Coco, Deauville, 1938, Photograph by Jacques Henri Lartigue © Ministère de la Culture (France), MAP-AAJHL Jacques Henri Lartigue. L’invenzione della felicità. Fotografie, Casa dei Tre Oci mensile di cultura e spettacolo - n° 245-246 - anno 24 - Lug/Ago 2020 spedizione in A.P. 45% art.2 comma 20/B - legge 662/96 - DCI-VE
EXHIBITIONS MUSEUMS CONCERTS SHOWS CLUBS FOOD&DRINKS...
JUL/AUG 2020 english inside
245-246 venice guide
e 3,00
HERE COMES BACK THE SUN/2
VENICE STARTING OVER
Venice’s lifestyle department store
Calle del Fontego dei Tedeschi steps from the Rialto Bridge, Venice @tfondaco
For reservations : +39 041 805 000 2
VENEWS NOTEBOOKS
MAPPING UP/1 Ripartire segnando nuovi tracciati, nuovi itinerari editoriali, con al centro il confronto, le idee, le visioni, i progetti. Un nuovo format per un nuovo inserto pensato per temi monografici, attorno ai quali disegnare prospettive di respiro aperto, all’insegna di contributi polifonici. Si parte con COME ABITARE IL TEMPO DI DOMANI, riflessione sulle nuove obbligate direzioni per una migliore vivibilità delle città d’arte.
summer edition raddoppia in edicola:
MAGAZINE + NUOVO INSERTO SPECIALE
:editoriale Riscrivendo il divenire
Questa crisi pandemica in cui siamo
tuttora immersi, questa frattura traumatica, radicale, senza (quasi) alcun segnale premonitore ha inevitabilmente lasciato il mondo per lunghi giorni, mesi attonito. Stordito dalla paura, dalla morte, dall’ignoto che questo virus ha imposto nel nostro vissuto quotidiano, immerso in un immenso spazio bianco in cui ogni certezza si è annullata in un batter di ciglia. Appena ripresosi da un knock down esiziale, che ancora ci lascia sulle gambe come pugili suonati, questo stesso nostro mondo
di Massimo Bran ha iniziato a interrogarsi sul che fare, sul domani, su come fare di questa terrificante batosta un’occasione per ripensarsi, per ridefinire il proprio senso sociale di esistere, le proprie complesse funzioni, il proprio destino in una parola. Un interrogarsi dovuto, ineludibile, anche perché, come molti sostengono congruamente, questa ridefinizione di sé era già in clamoroso ritardo rispetto alle dinamiche, alle abitudini di un mondo che da troppo tempo aveva mostrato di (r)esistere senza alcuna seria visione lungimirante, alla mercé del consumo spinto all’estremo, sia in termini di mero, devastante consumismo, sia in termini di consumo, rovina del pianeta e delle sue risorse ambientali. Insomma, un radicale ripensamento per una nuova idea di vivibilità era già nelle cose; questa pandemia l’ha solo, almeno a dare credito al diluvio di parole che viaggiano sulle frequenze del mondo, resa improcrastinabile. Come sempre in questi casi vi è il partito dell’ottimismo costruttivo, che si fa forte comunque della vocazione
del genere umano a progredire al netto della distruzione che esso stesso produce, e quello del cinico disincanto, i cui iscritti in sostanza sostengono che questo coro del cambiamento necessario non rappresenterebbe altro che un’irritante eco di un dire e fare ipocrita, suoni buoni per le orecchie ingenue di chi ha bisogno di credere prossima una nuova musica, più umana, lieve, in antitesi al caos assordante che connota il nostro presente. Forti anch’essi di una loro lettura della storia, ossia che fin che l’uomo non tocca davvero il fondo scavando ancora, andando incontro alla catastrofe, nulla davvero potrà una illuminata consapevolezza nel cambiare in tempo le abitudini malsane del mondo. In mezzo vi è poi un’ampia zona grigia, che in realtà è quella che cerca più concretamente una nuova luce, che non sopporta l’idea di abbandonarsi a facili illusioni, così come prova idiosincrasia per le solite cassandre pronte a suonare la campana a morto verso ogni tentativo riformista serio e partecipato di cambiare lo stato consunto delle cose. Con questo speciale allegato al centro di questo numero estivo del nostro city-magazine mensile, il secondo dopo il lockdown, che dedichiamo al tema di quale futuro progettare per le nostre città, per i nostri centri d’arte, intendiamo convintamente inserirci in questa terza via, quella di un riformismo serio, concreto, che rifugge ogni sirena ideologica e massimalista, ma non per questo certo meno dotato di una disposizione radicale nella visione di ciò che va ri-progettato, anzi! È uno speciale aperto, con un lunghissimo focus naturalmente su Venezia e sulle plurime direzioni da seguire per una sua valorizzazione contemporanea in termini di vivibilità, grazie allo spunto offertoci dal nuovo libro dell’archi-
tetto Stefano Pascolo dal titolo eloquente Venezia Secolo Ventuno, preceduto da un’intervista a un sindaco di una città con problemi molto simili alla nostra, Dario Nardella, primo cittadino di Firenze, uno degli amministratori che più si è distinto negli ultimi tempi per una progettualità concreta nel contenere la spersonalizzazione identitaria di queste città d’arte travolte da un turismo di massa sempre più invasivo. A completare il tutto un quesito aperto su “come abitare il tempo di domani” rivolto a protagonisti della cultura, della finanza, delle istituzioni comunitarie, della letteratura, veneziane e non, costruendo così un viaggio ulteriormente polifonico fuori da ogni logica di mera, autoreferenziale territorialità. È un modo, a nostro modo, di ripartire a mente aperta, con una tensione viva nel guardare oltre il persistente vuoto di questa profonda crisi che ha investito tutti, accelerando criticità già fortemente in atto che ora chiedono senza più alibi risposte lungimiranti e al contempo stringenti. Inauguriamo con questo nuovo format di inserti speciali, diversi dal nostro magazine che li raccoglie per carta e formato, un percorso che già da anni stiamo lentamente incubando e che questa sconvolgente botta ci ha indotto ora ad accelerare. Un percorso che regalerà a voi affezionati lettori notevoli sorprese sia a livello di contenuti editoriali, che di linguaggio visivo, che di modalità fruitive dei nostri svariati progetti editoriali. Una scommessa che dobbiamo innanzitutto vincere con noi stessi, scuotendoci dal torpore che tutto ha anestetizzato in questi lunghi mesi, proiettandoci con passione, lucidità, creatività in un futuro che davvero, per dirla con il grande Joe Strummer, non è scritto. Ora più di sempre.
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H O T E L S T H AT D E F I N E T H E D E S T I N AT I O N ™ Perched high on the hotel rooftop, the 250-square-metre Redentore Terrace is a versatile al-fresco space unique in Venice for its unequalled views of the city and southern lagoon. This summer reunite with family and friends for a day of relaxed socialising Gritti-style as you enjoy the exclusivity of a private Terrace and our renowned hospitality. Call +39 041 794611 for information and to reserve. EXPLORE THE DESTINATION AT THEGRITTIPALACE.COM
READING AND LISTENING
SUMMER COMPILATION
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Sound of the Sinners , The Clash
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There is a light that never goes out , The Smiths
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Sax and Violins , Talking Heads
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Ultralight Beam, Kanye West
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Il Redentore si farà, ma senza i tradizionali “foghi”. Ragioni per una festa al momento ce ne sono pochissime, per non dire nessuna, ma conta la voglia di essere vivi, vitali e con uno sguardo proteso oltre l’orizzonte dell’oggi.
Dalla colonna sonora di Fino alla fine del mondo. Il regista tedesco Wim Wenders è uno dei cinque curatori invitati a offrire il loro punto di vista sul lavoro di Henri Cartier-Bresson per la mostra di Palazzo Grassi. E l’ultimo graffio inciso dalle Teste Parlanti ci pare un sublime benvenuto al maestro di Düsseldorf.
Le immagini di Love is the Message, the Message is Death di Arthur Jafa scorrono sulle note di questo brano di Kanye West, il musicista, produttore e regista afroamericano che ha recentemente annunciato la sua, vera o presunta si vedrà…, candidatura alla presidenza degli Stati Uniti.
Concerto da camera , Luis de Pablo
Grande compositore del secolo appena trascorso, il primo a sfidare il tradizionalismo del periodo franchista in chiave contemporanea. A Luis de Pablo va il Leone d’Oro della 64. Biennale Musica diretta da Ivan Fedele (25 settembre-4 ottobre).
Amerigo, Francesco Guccini
Scrigno di ricordi tra elegia e ballata, Tralummescuro di Francesco Guccini (Giunti) è uno dei 5 libri finalisti del Premio Campiello 2020. Amerigo ci piace proprio, sì, per questa letteraria occasione.
Infected, Bad Religion
Poco più che maggiorenni, hanno fatto tutto da soli, in perfetto spirito punk. Si chiamano Bad Religion. Per sentirli bisogna andare al Festival di Majano il 12 agosto.
8
Vieni a vivere, Dente
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Il mio nemico, Daniele Silvestri
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Inauguriamo a partire da questo numero un nuovo format di inserti speciali, proiettandoci con passione, lucidità, creatività in un futuro che davvero, per dirla con il grande Joe Strummer, non è scritto. The future is unwritten!
Fra i pochissimi cantanti italiani ad annunciare un tour in questa estate post pandemia, Dente si esibisce sul palco dell’Anfiteatro del Venda di Galzignano Terme (Pd) il 31 luglio. “Il mio nemico non ha divisa, ama le armi ma non le usa, nella fondina tiene le carte Visa e quando spara non chiede scusa”. Il cantautore romano è uno dei protagonisti della rassegna trevigiana Suoni di Marca 2020.
10 Alright, Kendrick Lamar
10
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Fra i più importanti rappresentanti della musica rap e hip pop, Lamar è un grande narratore urbano. Alright, dall’album To Pimp a Butterfly, è diventato un iconico manifesto delle proteste Black Lives Matter.
11 Afro-American Symphony, William Grant Still
Still ha realizzato più di 150 lavori, tra cui cinque sinfonie e otto opere. È stato il primo afroamericano a dirigere una grande orchestra sinfonica americana.
12 Gabril’s Oboe (The Mission) – live in Venice 2007 – a cura di Marisa Santin
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Ennio Morricone
Immortale. Non possiamo che chiudere la nostra playlist del mese con un omaggio a Ennio Morricone. La sua musica è stata, è e sarà per sempre un grande dono per tutti noi.
REDENTORE AND MORE
INTERVIEW
EIKE SCHMIDT
Con il direttore degli Uffizi una riflessione a tutto tondo sul ‘sistema-museo’, necessariamente rivoluzionato dall’emergenza sanitaria. Nuovi modelli e nuovi pubblici per un’arte che come mai prima può farsi specchio privilegiato di questo tempo interrotto/ With the director of the Uffizi Gallery of Florence, a reflection on the museum system and what does the pandemic mean for it. New models and new audiences for art, now more than ever the mirror of this broken times
STAGIONE ESTIVA
INTERVIEW
FORTUNATO ORTOMBINA La Fenice reinventa sé stessa con un nuovo avveniristico allestimento di sala e un programma cucito su misura per la città. Un cartellone riveduto e corretto per garantire al pubblico un’offerta all’insegna della qualità, grazie a un repertorio altamente ragionato/ The Fenice Theatre reinvents itself with a futuristic scenography and a programme of the highest quality hand-picked for the city
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Cento serate di spettacoli, tre palcoscenici, undici nuove produzioni. Un unico cartellone unisce idealmente Venezia, Padova e Treviso per l’estiva dello Teatro Stabile del Veneto. Dai grandi classici alla nuova drammaturgia, dal teatro di narrazione alla Commedia dell’arte, autori, artisti e compagnie ritrovano il pubblico a Teatro/ One hundred nights of shows, three stages, eleven new productions. Venice, Padova, and Treviso ideally united in a summer programme by Teatro Stabile del Veneto company. Classic and modern dramas, narrative theatre, Commedia dell’Arte, authors, artists, and companies meet their audiences again
:theatro
Ci abbiamo pensato un bel po’ prima di utilizzare di nuovo questa copertina, sì. Del resto, ripetere la stessa cover utilizzata due numeri prima è una cosa che non capita due volte nella storia di un magazine come il nostro. Però, cercando l’immagine giusta, forte, pregnante per segnare questo primo numero di vero inizio di un minimo recupero di normalità, dopo la prima uscita di maggio a lockdown appena, e solo parzialmente, conclusosi, dopo aver accumulato decine e decine di foto bellissime su mostre e primi spettacoli live, ci siamo guardati e ci siam detti: ma insomma, perché non ripartire davvero da dove ci eravamo fermati, con quella cover ai primi di marzo che davvero pochi hanno visto, con quell’immagine lirica e sensuale di una ragazza distesa in piena libertà su una spiaggia in pieni anni ’30 (!!) del fotografo e pittore francese Jacques Henri Lartigue, esposta nella personale (da poco riapertasi) dello stesso ai Tre Oci? Un’immagine che inconsapevolmente avevamo scelto in un momento rivelatosi di lì a poco davvero altro rispetto a ciò che con l’istantanea intendevamo restituire, ossia l’urgenza di un’immediata ripartenza dopo la ferita quasi mortale dell’Acqua Granda di novembre, bramosi di aggrapparci a una normalità cui pochi davvero anche solo immaginavano in quel momento di dover nuovamente, drasticamente sottrarsi. Era la primavera che incalzava, il mare all’orizzonte, la voglia di riprendersi lo spazio aperto, libero. Sappiamo come è andata. Tutto è ancora in bilico, l’equilibrio rimane precario, eppur si muove… Sì, questo nostro quotidiano per mesi mutilato da un silenzio sordo e oscuro ora ribussa legittimamente alle porte di una normalità che è la sua condizione di vita naturale, ordinaria. Il suo habitat. Quindi una cover che poteva quattro mesi fa, col senno di poi, apparire stonata, oggi recupera una sua iconica legittimità, un suo senso vivo di esistere. Ebbene sì, ci siamo detti, ridiamo a quest’immagine ciò che è di questa immagine, ciò che intendeva dire e che oggi può ben dire a piena voce, senza alcuna distonia. E allora ecco questa seconda versione ancora più vibrante e luminosa: HERE COMES BACK THE SUN/2.
:classical
COVER STORY
Avremmo sperato che la festa del Redentore potesse segnare un momento di liberazione da questa ‘peste’ contemporanea, ma dobbiamo anche in questo caso cambiare abitudini e assaporare una Festa tradizionale senza i leggendari foghi, rinuncia tanto epocale quanto doverosa nel nome della sicurezza di tutti! Venezia non si ferma, tra tradizione, arte, musica, cinema e teatro l’estate è un unico grande spettacolo!/ How we hoped that the Redentore festival would give us some sense of freedom from this modern ‘plague’, but habits are here to change and the way we will enjoy the feast this year will be quite different than the usual. No fireworks, though that doesn’t mean life in Venice stops: tradition, art, music, cinema, and theatre – the summer has much to offer!
16 :arte
:zoom
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Negli spazi della Fondazione Pinault tre straordinarie esposizioni, UNTITLED, 2020, Henri Cartier-Bresson. Le Grand Jeu e Youssef Nabil. Once Upon a Dream, con un team di curatori eccezionalmente polifonico: Caroline Bourgeois, Muna El Fituri, Thomas Houseago, François Pinault, Annie Leibovitz, Javier Cercas, Wim Wenders, Sylvie Aubenas e Matthieu Humery/ Three amazing art exhibitions at Pinault Foundation thanks to a world-class team of curators
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LIVE SUMMER
Una mappa musicale che si riaccende, per esibizioni dal vivo a prova di distanziamento sociale: Veneto Jazz chiama a raccolta al Laguna Libre e a Padova, rispondono Villa Manin, l’Anfiteatro del Venda e Grado Jazz, Bad Religion e Supergrass per un’estate che vuole tingersi di normalità/ A map of music that lights up with live performances to be enjoyed in the safest way possible: Veneto Jazz (Laguna Libre, Castello di Padova) rallies the troops with Villa Manin, Venda Theatre, Grado Jazz, Bad Religion, Supergrass
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PALAZZO GRASSI PUNTA DELLA DOGANA
16:arte
Gallerie degli Uffizi – Intervista a Eike Schmidt Untitled, 2020 Henri Cartier-Bresson. Le Grand Jeu Youssef Nabil. Once Upon a Dream Università Ca’ Foscari – Intervista a Monica Billio [BREATHING] Arthur Jafa Oceans in Transformation Tiziano Vecellio – Madonna Pesaro Collezione Peggy Guggenheim Fondazione Querini Stampalia Jacques Henri Lartigue “Fondation Valmont” – Intervista a Dieder Guillon Piranesi Roma Basilico Fondazione Vedova Gallerie Il racconto della Montagna Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna Les Anomalies
37:musica
64. Festival di Musica Contemporanea [preview] Auguri Guccini! Anfiteatro del Venda Castello Festival Grado Jazz Sile Jazz Suoni di Marca [BREATHING] Kendrick Lamar Bad Religion Supergrass Open Jazz Operaestate No Borders Music Festival Sexto ‘Nplugged Villa Manin Estate
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OPENING
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Festa del Redentore Summer Diary Urban Tips
:musica
:arte
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42:classical
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Teatro La Fenice – Fortunato Ortombina [BREATHING] William Grant Still Artemandoline Palazzetto Bru Zane Piccolo Opera Festival Arena di Verona Musikàmera Teatro di San Cassiano
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Classici Fuori Mostra Far East Film Festival, I 7 samurai Ennio Morricone Cinemoving Supervisioni Cinefacts [BREATHING] Via col vento Catch’em Back
HOSTARIA IN CERTOSA
Alajmo style, o del lusso della semplicità. All’isola della Certosa un’Hostaria che con il mare dialoga e dal mare prende ispirazione, senza trascurare l’opzione vegetariana e i piatti di carne. Il tutto in un ambiente dal design semplice quanto curato/ The luxury of simplicity. At Certosa Island, the Alajmo Brothers created a pop-up eatery that speaks the language of the sea, together with vegetarian and meat options. Simple, effective, curated design for a great day out
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14. Festival di Danza Contemporanea [preview] Registe alla Biennale Teatro 1934 – 2016 Stagione Estiva – Teatro Stabile del Veneto 40. Arteven Operaestate Festival Marghera Estate Estate Teatrale Veronese 73. Classici al Teatro Olimpico [preview] [BREATHING] August Wilson
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Parole – Dopo Carlos Ruiz Zafón Libri del Mese [BREATHING] Barack Obama
Jul/Aug
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Hostaria in Certosa The Gritti Palace Ca’ Maria Adele Caffè Florian Belmond Hotel Cipriani Hotel Metropole Arva Aman Venice Villa Eden Merano Punto.Zero Cocai Express Local Pop Up Veneziani a Tavola – Leonardo Di Angilla
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NUOVE DATE 11.07.20 > 10.01.21
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l’evento del mese the event of the month
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Polvere di stelle
Tutti noi avremmo sperato che la festa
del Redentore 2020 potesse segnare un momento di liberazione da questa ‘peste’ contemporanea che sta flagellando il Pianeta, e invece non possiamo permettercelo. Troppo poco tempo passato dal lockdown e troppa incertezza in questa Fase 2 hanno costretto le autorità a prendere una decisione drastica e sofferta, certamente storica, ma dovuta e pensata per la salute pubblica: un Redentore privo della sua notte dei foghi. Segnale positivo è il mantenimento della Festa – il ponte votivo
di Fabio Marzari che collega le Zattere alla Giudecca, le celebrazioni nella Chiesa del Redentore, la regata e i freschi in barca –, la tradizione che viene rispettata e vissuta forse con meno clamore, ma con maggiore intensità ‘spirituale’, almeno questi sono gli auspici. Anche se la parola stessa “festa” sembra quasi fuori luogo; servirebbe pronunciarla e viverla di conseguenza in maniera sommessa, leggermente sottotono come si confà in una situazione come la presente ancora dagli esiti più che incerti. Allora, correva l’anno 1575, la peste aveva duramente colpito Venezia e la liberazione da questo flagello aveva portato a un ringraziamento tangibile e magnifico, con la chiesa progettata da Palladio come ex voto per lo scampato pericolo e l’origine di una Festa che rimane a secoli di distanza nel cuore dei veneziani di ogni latitudine. Negli ultimi anni, la festa del Redentore aveva perso quasi del tutto il suo aspetto religioso ed era diventato un innocuo, ma fragoroso baccanale laico di mezza estate, in cui la Laguna prendeva le sembianze di una fumeria a cielo aperto con concentrazioni alcoliche per metro quadro da far sembrare un raduno degli alpini al confronto una gara di uncinetto tra pie donne. Sarebbe auspica-
bile che il Redentore 2020 fosse in grado di stimo- lare anche riflessioni più ampie sulle pesti dell’oggi, che non si chiamano solo Covid-19, ma anche inquinamento globale, disoccupazione di massa e nel caso di Venezia spopolamento e impoverimento del tessuto economico e sociale cittadino, monocultura turistica legata spesso al mordi e fuggi e molto altro. Non per fare la voce fuori dal coro, a ben vedere, ragioni per una festa al momento ce ne sono pochissime, per non dire alcuna, ma conta la voglia di essere vivi, vitali e con uno sguardo proteso oltre l’orizzonte dell’oggi. Sarebbe importante non cadere nella retorica di cui sono infarciti i proclami del fare, spesso sfocianti nel nulla, e pensare al Redentore come a una continuità della vita a Venezia, della capacità di andare avanti malgrado il mare in burrasca e magari, auspicabilmente, della necessità di cambiare radicalmente l’idea di gestione della città, a favore di tutti, nello spettacolo del quotidiano, che anche senza luci nel cielo, a Venezia è ordinariamente straordinario. Si è abusato della parola “resilienza” e non la si trasformi essa stessa nella capacità di adattamento alla mediocrità di cui siamo avvolti. Si festeggia per riflettere, non per essere distratti o peggio ingannati da chi col sorriso bonario ha messo le mani sulla città, in questo caso il verbo ἁρπάζειν che in greco antico significa “afferrare con fare predatorio”, definisce perfettamente il pensiero. I fuochi quest’anno non coloreranno il cielo di mille sgargianti colori e le fontane d’acqua non sorgeranno dalle acque, ma tutti noi nell’attraversare il ponte votivo dovremmo alzare gli occhi al cielo e dedicare la Festa alle tantissime vittime del Covid-19, loro saranno la polvere di stelle che saprà brillare ai nostri occhi lucidi di spettatori ammirati. Festa del Redentore 18-19 luglio
Stardust
We all
hhoped that the Redentore – the great Venetian folk feast of Christ the Redeemer – could be the day we all feel free from this modern-day plague scourging the planet. It seems this won’t be the case, as the celebrative fireworks have been called off for this year. The feast itself will take place: the Mass at the Redentore Church, the regatta, and for the common folk, a day out in the lagoon. In some way, tradition will be respected, and, who knows, maybe what we lose in ruckus we’ll make up for in spiritual intensity. It was the year 1575, plague had been running rampant in Venice in the years prior, and liberation from the deadly infection inspired Venetian to give thanks to God with the building of a beautiful new church, designed by Andrea Palladio. Venetians have felt close to the event and especially to the celebration ever since. Over the last few years, the Redentore had been shedding nearly all its religious qualifications to grow into a harmless, as much as it is chaotic, midsummer bacchanal. Keywords: weed, booze, and barchino – or small, open powerboat. If allowed, I will add that hopefully, the 2020 Redentore will make us reflect on the other plagues of our time, and this means more than Covid-19: it means pollution, unemployment, and in the case of Venice, flight from the urban core of the city and the impoverishment of the economic and social fabric of a city that relies too much on day tourism. The world ‘resilience’ has been used and overused, to the point we may be tempted to equal it with adaptability to mediocrity. In the end, no fireworks for once, but as we cross the temporary bridge from the Zattere Quay on to the Redentore Church, we shall look up and dedicate the celebration to the many victims of Covid-19, stardust reflecting on our eyes.
Summer Diary GRAN TEATRO LA FENICE Campo San Fantin
10, 12, 14, 15 luglio July h.19 OTTONE IN VILLA Direttore/ conductor Diego Fasolis Regia/ director Giovanni Di Cicco 13 luglio July h.19 ANNA TIFU violin MARCO SCHIRRU piano Ernest Chausson, Robert Schumann, Pablo de Sarasate 16, 17 luglio July h.19 ORCHESTRA DEL TEATRO LA FENICE Richard Strauss, Mozart 19 luglio July h.19 GENNARO CARDAROPOLI violin CLAUDIO LAURETI viola ERICA PICCOTTI cello MARGHERITA SANTI piano Robert Schumann, Johannes Brahms
VATICAN CHAPELS Guided tours Island of San Giorgio Maggiore
From July it will be possible to visit the Foundation’s “Wood” and the Vatican Chapels, presented to the public last year during the 16th International Architecture Exhibition of the Venice Biennale. The overall installation, in fact, was created for the first ever Holy See Pavilion at the Architecture Biennale. Cardinal Gianfranco Ravasi invited ten architects (from Italy, Spain, Portugal, Great Britain, the USA, Australia, Brazil, Japan, Chile, Serbia and Paraguay) to build a chapel each, starting from the model of Gunnar Asplund’s “Woodland Chapel”, constructed in a Stockholm cemetery in 1920. The result was the Vatican Chapels, and these highly unusual, new buildings are now on permanent display in a setting, both natural and abstract, in the “Wood” of the Fondazione Giorgio Cini.
[In Venice] every hour of the day is a miracle of light. In summer with daybreak the rising sun produces such a tender magic on the water that it nearly breaks one’s heart. As the hours progress the light becomes more and more violent until it envelops the city with a diamond-like haze. Then it commences slowly to sink into the magic sunset, the capolavoro of the day. This is the moment to be on the water. It is imperative. The canals lure you, call you, cry to you to come and embrace them from a gondola.
22 luglio July h.19 ALEX ESPOSITO RECITAL Mozart, Verdi, Pauline Viardot, Gounod, Berlioz, Chaminade, Offenbach, Boito 23 luglio July h.19 FRANCESCO MELI, LUCA SALSI RECITAL Verdi, Liszt, Scriabin 27, 29 agostoAugust h.19 LA TRAVIATA Direttore/ conductor Stefano Ranzani Regia/ director Robert Carsen
Peggy Guggenheim, Out of This Century
WAITING FOR… VENEZIA JAZZ FESTIVAL Laguna Libre - Fondamenta di Cannaregio
HAPPY BIRTHDAY PEGGY! 26 agostoAugust
11 luglio July h.20 PICK UP THE TIPS modern jazz 17 luglio July h.20 PAOLO GENOVESI PIANO SOLO My Favourite Songs jazz 18 luglio July h.20 MINIMAL KLEZMER klezmer & improvisation 24 luglio July h.20 ALVISE SEGGI TRIO The Bloop modern jazz 25 luglio July h.20 EVE TRIO My Song jazz fusion
31 luglio July h.20 SAX OFF ON VENICE jazz soul r&b 1 agostoAugust h.20 GIACOMO FRANZOSO TRIO swing modern jazz 7 agostoAugust h.20 FRANCESCO CARLON TRIO modern jazz 8 agostoAugust h.20 OTTETTO CAROVANA TABÙ jazz soul funk blues
WOMEN FOR FREEDOM Musica con vista A grande richiesta torna all’Hotel Carlton on The Grand Canal Women for Freedom in Jazz, maratona di concerti e solidarietà a cura di Elena Ferrarese, in collaborazione con l’organizzazione umanitaria Women for Freedom di Bassano del Grappa. Ogni venerdì alle 20.30, dal 10 luglio al 11 settembre, sulla terrazza panoramica Top of the Carlton Sky
GIARDINI REALI
Take a break in a paradise corner of Venice behind Piazza San Marco
VENICE OPEN STAGE 2020 Teatro in Campo a San Sebastiano
A campazzo San Sebastiano, dal 21 luglio al 2 agosto, si accendo le luci della ribalta su Otto Venti, rassegna organizzata da Cantieri Teatrali Veneziani: tredici serate di spettacoli gratuiti, con un gran finale, per la prima volta, sull’isola di Sant’Erasmo. L’ottava edizione, in via del tutto eccezionale, non ospiterà accademie e università internazionali che, per ovvi motivi, non hanno potuto lavorare adeguatamente con allievi attrici e attori, ma vedrà sul palco, oltre alle tre compagnie OFF selezionate tramite bando, formazioni professioniste provenienti dal territorio. La meraviglia del teatro all’aperto in un campo veneziano./ In Campazzo San Sebastiano, July 21 to August 2, Otto Venti is a theatre programme of thirteen shows, accessible free of charge, with a finale on Sant’Erasmo Island. Now at their eighth edition, there will be little participation from international academies and institutions due to the pandemic, but there will be local theatre companies participating. An open-air theatre in a beautiful Venetian public square.
A BRIGHTER SUMMER DAY Appunti di Cinema
Lounge, protagoniste sono le splendide voci di: Piera Acone (17/7), Federica Capra (24/7), Rita Bincoletto (31/7), Malika Fé (7/8), Paola Furlano (14/8), Francesca Bertazzo Hart (21/8), Enrica Bacchia (28/8), Rosa Emilia Dias (4/9) e Angela Milanese (11/9)./ By popular demand, Hotel Carlton on the Grand Canal resumes its appointments with Women for
IN JAZZ Freedom in Jazz, a series of solidarity concerts curated by Elena Ferrarese, in cooperation with humanitarian NGO Women for Freedom. Every Wednesday at 8:30pm, from July 10 to September 11, the rooftop terrace at Carlton will welcome the audience for the amazing voices of the women of jazz.
Lo sguardo di grandi registi per riattivare un tessuto urbano culturale prezioso come quello veneziano. Ogni mercoledì dall’8 al 22 luglio alle ore 20.45 Fujiyama Tea Room Beatrice (C. Lunga S. Barnaba, 2727) ospita le proiezioni della sezione Appunti per un cinema post-coloniale: Antonio Das Mortes di Glauber Rocha, Labanta Negro! di Piero Nelli e Uruguay. La guerriglia urbana di Romano Scavolini, Loubia Hamra di Narimane Mari. Dal 20 luglio all’1 agosto dalle ore 10 alle 18 presso la sede di ICI Venice (Santa Croce, 923) è possibile visitare la mostra fotografica a cura di Reading Bloom, Portrait of Shirley – Retrospettiva completa su Shirley Clarke, e assistere alla proiezione di tutti i cortometraggi della regista, mentre le proiezioni dei lungometraggi sono accessibili previa prenotazione: The Connection (23/7), Portrait of Jason (24/7), Ornette: Made in America (29/7), Robert Frost: A Lover’s Quarrel with the World (30/7)./ The art of great movie directors to activate a piece of urban fabric as precious as Venice. Every Wednesday from July 8 to 22, Fujiyama Tea Room Beatrice houses film screenings of programme Appunti per un cinema post-coloniale: Antonio Das Mortes by Glauber Rocha, Labanta Negro! by Piero Nelli, Uruguay. La guerriglia urbana by Romano Scavolini, and Loubia Hamra by Narimane Mari. From July 20 to August 1, 10am to 6pm, photography exhibition Portrait of Shirley will be open at ICI Venice (Santa Croce, 923). Short movies will be screened continuously while access to feature-length movies will be available under reservation.
CINEMOVING
Cinema sotto le stelle in Campo San Polo 14 agostoAugust Il GGG – Il Grande Gigante Gentile Steven Spielberg (USA, UK, Canada, 2016, 117’) 15 agostoAugust Quasi amici – Intouchables Oliver Nakache, Éric Toledano (Francia, 2012, 102’) 16 agostoAugust Brooklyn John Crowley (Irlanda, UK, 2015, 113’) 17 agostoAugust Alì ha gli occhi azzurri Claudio Giovannesi (Italia, 2012, 99’) 18 agostoAugust Whiskey tango foxtrot Glenn Ficarra, John Requa (USA, 2016, 112’) 19 agostoAugust Un’estate in Provenza Rose Bosch (Francia, 2014, 105’) 20 agostoAugust Tutto ciò che voglio Ben Lewin (USA, 2017, 93’) 21 agostoAugust Sopravvissuto – The Martian Ridley Scott (USA, 2015, 144’) 22 agostoAugust Inside Out Ronnie Del Carmen, Pete Docter (USA, 2015, 94’) 23 agostoAugust Tintoretto. L’artista che uccise la pittura Erminio Perocco (Italia, Germania, 85’) 24 agostoAugust Adorabili amiche Benoît Pétré (Francia, 2010, 90’) 25 agostoAugust Rara – Una strana famiglia Pepa San Martin (Cile, Argentina, 2016, 90’) 26 agostoAugust Un giorno all’improvviso Ciro D’Emilio (Italia, 2018, 88’) 27 agostoAugust 10 cose di noi Brad Silberling (USA, 2006, 82’) 28 agostoAugust La casa dei libri Isabel Coixet (Spagna, UK, 2017, 108’) 29 agostoAugust L’uomo che sapeva troppo Alfred Hitchcock (USA, 1956, 119’) 30 agostoAugust L’altro volto della speranza Aki Kaurismäki (Finlandia, 2017, 98’)
Urban Tips VENEZIA È VIVA Dodici designer, veneziani di nascita o di adozione, hanno in comune la scelta di lavorare a Venezia e la ricerca di
Veneziana, curiosa e creativa, Andreina Brengola lavora molle industriali in acciaio, alluminio, pietre semi preziose, plexiglass, silicone, mescolati tra loro che danno vita a gioielli semplici ed eleganti dal design unico e originale.
Gaetano di Gregorio, veneziano di adozione, lavora sia come architetto che come ceramista e designer. Privilegia la dimensione narrativa nel suo lavoro, dividendosi tra tradizione e ricerca, passato e presente, Venezia e la Sicilia dove è nato.
un design contemporaneo e autentico. T Fondaco dei Tedeschi, ai piedi del Ponte di Rialto, riapre al pubblico con un progetto che affonda le radici nell’arte, nella cultura e nella tradizione di Venezia, ospitando il lavoro di questi dodici designer. Il Fondaco diventa così un hub della creatività, da quella tradizionale alla più giovane e innovativa, dove le eccellenze dialogano tra loro in un omaggio concreto a Venezia. Il lavoro di questi designer è la dimostrazione che il potenziale creativo della città è vivo e la vitale cultura dell’innovazione e dell’eccellenza, da sempre elemento distintivo di Venezia, scende ora in campo impegnandosi a difenderla. Il progetto, che si snoda lungo le vetrine del Fondaco, diventa un manifesto di “resilienza attiva” pronta ad accogliere la difficile sfida e a gridare “Venezia è viva. Viva Venezia!”.
Mauro Cazzaro e Antonella Maione formano lo studio di progettazione Kanz Architetti, impegnato in lavori a scala molto diversa – dall’architettura all’interior design fino all’oggetto – e in ricerche nel campo del design su materiali, prevalentemente il vetro, e tecniche di lavorazione mantenendo sempre un approccio sperimentale.
L’esperienza nel design industriale, nell’architettura d’interni e la passione per le arti decorative di Eliana Gerotto, direttrice creativa di Venice Factory, si esprimono nelle collezioni, coniugando tradizione e progettazione, grafica e decorazione. Foto servizio di Marco Cappelletti
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ESTATE IN BIENNALE studio saòr è uno studio creativo veneziano che si occupa di “architettura illustrata”. La ricerca, nata dalla curiosità di una coppia di architetti, è spinta dalla volontà di sperimentare un metodo di osservazione e rappresentazione dei luoghi. Un esempio è Catalogo Veneziano, un progetto in progress di mappatura della città, una collezione per capitoli dei suoi elementi urbani.
Artista visiva nata a Venezia, Cosima Montavoci inizia a lavorare il vetro molto giovane con una tale passione che è spinta a soli 18 anni ad aprire il suo laboratorio. Crea nel 2016 Sunset Yogurt il cui stile è elegante, audace e scultoreo. Senso e assurdità, tragicità e humour, caos e calma trovano nei suoi gioielli una comune dimensione dove coesistere.
Lorenzo Passi è un “artista del vetro” nato a Milano ma trasferitosi a Venezia per lavorare in una Fornace di Murano. Ogni sua opera ha una storia che la rende unica. Aspira infatti a esprimere la sua parte più recondita e privata tramite le proprie opere.
Nata in Brasile, Daniela Levera si trasferisce in Italia a 19 anni per conseguire studi di design industriale all’Università Iuav di Venezia. Si specializza nella ceramica a Faenza prima di aprire a Venezia il suo atelier ADL-Atelier Daniela Levera che produce oggetti funzionali e decorativi, in ceramica e porcellana, con diverse tecniche di produzione manuale.
Giovane artista veneziana, Michela Bortolozzi è impegnata nell’arte sostenibile. Il suo progetto Eat and Run riguarda proprio la sua città e il turismo “mordi e fuggi” di cui è la preda. Con i lecca-lecca, le candele e gli orecchini a forma di trifore, che diventano vere e proprio architetture commestibili, intende sensibilizzare a un turismo più responsabile.
Piero Dri è veneziano, innamorato della laguna e dell’artigiano veneziano. Si laurea in astronomia ma cambia presto strada per dedicarsi alla sua vera passione: la lavorazione del legno. Nel 2013 apre la bottega Il forcolaio matto, specializzata nella realizzazione artigianale di forcole e remi in legno.
Nata a Venezia, Giulia Bevilacqua rappresenta l’ultima generazione della famiglia Bevilacqua, tessitori dal XVI secolo. Crea il brand BVL con l’intenzione di tramandare tradizioni secolari e mantenere, espandere e articolare un patrimonio di famiglia vivo da secoli: la tessitura del velluto serico in Venezia.
Pieces of Venice, formato da Luciano Marson, Karin Friebel e Luca Cerchier, offre una collezione di oggetti con materiali di riuso: il rovere di briccola, il larice di passerelle e pontili dismessi per donare a tutti la possibilità di avere un pezzettino di Venezia tra le mani. In altre parole per contribuire a «salvare Venezia un pezzo alla volta».
Manca la Mostra di Architettura ma la Biennale non si ferma. Una serie di iniziative anima l’estate dei Giardini e dell’Arsenale a partire dal 15 luglio, fra cui visite guidate alle due sedi, una mostra fotografica presso gli spazi dell’Arsenale e le attività del programma Educational. Le visite e i percorsi guidati sono pensati come suggestioni storico/architettoniche delle sedi della Biennale. Con Il Giardino delle Arti si va alla scoperta del verde storico e dei padiglioni permanenti dei Giardini, veri capolavori firmati da nomi illustri dell’architettura internazionale, da Alvar Aalto a Brenno Del Giudice, da Sverre Fehn a Josef Hoffmann, da Gerrit Thomas Rietveld a Carlo Scarpa. Alla scoperta dei Giardini offre invece una serie di quattro appuntamenti settimanali articolata su altrettante fasi storiche del luogo: da Giardino napoleonico a Parco delle Esposizioni, dalla Belle Époque alla Grande Guerra, dal Dopoguerra agli anni Quaranta, dalla ricostruzione alla globalizzazione. All’Arsenale, La fucina delle arti è un percorso a ritroso alla scoperta della storia di uno dei luoghi più affascinanti di Venezia, dalla sua attuale destinazione, attraverso i recenti restauri e gli ampliamenti moderni, fino alla sua mitica fondazione medievale: un racconto affascinante arricchito dai materiali fotografici esposti nella mostra La Biennale all’Arsenale 1998/2020. Gli interventi di restauro e riqualificazione. Al pubblico di adulti, giovani, famiglie e bambini la Biennale dedica il programma Educational Un’Estate alla Biennale, un progetto speciale che offre attività di laboratorio e sperimentazione accanto a visite guidate e incontri di approfondimento, dal martedì alla domenica fino al 30 settembre nelle aree verdi dei Giardini e durante i weekend fino al 25 ottobre presso gli spazi dell’Arsenale. Tutti gli appuntamenti sono gratuiti e su prenotazione. There will be no Architecture Biennale this year, but the Biennale machine won’t stop running. Exhibitions, visits, and educational programmes will resume on July 15 at Giardini and Arsenale. Discover the architecture of the several Biennale buildings and Pavilions thanks to guided tours: Alvar Aalto, Brenno Del Giudice, Sverre Fehn, Josef Hoffmann, Gerrit Thomas Rietveld, Carlo Scarpa… At Arsenale, La fucina delle arti is a discovery tour into one of the most interesting places in Venice, the Arsenal itself, from its quasi-mythological medieval establishment to its present-day function as a house for art. A similar initiative is planned for the Giardini: from their birth under Napoleonic rule, to the Belle Époque years, to the age of globalization. Educational programme Summer at La Biennale is a workshop programme that will take place at Arsenale Tuesdays through Sundays until September 30, and on weekends in October. All activities are accessible for free, reservation is required.
