica di pregio. In tutti questi luoghi, comunque predisposti poiché connotati da elementi di forte attrazione turistica, è stato sufficiente promuovere iniziative legate ad un modello ricettivo differente da quello tradizionale, diversificando i prezzi e quindi anche il target del pubblico, per ottenere una visibilità turistica più ampia e quindi risollevare l’economia locale legata a questo settore. Una questione criticabile, che si può facilmente riscontrare in alcune operazioni che hanno tale fine, è quella che vede ormai sempre più paesi concentrarsi in azioni “unidirezionali” che si concretizzano in una sorta di autoclassificazione, imposta sulla base del tipo di offerta rivolta al pubblico, e generano dei modelli che si ripetono di paese in paese. In questo frangente si può parlare di un processo di “disneylizzazione” di alcune località, dove si denota una certa tendenza alla mercificazione e una volontà di stereotipare, e quindi rendere maggiormente vendibili, le iniziative locali. Un fenomeno che vede la cristallizzazione dell’identità locale in un’unica caratteristica, estremizzata per ottenere un maggior ritorno d’immagine e quindi una maggior affluenza. Le radici di questo fenomeno si possono ricercare nelle dinamiche a cui sono sottoposte, ormai da molti anni, le grandi città e le metropoli mondiali. È il 1996 quando Jencks dichiara: “the city has become trendy” (51) . Questa affermazione diventa emblematica 139
di una “riscoperta” delle città, in quanto esse stesse generatrici di cultura e centro e motore dell’economia globale. La facilità delle comunicazioni, la condivisione dei saperi e la velocità di veicolazione delle informazioni, caratteristiche della nostra contemporaneità, hanno contribuito, in questa sorta di rinascimento urbano, alla creazione di alcuni modelli, identificabili in quelle città che meglio di altre hanno saputo dare una svolta alla propria immagine, attuando politiche di trasformazione che si sono rivelate vincenti. Così, se Parigi è stata la capitale della modernità e Los Angeles della postmodernità, Gonzales individua in Barcellona e Bilbao i due casi di riferimento (52) . La prima infatti, nel 1992 ha saputo sfruttare l’evento olimpico per potenziare le infrastrutture e condurre un programma di rigenerazione urbana, combinando sapientemente politiche culturali, turismo e rinnovo urbano. (52a) La fortuna di Bilbao si deve invece alla realizzazione del Guggenheim, inaugurato nel 1997. L’imposizione di un segno forte, un nuovo museo realizzato da un Archistar, in questo caso da Frank Gerhy, diventa l’oggetto-icona in cui identificare la trasformazione urbana della città. Da questo momento la città diventa famosa per il così detto ‘effetto Bilbao’, definito come la trasformazione di una città per mezzo di un museo o di istituzioni culturali, che così diventa un luogo vibrante e attrattivo per i residenti, visitatori ed investitori.(52b) Il successo di tali operazioni, grazie alla velocità di 140
veicolazione delle informazioni, ha avuto una forte risonanza a livello internazionale, tanto da generare un’idealizzazione di queste due città da parte degli altri Paesi, che tendono ad elevarle a “role models for regenerations and exemplars of universal global best practies. (52c) La visibilità di questi processi, e l’apertura neoliberista di questi anni, hanno reso possibile l’innescarsi del fenomeno del policy learning e del policy transfer, che Dolowitch e Marsh definiscono come: “the process by which knowledge about policies, administrative arrangements, institutions and ideas in one political sistem (past or present) is used in the developmet of policies, administrative arrangements, instituitions and ideas in another political system”. (53) Si tratta di un processo maturato nel tempo che prevede, essendo riconosciuto a livello mondiale il successo di alcune politiche, lo studio e l’adozione di queste, idealizzate in un modello, da parte di altri Paesi, venendo così a determinare un vero e proprio mercato delle politiche. Tale tendenza denota un pensiero generale basato sull’idea che la politica dovrebbe basarsi su ‘ciò che funziona meglio, piuttosto che su particolari posizioni ideologiche, una sorta di positivismo razionale fondato sul concetto dell’ ‘evidence-based policy’ , che ha condotto soprattutto la politica urbana ad accogliere e promuovere lo scambio e la diffusione delle ‘best practices’. L’atteggiamento che comporta l’adozione delle ‘good practices’, così come quello del learning from a successful model, e quindi l’imitazione della politica vincente, ha 141
