Libretto Trieste

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Mercoledì 21 agosto PROGRAMMA : Partenza dal piazzale dell’Oratorio S.G.Bosco ore 6.00 (ritrovo 5,45 per carico bagagli) Arrivo a Padova entro le ore 10.00. (PRATO DELLA VALLE, S. GIUSTINA, S. ANTONIO, PIAZZA ERBE….) pranzo al sacco e in seguito visita ai principali monumenti del centro storico. Ore 16.00 Partenza per Trieste e arrivo per le 18.30 Cena e TRIESTE by Night

HOTEL VILLA NAZARETH, Via dell'Istria, 69, 34137 , TRIESTE TELEFONO: 040-771682 E-MAIL: info@villanazareth.com WEB: www.villanazareth.com Trieste, …. nell’anno della fede

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Padova LA BASILICA DEL SANTO L'ESTERNO L'attuale Basilica è in gran parte l'esito a cui si è giunti attraverso tre ricostruzioni, che si sono succedute nell'arco di una settantina d'anni: 1238-1310. Ai tempi di sant'Antonio qui sorgeva la chiesetta di Santa Maria Mater Domini, poi inglobata nella Basilica quale Cappella della Madonna Mora. Accanto ad essa, nel 1229, era sorto il convento dei frati fondato probabilmente dallo stesso sant'Antonio. Deceduto nel 1231 all'Arcella, a nord della città, dove sorgeva un monastero di clarisse, il suo corpo - secondo il suo stesso desiderio - venne trasportato e sepolto nella chiesetta di Santa Maria Mater Domini. Il primo nucleo della Basilica, una chiesa francescana a una sola navata con abside corta, fu iniziato nel 1238; vennero poi aggiunte le due navate laterali e alla fine si trasformò il tutto nella stupenda costruzione che oggi ammiriamo. L'INTERNO Ci si può portare agli inizi della navata centrale. Si noterà subito come l'architettura, pur sempre gotica nell'alzata, si distingue nettamente in due parti: quella delle navate (in cui ci si trova) e quella dell'abside oltre il transetto. Non soltanto perché quest'ultima è tutta affrescata, ma soprattutto per la diversa tipologia del gotico. L'area delle navate appare di ampia spazialità, ritmata da entrambi i lati da due calme e solenni campate. Sopra di esse, sia a sinistra che a destra, corre un ballatoio, il quale accompagna la navata centrale, per poi rinserrare tutto intero il transetto. Trieste, … nell’anno della fede

Più che i resti di decorazioni e dipinti, colpiscono i numerosi monumenti funebri, che rivestono pilastri e altri spazi e che risalgono soprattutto ai secoli XV-XVII. Oggi noi preferiamo vedere le chiese ripulite da queste incrostazioni del passato. Non bisogna però sottovalutare il valore artistico di alcuni monumenti e il fatto che essi costituiscono un interessante spaccato della vita civile e culturale della città e della regione. La presenza di questi monumenti funebri non interessa però la gran parte dei visitatori. Prima di lasciare la navata centrale, si osservi sulla controfacciata il grande affresco di Pietro Annigoni, terminato nel 1985, raffigura Sant'Antonio che predica dal noce. Il fatto avvenne a Camposampiero (Padova) dove il Santo, immediatamente prima della morte, trascorse un breve periodo di riposo e di raccoglimento (dalla seconda metà di maggio al 13 giugno 1231). Alla gente (semplice o malata, indifferente o curiosa; simpatico il contrappunto dei tre bimbi) e ai suoi frati (ai piedi della scala c'è il beato Luca Belludi, successore di sant'Antonio) il Santo indica il vangelo come fonte di luce e di vita. LA MADONNA DEI PILASTRO Sulla prima colonna della navata sinistra si può ammirare la Madonna del Pilastro. È stata affrescata, pochi anni dopo la metà del '300, da Stefano da Ferrara. Non si badi agli angeli che stanno sopra e ai due apostoli ai lati, che sono aggiunte posteriori. Così risalgono probabilmente al '600 i brillanti diademi sul capo della Madonna e del Bambino. Sopra il primo altare a sinistra sta la pala di san Massimiliano Kolbe, anch’essa dipinta da Pietro Annigoni nel 1981.

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ba del figlio Giannantonio (+ 1456). La cappella, in stile gotico, fu ultimata nel 1458. È di pianta quadrata, con quattro colonne agli angoli e la volta a spicchi con costoloni. Tutto il resto ha subìto varie sistemazioni nel corso dei secoli. L'ultima, comprendente anche l'abside dietro l'altare, risale agli anni 1927-1936 ed è opera di LA CAPPELLA DEL SANTISSIMO Lodovico Pogliaghi, artista assimilaÈ la prima cappella della navatore e versatile. LA CAPPELLA DI SAN GIACOMO ta destra. Vi si conserva l'Eucaristia. Nel passato era detta Cappella dei Proseguendo lungo la navata destra, Gattamelata, perché voluta dalla famiglia del si raggiunge il transetto che si concondottiero Erasmo da Narni clude con la Cappella di san Giacomo, voluta (soprannominato Gattamelata, + 1443) come da Bonifacio Lupi, marchese di Soragna luogo della sua tomba, che si può vedere (Parma) con importanti incarichi diplomatici e nella parete sinistra; a destra invece è la tom- militari presso i Carraresi di Padova. Trieste, …. nell’anno della fede

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L'elegante e arioso ambiente gotico è stato realizzato negli anni ‘70 dei Trecento da uno dei maggiori architetti e scultori veneziani d'allora, Andriolo de Santi. La cappella si apre in basso con cinque arcate trilobate. LA CROCIFISSIONE. Immediata è la suggestione che attrae il visitatore e lo avvolge nella calda atmosfera dei marmi e degli affreschi, finiti di restaurare nel 2000, che ricoprono tutta la superficie interna della cappella. Lo sguardo va spontaneamente alla grandiosa e drammatica Crocifissione, capolavoro di Altichiero da Zevio (Verona), il massimo pittore italiano della seconda metà del '300, che lo realizzò sempre negli anni ‘70 appena pronta la cappella. STORIA DI SAN GIACOMO. - Le otto lunette della cappella e uno scomparto ci presentano alcuni momenti della storia di san Giacomo, desunti dalla Legenda sanctorum o aurea di Jacopo da Varazze (1255?). Era un testo allora molto diffuso con intenti devozionali e che dava largo spazio a tradizioni e leggende e al quale tanti artisti hanno abbondantemente attinto. L'apostolo è san Giacomo il Maggiore (fratello di san Giovanni) il cui santuario di Compostella (Galizia/Spagna) era una delle grandi mete di pellegrinaggio della cristianità, specialmente nei secoli X-XV. L'autore degli affreschi è ancora Altichiero da Zevio, ma con la collaborazione di Jacopo Avanzi, bolognese, la cui mano non è sempre facilmente distinguibile. Proseguendo verso il deambulatorio, si lascia a destra l'uscita che conduce al Chiostro della Magnolia e, più avanti, l'entrata verso la Sacrestia; a sinistra, invece, il complesso presbiterio-coro chiuso da una superba cortina marmorea. Si giunge così alla prima cappella del deambulatorio. LA CAPPELLA DELLE BENEDIZIONI In questa cappella i fedeli amano far benedire Trieste, … nell’anno della fede

anche oggetti personali, come ricordo duraturo e visibile dell’incontro di grazia avvenuto in Basilica. Ma ad attirare l'attenzione sono ora anche gli affreschi di Pietro Annigoni, i quali realizzano una stretta sintesi su un tema che ci sembra emergere con maggiore evidenza: la tragedia del peccato. La predica ai pesci, a sinistra (1981). L'episodio, stando alla fonte più antica, Actus beati Francisci et sociorum eius (1327-40), avvenne a Rimini nel 1223, alla foce della Marecchia. li Santo, vista la sua predicazione osteggiata da eretici e catari, se ne andò a parlare con i pesci, che affluirono numerosi guizzando fuori dalle onde. L'artista ci presenta il Santo che poggia sicuro su un grosso masso (allusione al Cristo) nell'atto di mediatore d'una fede "rappresentata" da quell'accorrere vivace dei pesci verso il loro Creatore. Accanto a lui, un compagno dalla fede tentennante guarda impaurito la turba in arrivo. Al di là del Santo, più che le parti impressiona l'insieme: uomini e cose, tutto è sconvolto e sembra sfasciarsi. Così finisce il mondo che rifiuta Dio. Il Santo affronta il tiranno Ezzelino da Romano (1982). Secondo la Chronica dei notaio padovano Rolandino (1262) il fatto narrato dall'affresco è avvenuto poco prima che il Santo si ritirasse nell'eremo di Camposampiero, quindi nel maggio del 1231. Pregato dagli amici di Rizzardo di San Bonifacio (Verona) sequestrato con altri della fazione ghibellina, sant'Antonio si recò da Ezzelino III da Romano, per otteneme il rilascio. L'esito della missione fu negativo. L'artista fissa l'incontro dei due personaggi nella fase finale: un diniego che non ammette ripensamenti. L'ostinazione del tiranno è resa dal risoluto gesto delle mani. Dietro di lui, il truce consigliere, raffigurato nella sua vera identità: il diavolo, l'ingannatore. Ma Ezzelino non è dei tutto tranquillo: si pro-

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tende in avanti, verso il Santo, con la bocca contratta da una smorfia, cercando di scrutare diffidente la fonte di tanta semplicità e coraggio. Antonio ha in mano il vangelo, ma esso è ormai chiuso per il tiranno. Sant'Antonio, rassegnato, ha compassione del tiranno prigioniero di se stesso. Dietro, le ombre dei prigionieri, sospinti dalle guardie; gli uni estranei agli altri. La Crocifissione (1983). - Le proporzioni, lo stacco e il risalto conferito dalla finta parete con cui è raffigurato il Crocifisso suscitano un'immediata forte reazione. Lo sguardo segue trepidante le gambe inarcate e lacere di sangue di Cristo. Il petto è stirato in giù e l'addome rigonfio, come avviene in questi condannati. Le braccia sono crudamente stirate e tutto il corpo sembra crollare. Il volto è uno strazio. Intorno l'atmosfera umida e plumbea è solcata da un lampo: unico segno, tale da non disperdere l'attenzione, dell'eco della natura. In alto, nel mezzo, una luce scarlatta, di amore e di sangue, rivela il senso ed esalta la sofferenza sacrificale di Cristo, che sembra sussurrare: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Uscendo dalla cappella, guardiamo in alto per risollevarci l'animo nelle serene e alte volte della parte absidale della Basilica. Proseguiamo lungo il deambulatorio, lasciando a destra la Cappella americana o di santa Rosa da Lima (1586-1617) patrona dell'America, delle Filippine e delle Indie occidentali; a cui segue la Cappella germanica o di san Bonifacio (673-755), grande evangelizzatore della Germania; infine la Cappella di santo Stefano, primo martire cristiano, contenente chiari e agili affreschi dell'italiano Ludovico Seitz (1907), fecondo pittore aderente al movimento dei "Nazareni". Si raggiunge così, sempre alla nostra destra, il centro del deambulatorio da dove ci si immette nella Cappella dei Tesoro. Trieste, …. nell’anno della fede

LA CAPPELLA DEL TESORO Questa cappella, iniziata nel 1691,opera barocca del Parodi, allievo dei Bernini, ha trovato un distinto spazio nella Basilica, senza disturbarne la coerenza gotica. L'architettura si trasforma davanti a noi in trionfo, che inizia dalla balaustrata con le sue sei statue in marmo, dei Parodi. Al di là della balaustrata, il passaggio che consente ai visitatori di ammirare il "tesoro" della Basilica, che dà il nome alla cappella e che è raccolto in tre nicchie distinte da paraste binate e precedute in basso da coppie di angeli L'insieme è coronato da cordoni di angeli festanti (in stucco, di Pietro Roncaioli da Lugano) che conducono a Sant'Antonio in gloria (in marmo, del Parodi). Altre decorazioni nel tamburo della cupola (del Roncaioli) e nella calotta (inizi di questo secolo). Memorie del Santo (antistanti la balaustrata). Prima di salire verso le nicchie, sostiamo ad osservare alcune memorie di san t'Antonio, che nel 1981 sono state collocate nell'area e sulle pareti antistanti la balaustrata. Nel gennaio del 1981 in occasione dei 750 anni dalla morte del Santo, nell'intento di precisare lo stato dei resti mortali di sant'Antonio, nominate allo scopo una"commissione religiosa pontificia" e una "commissione tecnico scientifica", venne aperta la tomba di sant'Antonio, per la seconda volta nella storia. (Vedi la pagina delle ricognizioni) Vi si trovò: una grande cassa di legno di abete, rivestita di quattro teli di lino e, sopra di essi, due drappi dorati finemente ricamati; nell'interno della grande cassa, una seconda cassa più piccola (sempre in legno di abete) a due scomparti disuguali e con il coperchio percorso in lunghezza da una cordicella con tre sigilli; all'interno tre involti di seta rosso-cremisi finemente ricamati (ricavati probabilmente da un

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piviale) e con preziose bordure applicate ciascuno contrassegnato da una scritta in pergamena cucita indicante il contenuto e cioè: • l'intero scheletro, ad eccezione dei mento, dell'avambraccio sinistro e di qualche altra parte minore; • gli altri resti, in gran parte allo stato di polvere; • la tonaca, in tessuto di lana color cinerino. • All'esterno della grande cassa nel loculo che la conteneva si è trovato: • una lapide con le date della morte dei Santo, della sua canonizzazione e della traslazione dei suoi resti dalla chiesetta di Santa Maria Mater Domini alla nuova Basilica (8 aprile 1263) • parecchi anellini (10 bianchi e 50 neri) di collana o corona. Per capire in parte tutto ciò, bisogna risalire al 1263. Terminata la seconda fase di costruzione della Basilica, in occasione dei "capitolo generale" che radunava a Padova i francescani ed essendo ministro generale dell'Ordine san Bonaventura, si trasferì la tomba del Santo dalla chiesetta di Santa Maria Mater Domini al centro della Basilica, sotto l'attuale cupola conica (davanti al presbiterio). In quell'occasione fu aperta per la prima volta la bara che conteneva i resti dei Santo, soprattutto per estrame alcune reliquie da offrire alla devozione dei fedeli anche in altre chiese. Grande fu la sorpresa nel vedere ancora incorrotta la sua lingua. Fu allora che san Bonaventura, con il cuore colmo di ammirazione, pregò ad alta voce: O lingua benedetta, che hai sempre benedetto il Signore e dagli altri lo hai fatto sempre benedire: ora appare manifesto quanti meriti hai acquistato presso Dio. Si decise, allora, di conservare a parte la lingua dei Santo, il mento, l'avambraccio sinistro e qualche altra reliquia minore. Tutto il resto venne distribuito nei tre involti in seta rossocremisi, di cui si è parlato, e collocato in una piccola cassa e questa, a sua volta, nella cassa più grande. Trieste, … nell’anno della fede

La recente ricognizione del 1981 ha offerto l'opportunità di eseguire adeguate indagini di carattere storico, tecnico e artistico, antropologico e medico, su tutto il materiale che è stato rinvenuto. Lo scheletro dei Santo è stato in seguito ricomposto su un materassino e posato in una cassa di cristallo. In essa sono stati collocati due cofanetti in vetro con gli altri resti. La cassa di cristallo poi è stata rinchiusa in una bara di rovere e ricollocata nella tomba. Sono invece stati esposti in questa Cappella dei Tesoro: la tonaca del Santo, le due casse in legno, la cordicella e due sigilli, i tre panni di seta rosso-cremisi ricomposti in piviale, i due grandi drappi dorati, la lapide, le monetine e gli anellini. Tutte cose che qui si possono devotamente osservare. Salendo da sinistra verso si trovano le tre nicchie che racchiudono reliquie di sant'Antonio e di altri santi, ma soprattutto un gran numero di doni offerti per riconoscenza o devozione da illustri pellegrini dei passato al Santo di Padova. Ciò che invece deve focalizzare l'attenzione sono le più prestigiose reliquie di sant'Antonio, che si trovano nella nicchia centrale. La lingua del Santo (al centro). Non si pensi di vedere una lingua di colore rosso vivo. Ma ciò che si vede costituisce ugualmente un fatto inspiegabile, dato che si tratta di una parte anatomica fragilissima e tra le prime a dissolversi dopo la morte. Ora sono passati oltre 770 anni dalla dipartita di sant'Antonio e quella lingua costituisce un miracolo perenne, unico nella storia e carico di significato religioso, quale suggello dell'opera di rievangelizzazione della società ad opera del Santo. Degno di accoglienza di così incredibile reliquia è il finissimo e delicato capolavoro di armonia e di grazia, in argento dorato, opera di Giuliano da Firenze (1434-36). La reliquia del mento (in alto). Più esattamente si tratta della mandibola, collocata in un reliquiario concepito come un busto, con aureola e cristallo in luogo dei volto. È stato commissionato nel 1349 dal cardinale Guy de Boulogne-