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mostre, musei, gallerie exhibition, museum, galleries
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Diario di una rivoluzione
In questa difficoltosa ripresa, i musei sono emersi come fari capaci di ritrovare le tracce identitarie del nostro Paese, custodi della sua bellezza e della sua storia. Certamente le Gallerie degli Uffizi e il suo direttore Eike Schmidt sono in prima linea in questa rivoluzione lenta ma inesorabile, oltre che naturalmente necessaria.
Il nostro obiettivo sono tutti i pubblici possibili senz’altro, con particolare attenzione ad alcuni più di altri, in particolar modo i giovani. Puntare decisamente e intelligentemente su di loro, costruendo percorsi e progetti che li facciano protagonisti attivi delle nostre offerte espositive, è un’azione fondamentale per crescere non solo in termini quantitativi, di meri numeri, ma anche in termini di sano trasferimento generazionale del sapere.
Black Presence è il nuovissimo progetto che riscopre gli elementi artistici della cultura nera disseminati nella collezione degli Uffizi: nove dipinti con protagonisti africani per raccontare, attraverso video e dirette sui social dalle Gallerie, la presenza sociale e culturale di quesro continente nella coscienza dell’Europa del Rinascimento. «Gli Uffizi non sono una ‘turris eburnea’ dell’arte e anzi nelle loro collezioni comprendono i grandi temi della contemporaneità: attraverso l’arte il museo può raccontare la grande storia del passato e fa vivere le opere nel presente, ma anche riflettere sul futuro che intendiamo costruire» (E.S.).
Il Louvre aprirà a giorni e in generale i grandi musei del mondo hanno aperto in modo dif-
forme, con visite limitate nel tempo e contingentate nei numeri: il lockdown pesa su tutti, con dati allarmanti in termini di entrate. L’Italia è ripartita ponendo la cultura e in particolare il suo patrimonio artistico come elemento prioritario della ripartenza anche per l’industria turistica, un segnale importante per restituire una normalità alla nazione. Tuttavia, l’occasione è propizia per poter riflettere su un nuovo possibile modo di fruire la cultura e in particolare i musei. Da
di Mariachiara Marzari questo punto di vista, da alcuni anni, sono certamente le Gallerie degli Uffizi e il suo direttore Eike Schmidt a dettare la linea di una rivoluzione lenta ma inesorabile oltre che naturalmente necessaria del nostro sistema museale, con una spinta propulsiva che investe tutti i suoi campi d’azione, dalla conservazione alla valorizzazione, dalla apertura di nuovi spazi e collaborazioni alla promozione, dalla comunicazione alla ricerca di sempre nuovi pubblici da intercettare in maniera differente, senza mai snaturare la vocazione fondamentale del museo. Per questo nuovo inizio non potevamo che fare il punto con lui, quindi. L’impossibilità di visitare mostre e musei e parallelamente l’offerta virtuale (e a volte la stessa conservazione) hanno posto ancora una volta una domanda fondamentale attorno al concetto di fruibilità dell’opera d’arte. L’opera è il soggetto ma anche l’oggetto del mostrare, in quanto il nuovo protagonista è il pubblico, il singolo visitatore e la sua esperienza rispetto all’opera d’arte stessa. Qual è la sua opinione in merito? Io credo che tutta la ‘quinta’ digitale, che abbiamo vissuto in questi ultimi venti, trent’anni anni e stiamo vivendo ora in maniera improvvisamente accelerata, rappresenti un oggettivo arricchimento per ciò che concerne la fruibilità delle opere d’arte, tuttavia è importantissimo oggi più che mai sottolineare come questa modalità non potrà mai sostituire la visione dal vivo delle opere per una varietà di ragioni, non solo di natura tecnologica, ma soprattutto di natura sociale, per la prassi e le condizioni stesse intrinseche nel concetto stesso di fruizione dell’arte. In altre parole, quando si visita una mostra online, che sia sul cellulare o sullo schermo di un computer o addirittura utilizzando un visore per la realtà virtuale, è fondamentale comprendere come le persone ne usufruiscono in maniera socialmente diversa, discontinua e con un alto deficit di attenzione dovuta proprio alla modalità stessa. È sufficiente, infatti, per esempio che suoni il telefono per interromperne la visione, cosa che in una visita reale non avviene. Online vi sono mille distrazioni: la gente passa dalla mostra virtuale alle notizie del telegiornale o ai nuovi post su Facebook, alla musica, tutto è contenuto in un flusso di informazioni digitali di cui l’offerta museale è solo
una parte. Solo una percentuale minoritaria di visitatori seguono la visita virtuale dall’inizio alla fine, così come chi compra un libro, che sia in treno, che sia a casa, che sia sulla spiaggia, se lo legge dall’inizio alla fine, tranne ovviamente se decide deliberatamente di abbandonare la lettura riponendo il libro in uno scaffale o in borsa, mentre invece chi scarica un libro online quasi sicuramente salterà a destra e a sinistra, avanti e indietro tra le mille sollecitazioni che la rete orizzontalmente offre a flusso continuo. La visita museale reale spesso è un’esperienza sociale consumata con amici, familiari, spesso in compagnia insomma, pensiamo solo, su tutti, alle scolaresche, mentre tendenzialmente quella virtuale e digitale coinvolge il singolo visitatore, o meglio, utente, che usufruisce dei contenuti separati tra di loro. L’esperienza d’insieme nel contesto storico e architettonico del museo è completamente un’altra cosa e non sarà mai simulabile, perché le condizioni sociali e il contesto rimarranno sempre diversi anche se le ricognizioni digitali diventano ogni giorno più precise. Dopo la fine del lockdown e la successiva riapertura dei luoghi di cultura, oltre alle dovute condizioni di accesso mutate, potrebbe essere necessario un ripensamento del sistema stesso che connota la vita di un museo. Dal suo punto di vista privilegiato, cosa deve rimanere fondamentale e cosa bisognerebbe cambiare o modificare di questo sistema? E come le necessarie modifiche di accessibilità e di fruizione possono essere una nuova sfida per i musei per elaborare nuove idee, nuovi progetti strutturali che, determinati da contingenze temporanee, potrebbero farsi funzioni permanenti? Conosciamo tutti molto bene il dislivello che c’è tra pochi musei fin troppo affollati, vittime dell’over tourism e oggetto prevalentemente, quindi, di un turismo “mordi e fuggi”, e la maggior parte dei musei – quasi 5.000 – in tutta Italia che sono invece vuoti, dove per la maggior parte del tempo, anche quando sono aperti, non hanno quasi mai visitatori. Questo enorme dislivello va superato non con decreti draconiani difficilmente applicabili – è infatti impossibile far sì che la gente che vuole vedere gli Uffizi vada a vedere altro; non funziona così, i visitatori sarebbero frustrati dal fatto di non poter visitare ciò che desiderano – ma in maniera positiva, creando incentivi anche economici per allargare l’offerta. Ovviamente è un processo graduale, non si può attuare da un giorno all’altro, tuttavia ad esempio a Firenze abbiamo avuto un ottimo feedback e risultati soddisfacenti integrando Palazzo Pitti nei percorsi delle Gallerie degli Uffizi grazie a un biglietto cumulativo che ora include anche il Giardino di Boboli, il Museo Archeologico Nazionale e il Museo dell’Opificio delle Pietre Dure. È il biglietto museale in città che ha riscosso il più alto incremento in termini di vendite, proprio perché offre la possibilità di visitare cinque luoghi
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UFFIZI BLACK
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in altrettanti giorni comodamente, usufruendo della priorità di accesso. Questo è un modello che funziona e che, alla luce di questi risultati più che confortanti, non deve in nessun modo fermarsi qui. Nella medesima prospettiva è ora necessario pensare anche ai comuni limitrofi, allargando il turismo verso un territorio più vasto che vada oltre la sola visita ai monumenti più famosi. Tuttavia questa è solo la metà del percorso che bisogna compiere. L’altra metà è rafforzare il ruolo civico e identitario delle comunità, riscoprire la forza che esprimono le opere d’arte visitate nei luoghi d’origine o create da un artista che proviene da quel luogo o arrivate in quei luoghi per motivi storici. Questo elemento fondamentale connesso alla funzione della narrazione, al tema dell’identità, dell’appartenenza, è molto più importante della mera destinazione turistica del bene artistico. Alcuni musei avranno nei prossimi decenni una sempre maggiore rilevanza turistica, ma al contempo potrebbero assumere anche una fondamentale funzione civica e sociale, capaci di trasmettere e insegnare la propria storia agli abitanti di una città o anche più estesamente del Paese, facendosi testimonianza diretta della creatività, della storia e della bellezza del proprio territorio. La sua idea degli Uffizi diffusi nel territorio, o meglio, della ricollocazione delle opere nel loro contesto originario. Quali le potenzialità di questo progetto e in che modalità sta pensando di realizzarlo? Per ora la cosa più importante che stiamo facendo è una ricognizione precisa delle opere d’arte che giacciono nei nostri depositi, dalle quali vogliamo partire per inaugurare questo percorso. Sono opere che provengono dalle chiese e delle quali non è sempre chiara la ragione, il motivo per i quali sono state fatte arrivare nei nostri depositi. In alcuni casi è tutto ben documentato: furono evacuate momentaneamente per essere messe in salvo e salvaguardate da furti, guerre, alluvioni e poi, con il tempo, sono rimaste nei depositi dello Stato. Stiamo compiendo questa operazione nell’ottica di organizzare una grande mostra che possa portare alla luce il nostro ricchissimo patrimonio che giace da sempre nei depositi, opere che in alcuni casi non sono state viste da nessuno per oltre mezzo secolo, nemmeno dagli studiosi, e delle quali anche le chiese d’origine hanno perso la memoria. Se non si fa adesso questo lavoro di studio e ricognizione, il grande rischio che si corre è che tra trenta o quarant’anni potrebbe non esserci più la possibilità di ricollegare queste stesse opere al loro contesto originario. Ci sono poi altre opere di cui sappiamo già la provenienza, prese in prestito ma senza alcun accordo preciso, e per le quali riteniamo sia necessario sviluppare un piano e un progetto specifico per dove e come ricollocarle. CONTINUA... Né l’uno né l’altro sono processi
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Le Grand Je
Palazzo Grassi e Punta della Dogana, due mostre e otto curatori + uno
Progetti inediti e di ricerca. La Fondation Pinault apre Palazzo Grassi e Punta della Dogana l’11 luglio con due mostre attesissime che mettono al centro la figura del curatore, allargandone la visione non solo scientifica ma soprattutto esperenziale, persone che per diversi motivi hanno respirato la stessa aria di un artista e che ne sanno restituire una visione personalissima ma al contempo poetica e universale, tale da poter offrire al pubblico una polifonia di sguardi puntati sulla stessa opera. Curatori indipendenti, slegati da ogni costrizione mercantile e manageriale, più propensi a condividere le esperienze e sviluppare visioni possibili. I due progetti offrono dunque in modo differente un approccio diretto all’arte viva e che chiede di essere compresa e soprattutto condivisa. Non un gioco, ma un esperimento che mette le basi per una ricerca del contemporaneo dove i confini tra artista e curatore si confondono, confondendo a volte il pubblico in un’esperienza percettiva pura. Un modo per tornare forse alla radice dell’arte senza confini di genere. “Curare” acquista il senso di gettare luce, mostrare/far vedere ciò che sarebbe altrimenti sottorappresentato, ponendosi realmente al confine, dove s’instaura a ogni ordine e livello uno scambio vivificante tra artista, opera e pubblico. Una prospettiva “eccentrica” e “policentrica” nella complessa piattaforma della contemporaneità in perenne movimento.
Untitled, 2020. Tre sguardi sull’arte di oggi, collettiva ideata e curata da Caroline Bourgeois, dall’artista e storica dell’arte Muna El Fituri e dall’artista Thomas Houseago, è stata concepita appositamente per gli spazi di Punta della Dogana (11 luglio-13 dicembre) come una mostra corale nata dalla condivisione e dal dialogo tra i tre curatori, legati da una relazione personale e professionale di lunga data. Il risultato è un’indagine costruita attraverso i lavori di oltre 60 artisti di diverse generazioni (nati tra il 1840 e il 1995), che svela la genesi e lo sviluppo del processo creativo e racconta le grandi questioni ricorrenti della contemporaneità. Il percorso si articola intorno a un’installazione site-specific allestita nel cubo centrale di Tadao Ando, cuore di Punta della Dogana: la ricostruzione dello studio di un artista, prendendo ispirazione da una delle stanze dello studio di Thomas Houseago, la stanza definita “drawing room”, immaginata per potervi riflettere, scambiare idee, vivere, pianificare, uno spazio dove i visitatori sono invitati a interagire con gli elementi che compongono il luogo di ispirazione creativo. Gli artisti in mostra: Magdalena Abakanowicz, Nairy Baghramian, Garry Barker, Maria Bartuszovà, Lee Bontecou, Marcel Broodthaers, Stanley Brouwn, Teresa Burga, Eduardo Chillida, Robert Colescott, Bruce Conner, Enrico David, Karon Davis, Hélène Delprat, Abigail DeVille, Jan Dibbets, Elliot Dubail, Marlene Dumas, Valie Export, Saul Fletcher, Llyn Foulkes, Kasia Fudakowski, Ellen Gallagher, Dominique Gonzalez-Foerster, Nancy Grossman, Philip Guston, Lauren Halsey, David Hammons, Duane Hanson, Georg Herold, David Hockney, Thomas Houseago, Arthur Jafa, Joan Jonas, CONTINUA... Mike Kelley, Alice Kettle, Edward
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Henri Cartier-Bresson. Le Grand Jeu, co-organizzata con la Bibliothèque nationale de France e in collaborazione con la Fondation Henri CartierBresson, è un progetto inedito pensato per Palazzo Grassi (11 luglio-10 gennaio 2021) basato sulla “Master Collection”, una selezione di scatti operata dallo stesso Cartier-Bresson nel 1973, su invito di due amici collezionisti, Dominique e John de Menil. Fu infatti lo stesso fotografo a scegliere, tra le proprie stampe a contatto, le 385 immagini che considerava migliori. Esistono solamente 6 esemplari di questo prezioso nucleo dell’opera di Cartier-Bresson, custoditi rispettivamente presso il Victoria and Albert Museum di Londra, la University of Fine Arts di Osaka, la Bibliothèque nationale de France, la Menil Foundation di Houston, ma anche presso la Pinault Collection e naturalmente presso la Fondation Henri Cartier-Bresson. Cinque curatori d’eccezione François Pinault, Annie Leibovitz, Javier Cercas, Wim Wenders, Sylvie Aubenas, più Matthieu Humery, curatore principale della mostra, sono chiamati a offrire il loro punto di vista sul lavoro dell’“Occhio del secolo”. La parola “jeu” in francese si avvicina a “je”, che significa “io”. Il “Grand Je” viene celebrato in primo luogo attraverso l’omaggio all’opera di un unico artista e, simultaneamente, attraverso l’“io” di ogni curatore che emerge, in controluce, nella scelta delle immagini. Le regole del gioco sono semplici: ognuno dei cinque curatori è stato invitato a selezionare una cinquantina di immagini dell’artista, circoscritta agli scatti scelti dallo stesso Henri Cartier-Bresson contenuti nella “Master Collection”. Ogni curatore, inoltre, ha operato la propria selezione senza conoscere quella degli altri. Nello stesso modo l’allestimento, così come ogni elemento della mostra, è stato lasciato a discrezione di ciascun curatore. Il percorso risulta, quindi, essere composto da cinque esposizioni autonome e indipendenti tra loro dove i cinque curatori ci raccontano in totale libertà la loro storia, le loro sensazioni e il ruolo che queste immagini possono aver rappresentato per il loro lavoro e la loro vita. CONTINUA...
Le mille e una notte Atmosfere vagamente nostalgiche, colori volutamente velati, immagini senza tempo che ci conducono verso una realtà lontana: le fotografie dipinte di Youssef Nabil (nato a Il Cairo nel 1972, vive e lavora attualmente a New York) raccontano di un Egitto leggendario che non c’è più. Affascinato dal cinema sin da piccolo, Youssef Nabil si lascia appassionare dai grandi personaggi dei film egiziani e in seguito dalle star internazionali. Da allora decide di usare la fotografia come mezzo per immortalare, secondo una sua personale visione, le star di un suo pantheon ideale. La sovrapposizione di diversi livelli di lettura e il gioco tra descrizione, simbolismo e astrazione rappresentano la ricchezza del lavoro di Youssef Nabil, che attraversa poeticamente la sua carriera come in un diario privato. Le sue fotografie in bianco e nero sono dipinte a mano, una tecnica fotografica tradizionale che veniva ampiamente utilizzata per i ritratti di famiglia e per le locandine dei film che coloravano le strade de Il Cairo. Ancora in voga in Egitto tra gli anni ‘70 e ‘80, questa tecnica viene perfezionata da Youssef Nabil grazie agli ultimi ritoccatori degli studi de Il Cairo e di Alessandria. Proposta come una narrazione onirica, Once Upon a Dream – prima grande retrospettiva di Youssef Nabil, curata da Matthieu Humery e Jean-Jacques Aillagon, ospitata a Palazzo Grassi – è un racconto di iniziazione, tra fantasia e realtà, dove ciascuna tematica affrontata ha una valenza universale e allo stesso tempo individuale. La ricerca dei reperti identitari, le preoccupazioni ideologiche, sociali e politiche dei nostri giorni, la malinconia di un passato ormai lontano: la mostra cede la parola all’artista per svelare una visione profonda delle sue aspirazioni e del suo coinvolgimento nel mondo dell’arte contemporanea. Il percorso espositivo è così un continuo rincorrersi di opere realizzate all’inizio della carriera insieme a lavori più recenti, con uno sguardo anche alla produzione filmografica dell’artista. «Youssef Nabil. Once Upon a Dream» 11 luglio-10 gennaio 2021 Palazzo Grassi
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intervista
Una città a misura di studente Venezia e Ca’ Foscari: l’Università secondo Monica Billio
Una città a misura di studente! Monica Billio, professore ordinario di econometria, attualmente Direttore del Dipartimento di Economia, da più di venticinque anni è parte attiva di Ca’ Foscari con un forte senso di appartenenza e restituzione, esattamente ciò che la spinge ora a mettersi a disposizione dell’Università, candidandosi per il Rettorato. Un dialogo a trecentosessanta gradi sul ruolo dell’Università e sul suo rapporto fondamentale con la città.
L’Ateneo deve, non semplicemente può, svolgere un suo ruolo attivo, per le competenze, la ricerca, il confronto alto che deve saper esprimere nei più svariati campi disciplinari, ma anche semplicemente per il suo peso demografico, per il ruolo socialmente attivo che nel loro insieme svolgono qui, vivendo, studenti, docenti, personale dei diversi settori dell’istituzione. Ca’ Foscari ha infatti una popolazione studentesca che supera i ventiduemila iscritti, a cui si aggiungono duemila tra docenti, personale tecnico amministrativo e altri operatori collegati.
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Cafoscarina da sempre, laureata in Economia e Commercio all’Ateneo veneziano, dottorato in Matematica Applicata a Parigi, dal 2006 professore ordinario di econometria, attualmente Direttore del Dipartimento di Economia, Monica Billio da più di venticinque anni svolge attività di servizio a Ca’ Foscari con un forte senso di appartenenza e restituzione, esattamente ciò che la spinge ora a mettersi a disposizione dell’Università, candidandosi per il Rettorato. Un dialogo a trecentosessanta gradi sul ruolo dell’Università e sul suo rapporto fondamentale con la città. Da Professore di Econometria come misurerebbe il ruolo dell’Università come risorsa strategica del Paese soprattutto in questo momento di necessaria ripartenza? Misurare l’incidenza di un’istituzione in situazioni così complicate non è mai compito facile, però di certo in questo momento, più che in altri, è importante che l’Università si dimostri presente con le sue funzioni, il suo sapere. Durante l’emergenza sanitaria l’Università è stata un supporto importante per affrontare la crisi, avendo l’opportunità di riappropriarsi del ruolo di indirizzo e di sostegno alle decisioni che le spetta. A maggior ragione nel momento in cui questa pandemia ha creato inimmaginabili difficoltà, fino al giorno prima del suo disvelamento, e grande incertezza verso il futuro. Non è semplicemente importante che essa sia presente, il dovere dell’Università è esserci con tutta la sua capacità di fornire contenuti, di aiutare a capire quali siano le possibili soluzioni. Ciò che noi come Università rappresentiamo e che possiamo e dobbiamo trasmettere ai nostri studenti è la capacità di vedere, immaginare e ripensare il futuro: un compito che dobbiamo assumerci con grande responsabilità. Misurare tutto ciò è ovviamente difficile, come dicevo. Io lavoro principalmente con i numeri e le misure; in questo caso misurerei il potenziale, ovvero quanto l’Università sia presente e quanto il numero dei laureati debba ancora crescere, perché siamo il fanalino di coda di troppe classifiche in questa direzione. Il numero di laureati è un dato che dà una prima misura di quanto ancora bisogna impegnarsi. Il timore è che la crisi come sempre porti minore attenzione nei confronti della formazione, ma mi auguro un impegno da parte del Governo nella direzione di sostenere quanto più possibile il diritto allo studio e, quindi, di non vedere svuotarsi le aule o ridursi in esse la presenza di giovani studenti, indipendentemente dal fatto che sia presenza fisica o virtuale. Su questo obiettivo l’Università ha il compito di vigilare, di essere un pungolo costante e incisivo su chi ci governa, poiché quando i fari sono puntati è facile distribuire
promesse ma poi, quando l’attenzione mediatica si affievolisce, è un classico che l’intensità di azione conseguentemente evapori. L’Università non si è fermata nonostante l’emergenza Covid. Quale lezione è stato possibile trarre da questo nuovo modello di insegnamento a distanza? L’Università in generale e Ca’ Foscari nello specifico non si sono fermate. È stato uno sforzo importantissimo da parte di tutte le sue componenti, a partire dai docenti e dagli studenti. Inizialmente eravamo tutti spaesati, però poi si sono trovati nuovi modi di stabilire relazioni, di mantenere rapporti. La didattica per quanto possibile, nonostante la distanza, ha assunto una dimensione di ‘vicinanza’, come sempre avviene nel rapporto tra docenti e studenti. In realtà questa prima fase è stata di sperimentazione, che ci ha permesso di vedere come fosse possibile riuscire a muoversi e a fare lezione; è una fase che purtroppo dovrà parzialmente prorogarsi anche per il prossimo semestre, per l’avvio del nuovo anno accademico. Ora siamo in fase di ‘deposito’, di ripensamento e di consolidamento di quanto si è fatto, in modo che poi, superato il momento emergenziale, si consolidi al meglio questo nuovo sistema di svolgere la didattica. Di certo quello che abbiamo fatto finora, e che dovremo fare all’avvio del prossimo anno, non può sostituire in toto la didattica tradizionale, e per tradizionale non intendo qualcosa di accademicamente obsoleto, bensì il metodo con cui da sempre si è fatta docenza in termini di relazione ravvicinata, vitale con gli studenti. Abbiamo però scoperto che ci sono delle attività e dei percorsi complementari che non sostituiscono questa modalità fondamentale e ineliminabile di assolvere alla didattica ma vi si aggiungono, arricchendola di nuove funzioni e possibilità. Per esempio, con un gruppo di colleghi abbiamo preso l’abitudine di incontrare gli studenti in occasione di crisi o situazioni particolari per creare un momento di dibattito e confronto. Un’attività che non abbiamo più potuto svolgere a causa dell’emergenza, così ai primi di aprile abbiamo deciso di lanciare il progetto online, dando il via a un ciclo di conversazioni il martedì pomeriggio. Il risultato è stata un’adesione impressionante, con oltre 400 connessioni già dal primo incontro. Abbiamo iniziato il 7 aprile in pieno lockdown e le conversazioni sono proseguite per tutto il mese di maggio e giugno, ora continueranno per buona parte di luglio, con colleghi e a volte ospiti esterni per analizzare che tipo di impatto l’emergenza sanitaria ha avuto dal punto di vista economico, amministrativo, organizzativo, turistico… Portare queste conversazioni online è stato un modo diverso di creare vicinanza e senso di comunità con
gli studenti, ma anche con la cittadinanza, perché un buon numero di cittadini ha preso l’abitudine, il martedì alle ore 16.30, di collegarsi e seguire le conversazioni. In presenza non avremmo mai raggiunto una tale partecipazione; questa modalità l’ha resa possibile e ci ha permesso di scoprire una dimensione che certo non va a sostituire il resto, ma sicuramente ne rappresenta uno straordinario valore aggiunto in termini come minimo di partecipazione. Quindi inconsapevolmente ha dato il via agli “stati generali” del Rettorato, tanto per usare una formula storica recentemente resuscitata… Qualcuno può aver pensato ad un uso strumentale dell’iniziativa, ma il progetto è davvero nato dal tentativo di recuperare la dimensione di discussione, di comunità con gli studenti che appunto si crea in queste occasioni. L’iniziativa è sempre stata aperta assolutamente a tutti e c’è stata davvero una attenzione che non mi aspettavo, anche perché tanti colleghi hanno voluto partecipare e si sono veramente spesi e impegnati per far sì che tutto potesse dispiegarsi al meglio. Abbiamo affrontato questioni molto tecniche e altre più generali, ospitando i pareri di importanti professionisti come, per esempio, il presidente di Cassa Depositi e Prestiti e il presidente dell’Inps. Il progetto è cresciuto ed è divenuto occasione di dibattito effettivo e di vero confronto aperto. Riteniamo che Ca’ Foscari debba essere tra i protagonisti nel definire il futuro prossimo della città di Venezia e del suo territorio. Qual è la sua opinione in merito? Quale ruolo dovrebbe assumere l’Università nel tessuto socio-economico e culturale di Venezia? Già all’inizio, quando mi ha chiesto come misurare la presenza dell’Università nel Paese e nella società, ho utilizzato il termine “dovere”. A maggior ragione lo uso ora quando parliamo del ruolo di Ca’ Foscari come soggetto attivo della città di cui è figlia. Ca’ Foscari, per il ruolo che ha avuto, ma anche per il potenziale e il significato in sé che ha come istituzione universitaria, luogo per eccellenza di trasmissione della conoscenza, deve prendersi la responsabilità e assumersi il dovere di essere parte attiva, con capacità di immaginare, aiutare, supportare il futuro della città. Ca’ Foscari è nata per l’esigenza, visionaria per l’epoca, di creare una scuola di commercio con una forte componente linguistico-culturale, che potesse sviluppare dal punto di vista economico gli scambi commerciali, creando anche relazioni e rapporti che andassero ben oltre questa dimensione. In questi 150 anni Ca’ Foscari è cresciuta su un tessuto urbano con un patrimonio CONTINUA... culturale da valorizzare, assisten-
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Visioni dal futuro
Arthur Jafa, la video-arte che racconta l’America all’America casione del funerale di Clementa C. Pinckney, il pastore della chiesa metodista ucciso nell’attentato di Charleston del 2015. Impossibile elencare nel dettaglio tutte le suggestioni di questo concentrato di black culture di 7 minuti e mezzo, che alterna in rapida sequenza dichiarazioni di importanti personalità della cultura nera a filmati storici, scene di violenza e video ripresi con il cellulare da anonimi cittadini. Immagini che scorrono sulle note di un brano di Kanye West, il musicista, produttore e regista afroamericano che ha recentemente annunciato la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti, sostenuto da uno degli imprenditori più rivoluzionari della storia recente americana, Elon Musk. Sembra un cerchio
Courtesy La Biennale di Venezia
che si chiude sulla visione di un altro futuro, mentre gli Stati Uniti esplodono di proteste e manifestazioni che chiedono al paese di affrontare le proprie profonde contraddizioni. La video-arte di Jafa, solitamente ‘confinata’ negli spazi pubblici dell’arte, inizia a trovare occasioni di fruizione digitale, come nel caso di Palazzo Grassi, che ha recentemente reso accessibile online il video per 48 ore prima di presentarlo a Punta della Dogana in occasione della mostra Untitled, 2020. Tre sguardi sull’arte di oggi. Marisa Santin
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Corpi sensibili Le attività umane e gli effetti all’interno della circolazione globale oceanica Territorial Agency – Oceans in Transformation è frutto di una ricerca avviata tre anni fa e commissionata da TBA21–Academy che indaga le rapide trasformazioni in corso negli oceani in quello che è stato definito “Antropocene”, l’era geologica caratterizzata dall’impatto diretto dell’uomo sull’ambiente. Attingendo agli ultimi studi sugli effetti di una serie di attività umane su ecosistemi marini e costieri, il progetto vuole generare una profonda consapevolezza rispetto al ruolo degli oceani nella sopravvivenza del pianeta. TBA21–Academy e Territorial Agency hanno collaborato con una rete di ricercatori e istituzioni per mettere in luce nuove forme di osservare e
comprendere l’oceano attraverso la scienza, la cultura e l’arte, che si concretizzano in un laboratorio di idee aperto al pubblico nello spazio della Chiesa di San Lorenzo, a partire dal 27 agosto. In risposta a uno dei segnali più evidenti dell’emergenza climatica, l’innalzamento globale delle acque, Oceans in Transformation chiama in causa i tanti processi in corso che stanno alterando la vita sul pianeta: l’eccessivo trasporto marittimo, la pesca intensiva, lo sfruttamento degli ecosistemi costieri, l’estrazione mineraria in acque profonde, la pesca a strascico, l’estrazione petrolifera, la migrazione, il cambiamento delle circolazioni oceaniche, la militarizzazione, lo scioglimento
dei ghiacci. Operando attraverso sovrapposizioni e associazioni concettuali e visive, Oceans in Transformation ridefinisce lo spazio marittimo come scenario di violenza umana, imperialismo e storia coloniale, delineando le tracce spaziali di queste forme di prevaricazione. Il corpus di lavori di Territorial Agency è uno spazio aperto ad altre interpretazione e approcci, a stimolare nuovi dibattiti pronti ad accogliere sia proposte utopistiche sia soluzioni concrete per il presente. «Territorial Agency – Oceans in Transformation» 27 agosto-29 novembre Ocean Space, Chiesa San Lorenzo
Art in the times of Coronavirus The world is currently fighting the spread of Coronavirus and while different countries are reacting faster than others, a great part of population is still having to deal with self-isolation, stress and social distancing. There are many ways to relieve extra tension and feelings of anxiety from the situation we are living in but we can all agree that creative and sports activities might be the leading trends. Whilst the entire physical art world is at a halt and therefore turning to digital paths, most role players have put their efforts in engaging with consumers in new ways through their online channels. Christie’s started streaming free education through webinars and short films with the notion of “Art as Therapy” to further explore communication with their public. Art Therapy is a technique that uses art media as its primary mode of expression to address emotional issues – it has been studied and proved to decrease depression amongst children and adults, hospitalized patients and people in situations such as isolation. Thankfully the web has made it possible for a usually guided therapy to be recreated online. Working on making some art at home on your own or using the online guides provided by professional platforms is another way to continue benefiting from the positive aspects of this form of psychotherapy. While thinking how much art can be beneficial to any human being and reading about the effects of Covid worldwide on the art industry I came across daunting news as more than two thirds of surveyed institutions are predicted to have extreme and severe effects on their business (from The American for the Arts survey), not to mention the amount of artists who have lost their opportunity for upcoming art fairs and new galleries appointments. On the other hand, artists themselves are now in a position to be more creative and take advantage of this downtime to produce. Silver lining – whilst art fairs, fancy art cocktails and soirées, basically the social aspect of the art world is on standby – there is more time to focus and concentrate on art itself. Given the fact that we are living a moment that will be memorable in history, in month or a year’s time it will be quite captivating to retrace art that has been formed throughout and post Covid – “Art in the times of Coronavirus”. Crises are also known to bring opportunities and looking into the future, it will be fascinating to see how the system will transition and if perhaps we will be able to allocate an art movement to these times – another silver lining I would say. Laura Piccinetti
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Fin da bambino Arthur Jafa (Leone d’Oro alla Biennale Arte 2019) è stato un instancabile collezionista di immagini. Le ritagliava e raccoglieva ossessivamente nei suoi Books per poi mostrarle e commentarle con gli amici o con chiunque si dimostrasse interessato. “L’atto di compilare e mettere insieme le cose ti aiuta a capire – dice – da cosa sei realmente attratto”. La sua opera più famosa, Love Is The Message, The Message Is Death, del 2016, è un caleidoscopio di spezzoni video che suscitano emozioni diverse e contrastanti. Da Nina Simone a Martin Luthr King, da Aretha Franklin e Miles David a Michael Jordan e Serena Davis, da Jimi Hendrix a Barack Obama che canta Amazing Grace in oc-
TIZIANO VECELLIO Madonna Pesaro 1519-1526 Chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari, navata sinistra
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Normalità straordinaria
A luglio aumentano i giorni di apertura della Collezione Peggy Guggenheim
Il sussurro del colore
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L’interno della Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari è solenne e ricco di capolavori. Domina incontrastata, come una gemma nella zona presbiteriale la più importante opera giovanile di Tiziano Vecellio (Pieve di Cadore, 1488/90–Venezia, 1576): l’Assunta (1516– 1518), commissionata dal padre guardiano del convento francescano. Grazie a questo grandioso dipinto, oggi in restauro, Tiziano diverrà uno degli artisti più conosciuti in tutta Europa e l’Assunta una delle composizioni più ammirate e imitate da pittori di tutti i tempi. La fuga prospettica lungo l’asse longitudinale della chiesa e il setto marmoreo che fa da diaframma al coro, conduce lo sguardo di chi entra ai Frari verso quel centro ideale dove, incorniciata da un arco classico, la Vergine gloriosa sale in cielo circonfusa da una luce calda e divina. In questa stato di “attrazione fatale” ci si può far distrarre da un altro meraviglioso capolavoro tizianesco: la Madonna Pesaro. Collocato nella quarta arcata della navata sinistra, questo splendido dipinto è incorniciato da un raffinato altare rinascimentale opera dei Lombardo dedicato all’Immacolata Concezione, divenuto di proprietà della famiglia Pesaro dal 1518. Solamente un anno di distanza dalla conclusione dell’Assunta, secondo il desiderio del committente Jacopo Pesaro, il dipinto doveva illustrare, oltre al tema dell’Immacolata Concezione, soprattutto le glorie della sua famiglia che tanto peso ebbe nella storia artistica della chiesa. I Pesaro infatti, che avevano scelto come propria cappella gentilizia l’abside della sacrestia dei Frari, commissionarono per la basilica dipinti, monumenti e sculture. Tiziano lavorò alla pala per parecchi anni, con numerosi ripensamenti, terminandola solamente nel 1526. In quest’opera il giovane pittore cadorino rompe con la tradizione innovando lo
schema della pala d’altare rinascimentale. Il dinamismo interno che si viene a creare grazie al gioco delle diagonali e l’inedita efficacia compositiva che spinge l’osservatore a essere partecipe della scena sono le grandi novità del dipinto. La Vergine siede con il Bambino su un trono marmoreo collocato all’estremità destra della composizione. Sullo sfondo due enormi colonne si perdono verso l’alto fra le nuvole, dove piccoli angeli sorreggono la croce. Al centro si trova san Pietro che guarda in basso verso Jacopo Pesaro, vescovo della città cipriota di Pafo e committente del dipinto; alle sue spalle una figura in armatura tiene in mano il vessillo con lo stemma di casa Pesaro. Il ramo d’alloro che spunta in alto sta a simboleggiare la vittoria navale contro i Turchi nella battaglia di Santa Maura – l’isola greca di Leucade, fra Corfù e Cefalonia, nel 1503 –, in occasione della quale Jacopo si era distinto come comandante di venti galee papali (nello stemma è rappresentato infatti anche il copricapo pontificio). L’esito dell’evento è simboleggiato inoltre dalla figura di un prigioniero turco con turbante che china la testa per nascondere il volto in segno di sconfitta. Il vivace Bambin Gesù guarda invece verso i santi Francesco e Antonio che presentano a Maria gli altri membri della famiglia Pesaro, ritratti dal pittore con notevole potenza espressiva. Il più giovane sembra per un attimo distrarsi dalla preghiera per rivolgere il suo sguardo verso il pubblico. Ancor più che nell’Assunta, l’uso sapiente del colore dalle tonalità vivaci e sature, impreziosite dagli effetti cangianti della luce sulle stoffe e sui delicati incarnati, rende questa tela uno dei vertici più alti del “classicismo cromatico” tizianesco. Il recentissimo restauro ha riportato la Madonna Pesaro ha uno stato di smagliante bellezza! Franca Lugato
Per oltre due mesi la principale fonte di entrate dei Musei, i visitatori, è stata azzerata e per molti ora la ripresa e la ricerca di una nuova normalità è particolarmente difficile e in salita. Tuttavia, anche se in maniera assolutamente indipendente l’uno dall’altro, la politica di apertura nel rispetto delle regole sta premiando quei Musei che hanno creato le condizioni per la ripartenza appena è stato possibile. A Venezia è sempre la Collezione Peggy Guggenheim a fare da apripista, ancora una volta rispettando le volontà ferree della Mecenate americana, avendo aperto subito, il 2 giugno, e garantendo l’apertura per tutti i weekend. A distanza di un mese e forte dei risultati registrati, la Collezione estende i giorni di
apertura e dal 3 luglio apre dal venerdì alla domenica, dalle 10 alle 18. È visitabile la collezione permanete, mentre la mostra Migrating Objects. Arte dall’Africa, dall’Oceania e dalle Americhe nella Collezione Peggy Guggenheim è momentaneamente ancora chiusa al pubblico. I visitatori vengono invitati a consultare il sito guggenheim-venice.it per prendere visione delle norme di accesso alla Collezione; è consigliata la prenotazione online sempre sul sito che garantisce l’ingresso prioritario, poiché l’accesso continua a essere contingentato e per fasce orarie nel rispetto della normativa per il contenimento del Covid-19. Rimangono invariate le norme comportamentali per una visita in totale sicurezza: il percorso di
Conservare il futuro Fondazione Querini Stampalia, la casa delle culture La cultura non si è fermata durante il lockdown, mantenendo il rapporto stretto con il pubblico e riversando sapere e bellezza nei canali digitali e social. Poi però, una volta allentate le restrizioni e via via imboccata la strada della “semi-normalità”, sono stati i muri delle città a rivestirsi di messaggi rassicuranti e curiosi, con vere campagne di affissioni ad hoc, in cui mostre, fondazioni e musei hanno ‘gridato’ dai manifesti: noi ci siamo e continuiamo a esserci! Messaggi diversi, ma tutti rivolti a salvaguardare il valore della cultura e, nel caso specifico, di Venezia. La Fondazione Querini Stampalia è una di queste che, con la bellissima campagna “Conserva il Futuro!”, ha ribadito
il proprio impegno. Apertura graduale a giugno, dal 14 luglio una più decisa programmazione con l’accesso al Museo, Area Scarpa con giardino, Collezione Intesa Sanpaolo e mostre temporanee consentito dal martedì alla domenica, dalle 10 alle 18 (tutte le domeniche i residenti nel Comune di Venezia hanno ingresso gratuito), solo previa prenotazione sul sito. Sarà possibile inoltre scoprire la Querini Stampalia attraverso quattro percorsi di visita esclusiva per piccoli gruppi (massimo 10 persone su prenotazione), dedicate al Palazzo, alle Collezioni, alle Architetture e alle mostre temporanee – Venezia 1860-2019. Fotografie dall’Archivio Graziano Arici e L’Angelo degli Artisti.