delle pesanti conseguenze sulla gestione e sullo sviluppo del territorio. In primo luogo infatti l’atto del ‘copiare’ un modello di successo deresponsabilizza i governi locali dallo studio e dalla scelta di soluzioni differenziate e specifiche per il territorio(54), generando l’illusione che il modello selezionato, in quanto sperimentato con successo da un Paese, possa essere universalmente valido. In questo modo le scelte contestuali, legate alle necessità specifiche di un luogo, vengono a meno, superate in nome di una visione generalistica, che attraverso la schematizzazione e la riproposizione di modelli verificati altrove, tende ad una omologazione della gestione e delle pratiche territoriali. Tra gli autori che trattano questo fenomeno, Dolowitz e March conducono un’ analisi interessante, individuando innanzitutto gli attori che prendono parte a questo scambio di politiche: partiti politici, burocrati e funzionari politici, pressure group, multinazionali, imprenditori, think thanks, istituzioni ed agenzie di consulenza sovranazionali, governative e non. Successivamente vengono identificate otto categorie con l’intento di inquadrare ciò che è effettivamente oggetto di importazione ed esportazione, e si tratta di: obiettivi e contenuti politici, strumenti politici, programmi politici, istituzioni, ideologie, idee, attitudini e lezioni negative. L’applicazione delle politiche e dei programmi (55) può avvenire su quattro differenti livelli, esplicativi delle modalità di appropriazione del modello da parte degli attori: la copia, che comporta il trasferimento diretto e completo della politica; l’emulazione che prevedere 142
il trasferimento dell’idea a monte della politica o del programma; la combinazione, ovvero la selezione e la commistione di più politiche differenti; e l’ispirazione, laddove le politiche di una certa giurisdizione possono ispirare un cambiamento che però si concretizza in modo del tutto differente rispetto la concezione originale. Ciò che emerge dallo studio di questi autori è che, sempre più spesso, in questo trasferimento di soluzioni da un Paese all’altro, nel tentativo di trovare una ‘quick-fix’ solution, si giunge inevitabilmente ad una schematizzazione esagerata, che deriva in primis, dalla superficialità con cui si interpretano i modelli e quindi dalla mancanza di informazioni con cui tali operazioni vengono portate avanti. L’assunto sottinteso di questo meccanismo del policy transfer è che le politiche che si sono dimostrate vincenti in un Paese, lo saranno sicuramente anche in un altro. Se da un lato la possibilità di conoscenza di forme e modelli, politici ed amministrativi, esterni permette effettivamente uno scambio di informazioni che può essere utile nella ricerca di soluzioni in grado di trasformare il futuro di una città, dall’altro lato non è da escludere che l’applicazione di un modello, al di fuori del suo contesto di origine, possa risultare fallimentare. La possibilità del fallimento il più delle volte dipende dalle modalità con cui viene interiorizzato il modello di partenza. Secondo Dolowitz e March,(55a) quando un Paese ‘prende in prestito’ una politica a lui estranea, e non ha a disposizione informazioni sufficienti riguardo essa, le sue istituzioni e come queste 143
operano nel contesto dal quale si importa, si può parlare di ‘trasferimento non uniforme’, se invece nell’atto di adozione di un modello vengono a mancare degli elementi essenziali del programma, si tratta di un ‘trasferimento incompleto’, ed infine, se non vengono prese in considerazione le differenze politiche, economiche e sociali nel passaggio dal sistema di riferimento all’ altro, si otterrà un ‘trasferimento inappropriato’. Le pratiche del policy tranfer, oltre al fatto che possono rivelarsi fallimentari se applicate con superficialità o senza la dovuta attenzione, concorrono all’abbattimento di caratteri specifici propri di ogni luogo, generando delle immagini che vengono assunte e riproposte, in quanto rese ripetibili, nelle metropoli del modo. Le conseguenze di questo fenomeno si espandono, fino a travolgere realtà completamente differenti, per caratteristiche geografiche, culturali e sociali, come quelle Italiane. Sebbene l’Italia abbia una sua propria caratterizzazione, che la porta naturalmente a differenziarsi rispetto al contesto internazionale, (basti pensare ai vincoli urbanistici per capire l’impossibilità di attuare determinati programmi..), essendo inserita nella rete europea e in quella globale, non è del tutto estranea a tali influenze. Anche nel frangente italiano è purtroppo percepibile l’eco del policy tranfer; che si esplicita non solo nel tentativo di trasporre modelli urbani recepiti dal contesto internazionale, ma anche nel trasferimento di pratiche “di successo” da ambiti territoriali ristretti ad altri. 144