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per il volto colorito, ma il titolo esprime soprattutto il loro rapporto di confidente familiarità. A nord si apre la Cappella del beato Luca Belludi, detta anche dei Santi Filippo e Giacomo il Minore, apostoli. È stata aggiunta al complesso della Basilica nel secondo Trecento, e chiamata del beato Luca, compagno e successore di sant'Antonio, perché sotto la mensa dell'altare vi è la sua tomba. Qui sostano spesso gli studenti padovani, che si affidano all'intercessione del beato nel loro difficile sur-Mer, miracolato dal Santo: Egli stesso lo impegno di studi. portò a Padova l'anno dopo, procedendo La cappella è stata, comunque, dedicata fin solennemente alla sistemazione del mento in dall'inizio ai santi Filippo e Giacomo. Molto questo reliquiario (in argento dorato). Le interessanti gli affreschi del fiorentino Giusto cartilagini laringee (in basso). Queste, ancora de' Menabuoi, che risalgono sempre alla seconservate, che sono gli strumenti della fona- conda metà del Trecento (1382). Deperiti a zione, cioè della parola, hanno subito attirato causa soprattutto dell'umidità, sono stati di l'attenzione, pur non costituendo un fatto recente recuperati da un riuscito restauro che inspiegabile come la lingua, nella recente ne ha valorizzato il notevole livello artistico. ricognizione dei 1981. Si è pensato quindi di Il sarcofago pensile è oggi vuoto. L'altare è del collocarle in visione insieme alla lingua del Duecento e pare che dal 1263 al 1310 fosse Santo. Il reliquiario è opera del trevisano l'altare-tomba di sant'Antonio, collocato però Carlo Balljana. davanti al presbiterio della Basilica, sotto la Uscendo dalla Cappella dei Tesoro e prosecupola conica. guendo a destra, si incontrano: la Cappella LA CAPPELLA DELLA TOMBA DI SANT'ANTOpolacca o di san Stanislao (+ 1079), vescovo e NIO martire, patrono della Polonia; di seguito la La tomba del Santo è stata chiamata fin dagli Cappella austroungarica o di san Leopoldo inizi anche "Arca". In questa cappella, sotto la (1075-1136), margravio e patrono d'Austria; mensa dell'altare e ad altezza d'uomo, c'è la segue la Cappella di san Francesco; e infine la tomba del Santo, qui collocata dopo essere Cappella di san Giuseppe. stata dal 1231 al 1263 nella chiesetta Santa LA CAPPELLA DELLA MADONNA MORA Maria Mater Domini (oggi Cappella della MaUn po' più avanti, sempre sulla destra, si en- donna Mora) e dal 1263 al 1310 nel centro tra nella Cappella della Madonna Mora. della Basilica, di fronte al presbiterio, sotto Ci troviamo nell'ambiente dell'antica chieset- l'attuale cupola conica; incerta invece rimane ta di Santa Maria Mater Domini (fine secolo la collocazione della tomba dal 1310 al 1350 XII-inizio XIII) inglobata nell'attuale Basilica. (che può essere stata anche l'attuale). Dal Qui di certo ha pregato sant'Antonio e qui 1350 è sempre rimasta in questa cappella. desiderava essere portato nell'approssimarsi Fino agli inizi del Cinquecento lo stile con cui della sua morte. In essa è poi stato sepolto era ornata la cappella era quello gotico, con fino al 1263. affreschi di Stefano da Ferrara, lo stesso della La statua della Madonna Mora che domina Madonna del Pilastro. l'altare è stata realizzata nel 1396 da Rainaldi- L'arredo attuale, cinquecentesco, notevolno di Puy-l' Evéque, un artista guascone. I mente unitario dal punto di vista architettonipadovani l'hanno chiamata "Madonna Mora" co e scultoreo, sembra doversi attribuire a Trieste, …. nell’anno della fede

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Tullio Lombardo. L'altare è piuttosto invadente, ma l'artista Tiziano Aspetti (che lo realizzò verso la fine dei Cinquecento) era condizionato dall'altezza difficilmente modificabile della tomba, di certo precedente. Le statue sull'altare (sant'Antonio tra san Bonaventura e san Ludovico d'Angiò) sono dello stesso artista, mentre altri bronzisti hanno realizzato gli Angeli portacero, il cancelletto e i due piccoli candelabri. Quelli più grandi e slanciati, su supporti d'angeli in marmo, sono invece creazione secentesca di Filippo Parodi. Altorilievi che accompagnano l'itinerario intorno alla tomba. - Con un po' di attenzione e di buon senso si può armonizzare, per chi lo desidera, una sosta di raccoglimento presso la tomba del Santo con uno sguardo sommario ai nove altorilievi che la cappella ci propone. 1. Sant'Antonio riceve l'abito francescano. Opera di Antonio Minello (1517). 2. Il marito geloso, la cui moglie, pugnalata per gelosia, viene risanata dal Santo. Il lavoro, iniziato da Giovanni Rubino (detto il Dentone), fu portato a termine da Silvio Cosini (1536). 3. Il giovane risuscitato dal Santo. Il Santo, prodigiosamente trasferitosi in Portogallo, risuscita un giovane perché riveli l'identità dei suo vero assassino così da scagionare il padre di Antonio, nel cui orto il cadavere era stato occultato. Iniziato da Danese Cattaneo, fu ultimato da Girolamo Campagna (1573). 4. La giovane risuscitata. Si tratta di una ragazza annegata, risuscitata dal Santo, che nella rappresentazione non compare anche se in alto si vede la sua Basilica. È opera di Jacopo Sansovino (1563). Realizzazione ben calibrata e intensamente vigorosa. 5. Il bambino risuscitato. Si tratta del nipotino di sant'Antonio. Opera di Antonio Minello con ritocchi del Sansovino (1536). 6. Il cuore dell'usuraio defunto non viene trovato dove doveva essere, ma nel suo Trieste, … nell’anno della fede

forziere, come il Santo aveva sostenuto. Opera di Tullio Lombardo (1525). 7. Sant'Antonio riattacca il piede a un giovane, che per disperazione se l'era troncato dopo aver dato un calcio alla madre. Evidente la mano di Tullio Lombardo (1504). 8. Il bicchiere rimasto intatto, dopo essere stato scagliato a terra per sfida da uno

che non credeva nella predicazione e nei prodigi operati da sant'Antonio. Iniziato da Giovanni Maria Mosca, fu portato a termine da Paolo Stella (1529). 9. Sant'Antonio fa parlare un neonato, perché attesti la fedeltà della madre, ingiustamente sospettata dal marito geloso. Opera di Antonio Lombardo (1505), fratello di Tullio. IL COMPLESSO CORO-PRESBITERIO Per visitare questo settore della Basilica è necessario rivolgersi a uno dei custodi. La decorazione della parte absidale della Basilica. La decorazione pittorica che ricopre la parte absidale della Basilica è stata realizzata dal bolognese Achille Casanova e aiuti tra il 1903 e il 1939, secondo un ampio progetto iconografico che non è il caso di presentare. L'intervento è stato molto criticato, perché troppo scolastico e disturba le pure linee architettoniche, che avrebbe dovuto invece accompagnare con semplicità e discrezione. Ma sarebbe riduttivo vedere soltanto ciò. L'opera ha in effetti qualcosa di grandioso ed è certo unica. Quando la Basilica è debitamente illuminata, si resta affascinati da una

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viva e avvolgente emozione In basso, il coro: con tale termine si intende sia l'ambiente retrostante l'altare maggiore sia l'insieme degli stalli in cui sostano i religiosi per la celebrazione della "Liturgia delle ore", che è la preghiera ufficiale della Chiesa per il mondo, e durante la quale non manca mai il ricordo di quanti si raccomandano alle preghiere dei frati. Fino al 1649 il coro si trovava davanti all'attuale altare, nel presbiterio. Così era fino al concilio di Trento nella gran parte delle chiese che avevano il coro, come si può vedere tuttora particolarmente nelle chiese anglicane; poi gradualmente il coro è stato trasportato dietro l'altare per consentire ai fedeli di vedere meglio l'altare e di seguire con maggiore attenzione la liturgia. Gli attuali stalli dei coro della Basilica risalgono al secondo Settecento. I precedenti, capolavoro gotico dei fratelli Lorenzo e Cristoforo Canozzi e aiuti (1462-69), furono distrutti dall'incendio del 1749. Il candelabro pasquale: capolavoro di Andrea Briosco. A nord dell'altare si può osservare il superbo candelabro pasquale in bronzo di Andrea Briosco, detto il Riccio, terminato nel 1515. Non solo per dimensioni (m 3,92 più 1,44 di basamento marmoreo) ma anche per complessità e livello di fattura esso è uno dei massimi candelabri dell'Occidente cristiano. IL COMPLESSO DONATELLIANO: una grandiosa sinfonia della vita e della fede. - Concludiamo la visita della Basilica, osservando alcune delle trenta opere che il grande Donatello ha creato a Padova, dal 1444 al 1450, e che costituiscono uno degli eventi fondamentali del rinascimento e dell'arte non solo italiana. LA DEPOSIZIONE. - L'opera (si trova nel retro dell'altare maggiore) è in pietra di Nanto (Colli Berici, Vicenza). Quattro discepoli, tesi dal dolore, adagiano il nudo inerte corpo di Cristo nel sepolcro. Dietro esplode lo strazio Trieste, …. nell’anno della fede

delle donne. Nel centro la Maddalena: più delle altre 43 donne ella esprime l'orrore di essere rimasta sola, nella memoria del suo peccato. E, nella rivelazione cristiana, il peccato è la causa profonda della morte. Il miracolo della mula (a sinistra, piuttosto in alto, sempre nel retro dell'altare). L'artista situa il noto episodio nella grandiosità di una Basilica, davanti all'altare. Gli studiosi, e non solo loro, continuano a stupirsi di fronte alla magia donatelliana che sa dare a spazi ridotti ampiezza e profondità inattese, utilizzando linee, decorazioni e materiali di vario colore. Lo sguardo scende dalle volte laterali, dilatandosi nello scorrere delle linee trasversali, e come un'onda raccoglie le due masse di uomini e le spinge verso l'altare. Qui, di fronte all'acceso diffondersi della luce si avverte la serena calma della presenza di Dio: lo rivelano la santità e la fede di Antonio da una parte e la voce silenziosa della natura dall'altra. La scoperta della presenza di Dio si riflette nelle risonanze individuali dei presenti: una sola umanità agitata e ansiosa di Dio, un frantumarsi di reazioni... Donatello, come tutti i grandi geni, trascende la cultura dei suo tempo e ci appare quanto mai moderno. Come si può vedere, il rilievo molto basso riduce in prospettiva il volume dei corpi, che vengono appiattiti e dilatati acquistando così un suggestivo valore pittorico. Questa tecnica, nella quale il Donatello è stato maestro, è chiamata con il termine toscano (stiacciato", che vuol dire "schiacciato". Sulla destra del controaltare, l'artista presenta Sant'Antonio che fa parlare un neonato (perché attesti la fedeltà della madre, ingiustamente sospettata dal marito). In basso a destra: il bue (alato e nimbato per indicare che è il simbolo di un santo, nel caso dell'evangelista san Luca); a sinistra: il leone (simbolo di san Marco). L'ALTARE MAGGIORE. Quello che ora vedia-

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mo fu realizzato nel 1895 da Camillo Boito (fratello dei musicista Arrigo) ed è l'ultimo fra i diversi altari innalzati in Basilica nel corso dei secoli. Queste variazioni sono dovute al mutare della sensibilità e della prassi liturgica. In quello attuale sono stati radunati tutti i capolavori del Donatello, che prima erano sparsi in altri posti della Basilica. Eccoli di seguito descritti ad uno ad uno. I 14 PICCOLI ANGELI E IL COMPIANTO DI GESÙ. In basso, lungo il lato frontale e i lati laterali dell'altare, sono stati collocati 10 originalissimi angeli musicanti (in dieci formelle) e 4 angeli cantori (in due formelle, quelle ai lati del Cristo morto). Benché non manchi in essi qualcosa di goffo, come del resto nell'arte dei tempo non ancora matura nella rappresentazione del bambino, questi putti suscitano in noi un'immediata simpatia per l'impegno tutto infantile con cui vivono la loro parte. Al centro il Compianto di Gesù morto: una pagina di commovente tenerezza. La porticina dei Tabemacolo presenta Cristo morto assiso sul sepolcro (dei 1496: non si conosce lo scultore). Ai lati: alla nostra sinistra, Sant'Antonio riattacca il piede ad un giovane (che se l'era mozzato per disperazione dopo aver dato un calcio alla madre); a destra, Il cuore dell'usuraio (che non viene trovato dal chirurgo nel petto dell'usuraio, ma nel suo forziere). • Santa Giustina e san Daniele. - Più in su, sopra l'altare, alla nostra sinistra: Santa Giustina (giovane martire padovana, il cui culto è attestato fin dal V secolo e alla quale è dedicata la grandiosa Basilica nel vicino Prato della Valle); a destra, San Daniele (giovane diacono di Padova, martire agli inizi dei IV secolo e i cui resti riposano nel Duomo). • L'altare estende ai lati due ali più basse Trieste, … nell’anno della fede

sulle quali, alla nostra sinistra, si ha: sotto, l'angelo (simbolo di san Matteo) e, sopra, San Ludovico; alla nostra destra: sotto, l'aquila (simbolo di san Giovanni evangelista) e, sopra, San Prosdocimo. • San Ludovico d'Angiò San Ludovico d'Angiò e San Prosdocimo. San Ludovico (127 - 497), figlio di Carlo Il d'Angiò, re di Napoli: rifiutò la successione e, prima di accettare di essere vescovo di Tolosa, volle passare attraverso l'esperienza francescana. Le sue scelte suscitarono una vasta impressione. Morì a 23 anni. • San Prosdocimo (seconda metà del III secolo) è il fondatore e il primo vescovo della città di Padova. La sua tarda età è stata confermata dalla recente ricognizione delle ossa, che riposano nella Basilica di Santa Giustina. • San Francesco e sant'Antonio. - Ai lati della Madonna Donatello ci presenta san Francesco e sant'Antonio, grandi protagonisti della vita religiosa e culturale del Duecento. • La Vergine e il Figlio. Il tema centrale di tutta la sinfonia donatelliana. La Madonna è giovanissima, anch'essa in varie parti incompiuta: appena uscita dall'opera del fonditore, ha la freschezza della prima creazione. Ci impressiona tanta bellezza unita a tanta fissità di dolorosi pensieri. Ci ricorda certa statuaria antica, ma qui c'è anche il moto della vita e della storia. • Il Crocifisso. - Dietro la statua della Vergine s'innalza e domina lo spazio il Crocifisso. Come lasciano intuire le proporzioni, esso non è stato realizzato dal Donatello per l'altare, ma per essere collocato nel mezzo della chiesa. Lo si osservi dal basso. Il chiodo gonfia e increspa le vene trasversali del piede destro.

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L'occhio scorre con dolore lungo le gambe inarcate e spostate a destra, ma non ancora irrigidite. Impressionanti, specie se colpiti dalla luce, il ventre e il petto, che lasciano intravedere lo scheletro. Le braccia sono percorse dal fremito ancora vivo delle vene e dei nervi. Il volto è quello di un eroe che fonde bellezza e coraggio. SACRESTIA La sacrestia è preceduta da un atrio adorno di pregevoli affreschi. Sono attribuibili a un seguace di Girolamo Tessari (detto anche Dal Santo). Rappresentano due miracoli: sant'Antonio predica ai pesci e il bicchiere scagliato a terra rimane intatto (entrambi dei 1528). Nella lunetta sopra la porta murata, bell'affresco della metà dei '200: Vergine coi Bambino tra i santi Francesco e Antonio. Entrati nella luminosa sacrestia, si ammiri subito la volta tutta ravvivata dagli affreschi di Pietro Liberi che cantano, con estro e sbrigliata fantasia, la gloria di sant'Antonio (1665). Sulla destra dopo l'entrata, la parete è occupata da un grande armadio a muro, opera di Bartolomeo Bellano (1469-1472). Le dieci tarsie che lo illuminano sono di Lorenzo Canozzi (1474-1477); rappresentano (da sinistra): i santi Bernardino e Girolamo, Francesco e Antonio, Ludovico d'Angiò e Bonaventura; nei pannelli sottostanti, nature morte con Iibri e oggetti liturgici. Sulle altre pareti, tele a olio di Francesco Suman (1847). Attraversata una stretta saletta, si scende nell'ariosa sala dei capitolo (si chiamano capitoli le riunioni ufficiali dei frati). Originariamente era decorata con un ciclo d'affreschi attribuiti a Giotto. Purtroppo ora ne rimangono pochi resti. BASILICA DI SANTA GIUSTINA STORIA Nel tempo in cui la Patavium romana era nel suo massimo splendore, nella zona in cui ancora oggi sorge la Basilica e il Monastero di S. Giustina, c’era uno o più sepolcreti dell’aristocrazia pagana e un cimitero cristiano. Qui il 7 ottobre del 304 fu deposto il corTrieste, …. nell’anno della fede

po della giovane Giustina, messa a morte perché cristiana, per sentenza dell’Imperatore Massimiano, allora di passaggio a Padova. Poco dopo il 520, ad opera di Opilione, prefetto del pretorio e patrizio, sorse la prima Basilica con l’attiguo Oratorio, decorata di marmi preziosi e di mosaici. Se ne ha una descrizione nel 565 in Vita S. Martini, Libro IV, 672-670, di Venanzio Fortunato. La Basilica cimiteriale oltre alle spoglie della Patrona della città e diocesi, fu arricchita di corpi e reliquie di molti santi, luogo di sepoltura prescelto dai vescovi. Divenne così, già nel secolo VI, meta di pellegrinaggi dal momento che il culto di S. Giustina era ormai diffuso nelle zone adiacenti al litorale adriatico. Bisogna risalire al 971 per avere notizie certe circa la presenza dei monaci benedettini

neri a S. Giustina, e questo per merito del Vescovo di Padova Gauslino, il quale col consenso del suo Capitolo ristabilì un monastero sotto la Regola di S. Benedetto, dotandolo di beni territoriali, di chiese e cappelle in città e in campagna. Iniziò così lo sviluppo progressivo operato dai monaci, che tanti benefici

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apportarono a tutto l’agro padovano con le bonifiche terriere che trasformarono le immense paludi e le sterminate boscaglie in distese di fertilissime campagne. ARTE SANTA GIUSTINA Illustre per natali, ma più ancora per il suo cristianesimo, la sua mente pura seppe conseguire la palma di altissima vittoria, il martirio. Trovandosi a Padova sua patria, vi sopraggiunse il crudele imperatore Massimiano, il quale nel Campo Marzio istituì un tribunale per uccidere i Santi di Dio. La beatissima Giustina mentre si affrettava a visitare i servi di Dio, fu sorpresa dai soldati presso Pontecorvo e portata al cospetto di Massimiano. Dopo una serie di domande sprezzanti circa la sua fede cristiana, e l’invito con minacce a sacrificare al grande dio Marte, di fronte alla costanza e alla fermezza della sua fede in Cristo, il crudele imperatore, preso da ira, emanò la sentenza: “Giustina, afferma di rimanere vincolata alla religione cristiana; e non intende obbedire alle nostre ingiunzioni, comandiamo che sia uccisa di spada.” Ciò udendo, la beata Giustina esclamò: “Ti rendo grazie, Signore Gesù Cristo, che ti sei degnato di

venerabile sua passione, deposero il suo corpo nel cimitero appena fuori Padova, dove attualmente sorge l’Abbazia. (Passio S. Justinae Virginis et Martiris, sec.VI). LA BASILICA DI SANTA GIUSTINA È uno degli esemplari più grandiosi e geniali di libera e ragionata traduzione in stile del tardo Rinascimento, della grande architettura imperiale romana. Nelle varie campate della navata e delle crociere si ripete un unico motivo: una cupola, insiste mediante pennacchi su un quadrato di quattro arconi a tutto sesto, i quali si scaricano sui sostegni verticali. Un apporto prettamente veneto è dato alla nostra chiesa dalla molteplicità delle cupole esterne. Un influsso bramantesco permane, forse derivante dal primo progetto del 1501, nelle finestre delle absidi e nei grandi occhi delle navate e della crociera. Gli autori di questo capolavoro che è la Basilica di S. Giustina, sono Andrea Briosco (1517), il cui progetto fu successivamente modificato da Matteo da Valle (1520).