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Photo Matteo De Fina
visita è a senso unico ed è obbligatorio l’uso di mascherina sia per i visitatori che per il personale museale, nel rispetto della distanza di almeno un metro. Picasso, Kandinsky, Calder, Magritte, Pollock... vi aspettano a Palazzo Venier dei Leoni!
La magia dell’irripetibile
One-off magic
Extended hours at Peggy Guggenheim’s
Ai Tre Oci l’attesissima retrospettiva dedicata a Jacques Henri Lartigue
Casa dei Tre Oci reopens with Jacques Henri Lartigue
For over two months, the main source of revenue for museums has been forced to a dismal nought and for many; making peace with the new normal is tough. In Venice, the Peggy Guggenheim Collection keeps true to its avant-garde spirit by opening as soon as was possible, on June 2, and keeping its doors open every weekend. A month later, the museum extended its schedule to a Friday-to-Sunday schedule, 10am to 6pm. Only the permanent collection is open while the temporary exhibition Migrating Objects: Arts of Africa, Oceania, and the Americas in the Peggy Guggenheim Collection is now closed. Visitors are encouraged to book their visit in advance on the museum’s website. Visits will be laid out as a one-way tour and all should wear their facemasks.
Preserving the future
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A contribution to the Venetian cultural scene
Fondazione Querini Stampalia Santa Maria Formosa, Castello 5252
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Extraordinarily normal
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L’arte del Novecento e il ristorante All’Angelo a Venezia –. Per garantire la sicurezza a tutti i visitatori, l’ingresso alla Fondazione è consentito con la mascherina e previa sottoscrizione di autocertificazione in merito a quarantena Covid-19 e rilevamento della temperatura corporea.
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Culture never stopped because of the lockdown – it kept true to its relationship with the public by way of social media. Once the lockdown restrictions have been lifted, we began seeing posters around Venice. Exhibitions, foundations, museums shouting out loud: we are here! Individual messages varied, all rooting for the safeguard of culture and of Venice. Fondazione Querini Stampalia is one of these institutions. With their campaign Preserve the Future!, they pledged their commitment, opening Fridays through Sundays 10am to 6pm. Booking is required through their website. Facemasks must be worn at all times while visiting and temperature checks will be performed on arrival.
La Baule, 1979 Photograph by Jacques Henri Lartigue © Ministère de la Culture (France), MAP-AAJHL
Nell’impossibilità di visitare la mostra, una squadra di esperti, capitanati da Denis Curti, direttore artistico della Casa dei Tre Oci, ci ha raccontato durante il lockdown le fotografie piene di “felicità” di Jacques Henri Lartigue (1894–1986). Ora l’attesa è terminata e dall’11 luglio la mostra L’invenzione della felicità, curata da Marion Perceval, CharlesAntoine Revol e Denis Curti, sarà finalmente aperta. Il percorso – 120 immagini, di cui 55 inedite, tutte provenienti dagli album fotografici personali di Lartigue – ripercorre la sua opera, rendendo manifesta la purezza del suo sguardo che immortala un microcosmo fotografico personalissimo, che fissa sulla pellicola solo ciò che vuole conservare. La fotografia diventa per Lartigue il mezzo per riesumare la vita, per rivivere i momenti felici, fermare il tempo, salvare l’attimo dal suo inevitabile passaggio. Ecco che, allora, i tentativi quasi ossessivi di fotografare i salti, i tuffi, le capriole e le cadute, i tentativi di volo del fratello Zissou – immagini avvolte da un’aura di irrealtà – non sono altro che l’esito dei tentativi di un bambino di afferrare l’attimo, così come si fa con una farfalla in volo, non già per immobilizzarla, ma per preservarne la bellezza dall’impietosa caducità del tempo.
Lartigue riceve la prima macchina fotografica nel 1902, a soli 7 anni, ma il suo rapporto con la fotografia, nel suo essere essenzialmente immagine delle cose del mondo, inizia prima, quando il bambino Lartigue cerca di intrappolare ciò che vede nella sua mente, prima osservando attentamente e poi stringendo gli occhi per imprimere nella memoria ciò che entra nel suo campo visivo. La macchina fotografica ha il merito di donare concretezza a questo gioco dell’immaginare e Lartigue si immerge nel flusso della vita iniziando a scattare in modo metodico – e in questo senso la fotografia, che lui stesso definirà negli anni come «l’arte del transitorio», diventa la sua grande alleata – e collezionando scatti di ciò che gli sta intorno. Perché non già di documentazione si tratta, ma di una vera e propria classificazione, uno scegliere che spinge Lartigue a fotografare le cose belle del mondo, ciò che lo rende felice e, probabilmente, a mettere su pellicola solo ciò che vuole ricordare. Per questo i suoi scatti sembrano contemporaneamente senza tempo e modernissimi, capaci di penetrare in modo naturale e diretto chiunque vi si ponga difronte. A luglio e agosto la mostra è aperta dal venerdì alla domenica, dalle ore 11 alle 19, con biglietto ridotto speciale.
The curators at Casa dei Tre Oci, headed by Denis Curti, kept us company during the lockdown with pictures by Jacques Henri Lartigue (1894–1986), photographs full of happiness. Now that the lockdown is over, exhibition The Invention of Happiness, curated by Marion Perceval, CharlesAntoine Revol, and Denis Curti, will finally open on July 11. 120 photographs, 55 of which have never been published before, retrace his oeuvre, the purity of his look, an intimate photographic microcosm. For Lartigue, photography is a way to revive life itself, to feel happy moments again, to stop time, to save the moment before its inevitable passing. Lartigue received his first camera in 1902, at the age of seven, the perfect complement to his way of remembering things – a detailed picture impressed in the mind. Cameras help in turning this habit concrete and the artist begins to take pictures systematically. Photography, the ‘art of the transient’ becomes his ally. ‘Documentation’ doesn’t make justice of Lartigue’s modus operandi, rather, it is ‘classification’ that best describes his attitude to picture what is beautiful and what makes him happy. These pictures are, at once, timeless and very modern, given their ability to penetrate naturally and directly whoever stands before them. In July 2020, the exhibition will be open Fridays through Sundays, 11am to 7pm, at a discounted price. «Jacques Henri Lartigue. L’invenzione della felicità. Fotografie» 11 lug-10 gen 2021 Casa dei Tre Oci, Giudecca
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interview
L’amore e altre forme d’arte Didier Guillon, visita guidata alla “Fondation Valmont”
Zona centrale, tra Campo San Polo e Campo Santa Maria Materdomini, ma volutamente non così “di passaggio”, affacciato su una stretta calle, l’accesso alla “Fondation Valmont” non è solo un ingresso, ma un viaggio in un’altra dimensione, quella della ricerca della bellezza. Didier Guillon ci accoglie, facendoci entrare nel suo mondo. Rain cage, 2014 di Didier Guillon, Murano Glass © Dimitris Michalakis
Mi sono innamorato di Venezia anni fa, durante una visita con mia moglie – un amore il mio per questa città che spero si concretizzi compiutamente nel 2022, quando finalmente potrò venire a viverci stabilmente! Era dicembre e Venezia era buia e nebbiosa. Ho associato il mio camminare per la città con l’inizio di una relazione, di una nuova vita romantica.
L’amore per Venezia è il nucleo del progetto che Didier Guillon ha fortemente voluto e realizzato: la “Fondation Valmont” a Palazzo Bonvicini. Zona centrale, tra Campo San Polo e Campo Santa Maria Materdomini, ma volutamente non così “di passaggio”, affacciato su una stretta calle, l’accesso alla fondazione non è solo un ingresso, ma un viaggio in un’altra dimensione, quella della ricerca della bellezza. Dopo una breve scala, lo spazio monumentale dalle linee decise ma semplici ci accoglie con le atmosfere di Luchino Visconti nel capolavoro Morte a Venezia (1971), proiettato quotidianamente in alcune fasce orarie, che subito ci avvolge dell’atmosfera sospesa della città, dove l’amore – Venetian Love –, in tutte le sue declinazioni, diventa tormento ed estasi. Dopo la visione, penetrare gli spazi espositivi, con le opere dello stesso Guillon, di Silvano Rubino e di Aristide Nejean, è come varcare una soglia dove il passato, il presente e il futuro sono imprescindibilmente legati. Didier Guillon ci accoglie dopo aver visitato la fondazione, studiando il nostro sguardo per capire se la mostra “ci è arrivata”; solo allora incomincia a raccontare, facendoci entrare nel suo mondo. Partiamo dal titolo della mostra, Venetian Love, che racchiude due elementi fondamentali della filosofia stessa della “Fondation Valmont”, ossia l’Amore e Venezia. Quale il significato profondo di queste due parole per lei? E come il senso di queste stesse parole si è trasformato in mostra? Venetian Love è un manifesto programmatico. La mostra riflette sulla pazienza necessaria per conoscere questa città fantastica e per scoprire la sua bellezza e le sue ombre, la Venezia più vera e autentica. Ci troviamo davanti a un elemento estetico essenziale, il romanticismo. Non mi piacciono le estetiche fredde, dove l’unico obiettivo della creazione artistica è la forma assoluta. Io ricerco qualcosa di romantico e questo si nota chiaramente nelle opere dei due artisti coinvolti assieme a me nella mostra, Silvano Rubino e Aristide Nejean, veneziani che condividono la loro esperienza con altri veneziani. Il motivo per cui definisco elemento “essenziale” la suggestione estetica che l’arte deve saper produrre è perché voglio e ho bisogno che i visitatori della mostra provino un’emozione, e deve essere un’emozione non concettuale o drammatica. Qui non c’è nulla che abbia a che fare con l’attualità o con problemi
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Love and other forms of art
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Didier Guillon takes us on a visit at “Fondation Valmont”
sociali. Ciò che offriamo, ciò che possiamo darvi, è un’emozione che spero ricorderete, un’emozione che sottende un unico concetto: noi amiamo Venezia. Venezia è perfetta a modo suo: è reale, umana e fragile. Una città fragile come lo siamo noi uomini, quindi un luogo per eccellenza prossimo a una parte integrante del nostro essere e per me è importante vivere in una città che rifletta questa idea. Mi sono innamorato di Venezia anni fa, durante una visita con mia moglie – un amore il mio per questa città che spero si concretizzi compiutamente nel 2022, quando finalmente potrò venire a viverci stabilmente! –. Era dicembre e Venezia era buia e nebbiosa. Ho associato il mio camminare per la città con l’inizio di una relazione, di una nuova vita romantica. Questo concetto si rispecchia nel nostro essere, essenzialmente, genitori e creatori. Creiamo cose, come la boccetta di profumo che ora tengo in mano. I protagonisti della mostra, Aristide Najean, Didier Guillon e Silvano Rubino, dialogano di stanza in stanza, senza evidenti steccati: quale il filo rosso che lega questi artisti? E quali invece gli elementi cardine e peculiari di ciascuno di essi che hanno determinato la loro presenza in mostra? Spero proprio che questi elementi in comune siano la sincerità e un atteggiamento essenziale nei confronti della creazione. Per Silvano e Aristide l’arte è totalizzante. Non si chiedono mai se le loro creazioni siano commercializzabili o quanto siano adatte a far parte di una mostra. Sono artisti compulsivi, hanno bisogno di produrre, di creare. Per loro non creare equivale a morire. Alla base vi sono sempre due domande fondamentali: chi sono io? Cosa sto facendo? Domande a cui abbiamo cercato di rispondere nel costruire il nostro prossimo progetto espositivo Alice in Doomedland – terzo capitolo delle mostre ispirate dalle fiabe dopo Beauty and the Beast (2017) e Hansel & Gretel – White Traces in Search of Your Self (2019), che verrà presentata in concomitanza della prossima Biennale Architettura nel 2021 –, in cui andremo a indagare l’arte attraverso processi lontani dal mondo reale. Apriremo con una stanza comune della meditazione, dove useremo installazioni audio e video create da Silvano Rubino, e musica che ispiri la meditazione e il pensiero. Ci sarà interazione tra le opere d’arte e i visitatori, invitati a porre domande e, infine, a tornare alla stanza di meditazione iniziale condi-
visa da me e Isao Artigas con uno stato d’animo inevitabilmente mutato. Una stanza ospiterà una installazione creata da giovani artisti del Bronx. Lo scorso anno abbiamo infatti lanciato un concorso dedicato a giovani provenienti da famiglie emarginate appartenenti all’associazione newyorkese no-profit Publicolor, offrendo loro l’opportunità di esprimere i propri sentimenti attraverso l’arte. Questi giovani artisti saranno invitati a Venezia per installare le opere selezionate da questo concorso grazie, per l’appunto, al sostegno della “Fondation Valmont”. Crediamo fortemente in questo progetto e abbiamo spinto molto sui concetti di sostenibilità e riciclo. Altro elemento fondamentale di questo dialogo sono gli spazi magnifici di Palazzo Bonvicini. Come questo meraviglioso Palazzo è diventato la casa della “Fondation Valmont”? E come è stato concepito il percorso della mostra in relazione a questi spazi di storia profondissima così stupendamente restaurati? Il Palazzo, e in particolare il piano in cui è allestita la mostra, si caratterizza per una decorazione barocca molto delicata; non è un barocco potente e molto caratterizzato. Gli stucchi sono leggeri, quasi aerei, con una gamma di colori pastello, dal grigio, al rosa, al celeste. Ho scelto attentamente questo spazio che mantiene viva la bellezza del passato, ma al contempo non sovrasta mai il contenuto contemporaneo. Grazie a ciò, qualsiasi opera decidiamo di esporre qui possiamo essere sicuri che riesca a dialogare con il Palazzo. La cosa mi è stata confermata dagli artisti stessi, cui piace molto portare qui la loro arte. Certo, non tutti, a volte qualcuno mi chiede una scatola bianca tutta per sé. La mia risposta non può in questo caso essere positiva, perché ho voluto che questo spazio fosse una parte del tutto, dove la bellezza emerge in modo elegante e quasi minimale, lasciando spazio ad altra bellezza. Sinceramente poi la scatola bianca la trovi facilmente, un Palazzo così è uno spazio unico! Progettare una mostra in un palazzo veneziano del XVI secolo che collegasse diverse CONTINUA... interpretazioni della bellezza uni«Venetian Love. Didier Guillon, Aristide Najean, Silvano Rubino» Fino 31 gennaio 2021 “Fondation Valmont”, Palazzo Bonvicini, Santa Croce 2161/A Prenotazioni t. +39 041 805 000 2 Proiezioni Morte a Venezia: ogni lunedì, sabato e domenica h. 11
Love for Venice is the core of a project carried out by Didier Guillon: the establishment of the “Fondation Valmont” at Palazzo Bonvicini. The Palazzo is in a prime location in Venice, though not especially close to its main thoroughfares. Entering the building feels like crossing a dimensional portal into a world of aesthetic research. The monumental spaces welcome us in the Viscontiesque atmosphere we remember from Death in Venice (1971), which is screened daily on site and introduces us to the theme of Venetian Love – a blessing and a curse. Didier Guillon scans our eyes to see if we ‘got’ the exhibition. Only later does he begin to tell the story of his world.
I would like to focus on the title of the exhibition first – Venetian Love. Two words for two essential elements in the philosophy of “Fondation Valmont”, Love and Venice. What deeper meaning do these two words have for you? And how did they grow into an exhibition? Venetian Love is a manifesto. It shows the patience necessary to get to know this fantastic city and to discover its beauty and its shadows – what lies behind the wall and what a superficial visit cannot reveal is the truest Venice there is. I believe we are looking at an essential aesthetical element, which is romanticism. I don’t believe in cold aesthetics, where the goal is form itself; what I want is to see something romantic. You can clearly see this in Silvano
DIDIER GUILLON
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Rubino’s art and Aristide Najean will also elaborate this point. I say this is essential because I want – I need – people that will visit the exhibition to feel an emotion and this emotion must not be conceptual or dramatic. There is nothing, here, about current events, societal challenges, or any of the like. What we can and will give to our visitors is a feeling that we hope they will treasure, a feeling conveyed by one message: We love Venice. Venice has a perfection that is all its own: it is real, human, and fragile. It’s a fragile city, much like we humans are, it is integrated in our condition and I will always want to live in a place that will reflect that. I fell in love with Venice a long time ago, I believe that one time I was visiting with my wife-to-be. It was in December, and Venice looked dark and foggy. I associated my walking around the city with the building of a new relationship, a new romantic life, and how am I looking forward to finally be able to move here for good in 2022! This concept mirrors our being, in our deep essence, parents and creators. We create things, like the perfume bottle I am holding in my hands as we speak.
The protagonists in the exhibition – Aristide Najean, Didier Guillon, and Silvano Rubino – hold a conversation. What do they have in common? And what peculiar element in each of them earned them a place in the exhibition? I sincerely hope these common elements are sincerity and an essential attitude towards creation. Silvano and Aristide have a totalizing attitude towards creation; they never second-guess the marketability of any of their artworks, or how apt it is to being displayed in an exhibition. They are compulsive artists, they need to produce, they need to create. To stop creating means death to them. Two questions are essential: who am I? what am I making? We tried to answer these questions in the making of our next exhibition Alice in Doomedland – the third instalment of our fairy tale-inspired productions after Beauty and the Beast of 2017 and Hansel & Gretel – White Traces in Search of Your Self of 2019. Alice in Doomedland will be presented in 2021, and it will help us investigate art using processes that are very much unlike anything we can find in the real world. Here, we can see how the exhibition is laid out: it all begins with a stairway leading to a common room that will inspire meditation and reflection where we will also use video and sound, created by Silvano Rubino, and meditative music which will encourage us to think. There will also be interaction between art and visitors, who will be encouraged to ask questions and, eventually, come back to the relaxing common room shared by Isao Artigas and me in a different mood. Further on, there is an installation room with art coming from the Bronx. We held a competition last year where disadvantaged youths from the New Yorker non-profit organisation Publicolor could participate with their art and install it here in a larger scale, courtesy of “Fondation Valmont”. We believed strongly in this project and pushed hard on the themes of sustainability and CONTINUES... recyclability.
Guillon discende da una lunga stirpe di importanti figure del mondo e nella storia dell’arte: mercanti come Charles Sedelmeyer, scultori e storici dell’arte come Stanislas Lami. È orgoglioso della sua parentela con l’emblematico scultore ed egittologo Alphonse Lami, figlio di François Lami, a sua volta figlio illegittimo di Francesco Borghese... Artista egli stesso, Guillon attinge da questa fenomenale genealogia la sua passione per l’arte, ma anche il suo profondo legame con l’Italia... e in particolare con Venezia. Fedele alla sua natura, Guillon si esalta nel lavorare incessantemente al perfezionamento delle sue ideazioni. La sua è una produzione artistica che spazia nella scelta del mezzo espressivo e delle dimensioni, combinando sapientemente una vasta gamma di materiali. Gli piace pensare a nuovi modi per avvicinarsi, discutere e apprezzare l’arte contemporanea./ Didier descends from a long lineage of major art contributors, throughout history: merchants such as Charles Sedelmeyer, sculptors and art historians as Stanislas Lami. He takes pride in his filiation with emblematic sculptor and Egyptologist Alphonse Lami, whose father François was the illegitimate son of Francesco Borghese… An artist himself, Didier Guillon draws from this phenomenal genealogy his passion for arts, as his profound bond with Italy… more specifically Venice. True to his nature, Didier Guillon exhilarates as he relentlessly works to fine-tune his ideas. He designed multiple works in various media, several dimensions, skillfully combining a wide array of materials. He likes to think of new ways to approach, discuss and appreciate contemporary art.
ARISTIDE NAJEAN Nato e cresciuto a Parigi, Najean arriva a Murano nel 1986 per studiare le celebri e secolari tecniche di lavorazione del vetro dell’isola veneziana. Pittore di formazione, Najean interpreta l’arte vetraria come un’estensione della pittura e ne fa il suo materiale d’elezione. I suoi lampadari traggono ispirazione tanto dalla pittura che dall’arte del vetro, in un’interazione portata fino al loro limite. Aperto a tutte le fonti di ispirazione, Najean osserva il mondo che lo circonda con grande curiosità. Padroneggiando la lavorazione del vetro, sa fino a che punto può spingere i suoi abbozzi e quali sono i limiti entro i quali il materiale manterrà la forma scolpita. Quello in cui vive è un mondo fatto di immagini dove crea opere d’arte che non assomigliano ad altro che alla sua ispirazione e i cui schemi cromatici e le forme disobbedienti scuotono e seducono./ Born and bred in Paris, Aristide arrived in Murano (Italy) in 1986 to study the Venetian island’s renowned, century-old glassmaking techniques. Originally a painter, he saw glassmaking as an extension of this, and it became his preferred material. His chandeliers are inspired by both painting and glassmaking, which mutually interact and are each pushed to their limits. Open to all inspiration, Najean observes the world around him with great curiosity. Mastering glass, he knows how far he can push his sketch and to which extension the material will retain the sculpted shape. He lives in a world of images, producing artworks that resemble no other but his inspiration… whose colour schemes and disobedient shapes strike or seduce.
SILVANO RUBINO Rubino ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Vive e lavora a Venezia e Milano. La sua formazione include anche lo studio dell’iconografia rinascimentale, in particolare nella pittura, elemento che gli è stato di riferimento fondamentale per molti anni. È negli anni Novanta che l’installazione ambientale diventa uno degli aspetti più significativi della sua opera, con la sintesi formale che assume il ruolo dell’elemento che, unito a una caratteristica poeticoconcettuale, determina l’essenza stessa della creazione e la sua identità. Nel 1994 si interessa alla fotografia. Le sue foto sono racconti per immagini che costruisce partendo da scenografie realizzate in studio. Il vetro è uno dei suoi materiali preferiti dal 2001./ Silvano Rubino studied at the Academy of Fine Arts in Venice. He lives and works in Venice and Milan. His education included the study of Renaissance iconography, particularly in painting, and this was a fundamental reference for many years. In the 1990s, the environmental installation became one of the most significant aspects of his work, where formal synthesis became the element which, combined with a poetic-conceptual characteristic, would determine the very essence of the work and its identity. In 1994, he nurtured his interest in photography. His photographs are stories told in images, which he constructs starting with sets created in the studio. Since 2001, glass has been one of his preferred materials.
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Città sospese
Suspended cities
A Palazzo Cini, Piranesi e Basilico fermano il tempo dell’arte
At Palazzo Cini, Piranesi and Basilico stop time in art
Lo studio del Maestro diventa il suo Museo
Did it happen to you as well? Meanings in the pre-Covid19 world don’t quite align with meanings today. A sort of lockdown syndrome! It happened to me in Florence when, a few days ago, I visited exhibition Tomás Saraceno. Aria at Palazzo Strozzi. What was, in the eyes of the visionary artist, utopia now appears under a different light, more real and vivid. It happened also in Venice when, during one of the first walks around town, I noticed posters of the Piranesi/ Basilico exhibition. I couldn’t help but think that the beforeand-after pictures of lockeddown Italian cities looked quite similar. The exhibition, at Palazzo Cini in Venice, is an original reading of Rome vedutas. The most symbolic places in the Eternal City are paired with prints by the Venetian engraver from the 1700s. The Piranesi collection is one of the most relevant graphic art collections belonging to a private institution. We owe its preservation to Vittorio Cini who, in the 1960s, acquired it. The current exhibition falls on the three-hundredth anniversary of Piranesi’s birth and is a journey through space and time: different techniques but the same extraordinary modernity in the visions of two artists. Where ancient ends, there begins contemporary.
Dopo il successo della mostra di Emilio Vedova a Palazzo Reale di Milano, chiusa lo scorso febbraio, accompagnata da un eccezionale volume, edito da Marsilio e curato da Germano Celant, recentemente scomparso, la Fondazione Emilio e Annabianca Vedova non ha fermato i suoi progetti anzi ha fatto tesoro di queste esperienze per rilanciare la sua attività con un autunno caldissimo di appuntamenti e importanti decisioni. Il primo di questi è l’attesa mostra a Baden (Vienna) al Museo Arnulf Rainer, dal 5 settembre 2020 al 5 aprile 2021, dal suggestivo titolo: Titian Schaut (Tiziano sta guardando), curata da Helmut Friedel e Fabrizio Gazzarri, che pone in dialogo Emilio Vedova e Arnulf Rainer in una originale visione dell’arte. L’ulteriore notizia, inattesa e di grande significato anche per la città di Venezia, comunicata dal presidente della Fondazione, Alfredo Bianchini, riporta a un impegno cospicuo e centrale verso la maggiore conoscenza dell’intero corpus delle opere di Vedova: «Abbiamo avviato una
Non so se capita anche a voi, ma le cose che avevano un significato pre Covid assumono ai miei occhi un significato diverso ora, dopo la ripartenza. Una specie di “sindrome da lockdown”! Mi è capitato a Firenze quando, pochi giorni fa, ho visitato la mostra Tomás Saraceno. Aria a Palazzo Strozzi, penetrando significati che forse prima erano rimasti come utopie nella mente dell’artista visionario e ora apparivano sotto tutt’altra luce, più reale e vivida; mi è capitato a Venezia, quando ho visto sui muri, durante le prime nuove camminate per la città, campeggiare le immagini di Roma nell’accoppiata inedita Piranesi/Basilico. Non ho potuto pensare al fatto che le immagini delle città dei giorni di quarantena avevano lo stesso effetto visivo “prima/dopo” della bellissima similitudine pensata da Luca Massimo Barbero per Palazzo Cini: la città antica delle incisioni di Piranesi e la città contemporanea ritratta nelle fotografie di Gabriele Basilico. Lo scarto temporale mi sembrava infrangersi e annullarsi in un’unica visione di bellezza assoluta e al contempo di fissità. La mostra, aperta a Palazzo Cini a San Vio, offre infatti una lettura originale delle vedute di Roma: i luoghi più simbolici della città eterna sono messi a dialogo rispettivamente accoppiando 25 stampe originali realizzate nel ‘700 dall’incisore veneziano – selezionate dal corpus integrale
conservato nelle collezioni grafiche della Fondazione Giorgio Cini – alle 26 vedute di Roma del fotografo milanese, realizzate con le stesse angolazioni delle incisioni piranesiane. Il corpus Piranesi costituisce uno dei fondi di grafica più rilevanti conservati da un’istituzione privata. La sua conservazione è stata garantita dalla lungimirante e generosa decisione di Vittorio Cini, che negli anni Sessanta del secolo scorso lo acquistò e lo destinò integralmente all’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione. Ispirato alle celebrazioni per i 300 anni dalla nascita di Giambattista Piranesi (Venezia, 1720–Roma, 1778), il progetto espositivo permette di travalicare lo spazio e soprattutto il tempo, restituendo attraverso una diversa tecnica ma con eguale forza la straordinaria modernità e la grandezza di visione dei due artisti. Dove finisce l’antico, inizia il contemporaneo! Per garantire la massima sicurezza e fruibilità degli spazi e, soprattutto, assicurare ai visitatori la consueta esperienza di visita intima e personale della casa-museo – le cui collezioni permanenti al piano nobile includono capolavori di Filippo Lippi, Beato Angelico, Botticelli, Piero di Cosimo e Pontormo – Palazzo Cini è visitabile con orario ridotto a ingresso contingentato dal venerdì alla domenica, dalle ore 12 alle 20. M.M.
«Piranesi Roma Basilico» Fino 23 novembre Galleria di Palazzo Cini, San Vio
Ri-Fondazione Vedova
Vedova Re-Foundation
seconda fase che consente di studiare e presentare via via in modo organico e coordinato le complesse esperienze di Vedova nel loro intreccio contestuale, per il che le singole mostre ci appaiono in qualche modo superate e non totalmente espressive dell’articolato linguaggio – segno di Vedova. Di qui l’idea e l’impegno di dar vita al progetto permanente del Museo Vedova». Un progetto in via di maturazione che dovrebbe essere completato negli attuali spazi espositivi tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022. Infine, da subito, il gradito ritorno in Laguna come membro del Consiglio di Fondazione Vedova di Philip Rylands, uno dei protagonisti indiscussi della vita culturale veneziana e non solo degli ultimi decenni, nonché uno dei più autorevoli studiosi nel panorama dell’arte a livello mondiale.
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Workshop becomes museum Emilio Vedova’s art proved a success at the recent exhibition in Milan. Despite the unfortunate passing of curator Germano Celant, who also co-authored the exhibition’s catalogue, Fondazione Emilio e Annabianca Vedova never stopped working and plans a season of interesting art programmes. The first appointment will be in Baden bei Wien, at the Arnulf Rainer Museum, from September 5 to April 5: exhibition Titian
Schaut (Titian is watching), curate by Helmut Friedel and Fabrizio Gazzarri. Another piece of news, and one that is quite significant for Venice, is that of an upcoming project of a permanent museum for Vedova’s art, to be built where the Foundation stands now. “We feel individual exhibitions are somehow obsolete and fail to render Vedova’s articulate language in its entirety” says the president of the Foundation Alfredo Bianchini.
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Prorogat
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Maurizio Donzelli, Arthur Duff, Serena Fineschi, Aldo Grazzi, Silvia Infranco, Giulio Malinverni, Maurizio Pellegrin, Quayola, Donatella Spaziani, Marco Maria Zanin I DREAMED A DREAM – Chapter 2 Curated by Domenico De Chirico With poems by Paolo Gambi FinoUntil 26 settembreSeptember
I dreamed a dream è concepita come il contenuto di un determinato sogno mai rivelato in cui svariate immagini si avvicendano, come la riproduzione fantastica che si compie nella coscienza del contenuto di un’esperienza sensibile. L’evanescenza di ogni singola opera rintracciabile anche tra gli elementi scultorei che rimandano alla matericità del reale sembra sussurrare racconti di sogni i quali insieme costituiscono un unico coro sognante. Un inconscio collettivo viene così decantato, tuttavia non si tratta dell’inconscio collettivo teorizzato da Carl Gustav Jung che procede all’indietro alla ricerca di un substrato antico, bensì di un inconscio sognante che insegue linee fugaci su sfondi indefiniti. Dunque, un sogno fatto di tanti sogni e della sostanza soffice scaturita dalle loro interconnessioni./ I dreamed a dream is designed as the content of a certain dream, never revealed, in which various images alternate, like the fantastic reproduction that occurs in the awareness of the content of a tangible experience. The evanescence of each individual work, present even among the sculptural elements alluding to the materiality of reality, seems to murmur tales of dreams that together form a single dreaming chorus. A collective unconscious is thus decanted, but this is not the collective unconscious of Carl Gustav Jung’s theories that works backward seeking an ancient substratum, but instead a dreaming unconsciousness that pursues fleeting lines on undefined backgrounds. Thus, a dream made of so many dreams and of the flexible substance arisen from their interconnections. Marignana Arte Dorsoduro 141 Rio Terà dei Catecumeni
GALLERIA ALBERTA PANE
SHARE HAPPINESS Omaggio a Frankenstein
A plus A – Kensuke Koike | Caterina Tognon – Lilla Tabasso | La Galleria Dorothea van der Koelen – Mohammed Kazem | Ikona Gallery – Nives Kavurić-Kurtović | Marignana Arte – Mats Bergquist | marina bastianello gallery – Penzo+Fiore | Galleria Michela Rizzo – Kateřina Šedá | Galleria Alberta Pane – Michelangelo Penso FinoUntil 25 luglioJuly
La galleria è prima di tutto uno spazio di creazione, un luogo che interagisce all’interno del territorio in cui si colloca, una fucina di progetti culturali capaci di ampliare il raggio di azione a livello nazionale per poi rivolgersi anche a un pubblico internazionale in uno scambio costante e arricchente. Il progetto Share Happiness consiste in una trilogia di mostre realizzate negli spazi della Galleria Alberta Pane, tra il 2020 e 2021. La prima mostra ospita una selezione di gallerie veneziane, invitate a presentare una o due opere scelte tra quelle dei loro artisti, la seconda ospiterà, invece, un gruppo di gallerie italiane e nella terza esposizione sarà il turno delle gallerie internazionali. L’idea nasce dall’esigenza di condivisione già fortemente presente prima della pandemia, ma acuita da quest’ultima. Share Happiness – omaggio a Frankenstein, prima esposizione della trilogia, evoca il celebre romanzo di Mary Shelley scritto fra il 1816 e il 1817, ancora oggi di grande attualità, offrendo agli artisti moltissime chiavi di lettura./ The gallery is first of all a space of creation, a place that interacts within the territory in which it is located, a forge of cultural projects capable of expanding the range of action to the national level and then reaching an international audience in a constant and enriching exchange. The first exhibition hosts a selection of Venetian galleries, invited to present one or two works chosen among those of their artists, while the second will host, instead, a group of Italian galleries and in the third exhibition international galleries will be present. The exhibitions will be held in the Venetian space of the Alberta Pane gallery between 2020 and 2021. The idea stems from the need of sharing already strongly present before the pandemic, but exacerbated by it; at this time the urge for a dialogue and for sharing of forces seems to us not only fundamental, but also vital. The first exhibition that inaugurates the trilogy is entitled Share Happiness – a tribute to Frankenstein, evoking Mary Shelley’s famous novel written between 1816 and 1817 and still very relevant today. An invitation to talk about them and share them. Galleria Alberta Pane Calle dei Guardiani 2403H
Doveva essere il 20 giugno 2020, ma ormai si sa, tutto è cambiato! Art Night Venezia avrebbe dovuto festeggiare 10 anni di successi, di pubblico e soprattutto di partecipazione e coinvolgimento della città e di tutti i soggetti culturali permanenti e temporanei, l’Appuntamento da non perdere. E invece la festa non c’è stata, ma è solo rinviata al 2021. Non potendosi ritrovare fisicamente nella notte che per nove anni ha liberato l’arte a Venezia, Silvia Burini e Angela Bianco – testa, cuore e anima dell’evento ideato per Ca’ Foscari nel 2011 e dal 2013 inserito ufficialmente nel calendario delle Notti d’Arte Europee –, non si sono arrese e hanno creato un appuntamento virtuale coinvolgendo tutte le istituzioni che tradizionalmente hanno fatto parte dell’evento. È nato così Aspettando Art Night 2021: liberiamo la notte, che proprio in concomitanza del compleanno, alle 18 di sabato 20 giugno 2020, quando normalmente l’appuntamento per tutti era nel cortile dell’Università di Ca’ Foscari, hanno lanciato nei canali social l’anteprima del video, che sarà pronto in edizione definitiva in autunno, dedicato alle edizioni precedenti che, proprio quella sera, tutti gli enti e le istituzioni aderenti hanno condiviso contemporaneamente. «Fin dalla prima edizione – ricorda Silvia Burini – il progetto si è configurato come una vera e propria “piattaforma espressiva”. In tutte le edizioni, i singoli aderenti hanno garantito un’offerta articolata e d’eccellenza. Ca’ Foscari stesso ha affiancato alla gestione pratico-logistica dell’evento, l’ideazione e la realizzazione di un programma ad hoc per le serate, in un costante crescendo qualitativo. Sono state scelte che hanno visto confermato il loro valore anche con il passare degli anni e che hanno composto un vero e proprio catalogo di performance, mostre, reading, laboratori… di assoluta qualità e varietà».
ITINERARI DI SALUTE
A quattro anni esatti dall’apertura al pubblico della Scala del Bovolo, grazie alla valorizzazione promossa da I.R.E. e Fondazione Venezia, esempio virtuoso di come enti e fondazioni storiche possono operare, è stato presentato un nuovo progetto culturale promosso da ULSS 3 Serenissima, I.P.A.V. e Pietà. Unum, verum et bonum. La cura dell’anima tra i servizi alla persona è un ciclo di percorsi guidati a tema che a partire da settembre offriranno ai visitatori un viaggio di scoperta negli “Ospedali Grandi” veneziani: Santa Maria della Pietà, in Riva degli Schiavoni, risalente al 1346, l’Ospedale dei Derelitti ai Santi Giovanni e Paolo, complesso monumentale eretto del 1527, e l’Ospedale dei Mendicanti (parte del complesso dell’Ospedale Civile di Venezia) alle Fondamente Nove, edificato nel 1600. Ognuno di essi si caratterizzava per una finalità specifica: la Pietà era il luogo preposto all’accoglimento degli “esposti”; ai Derelitti ci si prendeva cura della gioventù abbandonata o disagiata; i Mendicanti davano asilo ai “senzatetto”. Venezia è stata un caso unico nella storia per il suo capillare sistema di ‘welfare’ che per secoli ha garantito alla città una certa sicurezza sociale, un controllo igienico-sanitario e un contenimento della povertà. Molteplici sono i punti in comune e gli intrecci che permettono di offrire al visitatore un’esperienza culturale unitaria: «Si tratta di istituzioni che si intrecciano su cinque secoli – spiega Agata Brusegan, curatrice del progetto per I.R.E. Venezia (ora I.P.A.V.) – continuando a fare ciò che facevano in origine, ovvero servizi alla persona, esempi concreti della rivoluzione che nel ‘500 ci fu rispetto al concetto di assistenza. Si affermò infatti l’idea che “Per curare una persona, bisogna curarne l’anima attraverso la bellezza”. Di questa bellezza, le strutture ospedaliere veneziane sono testimoni».