È riscontrabile infatti, anche nelle realtà più piccole e marginali, un’attitudine all’osservazione e alla riproposizione dei modelli già consolidati, che deriva in parte dalle dinamiche a più ampia scala precedentemente osservate. Un esempio che permette la comprensione di questa complessa situazione di scambio e diffusione di pratiche, è rappresentato dalla propagazione del modello ricettivo dell’albergo diffuso. Sperimentato in primis nelle località di Sassi di Matera e Santo Stefano di Sessanio, dove si è rivelato una proposta positivamente recepita dal pubblico, è stato successivamente adottato dalla maggior parte dei centri minori che si stanno impegnando in processi di rivitalizzazione. Ancora più evidente (e pericolosa) è la diffusione di programmi che concorrono alla costruzione di immagini specifiche alle quali i diversi paesi tendono ad allinearsi. Nascono così “il borgo degli artisti”, quello “degli artigiani”, il “borgo museo”, quello “telematico” e così via, una moltitudine di slogan che puntano a catturare l’attenzione del turista, quasi a voler commercializzare, a modi di trovata pubblicitaria, le attività che il visitatore avrà modo di trovare e sperimentare all’interno della realtà prescelta. Tale fenomeno, per il quale si tende a non salvaguardare la peculiarità ed il valore delle iniziative (sorte spontaneamente o introdotte volontariamente), sociali, culturali o artistiche che siano, perseguendo invece un modello assunto a schema, può portare a conseguenze critiche, quali, ad esempio, l’abbassamento della qualità dell’offerta, così come la perdi145
ta dell’identità originaria dei luogo e dei suoi occupanti. Il caso di Bussana Vecchia è emblematico; rileggendo la sua fenomenologia, è possibile comprendere come l’interesse commerciale sorto in seguito all’aumentare dell’attenzione turistica nei confronti del borgo, sia stato controproducente ai fini della ricerca artistica che era stata intrapresa precedentemente da coloro che avevano preso possesso delle case abbandonate. Sempre lo stesso interesse ha addirittura provocato una rottura all’interno della comunità artistica originaria, determinando l’abbandono di Bussana Vecchia da parte di alcuni fra i principali membri e fondatori. Se un tempo questo luogo aveva intravisto l’opportunità di ridisegnarsi una nuova identità, sorta attorno alla comune volontà di ricerca in campo artistico, oggi invece il paese rivive in chiave di promozione al pubblico questa caratterizzazione, diventando addirittura un modello di riferimento per gli altri paesi, nonostante la perdita di coloro che erano i protagonisti reali dell’intero processo, così come dei valori che hanno accompagnato il primo tentativo di recupero del territorio, e il conseguente adeguamento a degli standard molto più bassi, poiché improntati a garantire l’afflusso di visitatori. Il caso di Bussana Vecchia non è isolato, perché là dove manca una solida amministrazione, volta alla ricerca di un’identità reale, congrua alla tradizione e alla natura del territorio, durevole e in linea con il desiderio di crescita della comunità residente, il risultato purtroppo non si può allontanare da quello appena considerato: la proposta di un’identità “posticcia”, poiché 146
snaturata dalle dinamiche sorte durante tutto il processo che ha portato allo sviluppo attuale del centro. Il risultato di approcci di questo tipo è controproducente rispetto alle aspettative: in primo luogo si ottiene un appiattimento generale delle specificità. Il lavoro di “propaganda”, indirizzato al vasto pubblico, così come la ripetizione meccanica dei modelli e delle good practies, può portare ad un abbattimento delle differenze che rischia di omogeneizzare fra loro le realtà, fino a renderle intercambiabili. Le conseguenze di un approccio di questo tipo si ripercuotono inoltre sulle dinamiche turistiche, che difficilmente si allontanano da un iter del tipo: “Visita al borgo - esperienza eno-gastronomica -permanenza nell’albergo diffuso - fine della gita”. Questo è il diretto risultato di proposte che mirano a “brandizzare” le attività ed il patrimonio del luogo; operazioni che, cavalcando l’onda della recente riscoperta del valore turistico dei centri storici minori, si limitano al restauro delle preesistenze e alla conversione di alcune di queste in strutture ricettive, senza però uno studio ed una programmazione attenta alle spalle. Sebbene questi processi sono la dimostrazione che un grande passo in avanti, in termini di consapevolezza della ricchezza culturale, storica ed artistica del nostro Paese, è stato fatto, rimane tuttavia urgente rendersi conto che il progetto di analisi delle possibilità di sviluppo della località oggetto di trasformazione, così come la pianificazione strategica, sono delle prassi essenziali, senza le quali la rivitalizzazione non 147