Santa Giustina rivela un architetto di tanta genialità, da ideare un edificio di smisurata mole e di inusitata architettura, di tanta scienza ed esperienza, da affrontare e risolvere a perfezione i difficilissimi problemi di statica, di proporzioni, di prospettiva. Chi sia questo ignoto fino ad oggi non è dato saperlo. IL CAMPANILE La parte inferiore, fino alla cornice più bassa, è il campanile antico (secolo XII). Esso constava di una canna cieca a pianta quadrata (sette metri di lato), rafforzata su ciascuna fascia da due lesene a doppia ghiera, continue dall’alto ascrivere nel tuo libro la tua martire. (…) acal basso e legate in alto da doppia corona cogli la tua ancella nel grembo tuo, che siedi d’archetti, sopra la quale era la cella campanel trono, mia luce, perla preziosa, che sem- naria, con una bifora per lato; era sormontata pre ho amato.” da una cuspide. Finita la preghiera, piegate a terra le ginocNel 1599, poiché la mole della nuova chiesa chia, il sicario le immerse la spada nel fianco. impediva alla città di sentir le campane, la Così trafitta, fattosi il segno della santa croce, vecchia torre fu raddoppiata d’altezza, murando le bifore, togliendo la cuspide, riemserenamente spirò. Era il 7 ottobre 304. I piendo i vuoti fra le lesene. L’aggiunta è una cristiani vedendo l’ardore della sua fede e la Trieste, … nell’anno della fede

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bella costruzione, che porta il campanile a circa 82 metri di altezza. Sostiene 7 campane (la più grossa pesa 2 tonnellate e mezzo) del secolo XVIII, le quali, benché fuse in anni diversi e da diversi maestri, formano un magnifico e armonioso concerto, il più bello di Padova. Dal campanile, guardando la Basilica, sulla cupola centrale si ammira la statua di rame di S. Giustina in atto di proteggere la città. Sulle quattro cupolette: statue (in lamina di piombo) dei Santi Prosdocimo, Benedetto, Arnaldo, Daniele diacono. L’INTERNO Magnifico nella sua austera nudità, solenne ma accogliente, poderoso e slanciato, grandioso eppure raccolto, armoniosissimo nelle perfette proporzioni, nell’equilibrio tra pieni e vuoti, nella lieta, diffusa e ricca luminosità. E’ il trionfo della volta e dell’architettura di massa, alla quale è affidato tutto l’effetto. Pur vincolato da precedenti lavori lasciati incompleti, per combinazione di due schemi architettonici diversi, presenta perfetta unità, e pare opera di primo getto. Nel progetto dovevano apparire visibili all’esterno ben sette cupole grandi e quattro piccole, è invece probabile che all’interno tutte (salvo quella centrale) dovessero essere semplici catini: tali son restati nel braccio lungo della navata maggiore; quelle della crociera e del presbiterio furono «aperte» circa il 1605 per consiglio di Vincenzo Scamozzi, per migliorare l’acustica, che divenne, così, perfetta. La cupola di mezzo fu fatta negli anni tra il 1597 e il 1600; le quattro piccole furono «aperte» anche più tardi di quelle grandi. Trieste, …. nell’anno della fede

Il bel pavimento fu iniziato circa nel 1608 e finito nel 1615; è di marmo di Verona giallo e rosso, e pietra di paragone. Vi sono inseriti, specialmente nei tratti longitudinali fra i pilastri, molti pezzi di marmo greco appartenenti all’antica basilica di Opilione. Nel mezzo della navata, ammiriamo lo stupendo Crocifisso ligneo (secolo XV). Mirabile la testa per bellezza di tratti ed efficacia di espressione. LE CAPPELLE A destra e a sinistra delle navate laterali si dispiegano venti cappelle, dieci da una parte e dieci dall’altra: San Paolo, S. Gertrude, S. Gerardo, S. Scolastica, S. Benedetto, i SS. Innocenti, S. Urio, S. Mattia, S. Massimo, La Pietà, il Santissimo, Beato Arnaldo da Limena, S. Luca, S. Felicita, S. Giuliano, S. Mauro, S. Placido, S. Daniele, S. Gregorio, S. Giacomo. In ciascuna delle cappelle sono custodite preziose tele di Palma il Giovane, Luca Giordano (1676), Sebastiano Ricci (1700), Benedetto Caliari (1589), Antonio Zanchi (1677), Valentino Le Fevre (1673), Giovanni Battista Maganza (1616), Claudio Ridolfi (1616), Carlo Loth (1678). Scultori come Francesco De Surdis (1562), Bartolomeo Bellano (Sec. XV), Filippo Parodi 1689) hanno contribuito ad arricchire i singoli altari. Ognuna di queste cappelle ha in comune con quella di fronte, l’architettura dell’altare, la qualità dei marmi, i disegni della vetrata e spesso quello del pavimento. Belle le decorazioni a stucco delle volte. Meritevole di particolare interesse è l’altare del Santissimo, che dal 1562 al 1674 accolse i Corpi dei SS. Innocenti; permutati titolo e ufficio con quella primitiva del SS.mo, fu trasformata con armoniosa inserzione del barocco nell’architettura del rinascimento. L’altare, bellissimo esemplare di barocco veneziano, è opera di Giuseppe Sardi (1674), che in perfetta unità di composizione vi pose il grande e bel tabernacolo ideato da Lorenzo Bedoni (1656) ed eseguito da Pier Paolo Corberelli (1656) per la primitiva cappella del SS.mo. Le sei statuine di bronzo sul tabernacolo sono

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di Carlo Trabucco (1697); i putti del basamento del tabernacolo, di Michele Fabris (1674), i due grandi e begli angeli, di Giusto Le Court (1675), le altre sculture, di Alessandro Tremignon (1675), i mosaici del paliotto (i più belli di tutta la Basilica), di Antonio Corberelli (1675). Nel catino dell’abside: l’Eterno Padre circondato dagli Angeli; nella volta della cappella: il SS.mo Sacramento adorato dagli Apostoli: ambedue belle pitture a fresco di Sebastiano Ricci (1700). S. LUCA EVANGELISTA Non era, come molti credono, uno dei dodici apostoli scelti da Gesù; venne invece citato e lodato più volte da S. Paolo come suo fedele collaboratore nei viaggi che fece per evangelizzare le genti. Luca scrisse il Vangelo che da lui prese il nome, e gli Atti degli Apostoli. Fonti antiche parlano della sua professione di medico ed una tradizione assai diffusa lo presenta anche pittore del volto di Cristo e soprattutto della Madonna. Tra le icone “lucane” una è la Madonna Costantinopolitana (XI-XII sec.). S. Luca è festeggiato sia dalla Chiesa Cattolica che da quelle Ortodosse il 18 ottobre. Il sarcofago di S. Luca è un’opera preziosa di scuola pisana (1313), fatta a cura dell’abate Mussato, gli specchi sono di alabastro orientale; il telaio che li inquadra, di porfido verde: due colonne di granito orientale, due di alabastro. Notare il sostegno centrale formato da quattro angeli, di marmo greco. Le figure dei riquadri sono così ordinate: sul lato minore verso il Vangelo, l’effigie di S. Luca, centro di tutta la composizione; sui due lati, nello stesso ordine: due angeli che portano torce, due angeli turiferari, due buoi (il bue è il simbolo biblico di S. Luca); sulla testata opposta è ripetuto il simbolo dell’Evangelista. Secondo una antica tradizione l’evangelista Luca, origiTrieste, … nell’anno della fede

nario di Antiochia di Siria e morto in tarda età (84 anni), sarebbe stato sepolto nella città di Tebe. Da lì le sue ossa furono trasportate a Costantinopoli dopo la metà del IV sec. e da qui nel corso dello stesso secolo o dell’VIII , trasportato a Padova nel Monastero di Santa Giustina. I monaci benedettini insediatisi nel nostro Monastero prima del 1000 iniziarono a venerare le spoglie dell’Evangelista. Nel 1354, l’imperatore Carlo IV di Lussemburgo, re di Boemia, si fece consegnare il cranio che finì nella cattedrale di San Vito a Praga dove si trova ancora oggi. Nel 1436 fu affidata al pittore Giovanni Storlato l’incarico di rappresentare, sulle pareti della cappella dedicata al santo, una serie di scene che ne narrano la vita, il trasferimento delle reliquie dall’Oriente e il suo ritrovamento a Padova. Un secolo più tardi, nel 1562, si trasferì l’arca marmorea nel braccio sinistro del transetto, nell’attuale Basilica. All’approssimarsi del Grande Giubileo del 2000 il Vescovo di Padova, anche per motivi ecumenici, nominò una commissione di esperti per avviare una ricognizione scientifica delle reliquie di San Luca. Il 17/9/1998 fu aperto il sarcofago e si trovò in una cassa di piombo sigillata uno scheletro umano in buono stato di conservazione. I risultati definitivi delle indagini sono stati presentati nel Congresso Internazionale, svoltosi a Padova nell’ottobre dell’anno 2000. I dati scientifici – come è stato affermato al termine di quelle giornate, non smentiscono la tradizionale attribuzione a S. Luca delle spoglie; si pongono piuttosto come dati precisi, complementari alle fonti scritte, attorno a cui l’indagine storica potrà muoversi con maggiore sicurezza, soprattutto per chiarire come, quando e perché sia avvenuta la traslazione del corpo da Costantinopoli a Padova

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LA MADONNA COSTANTINOPOLITANA In alto, sul Sarcofago di San Luca si ammira la copia cinquecentesca della «Madonna Costantinopolitana»: bella la pittura e bella la lastra di rame sbalzato e dorato che inquadra i due volti. La cornice di bronzo e i due Angeli in volo di Amleto Sartori (1960). Del medesimo sono gli otto bracci portalampade di bronzo attorno all’abside (1961), e il disegno del piccolo coro. I documenti in nostro possesso segnalano la presenza della Immagine della Madonna Costantinopolitana nel Monastero di Santa Giustina a partire dal XII secolo e divenne oggetto di viva devozione popolare. Secondo alcuni studiosi sarebbe l’immagine mariana più antica che si conosca a Padova, di stile nettamente bizantino, venerata e invocata dai padovani come la Salus Populi Patavini. L’icona si presenta gravemente compromessa, tranne parte del volto della Madonna e del Bambino. La tavola è danneggiata da evidenti bruciature, che non è dato sapere se provocate da un incendio fortuito o dagli iconoclasti. La provenienza è certamente da Costantinopoli. Nel Cinquecento a un pittore venne affidata la trascrizione del volto della Madonna e del Bambino su cuoio e tutto il resto fu rivestito da una rizza d’argento dorato e sbalzato con le figure della Vergine e del Bambino. Dietro questa nuova immagine, come in una teca, fu conservata l’icona antica. Mentre il Monastero subiva le trasformazioni dell’occupazione napoleonica, la Chiesa divenne Parrocchia amministrata dal clero diocesano. Il 23 maggio 1909 Mons. Andrea Panzoni promosse l’incoronazione solenne dell’Icona costantinopolitana. Egli intendeva così contribuire alla maggiore valorizzazione del tempio che proprio in quell’anno fu elevato alla dignità di Basilica Minore Romana da Pio X. Nello stesso anno, un primo contingente di monaci, proveniente da Praglia, ritornò nel monastero dopo oltre un secolo dalla soppressione napoleonica e riprese il culto e la venerazione alla Madonna Costantinopolitana secondo la più antica tradizione. Trieste, …. nell’anno della fede

Ancor oggi, il 23 maggio,- giorno anniversario della sua incoronazione si svolge una solenne e suggestiva processione cittadina in Prato della Valle. Nel 1959 si separò l’icona vera e propria dalla riza di argento dorato e sbalzato che la proteggeva anteriormente. La riza ha trovato la sua collocazione definitiva in Basilica nel braccio del transetto di S. Luca, sorretta da due angeli (opera di Amleto Sartori, 1960). I volti della Vergine e del Bambino Gesù, dipinti su tela, sono attribuiti a Moretto da Brescia (terzo decennio del XVI sec.). La tavola di legno sottostante fu affidata al restauro del prof. Lazzarin che sotto una patina di resina bruciacchiata scoprì alcuni frammenti di pittura originale. Al termine del restauro venne custodita e venerata nella Cappella interna del Monastero. La tradizione che la vuole salvata da Costantinopoli al tempo della persecuzione iconoclasta nell’VIII sec. non regge alla critica storica:fu giudicata del XII sec. circa dal prof. Lorenzoni per alcune caratteristiche stilistiche delle aureole e del mento della Vergine. IL PRESBITERIO E L’ALTARE MAGGIORE In origine, secondo l’uso tradizionale, la situazione era inversa: l’altare era in fondo, sotto il quadro (che posava circa due metri più in basso); il coro era dove è ora il presbiterio, e il lato minore volgeva le spalle al popolo, come ora le volge all’abside. La situazione attuale è del 1623; l’inversione, diede al popolo la visibilità delle sacre funzioni. La scalinata d’accesso e le balaustre sono di Francesco Contini, 1630. Nei pilastri, all’ingresso del presbiterio, a destra ammiriamo il busto del patrizio Vitaliano; a sinistra, il busto del patrizio Opilione, opere ambedue di Giovanni Francesco De Surdis (1561). L’Altare Maggiore, bellissimo e semplicissimo (1640) progettato da Giovan Battista Nigetti; il ricchissimo mosaico intarsiato è di Pier Paolo Corberelli. L’altare racchiude il Corpo di S. Giustina. Ai lati si ammirano due residenze di noce, opera magnifica di Riccardo Taurigny (15641572): S. Pietro riceve dal Signore le chiavi –

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battezza Cornelio centurione – il castigo di Anania e Saffira e la Conversione di S. Paolo, la sua predicazione e la sua cattura. I parapetti delle cantorìe sono opera di Ambrogio Dusi, 1653. Gli organi attuali (quattro: uno a destra, due a sinistra, l’altro dietro all’ancona) sono opera della Ditta Pugina (1928). Le canne dell’organo attuale di sinistra sono in parte quelle del Nachich e del Callido, che restarono dalla distruzione operata da un fulmine nel 1927. A sinistra dell’altare: candelabro bronzeo per il cero pasquale di Arrigo Minerbi (1953). IL CORO GRANDE Il «Coro Maggiore»: uno dei più belli del mondo; ammirevoli: la maestà dell’insieme, dominato dall’immensa ancona dorata; l’adattamento perfetto dell’opera all’ambiente; la euritmia fra i due ordini di stalli, superiore e inferiore, e fra questi e il dossale; l’eleganza e perfezione degli ornati (per esempio, si osservi di scorcio la serie delle cariatidi sorreggenti i braccioli degli stalli; si noti l’elegantissimo dossale, col colonnato di squisite proporzioni, la trabeazione col bellissimo fregio, i bei putti sovrapposti, ognuno in una posa diversa; la varietà e la finezza dei fregi sparsi dovunque). Di grande effetto gli specchi del dossale, con le figure scolpite in pieno rilievo. arte-9-2L’autore è Riccardo Taurigny, cui si deve non soltanto l’esecuzione, ma anche il disegno dell’opera, che durò dall’ottobre 1558 al luglio 1566. L’artista era di Rouen in Normandia: nel lavoro fu aiutato da dieci carpentieri e dall’artista Giovanni Manetti. Gli stalli sono 88; la materia, il legno, di noce, ben conservato. Il tema delle figurazioni, elaborato da Eutizio Cordes monaco di S. Giustina e dottissimo teologo, si può enunciare così: «L’opera redentrice di Gesù Cristo prefigurata nel Vecchio Testamento, attuata nella sua vita, appliTrieste, … nell’anno della fede

cata all’umanità». A ciascuno dei fatti della vita terrena di N. S. Gesù Cristo (la Redenzione in atto) rappresentati nei grandi specchi del dossale, corrisponde, in bassorilievo negli schienali degli stalli superiori, un fatto dell’Antico Testamento che è la figura profetica dell’altro; mentre gli schienali degli stalli inferiori portano bassorilievi allusivi: ai Sacramenti, che ci applicano la Grazia della redenzione; ai doni dello Spirito Santo, che ci fanno agire secondo la Grazia, alle virtù che la Grazia produce, ai vizi che la Grazia estingue. I banditori della Redenzione sono rappresentati nelle statuine sedute poste sull’inginocchiatoio: due profeti dell’A. T.; i quattro evangelisti; i quattro massimi dottori della Chiesa Latina e si aggiungono, i due titolari della basilica: S. Giustina e S. Prosdocimo. Questo coro è un esempio dei più grandiosi e completi, di quei cicli figurativi storici e simbolici che il Medioevo ebbe giustamente cari ad istruire nel dogma e nella morale cristiana. Il leggìo col cassone sottoposto è opera anch’esso di Riccardo Taurigny (agosto 1566 – luglio 1572); vi sono raffigurati la vita e il martirio di S. Giustina. Nel cassone e in sagrestia si conservavano preziose collezioni di libri corali egregiamente decorati da illustri miniatori dei secoli XV e XVI. Ne resta oggi solo qualche malandato avanzo (cinque volumi in monastero, altri al Museo Civico). Il bel pavimento è del sec. XVI. n fondo al coro: il Martirio di S. Giustina: bella opera di Paolo Veronese (1575, firmata); la sua più grande pala d’altare. La cornice nobilissima, forse disegno di Michele Sanmicheli, fu scolpita da Giovanni Manetti, allievo e aiuto del Taurigny: è tutta dorata ad oro di zecchino. Sotto il quadro: bella porta in pietra; nella disposizione originaria chiudeva