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ART NIGHT 2021
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La montagna incantata
Invito a Palazzo Sarcinelli per un’immersione nei dipinti e nei libri in mostra Una mostra che tutti dovrebbero visitare, piccola, piacevole e dalle diverse letture, che conquista per l’immediata semplicità di soggetti che siamo abituati a guardare, scalare, discendere. Gli artisti selezionati hanno infatti immortalato le montagne, le meravigliose Dolomiti venete e friulane, lasciandoci testimonianza vivida, immediata e immensa, ma anche utilizzandole come pretesto per far spaziare il proprio genio creativo. Quindi, per tutti coloro che quest’estate per un giorno, un weekend o per un periodo più lungo saliranno in montagna, è obbligatoria una tappa a Palazzo Sarcinelli a Conegliano. Gli artisti – Ciardi, Compton, Flumiani, Pellis, Salviati, Sartorelli – sono esploratori e avanguardisti, capaci di rendere l’impressione immediata o l’idealizzazione quasi astratta. La scoperta della montagna attraverso i loro occhi e quelli di illuminati scalatori tra Ottocento e Novecento diventa per il pubblico contemporaneo come un ritorno all’infanzia, rivivendo la sensazione avuta quando per la prima volta, bambini, si è scoperto questi immensi e splendidi giganti, rimanendone immediatamente rapiti. La mostra Il Racconto della montagna nella pittura tra Ottocento e Novecento offre ogni sabato uno straordinario percorso guidato tra storia, personaggi, amore e a volte leggende da non perdere (inizio visita ore 15.30). JOSIAH GILBERT, GEORGE CHEETHAM CHURCHILL The Dolomite Mountains. Excursions Through Tyrol, Carinthia, Carniola, & Friuli in 1861, 1862, & 1863 prima edizione Londra, 1864
Con il libro The Dolomite Mountains pubblicato nel 1864 scritto e illustrato da due viaggiatori britannici, Josiah Gilbert e George Cheetham Churchill, le Dolomiti vengono inserite definitivamente in quel “Tour alpino” che il romanticismo ha contribuito a rendere di moda oltre Manica. In un’epoca di continue scoperte (l’Antartide, l’Everest), la vecchia Europa ottocentesca aveva ancora parecchi segreti celati, soprattutto nei mondi ostici e marginali dell’alta quota. Armati di block-notes e colori esplorarono quella parte ancora ignota e selvaggia delle
Alpi. Amavano avventurarsi alla scoperta di quelle regioni sconosciute insieme alle loro mogli, e tale ‘collaborazione’ di coppia aprì loro non poche porte durante la ricerca ‘sul campo’, favorendo pure i rapporti con quei popoli indigeni incredibilmente introversi. Il loro amore per le Dolomiti li fece tornare e ritornare (dal 1861 al 1863), permettendogli di esplorare una per una le numerose valli alpine. I due appassionati descrivevano rupi “come absidi di enormi cattedrali” e crinali simili a “muri di abbazie in rovina”. Furono i primi a utilizzare la parola “Dolomiti” nella loro pubblicazione e senza saperlo inventarono anche una moda elegante, elitaria, dalla fortuna miliardaria.
sera che attendono con ansia la prosecuzione della successiva puntata del racconto) non si stacca facilmente dalla illustrazione delle bellezze e peculiarità paesistiche presentate e dai fenomeni geologici evocati con sapientissima messa in scena: eruzioni vulcaniche, solfatare, soffioni e così via. GIUSEPPE MAZZOTTI La montagna presa in giro Torino, Rivista Alpinistica, 1931; successive edizioni Milano, L’Eroica, a partire dal 1932
ANTONIO STOPPANI Il Bel Paese. Conversazioni sulle bellezze naturali la geologia e la geografia fisica d’Italia prima edizione Milano, 1876
Antonio Stoppani, il celebre abate Stoppani, geologo, paleontologo, naturalista e patriota, tra le molte sue pubblicazioni, dà alle stampe nel 1876 Il Bel Paese che diverrà presto un best seller e, rieditato un numero illimitato di volte, è destinato a costituire per dir così la magna carta della geografia fisica e della divulgazione di massa della forma e della storia geologica dello Stivale. Suddiviso in serate cioè in narrazioni che egli destina nella finzione letteraria ai suoi nipotini di sera in sera davanti al camino, il libro di Stoppani contribuisce come pochi a far prendere coscienza del patrimonio naturalistico del Paese e, soprattutto, a instillare un amore per la montagna e un interesse che diventa accesa curiosità per le scalate, oltre a divulgare il ruolo e le potenzialità del CAI quasi come dinamica sentinella naturalistica e ambientalista ante litteram, e ciò già immediatamente dopo la sua fondazione. Le serate del libro iniziano proprio con l’universo delle Alpi Carniche e le Dolomiti che occupano le prime tre puntate della narrazione e, in esse, Stoppani dà conto di sue vere escursioni tra Conegliano, Belluno, Agordo, la val Fiorentina, Pelmo, Civetta, Marmolada, per proseguire poi verso il Friuli e altri orizzonti. Il libro di Stoppani ha una esplicita destinazione educativa e didattica, illustrate dall’autore fin dalle primissime pagine rivolte agli istitutori. Ma il tutto appare non solo di una ricchezza e precisione descrittiva ineguagliabili, non solo informatissimo su recenti ricerche e osservazioni disciplinari ma avvincente e narrativamente efficacissimo per cui il lettore (così come i nipotini-uditori dei giovedì
Giuseppe Mazzotti (1907-1981) eclettico intellettuale trevigiano fu tra le tante cose il vero protagonista del lancio della celebre “Marca gioiosa”, cioè di quella visione insieme scanzonata e curiosa di storia che ha ridisegnato la fisionomia collettiva di questo territorio non meno che la sua stessa autoidentità. Geniale e insostituibile nel censimento generale delle ville venete, operazione fondamentale per la sopravvivenza (allora fortemente minacciata) di una consistente fetta del patrimonio culturale del nostro Paese, fu caparbio difensore del paesaggio e dei suoi diritti a fronte delle continue e sempre più aggressive minacce portate dall’uomo. Della montagna Bepi Mazzotti è stato amante fedele e ripagato: l’ha studiata, percorsa, scalata, corteggiata, blandita, difesa. E non solo le Dolomiti e la conca di Cortina! Ha frequentato la Val d’Aosta (ha sposato la sorella di una guida mitica di quelle montagne, Nerina Crétier) e si è egli stesso misurato col Cervino, raccontando poi in pagine avvincenti la terribile magia di quella piramide granitica, temuta e agognata da ogni arrampicatore. Mazzotti ha scritto molto di montagna, sia articoli e saggi per giornali e riviste, sia in volumi di notevole successo e tradotti in varie lingue. La chiave di questi lavori è quella umoristico-morale e di costume: spicca il suo fortunatissimo La montagna presa in giro uscito una prima volta nel 1931 e poi in numerose riedizioni e ristampe, divenne subito una sorta di galateo dell’ambiente alpino. Nel volumetto egli denuncia profeticamente la mercificazione dei luoghi alpini, la nascita dei mostri turistici, lo smembramento della natura per l’accoglienza delle orde vacanziere. Grazie anche alle illustrazioni caricaturali di Sante Cancian il libro si presenta di piacevole lettura nonostante la profondità dei temi trattati. Franca Lugato “Il racconto della Montagna nella pittura tra Ottocento e Novecento” 12 giugno-8 dicembre Palazzo Sarcinelli-Conegliano
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a cura di Delphine Trouillard
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Infinito passato Un viaggio di scoperta nelle affascinanti terre dei Rasna
Cerco casa . Non lo dico per ricevere
Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna è un grande progetto espositivo ospitato al Museo Archeologico di Bologna e dedicato alla civiltà etrusca con circa 14mila oggetti provenienti da oltre 60 musei. Grazie a un itinerario studiato ad hoc, i visitatori intraprendono un viaggio di scoperta di non una sola Etruria, ma di molteplici territori – Lazio, Umbria e Toscana, ma anche valle Padana, Emilia Romagna, Lombardia, e Campania, forse meno noti al grande pubblico ma importanti teatri di nuove scoperte archeologiche – che hanno dato esiti di insediamento, urbanizzazione, gestione e modello economico differenti nello spazio e nel tempo, tutti però sotto l’egida della cultura etrusca. Dopo la chiusura temporanea causa pandemia, l’esposizione ha riaperto lo scorso 6 giugno grazie all’impegno congiunto di Istituzione Bologna Musei ed Electa, oltre che alla disponibilità di tutti i prestatori coinvolti, tra cui il British Museum di Londra, il Musée du Louvre di Parigi, il Musée Royal d’Art d’Histoire di Bruxelles, il Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen e i Musei Vaticani. Come dichiarato da Matteo Lepore, assessore alla Cultura e Promozione del Comune di Bologna: «Abbiamo riaperto i musei al termine del lockdown per ridare ai bolognesi, e ora ai turisti, la possibilità di visitarli e fare apprezzare loro il nostro patrimonio
artistico e scientifico. La notizia dell’apertura della mostra è per noi molto importante, perché aggiunge ai nostri percorsi culturali un itinerario di qualità, dando la possibilità di vivere la storia degli Etruschi attraverso opere provenienti da tutto il mondo». Il percorso espositivo inizia con un momento di preparazione al viaggio, che introduce il visitatore nella cultura e nella storia del popolo etrusco attraverso oggetti e contesti archeologici fortemente identificativi, per poi passare alla seconda parte, dove si compie il “viaggio vero e proprio” nelle terre dei “Rasna” – così gli Etruschi amavano chiamare sé stessi. La mostra, che resterà aperta al pubblico sino al 20 novembre, dialoga con la ricca sezione etrusca del Museo Civico Archeologico, a testimonianza del ruolo di primo piano che Bologna ebbe in epoca etrusca, ideale appendice al percorso di visita dell’esposizione. Per l’occasione Electa ha prodotto un catalogo con saggi di Giuseppe Sassatelli, Vincenzo Bellelli, Roberto Macellari, Marco Rendeli, Alain Schnapp e Giuseppe Maria Della Fina, oltre ad un approfondimento sui musei etruschi italiani e numerose schede dedicate alle opere esposte. Daniela Paties Montagner «Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna» Fino 29 novembre Museo Civico Archeologico, Bologna
annunci immobiliari (anche se… se qualche lettore avesse un gran cuore e 150 metri quadri a disposizione mi farebbe comodo). Lo dico perché, come molti, la cerco disperatamente da un anno e mezzo e, sia all’acquisto che alla locazione, il mercato veneziano offre ben poco. Se si cerca una sistemazione da novembre a fine marzo e se si hanno 2000€ da buttare in affitto ogni mese, si fa ben presto a trovare. Nel caso contrario, si fa come faccio da fin troppo tempo, ci si schiaccia in tre in 45 metri quadri e si cerca di sopravvivere. Poi c’è stato il confinamento (siamo rimasti schiacciati in tre in 45 metri quadri e siamo sopravvissuti) e oggi che le ‘gabbie’ sono riaperte, sembra che qualcosa sia cambiato. Come se gli annunci AirBnb fossero finiti per sbaglio sul sito immobiliare. it. Finalmente si trovano delle case in affitto! E non case qualsiasi: appartamenti restaurati da poco, completamente arredati e corredati, con tre camere matrimoniali (ma nessun soggiorno), due bagni finestrati (ma una cucina in uno sgabuzzino). Quanto sono invitanti le foto con gli asciugamani arrotolati sui letti, la colazione pronta sul tavolo da pranzo, i fiori all’ingresso! Sembra quasi che i proprietari aspettassero l’inquilino con la cartina di Venezia, i consigli di ristoranti e la bottiglia di prosecco in frigo, giusto per avere una buona recensione sul sito dell’agenzia immobiliare. In realtà, che gli appartamenti destinati alla locazione turistica siano finalmente disponibili alla cittadinanza è una notizia piuttosto buona. Lungi da me quindi l’idea di criticare tale mossa da parte dei proprietari. Speriamo solo che non sia temporaneo ma che si tratti
di un vero e proprio cambio di rotta dovuto a una situazione di emergenza che ha fatto emergere anomalie enormi da correggere rapidamente. Mi spiace solo che sia stata necessaria una pandemia planetaria per raggiungere questo obiettivo. A Parigi, l’Eldorado di AirBnb fino a poco fa, si continuano a cercare soluzioni per frenare lo sviluppo delle piattaforme specializzate nell’affitto breve tra privati. Prima c’è stata la squadra di ispettori incaricata di effettuare controlli negli alloggi turistici e che ha obbligato i proprietari a registrarsi sul sito della città. Poi c’è stata, su decisione del comune di Parigi, la riduzione a un massimo di 120 le notti consentite per affitti brevi. E non finisce qui. Di fronte a problemi crescenti legati a un turismo troppo invadente per le popolazioni di alcuni paesi, un emendamento consente oggi ai comuni di stabilire autonomamente un numero massimo di pernottamenti tra 60 e 120. Quindi si può? Una città può decidere di moderare ciò che la denatura, ciò che fa di lei una città consumata e non più vissuta? Evidentemente sì, però a Venezia ci tocca ringraziare pipistrelli e pangolini per averci permesso di regolare il turismo di massa e le sue conseguenze sulla residenzialità. Invece la start-up statunitense, diventata nel frattempo vera e propria multinazionale, trema. Ha necessità di fidelizzare i suoi migliori “host” e, per farlo, ha deciso di metterli in qualche modo in cassa integrazione. Non vorranno mica affittare la loro casa a chi, nella loro città, ne ha proprio bisogno?! Ha deciso di versargli un bonus, per i mancanti affitti dovuti al confinamento, giusto per farli aspettare giorni migliori.
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rock, jazz, world... rock, jazz, world...
:musica Rituali collettivi
Il 64. Festival Internazionale di Musica Contemporanea porta il titolo Incontri. Dichiarata l’intenzione di far vivere il Festival in presenza. «Il pubblico deve essere partecipe tanto quanto gli organizzatori, gli esecutori e i creatori». Il direttore Ivan Fedele rivendica il piacere e la responsabilità di aver partecipato alla realizzazione di progetti di altri colleghi e fissa nella ricerca e sperimentazione di tante ricerche stilistiche e concettuali oggi presenti il filo rosso conduttore della manifestazione. Leone d’oro
di Loris Casadei a Luis de Pablo, grande compositore del secolo appena trascorso, il primo a sfidare il tradizionalismo del periodo franchista con musica contemporanea. L’inaugurazione sarà il 25 settembre con una prima assoluta, quando a dirigere l’Orchestra di Padova e del Veneto troviamo il maestro Marco Angius, accompagnati dalla viola di Garth Knox e la chitarra di Therry Mercier. Leone d’argento Raphaël Cendo, del quale viene presentato in prima italiana un interessantissimo recente lavoro, Delocazione: su un mosaico di testi del poeta Royet Journoud, di Rainer Maria Rilke, di Georges Bataille e del suo amico, comune frequentazione del polo di ricerca e dibattito a Villa Medici a Roma, Georges Didi Huberman, viene eseguito un successo di Strasburgo 2017 con il Quatuor Tana e i Neue Vocalsolisten. Corde di violini e contrabbassi sottoposti ad ogni sorta di stimolazione per osare i limiti dei concetti di timbro, frequenza e capacità strumentale. Una parte importante del programma verrà dedicata
agli anniversari, da Bruno Maderna, amato compositore e direttore d’orchestra, insegnante per anni al Conservatorio veneziano e maestro di tanti illustri musicisti fra cui Luigi Nono. Fra gli altri anniversari lo stesso Luigi Nono e Franco Donadoni, molto originale la celebrazione di Ludwig van Beethoven, nato nel 1770, sottoposto a ‘sfida’ con lo stesso Donadoni e Stockhausen. Da non perdere I Cenci di Giorgio Battistelli, con ‘prima’ a Londra nel 1997 e credo non più rappresentata in Italia dopo Siena agli inizi del 2000. Tratto dall’opera teatrale di Antonin Artaud, introduzione al Teatro della crudeltà, ricordo la povera Beatrice, allora Astrid Bas, in una serie impegnativa di sussurri vocali, parte integrante del componimento musicale. Certo, il direttore Ivan Fedele si rattrista per i progetti che non si potranno presentare per l’emergenza sanitaria, ricordando che ogni evento saltato non è la perdita di una data, ma il rimandare la nascita di una creatura. Il Festival è «luogo deputato per trasmettere attività creative. Vi è un bisogno fisiologico di essere presenti, non solo per meglio rievocare l’emozione, ma anche come rituale, luogo di incontro e dibattito per tutti. La Biennale sta diventando sempre di più un momento di ricerca e produzione che si dipana per tutto l’anno, un ruolo sinora svolto solo dall’Istituto di Ricerca e coordinazione acustica musicale di Parigi, un momento di incontro di compositori di diversa esperienza estetica,che spesso scoprono il piacere di lavorare insieme». «64. Festival Internazionale di Musica Contemporanea» 25 settembre-4 ottobre
Collective rituals
The 64th International Festival of Contemporary Music, or Music Biennale, Incontri (Encounters), will
be all about presence. “The audience must participate as much as producers and performers.” Director Ivan Fedele presents the scope of the Festival. The Golden Lion will be awarded to Luis De Pablo, a great composer of the twentieth century and the first to confront the traditionalist Francoist regime with contemporary music. The inauguration will be held on September 25 with a world premiere. The Silver Lion will be awarded to Raphaël Cendo, who will present in national premiere Delocazione, a music work on poetry by Royet Journoud, Rainer Maria Rilke, Georges Bataille, and Georges Didi Huberman. Violin and double bass strings will be picked in all sorts of ways to challenge the concepts of timbre, frequency, and instrumental capability. A large part of the festival programme will be dedicated to anniversaries: Bruno Maderna, Luigi Nono, Franco Donadoni, and Beethoven, who was born in 1770 and whose music will be confronted with Donadoni’s own and with pieces by Stockhausen. Don’t miss I Cenci by Giorgio Battistelli, an adaptation of a drama by Antonin Artaud, it premiered in London in 1997 and was performed for the last time in Italy, I believe, in Siena in 2000. Director Ivan Fedele sadly shares that some productions cannot be presented due to the pandemic, but also assures us that the Festivall is “a place whose function is to pass down creative activities. There is a physiological need to be present not only to invoke feelings, but to process a ritual, to participate in a place of encounter and debate open to all. The Biennale becomes, year after year, a place of research and production that works every day of the year, a place for composers to meet and to discover the beauty of working together.”
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Impresso nella memoria
Il suo libro
Con Guccini, a spasso in Cinquecento
Cambia la forma, non la sostanza
Incontro (Radici, 1972)
Eskimo (Amerigo, 1978)
Scirocco (Signora Bovary, 1987)
Canzone di notte n. 2 (Via Paolo Fabbri 43, 1976)
Amerigo (Amerigo, 1978)
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Incontro ed Eskimo, la nostalgia del passato e dei perduti amori. La prima in chiave più intimista e dolorosa, soprattutto a causa del finale, diretto come un pugno allo stomaco. Eskimo in chiave più politica, quando si teorizzava sull’annullamento delle barriere tra il personale e il politico, cosa che nella realtà mai si riusciva a concretizzare. Scirocco, una tranche de vie, un lampo in una Bologna procellosa descritto magistralmente in tre minuti struggenti e malinconici al ritmo di tango. Canzone di notte n. 2 , un racconto di solitudini stemperate dalle note della chitarra e da un bicchiere di vino, in cui sciogliere le proprie inquietudini notturne. Infine Amerigo, che dipinge in modo emblematico l’infanzia di Guccini, quella reale e quella immaginaria, in bilico “fra la Via Emilia e il West”. E la figura dello zio Amerigo, col cinto d’ernia che la fantasia del bambino vedeva come il cinturone della pistola, rimane uno dei personaggi più riusciti e sentiti mai usciti dalla sua penna. M.Mac.
E così il Maestrone compie 80 anni. Un eroe della generazione di “quelli del ‘68” che ha resistito all’usura e alle intemperie del tempo ed è ancora fra noi, di certo un po’ invecchiato, con parecchi acciacchi e senza più voglia (o capacità, dice lui stesso) di comporre musica. E senza nemmeno più voglia di fare la rivoluzione, ammesso che ne abbia mai veramente avuta. D’altra parte lui stesso cantava che nella fantasia gli eroi son tutti giovani e belli: forse ha preferito lasciarci questa sua immagine, interrompendo da molto tempo il contatto diretto col proprio pubblico e con il palco, dove si esibiva col suo immancabile fiasco di vino. Con onestà tutta contadina e con la saggezza dei suoi avi ha candidamente dichiarato di non saper più cosa scrivere e cosa dire, preferendo affidare i suoi pensieri alla carta stampata piuttosto che al pentagramma, ma soprattutto di non aver, comprensibilmente, più la forza anche fisica per sbattersi nei concerti live. Sarà, dico io, forse
anche la mancanza di ispirazione dovuta alla povertà “ideologica” dei nostri tempi, in cui la figura del macchinista della locomotiva sarebbe decisamente un po’ patetica, chissà. Ma il suo è stato e resta un tempo musicale, durato più di 50 anni, che ha lasciato il segno, e non solo sulle generazioni sue coetanee, visto che una parte almeno dei giovani di oggi, quelli che pensano con la propria zucca e non si accontentano dei prodotti artificiali dei reality, lo ascoltano ancora con piacere. Uno di quei miti la cui musica non invecchia assieme all’autore: riascoltare le sue vecchie (ma non solo) canzoni suscita ancora le emozioni di allora, perché certe cose che lui sapeva raccontare così bene arrivano dirette al cuore anche oggi. Perché la poesia non ha età, non è usurata dagli anni e dai cambiamenti fuori e dentro noi stessi. Conservo un ricordo personale indelebile del mio unico incontro col cantore di Pavana. Fu tanti anni fa, nel 1976, quando venne a fare un concerto al Lido, all’ex arena della Mostra del
Cinema, che allora era all’aperto e ad agosto veniva predisposta per accogliere i film della Biennale, ma nei mesi precedenti veniva utilizzata per spettacoli dal vivo. Quanta poesia persa nel tempo, bisogna dire. Le notti stellate, ma anche gli improvvisi acquazzoni di fine estate vissuta a guardare film indimenticabili, che hanno fatto la storia del cinema. Ognuno di noi che ha attraversato quegli anni li ha vissuti intensamente, estate dopo estate. Premetto che il concerto era a conduzione familiare, organizzato da mio fratello, e mi trovai, alla fine dello spettacolo, ad accompagnare Guccini alla pizzeria Alla sfera per la classica cena post-concerto. Era veramente enorme, un toco de omo per dirla in veneziano, e fece non poca fatica ad entrare nella mia Cinquecento rossa di studente già provata dagli anni. Credetemi, scena da inserire a buon diritto in un film di Fantozzi, era anche il periodo. Alla fine del tragitto, mentre mi stavo fermando, sento un’imprecazione in dialetto padano, seguita da un moccolo in modenese, in cui Francesco si lamentava di essere «finito col culo per terra» (testuale). A farla breve, il pavimento della mia povera macchina aveva definitivamente ceduto al peso degli anni e del Maestrone, il quale rimase più che basito. Seguì la cena a rasserenare gli animi, e Guccini alla fine si (e ci) concesse anche un intermezzo musicale, che in quella pizzeria (che esiste ancora) di sicuro rimane un momento indimenticabile. E se il Guccini sul palco era uno spettacolo, quello privato non era da meno. Mezz’ora di live, come si dice ora, lui e la sua chitarra. Capite adesso cosa intendo per “ricordo indimenticabile”? Auguri Guccio, e altri 80 anni di sogni e di canzoni! Massimo Macaluso
“Ballata per un paese al tramonto”, una definizione che potrebbe risultare perentoria solo per chi non fosse mai entrato in contatto con la poetica di Francesco Guccini. Considero quasi una contraddizione in termini sentir parlare di “seconda carriera” per il cantautore di Pàvana, che da ormai diversi anni ha semplicemente tolto l’accompagnamento musicale a testi che ora troviamo stampati su carta e rilegati in libri, quando prima li ascoltavamo dalla sua viva voce. Una viva voce che, a dispetto delle sue stesse convinzioni, ha ancora molto da dire: il suo Tralummescuro (Giunti) è nella cinquina finalista del Campiello con il suo bagaglio di memoria, «tema centrale – spiega – e bene prezioso per orientare i nostri passi anche in tempi difficili come quelli che viviamo». Quella stessa memoria che ha inzuppato i testi delle sue canzoni, fatte di immagini legate all’infanzia o all’adolescenza, alla creazione della propria personalità attraverso l’esperienza, fatta di un girovagare senza mai spezzare il filo indistruttibile che lo legava e lo lega tuttora ai luoghi natii, quell’Appennino Modenese, con cuore pulsante in quel «... ricordo lasciato fra i castagni dell’Appennino» che era la Pàvana cantata in Amerigo. «La letteratura – racconta Guccini – è sempre stata il luogo della scoperta e della riscoperta, lo spazio straordinario in cui le parole sprigionano il loro potere e salvano la memoria dall’oblio che il tempo porta con sé».
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SILE JAZZ
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Emozioni dal vivo
Musica in Castello
L’isola del sole
Anfiteatro del Venda, per tetto un cielo di stelle
Veneto Jazz, lavoro di squadra
Da Bollani a Fresu i big più attesi a Grado
L’Anfiteatro del Venda è così, disarmante nella sua semplicità di semicerchio di assi di legno con quinta naturale di paesaggio a strapiombo su colline dolci, quasi ipnotiche, habitat naturale di una musica che diventa coinvolgente per definizione. In questi tempi balordi di posti a sedere alternati, biglietti rimborsati e stagioni cancellate ecco che la Natura ci viene in soccorso offrendoci una platea di prato verde in cui poter stare a distanza di sicurezza e godere di una stagione che si fa musicale, teatrale e cinematografica assieme: l’11 luglio ecco i Jennifer Gentle, band padovana nata nel ‘99 con una febbrile attività soprattutto all’estero, prima realtà europea ad essere messa sotto contratto dalla leggendaria Sub Pop di Seattle, a cui il grunge deve la scoperta di Nirvana e Soundgarden. Il 25 Davide Panizza cannibalizza hit di diversi generi musicali stravolgendone le melodie, facendoci vedere come nessuna canzone possa considerarsi intoccabile o al riparo da dissacrazioni. Il 31 luglio ecco Dente, tra i pochissimi cantanti italiani ad annunciare un tour in questa balorda estate 2020: in questo tour i brani del suo ultimo album omonimo e le canzoni del suo vasto repertorio verranno riarrangiati in chiave acustica, in attesa di poter tornare all’idea originaria di tour con la band al completo. Sarà un concerto intimo e raccolto, in cui verrà messa in luce la parte più essenziale dei brani del cantautore.
Anfiteatro del Venda 11, 25, 31 luglio, 29 agosto Galzignano
Jazz e canzone d’autore nei nuovi eventi firmati da Veneto Jazz al Castello Carrarese di Padova, nell’ambito della rinnovata edizione di Castello Festival, organizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune del Padova. Il 24 luglio troviamo i Musici di Francesco Guccini, progetto formato dai musicisti storici del maestro modenese che si propone di dare continuità a un patrimonio artistico e poetico immenso. Dal 2016, oltre alla loro attività concertistica, hanno ripreso a collaborare con Francesco Guccini nei cicli Incontro con Francesco Guccini e i Musici dove eseguono live tutta la parte musicale del progetto. Il 7 agosto ecco il duo BartolomeyBittmann: ciò che unisce i due musicisti è il rispetto per il suono del loro strumento e una passione comune per la creazione di nuove sonorità. Ti ho vista ieri è il titolo della serata/incontro con Patrizia Laquidara, che il 24 agosto metterà in gioco la sua dote narrativa presentando alcuni estratti del libro, edito dalla Neri Pozza, in uscita a breve. A queste letture faranno da colonna sonora i canti di Patrizia, le canzoni che l’hanno fatta conoscere al pubblico come cantautrice. Chiude l’edizione il 27 agosto Carovana tabù, band formata da otto musicisti provenienti da tutta Italia, per l’occasione con uno special guest d’eccezione: Fabrizio Bosso. «Castello Festival» 24 luglio, 7, 24, 27 agosto Castello dei Carraresi-Padova
Cinque serate di concerti da martedì 28 luglio a sabato 1 agosto per una platea gestita in assoluta sicurezza costituiscono il corpus di questa edizione “speciale”, che vuole restituire al pubblico il diritto a fruire di nuovo della cura, della ricchezza, della bellezza della musica. Questo è Grado Jazz, nel contesto del rinnovato Parco delle Rose a Grado. Apertura affidata ai Quintorigo, storica band romagnola che sin dagli anni Novanta esplora le più diverse contaminazioni stilistiche, attraverso infinite declinazioni musicali. Giovedì 30 luglio sale sul palcoscenico il duo Musica Nuda: dopo diciassette anni di attività concertistica, Petra Magoni e Ferruccio Spinetti continuano a incantare con i loro sofisticati arrangiamenti ed evoluzioni vocali di alto livello. Alle 22 due grandi donne del jazz italiano per la prima volta insieme: Rita Marcotulli e Chiara Civello fondono con intensità il loro sguardo interpretativo del jazz. Il 31 luglio l’immagine più rappresentativa del jazz italiano e grande amico di Udin&Jazz, Paolo Fresu, porta a Grado Rewanderlust. Finale in grande stile, sabato 1 agosto con un doppio concerto di vere stelle nazionali: il quintetto di Francesco Cafiso rende omaggio al genio di Charlie Parker e il piano solo di Stefano Bollani con il suo nuovo progetto Piano Variations on Jesus Christ Superstar.
© Valentina Cenni
«Grado Jazz 2020» 28luglio-1 agosto Parco delle Rose-Grado
Dal 20 giugno al 26 luglio tredici comuni tra le province di Treviso e Padova, uniti e collegati dal fiume Sile, torneranno a essere palcoscenici d’eccezione per la grande musica jazz e luoghi d’incontro per la comunità. Una nuova edizione, tutta a “chilometro zero”, ripensata per questi tempi, senza rinunce ma con una nuova opportunità: valorizzare e dare voce innanzitutto ai tanti talenti locali, veneti e italiani. Per questo la rassegna 2020 si intitola Suoni Vicini; la musica come strumento per accorciare tutte le distanze e unire le comunità in totale sicurezza. E lo farà con tantissimi concerti all’aperto, ad ingresso gratuito ma controllato, a cui si accederà prenotando online. Un’attenzione quella per il territorio, che è stata sempre al centro della proposta di Sile Jazz, ma che quest’anno assume un valore particolare: ritornare a vivere i luoghi comuni, i parchi, le piazze, riscoprire gli spazi e la bellezza dei luoghi, attraverso momenti di incontro di qualità, da vivere con spensieratezza. Se qualcuno pensa a un cartellone messo assieme in fretta e furia lesinando sulla qualità, potrebbero e dovrebbero bastare i nomi di Roberto Gatto (19/7) e Diego Borotti (26/7), con il primo che porta in scena formazione elettrica con una concezione moderna del jazz, che dà ampio spazio alle improvvisazioni in una miscela di suoni, rumori, sequenze elettroniche. ImperfecTrio nasce da un’idea di Roberto Gatto e dalla stretta collaborazione con Pierpaolo Ranieri, con cui diede vita, diversi anni fa, al Perfect Trio. Fino 26 luglio vari luoghi in provincia di Treviso e Padova
SUONI DI MARCA
Tre giorni di musica, tre splendide serate sotto le stelle al Parco di Villa Margherita. Suoni di Marca Festival non si ferma e ritorna con un’edizione speciale per colorare e animare l’estate trevigiana. Un nuovo claim, “30 anni suonati”, celebra la 30. edizione del Festival che quest’anno è riuscito a organizzare una manifestazione da non perdere, nonostante le problematiche legate al Covid-19 e le restrizioni imposte per garantire la sicurezza del pubblico e degli artisti. Da giovedì 6 a sabato 8 agosto, lo uno straordinario spazio immerso nel verde alle porte della città ospita un evento unico che vedrà la partecipazione di cantautori di caratura nazionale. Protagonisti dell’edizione 2020 Daniele Silvestri, Francesca Michielin, Gio Evan e gruppi della Marca Trevigiana, come gli Estra. Suoni di Marca non si ferma davanti l’emergenza: dopo mesi di stop forzato, l’organizzazione ha voluto dare un importante segno di ripartenza, confermando anche quest’anno il Festival che da trent’anni regala musica di qualità alla città storica di Treviso. L’evento contingenterà gli ingressi, con una capienza nell’area concerti di 1000 posti a sedere, garantendo l’accesso solo a chi avrà acquistato il biglietto. Ad accesso gratuito, invece, gli spazi dedicati all’area espositiva e al Percorso del Gusto che, sebbene con dimensioni ridotte, non rinunceranno al supporto degli artigiani e dei ristoratori della Marca trevigiana. 6, 7, 8 agosto Villa Margherita-Treviso
Almost Alright Wouldn’t you know We been hurt, been down before Nigga, when our pride was low Lookin’ at the world like, “Where do we go?” Nigga, and we hate po-po Wanna kill us dead in the street fo sho’ Nigga, I’m at the preacher’s door My knees gettin’ weak, and my gun might blow But we gon’ be alright Che lo dico a fare Siamo stati feriti, siamo stati giù prima d’ora Negro, l’orgoglio a terra Guardando il mondo tipo “adesso dove andiamo?” Negro, e odiamo la polizia Ci vogliono uccidere sulla strada, questo è sicuro Negro, sono alla porta del predicatore Mi tremano le ginocchia e la mia pistola potrebbe sparare Ma staremo bene (Da Alright di Kendrick Lamar) Primo musicista non classico e non jazz a ricevere il premio Pulitzer per la musica (nel 2008 per l’album DAMN), Kendrick Lamar è ora riconosciuto a livello mondiale come uno dei più importanti rappresentanti della musica rap e hip pop. Nato nel 1987 a Compton, uno dei quartieri più difficili di Los Angeles, Lamar è soprattutto un grande narratore urbano che è riuscito a imporsi sulla scena rap seguendo le orme artistiche di nomi come Tupac e Dr. Dre. Il brano Alright, tratto da To Pimp a Butterfly del 2005, considerato dalla critica il suo album più importante e rappresentativo, è diventato un iconico manifesto delle proteste Black Lives Matter. Il testo parla della lotta dei neri contro le ingiustizie cui sono sottoposti, ma le parole non concedono spazio al vittimismo, trasmettendo piuttosto un messaggio di speranza. No, non va ancora bene, ma andrà meglio. Marisa Santin
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Raise your voice!
Sempre Verdi
Bad Religion, miniserie in 4 episodi...
A Pordenone si riparte in jazz
Episodio 01/04, Infected: Los Angeles, 1979. Greg, Brett e Jay hanno tra i 15 e 17 anni. Oh, ci piacciono i Ramones a tutti a tre, dai mettiamo su una band! Stacco; è il 1982, la band fonda un’etichetta (la Epitaph) e si autoproduce il primo album. Poco più che maggiorenni, hanno fatto tutto da soli, in perfetto spirito punk e si chiamano Bad Religion. Episodio 02/04, I want something more: la scena si sposta nel 1989, quando pubblicano il quarto disco. È un proclama, No Control, ed è finalmente un successo. Mentre mostriamo che Greg Graffin continua pure gli studi (arriverà a prendersi un paio di dottorati e una cattedra a UCLA) partono alcuni flashback. I due dischi precedenti, lo scioglimento
e la riformazione, l’arrivo dell’altro Greg (Hetson), il suono che diventa sempre più hardcore. Episodio 03/04, Land of competition: siamo nel mezzo degli anni ‘90 e sono un casino. Tanti dischi (sei!) ma firmare con una major se da un lato significa fama, dall’altro un po’ di serenità la toglie. Intanto l’Epitaph va sempre meglio (produce Offspring e Rancid tra gli altri) e Brett Gurewitz decide di dedicarcisi a tempo pieno, chiamandosi fuori dalla band. All’alba degli anni zero mollano la SONY e rientrano, forse un po’ mestamente, a casa. Episodio 04/04, My Sanity: gli anni zero e dieci sono passati via veloci, veloci. Ci si prende qualche pausa. Ci si dedica ad altri progetti, si festeggia il trentennale. Cose
così. Rapidamente arriviamo al 2019, da ben sei anni non facevano uscire un disco nuovo. Age of Unreason non delude i fan. È il 17 esimo album in studio, e pensare che Greg Graffin ha solo 55 anni: quando si fanno i figli giovani... Arriviamo infine al 2020, in agosto uscirà Do what you want, biografia sotto forma di intervista e sempre in agosto il tour che celebra i 40 anni di carriera arriverà in Italia, per tre date tutte confermate nonostante un’estate a basso regime live. Sergio Collavini Bad Religion 12 agosto Festival di Majano
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In pop we trust Il ritorno dei Supergrass I Supergrass tornano in Italia per due date, una delle quali al BOtanique di Bologna, rassegna che pur riducendo drasticamente la programmazione riesce a mettere a segno uno dei pochi colpi da maestro di questa strana estate 2020. La band, tornata ad esibirsi dal vivo nel 2019, presenterà sul palco il meglio della propria discografia, ovvero i brani contenuti nel boxset Supergrass: The Strange Ones 1994-2008 pubblicato il 24 gennaio scorso. Mai titolo fu più azzeccato per un box: Gaz Coombes e soci erano davvero “quelli strani”, e forse di quella stranezza hanno inevitabilmente pagato dazio: il loro brit pop fruttò un contratto con la
leggendaria Parlophone, etichetta che ha prodotto fuoriclasse del calibro di Beatles, Queen, Bowie, Radiohead e Blur e una carriera di tutto rispetto interrotta nel 2010, con uno scioglimento che all’epoca sorprese i fan, in spasmodica attesa di nuovi lavori della band. Come spesso accade, il nucleo della band aveva già formato un progetto in precedenza: in questo caso Coombes e il batterista Danny Goffey, entrambi di Oxford, fanno inizialmente parte dei Jennifers, che riescono anche a pubblicare un singolo per la prestigiosa etichetta Nude Records, prima di sciogliersi. Gaz si mette a lavorare in un ristorante, ma evidentemente il suo destino è un altro: sul lavoro, infatti, conosce il
bassista Mick McQueen e lo invita a suonare con lui e il suo vecchio batterista: ben presto, così, nascono i Supergrass. La loro Feel Alright possiede i crismi del manifesto generazionale, datata 1995 e inclusa nell’album di debutto I Should Coco, da subito riconoscibile nei testi e nella musica come dichiarazione d’intenti di un pop fresco e disinibito, portato avanti fieramente e senza paura di sporcarsi nelle platee fangose dei festival inglesi di campagna, Glastonbury su tutti. Supergrass 14 luglio BOtanique-Bologna
Il Teatro Verdi sceglie il jazz e la musica da film per ripartire con la propria offerta multiculturale. La rassegna Open Jazz prevede quattro concerti lungo il mese di luglio, in un cartellone che si presenta vario ed equilibrato. Giovedì 9 sale sul palco un quintetto d’archi e il sax di Federico Mondelci, da trent’anni ai vertici della scena artistica internazionale. Vengono proposti una splendida carrellata di musiche da film, scelte tra le più celebri di sempre: da Summertime di George Gershwin a La vita è bella del Premio Oscar Nicola Piovani, da Tonight di Leonard Bernstein a Mission di Ennio Morricone. Giovedì 16 luglio è la volta di Amori sospesi, progetto di Gabriele Mirabassi, Nando di Modugno e Pierluigi Balducci. La serata del 23 luglio è un imperdibile concerto per piano solo: David Helbock, dedica un omaggio a John Williams. Una carriera stellare quella del compositore statunitense, vincitore di 5 Oscar e numerosi Grammy, per le sue indimenticabili musiche da film, da Guerre stellari a E.T. l’extratterestre e Harry Potter. Concerto conclusivo giovedì 30 luglio con il Trio TrePuntoDue di scena insieme a due artisti ospiti. I brani del loro programma, da George Gershwin a Claude Bolling e Paul Schoenfield, rappresentano un ponte ideale tra classica e jazz, due generi che nel tempo hanno sempre saputo convivere in armonia ed equilibrio. Massimo Zuin
«Open Jazz» 9, 16, 23, 30 luglio Teatro Verdi-Pordenone
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Operaestate, corsa a tappe musicali
Confermata l’attesa edizione di Sexto 2020
L’importanza della conferma dell’edizione 2020 di Operaestate supera probabilmente i confini della ‘semplice’ scena culturale veneta e italiana. Sì, senza esagerazioni, perché pochi eguali si trovano nel contesto regionale e nazionale in termini di “macchina organizzativa” capace di impegnare attivamente migliaia di volontari per un Festival che davvero ci sentiamo di poter definire “diffuso”. L’1 agosto al Castello Tito Gobbi di Bassano un innesto affascinante e naturale tra il mondo musicale di Cristina Donà e la danza del coreografo Daniele Ninarello, plasmati e cuciti insieme dal musicista e compositore Saverio Lanza. Appena quattro giorni dopo un’autentica chicca: l’ambasciatore del jazz italiano nel mondo, il
trombettista Paolo Fresu, è ospite speciale di un progetto artistico e discografico insieme alla Clacson Small Orchestra (diretta da Maurizio Camardi) e al percussionista cubano Ernesttico. Un sestetto che unisce sonorità latine e africane ad elementi di free jazz, hip hop, blues e loop music: questo è Trojan dei Ghost Horse, ospiti al Gobbi il 10 agosto. Dieci composizioni originali i cui titoli si ispirano a lotte storiche per il diritto all’acqua e alla terra, durante la colonizzazione del Nord America. Temi che si sovrappongono alle tematiche del cambiamento climatico e del rispetto dell’ambiente. «Operaestate Festival Veneto» 1, 5, 10 agosto Teatro Tito Gobbi-Bassano del Grappa
L’emergenza sanitaria del Coronavirus ha sconvolto i piani dell’eventistica in tutto il mondo e anche il team di Sexto ‘Nplugged ha dovuto riprogrammare il cartellone della storica rassegna musicale di Sesto al Reghena, rinviando al 2021 due grandi headliner, precisamente Cat Power il 20 giugno e i Foals il 23 giugno. Un solo evento dell’edizione è stato annullato, Tom Walker, che ha scelto di cancellare l’intero tour europeo. Gli organizzatori non si sono arresi e in questo difficile periodo hanno lavorato per realizzare comunque la quindicesima edizione con tutte le dovute misure di sicurezza dettate dalla normativa vigente. Ed ecco la buona notizia: Low Roar è confermato il 7 agosto
in Piazza Castello, come l’edizione stessa di Sexto, proprio dal 7 al 9 agosto. Low Roar è il progetto musicale one-man band fondato in Islanda nel 2011 dall’artista californiano Ryan Karazija. L’album d’esordio è l’omonimo Low Roar, seguito nel 2014 da 0 e Once in a Long, Long While nel 2017. Lo scorso 8 novembre Ryan rilascia il quarto album in studio, chiamato Ross, nato dalla collaborazione dell’artista con il tre volte vincitore del Grammy Awards Andrew Sheps (Red Hot Chili Peppers, Adele, Hozier) e Mike Lindsay (Tunng, Lamp). Secondo headliner è Teho Teardo sabato 8 agosto, uno dei più originali ed eclettici artisti nel panorama musicale europeo. Per lo spettacolo in Piazza
Castello, Teardo presenta Le Retour à la raison. Musique pour trois film de Man Ray, musiche originali appositamente composte per i film di Man Ray Le retour à la raison, L’étoile de mer e Emak Bakia. Nato come spettacolo dal vivo, commissionato a Teardo da Villa Manin in occasione della mostra Intorno a Man Ray (dicembre 2014), il progetto ha poi avuto uno sviluppo discografico uscendo su Specula Records nel settembre 2015. «Sexto ‘Nplugged» 7, 8, 9 agosto Sesto al Reghena
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Andata e ritorno
Chi si rivede
No Borders, musica da paesaggio
Villa Manin, avanti live!