andrà mai al di là della conversione in meta turistica, per altro legata ai picchi di affluenza stagionali. Come è già stato sottolineato in precedenza, uno degli scogli maggiori che si incontrano durante il percorso di rivitalizzazione, è quello che riguarda il consolidamento (in alcuni casi la vera e propria ricostruzione) di una comunità residente. La difficoltà principale per i piccoli centri italiani infatti, non risiede solamente nella problematica di riportare le dinamiche sociali che non si sono più verificate dopo i molteplici casi di esodo, spopolamento o crisi economica, ma anche nella necessità di reinventare le dinamiche, poiché quelle appartenenti al modello rurale precedente sono da considerarsi definitivamente superate. La contemporanetà impone eterogeneità e complessità.“..is the importance of urban heterogeneity. With the easy separation between the ‘social’, ‘political’, ‘cultural’ and ‘economic’ becoming more and more problematic, we must clearly emphasize the ways in which contemporary cities tend to be concentrations of multiple rationalities, multiple socio-spatial circuits, diverse complexes of cultural hybridity and time-spaces. Such heterogeneities are central to the new urbanism and are, [..],essential to the dynamics of the contemporary ‘urban’. These are simultaneously, surces of economic dynamism and cultural innovation, and pointers to new notions of urban governance and institutional innovation.” (56) Nonostante la citazione qui riportata si riferisca ai centri urbani, i concetti che emergono da queste righe forniscono un utile stimolo per ragio148
namenti attorno alle realtà minori, alle loro dinamiche sociali e ai possibili sviluppi futuri. Il rinnovato interesse nei confronti dei piccoli centri, i cui processi interni si differiscono profondamente da quelle della città, sta avendo un ruolo fondamentale per il destino di queste località marginali, che proprio per questo sono oggi l’oggetto di nuovi dibattiti e di nuove strategie per il loro rilancio. La presa di coscienza delle potenzialità che questi borghi rappresentano ha dunque come effetto immediato, anche perché più facilmente gestibile ed individuabile, la loro riscoperta da parte del pubblico, con la conseguente trasformazione di questi da luoghi fantasma ad ambite destinazioni turistiche. Abbiamo visto come tale trasformazione, se da un lato favorisce il ri-sollevamento economico di suddette località, dall’altro non permette il superamento totale delle criticità. Le difficoltà maggiori sono soprattutto quelle legate alla necessità di incontrare nuovi meccanismi di sviluppo locale e della determinazione di una complessificazione delle dinamiche sociali che possa restituire un’organizzazione in grado di riflettere i caratteri della contemporaneità. Le possibilità di crescita lavorativa ad esempio, sono ancora fortemente proiettate sui modelli metropolitani, motivo per il quale, nonostante molti centri minori si stanno innalzando dalla situazione di declino, il numero degli abitanti resta ancora molto basso, così come quello dell’età media. 149
È addirittura nullo il numero degli abitanti in alcuni paesi, quelli che ormai hanno abbandonato le speranze di un riscatto sociale, quelli per cui la musealizzazione rappresenta una delle poche soluzioni possibili, per provare almeno a preservarne la bellezza, il valore culturale. La musealizzazione, intesa come formula di salvaguardia e trasmissione è a mio avviso un approccio che dimostra attenzione e delicatezza nei confronti di quei luoghi che, nonostante abbiano perso definitivamente la vocazione sociale congrua della città (o del paese), si dimostrano ancora vitali poiché scatenano l’interesse dei più. In tal senso, piuttosto che snaturare l’essenza di questi spazi per mezzo di iniziative banali, scontate, volte alla commercializzazione turistica, e per lo più fallimentari, appare coerente la decisione di convertire essi stessi in Istituzioni Culturali, incrementandone il carattere narrativo, la propensione che queste presenze hanno alla trasmissione di valori e bellezze storico-artistiche e sociali che rappresentano la vera e grande ricchezza dell’Italia. Ma fortunatamente questo destino non è ancora segnato per tutte queste realtà minori, dal momento che non tutte hanno ancora perso la loro vitalità, i loro abitanti, ed altre pian piani, ne stanno acquisendo di nuovi. Se il pensiero comune è quello che porta a pensare che la riscoperta di queste località possa condurre a diverse applicazioni del concetto di abitare, nella pratica effettivamente si intravede un riscontro di tale tendenza, individuabile nelle differenti interpretazioni della questione legata ai centri minori. 150