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verso il popolo, in cima alla gradinata. Nei pilastri sotto le finestre: a destra: David vincitore di Golia; a sinistra: Sansone (sec. XVII). In origine, da questi pilastri sporgevano gli amboni per l’Epistola e il Vangelo, come fu uso costante nella Congregazione di S. Giustina fino a tutto il sec. XVI. Lunette delle arcate piccole: a destra: Giaele uccide Sisara: tela di Pietro Ricchi (1672); Nadab e Abiud puniti per aver usato fuoco profano: Giovan Francesco Cassana (1672). A sinistra: Lotta di Giacobbe con l’Angelo: Pietro Ricchi; Abramo riceve i tre Angeli: Giovan Francesco Cassana. Sotto il presbiterio e il coro si stende una bella e spaziosa Cripta (1562), la cui volta è un capolavoro di statica per la piccolezza della monta rispetto alla corda (m. 2,60 su m.14). Da osservare, incorniciato da una nicchia del muro di fondo, il fonte battesimale di bronzo (Milani, 1964). CORRIDOIO DEI MARTIRI Costruito nel 1564 per unire la Cappella di S. Prosdocimo con la chiesa attuale, è un ambiente di piacevoli proporzioni, con buone decorazioni contemporanee. Qui si può vedere dentro una gabbia medioevale di ferro, la cassa di legno che custodì per qualche tempo (forse dal 1177 al 1316) il corpo di S. Luca Evangelista. Nel mezzo il bel pozzo (1565), adorno di eleganti decorazioni in niello, sotto il quale, su un tratto di pavimento in mosaico della Basilica Opilioniana, posa il primitivo pozzo del sec. XIII, contenente le ossa dei Ss. Martiri. Sulla destra, sotto vetro è visibile un lacerto di pavimento a mosaico della Basilica paleocristiana (Sec. V- VI) Sopra il pozzo dei Martiri: pitture della cupola: di Giacomo Ceruti (1750 circa). In fondo, sull’altare: Il ritrovamento del pozzo dei Martiri, con la miracolosa accensione delle 12 candeline: bella tela di Pietro Damini (1592-1631), piena di ritratti. Scendendo: il muro a destra è un tratto del fianco meridionale della chiesa medioevale riedificato sulla corrispondente parete della Basilica Opilioniana. Le due bifore sono ricoTrieste, …. nell’anno della fede

struzioni (1923) su tenui tracce di due imposte di archi.Porta che immette nella cappella di S. Prosdocimo (1564). Ai lati: statue dei Ss. Pietro e Paolo, di Francesco Segala. Sono due delle undici statue eseguite da lui in terracotta (1564) per la nuova decorazione della cappella di S. Prosdocimo; sono oggi conservate nella Sala rossa all’interno del Monastero. Sopra la porta, ai lati dell’iscrizione: il pellicano, la fenice: calchi di finissimi bassorilievi in marmo greco del sec. XVI. Gli originali furono tolti di qui per permettere la visione delle belle sculture del sec. XIII o XIV, che portavano nel retro. Oggi sono visibili nell’atrio della Sacrestia. SAN PROSDOCIMO E IL SACELLO Prosdocimo, verosimilmente primo vescovo della chiesa padovana (sec. III-IV), è rappresentato in una «imago clipeata» di marmo (inizi del sec. VI), riscoperta durante la ricognizione della sua salma nell’omonimo oratorio in S. Giustina (1957). Il suo culto e la devozione è confermata anche fuori del territorio padovano prima del Mille . L’iconografia lo presenta con il pastorale e l’ampolla dell’acqua battesimale in mano: simboli della sua missione pastorale in città e in diocesi. L’antica liturgia ne celebra la fedeltà al Vangelo e all’insegnamento degli Apostoli. Il Sacello è un cimelio di arte paleocristiana, preziosissimo per l’antichità, la completezza, le rarissime opere d’arte che custodisce. Fu costruito (tra il 450 e il 520) dal patrizio Opilione unitamente alla basilica, al sommo della cui navata destra era innestato, allo spigolo tra levante e mezzogiorno. Orientato come la basilica, comunicava con questa mediante l’atriolo di occidente. È uno dei più begli esempi di quegli oratori, di cui l’antichità cristiana circondava i maggiori edifici di culto: oratori destinati a devozioni particolari di singole persone, fisiche o morali, e verso singoli Santi (qui, secondo un costume diffusissimo nei secoli IV-VI, si veneravano reliquie di Santi Apostoli e Martiri); e anche a sepoltura di insigni personaggi. Più sviluppato e più perfetto dei più fra i sacelli analoghi, il

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Sacello di San Prosdocimo consta di un quadrato centrale, cui sono innestate quattro corte braccia coperte di volta a botte; il braccio orientale, absidato; il quadrato centrale è sormontato da cupola emisferica ad esso collegata mediante quattro pennacchi a quarto di sfera. Come nella basilica annessa, le pareti erano rivestite di tavole di marmi preziosi; dall’imposta degli archi in su tutto era coperto di mosaici. Il braccio settentrionale immetteva in una sala, forse destinata ad accogliere sarcofagi di illustri personaggi. Nell’atrio ricostruito è possibile ammirare il Timpano di porta della basilica opilioniana (sec. V-VI), e un pluteo di marmo greco del sec. VI; rarissimo perché doppio. In fondo: frontone triangolare (timpano di porta, sec. V-VI), con la iscrizione dedicatoria della Basilica e del Sacello: «Opilio vir clarissimus et inlustris, praefectus praetorio atque patricius, hanc basilicam vel oratorium in honorem sanctae Justinae Martyris a fundamentis caeptam Deo iuvante perfecit ». Nel sacello: a destra: altare di S. Prosdocimo (1564), sarcofago romano di marmo pario, trovato (1564) nel terreno sotto il pavimento (conteneva i corpi di due Vescovi, allora deposti altrove), e adibito da allora a custodia del corpo di S. Prosdocimo. Nel paliotto: S. Prosdocimo giacente, tra due Angeli ceroferari: bella scultura di ignoto (1564 – Marcantonio De Surdis). Sopra l’altare: stupenda immagine in marmo greco, di S. Prosdocimo (Sec. V-VI): rappresenta il Santo nell’eterna giovinezza del paradiso, simboleggiata dai due palmizi laterali. Trieste, … nell’anno della fede

Porta la scritta contemporanea: « Sanctus Prosdocimus Episcopus et Confessor ». In origine era la parte centrale della fronte di un sarcofago: tagliata poi per essere inserita in altro monumento (come lo mostrano i due battenti laterali) fu posata, come autenticazione, sull’arca in cui nel sottosuolo furono

nascoste le ossa del Santo; scoperta nell’esumazione del 1564, accompagnò nel 1565 le sacre ossa entro l’altare, ove fu ritrovata nel 1957. A sinistra, davanti all’altare principale: la preziosa « p e r g u l a» o iconostasi, l’unica del secolo VI che ci sia pervenuta integra. Uniche manomissioni: l’ultima colonna di destra, e i due capitelli estremi a destra e a sinistra, opera del Rinascimento. Come in tutte le antiche chiese, segnava la necessaria separazione tra clero e popolo, come oggi la balaustra, e nello stesso tempo accentuava il carattere sacro del presbiterio e dell’altare. È di marmo greco (si notino le colonne tutte di un pezzo con gli altissimi piedistalli, e l’arco di mezzo a ferro di cavallo). L’iscrizione, contemporanea, dice: «In nomine Dei. In hoc loco conlocatae sunt reliquiae sanctorum Apostolorum et plurimorum Martyrum qui pro conditore omniunque fidelium plebe orare dignentur (In nome di Dio: in questo

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luogo sono state collocate le reliquie dei SS. Apostoli e di moltissimi Martiri, i quali si degnino di pregare per il fondatore e per tutto il popolo di Dio). Si ritorni in chiesa per la stessa via. Dall’arco dietro l’altare di S. Mattia: bello sguardo sulla maestosa e semplicissima crociera della Basilica. CORRIDOIO DELLE MESSE E CORO VECCHIO Entrando nel Corridoio delle messe per la porta accanto all’altare della Pietà, adorna di due belle colonne di marmo greco, si accede al Coro Vecchio, prolungamento della Chiesa medioevale, costruito negli anni dal 1472 al 1473 col lascito di Jacopo Zocchi. Di belle proporzioni e molto luminoso, consta di due campate a pianta quasi quadrata con volta a crociera; e di una abside formata da sette lati di un dodecagono regolare. Ha conservato la disposizione primitiva: ad oriente altare e presbiterio, e, davanti, il coro. Si notino la volta dell’abside di bell’effetto; le sue lesene pensili; sotto gli archi della navata i curiosi capitelli. La decorazione delle volte è del sec. XV; il gran fregio a fresco attorno le pareti è del sec. XVI. Questa cappella è nobilitata da insigni opere d’arte, che ne fanno un vero museo. Il Coro ligneo è opera (14671477) di Francesco da Parma e Domenico da Piacenza, dei quali quasi nulla sappiamo. È opera d’intaglio e di intarsio. Bello l’insieme e molto pregevole; vigorosa ed elegante l’opera di intaglio. Interessanti parecchi dei primi specchi, perché riproducenti edifici dell’antica Padova. Nel mezzo, il cassone per i libri corali: opera un po’ più antica del coro, del Canozzi di Lendinara. Ancora nel mezzo: tomba di Ludovico Barbo; opera di un certo effetto, in pietra d’Istria. Nel presbiterio, a destra, statua di S. Giustina, in pietra tenera, opera probabilmenete di fine sec. XIV-XV. A sinistra, arcosolio che proTrieste, …. nell’anno della fede

tegge la statua giacente di Jacopo Zocchi, di Bartolomeo Bellano (1461); sopra: ambone per il Vangelo; è originale solo la parte inferiore della gocciola di sostegno, con i suoi finissimi ornati. Accanto: porticina intarsiata che immette all’ambone: degli stessi autori del coro. Bel pavimento (sec. XVI) di rosso di Verona, con intarsi di marmi rari e riporti di bronzo. Funge provvisoriamente da altare un bel parapetto di cantoria, scolpito in legno di noce da mano maestra ha sostituito un altare, di cui sono rimasti i gradini. I pilastri addossati alla parete sostenevano la stupenda pala, racchiusa in una nobile cornice, che Girolamo Romanino dipinse per questo luogo (151314), e che nel 1866 un commissario regio tolse a forza contro i diritti e le proteste della Fabbriceria. Oggi è al Museo Civico sempre in attesa di tornare al suo posto d’origine. Sulla parete: bellissimo Crocifisso ligneo, d’ignoto autore del sec. XV. SAGRESTIA Nell’atrio della sagrestia, si possono ammirare nella nicchia la Madonna col Bambino, bellissima terracotta della fine del sec. XV. L’Architrave insieme alla lunetta romanica che lo sovrasta, che rappresenta la Chiesa che dà la bevanda della vita ai fedeli. Sull’Architrave vi sono rappresentate: 1) l’Annunciazione; 2) la Visitazione; 3) la Natività del Signore; 4) l’Annuncio dell’Angelo ai Pastori; 5) l’Adorazione dei Magi.

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Giovedì 22 agosto PROGRAMMA : partenza ore 8.30 e arrivo a REDIPUGLIA (9.15) , visita sacrario Ore 10.30 partenza per Grado, alle ore 11.30 partenza (motoscafo) per il Santuario di Barbana (arrivo alle ore 12) Ore 12.30 Pranzo al Ristorante del Pellegrino Tel. 0431/80453 Ore 14.30 partenza per GRADO e visita alla città (15.00-16.00) Ore 16.00 partenza per AQUILEIA - Visita guidata Ore 17.30 partenza per Trieste Rientro per cena SERATA: M OMENTO DI PREGHIERA E VISITA ALLA CITTÀ DI TRIESTE

REDIPUGLIA, SANTUARIO BARBANA , GRADO, AQUILEIA.

Nel Sacrario di Redipuglia sono custoditi i resti mortali di 100.187 caduti: 39.857 noti e 60.330 ignoti.

SANTUARIO BARBANA Barbana è un’isola posta all’estremità orientale della laguna di Grado, sede di un antico santuario mariano. Si estende su circa tre ettari e dista circa cinque chilometri da Grado; è abitata in modo stabile da una comunità di frati minori francescani. Il suo nome deriva probabilmente da Barbano, un eremita del VI secolo che viveva nel luogo e che raccolse attorno a sé una comunità di monaci. Le origini dell’isola sono relativamente recenti: la laguna di Grado si è infatti formata tra il V e il VII secolo su di un’area precedentemente occupata dalla terraferma. Il luogo ospitaIl più grande Sacrario Militare Italiano, sorge va, in epoca romana, un tempio di Apollo Beleno e, probabilmente, l’area destinata alla sul versante occidentale del Monte Sei Busi quarantena del vicino porto di Aquileia. che nella Prima Guerra Mondiale fu aspraUn piccolo bosco si estende sul lato occidenmente conteso perché, pur se poco elevato, tale dell’isola e ne copre più della metà della consentiva dalla sua sommità di dominare, per ampio raggio, l'accesso da Ovest ai primi superficie: le essenze più diffuse sono i bagolari, i pini marittimi, le magnolie, i cipressi, gli gradini del tavolato carsico. La monumentale scalea sulla quale sono alli- olmi. L’isola di Barbana è collegata a Grado da un neate le urne dei centomila caduti e che ha alla base quella monolitica del Duca d'Aosta, regolare servizio di traghetti, con partenza dal comandante della Terza Armata, dà l'immagi- Canale della Schiusa. Il viaggio richiede circa ne dello schieramento sul campo di una Gran- 20 minuti di navigazione. L’isola è inoltre dotata di un piccolo porto e può essere ragde Unità con alla testa il suo Comandante. giunta anche con mezzi privati. REDIPUGLIA

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NASCITA DEL SANTUARIO Secondo la tradizione, la nascita del santuario della Madonna di Barbana risale all’anno 582, quando una violenta mareggiata minacciò la città di Grado: l’eccezionale evento meteorologico, che allora destò grande stupore e preoccupazione, si inserisce probabilmente nella genesi dell’attuale laguna. Al termine della tempesta un’immagine della Madonna, trasportata dalle acque, venne ritrovata ai piedi di un olmo (o, secondo un’altra tradizione, sui suoi rami), nei pressi delle capanne di due eremiti originari del trevisano, Barbano e Tarilesso. Il luogo era allora relativamente lontano dalla linea di costa e il patriarca di Grado Elia (571-588), come ringraziamento alla Madonna per aver salvato la città dalla mareggiata, fece erigere una prima chiesa. Attorno a Barbana si formò una prima comunità di monaci che resse il santuario per i successivi quattro secoli. In questo arco di tempo il mare proseguì la sua avanzata: nel 734, da un documento di papa Gregorio III, si apprende infatti che Barbana era già un’isola. La chiesa venne probabilmente ricostruita più volte e la stessa immagine della Madonna, non si sa se una statua o un’icona, andò perduta. Attorno all’anno mille, subentrarono i benedettini che ufficiarono il santuario per cinquecento anni. A questo periodo risale la pestilenza che investì Grado nel 1237 e l’origine del pellegrinaggio annuale della città a Barbana. DAL 1400 AD OGGI Il santuario attuale Dal 1450 è documentata la presenza di frati francescani conventuali, che sostituirono i benedettini prima in chiave provvisoria e poi, dal 1619, in modo definitivo. I francescani, Trieste, …. nell’anno della fede

che nel 1738 eressero una nuova chiesa a tre navate, rimasero nell’isola fino al 1769, quando la Repubblica di Venezia soppresse il monastero. I legami di Venezia con il santuario, a dispetto di questo provvedimento, furono comunque sempre intensi, com’è testimoniato da lasciti testamentari di dogi (Pietro Ziani, 1228) e dall’esistenza, in passato, di un’apposita confraternita di gondolieri (la “Fratellanza della Beata Vergine di Barbana”). Lo stesso bassorilievo dell’altare maggiore della chiesa di Barbana rappresenta, non a caso, una gondola in laguna. Dopo l’allontanamento dei frati, il santuario venne quindi affidato per oltre 130 anni ai sacerdoti diocesani, prima di Udine (1769-1818), poi di Gorizia (18181901). Un ruolo di particolare rilievo venne svolto da don Leonardo Stagni, al quale si devono la costruzione degli argini (1851), la realizzazione dell’attuale cappella del bosco nel luogo dove venne ritrovata l’immagine di Maria (1854) e l’incoronazione della Madonna di Barbana (1863). Nel 1901 il santuario venne affidato ai frati francescani minori della provincia dalmata che edificarono un nuovo convento, curarono alcune bonifiche e misero mano alla costruzione dell’attuale chiesa. Nel 1924, mutati i confini politici, il testimone passò ai confratelli della provincia veneta di San Francesco, che hanno provveduto alla realizzazione della casa di esercizi spirituali “Domus Mariae” (1959) e delle più recenti casa del pellegrino (1980) e cappella della riconciliazione (1989). La chiesa L’isola è dominata dalla mole della chiesa e del campanile. La chiesa, che presenta alcuni