All’inizio di maggio la star mondiale del violoncello Luka Šulić aveva scelto le montagne del Tarvisiano per registrare la sua versione di Nothing Else Matters dei Metallica e la Cello Suite n°1 di Bach, video che in poche settimane hanno totalizzato oltre 2 milioni di visualizzazioni. Sabato 25 luglio tornerà proponendo un nuovo progetto speciale che inaugurerà la 25. edizione del No Borders Music Festival: un concerto tra pop, rock e classica assieme al pianista crossover Evgeny Genchev. Per domenica 26 è fissato un graditissimo ritorno, quello di Brunori Sas, che dopo l’indimenticabile concerto piano e voce di due anni fa a Sella Nevea sul Monte Canin, si esibirà ai Laghi
Lo spettacolo dal vivo in Friuli nel post Covid-19 riparte da Villa Manin a Passariano all’insegna del desiderio di tornare a stare assieme nel magnifico parco che la circonda. La rassegna, che rischiava di saltare per l’emergenza sanitaria, propone un ricchissimo cartellone che abbraccia tutte le fasce d’età. A ogni spettatore verrà assegnato un biglietto da presentare al momento dell’accesso. Per i concerti nel parco e gli spettacoli di teatro la prenotazione avverrà tramite la pagina web della Villa, fino ad un limite massimo di 1.000 spettatori. Il programma musicale non sembra in alcun modo risentire delle difficoltà tecniche e pratiche provocate dalla pandemia, il
di Fusine in trio, accompagnato da Dario Della Rossa alle tastiere e Massimo Palermo alla batteria. Sabato 1 agosto, sul palco dei Laghi di Fusine, sarà la volta di Elisa, ventisei Dischi di Platino, Disco di Diamante e collaborazioni con grandissime star come Luciano Pavarotti, Ennio Morricone, Tina Turner, Dolores O’Riordan, Andrea Bocelli, Imagine Dragons e tanti altri. Il suo ultimo brano Andrà tutto bene, scritto e composto con Tommaso Paradiso, è stato scelto per l’importante campagna istituzionale di sensibilizzazione per l’emergenza Covid-19. «No Borders Music Festival» 25, 26 luglio, 1 agosto-Laghi di Fusine
concerto di apertura affidato a Raphael Gualazzi lo scorso 27 giugno funzionava da ottima dichiarazione d’intenti. Il 18 luglio arriva a Passariano Vasco Brondi, che dopo aver chiuso il capitolo artistico delle Luci della Centrale Elettrica e aver festeggiato i dieci anni di carriera, torna sul palcoscenico con uno spettacolo pensato apposta per questa particolare estate musicale, dove verranno mescolate canzoni, poesie, letture e riflessioni. Ad accompagnarlo sul palco Andrea Faccioli (chitarre), Daniela Savoldi (violoncello) e Angelo Trabace (pianoforte). E se in programma troviamo come protagonisti anche Niccolò Fabi, Dente o Margherita Vicario
possiamo andare tranquilli e beati fino ad agosto, quando il 9 ci aspetta un imperdibile concerto all’alba, appuntamento alle 5:30 con Davide Dileo, alias Boosta, musicista, dj, compositore, scrittore, editore, conduttore televisivo, produttore e soprattutto dal 1996 tastierista e co-fondatore dei Subsonica. Un concerto lungo i sentieri meno battuti della musica contemporanea del ‘900 e le pietre miliari del suo repertorio pianistico, fino ai pezzi in anteprima del nuovo disco. Massimo Zuin «Villa Manin Estate 2020» 11, 12, 18, 19 luglio, 9 agosto Villa Manin-Passariano
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opera, classica, contemporanea opera, classical and contemporary music
:classical Entrata di sicurezza
La Fenice ha riaperto al pubblico seguendo i necessari standard di sicurezza imposti dal momento. Spetta al Sovrintendente del Teatro La Fenice Fortunato Ortombina il racconto appassionato e partecipato di questi mesi difficili e del futuro prossimo.
© Michele Crosera
Un po’ come al Globe Theatre, il palcoscenico viene unito alla platea a sipario completamente aperto sopra la buca d’orchestra da un’installazione permanente che è la chiglia di una nave in costruzione, un veliero, tutto in legno, che in pendenza dalla buca si proietta in alto verso il centro del palcoscenico fino ad arrivare con la prua a un metro dal muro. 15 metri in tutto, e su questa prua della nave in costruzione si vanno a piazzare dei posti per il pubblico, una sessantina di spettatori, fino al massimo di 200 posti al chiuso.
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Anche il Teatro La Fenice ha dovuto fare i conti pesantemente con la pandemia,
annullando tutti gli spettacoli in cartellone e riprogrammando l’offerta, prima online, poi con la presenza del pubblico, secondo i rigidi e necessari standard di sicurezza richiesti per la prevenzione dal contagio da Covid-19. Allo sbigottimento inevitabile del primo momento è subentrata una forte volontà di andare
di Fabio Marzari avanti e dimostrare la tempra inossidabile del Teatro, inteso come somma di tutte le maestranze, che non hanno smesso mai di credere in una ulteriore, ennesima rinascita. Spetta al Sovrintendente, Fortunato Ortombina il racconto appassionato, partecipato di questi mesi difficili e del futuro prossimo. Maestro Ortombina, come è stato ripensare, nello spazio di un attimo, tutta la vita del Teatro? Non avrei immaginato potesse essere tutto così difficile, però finché si trovano le soluzioni vanno bene anche le complicazioni. Definirei il momento che stiamo vivendo dopo la chiusura totale più che fase post emergenziale, “trans-emergenziale”, perché il distanziamento sociale impone delle regole che non permettono di considerare l’emergenza per noi come finita: né il pubblico può venire a Teatro e sedere come è sempre stato, né i musicisti possono fare musica come hanno sempre fatto. Per quanto riguarda quest’ultimi il distanziamento comporta l’esclusione di un certo repertorio, quello che richiederebbe un grande numero di persone in scena; ad esempio non si possono eseguire i Maestri Cantori di Norimberga, non si può fare Aida, così come non si potrebbe fare la Seconda Sinfonia di Mahler, perché se va tenuto un metro di distanza tra tutti, un metro e mezzo di distanza per gli ottoni e un metro e mezzo tra le file del coro, servirebbe uno stadio di calcio, se non due. La Fenice si è organizzata con molta gradualità. Abbiamo iniziato le prove per produrre, nelle prossime settimane fino al Redentore, dei concerti che proponiamo a porte chiuse in streaming; questo per rodare la procedura di ingresso secondo le regole del protocollo sanitario. Di fatto l’Orchestra è stata divisa in quattro parti, ognuna delle quali esegue un programma in uno spazio completamente rivisitato: i tre spazi biblici del teatro, che sono la platea, la fossa d’orchestra e il palcoscenico, diventano un unico spazio dove i musicisti, gli attori e i cantanti prendono posto
in platea. Un po’ come al Globe Theatre, il palcoscenico viene unito alla platea a sipario completamente aperto sopra la buca d’orchestra da un’installazione permanente che è la chiglia di una nave in costruzione, un veliero, tutto in legno, che in pendenza dalla buca d’orchestra si proietta in alto verso il centro del palcoscenico, fino ad arrivare con la prua a un metro dal muro del palcoscenico. 15 metri in tutto e su questa prua della nave in costruzione si vanno a piazzare dei posti per il pubblico, una sessantina di spettatori, fino al massimo di 200 posti al chiuso e 1.000 qualora si trattasse di spettacolo all’aperto. Si tratta di capire se la Regione permetta nel tempo un’interpretazione più estensiva di questa regola. Ad oggi comunque mi accontenterei di arrivare a 300 persone a spettacolo in questa installazione permanente che tale rimarrà per i prossimi mesi. Vedremo l’Orchestra in piazza? Sarebbe bellissimo portare l’Orchestra della Fenice in piazza San Marco entro l’estate, ma il problema della musica all’aperto è paradossalmente più difficile da gestire che non al chiuso, perché all’aperto serve avere posti pre-assegnati e distanziati. Se poi si volesse proporre in piazza San Marco della musica d’impatto - non si possono ad esempio pensare le Quattro Stagioni di Vivaldi con 18 archi - si dovrebbe allestire un Gala di arie del grande repertorio ottocentesco arrivando fino a Puccini: in questo caso l’orchestra sarebbe di 100 elementi e se per ognuno di loro occorrono due metri quadrati, è già finita la piazza! Poi vi è il problema della logistica, spogliatoi, bagni, ecc., oltre al semplice fatto che è molto più difficile evitare l’assembramento all’esterno. In questo periodo ho lavorato per evitare che i nostri dipendenti uscissero di casa per venire a Teatro in più di 20 per volta, creando dei percorsi distanziati una volta giunti al lavoro, evitando così di far incrociare i diversi gruppi, per non trovarci costretti alla quarantena generale nella malaugurata ipotesi di contagio da parte di un componente di un singolo gruppo. Organizzando i gruppi di lavoro in compartimenti stagni, siamo riusciti a produrre una programmazione sicura e di interesse. Ritorniamo all’interno del teatro: come mai la chiglia di una nave come nuovo contesto allestitivo? Il destino vuole che la chiglia della nave, che non intende assolutamente riportare all’idea del naufragio, rappresenti la poetica del lavoro, della costruzione e dell’ingeCONTINUA... gneria dello spettacolo:
Afro-American symphonies I seek in the Afro-American Symphony to portray not the higher type of colored American, but the sons of the soil, who still retain so many of the traits peculiar to their African forebears; who have not responded completely to the transforming effect of progress. Nella Afro-American Symphony cerco di ritrarre non gli esempi più illustri di colored American, ma quei figli della terra che conservano ancora così tanti tratti peculiari dei loro antenati africani e non hanno risposto completamente all’effetto trasformante del progresso.
William Grant Still
nasce nel 1895 a Woodville, capoluogo della contea di Wilkinson in Mississippi, ultimo Stato americano ad avere nella bandiera il simbolo della croce confederata. In quel Mississippi dalla cultura quanto mai eterogenea, Still rimane orfano di padre ad appena tre mesi, con il patrigno Charles B. Shepperson che in Arkansas ne coltiva gli interessi musicali e la nonna materna che lo cresce cantandogli spirituals della tradizione afroamericana. Compositore e direttore d’orchestra, ha realizzato più di 150 lavori, tra cui cinque sinfonie e otto opere. Fu il primo afroamericano a dirigere una grande orchestra sinfonica americana, il primo ad avere una sinfonia (la Symphony No. 1 Afro-American) eseguita da un’orchestra importante come la Los Angeles Philharmonic (23 luglio 1940), il primo ad avere un’opera eseguita da una grande compagnia d’opera e il primo ad avere un’opera eseguita sulla televisione nazionale. Per via del suo stretto sodalizio e della collaborazione con importanti figure letterarie e culturali afroamericane come Alain Locke e Langston Hughes, William Grant Still è considerato parte integrante del cosidetto Harlem Renaissance, movimento artistico-culturale afroamericano sorto verso l’inizio degli anni ‘20 nello storico quartiere di New York. La Afro-American Symphony (1930) è un esempio di fusione tra jazz, blues e spiritual in una forma classica tradizionale, che eleva quella musica a repertorio degno di celebrazione. L’opera riunisce una vita di esperienze musicali per Still: gli spirituals sentiti cantare da bambino, l’influenza realista del mentore George Chadwick, che ha cercato di ritrarre le vite della gente comune e dell’orgoglio e l’attivismo culturale di quello che sarebbe poi diventato il “Rinascimento” di Harlem. Altra indicazione dell’equilibrio trovato tra le tradizioni musicali europee e africane sono i titoli dei movimenti: ognuno è indicato con nomi classici tradizionali come Adagio, Moderato assai, Animato e Lento, ma i quaderni di Still includono titoli di movimento alternativi come Brama, Dolore, Umorismo e Aspirazione.
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Note olfattive
Marchio di garanzia
Il barocco popolare di Artemandoline
Bru Zane, musica d’origine controllata
© Andreas Lander
La musica barocca veneziana, un repertorio quasi dimenticato, in cui l’unione tra la voce e il mandolino sono in grado di ricreare il trionfo dell’età dorata della musica veneziana, grazie alla soprano Nuria Rial e al complesso lussemburghese Artemandoline. Nel disco Venice’s Fragrance, pubblicato da Deutsche Harmonia Mundi/Sony Classical, prendono vita le atmosfere della Venezia musicale più sconosciuta del Settecento, quando la città era punto di riferimento in tutta Europa dal punto di vista anche musicale e attirava i più grandi compositori dell’epoca. Venice’s frangrance include brani di assoluta eccellenza, selezionati tra opere, oratori e musica strumentale di autori come Traetta, Galuppi, Lotti, Conti, Manna, Arrigoni e naturalmente Antonio Vivaldi. Voce e mandolino dialogano nei raffinati brani selezionati da Juan Carlos Muñoz e Mari Fe Pavón, dando nuova vita a opere con una scrittura brillante e grandi contrasti, che presentano agli ascoltatori moderni il meglio del barocco veneziano. Con quasi due decenni di esperienza nel circuito più prestigioso della Musica Antica, il complesso d’archi Artemandoline è stato fondato da Juan Carlos Muñoz e Mari Fe Pavón con lo scopo di ricreare opere del passato con strumenti originali e criteri filologici, con un costante riferimento alle
© Mercè Rial
fonti autentiche. Nella continua ricerca di partiture dimenticate, l’obiettivo degli artisti è recuperare e presentare alle generazioni attuali tutta la bellezza del repertorio del mandolino barocco e dei diversi strumenti a corda pizzicata dell’epoca, sia da soli che accompagnati dalla voce umana. Perciò la scelta non poteva che cadere sul repertorio della musica veneziana del Settecento. «È una musica che seduce attraverso la sua essenza e il suo perfetto equilibrio tra virtuosismo, fervore, teatralità e ricchezza, e in cui il mandolino ha un posto privilegiato», afferma Juan Carlos Muñoz riguardo i brani di Venice’s Fragrance, mentre Mari Fe Pavón evidenzia quanto le opere contenute nel disco riflettano «il carattere del barocco italiano, con le sue feste, fuochi d’artificio, maschere e magnificenza. La nostra ambizione è chiara: attraverso i concerti dal vivo e l’album, vogliamo estrarre da questi brani unici l’emozione, l’umanità e la modernità in grado di sedurre il pubblico di oggi». Per i due musicisti la musica definita antica non appartiene solo al passato, e non è un contenuto riservato a un’élite privilegiata ed erudita. «Si tratta di una musica con un valore atemporale e universale che trova spazio anche nel mondo contemporaneo: il nostro compito è proprio avvicinare il pubblico a questa idea».
Palazzetto Bru Zane non si ferma e, in attesa di riprendere la stagione a settembre secondo le nuove regole, offre la possibilità di immergersi nell’intensa produzione discografica, parallela e conseguente alle attività di ricerca, produzione e pubblicazione di libri, supporto materiale e duraturo a queste pagine di musica dimenticata. Nel corso degli anni infatti si è passati da una politica di sostegno ad altre case discografiche per giungere infine alla recente creazione di una vera e propria etichetta Bru Zane, capace di proporre incisioni di opere ad oggi poco conosciute del romanticismo francese in diversi formati. I cofanetti tematici permettono di affrontare repertori anche
molto vasti, come è il caso delle mélodies di Reynaldo Hahn. I cd con libro, proposti nelle tre collane Opéra Français, Prix de Rome e Portraits offrono la possibilità di spaziare dal repertorio lirico, alla musica sacra, sinfonica o da camera. A settembre, nell’ambito del centenario della morte di Camille Saint-Saëns, verrà pubblicata una prima registrazione mondiale de Le Timbre d’argent, con Les Siècles e Accentus, diretti da François-Xavier Roth. L’opera è stata registrata nel 2017 durante il Festival Palazzetto Bru Zane a Parigi, in seguito alle rappresentazioni all’Opéra Comique. La celebrazione dei 10 anni del Palazzetto, a settembre dello scorso anno, è stata l’occasione
per fornire una prima testimonianza di questa intensa attività di riscoperte musicali culminata nella pubblicazione di un cofanetto di dieci dischi con brani da alcune delle partiture ritrovate: tragedia lirica, opera, operetta e caffè-concerto, cantata, musica sacra, musica sinfonica, musica concertante, musica da camera, musica pianistica e mélodie sono presentati in un arco cronologico assai ampio (1780-1920).
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A una certa ora, in un dato posto Piccolo Opera Festival mette in scena il Friuli Venezia Giulia La musica lirica in castelli, antiche dimore, giardini storici, in una sinfonia di voci e suoni porterà alla scoperta di angoli incantati ricchi di storia e arte del Friuli Venezia Giulia: dal 20 agosto al 13 settembre torna infatti il Piccolo Opera Festival con spettacoli all’aperto, a cui faranno da corollario visite guidate, aperitivi, introduzioni all’ascolto e cene prima e dopo gli appuntamenti musicali. Un’esperienza davvero unica che permetterà di conoscere non solo la storia e le architetture, ma anche sapori e vini di questa straordinaria regione, protesa verso la Mitteleuropa. Spirito del Festival è quello di «adattare lo spettacolo al luogo», e non viceversa. Un castello o una
villa diventano quindi “palcoscenico ideale” costruito su misura, dove il pubblico stesso diventa parte integrante della messa in scena. Tredici appuntamenti per la 13. edizione del Festival con altrettante location e un ricco calendario di appuntamenti, fra cui l’atteso e ormai tradizionale spettacolo d’opera al Castello di Spessa (30 agosto e 1 settembre) con la regia di Jasmin Kovic di San Floriano del Collio. Per la sezione La verde musica, quattro appuntamenti musicali rispettivamente al Castello di Cordovado (24 agosto), a Palazzo Lantieri a Gorizia (31 agosto), al Castello Formentin a S. Floriano del Collio (3 settembre), e a Villa Manin di Passariano (weekend di metà settembre). La
Photo Giulia Iacolutti
sezione di recital vocale Castelli in aria si svolgerà invece a Villa Ottelio Savorgnan ad Ariis (20 agosto), a Villa Gorgo a San Vito al Torre (29 agosto), a Vila Vipolze in Slovenia (11 settembre) e a Villa Partistagno a Faedis. Il ricco programma si concluderà con tre eventi rispettivamente a Piazza Capitolo ad Aquileia (22 agosto) con il Requiem di Franz Listz, nella Piazza di Cormòns (12 settembre) e a Gradisca d’Isonzo (5 settembre). Daniela Paties Montagner «Piccolo Opera Festival» 20 agosto - 13 settembre vari luoghi in Friuli Venezia Giulia
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Buon compleanno Beethoven
Per la stagione Estiva dello Stabile del Veneto, il Teatro Verdi di Padova ospita dall’11 al 16 luglio il ciclo di cinque concerti, Immortali amate con cui l’Orchestra di Padova e del Veneto avvia un originale omaggio a Beethoven in occasione del 250. anniversario della nascita. I concerti, che saranno registrati da Rai5 e anticipano l’esecuzione integrale prevista per l’inizio di novembre, sono aperti gratuitamente al pubblico per un massimo di 40 spettatori su prenotazione obbligatori.
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Il respiro del mondo
Si volta pagina
Arena di Verona, grande attesa per il Festival d’estate
Chausson, Schumann e Ravel per un nuovo inizio
Grande attesa per il Festival d’estate 2020 all’Arena di Verona. La serata inaugurale è prevista per il prossimo 25 luglio con Il cuore italiano della Musica, per poi presentare per tutto il mese di agosto grandi stelle internazionali della lirica, serate di gala e concerti sinfonici in veste rinnovata, con un palcoscenico centrale a capienza ridotta, ma con il desiderio di sostenere la ripresa della città e del territorio nel nome della qualità e della tradizione centenaria che ha reso celebre l’Arena in tutto il mondo. Come dichiarato da Federico Sboarina, Sindaco e Presidente di Fondazione Arena: «Questo Festival è il simbolo della rinascita della nostra città, della musica e della cultura che grazie a Fondazione Arena tornano a essere protagoniste […]. Abbiamo dato vita a un progetto unico: sul nuovo palco centrale si esibiranno alcuni tra i più grandi artisti italiani e internazionali e andranno in scena première assolute, mai realizzate prima nell’anfiteatro. Sono convinto che l’edizione 2020 del Festival sarà straordinaria, in tutti i sensi. A partire dalla serata inaugurale che è pensata come omaggio all’arte e alla musica italiana e a quanti, durante l’emergenza sanitaria, sono stati in prima linea nella lotta contro il virus […] e hanno combattuto a fianco dei malati. Una loro rappresentanza sarà ospite in Arena, un pubblico straordinario per una notte di grande musica che non sarà dimenticata». Il Festival d’estate 2020 vede protagonisti Marco Armiliato, Vittoria Yeo, Sonia Ganassi, Saimir Pirgu, Alex Esposito, Anna Netrebko, Yusif Eyvazov, Daniela Barcellona, Ambrogio Maestri, Daniel Oren, Andrea Battistoni, sino a Placido Domingo, pietra miliare del cartellone areniano. Dopo la première
Lunedì 13 luglio la musica da camera ritorna al Teatro La Fenice, in una Sala Grande rinnovata per far fronte alle misure di sicurezza sanitaria, con il concerto della celebre violinista italiana Anna Tifu in duo con il pianista Marco Schirru. Il concerto, già in programma alla fine di maggio nella Stagione 2020 di Musikàmera e poi annullato per la pandemia, si apre con l’esecuzione di Poème op. 25 di Chausson, prosegue con la Fantasia op. 131 di Schumann, si sviluppa poi con Tzigane di Ravel, che lo stesso autore definì «un pezzo virtuosistico nel gusto di una rapsodia ungherese» e si conclude con Carmen Fantasy di Pablo de Sarasate, fantasia per violino su temi tratti dalla Carmen di Georges Bizet.
del 25 luglio con la partecipazione di Meli, Saimir Pirgu, Roberto Aronica, Fabio Armiliato, Barbara Frittoli, Eleonora Buratto, Luca Salsi, Leo Nucci, Daniela Barcellona, Michele Pertusi, Katia Ricciarelli, il Festival proseguirà con la serata del 31 luglio con l’attesissimo Requiem di Mozart e poi per tutto il mese di agosto sino al 29, con ospiti prestigiosi come la diva internazionale Sonya Yoncheva e il tenore italiano Vittorio Grigolo. L’edizione del Festival areniano di quest’anno ha un altissimo valore simbolico e non solo, perché rappresenta un grande messaggio di speranza con un’iniziativa etica ed estetica, che non può che nascere nel più grande teatro all’aperto del mondo. Come sottolineato dal Sovrintendente e Direttore Artistico, Cecilia Gasdia: «Garantire continuità al nostro teatro, ai nostri artisti, lavoratori e al nostro territorio non è stato e ancora oggi non è facile, penalizzati come siamo dalla capienza costretta a 1.000 spettatori sulla normale dimensione di 13.500. […]. Dobbiamo e vogliamo credere che tutte le fatiche, anche i dolori e le preoccupazioni degli ultimi mesi possano diventare sprone per guardare avanti e per lanciare i cuori oltre l’ostacolo, ritrovando un’Arena più forte». Daniela Paties Montagner «Festival d’estate 2020» 25 luglio-29 agosto Arena di Verona
Poème op.25 di Ernest Chausson è una delle pagine più significative del repertorio violinistico di fine Ottocento ed è un brano dal carattere introspettivo e nostalgico, molto impegnativo nella parte solistica, per la scrittura rapsodica e capricciosa, che non segue alcun modello formale. Composto a Firenze nella primavera del 1896, è dedicato a Eugène Ysaye che gli aveva richiesto un concerto per violino. Chausson scrive un brano di durata più breve, in forma libera e con numerosi passaggi virtuosistici, che si ispira alla novella di Ivan Turgenev Il canto dell’amor trionfante. Vincitrice nel 2007 del prestigioso
concorso internazionale George Enescu di Bucarest, Anna Tifu è considerata una delle migliori interpreti della sua generazione. Nata a Cagliari, ha iniziato lo studio del violino all’età di sei anni sotto la guida del padre e a suonare in pubblico appena due anni dopo. Nato a Cagliari nel 1994, Marco Schirru intraprende lo studio del pianoforte all’età di 11 anni al Conservatorio Palestrina di Cagliari, dove si diploma con dieci, lode e menzione d’onore nella classe di Aurora Cogliandro. «Musikàmera» 13 luglio Teatro La Fenice
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La storia si ripete C’era una volta (e ci sarà) il Teatro di San Cassiano Il progetto che l’imprenditore e musicologo inglese Paul Atkin sta portando avanti è tanto semplice quanto visionario: ricostruire a Venezia, com’era, il Teatro di San Cassiano, primo teatro di opera pubblico al mondo, inaugurato nel 1637 e andato perduto nel 1812 per mano di Napoleone. Studi, ricerche storiche e archivistiche vanno avanti ormai da quasi due anni, parallelamente alla campagna di foundraising che sta avendo buon riscontro a livello internazionale. Nemmeno durante il lockdown l’attività si è fermata, e le buone nuove non mancano: sofisticate tecnologie informatiche (CGI), unite a un accurato lavoro di ricerca, hanno restituito importanti dettagli sulla composizione
della sala e in particolare dell’arco di proscenio – all’epoca un’innovazione abbastanza recente –, sia per quanto riguarda le colonne laterali che la facciata superiore in cui si possono ora apprezzare i particolari decorativi delle ghirlande e delle maschere. Un passo molto importante, questo, verso la ricostruzione finale dell’aspetto del Teatro secondo criteri “storicamente consapevoli”, realizzato grazie all’intervento dello Studio Secchi Smith di Londra, che ha lavorato sui disegni predisposti da Jon Greenfield, l’architetto dello Shakespeare’s Globe. La seconda novità è che ora il progetto è sostenuto formalmente dall’Amministrazione di Venezia, che ne ha riconosciuto la
rilevanza culturale internazionale e valutato positivamente i potenziali risvolti occupazionali sul territorio. La ricostruzione riporterà in vita quello che sarà l’unico teatro del Seicento al mondo completo di macchine di scena, scenografie mobili, dei ex machina, effetti speciali e un ambiente acustico incomparabile. Con una capienza di 405 spettatori su 153 palchi distribuiti in cinque ordini e una platea profonda solo sei file, le messe in scena saranno intense, immediate, intime. Livia Sartori di Borgoricco
Foto © Matteo De Fina
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:cinema
This must be the place
Alien di Ridley Scott
Si terrà a Venezia dal 24 luglio al 30 agosto
ogni venerdì e sabato alle 21 alla nuova Arena Giardini della Biennale la rassegna di film classici restaurati intitolata Classici fuori Mostra. Storia recentissima, ma che allo stesso tempo sembra appartenere ad un’altra epoca: avrebbe dovuto svolgersi al Cinema Rossini di Venezia nel periodo compreso fra marzo e maggio 2020, ma la chiusura imposta dalle condizioni sanitarie del Paese ne ha impedito la realizzazione. L’identico programma viene riproposto ora all’Arena Giardini che la Biennale ha allestito per il periodo estivo, ideale prologo della Mostra del Cinema confermata dal 2 al 12 settembre prossimi e che vede proprio la sezione Classici eccezionalmente ospitata all’interno del programma del festival Il Cinema Ritrovato, promosso dalla Cineteca di Bologna, che si svolgerà dal 25 al 31 agosto nella città emiliana. Una selezione di Classici restaurati, arricchita di ulteriori titoli, che verrà poi replicata a Venezia nei mesi successivi, quale seconda edizione del Festival permanente del cinema restaurato. La prima edizione di Classici fuori Mostra prevede dodici capolavori del passato in versione originale con sottotitoli in italiano, con una selezione effettuata fra le migliori e più recenti operazioni di restauro condotte dalle principali cineteche e società di produzione di tutto il mondo che include titoli leggendari come Alien, A ciascuno il suo, Miracolo a Milano, Detour e Kanal. L’intento è quello di avvicinare il pubblico a film che hanno segnato la storia del cinema e continuano a ispirare il lavoro di molti cineasti del presente. Particolari facilitazioni riguardano gli studenti (biglietto ridotto studenti 2,50 euro, abbonamento studenti 20 euro, biglietto intero 8 euro). Il primo film della rassegna, Don’t Look Now -A Venezia… un dicembre rosso shocking, (1973), capolavoro del
cinema horror del regista britannico Nicolas Roeg, con Julie Christie e Donald Sutherland (restauro curato da StudioCanal), sarà presentato venerdì 24 luglio alle ore 21 dal regista Luca Guadagnino (Chiamami col tuo nome, Suspiria, Io sono l’amore). Il 31 luglio l’accoppiata Elio Petri-Leonardo Sciascia per A ciascuno il suo, tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore di Racalmuto e primo risultato della proficua collaborazione fra Gian Maria Volonté e il regista più a lungo sottovalutato del cinema italiano post-neorealista. Il 1° agosto è la volta di Alien, caposaldo del genere fantascientifico firmato Ridley Scott con una straordinaria Sigourney Weaver. Un omaggio al grande fotografo veneziano Fulvio Roiter avrà luogo sabato 25 luglio alle ore 21, in collaborazione con la Fondazione Roiter e il Comune di Venezia, prima della proiezione di Fat City (Città amara, 1971) di John Huston. «Il crescente successo della sezione Venezia Classici – ha dichiarato il Direttore del Settore Cinema, Alberto Barbera – che ha fatto registrare la massima partecipazione di spettatori nel corso dell’ultima edizione della Biennale Cinema, conferma l’esistenza di un pubblico fortemente interessato alla riproposta di film classici del patrimonio storico mondiale. La possibilità di vedere o rivedere sul grande schermo opere che hanno segnato lo sviluppo del linguaggio e dell’estetica della Settima Arte costituisce un’occasione preziosa per il pubblico in generale, mentre si arricchisce di contenuti formativi per gli studenti in particolare. Nasce da queste considerazioni l’idea di Classici fuori Mostra, che si propone come un appuntamento inteso a prolungare nel tempo il piacere della visione, che un festival si limita ad offrire nell’arco di pochi giorni». Classici fuori Mostra 24 luglio-30 agosto Arena Giardini
A series of screenings of restored classic movies will take place in Venice, at the new Arena Giardini
Biennale, from July 24 to August 30, every Friday and Saturday at 9pm. Programme Classici fuori Mostra was originally set as an indoors appointment at Cinema Rossini from March to May, but fate had other plans. The Biennale set up the Arena at its historical headquarters, the Giardini, to complement the offer of the Venice Film Festival, which has been confirmed to take place on September 2 to 12 and which will pair with the Bologna-based Il Cinema Ritrovato classic cinema programme. The first edition of Classici fuori Mostra lists twelve masterpieces, in original version and closed-captioned in Italian, recently restored and brought back to shine: Alien, We Still Kill the Old Way, Miracle in Milan, Detour, and Kanał, and more. The goal is to popularize titles that made the history of cinema and are an everlasting source of inspiration for contemporary filmmakers. Affordably-priced tickets are available to students (2.50€ for a single screening, 20€ for a whole-programme pass). The first movie in the programme, Don’t Look Now of 1973, is a horror masterpiece by British director Nicolas Roeg, starring Julie Christie and Donald Sutherland. The film has been restored by StudioCanal and will be screened on July 24 with the participation of director Luca Guadagnino (Call Me by Your Name, Suspiria). “The growing popularity of the Venezia Classici programme – says Biennale Cinema head manager Alberto Barbera – shows that there is a strong interest from the public for films that are part of the world’s historical heritage. Watching these films in a theatre is a treasured occasion and its educational value is also important. This is why we chose to create the programme.”
FEFF 22, una scommessa vinta I numeri di questa edizione digitale del FEFF raccontano di un grande successo: 3000 accrediti da 45 Paesi e 25.000 voti per decretare i vincitori dell’Audience Award. Anche il più grande festival italiano dedicato al cinema proveniente dal Far East quest’anno ha dovuto fare i conti con la pandemia, adottando una formula digitale che comunque non ha deluso il suo da sempre numeroso pubblico di affezionati. Già in partenza i dati sono stati incoraggianti, con 46 titoli in line-up, tra cui 5 prime mondiali, che corrispondono a decine di case di produzione che hanno accettato di puntare sul FEFF virtuale. Una scommessa dunque decisamente vinta, nonostante le molte difficoltà nel cambiare in modo così radicale l’intero impianto organizzativo: oltre ai film, la rassegna ha proposto infatti anche 45 dirette streaming, 38 videomessaggi dei registi, 10 conferenze stampa, senza contare tutti i meeting organizzati su Zoom dal FEFF Campus e da Focus Asia. Il Festival ha dunque cambiato la propria sintassi adattandosi alle leggi del web e trasferendo il proprio quartier generale sulla piattaforma Mymovies, ma di certo non ha cambiato la propria anima, rimanendo una vivissima full immersion nel cuore del cinema pop asiatico (Cina, Hong Kong, Taiwan, Corea del Sud, Giappone, Filippine, Indonesia e Malaysia). Il Gelso d’Oro è andato al cinese Better Days di Derek Tsang (figlio del leggendario Eric Tsang): un’indimenticabile storia d’amore e di violenza sui banchi di scuola. Il Gelso d’Argento è andato al debut film malaysiano Victim(s) della regista Layla Ji, presentato al FEFF 22 in prima mondiale. Il Gelso di Cristallo è andato alla favola pop taiwanese I WeirDo di Liao Ming-yi (un’altra prima mondiale), che si è aggiudicata anche il Gelso Viola di Mymovies. Il Gelso Bianco per la migliore opera prima, deciso da una giuria internazionale (La Frances Hui, Leopoldo Santovincenzo, Mark Adams), è andato invece all’action-comedy sudcoreana Exit di Lee Sang-geun. Sudcoreana anche la menzione speciale, il noir Beasts Clawing at Straws di Kim Young-hoon.
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Fare (in) rete
Net/ work
Generazione 2020, i festival di domani
The festivals of tomorrow
Better Days di Derek Tsang
Il futuro dei festival di cinema, negli anni a venire, sarà ancora legato all’opzione dello streaming online oppure questa è stata solo una parentesi legata al Coronavirus? È questa la domanda che mi pongo a conclusione della magnifica edizione 2020 del Far East Film Festival, che si è appunto tenuta dal 26 giugno al 4 luglio sulla piattaforma digitale di MYmovies. Perché quella dello streaming non è solo un’opzione tecnologica che permette la visione dei film su dispositivi connessi in rete, ma, è fin troppo evidente, è anche un’opzione di modelli di business differenti, di pubblici diversi (che si aggiungono? che si cannibalizzano tra loro?), di modalità fruitive diametralmente opposte, di forme relazionali del tutto diverse. Da una parte, la possibilità incredibile di vedere un festival di cinema a casa propria, senza tutti quei notevoli costi accessori legati alla presenza fisica nei luoghi del festival che peraltro costituiscono ‘l’economia diffusa’ di questo tipo di eventi; dall’altra, quell’oggettivo senso di isolamento, di stress, di insoddisfazione del tutto slegato dalla qualità dei film, e dovuto invece alla consapevolezza che un festival è anche il respiro simultaneo della comunità
dei fedeli, un rito che richiede presenza, vibrazione, comunione religiosa. Ci chiediamo allora – ce lo chiediamo solo, perché non abbiamo risposte – se domani, ripristinata l’adorata normalità fatta di sale, schermi, red carpet, palinsesti personali, code, panini ingurgitati in fretta, chill out tra una proiezione e l’altra, l’organizzazione di un festival potrà valutare percorribile l’opzione di affiancare a questa normalità l’opzione parallela dell’online per aumentare i fruitori, per creare comunità telematica, per estendere il reach dell’evento. Dopotutto, i Berliner Philarmoniker non hanno realizzato nel 2015 la loro Digital Concert Hall proprio per fare dei Berliner un marchio fruibile a livello mondiale? E, ancor prima di loro, il Metropolitan Opera di New York non cominciò già nel 2006 a diffondere in streaming le proprie produzioni più di rilievo? Vedremo. Venendo al FEFF di Udine, posso solo confessare di essere diventato, dopo la visione di una quarantina dei circa cinquanta titoli previsti quest’anno, un fan sfegatato di questo Festival. L’equilibrio quasi perfetto tra film di genere e film con una matrice più autoriale, la conferma del magnifico stato di salute del cinema della Corea del
Sud con almeno due film notevoli di due registe, entrambi sul difficile ruolo della donna nella famiglia e nel mondo produttivo coreano (Lucky Chan Syl di Kim Cho-hee e Kim Ji-Young:born 1982 di Kim Do-Young), alcuni strepitosi blockbuster di produzione Hong Kong e Cina (tra cui spicca The Captain di Andrew Lau), e una mini personale dedicata ad uno straordinario giovin regista giapponese, Watanabe Hirobumi, che ci ha regalato quattro opere, due medi e due lungometraggi, tutte celebranti la debordante verve dell’autore lanciato in monologhi inesausti su ogni aspetto dello scibile umano (il crowdfunding nel cinema, la genialità di Paul McCartney, l’odio verso i critici cinematografici, le partite del Giappone ai mondiali di calcio del 2018): sono queste le prime impressioni di una manifestazione ricchissima di suggestioni, di indicazioni, di bellezza. Un grazie ai due organizzatori, Sabrina Baracetti, che per 9 giorni ci ha intrattenuto con le sue dirette online a presentare il palinsesto e a intervistare gli ospiti e Thomas Bertacche. E un augurio di buon lavoro per il FEFF 2021. Dove? A Udine? Nella Rete? Ah, saperlo, saperlo... F.D.S.
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The future of cinema festivals, in the years to come, will keep on integrating online streaming or is that a temporary solution due to the pandemic? This I wonder in the final hours of the 2020 Far East Film Festival, which took place online June 26 to July 4. Streaming is not merely an option offered by technology but also, obviously, a series of different business models, different audiences, different ways to enjoy cinema, different relationships. One the one hand, the opportunity to access a film festival in one’s own home is amazing – with no burden of costs derived from the physical presence in a place (although we must remember that the economy suffers in turn); on the other hand, an objective feeling of isolation, stress, dissatisfaction in knowing that a festival is also a common ritual made of presence, community, sense of belonging. We thus wonder if tomorrow, when theatres, screens, red carpets, queues, sandwiches, coffees, drinks will again be part of our festival presence, producers will keep an online presence as well to broaden audiences, foster an online community, and give festivals a wider reach. Back to the Far East Film Festival, I must say I love it. The FEFF gifted us with an almost-perfect balance between genre and auteur cinema, the excellent health of Korean cinema, and a mini personal retrospective on amazing Japanese director Watanabe Hirobumi, who presented two short features and two full feature-length films that celebrate Watanabe’s overflowing verve with tireless soliloquies on every aspect of human wisdom. Public thanks to the two producers, Sabrina Baracetti and Thomas Bertacche, and well wishes for the 2021 FEFF. Where? In Udine? Or online? If we only knew…
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I SAMURAI ASHFALL (Corea del Sud)
insuccessi, il film di Adachi Shin ha momenti degni di Woody Allen quando la voce narrante dello sceneggiatore espone agli spettatori i suoi piani per infiltrarsi nel letto off limits della moglie. Un film comico in superficie e triste sotto la scorza: due correnti che corrono parallele, finché non si congiungono in una scena memorabile di litigio dove i protagonisti piangono e ridono allo stesso tempo.