I piccoli villaggi sostenibili, che si stanno creando in Italia e all’estero, esplorano modelli sociali differenti, con l’intento di discostarsi dai valori consumistici urbani. In queste realtà si abbraccia uno stile di vita etico, improntato sul rispetto della natura circostante e dell’ambiente, e vengono promosse formule di autosussistenza associate alla coltivazione sostenibile della terra. Parallelamente si sperimentano formule abitative convivenza (come i co-housing) di partecipazione sociale, processi decisionali comunitari, votati a combattere la spersonalizzazione, a difendere la socialità, il diritto di espressione così come l’importanza del porre l’interesse della comunità di fronte al proprio. È doveroso, a mio avviso, sottolineare, che queste pratiche, certamente propositive ed eticamente corrette, si dimostrano possibili proprio perché gli eco-villaggi non hanno ancora attirato a sé un consistente numero di abitanti. Coloro che vivono all’interno di un ecovillaggio, per garantire la propria sopravvivenza, promuovono iniziative legate alla possibilità di permanenza, o di soggiorno, arricchite da offerte esperienziali che dipendono dal carattere stesso del territorio e dalle attività svolte dai residenti. Ai visitatori viene quasi sempre richiesto di prendere parte alle attività e ai processi partecipativi della comunità; in questo modo essi, invitati ad adeguarsi a questo stile di vita durante la loro permanenza, hanno la possibilità di testarlo sulla propria pelle, nel corso di un’esperienza limitata nel tempo, per poi ritornare alla pro151
pria dimensione sociale, una vota conclusasi la vacanza. La vita comunitaria è infatti una scelta ancora di poche persone, ma il modello stesso non potrebbe reggere se allargato a un vasto numero di partecipanti, l’aumento degli interessi privati, così come dei momenti di discussione e probabili litigi renderebbero infatti impossibile il perseguimento di tale direzione. Il perseguimento di una sorta di utopia, che non troppo si discosta dalle idee sorte negli anni ’60, indica, ad ogni modo, la volontà di sperimentare una vita alternativa al modello cittadino ed un tentativo di superare il limite dovuto alla necessità, propria dell’uomo, di ricreare una società, senza la quale risulta difficile poter considerare la riattivazione del piccolo centro soddisfacente. Nonostante questi paesini vengano riconosciuti come portatori di valori che oggi stuzzicano più di quelli trasmessi dal caos delle nostre estese aree urbane, appare ancora di difficile gestione il tema dello sviluppo e del lavoro poiché, quando si tratta di questi luoghi, si è ancora fortemente legati ad un’idea di ruralità che lascia pochi margini all’innovazione, “concetto di ruralità inteso come una soluzione di sviluppo che non è sviluppo, nostalgica del passato.” (57) Un tentativo di reprimere questo preconcetto, è individuabile nella volontà di caratterizzare Colletta di Castelbianco nell’offerta tecnologica, scelta scaturita dal progetto di conversione del paesello in un centro in grado di ospitare lavoratori, businessman ed aziende. Una proposta molto lontana da quelle di derivazione “hippies” , sicuramente ammirabile, in quan152
to denota lo sforzo di inseguire un modello differente da quello commentato in precedenza, volto allo sfruttamento delle potenzialità legate al mondo digitale e agli strumenti telematici, ma al momento fallimentare. Salvo qualche straniero innamoratosi del luogo, purtroppo infatti non si è verificata quella complessità lavorativa e sociale che si si voleva creare con suddetta trasformazione. Probabilmente la causa di ciò è da ricercare nella tipologia dell’offerta proposta, che sebbene possa ‘suonare’ avanguardistica, in termini effettivi non lo si è dimostrata, poiché dotare un paese di una rete Wi-Fi veloce ed efficiente dovrebbe essere ormai la regola, e non l’eccezione: “La principale struttura di cui oggi devono dotarsi i piccoli comuni è quella telematica. Solo così essi possono superare i limiti fisici e relazionali dati dalla distanza