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richiami all’architettura orientale, è in stile neoromanico ed è relativamente recente. I lavori di costruzione dell’attuale edificio, che sorge sul luogo delle chiese succedutesi nei secoli passati, sono stati infatti avviati nel 1911 e completati, dopo una pausa dovuta alla prima guerra mondiale, nel 1924. Il progetto è dell’architetto goriziano Silvano Barich, che negli anni successivi disegnerà i piani anche per il santuario di Monte Santo. La semplice facciata è ingentilita da lesene di pietra e da un rosone. La struttura culmina con un’ampia cupola. L’interno a tre navate, con soffitto a carena di nave, presenta elementi di notevole interesse nell’altare maggiore del 1706 e, soprattutto, nella statua lignea della Madonna, opera di scuola friulana della fine del Quattrocento. La statua, a grandezza naturale, rappresenta Maria in trono con in braccio Gesù bambino: lei regge con la mano destra una rosa, probabilmente a simboleggiare la fede, lui invece tiene in mano un libro, chiaro riferimento al Vangelo. I due altari laterali, in stile rinascimentale-barocco, sono di scuola veneziana e sono dedicati a San Francesco (sinistra, 1763) e Sant’Antonio (destra, 1749). Della scuola del Tintoretto è invece il quadro dei gondolieri in pellegrinaggio (1771) custodito nella sagrestia, dove è possibile ammirare anche una Madonna col Bambino di autore ignoto (1734). Gli affreschi della cupola (oltre 500 metri quadrati) sono un’opera più recente di Tiburzio Donadon (1940). Lo spazio è diviso in quattro grandi quadri rappresentati l’incoronazione di Maria, la processione del perdòn di Barbana, l’apparizione della Vergine sull’olmo, e una visione del patriarca Elia. I quadri sono separati da figure bianche che simboleggiano le quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza). Le vetrate della chiesa rappresentano alcuni misteri del rosario. Il campanile, alto 47,8 metri, è stato inaugurato nel 1929: le quattro campane attuali, come invito alla pace, sono Trieste, … nell’anno della fede

state ricavate dal metallo di cannoni tedeschi della seconda guerra mondiale. La piccola Cappella della riconciliazione, alla destra dell’altare maggiore, conserva una statua della Vergine del 1700 in pietra di Aurisina e un cippo di pietra di età romana, raffigurante un magistrato. La continua azione della laguna ha impedito la conservazione di tracce significative dei santuari più antichi. Tra le vestigia giunte fino a noi, è possibile ricordare un bassorilievo funerario rappresentate un’apparizione di Cristo risorto (X-XI secolo), un frammento dell’albero presso il quale secondo la tradizione venne ritrovata l’immagine della Madonna, un rivestimento per altare in cuoio e oro (XVII secolo), e due colonne con capitelli corinzi, quest’ultime poste oggi davanti al campanile. Nella cappella della “Domus Mariae” è custodita la statua della cosiddetta “Madonna mora”, venerata nel santuario dall’XI al XVI secolo. L’opera, in legno dipinto, è stata recentemente restaurata: curiosamente, la Madonna regge il bambino per i piedini. Una tela di Madonna orante del 1500 può infine essere ammirata nella mensa dei frati. Della prima chiesa costruita dai francescani (XVIII secolo) sono invece rimaste numerose tracce, sia negli arredi interni che in materiale iconografico (dipinti, fotografie, bassorilievi). La chiesa, più piccola dell’attuale, si presentava con una semplice facciata bianca, successivamente ingentilita da un porticato, e aveva un piccolo campanile. La cappella nel bosco e le statue A poca distanza dalla chiesa, sul luogo dove secondo la tradizione si arenò l’immagine della Madonna, sorge la cappella dell’apparizione, costruita nel 1854 per celebrare il dogma dell’Immacolata Concezione. La cappella, di forma ottagonale, ha preso il posto di un precedente capitello votivo ed è stata decorata nel 1860 dal pittore udinese Rocco Pitacco. I dipinti rappresentano la glorificazione di Maria tra angeli e personaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Sulle

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pareti laterali, quadri relativi alla proclamazione del dogma e alla vita e alle origini del santuario. La cappella, che è circondata da un piccolo cimitero, custodisce le spoglie del venerabile Egidio Bullesi, un giovane istriano distintosi per il suo apostolato a Pola e a Monfalcone. All’ingresso del piccolo porto dell’isola è visibile una statua della Madonna, eretta nel 1954 a ricordo dell’anno mariano. Altre statue dedicate a San Francesco e ad Egidio Bullesi sono inoltre dislocate nei pressi della chiesa e della “Domus Mariae”. El Perdòn de Barbana Il pellegrinaggio più noto è il cosiddetto “Perdòn di Barbana” che si svolge ogni anno nella prima domenica di luglio e prevede una processione di barche imbandierate in laguna da Grado a Barbana. La processione, che inizia di primo mattino, è guidata dalla “Battella”, l’imbarcazione che trasporta la statua della Madonna degli Angeli custodita nella basilica di Grado. Nell’occasione viene aperto il ponte girevole che collega Grado alla terraferma e l’autorità civile consegna un dono simbolico alla Madonna. L’origine del pellegrinaggio risale a un voto fatto dalla comunità gradese in seguito alla pestilenza del 1237. Il nome “perdòn” deriva invece dalla consuetudine di accostarsi, nell’occasione, al sacramento della confessione. Altri pellegrinaggi Il santuario è inoltre meta di numerosi pellegrinaggi provenienti principalmente dai paesi della Bassa Friulana, testimoniati anche da documenti pittorici come, ad esempio, un quadro votivo che ricorda la processione della comunità di Ruda. I pellegrinaggi votivi delle comunità si svolgono prevalentemente dal mese di aprile allla fine di settembre. Trieste, …. nell’anno della fede

Numerosi pellegrini partecipano inoltre il 15 agosto e l’8 settembre di ogni anno, in occasione delle festività mariane dell’Assunzione e della Natività, alle due processioni nelle quali la statua della Madonna di Barbana viene portata a spalla per l’isola. GRADO LA BASILICA PATRIARCALE DI SANT’EUFEMIA è il principale edificio religioso di Grado (GO) e antica cattedrale del soppresso Patriarcato di Grado. Risalente al VI secolo, sorge in Campo dei Patriarchi, affiancata dal battistero e dal campanile a cuspide del secolo XV. Sul luogo dove oggi troviamo la basilica di

Sant’Eufemia, sorgeva una precedente basilica del IV-V secolo. L’edificio venne ordinato da Elia, arcivescovo di Aquileia in fuga da un’invasione: quella dei Longobardi. Quasi al contempo, Elia, in contrasto con papa Pelagio II a seguito della condanna dei Tre Capitoli, scelse la strada dell’autocefalia, proclamandosi patriarca, e, per riaffermare la propria fedeltà al concilio di Calcedonia, decise di dedicare la nuova chiesa a Sant’Eufemia di Calcedonia, patrona di quel concilio, consacrandola forse il 3 novembre 580. Seguendo le complicate traversie della sua diocesi, tra il VI e l’inizio del VII secolo, la basilica fu sede del ramo filo-romano e filobizantino in cui si scisse il patriarcato, fino alla definitiva separazione tra le due chiese e la costituzione, negli anni 717 e 739 del Patriarcato di Grado. Sottoposta al sempre più stretto controllo dei

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Duchi di Venezia, delle cui terre era chiesa madre, più volte coinvolta negli scontri militari per la mai sopita rivalità coi vicini Patriarchi di Aquileia, la basilica di Sant’Eufemia prese a decadere a partire dal 1105, quando il nuovo patriarca, Giovanni Gradenigo, scelse di risiedere nella capitale: Venezia. La basilica mantenne tuttavia la titolarità della cattedra patriarcale anche dopo il riconoscimento pontificio, nel 1177, della residenza veneziana dei patriarchi. Nel 1451, però, con la soppressione del titolo gradense e l’istituzione del nuovo Patriarcato di Venezia, la basilica venne incorporata nella nuova diocesi, perdendo il titolo di cattedrale, trasferito alla basilica di San Pietro di Castello, a Venezia. Nel 1455 venne eretto l’attuale campanile, sormontato da una statua segnavento in rame sbalzato del 1462, raffigurante San Michele Arcangelo, attuale simbolo di Grado. Facciata e fianco sinistro La pala d’oro L’esterno, in stile paleocristiano, si presenta in mattoni e arenaria a vista e presenta rimaneggiamenti risalenti ai secoli XVII e XIX, in parte rimossi coi restauri eseguiti a metà novecento. La facciata, rivolta verso Campo dei Patriarchi, è ripartita a salienti e lesene e aperta da tre ampi finestroni, al disotto dei quali si intravvedono le tracce dell’antico nartece, oggi scomparso. Ad essa è addossato sul lato destro il campanile, a cuspide, d’aspetto veneziano. L’interno, ampio e luminoso, è diviso in tre navate, delimitate da colonne in marmi policromi, in parte di epoca romana, così come i capitelli. Sulla parte alta e lungo le pareti perimetrali, si aprono numerosi ed ampi finestroni, che illuminano l’ambiente ed il sovrastante tetto a capriate. Notevole è la decorazione musiva interna, in Trieste, … nell’anno della fede

particolare per quanto riguarda il grande mosaico pavimentale, risalente alla fine del VI secolo. Sul lato sinistro della navata centrale si erge poi un alto ambone esagonale, con decorazioni scultoree del XIII secolo. Nel presbiterio, decorato in alto da affreschi quattrocenteschi, trova posto la pala d’oro in argento sbalzato e cesellato, donata alla basilica nel 1372 dal nobile veneziano Donato Mazzalorsa. Ripartita in tre registri, raffigura: in quello superiore l’Annunciazione, il Cristo e i simboli degli Evangelisti, in quello inferiore una serie di archetti con figure di Santi e, nel registro centrale, Cristo in trono e San Marco che celebra messa. La basilica ospita la statua della Madonna degli Angeli che, in occasione della festa del Perdon di Barbana (prima domenica di luglio), viene portata in processione in laguna fino al santuario di Barbana. Accanto al complesso basilicale si trova il battistero ottagonale con ampia vasca marmorea a immersione. IL BATTISTERO di Grado è un monumento paleocristiano che sorge all’interno dell’antico castrum, a fianco della Basilica di Sant’Eufemia. Ha forma ottagonale, con vasca esagonale. La sua costruzione risale al VI secolo. A partire dal IV e dal V secolo, Aquileia, ripetutamente saccheggiata durante le invasioni barbariche, venne progressivamente abbandonata dai suoi abitanti, che si rifugiarono nella vicina Grado. La definitiva decadenza aquileiese venne sancita dal passaggio del patriarca, il romano Paolino (557-569), nella nuova sede gradese. Stabilitosi a Grado, Paolino iniziò a progettare una serie di edifici religiosi che dovevano servire la crescente popolazione dell’isola e dare alla città la dignità di sede vescovile. Al suo successore, il beneventano Probino (569-

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571), si deve il battistero, come testimoniato dal suo monogramma riportato sulla lastra frontale dell’altare, dove colombe e pavoni fanno da cornice a una croce. Dopo Probinio, Elia (571-586/87) completò i lavori con la realizzazione della basilica di Santa Eufemia, della prima chiesa di Barbana e, probabilmente, di una prima restaurazione della basilica di Santa Maria delle Grazie. L’emergere di Venezia come potenza lagunare portò a una lenta decadenza di Grado, che nel corso dei secoli perse la sede vescovile e si ridusse a un semplice villaggio di pescatori. Nel Seicento l’edificio, che nell’alto medio evo era stato dotato di gradinate cerimoniali e di un’arca dedicata a San Giovanni, venne restaurato in stile barocco e così rimase fino al secolo scorso. Nel 1925 vennero avviati lavori di scavo e restauro che ne riportarono alla luce le forme originarie, sia nell’aspetto esterno che nei semplici interni. L’edificio ha un impianto ottagonale. L’esterno è in cotto ed è dotato di otto alte finestre, una per lato, sotto le quali era presente un portico d’ingresso, oggi perduto. L’attuale ingresso, rivolto a occidente, è di realizzazione recente, mentre l’antica porta, rivolta a nord-ovest, è stata murata in passato. L’interno è molto semplice. Il pavimento è musivo, con decorazioni geometriche e floreali e un’iscrizione, dedicata a Sesinio. Al centro la vasca battesimale è curiosamente esagonale, in contrasto con l’impianto ottagonale dell’edificio. L’altare sorge in un’abside ricavato nel lato orientale: è illuminato da tre finestre ed è decorato con frammenti scultorei. Il soffitto in legno è stato ricostruito nel 1933 sulla base dell’edificio originario. Trieste, …. nell’anno della fede

LA BASILICA DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE è una delle due basiliche paleocristiane di Grado. Si affaccia sul Campo dei Patriarchi, nel centro storico della città, a pochi passi dal Battistero e dalla Basilica di Sant’Eufemia, mentre i resti di una terza basilica (la Basilica della Corte) sono visibili a poca distanza, ai limiti del castrum romano. La basilica è stata costruita alla fine del VI secolo per volontà del Patriarca Elia, che negli stessi anni completò la costruzione della Basilica di Sant’Eufemia e avviò i lavori per la prima chiesa di Barbana. La chiesa venne edificata sul sito di una precedente basilica paleocristiana risalente alla prima metà del V secolo, forse voluta dal vescovo Cromazio. I due stadi della costruzione risultano evidenti nell’interno, che i restauri hanno ripristinato a due livelli. La basilica ha curiosamente una base quadrata sia nella pianta che nell’alzato. L’interno è scandito da tre navate separate da due file di cinque colonne marmoree di provenienza diversa. Di particolare interesse l’altare, l’acquasantiera e la statua lignea della Madonna delle Grazie, tradizionale meta devozionale della popolazione gradese. L’architettura della basilica è caratterizzata dal forte slancio verticale della navata centrale. La facciata in pietra e mattoni ha tre porte ed è ingentilita da una trifora. AQUILEIA Aquileia fu fondata dai Romani come colonia militare nel 181 a.C. Fu dapprima baluardo contro l’invasione di popoli barbari e punto di partenza per spedizioni e conquiste militari. Grazie ad una buona rete viaria e ad un imponente porto fluviale, col tempo divenne sempre più importante per il suo commercio e per lo sviluppo di un artigianato assai raffina-

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to (vetri, ambre, fictilia, gemme…). Raggiunse il suo apice sotto il dominio di Cesare Augusto (27 a.C. – 14 d.C.) divenendo capitale della X Regio “Venetia et Histria” ed accelerando quel processo che ne avrebbe fatto una delle più importanti metropoli dell’Impero Romano. Durate i secoli successivi, guerre interne, scorrerie o rappresaglie esterne e rapide incursioni minacciarono la città che, coinvolta nella più ampia crisi dell’Impero, iniziò lentamente ad acquistare un volto nuovo divenendo, con l’arrivo del cristianesimo, centro di irradiazione missionaria e di organizzazione ecclesiastica. CENNI STORICI SU AQUILEIA Aquileia fu fondata dai Romani come colonia militare nel 181 a.C. in un luogo che era all'incrocio di popoli e traffici commerciali. Fu dapprima baluardo contro l'invasione di popoli barbari e punto di partenza per spedizioni e conquiste militari. Collegata da una buona rete viaria, col tempo divenne sempre più importante per il suo commercio e per lo sviluppo di un artigianato assai raffinato. Raggiunse il suo apice sotto l'impero di Cesare Augusto: con una popolazione stabile di oltre 200.000 abitanti, divenne una delle maggiori e più ricche città di tutto l'impero. Fu residenza di parecchi imperatori, con un palazzo assai frequentato, fino a Costantino il Grande e oltre. Quando vi giunse il messaggio cristiano (la tradizione parla di una venuta di S.Marco evangelista che portò a Roma S. Ermacora per farlo consacrare da S. Pietro come primo vescovo di Aquileia), esso ebbe rapido sviluppo sotterraneo, tanto da esplodere prontamente appena venne concesso il culto pubblico con l'Editto di Milano del 313 d.C. Trieste, … nell’anno della fede

Basti pensare che furono erette prontamente tre grandi aule, lussuosissime, poste tra loro a ferro di cavallo: due principali, tra loro parallele, unite da una trasversale. Ciascuna poteva contenere comodamente da due a tre mila persone: cosa impensabile per un semplice "inizio" di evangelizzazione e per le ingenti risorse necessarie per realizzarle. Queste poi, ben presto risultarono insufficienti per contenere tutti i fedeli, e dovettero essere demolite per far posto ad altre aule più ampie. Infatti troviamo che, qualche decina di anni più tardi (verso il 345), partendo dalle fondazioni dell'Aula Nord, fu eretta una molto più ampia (lunga ben 70 metri e larga 31: 5 metri più lunga di quella che vediamo), la più vasta in assoluto per Aquileia: quella che nel 452 d.C. fu distrutta da Attila e mai più risorse. Anche l'Aula Sud, ampliata sotto il vescovo Cromazio rimase semidistrutta dall'invasione degli Unni. A questo punto c'è da notare una caratteristica tipica e unica di Aquileia: tutte le varie basiliche erano strettamente a forma rettangolare e senza abside. Quando i figli degli scampati e degli esuli ritornarono ad Aquileia e pensarono ad una ricostruzione, volsero l'attenzione alle strutture residue dell'Aula Sud, che ancora fu ampliata in lunghezza e larghezza: saranno le fondazioni di quest'ultima a fare da supporto, dopo un lungo periodo di completo abbandono (dai Longobardi all'800), alla costruzione di una vera e propria basilica, come noi l'intendiamo, e che sommariamente costituisce il perimetro di quella attuale. Quest' opera fu portata a termine dal vescovo Massenzio (811838), con l'aiuto finanziario di Carlo Magno. Successivamente però, prima gli Ungari e poi un terremoto (988) la resero inagibile. Resti del pavimento in mosaico di questa basilica si

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possono esplorare attraverso due botole: una presso l'altare al centro del presbiterio e l'altra presso il sarcofago di San Pietro. LA BASILICA Il primo edificio di culto cristiano aquileiese fu edificato nel 313 d.C. dal vescovo Teodoro. Era costituito da tre grandi aule rettangolari poste a ferro di cavallo, dal battistero e da ambienti di servizio Le due aule parallele (teodoriana sud e teodoriana nord) erano mosaicate ed adibite alla celebrazione della messa e all’insegnamento delle Sacre Scritture; la sala trasversale, pavimentata a cocciopesto, veniva invece utilizzata come collegamento tra le due aule precedenti. Verso la metà del IV secolo l’aula teodoriana nord subì un notevole ampliamento allo scopo di contenere un numero sempre più grande di fedeli (aula post-teodoriana nord). Accanto venne costruito un nuovo battistero con vasca esagonale. Detta aula venne distrutta dagli Unni di Attila nel 452 d.C. e mai più ricostruita. Successivamente anche l’aula teodoriana sud venne trasformata in un edificio a tre navate con un grande battistero di fronte al suo ingresso principale (aula post-teodoriana sud). Nella prima metà del IX secolo il patriarca Massenzio volle avviare i primi lavori di ristrutturazione di quest’ aula creando il transetto, la cripta degli affreschi (sotto il presbiterio), Trieste, …. nell’anno della fede

il portico e la Chiesa dei Pagani. La basilica attuale è sostanzialmente quella consacrata nel 1031 dal patriarca Poppone dopo le modifiche da lui eseguite (sopraelevazione dei muri perimetrali, rifacimento dei capitelli, affresco dell’abside e costruzione

dell’imponente campanile alto 73 metri). Ulteriori interventi furono apportati dal patriarca Voldorico di Treffen nel XII sec. (affreschi nella cripta massenziana con scene della vita di S. Ermacora, della Passione di Cristo ed altre a carattere allegorico e profano) e dal patriarca Marquardo di Randek nel XIV secolo (archi a sesto acuto fra le colonne e tutta la parte alta della basilica compreso il tetto a carena di nave rovesciata, lavori resi necessari dopo il terremoto del 1348).