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e si fondono. E al di là della passione per la storia dei personaggi, questo è un film che andrebbe fatto vedere a tutti i giovani registi a scopo di insegnamento.
THE HOUSE OF US (Corea del Sud)
THE CLOSET (Corea del Sud) Un terremoto mette in ginocchio la Corea e la mega-eruzione di un vulcano rischia di far di peggio. Per evitarlo, l’unico modo è impossessarsi di alcune bombe atomiche nella Corea del Nord distrutta, per far saltare la camera magmatica del vulcano. Questo intelligente ed emozionante disaster movie di Lee Hae-jun & Kim Byung-seo diventa nello svolgimento un vero festival di generi cinematografici – compreso il buddy movie di amici/nemici, qui (come dubitarne?) un sudcoreano e un nordcoreano.
CHANGFENG TOWN (Cina) In una casa inquietante, un grande armadio è la porta per un oltremondo popolato di bambini-demoni. Anche se debitore verso horror americani come Insidious e Poltergeist, questo horror di Kim Kwang-bin trova un elemento di originalità e anche di commozione nel suo concentrarsi sul dolore dei bambini abusati o maltrattati o trascurati da genitori indifferenti: tema che emerge appieno nello svolgimento, e che suggerisce un’immagine a sorpresa conclusiva che una volta tanto è coerente e azzeccata. Sul filo di una voce narrante che rievoca la propria fanciullezza con il sapere amaro dell’età adulta, si apre come un ventaglio dipinto l’immagine di un’infanzia cinese nell’immaginaria cittadina di Changfeng. Dove (ironizza la voce narrante) tutti sono sempre felici, ma non è vero. La regista e sceneggiatrice Wang Jing crea un bellissimo incrocio “crepuscolare” di nostalgia e tristezza, amori infelici e gioie infantili, sogni e fallimenti esistenziali, in un’atmosfera poetica molto convincente.
Hana, una ragazzina, vive una vita difficile: i suoi genitori litigano sempre e stanno per divorziare. Lei fa amicizia con due sorelline che hanno anche loro i loro guai: i genitori sono partiti per lavoro, non comunicano al telefono, e pare che vogliano vendere la casa (sarebbe l’ennesimo trasferimento!). Allora le tre partono per andarli a cercare… Un film, di Yoon Ga-eun, pieno di calore, serio nel contenuto e leggero nello svolgimento, che può ricordare – in piccolo – Kore-eda.
LABYRINTH OF CINEMA (Giappone)
CHASING DREAM (Hong Kong/Cina)
A BELOVED WIFE (Giappone)
Storia di uno sceneggiatore sfortunato che viene continuamente insultato dalla moglie inacidita per i suoi
Il maestro hongkonghese Johnnie To riprende in questo splendido film due dei suoi amori, il cinema sportivo e il musical, raccontandoci l’amore fra il campione di arti marziali Tiger e la cantante Cuckoo. Ossia fra due lottatori: il campo di Tiger è il ring di arti marziali, quello di Cuckoo un talent show musicale. I generi s’incrociano
Obayashi Nobuhiko (grande autore giapponese appena scomparso) costruisce Labyrinth of Cinema un po’ come Dante aveva costruito la Divina Commedia: un’opera totale e finale, in cui riversare le idee e le suggestioni formali di un’intera vita. L’ultimo spettacolo di un piccolo cinema giapponese prima di chiudere è una maratona notturna di film di guerra. Scorrono sullo schermo due secoli di guerre in Giappone. E tre spettatori entrano materialmente dentro quei film, alla ricerca del fantasma di una ragazza... Giorgio Placereani
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Fabio Fornasier info@lu-murano.it www.lu-murano.i
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Essere immortale
Campo lungo
Ennio Morricone, una lezione da Maestro
La terza volta di Cinemoving
Funerali strettamente privati, «per non disturbare». Ennio Morricone non c’è più, è morto nella notte del 6 luglio 2020 per le conseguenze di una caduta che gli aveva rotto il femore e danneggiato irrimediabilmente il fisico, a 91 anni. Sì, “per non disturbare”, proprio come affermato in un testo affidato al suo legale e che il Maestro ha chiesto di divulgare dopo la propria morte, un necrologio scritto da lui stesso che disarma per la semplicità, l’umiltà di un uomo alle prese con l’ultimo saluto ai propri cari, con il commiato più doloroso riservato alla moglie adorata, Maria, che si era vista dedicare l’Oscar vinto nel febbraio del 2016 per la colonna sonora di The Hateful Eight di Tarantino. E proprio leggendo quelle parole di affetto dedicate a moglie, figli, nipoti e amici fraterni ci si può rendere conto della grandezza di Ennio Morricone. Una grandezza mai ostentata, un’umiltà che lo faceva lavorare a ogni singola canzone con lo spirito del debuttante che ha tutto da dimostrare, anche dopo decenni caratterizzati da pagine di musica che resteranno per sempre nella storia del cinema, al pari di tutti i grandi compositori classici universalmente celebrati. Ho avuto il privilegio e la fortuna di assistere a un suo concerto nel maggio scorso all’Arena di Verona, sotto un
diluvio incessante. In condizioni di salute non eccellenti, Morricone diresse l’Orchestra da seduto, non per questo perdendo in autorità o lucidità, impossibile per un fuoriclasse del genere che avrebbe potuto dirigere anche sdraiato, o di spalle. La magia arrivò intatta e potente alle orecchie di ogni singolo spettatore di un’Arena gremita: due ore e mezzo di concerto, con pausa di venti minuti e con il Maestro che dopo ogni brano si alza e ringrazia il pubblico. Il buono, il brutto, il cattivo, La battaglia di Algeri, Sacco e Vanzetti, la travolgente Gabriel’s oboe di Mission, l’immortale tema di Nuovo Cinema Paradiso: impossibile spiegare a parole cosa l’ascolto di questi capolavori riesca a smuovere, musiche la cui bellezza è totalmente indipendente dalle sequenze cinematografiche che rievocano, pur adattandosi alla perfezione a tutto il sistema di significanti e significati che il regista voleva trasmettere, attraverso gli attori. Ennio Morricone non c’è più. Restano per sempre le sue colonne sonore, le nostre colonne sonore, il suo più grande orgoglio: l’essere entrato nella nostra vita attraverso la sua musica, legando alla sua opera i ricordi di tutte le persone rimaste estasiate dal suo talento e dalla sua genialità. Stia seduto, Maestro. Stavolta ci alziamo tutti noi. Davide Carbone
Per l’estate 2020 il programma di Cinemoving non lascia, anzi raddoppia: 74 serate a ingresso libero e gratuito che partono da Favaro, Campalto, Chirignago, Dese, Malcontenta, Mestre, Zelarino, Gazzera per raggiungere anche il centro storico di Venezia, Lido e Pellestrina, oltre che Murano e Burano. Torna anche il cinema in Campo San Polo, con ben 17 proiezioni programmate nel cuore della laguna dal 14 al 30 agosto. A far ritornare per il terzo anno di seguito il progetto cofinanziato dall’Unione Europea – FondoSociale Europeo, nell’ambito del Programma Operativo Città Metropolitane è il successo di pubblico, in un dialogo virtuoso con i luoghi più socialmente vivi e accoglienti della città. Il tutto senza dimenticare mai le linee guida da seguire diligentemente: mantenere la distanza tra persone, lavare spesso le mani e indossare la mascherina. L’accesso è garantito esclusivamente con la mascherina di protezione sul volto (che una volta seduti si potrà togliere) e all’ingresso potrà essere richiesta la misurazione della temperatura. Novità di questa edizione è l’iscrizione al gruppo WhatsApp per ricevere il programma aggiornato e per eventuali modifiche al calendario, oltre a qualche annuncio speciale. È sufficiente salvare il numero 3427611875 nella rubrica e inviare un messaggio su WhatsApp indicando nome e cognome, seguito da “CINEMOVING”.
«Cinemoving» 11 luglio-30 agosto a Venezia e provincia
Prove (di) costume La chiusura delle sale cinematografiche ha prodotto un’abitudine nuova: l’esplorazione della cinematografia “minore” tramite tutti i siti che, a pagamento o gratuitamente, hanno continuato ad alimentare la fame di storie del pubblico. La tecnologia digitale già permetteva la produzione a costi molto bassi, in più i programmi che stimolano la esibizione del sé, vedi TikTok e simili, stanno anche cambiando l’estetica del linguaggio dell’immagine. Forse non in una direzione positiva, artistica, ma comunque determinando un cambiamento. Risulta così ammirevole e gradevole l’opera prima di Andrew Patterson The Vast of Night, ripreso in italiano da Amazon Prime col titolo L’immensità della notte. Non ci ha colpito l’originalità della storia, una ripresa del tema Incontri ravvicinati in pieno maccartismo in una piccolissima cittadina americana negli anni ‘50, neppure la ricostruzione della prima ondata di impiego femminile retribuito nella classicissima figura della centralinista, l’anticomunismo imperante, il ruolo delle radio locali nel coagulare desideri di libertà nelle nuove generazioni o l’inizio del timore dello sguardo onnivoro, “Qualcuno ci sta spiando” è una frase più volte ripetuta. Neppure l’indifferenza della cittadinanza tesa ad assistere in massa ad una gara sportiva incurante di quello che avviene nel cielo sopra di loro (Borges avrebbe detto: il babilonese è poco speculativo. Accetta i dettami del caso, gli affida la propria vita) o la divertente ricostruzione delle prime esperienze tecnologiche, qui un magnetofono di prima generazione. Rilevante invece l’uso esperto di ogni possibilità offerta dal digitale e la cultura cinematografica che il regista dimostra di possedere. La ricostruzione della cittadina in 3D e il movimento dei personaggi che riprende Dogville di Lars von Trier, l’uso del buio non come assenza di luce, ma simbolico per significare un mistero (scomparsa del contatto telefonico) o per evocare un mondo che non si conosce e non si governa (mentre solo il palazzetto dello sport rimane illuminato a giorno) come nella prima ora e un quarto di C’era una volta in Anatolia di Ceylan. Dalla videoarte vengono ripresi ralenti, brusche accelerazioni, aliasing negli schermi televisivi, immagini sgranate e striature che rimandano a Nam June Paik e ai lavori di Bruce Nauman, ma anche al primo film che in assoluto anticipa le tecnologie digitali Natural Born Killers di Oliver Stone del 1994. Da notare anche l’uso della leggera camera a mano, capace di avanzare veloce sull’asfalto o sul tappeto erboso e attorniare ravvicinata i personaggi alla Dancer in the dark di von Trier. Ognuna di queste tecniche ha una precisa funzione, non è gratuita: ad esempio il fotogramma che si riduce a schermo televisivo con immagini sgranate e piene di striature, è funzionale ad enfatizzare il focus sul movimento e sulla espressione dei protagonisti. Da vedere per capire come stanno nascendo i giovani registi del digitale.
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a cura di Loris Casadei
a cura di Marisa Santin
When the world’s on fire Lacerati dalle proteste razziali innescate dall’omicidio di George Floyd, gli Stati Uniti hanno celebrato un 4 luglio stemperato dalle misure di sicurezza adottate per contenere una pandemia che non sembra dare tregua. Mentre da nord a sud la rabbia della popolazione si scaglia contro i simboli del colonialismo (ultima ad essere abbattuta è stata la statua di Cristoforo Colombo a Baltimora), il presidente Trump ha assistito ai rituali fuochi d’artificio sotto i volti di quattro suoi illustri predecessori scolpiti nella roccia di Mount Rushmore, nel North Dakota, una terra sottratta con la forza ai nativi. George Washington, Teddy Roosevelt, Abraham Lincoln, Thomas Jefferson: due di loro, Washington e Jefferson, erano proprietari di schiavi. La dichiarazione firmata il 4 luglio 1776 non era solo un atto che sanciva l’indipendenza di un Paese nascente, ma era anche una promessa: che la libertà e la prosperità sarebbero scaturite dall’accoglienza, dall’inclusione, dalla giustizia sociale. Una promessa ancora aperta.
I Am Somebody
di Madeline Anderson (1969) Se con il precedente Integration Report 1 Madeline Anderson si era affermata come la prima donna afroamericana a dirigere un film documentario, con I Am Somebody torna a dare chiara testimonianza della sua opera pionieristica. Nel 1969 quattrocento lavoratrici ospedaliere nere di Charleston, nella Carolina del Sud, scioperarono per ottenere un aumento salariale. Affrontate dalla Guardia Nazionale, il loro fronte rimase unito e la loro protesta divenne una forte testimonianza di coraggio per operai e attivisti. Entrambi i film di Madeline Anderson sono disponibili su Amazon Prime.
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Domani non è un altro giorno Il caso Via col vento, riveduto e (s)corretto
Frantz Fanon: Black Skin, White Mask
di Isaac Julien (1997) Psichiatra, antropologo e saggista francese originario della Martinica, Frantz Fanon ha legato la propria biografia alla lotta anticoloniale e all’attivismo politico per l’emancipazione del “terzo mondo”. I suoi saggi, fra cui il seminale Black Skin, White Mask (1952) e I dannati della terra (1961), ebbero una notevole influenza su molti leader rivoluzionari, fra cui Che Guevara e Steve Biko. Il documentario di Julien intreccia rare interviste con parenti e amici di Fanon a filmati d’archivio e letture tratte dai suoi lavori. Il film è disponibile online su Youtube.
Flag Wars
di Linda Goode Bryant, Laura Poitras (2003) Frutto di 4 anni di riprese, Flag Wars è uno sguardo preciso e personale sul processo di gentrificazione che ha recentemente interessato molte città degli USA, fra cui Columbus, Ohio. Linda Goode Bryant e Laura Poitras documentano i conflitti emersi nelle zone residenziali della classe operaia nera di fronte all’afflusso di nuovi residenti bianchi gay. Nei crediti compare anche la consulenza artistica di Arthur Jafa.
XIII Emendamento (I’m Not Your Negro)
di Raoul Peck (2016) Tratto dal manoscritto mai terminato di James Baldwin, una delle più importanti voci letterarie afroamericane, il documentario di Raoul Peck ripercorrere la storia del razzismo negli Stati Uniti a partire da figure chiave dell’attivismo per i diritti dei neri come Malcom X e Martin Luther King. Narrato in originale dalla voce di Samuel L. Jackson, il film è disponibile sulla piattaforma CHILI.
What You Gonna Do When the World’s on Fire?
di Roberto Minervini (2018) In corsa per il Leone d’Oro a Venezia 75, il documentario di Minervini è incentrato sulla discriminazione della comunità afroamericana nel Sud degli Stati Uniti. Girato in presa diretta tra Baton Rouge (Louisiana) e Jackson (Mississippi), il racconto in bianco e nero del regista marchigiano, da anni residente negli Stati Uniti, entra nelle vite di una comunità scossa dalle uccisioni di Alton Sterling e Philando Castile avvenute nel 2016 per mano della polizia.
Il barbaro omicidio del cittadino afroamericano George Floyd da parte di un agente della polizia di Minneapolis ha suscitato un’ondata di reazioni indignate negli Stati Uniti (e in tutto il mondo occidentale), tanto più gravi e incontrollate quanto più si consideri l’eccezionalità del contesto pandemico da Covid-19 nel quale è avvenuta l’uccisione di Floyd, che ha fatto emergere le disparità economiche, culturali, sanitarie e sociali tra le tante minoranze che compongono la frastagliata identità del Paese e la sua maggioranza bianca, WASP e, generalmente, benestante. Una delle reazioni più eclatanti e controverse è stata quella dell’emittente televisiva HBO che ha deciso di ritirare dal proprio catalogo nientepopodimeno che Via col vento, in riposta a un articolo di John Ridley, lo sceneggiatore premio Oscar di Dodici anni schiavo, in cui Ridley sosteneva che nel film del 1939 sarebbe in opera una vera e propria apologia di schiavismo e di razzismo chiedendone la rimozione in solidarietà alle proteste, per poi reintrodurlo con le necessarie informazioni di contesto. HBO ha preso dannatamente
sul serio la critica di Ridley, ha eliminato il film capolavoro dalla propria programmazione per circa 3 settimane, salvo poi reinserirlo a fine giugno, adeguatamente preceduto da un disclaimer critico e morale che lo contestualizza nel suo spazio-tempo storico culturale. Ora, con ogni probabilità la clamorosa decisione dell’HBO di ritirare dal proprio catalogo uno dei film più famosi e visti della storia del cinema, è (stata) soprattutto anche un’abile mossa pubblicitaria che farà in modo che le nuove generazioni scoprano e godano di un’opera filmica imprescindibile nella storia della Settima Arte. E, cionondimeno, che il film di Victor Fleming, mettendo in scena il romanzo di Margaret Mitchell e raccontando il canto del cigno dell’aristocrazia sudista e confederata ai tempi della guerra civile, evidenzi i tratti razzisti degli Stati Uniti di metà Ottocento e, in parte, nel suo discorso più propriamente filmico, anche quelli più sfumati, sotterranei e ideologici dell’America roosveltiana, è fuori discussione. In prima battuta si potrebbe quindi senz’altro approvare l’idea di
Che il suo destino fosse intrecciato a quello dell’Academy, negli ultimi anni si era capito molto bene: Birdman, Il caso Spotlight, La forma dell’acqua, Gravity, La La Land e il fenomenale Joker sono solo alcune delle fortunate scelte di Alberto Barbera che hanno poi fatto faville all’appuntamento con i premi Oscar. Ora di quella leggendaria Academy of Motion Pictures Arts and Sciences Alberto Barbera è ufficialmente membro, arricchendo un curriculum già straordinario, frutto di un intuito a cui affidarsi anima e corpo.
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Eccellenza italiana
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CATCH’EM BACK a cura di Sergio Collavini
I
l lockdown ha costretto (o consentito, a seconda di come la si consideri) molti di noi a passare più tempo davanti alla tv. Le serie sono state senz’altro il piatto forte e le piattaforme digitali hanno inevitabilmente allargato la propria platea entrando spesso per la prima volta in moltissime case. In questa rubrichetta senza pretese ecco alcune serie divertenti di qualche anno fa, quando il satellite era ancora per pochi, il digitale doveva ancora nascere e o queste serie le seguivi giornalmente o compravi il dvd. In rete, con un po’ di pazienza, ora si trova più o meno tutto (colpo di tosse ndr)...
FLIGHT OF THE CONCHORDS
sono i libri di storia, i saggi, i romanzi, i film, i documentari e ogni cittadino responsabile dovrebbe cercare di approfondire per conto proprio, senza pretendere che lo Stato ponga un’etichetta e/o un disclaimer moralistico con dei ridicoli pro e contro (stabiliti dall’ennesima commissione/task force) su qualsiasi tipologia di monumento celebrativo. È ovvio che questo clima moralistico di censura e revisionismo è stato almeno in parte innescato dalla particolare situazione emergenziale in cui il mondo occidentale si è improvvisamente venuto a trovare. Perché se (ci) viene detto a ripetizione che è necessario ripensare radicalmente il nostro stile di vita, che dobbiamo detergerci, sterilizzarci, immunizzarci in continuazione, si finisce per sentire il bisogno di risciacquare ed emendare davvero qualsiasi cosa e quindi anche la Storia, con tutte le sue sporcizie, le sue contraddizioni e le sue ferite incurabili. E a nulla servirà rimarcare che (quasi) tutta la storia fino a ieri era razzista, antisemita, maschilista, violenta, gerarchica e che non ha nessun senso giudicare il passato con le categorie morali del presente – in quel caso dovremmo rinunciare a Caravaggio, Mozart, Voltaire, Celine, Nietzsche, Picasso, Heidegger, Churchill, Chaplin, Kubrick e chi più ne ha più ne metta – perché per il nuovo pensiero virologico imperante l’immunizzazione della Storia è uno dei corollari/prezzi da pagare per tutelare la nostra salute e vivere al sicuro nell’eterno (salubre) presente del politically correct. Per cui, dopotutto, domani NON sarà più un altro giorno perché se non c’è (stato) un ieri non ci sarà neppure un domani. Piero Tomaselli
Serie di produzione americana, ma praticamente neozelandese per attori e registi. Racconta la storia del duo musicale, da cui il titolo della serie, formato da Bret McKenzie (visto come attore ne Il Signore degli Anelli) e Jemaine Clement (partner comico anche di un certo Taika Waititi) che cerca, senza troppa fortuna, il successo negli States. Un manager improvvisato e truffaldino, una stalker improbabile e l’amico “esperto” di cultura americana li accompagnano nelle loro surreali avventure. Il pezzo forte della serie è però proprio la musica: la band Flight of the Conchords esiste anche nella realtà (con tanto di dischi e tour) e le canzoni sono a dir poco esilaranti. In ogni episodio c’è almeno una canzone, abilmente inserita nella trama. Uno spasso davvero. Foux Da Fa Fa! HBO | 2 stagioni (2007/2008) | In Italia 2010 /2011
COME FLY WITH ME
A chi non conosce Little Britain (Subito in castigo! Pecca imperdonabile) i nomi di Matt Lucas e David Walliams non diranno nulla, ma questi due hanno messo in piedi il programma più dissacrante, cattivo, politicamente scorretto e incredibilmente geniale e divertente dai tempi dei Monty Python. Little Britain (BBC 2000/2006) venne in parte trasmesso in Italia sottotitolato da Mtv. Poi accadde che due furbetti ne saccheggiarono (col favore delle tenebre) i contenuti realizzandone una copia sbiadita: I Soliti Idioti. Anche abbastanza piacevole in verità, ma credetemi niente (niente!) in confronto all’originale, chiaramente non esportabile. Little Britain ebbe enorme successo ovunque e qualche anno dopo la sua conclusione Lucas e Walliams tirarono fuori dal cilindro un’altra perla, stavolta in stile mockumentary satirico: Come Fly With Me. Ambientata all’aeroporto londinese di Stansted narra, attraverso la solita miriade di variopinti personaggi tutti interpretati dai due, le vicende di tre fantomatiche linee aeree dai nomi ridicoli che richiamano quelle vere (su tutte la Our Lady Air). Assolutamente imperdibile soprattutto per i fan inconsolabili di Little Britain. Facilmente visibile in rete in streaming o in dvd dagli amazoniani più compulsivi. BBC | 1 stagione (2010) | Inedita in Italia
:series
HBO di far precedere film storici particolarmente problematici per il punto di vista della morale corrente da un’introduzione critica. Ma qual è il discrimine? Perché Via con il vento sì e La grande abbuffata, Salvate il soldato Ryan o Pulp Fiction (giusto per citare 3 titoli a caso), film, per motivi diversi, almeno altrettanto controversi e problematici da un punto di vista morale, no? E lo stesso discorso non dovrebbe valere per ogni genere di prodotto narrativo, in particolar modo per quelli più commerciali che si rivolgono quindi a un pubblico molto ampio ed eterogeneo? Un qualsiasi cartone animato giapponese sui robot (in cui muoiono una media di 1000 innocenti a puntata), un teen-drama prodotto da Netflix (con tutto il classico repertorio di atti morali riprovevoli come violenze familiari e atti di bullismo, stupri, omicidi e quant’altro) o un telefilm degli anni ‘80 come Hazzard (che peraltro si muove più o meno negli stessi scenari di Via col vento) che mette in scena un’America reazionaria, edonista, maschilista e dedita al contrabbando e al ladrocinio, non avrebbero bisogno a maggior
ragione di un disclaimer morale, essendo rivolti prevalentemente a ragazzini e a adolescenti, cioè a categorie sociali per definizione sprovviste di capacità di elaborazione critica ed etica particolarmente sofisticate?. Alla rimozione di Via col vento sono seguiti atti vandalici contro statue e monumenti in giro per il mondo, dall’abbattimento della statua di Edward Colston, mercante-filantropo della città di Bristol arricchitosi nel ‘600 anche con il commercio degli schiavi, all’imbrattamento del monumento in memoria di Indro Montanelli, che com’è noto sposò una dodicenne africana e non sembrò mai problematizzare particolarmente la cosa, fino ad arrivare allo sfregio della statua di un certo Winston Churchill a Londra. E in effetti il caso di Churchill risulta particolarmente utile a guardare alla questione da un’altra angolatura. È assolutamente certo, infatti, che Winston Churchill sia stato razzista, opportunista e vanesio. È certo che abbia commesso degli errori politici enormi per gran parte della sua carriera. È certo che abbia contribuito attivamente alla devastazione del Medioriente definendone i confini in maniera sciagurata. Si può dire che Churchill abbia fatto una sola cosa giusta nella sua vita. In un momento storico in cui tutti assecondavano Hitler, perché in fondo la classe dirigente di allora riteneva che fosse pur sempre un baluardo contro il comunismo, ha persuaso il mondo a combattere contro di lui e l’ha sconfitto. Scusate se è poco. Dobbiamo indicare sui monumenti che lo celebrano che è stato anche razzista come pretenderebbe il pensiero imperante del politically correct? Per quello ci
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prosa, danza, cabaret drama, ballet, cabaret
:theatro And Now?
E adesso è l’espressione sacrale con cui si annuncia l’inizio di uno spettacolo E adesso, signore e signori, ecco a voi… E adesso, per il vostro gran piacere… e adesso noi, gli spettatori, abbiamo vissuto un’attesa comune a un tratto, l’e adesso del presentatore le mette fine trepidazione, eccitazione, gioia, speranza si alza il sipario e adesso siamo nel vivo dello spettacolo una sequenza di istanti presenti che si concatenano ciascuno al presente in un presente che è perpetuo, fino alla fine del presente costruito proprio per noi costruito per mantenerci nella presenza per tutta la durata della rappresentazione per mantenere la nostra presenza al presente in ciò che si sta creando lì, sotto i nostri occhi bagliore, rivelazione: il presente/vivente non è accessibile se non nell’incompiuto che si compie infinitamente scende il sipario l’opera era destinata a evaporare se non nella nostra memoria quanto vale la nostra memoria è moneta? acquista valore con il tempo?
La Ribot, © Pablo Zamora
Claudia Castellucci, © Pierre Planchenault
Il Leone d’Oro alla carriera del 14.
Festival Internazionale di Danza Contemporanea verrà assegnato il prossimo ottobre a Maria José Ribot Manzano (in arte La Ribot), che il pubblico veneziano ha già incontrato nel 2017 nella divertente e dissacrante pièce Gustavia. Artista visual, danzatrice e coreografa, è nota soprattutto per i suoi Piezas distinguidas, interventi di durata variabile, dai pochi secondi ai sei, sette minuti, in origine improvvisati, eseguiti spesso in musei e istituzioni culturali. Il tema talvolta è la vendita del corpo al miglior
di Loris Casadei offerente, ove La Ribot sembra offrirsi nuda simulando con il movimento delle anche un atto sessuale, ma con una sedia legata al corpo per coprirle il sesso, a volte invece si cimenta in bondage di varia natura e legami di ogni tipo. In risposta a numerose critiche concernenti l’esposizione del corpo, risponde che l’essere nudi concentra l’attenzione sul corpo che diventa il centro della ricerca e che la nudità è una cosa come un’altra, non necessariamente erotica. Artista non comoda anche sul piano dell’impegno sociale, come ad Art Basel 2006, dove la sua performance di oltre sei ore Laughing Hole era legata alla scoperta delle torture nella prigione di Guantánamo. Di lei vedremo una serie di proposte legate anche al mondo dell’arte, disegno, taglio, collage, forme installative in cui al centro resta il corpo come oggetto in movimento. Tema caro, quello del legame con l’arte contemporanea, anche alla curatrice Marie Chouinard, che in una recente intervista ha affermato: «Nel costruire i programmi della Danza il mio modello è stato la Biennale d’Arte, dove è lontana ogni tensione o valutazione del mercato dell’arte. Ho cercato l’edge of creation, coreografi o performer capaci di produrre una nuova danza. E non ho neppure indagato la loro conoscenza tecnica o storica della danza, ma visti nella loro assoluta capacità compositiva senza gravosi legami con il passato». Nel suo studio di Montreal
troneggia una voluminosa Bibbia e il resto sembra occupato da libri d’arte, dalla pop art a Jean Michel Basquiat. Ma non mancano i fiamminghi e Bosch. Il titolo della nuova edizione sarà AnD NoW! e per una volta ce ne svela il significato: «espressione sacrale con cui inizia uno spettacolo». Titolo profetico se si pensa alla difficoltà di realizzare un festival con una forte incognita anche sui voli e l’apertura di altri Paesi. Se dalle presenze annunciate si dovesse cercare di individuare un filo conduttore o per meglio dire una tendenza, potremmo sostenere che la musica regna sovrana ispiratrice. Ad iniziare dal Leone d’Argento Claudia Castellucci, artista poliedrica, fondatrice di Socìetas Raffaello Sanzio, che presenterà Fisica dell’aspra comunione su musiche di Olivier Messiaen, geniale compositore, inventore di scale musicali e nuovi strumenti, affascinato da sonorità esotiche come il gamelan indonesiano, e creatore nel 1956 di una sinfonia sul canto degli uccelli. La Castellucci aveva ripreso già la sua musica in Homo Turbae. Il pulsare del tempo lo troviamo anche in Maria Campos e Guy Nader, in Noè Soulier, in Lisbeth Gruwez già ammirata nella edizione del 2017, che presenta due suoi classici su Debussy e Bob Dylan, e in Silvia Gribaudi, in quanto la pièce Graces ripresa dalle Tre Grazie di Canova è tutta narrata su Voices of Spring di Strauss. Al quarto anno di direzione Marie Chouinard cita il coraggio e la memoria come fondatori del programma 2020, e quando le viene chiesto se qualcosa di buono ha portato questo periodo di riflessione e di clausura, risponde con un amaro sorriso ma ricorda che nel golfo di Napoli sono riapparsi i delfini. E Lei cosa si porta via al termine di questa esperienza veneziana? «Il desiderio di creare un mio festival, perché fare un festival è un atto di creazione, quanto e forse più che non creare un proprio spettacolo». «14. Festival Internazionale di Danza Contemporanea» 13-25 ottobre
È l’arte la più povera ma i suoi artisti vi diranno che abita nel baldacchino più vicino al cielo memoria, ma noi ci ricordiamo di molto poco: qualche immagine, un’impressione quel che resterà nella memoria somiglia forse proprio a ciò che l’autrice aveva in sé prima di dare inizio alla sua creazione: un mare di sensazioni e qualche immagine folgorante siamo davvero coraggiosi e avventurosi, noi spettatori perché acquistiamo sempre un biglietto, riconfermiamo la speranza, l’atto di fede e ci ritorniamo i momenti di grazia sono rari ma sublimi meritano la pena, a volte ci sembra, di aver perduto un po’ del nostro tempo questa perdita: un’accumulazione di speranza per la prossima volta e quando arriverà la grazia, verrà a devastarci in tutta la crudeltà della sua bellezza uno spettatore conserverà con cura il programma, un altro il biglietto una spettatrice chiederà un autografo un’altra resterà alla discussione pubblica che segue un’altra tornerà rapida a casa per provare a danzare come quella che ha visto stasera…. io c’ero ! ho visto Steve Paxton, ho visto Louise Lecavalier, ho visto Marlene Freitas, ho visto Carol Prieur, ho visto Benoît Lachambre, io c’ero! Sarah Bernhardt, vedendo Vaslav Nijinsky danzare, ha detto: “mio Dio, ho paura” E saranno tutti con me, al momento di morire lentamente
Marie Chouinard
01 Edwige Feuillère, 1950
Ritratti d’artista Una galleria di volti racconta le protagoniste della Biennale Teatro dal 1934 al 2016
Krystyna Skuszanka, 1957
Judith Malina, 1965
La mostra online dell’Archivio storico della Biennale dedicata alle registe della Biennale Teatro dalle origini ai giorni nostri non è quello che dice ma nello stesso tempo è molto di più. Inserite vi sono anche numerose coreografe, infatti la sezione Danza è nata solo nel 1999, e al contempo è una dedica ai fotografi di scena, in particolare a Giacomelli (il suo archivio che consta di oltre 180.000 tra lastre e negativi, acquisito dal Comune di Venezia è anch’esso consultabile online), ai manifesti, che nella loro evoluzione sono una storia a sé, dalle classiche locandine gialle riprese dalla lirica a quelle dalla composizione più astratta degli anni ‘70. Gli stessi titoli della Biennale rappresentano motivo di interesse, in alcuni anni infatti si usò intitolare la rassegna, vedasi il 1974 La Biennale per una cultura democratica ed antifascista. Bene dice il curatore della mostra, che è lo stesso Direttore della sezione Teatro, Antonio Latella, quando la definisce «un viaggio cronologico nella memoria, quindi, che non è solo ricordo, ma testimonianza viva, racconto delle infinite possibilità di linguaggio che il teatro ci offre e che le artiste della storia della Biennale Teatro possono continuare a raccontarci nel loro silenzioso essere state ed essere di nuovo insieme». Strano destino per le prime pioniere della regia teatrale. Quasi tutte nate come attrici e dal loro successo passate alla regia, spesso a dirigere se stesse. Così l’affascinante Edwige Feuillère, conosciuta anche per una delle prime scene di nudo nel cinema nel ruolo di Lucrezia Borgia sotto la direzione di Abel Gance nel 1935. A Venezia dirige uno dei suoi cavalli di battaglia La signora delle camelie, dopo una tournée di grande successo. Ma la critica italiana non apprezza, definendo l’allestimento “tutto crinoline e buoni sentimenti”. Anche Salvatore Quasimodo osserva un legame troppo stretto alle radici interpretative tradizionali. Altra attrice la regista polacca Krystyna Skuszanka, che presenta, sempre nel 1957, Il servitore di due padroni. Il direttore della rassegna Adolfo Zajotti aveva invitato la celebre compagnia polacca per evidenziare l’attenzione che Goldoni riceveva nelle altre culture. Ma il Teatro Popolare di Nowa Huta, quartiere operaio di Cracovia,
era fortemente innovativo. Il Goldoni che venne presentato era antirealista, pieno di colori e di suoni, dentro una tradizione di lazzi dei comici dell’arte, che i compassati critici italiani non videro di buon occhio. Il celebre Gino Damerini la definì nella sua recensione “pacchiana e sconclusionata”. Ma il 1957 era un anno di novità, a Londra si incontravano per la prima volta Paul McCartney e John Lennon e la Fiat 500 faceva presagire l’affermazione del miracolo economico italiano. Clamorosa anche la presenza a Venezia del Living Theatre nel 1965. Il Frankenstein sotto la regia di Judith Malina era stato addirittura commissionato dalla Biennale, dal coraggioso Vladimiro Dorigo. Dopo cinque mesi di prove l’esordio fu di fuoco, cautelativamente al Teatro La Perla al Lido. Non tanto per il tema, sulla violenza e sui pericoli della meccanizzazione, non tanto per la modernità della scenografia con impalcatura a tubi metallici a tre piani, quanto per il tentativo di coinvolgimento del pubblico con ogni sorta di provocazione. Già a Trieste aveva fatto scalpore un nudo integrale di Jim Tiroff in scena. La polizia rispettò l’autorevolezza della Biennale, ma il giorno successivo scortò gli attori fuori dai confini nazionali. La prima presenza italiana, se non si considera il teatro per ragazzi, è del 1969. Mina Mezzadri, vera pioniera della regia italiana, proveniente dal Piccolo e fondatrice della Compagnia della Loggetta di Brescia, mette in scena I sette contro Tebe di Eschilo concentrato a svelare i meccanismi di potere nella società. Curiosità: lo spettacolo si svolse a Mestre e non nella dorata Fenice. Il ‘68 portava i suoi effetti anche alla Biennale. Come allora Venezia non si è più smentita, la scelta è sul tentativo di portare quanto di nuovo il panorama teatrale può offrire, il massimo della ricerca artistica. Da Ariane Mnouchkine del Theatre du Soleil a Venezia nel ‘68 alla sua allieva intellettuale Anne Bogart, regista nel 2016 con la performance Bob, il filo è diretto. Nel suo libro A Director prepares la Bogart scrive «I regard the theatre as an art form because I believe in its transformative power». Potrebbe essere un incipit della Biennale Teatro. Loris Casadei
Ariane Mnouchkine, 1968/1971
Mina Mezzadri, 1969, 1976
Anne Bogart, 2016
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:theatro
Prove generali
Firmato lo storico accordo di collaborazione tra il Teatro Stabile del Veneto e Arteven
© MoniQue
Cambio di stagione L’attesa non è stata vana! Lo stop forzato dei teatri con la sospensione di tutti i calendari ha spinto il settore a ripensare la stagionalità e a offrire al pubblico un ritorno a teatro in grande stile con una programmazione intensa durante tutta l’estate. Si aprono, dunque, i teatri e primi fra tutti quelli dello Stabile del Veneto, il Verdi di Padova, il Mario Del Monaco di Treviso – per la prima volta coinvolto in una “stagione fuori stagione” – e il Goldoni di Venezia con oltre 100 serate di spettacoli dal 23 luglio al fino al 12 settembre. Un solo cartellone con un vasto programma che spazia dai grandi classici alla nuova drammaturgia, dal teatro di narrazione alla Commedia dell’arte, attraverso temi che parlano sempre e comunque al nostro tempo, dando voce ad autori, artisti e compagnie veneti, ma non solo. Al centro le produzioni del Teatro Stabile del Veneto, 11 in totale, con un debutto in prima regionale con Paolo Rossi al Castello Carrarese: Pane o libertà. Su la testa, una co-produzione con lo Stabile di Bolzano in cui stand up comedy, Commedia dell’arte e commedia greca si mescolano in un solo spettacolo dando voce alle storie di maestri come Jannacci, Gaber, De Andrè, Fo e persino il fantasma della Callas. I palcoscenici si trasformano e rimane poco di tradizionale, coinvolti anche loro nelle regole del distanziamento sociale, si fanno laboratori, letture, monologhi, format da sviluppare poi in spettacoli, restituendo al pubblico tutta la vitalità del settore e la voglia di ricominciare. Sono quattro gli spettacoli presentati in forma di studio, tra questi lo spettacolo Tutta la vita della compagnia padovana Amor Vacui, una co-produzione con La Piccionaia e Teatro Metastasio Prato, che vedrà un ulteriore sviluppo nel corso della stagione 20/21, Franca, come te solo la Valeri, dialogo immaginario tra la grande e famosa artista Franca Valeri e Lucia Schierano; La fatica di essere spettatore di Pierre Notte con Fabio Sartor e Jocker con Michele Maccagno. Tornano sul palco anche compagnie venete come Stivalaccio Teatro che oltre ai due spettacoli della Trilogia dei commedianti, Romeo e Giulietta. L’amore è saltimbanco e Don Chisciotte. Tragicommedia dell’arte, presenta Cèa Venessia. Odissea nostrana dal Nordest all’Australia, uno spettacolo dedicato alla storia della prima colonia fondata da un insediamento di migranti veneti e friulani in Australia con Stefano Rota e per la regia di Marco Zoppello. Tra i grandi nomi della scena teatrale italiana, saranno ospiti anche Ottavia Piccolo con lo spettacolo Donna non rieducabile, un adattamento in forma teatrale di brani autobiografici e articoli della giornalista russa Anna Politkovskaja, a cura di Stefano Massini, Andrea Pennacchi con Eroi che racconta a partire dall’esperienza personale la storia dell’Iliade, Vitaliano Trevisan con una lettura scenica de Il mondo e i pantaloni, ma anche autori come Tiziano Scarpa con il suo Groppi d’amore nella scuraglia. «Stagione Estiva 2020» 23 luglio-12 settembre Teatro Goldoni, Teatro Verdi, Teatro Mario dal Monaco
Il teatro, come tutto il mondo dell’intrattenimento in generale, ha subito un enorme choc a seguito della pandemia e faticosamente sta provando ad alzare il sipario, complice la stagione estiva e la possibilità di utilizzare le arene all’aperto per mettere in scena gli spettacoli e riprendere così il dialogo con il pubblico, che peraltro ha dimostrato di apprezzare molto anche le offerte online proposte dalle varie piattaforme nei mesi passati. Ne è emerso un panorama contraddittorio a leggere i numeri: moltissimi hanno goduto dell’offerta online dei vari teatri, anche più di quanto i numeri reali delle sale non dicano. Si potrebbe pensare che la pandemia abbia in molti casi fatto scoprire o riscoprire il piacere degli spettacoli teatrali, confidando perciò ora in una positiva onda lunga in termini di biglietti venduti per assistere alle recite dal vivo, quando i cartelloni potranno finalmente segnare un riavvio in sicurezza dopo l’agognato scampato pericolo.