che spesso li separa dai centri e dai servizi urbani. Connettere i piccoli comuni per immetterli in un fascio di comunicazioni e di relazioi è la via principale per renderli luoghi vivi ed abitabili: questo è possibile con il WIFI.” (58). Inoltre, la” vera avanguardia” di questi anni è rappresentata, al contrario, dal distacco assoluto dagli apparecchi digitali, una sorta di astinenza dalla tecnologia, intercettata da alcuni nella formula del “digital detox”, promossa ad esempio dall’Eremito Hostelito Del Alma di Parrano. Ma tornando al borgo telematico, sebbene tale iniziativa abbia attirato solamente un scarso numero di soggetti metropolitani che, stanchi delle loro vite frenetiche hanno riconosciuto in questo paese una di153
mensione ospitale per poter incominciare una vita più tranquilla, il risultato mediatico dell’intervento di rilancio di Colletta di Castelbianco, novo “borgo telematico” ha prodotto comunque risultati dal punto di vista turistico, favorendo l’afflusso di visitatori e quindi un risollevamento, se pur parziale, del centro. La buona riuscita di un’operazione dipende dunque dalla forza della strategia messa in atto e, ancor più, dall’attenzione e dalla sensibilità dell’apparato amministrativo che deve essere in grado di prevedere, indirizzare e sostenere le iniziative pubbliche e private che concorrono ad attivare i processi di trasformazione. Come nel caso di Calcata o di Matera: in entrambe queste località si sono verificate delle reazioni positive al cambiamento non solo grazie alla spinta in senso turistico, ma, soprattutto, per mezzo del perseguimento di un programma culturale ben strutturato e di qualità. A Calcata per esempio sono nate delle istituzioni a scopo didattico che richiamano l’attenzione di giovani, stranieri e nostrani, che, in questo posto intravedono una possibilità concreta di crescita personale e di affermazione dal punto di vista lavorativo. Camminando tra le vie di questo paesino ci si imbatte in una moltitudine di botteghe, ma qui, a differenza di altrove, ci sono artisti e designer che al loro interno, conducono la loro ricerca secondo percorsi realmente volti alla sperimentazione, indagando la nostra contemporaneità con mezzi d’avanguardia, creando “reti”, sfruttando il media, uscendo da quella minuscola dimensione grazie alle infinite possibilità della modernità liquida (59) . 154
È questo il borgo degli artisti che ci si deve aspettare nel 2017, un luogo dove incontrare un’offerta di qualità, volta ad intercettare le tendenze contemporanee, condotta attraverso strumenti attuali. Un luogo in grado di ospitare l’innovazione, un luogo in grado di reinventarsi, senza paura di accogliere il presente. Anche il Comune di Matera ha intrapreso un grande sforzo in questo senso, incamerando, tra le mura sgangheratamente ricche di bellezza del proprio centro storico, imprese di giovani creativi e speranzosi, ascoltando le loro voci, promuovendo progetti di restauro e riqualificazione sostenibili, stanziando fondi regionali per collegamenti ferroviari all’avanguardia, guadagnandosi infine il titolo di Capitale Europea della Cultura del 2019. Sono queste le manovre che determinano uno scatto in termini di fruibilità del luogo, convertendolo in un ambiente predisposto alla vita, al permanere, e non solamente alla durata di una rapida visita; sono questi esiti che ci dimostrano che questi luoghi sono effettivamente una risorsa che permette un’evoluzione del vivere. Molto più spesso però gli episodi favorevoli, che dimostrano la riuscita di manovre proiettate verso questa direzione, sono circoscrivibili a quelli in cui un soggetto privato, in grado di imporre economicamente il cambiamento, si attiva per restituire una nuova vita al paese. È il caso di Solomeo, dove, grazie alla decisione del Signor Cucinelli di convertire l’intero centro in base operativa della sua azienda, si assiste ad una vera e propria “rifondazione” del luogo. Un’operazione di questo 155
tipo, che prevede non solo lo spostamento di capitale, ma anche e soprattutto di risorse umane, dimostra che le piccole realtà non solo sono effettivamente in grado di contenere ed ospitare situazioni lavorative e sociali all’avanguardia, ma anche che, proprio per mezzo del loro patrimonio storico, culturale ed artistico, possono apportare una maggiore qualità alla vita di chi in esse ci abita e ai prodotti generati da chi in esse ci lavora. Purtroppo circostanze simili non si verificano ancora spesso, ma rimane la speranza che esempi virtuosi possano porre le basi per il perseguimento futuro di un modello a mio parere vincente.