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Venerdì 23 agosto PROGRAMMA : partenza ore 8.30 per MIRAMARE e visita guidata. Ore 11.00 partenza per TRIESTE Ore 13.00 Pranzo al PIZZERIA RISTORANTE COPACABANA Via del Treato Romano 24 tel. 040 370084 VISITA ALLE CHIESE PRIMA DI PRANZO , POMERIGGIO B ASILICA DI S. G IUSTO , ARCO DI RICCARDO , S. SILVESTRO PAPA, PIAZZA DELL’ UNITÀ D’ITALIA , TEATRO ROMANO , C HIESA DI S. SPIRIDIONE…..ALTRE CHIESE

SERATA: M OMENTO DI PREGHIERA E VISITA ALLA CITTÀ Massimiliano ne acquista vari lotti di terreno verso la fine del 1855. La posa della prima Il Castello di Miramare, circondato da un pietra del Castello avviene il 1° marzo 1856. rigoglioso parco ricco di pregiate specie botaAlla Vigilia del Natale del 1860 Massimiliano e niche, gode di una posizione panoramica la consorte, Carlotta del Belgio, prendono incantevole, in quanto si trova a picco sul alloggio al pianoterra dell’edificio, che a quelmare, sulla punta del promontorio di Grignala data presenta gli esterni del tutto compleno che si protende nel golfo di Trieste a circa tati, mentre gli interni lo sono solo parzialuna decina di chilometri dalla città. mente, in quanto il primo piano è ancora in Voluto attorno alla metà dall’Ottocento fase di allestimento. dall’arciduca Ferdinando Massimiliano Il palazzo, progettato dall’ingegnere austriaco d’Asburgo per abitarvi insieme alla consorte Carl Junker, si preCarlotta del Belgio, senta in stile eclettioffre la testimonianco come professato za unica di una lusdalla moda architetsuosa dimora nobitonica dell’epoca: liare conservatasi modelli tratti dai con i suoi arredi periodi gotico, meinterni originari. dievale e rinascimenLA STORIA - IL CAtale, si combinano in STELLO una sorprendente Il Castello di Mirafusione, trovando mare e il suo Parco diversi riscontri nelle sorgono per volontà dimore che all’epoca dell’arciduca Massii nobili si facevano costruire in paesaggi alpemiliano d’Asburgo che decide, attorno al stri sulle rive di laghi e fiumi. 1855, di farsi costruire alla periferia di Trieste Nel Castello di Miramare Massimiliano attua una residenza consona al proprio rango, afuna sintesi perfetta tra natura e arte, profumi facciata sul mare e cinta da un esteso giardimediterranei e austere forme europee, ricreno. ando uno scenario assolutamente unico graAffascinato dall’impervia bellezza del prozie alla presenza del mare, che detta il colore montorio di Grignano, uno sperone carsico a azzurro delle tappezzerie del pianoterra del dirupo sul mare, quasi privo di vegetazione,

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Castello, e ispira nomi e arredi di diversi ambienti. La realizzazione degli interni reca la firma degli artigiani Franz e Julius Hofmann: il pianoterra, destinato agli appartamenti privati di Massimiliano e Carlotta, ha un carattere intimo e familiare, il primo piano è invece quello di rappresentanza, riservato agli ospiti che non potevano non restare abbagliati dai sontuosi ornati istoriati di stemmi e dalle rosse tappezzerie con il simboli imperiali. LA STORIA - IL PARCO Il Parco di Miramare, con i suoi ventidue ettari di superficie, è il risultato dell’impegnativo intervento condotto nell’arco di molti anni da Massimiliano d’Asburgo sul promontorio roccioso di Grignano, che aveva in origine l’aspetto di una landa carsica quasi del tutto priva di vegetazione. Per la progettazione, Massimiliano si avvale dell’opera di Carl Junker, mentre per la parte botanica si rivolge inizialmente al giardiniere Josef Laube, sostituendolo in seguito con Anton Jelinek, già partecipante alla famosa spedizione della fregata “Novara” intorno al mondo. Grossi quantitativi di terreno vengono importati dalla Stiria e dalla Carinzia, e vivaisti soprattutto del Lombardo Veneto procurano una ricca varietà di essenze arboree e arbustive, moltissime delle quali di origine extraeuropea. I lavori, avviati nella primavera del 1856, sono seguiti costantemente da Massimiliano, che non smetterà di interessarsi al suo giardino anche una volta stabilitosi in Messico, da dove farà pervenire numerose piante. Nella zona est prevale la sistemazione “a Trieste, …. nell’anno della fede

bosco” che asseconda l’orografia del luogo: alberi alternati a spazi erbosi, sentieri tortuosi, gazebi e laghetti, ripropongono i dettami romantici del giardino paesistico inglese. La zona sud ovest, protetta dal vento, accoglie aree geometricamente impostate, come nel caso del giardino all’italiana antistante al “Kaffeehaus” o delle aiuole ben articolate intorno al porticciolo. Il Parco di Miramare, che nelle intenzioni del committente doveva essere una stazione sperimentale di rimboschimento e di acclimatazione di specie botaniche rare, è un complesso insieme naturale e artificiale: in esso è possibile ancor oggi respirare un’atmosfera intrisa di significati strettamente legati alla vita di Massimiliano, e cogliere al contempo il rapporto con la natura che è proprio di un’epoca. Nel Parco si segnalano in particolare: le sculture prodotte dalla ditta berlinese Moritz Geiss; le serre, con vetrate che si aprono nell’originale struttura in ferro; la “casetta svizzera” ai margini del “Lago dei cigni”; il piccolo piazzale con i cannoni donati da Leopoldo I re dei Belgi; la cappella di San Canciano con un crocifisso scolpito con il legno della fregata “Novara”, dedicato nel 1900 a Massimiliano da suo fratello Ludovico Vittore. LA STORIA - IL CASTELLETTO In parallelo alla costruzione del Castello, Massimiliano fa erigere nel parco il piccolo “Gartenhaus” anche chiamato “Castelletto”, in quanto imita in scala ridotta gli esterni eclettici della residenza principale. Abitato saltuariamente da Massimiliano e Carlotta dal 1859 fino al 1860, il Castelletto gode di una notevole posizione panoramica: si affaccia sul porticciolo di Grignano ed è preceduto da una zona a parterre, abbellita

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si interamente un'opera muraria. La parte più alta delle gradinate e il palcoscenico erano in legno. Molto poco è rimasto: soltanto il basamento della parte fissa della scena e le basi in muratura dei pilastri del portico. Al Civico Museo di Storia e Arte sono conservate le statue ornamentali. In tre iscrizioni dell'epoca di Traiano compare il nome di Q. Petronius Modestus , un personaggio legato al teatro del tempo e trova conferma la data della costruzione del teatro intorno alla seconda metà del I sec. Come per gli altri monumenti romani subì la spoliazione delle pietre pregiate e già pronte ad altri usi. Divenne così il solido fondamento delle case che si costruirono sopra. Pietro Nobile, architetto neoclassico e studioso delle antichità locali, lo individuò nel 1814 guidato anche dal nome del luogo "Rena vecia" (Arena vecchia). . SINAGOGA TEMPIO ISRAELITICO via S. Francesco d'Assisi, 19 Il documento ufficiale più antico reperibile che menzioni un insediamento ebraico, seppur piccolo, a Trieste è datato 1236 ed è costituito da un atto notarile che menziona l'ebreo Daniel David di Trieste, che spese 500 marchi per combattere i ladroni sul Carso. A cominciare dal XIV sec. vi si stabilirono Ebrei provenienti dai paesi tedeschi; alcuni erano sudditi dei Duchi d'Austria ed altri dei Principi locali. Durante il periodo medioevale TEATRO ROMANO gli Ebrei della città via del Teatro Roerano dediti princimano palmente ad attività In riva al mare, nella bancarie (prestiti) e estremità inferiore commerciali; dal XIV del colle di S. Giusec. troviamo Ebrei sto, i Romani cobanchieri ufficiali struirono un grande del municipio. teatro capace di Alla fine del XVII contenere 6.000 sec. gli Ebrei di Triespettatori. ste, così come quelli La pendenza del di molte altre comucolle fu utilizzata nità d'Europa, si come nei teatri trovarono al centro di una battaglia con le greci ma soltanto parzialmente perché è quaautorità cittadine che pretendevano la coda alberi e da una fontana nello spiazzo antistante alle serre. È dotato di una pianta a base quadrata, con terrazza, torretta e pergolata di ingresso, e la decorazione superstite al primo piano mostra numerose analogie con quella della prima residenza triestina di Massimiliano: Villa Lazarovich, che l'arciduca prese in affitto nel 1852 da Nicolò Marco Lazarovich, sistemandola secondo il suo personale gusto. Molti arredi di questa questa villa, sita sul colle di S. Vito, e tutt’ora esistente in via Tigor 23, furono fatti confluire a Miramare per esplicita disposizione di Massimiliano. Gli echi della tragica storia di Massimiliano e Carlotta risuonano anche nel Castelletto: qui, infatti, tra la fine del 1866 e l’inizio del 1867, i medici sorveglieranno strettamente Carlotta, colpita dai primi segni di un preoccupante squilibrio mentale. Negli anni ‘30 del Novecento, quando il Castello è abitato dai Duchi di Savoia-Aosta, il Castelletto diventa un museo aperto al pubblico, che vi può ammirare gli arredi del Castello che Amedeo di Savoia-Aosta non ha incluso nei suoi appartamenti. Attualmente il Castelletto ospita la sede della Direzione della Riserva Naturale Marina di Miramare.

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struzione di un ghetto e la conseguente emarginazione del piccolo nucleo ebraico all'interno di esso. Il conflitto durò un certo periodo di tempo, al termine del quale gli Ebrei furono costretti a cedere alle autorità e ad accettarne l'imposizione. Alla fine del XVIII sec. gli Ebrei tornarono a vivere al di fuori dei ristretti confini del ghetto. A quel tempo essi si occupavano di commercio e artigianato ed alcuni erano fornitori della Corte Austriaca. Il numero degli Ebrei triestini era allora molto esiguo: un centinaio di persone. Il 19 aprile 1771 Maria Teresa concesse due Patenti Sovrane agli Ebrei di Trieste, Patenti che sono dei veri e propri regolamenti. Nel 1782, col famoso Editto di Tolleranza, Giuseppe II ammise gli Ebrei alle cariche di deputati della Borsa e ad alcune professioni liberali. Un anno più tardi venne aperta la Scuola Elementare Israelitica col titolo di Scuole Pie Normali Israelitiche. L'anno seguente, il 1784, vennero aperte le porte del ghetto e gli Ebrei triestini poterono quindi coabitare con i cittadini di altra fede religiosa. Tuttavia la maggior parte di essi continuò ad abitare nel ghetto; tanto è vero che dopo la breve occupazione francese del 1797, essi si accinsero a costruire due nuove Sinagoghe nella via delle Scuole Israelitiche; Sinagoghe che furono demolite durante il primo quarto del '900 in seguito allo sventramento della "Città Vecchia". La nuova monumentale Sinagoga, opera degli architetti Ruggero e Arduino Berlam, venne inaugurata nel 1912, e rimpiazzò le quattro Sinagoghe più piccole che esistevano in precedenza. Nel 1931 vivevano a Trieste 5025 Ebrei. Nel 1938 la Comunità crebbe fino a contare 6000 membri. Durante il periodo dell'occupazione germanica, i Nazisti eseguirono operazioni di rastrellaTrieste, …. nell’anno della fede

mento ai danni della popolazione ebraica. Nel 1945 rimasero a Trieste solo 2300 Ebrei. Negli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale, i Nazisti stabilirono un campo di sterminio alla Risiera di S. Sabba, unico nel suo genere in Italia, e 710 Ebrei vennero deportati dalla città. Il famoso Samuele David Luzzato era nativo di Trieste. Lo scrittore Italo Svevo viveva a Trieste, dove ambientava i suoi romanzi e novelle. Dopo la guerra circa 1500 Ebrei rimasero nella città; nel 1965 il loro numero si abbassò a 1052 su 280.000 abitanti. Oggi la Comunità Ebraica conta circa 700 membri. L'ultima vestigia della Trieste Ebraica del passato fu la Sinagoga Ashkenazita di via del Monte che oggi, alcuni anni dopo la sua chiusura, ospita i locali del Museo della Comunità Ebraica di Trieste "Carlo e Vera Wagner". CATTEDRALE DI SAN GIUSTO Piazza della Cattedrale, 3 La Cattedrale di S.Giusto si erge sul colle omonimo, cuore dellacittà romana. Verso la metà del V secolo, nel luogo ove sorgeva il capitolium, fu edificata una basilica paleocristiana, la prima sede vescovile, per la quale furono sfruttate le strutture precedenti. Essa era un'aula rettangolare a tre navate, con il presbiterio absidato e il pavimento mosaicato; gli scarsi resti musivi sono oggi visibili nel pavimento attuale. Nel VI sec. fu modificata in alcune sue parti, durante il vescovado di Frugifero, che è il primo vescovo tergestino documentato; essa andò distrutta prima del IX secolo, non si sa in quale frangente. Dal IX secolo nel luogo della primitiva cattedrale coesistettero verosimilmente due edifici sacri, cioè una cattedrale più piccola della precedente, dedicata alla Vergine Assunta, e il sacello di S.Giusto. Nel secolo successivo la cattedrale subì ulteriori modifiche ed amplia-

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menti. Nel XI secolo la Cattedrale dell'Assunta si presentava a tre navate che si concludevano ad oriente con altrettante absidi, di cui rimane solo quella centrale, rivestita più tardi del prezioso mosaico con la Madonna in trono. In corrispondenza di essa rimangono anche i due filari di sette colonne ciascuno. Il sacello di S.Giusto era più piccolo, ma aveva anch'esso tre navate concludentisi ad oriente con le rispettive absidi, di cui rimangono quella centrale con il mosaico esaltante Cristo e i Ss.Giusto e Servolo e quella destra, che è dedicata a S.Apollinare. Nel Trecento cattedrale e sacello furono fusi in un unico spazioso edificio; si demolirono la navata destra dell'Assunta e quella sinistra del sacello, ricavando al loro posto la navata centrale dell'attuale Cattedrale di S.Giusto. FACCIATA Facciata semplice a capanna, illuminata da un leggero ed elegante rosone gotico. Gli stipiti del portale furono ricavati dalle due metà di una stele funeraria della gente Barbia, degli inizi del I sec. d.C.; il busto in basso a destra fu trasformato successivamente in quello del martire Sergio. I tre busti bronzei posti su mensole rappresentano i vescovi triestini Andrea Silvio Piccolomini (1447-50), divenuto papa Pio II; Rinaldo Scarlicchio (1622-30) ed Andrea Rapicio (1567-73). Il massiccio e tozzo campanile ingloba i resti del propileo romano: cinque colonne corinzie reggenti una trabeazione con fregio a girali e trofei d'armi. In essa è collocata la nicchia archiacuta con la statua trecentesca di S.Giusto, che tiene nelle mani la palma del martirio e il modellino della città murata di cui è il protettore, la testa del santo è un ritratto di età romana reimpiegato. INTERNI Trieste, … nell’anno della fede

Interno a cinque navate è molto suggestivo per la sua asimmetria: le due navate di sinistra appartenevano alla basilica romanica dell'Assunta, quelle di destra al sacello altomedievale di S.Giusto. I preziosi mosaici di ispirazione bizantinaravennate che rivestono l'abside sinistra risalgono agli inizi del XII sec.: es si esaltano la Madre di Dio tra gli arcangeli Gabriele e Michele e gli Apostoli nel giardino mistico. I mosaici dell'abside destra, stilisticamente vicini a quelli dell'Assunta, sono posteriori di circa un secolo: sullo sfondo dorato si staglia il Cristo benedicente affiancato dai martiri Giusto e Servolo. Sotto i mosaici, entro le arcatelle, intorno al 1230 furono eseguiti gli affreschi con la passio di S.Giusto, di sapore popolare: gli episodi riguardano la fustigazione del santo alla presenza del prefetto, la sua condanna a morte per annegamento, il cammino verso il molo, il martirio, il sogno premonitore del presbitero Sebastiano, il ritrovamento del corpo del martire, i solenni funerali e l'assunzione in cielo della sua anima. Da notare nel registro inferiore il motivo del velario attraverso il quale s'intravedono scene allegoriche e la bella cupola sorretta dai quattro arconi impostati sui capitelli a foglie piene; il tamburo ha una bella decorazione ad arcatelle cieche. A destra della cappella di S.Giusto si apre l'absidiola dedicata a S.Apollinare, decorata da affreschi romanici molto sbiaditi dal tempo, raffiguranti le Storie del Santo. L'abside centrale, che conclude il presbiterio, è stata mosaicata nel 1932 dal veneziano Guido Cadorin che vi ha raffigurato l'Incoronazione della Vergine e Santi. L'iscrizione latina nell'arco ricorda che il mosaico fu donato dalla città di Trieste nel XIV anniversario della vittoria (4 novembre 1918). A sinistra dell'abside dell'Assunta, attigua alla