La Regione Veneto ha stanziato recentemente oltre mezzo milione di euro a favore di quattro grandi istituzioni culturali, per segnare in modo concreto la ripartenza di uno dei comparti che rappresenta il 5% del Pil regionale e il 6% del tessuto occupazionale. Nello specifico l’accordo di programma rappresenta uno strumento che riguarda la formazione, la produzione e la distribuzione di spettacoli dal vivo, oltre 200 spettacoli realizzati da compagnie teatrali legate al Teatro Stabile del Veneto in scena in oltre 50 Comuni della Regione che hanno aderito al progetto ideato da Arteven “Il teatro torna a casa”. Tra i titoli già in calendario Romeo e Giulietta di Babilonia Teatri con Ugo Pagliai e Paola Gassman, Stand up Shakespeare con Paolo Rossi e I due gemelli veneziani di Carlo Goldoni per la regia di Walter Malosti. A essi si aggiunge il contributo della Fondazione Teatro Comunale di Vicenza, la quale sosterrà otto progetti di residenza rivolti alle compagnie
venete che si impegneranno nella produzione di almeno 34 spettacoli. Infine, la Federazione Italiana Teatro Amatori, avvalendosi della collaborazione dell’Unpli Veneto, realizzerà almeno 20 spettacoli di teatro amatoriale. Il mondo del teatro veneto ha voluto compiere un ulteriore passo concreto con la firma di un accordo di collaborazione per una “piattaforma di promozione culturale per il teatro, tra Arteven e il Teatro Stabile del Veneto” avvenuto a Treviso al Comunale. In tale accordo è prevista una forte sinergia per favorire il sostegno e lo sviluppo dell’intero settore teatrale in Veneto, mantenendo ciascuno le proprie specificità di produzione. Promotrice di questo accordo è la Regione Veneto, cui spetta il compito di vigilare sulla corretta esecuzione del rapporto. Uno dei punti cardine dell’accordo è la costruzione di una Piattaforma, di cui il Teatro Stabile del Veneto curerà l’implementazione anche per conto di Arteven, destinata a gestire la collocazione
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Circuito virtuoso Arteven compie quarant’anni sul mercato di spazi pubblicitari e promozionali non solo nei tre grandi teatri già gestiti dallo Stabile, ma anche nei numerosi teatri di tutte le dimensioni storicamente collegati ad Arteven, di cui il territorio regionale è ricco. Ma non di sola pubblicità si tratta. L’accordo, infatti, prevede anche una maggiore collaborazione tra le due Istituzioni nella programmazione delle produzioni attraverso un tavolo annuale in cui, a partire da ottobre 2020, ente produttore ed ente distributore lavoreranno in concerto per definire caratteristiche tecniche, artistiche e culturali delle nuove produzioni. La programmazione dovrà di regola prevedere tre tipologie di spettacoli in produzione in modo da poter incontrare le esigenze degli spazi teatrali di grandi, medie e piccole dimensioni. «Con questo accordo vogliamo contribuire affinché l’offerta teatrale sia distribuita ancor più capillarmente in tutto il territorio regionale definendo in maniera condivisa con il Teatro Stabile le produzioni che valorizzano il teatro veneto» ha affermato Massimo Zuin, Presidente di Arteven. «La firma dell’accordo riunisce il territorio e il teatro veneto in unica piattaforma culturale, nella condivisione degli spazi e delle piazze, nel rispetto dei singoli ruoli e senza nessuna prevaricazione, ma solo con un lavoro di squadra e nell’intento di generare cultura e quindi ricchezza – ha dichiarato Giampiero Beltotto, Presidente del Teatro Stabile del Veneto – Un circolo virtuoso che dà modo al teatro veneto di produrre spettacoli di qualità, far lavorare le compagnie locali, competere con i palcoscenici europei e iniettare risorse e cultura su tutto il territorio regionale».
Da qui alla luna
Don Chisciotte
Sconcerto d’amore
Velodimaya
Una storia di successi lunga 40 anni in cui Arteven, l’Associazione regionale per il teatro veneto, si stima abbia portato in scena oltre 30mila spettacoli visti da oltre 7,5 milioni di spettatori, di cui 1,5 milioni di ragazzi delle scuole dell’obbligo. Attualmente l’Associazione, presieduta da Massimo Zuin e diretta da Pierluca Donin, è partecipata dalla Regione Veneto e conta oltre settanta associati pubblici. Si occupa direttamente di attività primarie dal vivo in oltre quaranta teatri veneti, organizzando sia stagioni teatrali che di danza, spettacoli di circo e musica e multidisciplinari. Era il 1979 quando a Mestre venne fondata Arteven con lo scopo di promuovere il teatro e la cultura nelle comunità del Veneto. Sono anni in cui il fermento teatrale è palpabile in tutta Italia: un po’ ovunque nascono gruppi di giovani che trasformano la loro passione in un lavoro, dando vita ad organismi che operano sul territorio per diffondere l’arte scenica tra la gente (soprattutto tra i più piccoli), e compagnie che inventano nuovi linguaggi teatrali. È in questo terreno fecondo che mette radici il Circuito regionale veneto. L’idea di base nasce dall’esigenza di portare la cultura ai cittadini come un servizio alla persona, aumentando il welfare ed evitando la desertificazione dei piccoli centri la sera. La morfologia del Veneto diventa lo stampo sul quale si forgia la struttura organizzativa, che ancor oggi riesce nella gestione a distanza costituendo una rete di teatri e luoghi unica in Italia per dimensioni. Alle attività teatrali affianca il primo servizio in rete per la diffusione delle pellicole e dei nastri della mediateca regionale,
con sedi a Mestre, Vicenza e Belluno. I soci pubblici non ci sono ancora, ma iniziano ad associarsi i sistemi bibliotecari. Poi piano piano arrivano i comuni, fino a un nuovo assetto con l’avvento del MIBAC e la nascita del FUS (il Fondo Unico per lo Spettacolo) nel 1985 che eroga all’Associazione il suo primo finanziamento per la diffusione del Teatro per i ragazzi. In questo periodo il Circuito si occupa prevalentemente dei giovani, facendosi conoscere in tutta Italia per la capacità di selezionare e organizzare spettacoli in grado di attirare quella delicata fascia di persone. Il numero dei ragazzi che varca le porte dei teatri in Veneto diventa un caso nazionale e Arteven è unanimemente riconosciuta come uno dei protagonisti del teatro rivolto ai più piccoli. Bisogna aspettare gli inizi degli anni Novanta, invece, per assistere alle prime stagioni strutturate per altro pubblico organizzate da Arteven. Sono assai poche, destinate ben presto ad aumentare esponenzialmente. Nel 1992, infatti, la Regione Veneto chiede al Circuito di subentrare nell’attività di Veneto Teatro, costretto a chiudere per fallimento. L’anno successivo inizia il percorso di rinascita con un’intensa attività di natura amministrativa e gestionale che salva letteralmente i teatri del Veneto lasciando le scelte artistiche ai direttori degli spazi, accentrando e ottimizzando queste scelte che assemblate tra loro diventano paragonabili ad acquisti di gruppo con un risparmio dovuto all’armonia delle tournée. È grazie a questa intuizione che il Circuito riesce a costruire una fitta rete di teatri dislocati nei più disparati comuni della Re-
gione, dove la crescita culturale passa anche dalle scene e andare a teatro diventa una consuetudine per decine di migliaia di spettatori ogni anno. I teatri in rete anticiparono di vent’anni quello che oggi è un concetto scontato, ovverosia che l’ottimizzazione dei costi passa dalla razionalizzazione in rete dei servizi. Alla prosa comincia ad affiancarsi la danza: nel 1995 nascono le prime stagioni, con molte prime nazionali a debuttare in Veneto. La consacrazione arriva però nel 2013, quando con Legge Regionale Arteven viene riconosciuta strategica dalla Regione del Veneto per le funzioni svolte sul territorio. Infine, dal 2015, Arteven diventa per il MIBAC unico circuito multidisciplinare del Veneto. Fiore all’occhiello dell’attività di Arteven continua ad essere la programmazione rivolta alla scuola: lezioni mirate all’interno dell’orario scolastico, progetti laboratoriali, progetti di stimolo alla scrittura, progetti per la creatività degli studenti, organizzazione di spettacoli per ragazzi e fatti dai ragazzi e ancora produzione di DVD sul teatro veneto, produzione e stampa di atti di convegni, editoria, convegnistica, corsi di formazione artistici e tecnici, post-produzioni, costituzione di reti virtuose, progetti europei. Ad oggi vengono organizzate oltre 1.000 recite l’anno per le quattro discipline dal vivo: prosa, danza, circo contemporaneo e musica. Nonostante spesso sulla strada si incontrino delle difficoltà, grazie al sostegno della Regione del Veneto e dei tanti Comuni associati Arteven continua a essere il primo circuito nazionale in ambito teatrale.
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Photo Giulio Favotto
Grand Tour
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È un pulsante desiderio di rinascita e ripartenza quello incarnato dalla quarantesima edizione di Operaestate che celebra il lungo e proficuo percorso compiuto attraverso territori e paesaggi abitati dalle arti dello spettacolo, per tornare a condividere finalmente insieme spazi, emozioni, bellezza. Tra luglio e settembre, Bassano del Grappa e la Pedemontana Veneta ospitano oltre 80 appuntamenti live, con grandi interpreti nazionali del teatro, della musica, della danza, nuove produzioni con giovani artisti, creazioni originali pensate per l’anniversario del festival, e oltre 100 serate di cinema. Ai quarant’anni di Operaestate è dedicato lo spettacolo Senza Confini_No Borders, portato in scena il 21 e 22 luglio al Teatro al Castello Tito Gobbi di Bassano da Marco Paolini e dal violoncellista Mario Brunello, insieme alla cantante Sara Anglana e alla Venice Baroque Orchestra. Un racconto in parola, musica e canto sul tema dei confini per un festival che negli ultimi anni non ha fatto altro che superarli, intessendo relazioni in tutto il mondo. Sempre al Teatro al Castello, Mario Perrotta con Un Bès, il pluripremiato spettacolo sulla tormentata e poetica figura del pittore Antonio Ligabue (26/7) e, in prima nazionale, il nuovo lavoro di Stivalaccio Teatro (13/8): Cèa Venessia, un filò agrodolce sull’odissea di migranti veneti verso l’Australia. Altra prima nazionale, la nuova creazione di Giuliana Musso, Dentro: una storia vera, se volete sullo spinoso tema degli abusi familiari e della loro censura. Lella Costa raccoglie invece l’invito di Franca Valeri – 100 anni nel 2020 – a riportare in scena La vedova di Socrate, da lei stessa scritto e interpretato nel 2003. La compagnia Anagoor, Leone d’Argento alla Biennale Teatro 2018, torna ad abitare il festival che l’ha vista nascere e crescere con Mephistopheles – eine Grand Tour, grandioso viaggio per immagini musicato in un live set sinfonico da Mauro Martinuz. Per la prima volta a Operaestate (5/9) Toni e Peppe Servillo accompagnati dal Solis String Quartet con La parola canta, un concerto, un recital, una festa fatta di musica, poesia e canzoni che celebra Napoli e la sua magia. Tra i protagonisti più attesi nelle Città palcoscenico, Carlo Presotto e Paola Rossi con la prima de La voce degli alberi a Mussolente (1/8), e i Fratelli Dalla Via che accompagnano il pubblico con il loro stile ironico e disincantato a ‘guardare’ il panorama dalla cima delle montagne con PanoramiX - punti di osservazione sul presente (16/8). A Feltre nelle ex Prigioni cinquecentesche di Palazzo Pretorio, tra corridoi sotterranei e anguste celle, è ambientato Al-Jahim, in arabo le “pene dell’inferno” (6/9). Andrea Pennacchi con la musica di Giorgio Gobbo debuttano invece a Isola Vicentina con Una banda de foresti e selvadeghi: Venetkens (29/7), proprio in questa località infatti fu rinvenuta una stele di pietra in cui per la prima volta veniva citato l’antico popolo dei veneti. Lungo il Brenta, dalla sorgente alla foce, Mirko Artuso dà vita a Il Camminante, un progetto di viaggio collettivo attraverso racconti di paesaggi di terra e di acqua, delle genti che li preservano e delle genti che li distruggono. Ultimo appuntamento, in danza, a Montebelluna (26/9), con Chiara Frigo e la prima nazionale di Blackbird, un lavoro con dieci performer sul desiderio di ricostruire relazioni, dialoghi tra sconosciuti che si incontrano, in uno spazio virtuale in cui lo spettatore è parte attiva, per alimentare una vicinanza che oggi non è possibile. «40. Operaestate Festival» Luglio-settembre Bassano del Grappa e Comuni della Pedemontana Veneta
Palco urbano
Lo spettacolo dal vivo torna in piazza Musica, teatro, comicità, letteratura e grande cinema sono gli ingredienti della magica ricetta di Marghera Estate che dopo il lungo lockdown riaccende le luci della ribalta in Piazza Mercato, con una kermesse di undici serate dall’11 al 25 luglio, prima di lasciare il passo dal 1 agosto al Cinema Sotto le stelle. Dopo un’apertura in musica con il concerto della Giovane Orchestra Metropolitana – GOM (11) e del Brass Ensemble dell’Orchestra del Teatro La Fenice (12), il 14 luglio ci si prepara a Una notte da ridere con i beniamini del teatro veneziano Carlo & Giorgio. Tra le ospiti più attese, Monica Guerritore (15) presenta un intenso e toccante reading dal suo libro, Quel che so di lei: donne prigioniere di amori
straordinari (Longanesi, 2019). Il giorno seguente, uno spettacolo per tutti, con le prodezze del trasformista Ennio Marchetto e i suoi costumi di carta che prendono vita tra tic e movenze esilaranti in un carrozzone di personaggi iconici. La rassegna prosegue nel segno dell’irresistibile e verace comicità di Francesca Reggiani che racconta il mondo femminile nel suo travolgente Recital (17). Lo scrittore Stefano Massini con L’Alfabeto delle emozioni (21) accompagna il pubblico in un profondissimo viaggio nel labirinto del nostro sentire e sentirci, mentre Mirko Artuso e la Banda Osiris lo conducono alla scoperta dei luoghi meno noti di Venezia (22), seguiti da Alberto Toso Fei (23) per una notte tra
le antiche leggende di Mostri, fantasmi e altri misteri veneziani. Le Strane voci nella notte (24) invece sono quelle dei DoliWood, vere star di YouTube, hanno conquistato il web con i divertentissimi e puntualissimi doppiaggi in dialetto veneto delle pellicole più cult di Hollywood. Chiude la rassegna, sabato 25, lo spettacolo interattivo per famiglie del gruppo Gli Alcuni, Caccia grossa tra i libri. Misteri nelle pagine, ideato per avvicinare i bambini alla lettura. «Marghera Estate» 11-25 luglio Piazza Mercato-Marghera
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Nello spazio d’un sogno Si riaccendono i riflettori su una ‘straordinaria’ Estate Veronese Nata nel 1948 per rendere omaggio a William Shakespeare e sublimare il legame fra il Bardo e la città scaligera, presente non solo in Romeo e Giulietta ma anche ne La Bisbetica domata e I due gentiluomini di Verona, l’Estate Teatrale Veronese è un appuntamento imprescindibile nel panorama culturale nazionale che anche quest’anno non poteva mancare seppur in una situazione “extraordinaria”, come l’ha definita il nuovo direttore artistico Carlo Pangolini. «L’eccezionalità del momento fa del cartellone 2020 un unicum – racconta Pangolini –, un programma che non potrà essere paragonato a nient’altro, per la determinazione con cui abbiamo voluto farlo ma anche per le
condizioni senza precedenti nelle quali siamo chiamati a realizzarlo […] abbiamo chiesto ai diversi artisti coinvolti, attori, danzatori e musicisti, di essere nostri sodali e compagni di strada, accettando la sfida di trasformare i limiti in opportunità». La 72. edizione dell’Estate Teatrale Veronese presenta, dal 18 luglio al 21 settembre, un ricco programma di teatro, danza e musica con numerosi ospiti tra cui Claudio Bisio, che inaugura il Festival insieme a Gigio Alberti con Ma tu sei felice?, Paolo Rossi con Stand Up Shakespeare, Isabella Ferrari in Fedra, Chiara Francini, Sergio Rubini, Chiara Lagani, Melania Mazzucco, Babilonia Teatri con Paola Gassman e Ugo Pagliai, Alessio Boni e Michela Cescon,
Marco Tullio Giordana, Chiara Frigo e Cristiana Morganti. Arricchiscono il festival le compagnie teatrali veronesi con la sezione PVS – Professione spettacolo Verona che inaugura il 20 luglio con La Bancarotta di Goldoni, realizzata da Cantieri Invisibili per la regia di Matteo Spiazzi e Love Death Match, il mondo poetico dei sonetti shakespeariani ambientato nel Chiostro di Santa Eufemia dal regista Giorgio Sangati per il Teatro Stabile del Veneto, entrambi in prima nazionale. «Estate Teatrale Veronese» 18 luglio-20 settembre Teatro Romano-Verona
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Una stella ad indicare la via
Dal desiderio di ritorno nasce il nuovo ciclo di spettacoli Classici all’Olimpico
E quindi succede che a Vicenza, sullo sfondo del Teatro Olimpico, anzi più correttamente sul suo palcoscenico, nel più improbabile momento storico di questo secolo, si trovano insieme Andrej Tarkovskij e Miguel Bosé. Sicuri? chiederete voi. Sicurissimi, perché a raccontare la genesi di questo incontro che mescola mirabilmente alto e basso è Giancarlo Marinelli, per il secondo anno direttore artistico del Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico. Alle prime avvisaglie di febbraio che sfociano nel lockdown di marzo, la macchina operativa della 73° edizione, già in piena azione, è costretta a fermarsi, cambiare i piani. È in questo clima di ri-fondazione che nella mente di Marinelli il profano del telefono di un tecnico che trasmette Se tu non torni di Bosè si mescola al sacro di Nostalghia di Tarkovskij, forzatamente in esilio dal suo Paese e dai suoi affetti, e muove il senso di responsabilità del «cosa ne sarà degli altri, se noi non torniamo? Cosa ne sarà dell’Olimpico? Palladio, come farà?». Perché non solo il male è contagio, anche lo splendore lo è, e con coraggio va diffuso. Ecco dunque il titolo programmatico
della rassegna 2020, Nostos. Se tu non torni. “Nostos”, una bellissima parola greca che indica il desiderio di ritorno – da cui nostalgia, la sofferenza generata dal desiderio di ritorno – e anche uno dei grandi temi della letteratura: è Hegel a dirlo, il romanzo classico è quello dove ogni viaggio ha come partenza un ritorno. Non poteva quindi mancare in questa rassegna il Grande Romanzo del Nostos: l’Odissea. A portarla in scena (22, 23 ottobre) è Andrea Pennacchi, autore della Piccola Odissea che è una terza via tra Omero e Tolkien, uno spettacolo di rumori, musica, voci e cori che prende le mosse dalla capanna del guardiano di porci Eumeo e che vuole restituire il sapore del racconto orale. Ad inaugurare la rassegna sarà invece uno spettacolo costruito sui nuovi limiti: saltata la pièce sulle Torri gemelle perché richiedeva l’intervento di 32 persone, Marinelli pensa a un nuovo spettacolo, ed ecco un altro ritorno, alla madre, al suo libro preferito: La signora Dalloway un romanzo impossibile per un momento impossibile, opera magistrale di Virginia Woolf in cui la storia esteriore è pretesto per scardinare il mondo inte-
riore (25, 26, 27 settembre, 1, 2, 3 ottobre). Ecuba e le streghe (29 settembre), con Ivana Monti, è un processo immaginario che riunisce l’antica Grecia e la pianura padana, seguendo un filo che attraverso la pietas di Ecuba e la lucida follia di Medea arriva all’accusa di stregoneria alla vecchia Castracagna, “strega” di Ostiglia, accusata «di avere causato, con arti diaboliche, la tragica rotta del Po del 4 ottobre 1492». Clitemnestra - i morsi della rabbia (16, 17, 19, 20 ottobre) interpretata da Anna Zago porta sulla scena una donna crudele, violenta, con una storia che odora di sangue ma che pure è fondamentale per la nascita del diritto. Noi – dialoghi shakespeariani è una pièce a una voce che racconta il ritorno dei personaggi del Bardo al loro autore, attraverso un gioco teatrale in versi (30 settembre). La Piccionaia, gloriosa e storica compagnia vicentina, con Palladio magico condurrà le famiglie dentro i misteri, la storia e i segreti del gioiello olimpico e del suo creatore, come un’audioguida spettacolare (4, 11, 18 ottobre). In collaborazione con il festival La Milanesiana gli ultimi due appuntamenti del Ciclo: Pietrangelo Buttafuoco diventa cantastorie e racconta la leggenda de Il lupo e la luna, la storia di un bambino rapito che torna alla sua Sicilia d’origine, in un’epoca in cui gli uomini riuscivano a essere fieramente consapevoli della propria anima, del proprio sangue e del proprio cuore (10 ottobre); Giorgio Montefoschi, nella cornice della Biblioteca Bertoliana che diventa estensione dell’Olimpico, racconta Elena e Penelope (29 settembre). Biglietti in vendita dal 30 giugno. Livia Sartori di Borgoricco «73. Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico» 25 settembre-23 ottobre Teatro Olimpico-Vicenza
The value of one’s self …The real struggle has been since Africans first set foot on the continent, an affirmation of the value of one’s self. And I think if, in order to participate in American society, in order to accomplish some of the things which the black middle class has accomplished, if you have had to give up that self in order to accomplish that, then you are not making an affirmation of the value of the African being. You are saying that in order to do that I must become someone else, I must become like someone else… Da quando gli africani hanno messo piede per la prima volta nel continente, la vera lotta ha avuto a che fare con l’affermazione del valore di un sé. Penso che se per far parte della società americana, se per realizzare alcune delle cose che la classe media nera ha realizzato hai dovuto rinunciare a quel te stesso, allora non stai parlando di un’affermazione del valore dell’essere africano. Stai dicendo che per farlo devi diventare qualcun altro, devi diventare come qualcun altro... Drammaturgo, scrittore e sceneggiatore, August Wilson (Pittsburgh, 1945–Seattle, 2005) è stato un artista prolifico, vincitore di due premi Pulitzer e di un premio Tony (l’equivalente dell’Oscar per il teatro). Nelle sue opere ha raccontato la vita afroamericana in modo suggestivo, ambientando le sue storie in mezzo all’umanità nera del ghetto di Pittsburgh, sua città natale. Meticcio di padre tedesco e madre nera, soffrì con i suoi numerosi fratelli e sorelle la discriminazione razziale durante l’infanzia. Lasciata la scuola a 16 anni, il giovane August si dedicò da autodidatta allo studio della letteratura e del teatro, ispirato dall’esempio di figure come Martin Luther King e Cassius Clay/ Muhammad Ali. È conosciuto soprattutto per il Pittsburgh Cycle, una serie di dieci opere teatrali ambientante in diversi decenni del XX secolo nel quartiere Hill District di Pittsburgh. Sono spaccati di un mondo marginale ma vitale, in cui viene rappresentata la perpetua lotta dei neri per la sopravvivenza, la difesa della propria dignità e delle proprie tradizioni. Attraverso i suoi personaggi, Wilson chiedeva all’America nera di onorare il suo passato e di non sacrificarlo all’assimilazione con la società bianca. La sesta opera del ciclo di Pittsburgh, Fences (Barriere), scritta nel 1985, è considerata uno dei capolavori della letteratura teatrale afroamericana ed è diventata un film diretto e interpretato da Danzel Washington, con Viola Davis. A poche settimane dalla sua morte, avvenuta nel 2005, New York ha omaggiato August Wilson ribattezzando con il suo nome lo storico e prestigioso Guild Theatre, che rappresenta ora il primo teatro di Broadway intitolato ad un artista afroamericano. M.S.
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E dopo?
Bella domanda! – dicono sorridendo i giovani quando non sanno dare adeguata, coerente, risposta. Già, sembra assurdo. Ma in questo momento nessuno può seriamente azzardarsi a fare previsioni, a considerare il futuro, neanche quello prossimo. Stiamo vivendo da alcuni mesi un tempo in cui il “futuro” è considerato altalenante, incerto, comunque sfuocato, certo pericoloso. La situazione ci ha abituato a orientare molto vicino il nostro sguardo, ad accontentarci di valutare le nostre considerazioni all’oggi, al massimo al domani, ma non certo al dopodomani.
di Renato Jona Da tempo, per noi immemorabile, eravamo soliti intuire, prevedere il periodo successivo sulla base dell’esperienza passata e quindi a fare conti possibili, logici, probabili, consci che lo scarto dalla successiva realtà sarebbe stato minimo. Così ci si regolava. Così si viveva. Senza problemi previsionali. Ricordate? Compravamo, con tranquillità e convinzione, senza problemi, biglietti aerei per l’anno successivo! Di colpo tutto è cambiato. Le certezze sono sparite. Anche quelle riguardanti il presente (oggi occorre risalire ad almeno 14 giorni prima per approssimarci a considerare con una verosimile certezza il momento attuale, quello presente). Strana, inverosimile situazione, che richiama quelle di una favola, tragica, lontana dalla vita reale, nella quale si attende l’arrivo della solita fata a liberarci dall’incubo. Siamo stati circondati da un’ecatombe improvvisa, mentre noi per salvarci, siamo rimasti inchiodati, senza poterci spostare, muovere (per non far peggio), senza poter neppure stare accanto, seguire migliaia di parenti che ci lasciavano senza dirci o ricevere una sola parola, uno sguardo. Un invisibile nemico, astuto, totalmente sconosciuto ha agito in modo spietato, spostandosi dall’una all’altra parte della terra, senza conoscere confini, climi, territori, senza criterio (a noi noto), imbattibile, senza concedere possibilità di difesa. Creando milioni di vittime. Fantascienza? No! Realtà. E le reazioni? Tutti siamo rimasti disorientati. Qualcuno ha reagito in modo disperato, depresso, terrorizzato. Altri invece positivamente organizzandosi, suonando musica per sé e per gli altri, esponendo disegni incoraggianti sui balconi, sorridendo, inviando motti di spirito via WhatsApp, provocando inevitabili benefiche risate. Qualcuno ha saputo far tesoro dell’isolamento per darsi alla lettura, altri alle ricette culinarie più sofisticate. Ci siamo trovati tutti ad avere una quantità di tempo da spendere come non era mai accaduto prima d’ora. Le situazioni più assurde si sono verificate, alcune splendide (vita in famiglia) altre tragiche (qualche esempio? Donne obbligate a convivere con mariti o compagni violenti senza potersi neppure
sfogare, come prima accadeva, con qualche amica; vita di tante persone in locali angusti). Sono sorte nuove idee, dubbi, curiosità, certezze. Ma il salto obbligato nel buio ha lasciato il suo segno. L’economia si è bloccata, i valori di colpo sono cambiati. Gli ospedalieri (medici e infermieri) sono stati prima osannati per il lavoro serio, per gli enormi sacrifici che umanamente sentivano il dovere di affrontare, spesso senza adeguati mezzi protettivi, poi talvolta quasi considerati incapaci di fermare l’opera, l’avanzata inesorabile e spietata del morbo. Non è mancato neppure chi ha persino tentato di speculare sul nuovo stato di cose, cercando di trarne addirittura vantaggi politici o economici. Molto spesso si sono resi evidenti consistenti segni di ansia, stress, solitudine, depressione, sensi di precarietà. Le preoccupazioni economiche hanno popolato i pensieri delle persone e hanno finito con il prevalere. Quasi scomparso il sorriso spontaneo. Frequente invece quello forzato. Abbiamo assistito a reazioni comprensibili, ma
Dopo talvolta irrazionali e assurde. Si è sentito dire: “ora basta restare confinati in casa”!. Le prossime leggi devono consentirci di uscire. Cioè le leggi devono piegarsi alle nostre esigenze, permetterci di rientrare il più velocemente possibile alla vita “di prima”. Della quale, ricordate?, spesso ci lamentavamo… Viene in mente l’osservazione di Calamandrei «La libertà è come l’aria; ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare!». E dopo? Quale potrà essere? Quale aspetto potrà avere? In questo periodo si sono sviluppati numericamente in modo esponenziale, necessario, i sistemi di comunicazione, diventando momentaneamente la normalità. Lezioni di scuola, chiacchiere con gli amici, riunioni in streaming, ricerche, informazioni. Il computer è diventato l’ossigeno del momento (anche per poter continuare, sebbene in forma diversa, a coltivare l’indispensabile rapporto umano, sia pure in forma più e meno limitata allo stesso momento, differente). La vita sociale ha subito un trauma improvviso. È momentaneamente cambiata. E dopo? Dovremo progettare, costruire il futuro con i mezzi che saranno rimasti a disposizione. Sulla base delle nostre
esigenze, di cui oggi abbiamo preso maggiormente coscienza. Dovrà essere un futuro nuovo e qui, va sottolineato, non dovremo commettere l’errore di ragionare da vecchi. Il futuro non potrà e non dovrà essere come “prima”. Dovremo accettare il nuovo, il cambiamento e non ragionare da anziani, anteponendo il fatidico “ai miei tempi”. Ma quando sarà possibile dovremo apprezzare e utilizzare le novità, le esperienze fatte in questo periodo. La “DAD” (didattica a distanza) , non sostitutiva del tradizionale sistema di insegnamento, dovrà essere utilizzata, incrementata, migliorata, ma apprezzata: ci aiuterà a crescere. Dovremo tuttavia sforzarci di mutare prima di tutto noi stessi, dare nuovamente valore alla parola educazione, rispetto, solidarietà. Dare rilievo, coltivare la dignità delle persone e anche, ricordiamocelo, dei luoghi (ad esempio il Parlamento è, e deve essere, il posto dove il Popolo è rappresentato da persone degne, dove discutono, confrontano idee, non alzano la voce, non gridano, non insultano, non interrompono, non mostrano cartelli come fossero a un bar o un’osteria, o un mercato, dove occorre viceversa gridare per segnalare la propria merce in vendita, dove comunque può essere anche tollerato un linguaggio triviale o un atteggiamento scomposto. Il Parlamento ha una tradizione che va rispettata, nell’interesse comune, e i suoi frequentatori non per caso, ma significativamente, si chiamano Onorevoli, termine derivante da Onore, o Senatori). Potremo cogliere questa occasione di svolta improvvisa, forzata, traumatica almeno per provare a costruire un futuro migliore, anche se inizialmente si presenterà più difficile, tra l’altro da un punto di vista economico, di quello recente che tutti ricordiamo. Allora il concetto di “Dopo” potrà essere meno fragile, potrà rappresentare un termine più concreto, un momento possibile, meno incerto, aleatorio di quello che oggi ci appare. Non dovrà tuttavia costituire una pretesa, ma una meta cui tutti, se non siamo in mala fede, possiamo tendere, che possiamo programmare. Nel nostro interesse. Occorre imparare a cambiare prospettiva, partendo anzitutto da un cambiamento di noi stessi, anche soltanto del nostro atteggiamento. Un grande Uomo, Direttore d’Orchestra, figlio di un bigliettaio sui tram, Ezio Bosso che ci ha lasciato il mese scorso, pur affetto da una malattia degenerativa, sorrideva sempre. Il suo sguardo sempre entusiasta, sincero, vittorioso, convinto. Ci ha lasciato un grande insegnamento: «Da un problema nasce un’opportunità»! Sì, sorrideva. Cerchiamo di condividerlo. Non è facile, non è gratuito, ma bisogna volerlo. Per vederlo realizzato c’è una ricetta: «Qualche goccia di ottimismo ogni mattina, una pastiglia di fiducia ogni sera. A metà giornata, un sorriso»!
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Nei labirinti di Barcellona Zafón e l’eredità dei suoi libri senza tempo Quando non conosci una persona, non può mancarti, dicono, ma come è possibile che la prematura scomparsa del mio secondo scrittore preferito o forse a pari merito – ahimè a poche settimane di distanza da Luis Sepúlveda – mi abbia lasciato un grande vuoto. L’avevo conosciuto per caso, come spesso accade, leggendo una recensione, un libro che già dal titolo faceva ben sperare L’ombra del vento di Carlos Ruiz Zafón, tuttavia di pagina in pagina la lettura si era fatta sempre più fitta, diventando una dipendenza assoluta. Zafón mi ha preso per mano e fatto perdere per le vie deserte di Avinguda del Tibidabo, Els Quatre Gats in Calle Montsiò e Montjuic, seguendo le vicende di Daniel Sempere alla ricerca del Cimitero dei libri dimenticati, in una Barcellona piena di ombre, che non avevo mai visto prima così, ma che ora è per me quella, vivida, in bianco e nero, bellissima. Il segreto di questo fascino quasi morboso che lega il lettore al libro, anzi ai libri, ai personaggi e allo scrittore, viene così spiegato da Zafón: «Con il mondo sempre più popolato da media che vanno oltre il libro, pur avendo in esso la propria origine, ho voluto che la carta stampata si riappropriasse di ogni stimolo sensoriale, cercando di creare un’esperienza a 360 gradi. Tutto ha avuto inizio con un’immagine, quasi una fotografia mentale: una biblioteca per i libri che rischiano di andare perduti, libri salvati da chi crede nel loro valore. Simbolo che è anche metafora della memoria e del ricordo, alla base della nostra identità. Da quest’idea si è dunque sviluppato un vero e proprio labirinto, una matassa intricata in cui ho tentato di combinare e racchiudere tutti i generi possibili: una storia che altro non è, in realtà, che un tributo alla letteratura».
In poco tempo, anche grazie al ‘contagio’ silente dei lettori accaniti, il libro è diventato un best-seller, tradotto in 36 Paesi, con otto milioni di copie vendute nel mondo, di cui uno già solo in Italia. Ma L’ombra del vento, uscito nel 2002, è solo il primo capitolo della bellissima quadrilogia, in cui i generi si confondono tra il poliziesco e il noir, ammantati da echi metafisici e misterici con sullo sfondo una Barcellona anni Quaranta, piegata dalla Seconda guerra mondiale e oppressa dalla dittatura franchista; seguono nel 2008 Il gioco dell’angelo, prequel ambientato negli anni Venti, nella città reduce dalla Guerra Ispano-americana, in cui la Spagna perse le colonie di Cuba, Filippine e Porto Rico. Poi sono arrivati Il prigioniero del cielo nel 2011, ambientato negli anni Cinquanta, sempre tra le vie di Barcellona, che sta trovando il riscatto da distruzioni e miserie del Dopoguerra; infine Il labirinto degli spiriti del 2016, una sorta di chiusura del cerchio esistenziale di Daniel, prima ragazzino e poi cresciuto e diventato padre, raccontando assieme l’inizio e la fine della sua storia. Ad accompagnare tutte le sue vicende personali e della libreria Sempere, ereditata dal padre, c’è anche il suo stravagante inseparabile amico Fermín Romero de Torres, legato alle vicende di un libro maledetto su cui una dedica dice sia “tornato dal mondo dei morti”, ma anche la figura inquietante di Mauricio Valls, scrittore ambizioso ma privo di talento, che incarna il volto peggiore del franchismo ed è sovrintendente del carcere di Montjuic, il tutto quindi tra coinvolgenti misteri, omicidi, storie d’amore e di coraggio, di delusioni e speranze. Per chi non ha letto questi libri ora forse è più chiaro il motivo per cui deve assolutamente rimediare, per tutti gli altri, sarà sempre un’emozione riscoprirli! M.M.
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I cinque finalisti del premio Campiello sono i protagonisti dei consigli di lettura estivi a cui si aggiunge la vincitrice del “Campiello Opera Prima”, Veronica Galletta. Patrizia CAVALLI, Con passi giapponesi (Einaudi) In queste pagine è scritta la storia morale parallela, a rovescio, che ha accompagnato per decenni l’opera di uno dei maggiori poeti contemporanei. Non propriamente narrativa né saggistica, o le due cose insieme, la genialità analitica e visionaria, percettiva e sintattica che qui sorprende il lettore non ha precedenti nella letteratura italiana del Novecento. Si tratta comunque più di parziali affinità che di derivazione: perché in ogni suo capitolo, ognuno a modo suo e con stile diverso, in frammenti autobiografici, parabole aneddotiche, ritratti e microfilosofie dell’amore, dell’invidia o dell’estasi sensoriale, ubbidisce a un solo comandamento: «Devo capire». Sandro FRIZZIERO, Sommersione (Fazi Editore) Il racconto della giornata decisiva in un’isola di uno dei suoi abitanti – un vecchio pescatore – forse il più odioso; certamente quello che sa come odiare più e meglio di tutti gli altri: la vicina con il suo cane; la moglie morta; la figlia a cui interessa solo la casa da ereditare; i vecchi preti dementi ricoverati in un ospizio; qualche assassino e qualche prostituta; i devoti di un antico miracolo fasullo, inventato per coprire una scappatella; i bestemmiatori che spesso coincidono con i devoti; i frequentatori della Taverna, unico locale dell’Isola oltre all’American Bar, ma di gran lunga preferibile perché “all’American Bar non c’è ancora un sufficiente livello di disperazione”... Francesco GUCCINI, Tralummescuro (Giunti Editore) Pàvana, piccolo paese tra Emilia e Toscana, oggi è quasi disabitata, i tetti delle case non fumano più. È in questo silenzio che il narratore evoca per noi i suoni di un tempo lontano, in cui la montagna era luogo laborioso e vivo, terra dura, ma accogliente per chi la sapeva rispettare. Rinascono così personaggi, mestieri, suoni, speranze: gli artigiani all’opera in paese o lungo il fiume, i primi sguardi scambiati con le ragazze in vacanza, i giochi, gli animali e i frutti della terra, un orizzonte piccolo, ma proprio per questo aperto all’infinito della fantasia... Remo RAPINO, Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio (Minimum Fax) Liborio Bonfiglio è una cocciamatte, il pazzo che tutti scherniscono e che si aggira strambo e irregolare sui lastroni di basalto di un paese che non viene mai nominato. Eppure nella sua voce sgarbugliata il Novecento torna a sfilare davanti ai nostri occhi: la scuola, l’apprendistato in una barberia, le case chiuse, la guerra e la Resistenza, il lavoro in fabbrica, il sindacato, il manicomio, la solitudine della vecchiaia. Dal 1926, anno in cui viene al mondo, al 2010, anno in cui si appresta a uscire di scena, Liborio celebrerà, in una cronaca esilarante e malinconica di fallimenti e rivincite, il carnevale di questo secolo... Ade ZENO, L’incanto del pesce luna (Bollati Boringhieri) Gonzalo fa un mestiere insolito, è impiegato come cerimoniere presso la Società per la Cremazione di una grande città e si occupa di organizzare e presiedere funerali laici nella Sala del Commiato dell’antico Cimitero Monumentale. È sposato con Gloria e ha una figlia, l’adoratissima Inés, che all’età di otto anni cade in uno stato di coma profondo a causa di una misteriosa malattia. Gonzalo per garantire cure migliori alla figlia, accetta un nuovo lavoro presso una anziana e raccapricciante padrona che una volta alla settimana diventa cannibale… Veronica GALLETTA, Le Isole di Norman (Italo Svevo) Elena, giovane studentessa, abita sull’isola di Ortigia insieme al padre, ex militante del Partito comunista, e alla madre, che vive chiusa in camera da diversi anni, circondata da libri che impila secondo un ordine chiaro solo nella sua testa. Quando all’improvviso la donna va via di casa, Elena cerca di elaborare la sua assenza dando inizio a un viaggio rituale attraverso i luoghi dell’Isola, quasi fosse una dispersione delle ceneri. Parallelamente, nel tentativo di fare luce su un evento traumatico della sua infanzia, di cui porta addosso i segni indelebili, la ragazza capirà che i ricordi molto spesso non sono altro che l’invenzione del passato.