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Ma tornando al discorso generale, avendo intrapreso questo momento di critica, la domanda che sorge spontanea è, quale potrebbe dunque essere il destino di tutti quei borghi o centri minori, che non possono fare affidamento su di un magnate in grado di riscattarli? Qual è il ruolo dell’architettura nel processo di reinvenzione dei borghi? Come riscattare quelle località che per caratteristiche geografiche, climatiche, sociali e culturali si trovano ancora lontane da questo rinnovato interesse? Come resistono al declino i paesi che si trovano sperduti nei confini montani? Con quali strategie le borgate alpine, del tutto differenti per clima, tradizioni, cultura dell’innovazione, reagiscono allo spopolamento e alla crisi?
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STRATEGIE
1. CULTURALE Direzione dell’intervento
2. LUDICO-SPORTIVA 3. ENO-GASTRONOMICA 4. MISTA
1. Modalità di applicazione
2.
Iniziativa SPONTANEA di una parte della popolazione Iniziativa da parte di un soggetto PRIVATO
3.. Iniziativa di tipo POLITICOAMMINISTRATIVA
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CRITICITA’
Errata valutazione della staregia presa meccanicamente “in prestito” da un contesto altro.
“PLAGIO”
Errata apllicazione della stategia “presa in prestito”.
“AZIONI UNIDIREZIONALI”
“Autopromozione”, con azioni che si concretizzano in una sorta di autoclassificazione, imposta sulla base del tipo di offerta rivolta al pubblico
“APPROCCIO SUPERFICIALE”
Banalizzazione della linea strategica, generallizzazione delle previsioni e studio poco approfondito delle caratteristiche intrinseche del paese.
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(50) Michele Esposito, presidente Borghi Srl, Le aree interne: nuove strategie per la programmazione 2014-2020 della politica di coesione territoriale, in http://www.agenziacoesione.gov.it (51) Charles Jencks, The city that never sleeps, New statesman, 1996, pp. 26-28 (52) Sara Gonzales, Bilbao and Barcelona ‘in Motion’. How urban regenerations ‘Models’ travel and Mutate in the Global Flows of Policy Tourism, in Urban Studies 2011, vol.48(7) pp.1397-418 (52a) Marshall, 2004, cit. in Sara Gonzales, ibid. (52b) Lord, 2007, cit. in Sara Gonzales ibid. (52c) de Jong and Edelenbos, 2007, cit. in Sara Gonzales ibid. (53) Dolowitch and Marsh, Learning from Abroad: The Role of Policy Transfer in Contemporary Policy-Making, Governance: An International Jourrnal of Policy and Administration, 2000, vol. 13, pp. 5-24 (54) Si veda Jamie Peck, Geography and public policy: from Transfer-Diffusion to Mobility-Mutation, in Progress in Human Geography, 2011, vol.35 (6), pp. 73-97 (55) Differenza tra politiche e programmi: le politiche possono essere viste come un insieme di dichiarazioni d’intenti che generalmente
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suggeriscono la direzione politica che si è deciso di intraprendere; i programmi costituiscono invece le specifiche applicazioni della politica. Vedi Dolowitz e March, ibid. p.12 (55a) ibid., pp.17-8 (56) Ash Amin and Stephen Graham, The Ordinary City, Transaction of the Insitute of British Geographers, 1997, vol. 22(4), p.419) (57) AISRe, Associazione Italiana di Scienze Regionali, Paper a cura di Luigi Badiali e Emmanuele Daluiso, Borghi Vivi della Lunigiana. Piano integrato territoriale di area vasta per o sviluppo della Comunità Montana Lunigiana (Toscana), , in XXX Conferenza Scientifica, Federalismo, Integrazione Europea e Crescita Regionale, Firenze, 9-11 Settembre 2009, p.14 (58) Fabio Renzi, Piccoli Comuni: cinque strategie per rafforzare l’Italia di qualità, Symbola, Fondazione per le Qualità Italiane, p.3, in http://www.symbola.net/din/adminphp/doc/PiccoliComuni.pdf (59)per approfondimenti consultare: Zygmunt Bauman, Modernità liquida, Roma-Bari, Laterza 2002.
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