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cappella dell'Addolorata, si apre la cappella del Tesoro, che si trova al sicuro oltre un'artistica cancellata in ferro battuto del XVII sec. Esso è formato grosso modo da tre gruppi di oggetti, di epoca diversa: uno bizantinoromanico, uno gotico-rinascimentale e uno barocco-neoclassico. I pezzi più notevoli appartengono ai primi due gruppi. Tra essi sono da notare in particolar modo: • l'urna-reliquiario di S.Giusto, in lamina d'argento sbalzato opera duecentesca di produzione cividalese. Fu ritrovata intatta nel 1624 dal vescovo Scarlicchio sotto l'altare del Santo; nell'urna fu ritrovata anche la pietra forata che secondo la tradizione fu legata al collo del martire per affogarlo e il velo dipinto con la sua delicata immagine; • il crocifisso dei Battuti, in lamine d'argento dorate e sbalzate, eseguito intorno alla metà del Duecento e rimaneggiato in epoca più tarda; • il crocifisso di Alda Giuliani, donato dalla signora nel 1383; è in argento sbalzato a delicati motivi floreali impreziositi da smalti; sotto la croce appare la figura della donatrice inginocchiata in preghiera; • l'alabarda di S.Sergio, divenuta emblema di Trieste, in ferro battuto su piedistallo dorato di stile gotico; secondo la leggenda essa cadde miracolosamente nel foro della città l'8 ottobre 303, allorché il santo soldato fu martirizzato in Siria. La tradizione vuole che l'arma-reliquia non tolleri né la ruggine né la doratura. Nel tesoro è conservato anche il polittico di Paolo Veneziano, raffigurante la Crocifisione e sei Santi entro archetti trilobati; altri Santi compaiono a mezzo busto nei pennacchi fra gli archi. La pala fu commissionata per l'altare maggiore della cattedrale nella seconda metà del Trecento. Nella navata sinistra si aprono le due cappelle di S.Giovanni e di S.Giuseppe. La prima risale ad epoca tardoromanica e fu edificata probabilmente nel luogo dell'antico Trieste, …. nell’anno della fede

battistero paleocristiano. La vasca battesimale ha la forma esagonale della consolidata tradizione paleocristiana aquileiese. Sulle pareti sono esposti gli affreschi con le Storie di S.Giusto, recentemente restaurati, strappati dal sacello omonimo, dove nel corso del Trecento avevano ricoperto quelli più antichi, oggi ivi visibili. La cappella di S.Giuseppe fu edificata nel XVII sec. dal vescovo Scarlicchio. Nel 1704 fu eretto il bell'altare marmoreo, in cui è posta la pala raffigurante lo Sposalizio della Vergine, eseguita da Sante Peranda, un discepolo di Palma il Giovane. Nel 1706 fu affrescata dal pittore lombardo Giulio Quaglio, attivo anche a Udine; sulle pareti laterali sono rappresentate le scene della Fuga in Egitto e della Morte di S.Giuseppe; sulla volta la Glorificazione del Santo. Nella navata destra si aprono le cappelle di S.Servolo e di S.Carlo. La cappella di S.Servolo fu eretta nella prima metà del Trecento ed ampliata circa un secolo più tardi. Di grande rilievo artistico è il drammatico gruppo scultoreo del Vesperbild o Compianto sul Cristo morto, in arenaria dipinta, opera di produzione tedesca della prima metà del Trecento. La cappella di S. Carlo fu voluta nel 1336 dal vescovo fra' Pace da Vedano per sistemarvi la propria sepoltura (la sua lapide tombale si trova oggi nella cappella di S.Servolo). In essa sono sepolti alcuni membri del ramo Carlista dei Borboni di Spagna e Marzio Strassoldo di Villanova, capitano cesareo di Trieste dal 1710 al 1723. SANTUARIO DI SANTA MARIA MAGGIORE

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Piazza S.Silvestro Il Santuario di S. Maria Maggiore s'innalza imponente di fianco alla chiesetta romanica di S. Silvestro, oggi tempio delle Comunità Evangeliche elvetica e valdese. La chiesa fu edificata fra il 1627 e il 1682 dai Gesuiti, giunti nella città nei primi anni del secolo. I lavori però furono ultimati molto tempo dopo; infatti la facciata fu compiuta agli inizi del Settecento su progetto, sembra, del celebre architetto padre Andrea Pozzo e la decorazione interna si protrasse ancor più a lungo poiché nel 1773, al momento della soppressione della Compagnia di Gesù, la chiesa era ancora incompiuta. Nel 1849 scoppiò un'epidemia di colera che in pochi mesi mieté numerose vittime: in quel terribile frangente la città si raccomandò fiduciosa alla protezione della Madonna della Salute e il 21 novembre si recò in massa in processione alla chiesa dei Gesuiti, ove il vescovo celebrò un solenne pontificale. Da allora i Triestini ogni anno, il giorno dellla festa della Presentazione di Maria al Tempio detta popolarmente della Madonna della Salute, accorrono numerosi al santuario per partecipare alle liturgie in suo onore. La devozione alla Madonna è promossa soprattutto dalla Confraternita della Madonna della Salute, fondata nel 1827. La chiesa ha pianta a croce latina; l'aula a tre navate è coperta a botte, mentre all'incrocio del transetto si erge la cupola che fu ricostruita nel 1817, dopo un incendio. Nell'abside splende il grande affresco dell'Immacolata Concezione eseguito nel 1842 da Sebastiano Santi. Sull'altare maggiore, eretto fra il 1672 e il 1717; sono collocate le statue dei Santi Gesuiti Ignazio di Loyola, Luigi Gonzaga, Francesco Borgia e Francesco Saverio, scortati da Angeli. A destra del presbiterio si apre la cappella della Madonna della Salute; in cui è degnamente collocata la venerata immagine di Maria, opera seicentesca dipinta forse dal Sassoferrato. A sinistra del presbiterio c'è la cappella del Crocifisso, risalente al 1713. Nei bracci del transetto si fronteggiano gli altari Trieste, … nell’anno della fede

seicenteschi dedicati ai Santi Ignazio e Francesco Saverio; il primo custodisce una bella pala col santo titolare dovuta al pennello di Francesco Maffei. Nelle navate laterali sono collocati altri tre altari: dell'Angelo Custode, dei Martiri Triestini, della Madonna delle Grazie, quest'ultimo con la statua della Vergine col Bambino scolpita dal friulano Pietro Bearzi nel 1853. Nei pennacchi della cupola il palmarino Giovanni Battista Bison dipinse, agli inizi dell'Ottocento, i quattro Evangelisti. Da notare ancora il pulpito marmoreo del 1742, dal quale predicarono oratori di grande fama durante la novena della Madonna della Salute.

CHIESA DI SANT'ANTONIO NUOVO Piazza S.Antonio Nuovo La chiesa di S.Antonio Taumaturgo è chiamata popolarmente S.Antonio Nuovo perché sostituisce una precedente dello stesso titolo, risalente alla seconda metà del Settecento. Fu innalzata tra il 1825 e il 1849 su progetto dell'architetto Pietro Nobile, uno dei massimi esponenti del neoclassicismo triestino, che si ispirò alla grandiosità classica di celebri monumenti romani. Un tempo la chiesa si specchiava nelle acque del porto canale che s'incunea ancor oggi, in parte, nel Borgo Teresiano. La facciata è caratterizzata da un maestoso pronao con sei colonne ioniche e un ampio frontone; sull'attico sono collocate sei statue scolpite nel 1842 da Francesco Bosa raffiguranti i Santi protettori di Trieste, cioè Giusto,

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Sergio, Servolo, Mauro, Eufemia e Tecla. La facciata posteriore è sormontata da una coppia di campanili gemelli. L'interno colpisce per la vasta spazialità scandita dal ritmo lento e pacato degli archi, delle volte a botte, delle crociere, ritmo che trova la sua pausa e il suo fulcro nella cupola centrale. Nell'abside è campito l'affresco eseguito nel 1836 da Sebastiano Santi, raffigurante l'Ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme. La mensa dell'altare maggiore, disegnato dal Nobile, è sormontata da un'edicola con colonnine corinzie e cupola, secondo il gusto del tempo diffuso soprattutto in ambito lombardo. Nelle sei nicchie laterali, illuminate da ampie finestre lunate, sono collocati altrettanti altari inquadrati da coppie di lesene; le grandi pale ottocentesche raffigurano Sant'Anna e la Vergine bambina, del pittore Michelangelo Grigoletti; la Presentazione al tempio, di Felice Schiavoni; San Giuseppe, di Johann Schoomann; Sant'Antonio, di Odorico Politi; il Martirio delle Sante Eufemia, Erasma, Tecla e

Il tempio, dedicato a San Nicolò e alla Santissima Trinità, fu eretto sulle Rive poiché a quei tempi Trieste era un florido emporio e, grazie anche ai commercianti greci, al porto approdavano ogni anno migliaia di battelli da tutto il Levante dove il Santo è molto venerato. Inoltre San Nicola è il patrono dei marittimi, degli armatori e di tutti coloro in generale che lavorano con i traffici del mare, protettore dei perseguitati ingiustamente e dei fanciulli. La chiesa, costruita in forma di basilica a navata unica, fu aperta ufficialmente con la prima Messa celebrata il 18 febbraio 1787. Appena entrati, si nota subito l'Iconostasi lignea splendente di intagli dorati e pitture, pure a fondo oro; sopra i battenti delle tre porte sono raffigurati i Santi Pietro e Paolo ed altri Padri della Chiesa. Ci sono poi nella parte superiore 21 dipinti a tempera su tavola con fondo oro, che raffigurano scene evangeliche. Nella parte inferiore ci sono 8 icone con copertura d'argento: San Nicola, la Madonna in Trono, il Cristo Re, la SS. Trinità, San Spiridione, la Madonna con Bambino, San Giovanni il Precursore; ai due lati le icone di San Giorgio e quella di Santa Caterina d'Alessandria. Sulle pareti laterali ci sono due tele di grandi dimensioni del pittore Cesare dell'Acqua che raffigurano la predicazione del Battista e Cristo con i fanciulli. Più avanti si può ammirare la splendida tela che raffigura l'episodio biblico noto come "L'Ospitalità di Abramo". CHIESA SERBO ORTODOSSA DI SAN SPIRIDIONE via S.Spiridione Nei pressi di piazza S.Antonio sorge la chiesa dedicata a San Spiridione della Comunità cristiana Serbo-Ortodossa. L'edificio, che ha un'altezza di 40 metri, è a Dorotea, di Ludovico Lipparini; la Crocifissio- pianta a croce greca coperta da una grande ne, di Ernest Tunner. cupola sostenuta da quattro arconi, è affiancata da quattro calotte emisferiche che ricoCHIESA GRECO ORIENTALE DI SAN NICOLÒ prono i quattro bracci della croce. La sua Riva III Novembre, 7 struttura ricorda lo stile bizantino delle chiese La presenza della Chiesa Greco-Orientale nella città di Trieste risale alla prima metà del orientali. Il tempio fu aperto al culto il 2 settembre Settecento. Trieste, …. nell’anno della fede

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1868 e può accogliere circa 1600 fedeli. La pietra usata per la costruzione viene dalle cave locali di Santa Croce e da quelle di Brioni in Istria; le colonne della facciata sono in marmo rosso di Verona ed i cornicioni di marmo di Toscana. L'interno è decorato con pregevoli affreschi e

pitture su fondo ad olio. Sopra l'altare si ammira Cristo con gli Apostoli, sulla parte destra è rappresentata l'Assunzione della Vergine. Sulla parete sinistra, in alto, è raffigurato il primo Concilio ecumenico di Nicea del 325 con San Spiridione e gli altri padri conciliari. L'iconostasi, che divide il presbiterio dal resto della chiesa, comprende, in basso, quattro icone d'eccezionale valore e pregio artistico: San Spiridione, Madonna con Bambino, Cristo Re, l'Annunciazione. Sono ricoperte in oro e argento e sono state eseguite in Russia nel primo '800. Nella fila superiore ci sono le icone dei Santi della Serbia: San Simone Mirotocivi, San Sava (1175-1235 fondatore della Chiesa serboortodossa), San Stefano Prvovencani e lo zar Urosh. Nella fila superiore si trovano le immagini del Battesimo, della Crocifissione e della Resurrezione di Cristo. Davanti all'iconostasi risalta il grande candelabro d'argento donato dal granduca russo Paolo Petrovich Romanov durante la sua visiTrieste, … nell’anno della fede

ta a Trieste nel 1772. CHIESA EVANGELICA LUTERANA Largo Panfili Dal 1778 è presente a Trieste una Comunità Evangelica di Confessione Augustana. Nella prima meta del secolo XVI, i primi sintomi dello spirito della Riforma si basarono sia sul luteranesimo tedesco sia su quello dei riformatori svizzeri. La borghesia di Trieste, spiritualmente vivace ed aperta alle novità provenienti da oltralpe, già nel 1540 seguiva con molta partecipazione le prediche tenute nello spirito della Riforma di Lutero. Con la trasformazione in Porto Franco della città, dal 1719 giunsero anche i primi commercianti luterani. Solo nel 1778, però, l'imperatrice Maria Teresa prima ed il figlio Giuseppe II poi, autorizzarono lo svolgimento di funzioni religiose in una casa privata. Nel 1786 i luterani acquistarono la chiesa dedicata alla Madonna del Rosario, che si trova nella parte più antica della città. Nel 1870 tale chiesa fu rivenduta al Comune perché si era resa possibile la costruzione dell'attuale chiesa in Largo Panfili. Aperta al culto nel 1874, questa chiesa, lunga 35 metri e larga 22, fu progettata nello stile neogotico dall'architetto Zimmermann di Breslavia e fu costruita dall'impresa Berlam e Scalmanini. Sono degni di nota i tetti a spiovente in lastre di ardesia, sopra le navate e l'abside ottagonale. Il campanile a punta, ornato da guglie fiorite ha un'altezza di 50 metri. All'interno, sopra l'altare, si ammira la bellissima vetrata

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del coro, che raffigura la "Trasfigurazione di Cristo" del Raffaello, realizzata dalla vetreria artistica Zettler di Monaco di Baviera. La Comunità evangelica luterana negli anni migliori contava quasi 2000 membri. Nel 1852 Trieste aveva 70.486 abitanti e nell'ambito cittadino vivevano 2353 protestanti. Nel tempo queste adesioni sono andate via via riducendosi. Oggi la comunità conta circa 150 membri. Le funzioni domenicali, alle ore 10, si svolgono alternativamente in lingua tedesca e in lingua italiana poichè in questa comunità coesistono queste due identità. BASILICA DI SAN SILVESTRO - Chiesa Evangelica Riformata Elvetica e Valdese Piazza S.Silvestro La basilica di San Silvestro, che sorge accanto alla chiesa cattolica di Santa Maria Maggiore, è la più antica chiesa della città (sec. XI o XII). Sulla facciata di questa bella basilica romanica spicca un sobrio ed elegante rosone, mentre, davanti a quella che fu la porta principale, possiamo ammirare il portico, pure esso romanico, sormontato dal campanile che, probabile antica torre di difesa lungo le mura della città, è stato poi ornato, nell'ultima ricostruzione, da eleganti bifore. Una pia tradizione, attestata da una lapide commemorativa del 1672 murata sulla parete postica della chiesa, fa qui risalire la presenza di un luogo di culto in quella che era stata la casa delle prime cristiane di Trieste, le due martiri Tecla ed Eufemia. Nel corso dei secoli singolari furono le vicende della basilica che la stessa lapide ci ricorda essere stata "primum templum et Cathedrale" della città. La finestra sul lato destro, con profonda strombatura e transenna originale ancora sul posto, e le due transenne marmoree più tardi inserite nel campanile, ci dimostrano come ci sia stata una fase di costruzione più antica di quella romanica. Sopra la porta principale una lapide in latino ci ricorda le ultime vicende allorché nel 1785, sotto l'imperatore Giuseppe II, la chiesa di Trieste, …. nell’anno della fede

San Silvestro fu posta a pubblico incanto al prezzo fiscale di 1500 fiorini. In tale data alcuni membri della Comunità Evangelica di confessione elvetica, in gran parte immigrati svizzeri dai Grigioni, la acquistarono e, dopo averla restaurata in modo sobrio, la riaprirono al culto riformato, dedicandola a Cristo Salvatore. Nel 1927, a causa dei danni di un violento terremoto, fu restaurata ripristinando il primitivo stile del trecento. Nel 1928 la basilica venne dichiarata monumento nazionale. Dalla fine del 1800 alla comunità Elvetica si è affiancata una comunità Valdese, anch'essa riformata, dando vita ad una integrazione totale della vita comunitaria pur nella distinzione amministrativa. La comune fede in Cristo Gesù Salvatore e Signore ha portato ad un'unità di azione e di testimonianza, pur nella libertà delle strutture esteriori e nella responsabilità ed autonomia di ciascuna comunità. Di recente, impegnate fortemente nell'aiuto umanitario delle popolazioni colpite dai rivolgimenti nei Balcani, le Comunità hanno anche sviluppato una certa presenza culturale sia attraverso una biblioteca specializzata in teologia biblica e storia della Riforma, sia attraverso il "Centro Culturale A. Schweitzer" che promuove conferenze e concerti. L'organo di gran pregio - è stato di recente completamente restaurato ed accompagna i culti delle

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Sabato 24 agosto PROGRAMMA MATTINA: ore 8.30 partenza per ARQUA’ (arrivo previsto ore 10.30) Visita al Borgo ore 12 partenza per MONSELICE ore 12.30 Pranzo a MONSELICE: RISTORANTE PIZZERIA CAMPIELLO, RIVIERA BELZONI 2 Tel. 0429 73323 Pomeriggio visita per le strade della città ore 15.30 partenza per VICENZA (arrivo ore 16.30) Visita al Teatro Olimpico oppure alla Città Cena “libera” in Città ore 24.00 previsto rientro Borghi più Belli d'Italia ed ha ricevuto l'elezione a Bandiera Arancione del Touring Club. Oltre l'aspetto storico naturalistico sono stati fatti notevoli investimenti anche nella promozione dei prodotti locali in particolar modo dell'Olio che ha portato il Borgo ad Arquà Petrarca è un Borgo medievale che aderire all'Associazione Nazionale Città conserva immutato il fascino di un tempo ed dell'Olio. è considerato la perla dei Colli Euganei. AbitaLA CASA DEL PETRARCA to fin dai tempi romani, acquistò importanza La struttura originaria era del duecento e fu dopo che Francesco Petrarca, sommo poeta lo stesso Francesco Petrarca, a partire dal della lingua italiana, desiderò trascorrere gli 1369 quando gli fu donata dal Signore di Paultimi anni della sua vita nella caratteristica dova Francesco il Vecchio da Carrara, a preserena quiete del luogo. Il paese ne conserva siedere i lavori di restauro. La casa, composta la casa e la tomba con le spoglie. Il richiamo di due corpi con un dislivello l'uno dall'altro di alla memoria del poeta favorì nei secoli suctre metri e mezzo, fu modificata dal Poeta cessivi il sorgere di case e ville di molte famiche aprì sulla facciata alcune finestre e ne glie venete, che costituiscono oggi un patrifece un unico alloggio con due unità abitative monio artistico ed architettonico degno di riservando come abitazione per sé e per la essere visitato e rivisitato con religiosa attenpropria famiglia il piano sopraelevato dell'ezione. dificio sito sul versante di sinistra, mentre I recenti interventi, i cui sforzi sono stati finariservò alla servitù e ai servizi l'edificio di lizzati alla conservazione e alla valorizzazione destra, sito in alto, dove si trovava anche del patrimonio storico e naturalistico, hanno l'ingresso principale Nel cinquecento ne didato i loro frutti ed oggi la Città di Arquà Pevenne proprietario il nobile padovano Pietro trarca è stata ammessa al ristretto club dei

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Paolo Valdezocco; è' in questo periodo che vengono costruite la loggetta di stile rinascimentale e la scala esterna ed è soprattutto allora che vengono fate dipingere le pareti con tempere rappresentati scene ispirate al Canzoniere, ai Trionfi e all'Africa, tutte opere del Poeta. Seguirono poi anni di degrado, anche se la casa continuava ad essere meta di personaggi famosi quali l'Alfieri ed il Foscolo. L'ultimo proprietario, il cardinale Pietro Silvestri, la donò, nel 1875, al Comune di Padova. Attualmente sono ancora conservati, lo studiolo in cui morì il poeta, con sedia e libreria (pare) originarie. Da ricordare, inoltre, la nicchia in cui è custodita la mummia della gatta che si dice fosse appartenuta al Poeta. Benché la casa abbia subito talvolta notevoli modifiche, la sua attuale sistemazione risale ai restauri avvenuti tra il 1919 e il 1923 quando il Comune di Padova, in accordo con la Soprintendenza ai Monumenti, fece ripristinare tra gli aspetti più importanti l'accesso originario e ricostruire le finestre gotiche. Anche se l'aspetto urbano attorno alla casa si è modificato nei secoli, ciò che rimane immutato è il potere evocativo che la casa suscita in sé, complice il paesaggio che gli si distende davanti e che è più o meno lo stesso ammirato dal Poeta. ORATORIO SS TRINITÀ Dell'Oratorio si hanno notizie certe a partire dal 1181, anche se sicuramente preesisteva. Chiesa molto cara al Petrarca, poiché vi era solito recarsi a pregare vista anche la vicinanza con la propria casa, si presenta con una struttura di impianto romanico ad un'unica navata con travature scoperte e tetto a capanna. Più volte modificato nei secoli, nel trecento, l'Oratorio, fu ingrandito ed affrescato, dell'epoca sono le tracce raffiguranti Trieste, …. nell’anno della fede

alcune Madonne e un piede di San Cristoforo, e nel quattrocento fu poi aggiunta l'abside. All'interno è visibile l'altare ligneo seicentesco con la pala di Palma il Giovane raffigurante la Trinità, e sempre del seicento è il paliotto in cuoio raffigurante il Cristo risorto. Ai lati dell'altare sono collocati la statua di S. Cristoforo in pietra dipinta e la statuta in legno dipinta, di S. Lucia. All'interno della chiesa sono conservate alcune lastre tombali ed un'acquasantiera di epoca romana. Di notevole pregio sono poi un quadro di Giovanni Battista Pellizzari “La trasmissione del bastone di vicario che Antonio degli Oddi fa a Daniele degli Oddi” e una grande tela del 1670, con cornice scolpita, che rappresenta una matrona identificabile con la “Città di Padova nell'atto di rendere omaggio a un vescovo martire”.Il campanile, del XII secolo, fu più volte rimaneggiato sino al 1928 quando un restauro lo riporto alla presumibile forma originaria ricavata da stampe seicentesche. LOGGIA DEI VICARI Legata all'Oratorio, e a ridosso dello stesso, è la Loggia dei Vicari. Di origine duecentesca era il luogo deputato per le riunioni e la discussione dei problemi tra i capifamiglia ed i Vicari. Vi si accedeva dopo essere stati convocati al suono della campana, dall'arco che dava sulla piazza. Nel 1828 il tetto fu demolito è la loggia rimase scoperta sino ai giorni nostri. Nel mese di novembre 2003, il Comune di Arquà Petrarca, ha dato inizio ai lavori che hanno portato la Loggia ad avere nuovamente una copertura. Novità assoluta l'utilizzo del vetro quale struttura portante per la sovrastante copertura in rame. Oggi i riflessi azzurri dei raggi solari filtrati delle capriate in vetro rendono ancor più suggestiva la

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visita al monumento. L'interno della Loggia è arredato con gli stemmi dei Vicari che in passato avevano governato Arquà per conto della Serenissima. La Casa del vicario era adiacente alla loggia e ne condivideva un muro. Entrati, infatti, nella Loggia sulla parete opposta all'entrata dell'Oratorio sono ancora visibili due monofore ed una bifora. Si possono anche vedere i resti dell'affresco trecentesco, di autore ignoto, raffiguranti S. Giuliano ospitaliero che uccide i propri genitori.

ciali, favorite dalle comode vie fluviali di trasporto. L'estrazione di pietra dal colle della Rocca e dal Montericco caratterizza la crescita industriale della città e raggiunge il suo massimo sviluppo nel '700. Un grosso carico di trachite partito da Monselice nel 1722 sarà impiegato per pavimentare piazza San Marco a Venezia. MONSELICE TERRA DI FEDE Percorso: Via XXVIII Aprile, Via del Santuario, Largo Paltanieri, Via Sette Chiese, Vicolo Scalone, Via San Martino, Via San Tommaso, Via Trento Trieste, Via San Giacomo, Via Tassello, NOTE STORICHE Via Matteo Carboni, Via del Pellegrino, Via Nel 602 il bizantino castrum Mons Silicis cade Tortorini, Piazza San Marco, Via Cadorna. nelle mani del re longobardo Agilulfo, come CHIESA DI SAN PAOLO: racconta Paolo Diacono nella sua Historia Uno dei più antichi edifici sacri della Città Longobardorum, prima fonte scritta sull'abiedificato nel VII secolo; ristrutturata nel 1985. tato. Già insediamento neo-eneolitico (IV-III Si presenta come un complesso architettonimillennio a.C.), della cultura del bronzo (II co del ‘700. All’interno dopo una campagna millennio a.C.) e romano, sotto i Longobardi e di scavi riguardanti una piccola chiesetta proFranchi Monselice è un'importante roccaforte to-romanica triabsidata e ad un’unica navata. militare e centro amministrativo a capo di un Dopo il 1255 venne rinnovata per richiesta vasto territorio tra l'Adige e i Colli Euganei. dell’arciprete Simone Paltanieri costruendo Libero Comune a una cripta ed una metà del XII secochiesa a navata lo, nel 1237 accounica; all’interno glie il tiranno della cripta le Ezzelino III da volte a crociera Romano, vicario vengono affrescadell'Imperatore te con raffiguraFederico II di Svezioni di S. Francevia in terra venesco, S. Saverio e ta, il quale vi coS. Paolo. Davanti manda ingenti la chiesa era collavori di fortificalocato un monuzione e ne fa base mento funerario di violente camromano più famopagne militari contro Padova, Este e i castelli so nella storia della Città. L’ANTICA PIEVE DI delle terre vicine.Conquistato nel 1338 dai da SANTA GIUSTINA: Carrara, signori di Padova, al termine di un Costruita per volere del Cardinale Simone estenuante assedio durato un intero anno, Paltanieri nel 1256 sui resti di un'antica chienel 1405 è annesso ai territorio della Serenissa denominata San Martino Nuovo situata in sima. Il lungo e prospero periodo veneziano corrispondenza dell'attuale abside. Originane segna il graduale declino della vocazione riamente l’antica chiesa pievana intitolata alla militare ed il fiorire delle attività agricole, martire padovana Giustina (307 d. C.) era industriali (estrazione e filatura) e commersituata da circa il X secolo sulla sommità del

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colle. La Pieve si presenta ad impianto tardo romanico con elementi decorativi gotici in trachite ed in cotto. Il campanile romanicolombardo del 1200. La facciata in trachite è divisa da cinque paraste di mattoni, con rosone ed ornata da due bifore. Le finestre sono a strombo, gli archi a tutto sesto. Il portale è preceduto da un elegante protiro di stile gotico (l'affresco della lunetta posto sopra il portale è di Antonio Soranzo, 1931). Grazie ai restauri del 19271931 sono state eliminate tutte le superfetazioni barocche. Lo stile si ispira agli ideali di povertà ed austerità ben espressi ad esempio nelle chiese dei Servi e degli Eremitani a Padova. All'interno ad unica larga navata, un'abside quadrangolare con volta a crociera e due cappelle laterali. All'interno si trovano pregevoli opere d'arte tra cui il Polittico di Santa Giustina della metà del XV secolo, la tavola con la Madonna dell'Umiltà attribuita ad Antonio da Verona (1421), l'originale è custodito nel tesoro del Duomo. All'interno sono state collocate numerose tele provenienti dalle chiese e conventi soppressi della Città di Monselice. Si segnale una statua in pietra di Santa Giustina attribuita a Silvio Cosini (1535 ca.), un cippo funerario del I secolo d.C. e quattro formelle a bassorilievo attribuite a Giovanni Marchiori (1696-1778). SANTUARIO GIUBILARE SETTE CHIESE: Un Arco introduce in “via romana” lungo le sei cappelle costruite tra il 1605 e il 1615 a imitazione delle Basiliche Romane del percorso sacro. Progettate dallo Scamozzi (1552/ 1616), piccole stanze che si affacciano sulla via sopraelevata con gradoni. Unici elementi decorativi sono cornici e architravi in trachite, e all’interno sono ospitate tele di Giacomo Trieste, …. nell’anno della fede

Palma il Giovane. Il percorso si conclude alla settima cappella di San Giorgio, in passato oratorio della famiglia Duodo. ORATORIO DI SAN GIORGIO: Punto focale della devozione religiosa popolare a Monselice, e il punto d’arrivo del percorso lungo le sei cappelle Duodo. Progettato dallo Scamozzi fu ridisegnato a pianta circolare nel 1651. Alla fine del Settecento per festeggiare la solenne traslazione di numerose reliquie e di tre martiri, donati dal papa ad Alvise Duodo, si erige l’Arco di ingresso alle sei cappelle e anche la chiesa viene arricchita di un campanile, un orologio, un pavimento in marmo, pitture e altare. CHIESA DEL CARMINE: Alle pendici del Monte Ricco la Chiesa di Santa Maria del Carmine con annesso un monastero di padri carmelitani soppresso nel 1656. Dipinta sopra la parete l’Immagine di Nostra Signora. Il restauro del 1757 dovuto al Rettore Buggiani e tre altari con le pale. Dipinti di Santa Teresa, San Vidale ed Estasi di Santa Teresa. CHIESA DI SAN GIACOMO: Sorta da un ospedale per pellegrini fondato nel 1162, i benedettini costruirono il convento e la chiesa, ricostruita poi nel 1332. Nel 1420 tutto passò ai canonici di San Giorgio in Alga, che restaurarono in maniera radicale il complesso. All’interno due enormi teleri di Michele Desubleo del XVII secolo, rappresentanti la Chiamata di San Giacomo Apostolo e la Trasfigurazione, San Giacomo di Dario Varotari, Crocefisso con Maria e santi di G. Palma il Giovane e la Sacra Famiglia di Maganza. Molto importante la raccolta di libri liturgici miniati dei secoli XVII - XVIII. In un edificio staccato è ospitato il Museo Missionario francescano, con grandi testimonianze storiche e

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deo, due ampie sale realizzate da Vincenzo Scamozzi e decorate rispettivamente da affreschi di Francesco Maffei raffiguranti divinità e figure allegoriche (1637 ca) e da un fregio monocromo di rilevante interesse documentario (1595 ca), riproducente allestimenti teatrali curati dall’Accademia prima della costruzione dell’Olimpico (Amor costante, Sofonisba) e spettacoli o manifestazioni ospitate all’interno del nuovo teatro (Edipo Re, ambasceria dei legati giapponesi). All’interno di uno spazio chiuso che vuole simulare l’ambientazione all’aperto dei teatri classici, Palladio dispone una monumentale scenafronte fiancheggiata da due ali o versure e una cavea semiellittica di tredici gradoni, conclusa alla sommità da un’esedra a colonne, in parte aperta in parte a nicchie entro muro. Nei tabernacoli e sui plinti della struttura architettonica sono collocate le statue degli Accademici committenti del Teatro, abbigliati all’antica. Nell’ordine più alto una serie di splendidi bassorilievi raffiguranti Storie di Ercole, di Ruggero Bascapè. Oltre le tre aperture della TEATRO OLIMPICO scenafronte si staccano le prospettive lignee Teatro OlimpicoCapolavoro e opera estrema raffiguranti le vie di Tebe, realizzate dallo di Andrea Palladio, cui fu commissionato nel Scamozzi per lo spettacolo inaugurale febbraio 1580 dall’Accademia Olimpica, sodadell’Edipo Tiranno e divenute fisse e immutalizio di composita estrazione sociale costituibili nel tempo. tosi a Vicenza nel 1555 con finalità culturali e BASILICA PALLADIANA scientifiche, di cui lo stesso Palladio era socio. La Basilica Palladiana è l’edificio simbolo di La costruzione fu iniziata nel maggio 1580, Vicenza, vertice della creatività di Andrea ma Palladio non ne vide la realizzazione, per Palladio, iscritto dall'Unesco fra i beni patril’improvviso sopraggiungere della morte, il 19 monio dell’umanità. La Basilica si alza maeagosto dello stesso anno. L’Olimpico, dopo stosa sul lato sud della piazza dei Signori, varie e complesse vicende, fu completato cuore e salotto della città. Dal 2007 al 2012 la cinque anni dopo e venne inaugurato il 3 Basilica Palladiana è stata oggetto di un commarzo 1585 con la memorabile messa in sceplesso ed articolato intervento di restauro na dell’Edipo Tiranno di Sofocle. (architettonico, funzionale, impiantistico) Al Teatro si giunge attraverso l’Odeo e antiocon il duplice obiettivo di preservare la notooggetti d’arte raccolti dai missionari in Giappone e Cina. DUOMO NUOVO SAN GIUSEPPE LAVORATORE: Chiesa inaugurata nel 1957, opera dell’architetto Bonato. Al suo interno sono conservati moltissimi arredi provenienti da chiese e monasteri di Monselice soppressi. Le opere più importanti sono una scultura di legno del XV secolo di San Savino, una scultura in pietra della Madonna del pomo, un Crocefisso ligneo di G. Marchiori 1696 1778, due dipinti di Litterini 1669 - 1748 raffiguranti la Morte di san Giuseppe e compianto di Cristo, Estasi di Santa Teresa di Mengardi 1738 - 1796, San Francesco Saverio in adorazione della Madonna di Ludovico da Vernansaal 1689 - 1749, nella cripta due altari seicenteschi provenienti dalla chiesa di Santo Stefano, le sculture in marmo di san Prosdocimo della Bottega di Morlaiter e una santa di Antonio Bonazza oltre a numerose altre pale d’altare.

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rietà e le straordinarie qualità figurative e spaziali del monumento, e di restituire alla città il suo edificio simbolo, garantendo il pieno utilizzo e la funzionalità del complesso per la realizzazione di eventi culturali. Nel 2012 la Basilica Palladiana è stata restituita ai vicentini e trasformata in moderno contenitore culturale, arricchito di nuove e inedite funzioni (culturali, commerciali, informative, civiche). STORIA Il primo nucleo dell'edificio, il primitivo Palazzo della Ragione, fu edificato alla metà del Quattrocento e successivamente circondato, tra il 1481 e il 1494, da un duplice ordine di arcate, erette da Tommaso Formenton. Crollate nel 1496 le logge dell'agolo sudovest, ne venne decisa dopo un lungo dibattito la ricostruzione totale, affidata nel 1546 al giovane Andrea Palladio, a seguito di pubblico concorso. Il progetto segna la consacrazione artistica di Palladioe inaugura il nuovo volto di Vicenza, ispirato alla classicità, come indica lo stesso nome di Basilica, assegnato alla costruzione in riferimento agli edifici della Roma antica dove si discutevano politica e affari. Il sistema adottato da Palladio si basa su un duplice ordine di logge (tuscaniche al piano terra e ioniche al primo piano) che incorpora la preesistente fabbrica gotica, lasciando emergere la

grande copertura a carena di nave rovesciata, e sulla ripetizione lungo tutto il perimetro dello stesso modulo architettonico: la serliana, un arco a luce costante affiancato da due aperture laterali rettangolari. L'opera venne completata nel 1614 con l'apparato scultoreo della terrazza. Il primo piano ospita la grandiosa sala già del Consiglio, lunga 52 metri e alta 25 al colmo della volta. A fianco del complesso monumentale si erge la Torre dei Bissari, alta 82 metri con una base di soli 7, dove venne installato fin dal XIV secolo il primo orologio meccanico a uso pubblico della città. Visite al monumento Terrazza e logge Dal martedì alla domenica dalle 10 alle 18 (ultimo ingresso alle 17.30). Ingresso gratuito dal lato della nuova biglietteria su piazza delle Erbe.

PREGHIERA AI PASTI

Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. O Dio, amante della vita, che nutri gli uccelli del cielo e vesti i gigli del campo, benedici noi e questo cibo perché possiamo servirti meglio nei nostri fratelli. Amen. Trieste, …. nell’anno della fede

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Preghiera alla Madonna di Barbana Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra, Regina della Laguna! Noi, tuoi figli devoti, con gioia veniamo a te e fiduciosi ti supplichiamo. Tu, che in tempi remoti, al pio Barbano lasciasti un segno di sollecitudine materna, continua a volgere il tuo sguardo benigno su di noi, sulle nostre famiglie, su questa terra rivolta ad Oriente e animata dallo spirito che fu di Aquileia cristiana. Tu, consacrata dallo Spirito Santo, fa’ che seguiamo il tuo Figlio sulla via del Vangelo e diventiamo suoi validi testimoni, portando a tutti la Parola di vita con gesti generosi di carità, attenta ai poveri e ai sofferenti. Tu beata perché hai creduto, ottienici dal Signore una fede salda, una speranza fervente, un amore operoso. Mostraci il cammino della pace perché, con tutti i nostri fratelli, possiamo giungere là dove tu dimori con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, nella comunione con i Santi, per tutti i secoli dei secoli Amen.

Benedetto XVI

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