In no other country
I am the son of a black man from Kenya and a white woman from Kansas. I was raised with the help of a white grandfather who survived a Depression to serve in Patton’s Army during World War II and a white grandmother who worked on a bomber assembly line at Fort Leavenworth while he was overseas. I’ve gone to some of the best schools in America and lived in one of the world’s poorest nations. I am married to a black American who carries within her the blood of slaves and slaveowners – an inheritance we pass on to our two precious daughters. I have brothers, sisters, nieces, nephews, uncles and cousins, of every race and every hue, scattered across three continents, and for as long as I live, I will never forget that in no other country on Earth is my story even possible. Sono figlio di un uomo di colore nato in Kenya e di una donna bianca del Kansas. Sono cresciuto con l’aiuto di un nonno bianco che sopravvisse alla Depressione e durante la Seconda guerra mondiale prestò servizio nell’armata del generale Patton, e di una nonna bianca che mentre lui combatteva oltreoceano costruiva bombardieri alla catena di montaggio a Fort Leavenworth. Ho frequentato alcune delle migliori scuole americane e ho vissuto in una delle nazioni più povere al mondo. Sono sposato con un’americana nera nelle cui vene scorre il sangue di schiavi e proprietari di schiavi, un’eredità che abbiamo trasmesso alle nostre due amate figlie. Ho fratelli, sorelle, nipoti, zii e cugini di ogni razza e colore, sparsi in tre continenti, e finché avrò vita, non dimenticherò mai che in nessun altro Paese della Terra sarebbe possibile una storia come la mia. Dal discorso di
Barack Obama
a Philadelphia, 18 marzo 2008
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Un’estate in laguna
Estate 2020, la più anomala e incerta tra le
stagioni dal 1945 ad oggi. Abituati ai riti un po’ stanchi delle passate estati onnivore, avevamo scordato il significato e l’importanza delle bellezze di prossimità e sempre alla ricerca del nuovo, avevamo obliato il valore incommensurabile di un paesaggio che abbiamo la fortuna di poter vivere nella quotidianità. Come un deus ex machina a sparigliare le carte nel tavolo di una poco allettante, almeno all’apparenza, Venezia in profondissima crisi di identità sono arrivati i fratelli Alajmo, che nello spazio di poche settimane hanno dato concretezza ad un locale – Hostaria in
di Fabio Marzari Certosa – che ha impresso una scossa positiva a tutta la Città, dimostrando come con i piagnistei non si ottenga più neppure la compassione. Alla Certosa, un’isola polo della nautica da diporto e spazio verde amato e frequentato dal popolo dei naviganti lagunari, ha aperto, creato ex novo, un pop-up restaurant estivo in cui lo stile Alajmo, inconfondibile per qualità e livello di servizio, si coniuga con un menu di piatti semplici e buonissimi, con gli ottimi cocktail e aperitivi di ogni tipo preparati dal geniale Lucas Kelm, per segnare l’orologio del giorno, dal caffè o cappuccino del mattino al drink post cena, in cui godersi il mantello di stelle che impreziosiscono il blu della notte in Laguna. La struttura, che può ospitare circa un centinaio di persone all’aperto e una trentina all’interno, più lounges e salottini, è situata alla fine del pontile ACTV e presenta i tratti di una moderna Hostaria dal design semplice, ma curato con molti dettagli nautici a partire dalle divise del personale realizzate con materiali tecnici, che ricordano quelle utilizzate dagli equipaggi degli yacht. È disponibile per chi volesse mangiare nella propria barca un servizio di take-away effettuando il ritiro direttamente ormeggiati presso uno stallo dedicato. A lanciare l’idea dell’Hostaria in Certosa a Raffaele Alajmo è stato Alberto Sonino, che da anni è impegnato nella tutela e miglioramento dell’Isola. «Fino a poco più di un decennio fa», spiega Sonino, «la Certosa era una delle molte isole demaniali abbandonate della laguna. Nel recente passato ha ospitato attività militari, mentre in antichità vi sorgeva un magnifico complesso monastico. Strategicamente posizionata in adiacenza al centro di Venezia, tra il Lido e l’Arsenale, la Certosa è oggetto di un programma di rigenerazione urbana
gestito dalla società Vento di Venezia che, attraverso un partenariato pubblico-privato col Comune di Venezia, ha bonificato l’isola e sta progressivamente trasformando lo stabilimento industriale militare dismesso in un grande parco naturale, attrezzato con servizi per gli ospiti e la nautica da diporto, ideale per passeggiate nel verde attraverso il variegato paesaggio naturale e gli scorci mozzafiato sulla laguna, picnic in famiglia e con amici: un’oasi aperta a tutti tra laguna, bocca di porto e centro storico». Il compito di pensare al menu, creando l’anima dell’Hostaria è spettato a Massimiliano Alajmo, che ha ideato una cucina facile, di immediata presa che si coniuga perfettamente con il senso di libertà suscitato da un ambiente libero in mezzo alla laguna. «Una cucina comprensibile, che rassicuri tutti i palati e che racconti, attraverso la semplicità, la bellezza del nostro territorio», spiega Massimiliano Alajmo. Il menu prevede piatti realizzati con ingredienti locali come: i moscardini all’aglio, olio, limone e prezzemolo con patate bollite; la tartare di ricciola con insalatina e salsa tartara; gli spaghetti alle vongole, olio extravergine, peperoncino, sedano e pomodoro; o lo scartosso di calamari, cipolla e fiori di zucchina, fritti. Non mancano piatti di carne come il vitello in salsa tonnata con fagiolini e capperi all’aceto balsamico; e il Sandwich del Timoniere, un hamburger con patate fritte; e le preparazioni allo spiedo come il galletto alla senape e spezie rosse e la faraona alla salvia e rosmarino, tutte e due con patate arrostite. Per i vegetariani si possono trovare l’insalata di melone, anguria, cetrioli, sedano e basilico; riso bianco e nero, curry, peperoncino, curcuma, verdure estive, e passata di carote; la parmigiana di melanzane MariaPia (la mamma Alajmo); e una grigliata di verdure con olio e basilico. È stato creato un piccolo orto, in fase di ampliamento con erbe aromatiche e alcune varietà di pomodori, per garantire sempre di più prodotti ‘Made in Certosa’ per la cucina. Anche i dolci, gelati e granite sono tutti prodotti Alajmo, così come attenzione estrema viene riservata ad ogni dettaglio, dal caffè di Gianni Frasi alle birre artigianali Baladin. Un’idea vincente, apparentemente semplice, pensata in primis per chi vive la Laguna come parte del proprio territorio di appartenenza, nata in un momento in cui è molto più facile stracciarsi le vesti che scommettere nel futuro. E se il futuro partisse proprio dal nucleo stesso della città e cioè dai suoi abitanti? Hostaria in Certosa Isola della Certosa (Aperto tutti i giorni: Bar caffetteria 9–24 | Cucina 12–15 / 19–22.30)
Lagoon summer
The summer of 2020, undoubtedly the most erratic, to say the
least, since 1945. Due to the force of habit, we almost forgot the meaning and the importance of the ‘beauty of proximity’ and, in a senseless quest for the new, neglected the preciousness of everyday beauty. Like a deus ex machina disrupting a story we cannot see the way out, the Alajmo brothers have, in the matter of a few weeks, created a summer pop-up restaurant in the exclusive Alajmo style. A simple, exquisite offer for every minute of the day – from morning coffee or cappuccino to afterdinner drinks while stargazing. The restaurant can host up to some 100 people in the terrace, plus another 30 inside. It is a modernized inn of simple, curated design with a touch of nautical elements. Meals can also be delivered on one’s on boat, if docked on site. The idea behind the pop-up restaurant is by Alberto Sonino, who has been working on the improvement of the Certosa Island for years. The Vento di Venezia company has been entrusted the whole island, including the public park, for a redevelopment project. The island is now an ideal destination for yachtsmen, thanks to its marina, as well as day visitors to the beautiful park. Now on to the menu because that’s what we’re here for. “An understandable menu, explains Massimiliano Alajmo, of local tradition: baby squid, yellowtail tartare, clam sauce pasta, fish fry cornet, veau tonné, burger with fries, chicken roast… Desserts, ice cream, and slushes are all locally made. An apparently simple idea that is sure to win over a sizeable clientele that knows how to live the Lagoon, either because they are friendly, interested visitors or because Venice is the city they call home.
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Ai nastri di ripartenza The Gritti Palace di nuovo al centro della migliore accoglienza
Il fascino della quotidianità
Prima di riaprire il primo luglio le sue porte al pubblico di viaggiatori appassionati, The Gritti Palace ha regalato alla città di Venezia e al mondo attraverso i canali social uno splendido concerto che ha coinvolto 25 studenti del Conservatorio Benedetto Marcello, che in parte affacciati alle finestre e in parte disposti nella terrazza a filo d’acqua dell’albergo, con la direzione del maestro Francesco Erle, hanno eseguito un programma di tre brani per rendere un simbolico omaggio a Venezia e creare buoni auspici per il futuro, visto il periodo particolarmente complesso. I pezzi eseguiti dai giovani musicisti sono stati Agitata da due venti da La Griselda di
Un futuro incerto è quello che si prospetta per i caffè storici, schiacciati da costi di mantenimento e gestione elevatissimi e ricavi in caduta libera causa chiusura forzata e lentissima ripartenza in post fase emergenziale. Tra questi anche il Florian, il più storico, famoso e iconico tra i locali leggendari non è da meno. Legato inevitabilmente ad una clientela prettamente turistica, il Florian denuncia una fase di vita assai travagliata, ma l’affetto e la forza di resistenza di un’intera città e di tutto il mondo mantengono viva la speranza di un riscatto veloce e di un ritorno ai fasti di un passato molto prossimo. La soluzione temporanea di poter collocare degli ombrelloni a riparo dal sole cocente e dalla pioggia nel plateatico in piazza San Marco è un segnale concreto di come si possano superare delle resistenze estetiche, certamente fondate, a favore della tutela di locali che hanno contribuito a fare la storia di Venezia, salvaguardando nel contempo posti di lavoro e mantenendo la tradizione dei caffè in piazza che tanta importanza ebbero nella vita cittadina. Venezia senza il Florian sarebbe come Roma senza il Colosseo, nei portici della Piazza negli scorsi mesi le assi di legno che chiudevano gli ingressi del Florian chiudevano anche il microcosmo di voci e storie che si affollano tra le sale antiche del Caffè. Il Florian è un luogo felice, frequentarlo significa essere parte attiva di una città straordinaria da poter vivere nella sua quotidianità. La vita del Florian è la vita stessa di Venezia e non sui fantasmi del passato può basare il suo futuro la città. F.M.
Antonio Vivaldi, Libiamo ne’ lieti calici da La Traviata di Giuseppe Verdi e Gabriel’s oboe tema dal film Mission, musiche di Ennio Morricone. Non poteva esserci modo migliore per segnare uno stacco netto tra le difficoltà legate alla chiusura forzata e la ripartenza: The Gritti Palace, come in un sogno, brulicava di note, e il cielo azzurro tappezzato di nuvole si perdeva fin dentro le acque tranquille del Canal Grande, solcato da poche imbarcazioni, i cui occupanti erano molto incuriositi e affascinati da quanto stava accadendo. Questi suoni improvvisi, con le note che si rincorrevano dalle stanze sontuose fino alla terrazza, con la presenza di musicisti a
riempire la facciata con i loro strumenti, hanno esaltato ancor di più la bellezza dell’albergo, che torna ad affascinare i suoi ospiti con le atmosfere uniche e con le molte iniziative messe in campo dal super direttore Paolo Lorenzoni e dal suo staff, una tra tutte le lezioni di yoga nella
terrazza Redentore, dove l’armonia del corpo trova una sintesi ideale con le struggenti architetture che fanno da contorno a un paesaggio quasi al di là della percezione del sublime. The Gritti Palace Campo Santa Maria del Giglio
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La rivoluzione della felicità Ca’ Maria Adele riapre agli ospiti del mondo Molte volte abbiamo raccontato questo angolo di puro sublime adagiato all’ombra delle architetture della Basilica della Salute, in cui i fratelli Alessio e Nicola Campa sono riusciti alla perfezione a creare un hotel di charme, pluri-premiato come miglior hotel romantico d’Europa: Ca’ Maria Adele. Però il Covid-19 non guarda in faccia nessuno e come in un brutto sogno di colpo le prenotazioni si sono interrotte e le porte di Ca’ Maria Adele sono state chiuse, seguendo la tendenza della quasi totalità degli alberghi in Europa e nel mondo. Ora le meravigliose declinazioni di un’accoglienza fatta di dettagli curati con estrema attenzione, sono nuovamente a portata di
viaggiatori, che timidi e impauriti si affacciano in Laguna, trovando una città ancor più accogliente e seducente, senza le folle che impedivano nei mesi più caldi la giusta fruizione delle sue incalcolabili bellezze artistiche. Nella visione doverosamente volta al positivo dei fratelli Campa, va segnalata un’iniziativa che si sta concretizzando nei suoi aspetti operativi e che parte da una bellissima idea nata tra una serie tv Netflix e un bollettino dei contagi, durante i giorni più difficili della quarantena domestica obbligatoria. Consapevoli che a causa della pandemia moltissimi viaggi sono saltati, moltissime feste e anniversari che volevano celebrare la forza e la solidità di un’unione o
la passione di un nuovo amore sono state cancellate e pure moltissime storie sono state spezzate dal virus, guardando a questo enorme parterre Ca’ Maria Adele intende simbolicamente offrire a un numero di coppie, che potrebbe variare da 10 a 20, in rappresentanza di tutte le altre, senza alcuna preclusione di sesso, religione e provenienza, un soggiorno romantico in hotel, per
poter ritrovare lo stupore di un sentimento ‘sospeso’ circondati da una bellezza sconfinata e oltre il tempo. Un modo efficace per riportare la gioia di una notizia inaspettata e poter riprendere la normalità di una vita straordinariamente unica in un luogo senza eguali. Ca’ Maria Adele Dorsoduro 111
Caffè Florian Piazza San Marco
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Davanti allo spettacolo della laguna, stagionalità, territorialità, freschezza, tradizione e innovazione. Prelibatezze di pesce e di carne, pasta fatta in casa, proposte vegetariane, insalatone, panini gourmet, taglieri, specialità cucinate in vasocottura. 2 portate: 30 e 3 portate: 38 e Aperto dalle 11 alle 22.30
Bistrot By Do Leoni c/o Hotel Londra Palace Riva degli Schiavoni, 4172 - Venezia Tel. 0415200533 - doleoni@londrapalace.com
E naufragar m’è dolce...
Sweet depths
Belmond Hotel Cipriani versione 2020
Hotel Cipriani, on and off water
In questa stagione condizionata dai bollettini quotidiani dei contagi, le attività legate al turismo risentono moltissimo dell’incertezza che grava in ogni settore e molti alberghi si sono trovati di fonte al dilemma se aprire o meno. A Venezia alcuni alberghi godono di fama mondiale e la loro chiusura forzata avrebbe rappresentato una sconfitta anche a livello di immagine per la città. Quindi con coraggio e con grande senso di responsabilità verso Venezia, che ha offerto il senso stesso del loro esistere, hanno riaperto le porte ai fortunati ospiti alberghi come il Belmond Cipriani alla Giudecca, icona di fascino e stile unico dove poter vivere la bellezza della città immersi in un luogo in cui i contorni della realtà sono segnati dallo stupore che irretisce ogni volta anche lo sguardo più disincantato. Il Cipriani è la proiezione concreta della migliore possibilità di vivere l’accoglienza ai livelli più elevati, senza nessuna concessione agli effetti speciali. Potrebbe sembrare paradossale parlare di semplicità, ma in fondo in questo luogo tutto è semplicemente come dovrebbe essere: il bar con Walter Bolzonella a fare gli onori di casa, insegnando agli ospiti a preparare un perfetto Bellini, con il succo fresco di pesca bianca schiaccia-
to al momento; la ristorazione, quella della bellissima terrazza del Cip’s Club, con le ricette della tradizione dello chef Roberto Gatto in grado di deliziare sempre i palati, oppure quella stellata di Davide Bisetto, che al ristorante Oro presenta una novità assoluta per questa stagione, il ristorante con un solo tavolo, da due fino a sei ospiti, con lo chef a disposizione per una serata indimenticabile con piatti proposti con molti ingredienti in arrivo dall’orto del Cipriani, paradiso della biodiversità. E ancora la possibilità di navigare lentamente sull’Edipo Re, attraversando il paesaggio cangiante della Laguna su un’imbarcazione la cui storia racconta una bellissima pagina di amore per la cultura e per Venezia, coccolati da una cucina di bordo affidata ai migliori chef in versione marinara, una fruttuosa collaborazione tra i più rinomati ristoranti di Venezia. Oro Restaurant, Alle Testiere, Al Covo, Antiche Carampane, Local e Glam uniti nel progetto: “Alimenta Ancora – Residence Kitchen”, sei ristoranti uniti nel cuore della Laguna a bordo della Edipo Re per la rinascita di Venezia. Un gesto concreto per promuovere una forma di turismo sostenibile in grado di dialogare con la città e l’ambiente prezioso e fragile che la circonda.
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Every time we turn to the news, the daily newsletter of pandemic statistics reminds us of the precarious, uncertain future many in the tourism sector see before them. Businesses have been, and many still are, unsure whether it makes sense to open at all, and there are hotels in Venice that are known all over the world and their closing would mean a defeat in terms of image for the whole city. It is with courage and a great sense of responsibility that hotels like the Belmond Cipriani at Giudecca reopened. The Cipriani is an icon of charm and style and a real projection of the best hospitality, a honeypot of beauty that will enthral even the most jaded traveller. It’s almost paradoxical to speak of simplicity, but everything in this place is just as perfect as it should be: the bar, headed by Walter Bolzonella, and the delicious Bellinis that is served there, with freshly squeezed peach juice; the restaurant, where chef Roberto Gatto will welcome you in the sumptuous dinner room or in terrace at Cip’s Club. At Oro Restaurant, Michelin star-awarded Davide Bisetto presents a whole new dining concept: a single chef will be dedicated exclusively to one table for two to six guests. Meals can be served aboard the hotel’s boat, the Edipo Re, in a project shared with the other jewels in the crown of Venetian hospitality: Testiere, Al Covo, Antiche Carampane, Local, and Glam.
Belmond Hotel Cipriani Giudecca
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04
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Metropole in pole
Glorious moments
Tra i primi a riaprire, ripensando il futuro di Venezia
Metropole Hotel and the future of Venice
Il Metropole è stato il primo tra gli hotel a 5 stelle in città a riaprire le porte, dimostrando un profondo attaccamento a Venezia, malgrado le troppe difficoltà che hanno segnato questo travagliatissimo periodo, iniziato con le inondazioni autunnali e continuato con una pandemia capace di bloccare l’intero pianeta. Racconta Gloria Beggiato, anima, cuore e motore instancabile del suo Metropole: «Quando ho scelto di aprire il 3 giugno, non avevamo alcuna prenotazione attiva per quel giorno e pochissime per quelli a seguire, ma ho voluto rischiare per amore di questa città». Il Metropole ha lavorato intensamente per adeguarsi al meglio ai nuovi protocolli di sicurezza. Oltre all’introduzione della
segnaletica per il distanziamento interpersonale e alle postazioni per la sanificazione delle mani, tra le varie iniziative, è stato ottimizzato il servizio dell’Orientalbar Giardino, introducendo la drink list digitale ed è stata riaperta la magnifica Spa inaugurata a febbraio, un ambiente suggestivo decorato con colonne antiche a foglia d’oro con una piscina d’acqua calda, idromassaggio, hammam, cascata di ghiaccio e doccia con cromoterapia, in cui gli ospiti possono indugiare in totale privacy e sicurezza grazie alla regolare attività di sanificazione e aerazione degli spazi. Gloria Beggiato guarda con lungimiranza al futuro, e in particolare al futuro di Venezia, proponendo una nuova ripartenza: «Credo sia fonda-
mentale non cadere nell’errore di lasciare le cose come prima. È l’occasione di riqualificare, di tutelare il patrimonio artistico e culturale, di gestire i flussi consapevolmente ed evitare di svendere il nostro servizio per timore di non recuperare i mesi in cui abbiamo dovuto fermarci. Lo sforzo di riaprire deve essere di tutti, ma
lo dobbiamo fare consapevoli che sarà necessario fare delle rinunce per poter ricominciare con il piede giusto. Venezia, che tanto ci ha dato, ora ha bisogno del contributo rinnovato di ognuno di noi per guardare al futuro». Metropole Riva degli Schiavoni
The Metropole was the first fivestar hotel to reopen in Venice. In the words of general manager Gloria Beggiato: “When I chose to open my hotel on June 3, we had no bookings for that day and very few for the upcoming days, but I did want to take a chance because of the love I feel for Venice. It is essential to embrace change, to improve what we have, and to safeguard the artistic and cultural heritage of Venice.” At Metropole, all staff worked to conform to all safety protocols. Social distancing will be maintained, hand sanitizer is available everywhere, and menus are now digital. The spa is open, too, with its gold leaf-decorated pillars, pool, steam room, ice shower, and more, all sanitized after each use.
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In principio era la spesa
First come groceries
Gusto alle stelle all’Arva Aman Venice
The Arva Restaurant at Aman Hotel
Aman Venice a Palazzo Papadopoli sul Canal Grande è un rifugio incantevole per poter fruire di Venezia al suo meglio, a partire dal luogo di soggiorno, un antico e grande palazzo in cui gli spazi sono strutturati per poter offrire incanto a pieno sguardo. Aman ha da sempre aperto alla città i suoi servizi, come la cucina di grande livello del ristorante Arva, che ha goduto negli anni della supervisione di chef stellati capaci di supportare al meglio l’executive chef Dario Ossola, che si è perfettamente integrato con la realtà veneziana, interpretandone al meglio non solo i sapori, ma anche le atmosfere, rese in maniera più che convincente nei suoi piatti. Ho avuto la fortuna di
poter accompagnare al mercato di Rialto una mattina Dario Ossola con Norbert Niederkofler, chef di fama internazionale, tristellato Michelin, che per Aman Venice riveste il ruolo di consultant chef. Della piccola ‘pattuglia’ facevano parte anche Michele Lazzarini, giovane e talentuoso sous chef bergamasco al St. Hubertus, e il nuovo general manager dell’hotel Licinio Garavaglia. Ho potuto constatare in modo inequivocabile come elementi unici e determinanti siano la freschezza e semplicità dei prodotti, il più possibile locali e come le ricette nascano dalla spontaneità di un dialogo per strada, letteralmente con i sacchetti della spesa in mano. Norbert Niederkofler,
alfiere della coerenza territoriale, riporta a Venezia il tema “Cook the Lagoon”, applicando fedelmente i principi della sostenibilità, fermamente convinto del valore di una cucina etica e pulita. Il risultato è perfetto: un grande giardino estivo affacciato discretamente sull’acqua del Canal Grande, un servizio attento e impeccabile, mai troppo inutilmente ossequioso, piatti straordinari nella capacità di
esaltare la ricchezza e la forza del prodotto di base, uno chef giovane e sorridente che accompagna i piatti senza alcuna retorica in aggiunta e lo sguardo complice e sornione di Norbert Niederkofler, perfettamente a suo agio anche in pianura... la raffinatezza estrema della semplicità. F.M. Aman Venice Palazzo Papadopoli Calle Tiepolo Baiamonte 1364
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A sumptuous palace dedicated to the highest-level hospitality for both night guests and day guests at Arva Italian Restaurant, part of the luxury Aman Hotel. Resident chef Dario Ossola and consultant chef Norbert Niederkofler once took me to the historical produce market in Rialto. It is unbelievable how freshness and quality of produce are distinctive, crucial elements of great cooking, and how recipes and preparation can be born out of a brief conversation on your way around the market, bags of groceries on each hand. Niederkofler, a crusader of territorial consistency, brings back to Venice his “Cook the Lagoon” credo and applies the principles of sustainability, himself a staunch believer of clean, ethical cooking.
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La giusta distanza
Tempi di vacanza
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Merano, città alpina dell’Alto Adige a 325m sul livello del mare, nota per il suo clima invernale secco e mite, un tempo la località più a sud dell’impero austro-ungarico, già nell’Ottocento attirava molti turisti, fra questi anche molti russi, divenendo successivamente un “Kurort” noto a livello internazionale per le sue strutture alberghiere, le sue spa e gli edifici in stile Art Nouveau. A Maia alta (Obermais), zona residenziale della città, immerso nel verde di uno stupendo parco, Villa Eden, uno dei primi alberghi d’Italia e d’Europa qualificati “Covid safe Hotel” con le sue 29 suites esclusive ed eleganti, offre ai suoi ospiti un soggiorno all’insegna della sicurezza, relax, bellezza e benessere psico-fisico. All’ingresso della struttura, un tunnel esclusivo di disinfezione (EPA categoria IV) con una soluzione innocua per l’uomo e per l’ambiente, inodore e incolore, con varie componenti tra le quali il citrato d’argento, protegge da virus, batteri e funghi, assicurando una copertura fino a 24 ore. Per una maggiore tranquillità degli ospiti, in risposta all’emergenza Covid-19, sono state adottate rigorose norme di sicurezza, quali la misurazione della febbre e il test rapido immunologico. Come dichiarato dal Direttore Sanitario della Medical Spa di Villa Eden, il dottor Emanuele De Nobili: «Il nostro corpo è il santuario dove alberga la nostra anima, trattiamolo con rispetto e ci permetterà di vivere a lungo e in salute e di godere appieno delle gioie della vita». Lo stress è una risposta fisiologica dell’organismo e può essere una delle cause principali di deterioramento della salute generale, turbando l’equilibrio psicofisico dell’individuo sino a portare a conseguenze, quali obesità e ipertensione, difficoltà di concentrazione, frequente stanchezza generale, attacchi di panico, crisi di pianto, ansia, disturbi del sonno e dell’apparato gastro-intestinale, ipertensione. È quindi fondamentale porre rimedio a queste situazioni di malessere per il recupero di uno stato di salute e di benessere totale e, grazie alla diagnostica tomografica, è possibile evidenziare gli stati infiammatori e stabilire quindi un programma di cura. Salute quindi come scelta e non come destino, perché noi siamo i primi responsabili della nostra salute. E, come dichiara la titolare di Villa Eden, Angelika Schmid: «Se intendete ritrovare quella spinta necessaria a raggiungere il Vostro pieno potenziale, sia in termini estetici che di qualità della vita, siete nel luogo giusto». Daniela Paties Montagner
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Meran, an Alpine city in the very north of Italy, has a long history of tourism hospitality. In the 1800s, it already welcomed tourists from as far as Russia thanks to its renown as a Kurort with beautiful Art Deco buildings. In Meran’s residential district Obermais (the area used to belong to Austria, hence the German toponyms), is Villa Eden, one of Italy’s first hotels and now a Covid-safe hotel with 29 elegant suites, which now offer its clientele a sojourn in safety, relax, beauty, and wellness. Disinfection is carried out on site, as are temperature checks and quick covid-19 tests. We know stress is a physiological reaction of our body; it can be detrimental to our health and may cause obesity, high blood pressure, impaired concentration, tiredness, panic attacks, and other ailments. Says hotel owner Angelika Schmid: “If your plan is to find that push forward to reach your full potential, you are in the right place.” Villa Eden Merano
Tre amici e una Terrazza sul mare al Lido Non è un gioco di parole, ma c’è anche chi corona il proprio sogno ai tempi del Coronavirus! E nonostante le restrizioni, nonostante le spiagge aperte a metà, nonostante il social distancing, tre giovani veneziani in queste settimane hanno aperto al Lido di Venezia Puntozero; un nuovo “restaurant&lounge bar” che animerà la movida estiva veneziana e, why not, sarà anche una bellissima opportunità da sfruttare come location in occasione della Mostra del Cinema che, come oramai dichiarato da più parti, è confermata e si farà. I tre soci di questa avventura, che sta portando energie nuove e vitalità all’offerta dei luoghi di aggregazione al Lido sono i venezianissimi Gianmarco Bonomo, Luca de Zanchi e Gianluca Pegoraro, tutti tre già con esperienze nell’ambito della ristorazione anche in locali importanti della città. Puntozero si trova sulla bellissima terrazza antistante l’ingresso alle capanne del Consorzio Alberghi in Lungomare Marconi e offre una vista strepitosa sul mare e al Lido
di Venezia, può sembrar strano, non è cosa affatto scontata. La cucina – aperta sia a pranzo che a cena – è nelle mani dello chef Fabio Bianconi, fiorentino, quindi abilissimo nella preparazione delle carni, ma altrettanto bravo a preparare menu light, insalate e piatti vegetariani che oramai non possono mancare in ogni menu che si rispetti. Francesco Meneghel è il “pizza chef” e propone pizze gourmet prodotte con impasti di farine di grano italiano macinato a pietra. L’ora dell’aperitivo, con musica di sottofondo, e il dopocena sono affidati alle mani sapienti del socio Gianmarco - Giangi per gli amici - che porta con sè un’esperienza come barman in alcuni bar del centro storico. Nella cocktail list sono presenti
sia i drink tradizionali, ma anche qualche specialità della casa come il “Seppa Mary”, Bloody Mary in salsa lagunare con la base classica e contaminazione indiana con chutney al mango e nero di seppia. Puntozero è aperto tutti giorni dalle 12 alle 15 e dalle 18 a mezzanotte. Alessandra Morgagni
Punto.Zero Lungomare Marconi, Lido 349 3270957
Un’altra Venezia è possibile Cocai Express, l’opportunità e la solidarietà come chiavi del futuro Nelle altre città italiane la consegna a domicilio di cibo e affini è una tendenza acquisita, ma a Venezia nessuno ci aveva provato. La città è complessa, per conoscere il dedalo di calli bisogna esserci nati o averla vissuta ogni giorno. Ma poichè le migliori opportunità vengono dalla crisi (Albert Einstein dixit), ecco che un gruppo di giovani veneziani si è tirato su le maniche e ha deciso di
aiutare alcuni amici ristoratori che durante il lockdown non avevano alcuna possibilità di praticare la loro attività. È nato così Cocai Express, un servizio di delivery a domicilio “solidale”, a puro scopo sociale, che partendo dalla ristorazione ha via via ampliato il servizio anche alla consegna di pesce, frutta e verdura del mercato di Rialto, ma anche di abbigliamento. Col passare dei giorni
l’iniziativa ha preso talmente piede che i quattro giovani veneziani, con precedenti esperienze nell’e-commerce, nella consulenza e nella ristorazione, hanno pensato fosse un’ottima occasione per avviare una start up in salsa lagunare e farne un vero e proprio business. Oggi Cocai Express è una giovane realtà cittadina che ha già alcuni sostenitori, come l’azienda DirectaPlus di Como fornitrice delle divise in materiale termoregolante e con cui il team veneziano condivide l’attenzione per l’ambiente e la sostenibilità, e che ogni giorno accresce il numero di attività commerciali che
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The right distance
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Temporaneamente, convintamente
Three friends and a Terrace at Lido
La stagione estiva del Local alla Pensione Wildner
A new opening at the Lido, the beach district of Venice, is a sign of entrepreneurial spirit that won’t be let down by the Coronavirus crisis. Puntozero is a new lounge bar and restaurant that will animate the Venetian summer movida, especially during the Venice Film Festival, whose production has been confirmed. The three local caterers who opened the locale, Gianmarco Bonomo, Luca De Zanchi, and Gianluca Pegoraro, will bring new energy and expand the offer at Lungomare Marconi, the beautiful seaside promenade at Lido. Puntozero will serve warm meals at lunch and dinner: meat and vegan menus will be available, as well as a gourmet pizza selection made with stone-milled flour doughs. At aperitif time, Gianmarco will keep us company with exquisitely-made traditional long drinks as well as curious innovations, like his localized Bloody Mary with mango chutney and squid ink! Puntozero is open every day from noon to 3pm and from 6pm to midnight.
Se anche non lo si volesse fare, in questo periodo non c’è modo di evitare di iniziare un racconto senza dover citare la pandemia. Anche nel caso del Ristorante Local in versione Pop Up estivo, il Covid-19 ha la responsabilità in questa scelta. I fratelli Fullin, Benedetta e Luca, non potevano stare inerti ad aspettare che la tempesta fosse terminata, da imprenditori, ma soprattutto da ristoratori innamorati del loro lavoro hanno avuto l’idea brillante di portare negli spazi aperti in Riva degli Schiavoni, alla Pensione Wildner, il team del Local e proporre le loro specialità in un contesto differente, in uno spazio aperto e di grande fascino, con una vista impareggiabile sul bacino di San Marco, che riesce ad amplificare con fremiti dell’animo le delizie gastronomiche che vengono proposte per allettare il palato. I fornelli sono affidati allo chef Matteo Tagliapietra e al sous chef Marco Vallaro, che hanno l’abilità di esaltare i sapori locali con qualche influsso orientale, senza svilire mai l’origine e la tradizione dei piatti. Un menù semplice e informale, con una selezione di cicchetti del giorno da accompagnare all’aperitivo. I drink in of-
07 aderiscono al progetto. I ‘cocai’, i gabbiani, che svolazzano sopra la laguna e qualche volta rubano il panino ai turisti, sono diventati il simbolo di una città che sta cercando di trovare una nuova identità, soprattutto per i giovani, e dimostrare che un’altra Venezia è possibile.
Convincingly temporary Local Pop Up Restaurant @Pensione Wildner Even if we wanted to, we would have a hard time with telling a story and don’t make it about the pandemic. It was, in fact, Covid-19 that prompted the management at Local Restaurant to open their summer pop-up in Riva degli Schiavoni, the quay that stretches east of Piazza San Marco. The view,
A MOSAIC OF STYLES & ARTS
ferta sono i classici italiani, con la sorpresa del Mini Tini, ovvero un piccolo Martini ghiacciato. Tutto è pensato per vivere il momento della tavola come una breve e piacevole evasione, le scelte sono basate sulla sicura e certificata provenienza dei prodotti e la resa finale è in piena sintonia con lo spirito di un locale che da molti anni propone la miglior cucina veneziana. Nello spirito complicato di questo presente colmo di incertezze, l’idea di Benedetta e Luca si coniuga con un differente uso della città, anche da parte dei suoi stessi abitanti, che trovano nel Pop Up estivo del Local un sicuro indirizzo per un drink dopo cena, godendosi appieno la bellezza sconfinata di una Venezia meno concitata e autentica.
ACH OF THE TEN ROOMS IS CHARACTERIZED BY A PRECISE IDENTITY. DURING THE RESTORATION, THE HISTORY AND TRADITIONS OF VENICE WERE CAREFULLY PRESERVED, AND ARE NOW ENHANCED BY THE MODERN DESIGN OF THE SELECTED FURNISHINGS AND FABRICS.
Local Pop Up Pensione Wildner, Riva degli Schiavoni
:e from there, is amazing – not that you needed that excuse to stop for a meal or for their signature Mini Tini, a small-scale iced Martini. The menu is mostly local with some oriental influx, though never strong enough to undermine an essentially Venetian offer. In these complicated times, the idea of owners Benedetta and Luca Fullin is sure to be appreciated by visitors and locals, who will enjoy the beauty of a Venice that is less agitated and more authentic.
HOTEL HEUREK A T +39 0 41 5 24 6 4 60 WWW.HOTEL-HEUREKA.COM
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ricette dedicate di Pierangelo Federici
rio morto, mentre sono assolutamente vive e vegete in moltissimi altri generi musicali, grazie al cielo! Per diversi motivi. La musica pop si è evoluta, è cambiata molto e le percussioni sono ormai state completamente sostituite dall’elettronica, salvo in rare occasioni in cui è espressamente richiesto un certo tipo di sonorità. La mia fortuna è di essere anche un grande appassionato di elettronica e quindi di esser riuscito ad adattarmi già in tempi non sospetti a questo mutamento.
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Il tuo set di percussioni è davvero molto ricco di strumenti di tutti i tipi, una complessità che va da quelli classicamente etnici ai più innovativi e tecnologici. Poi però in un tuo recente video indichi la semplicità come valore determinante, sia rispetto l’accompagnamento ritmico di un brano, sia più in generale nelle scelte della vita. Si, avere tanti strumenti a disposizione non significa necessariamente suonare cose complesse, ma avere molti timbri coi quali poter suonare anche cose semplici, all’occorrenza. Più che la semplicità credo che in ogni contesto l’importante sia l’essenzialità, ciò che è essenziale, funzionale, utile al limite dell’indispensabile.
LEONARDO DI ANGILLA Per chi segue e s’intende di musica, la biografia di Leo è pressoché superflua. Il percussionista veneziano ha suonato con una lista interminabile di artisti italiani e internazionali, ha inciso come solista e porta avanti progetti davvero interessanti anche on-line. Tutti, proprio tutti, lo conoscono per il suo sodalizio artistico con Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti.
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L’intervista Ciao Leo, è un doppio piacere intervistarti per la mia rubrica: il primo è scambiare due chiacchiere con un musicista talentuoso della mia città, il secondo è che mi ha imposto di concentrarmi sulla parola “ritmo”, termine ricchissimo di significati e implicazioni. La poesia ha un suo ritmo, ma anche il cuore, le stagioni, il giorno e la notte, le maree, la danza, le azioni e le pause, le luci e le ombre, il lento monotono e il veloce frenetico. Comincerei subito col chiederti quello che viene spontaneo domandare all’artista da palcoscenico, quello abituato a dialogare con migliaia di persone: come hai passato la quarantena e quali sono i tuoi progetti per il post lockdown? Ciao Pierangelo e grazie per avermi coinvolto in questa piacevole chiacchierata! Diciamo che la quarantena ho cercato di ‘ignorarla’, pur rispettandone le regole ovviamente. Ho preso atto di quello che stava succedendo, non mi sono allarmato, non mi sono concentrato solo sulle notizie e sono rimasto focalizzato sulle mie attività, ovviamente modificandole per l’occasione. Ho intensificato l’attività on-line e ho organizzato per i miei allievi una serie di workshops settimanali dedicati ogni volta ad un argomento diverso. È stato utile per loro, ma molto interessante anche per me che ho dovuto mantenermi in attività per studiare e preparare tutte le lezioni. Per il post lockdown i miei progetti rimangono orientati verso l’attività on-line visto che per il live credo ci vorrà ancora parecchio tempo per tornare alla normalità. Quand’è e come mai in un ragazzo nasce l’idea del voler diventare un percussionista e che consigli puoi dare ai più giovani? Sono nato musicalmente come batterista, per imitare un amico che a mio parere suonava molto bene lo strumento…ero in quinta elementare! Sono passato alle percussioni attorno ai 18/19 anni dopo aver visto dal vivo i Litfiba coi quali suonava il mitico Candelo Cabezas. Sono rimasto così affascinato dalle percussioni che non ho più pensato di tornare indietro. Ai più giovani consiglio di ascoltare molta musica, cercare di suonare il più possibile, specialmente con musicisti più bravi e... studiare, studiare, studiare! La tua scuola di musica on-line sta ottenendo risultati molto positivi, ma in generale di che salute godono le percussioni nella musica italiana? Le percussioni nella musica italiana sono a mio avviso su un bina-
Se sei d’accordo, abbandonerei per un attimo la tua intensa attività professionale per parlare di un’altra tua forte passione: la maratona e in particolare quella di Venezia. Raccontaci… Il mio approccio alla corsa è assolutamente dilettantesco. Ho iniziato tardi, a 40 anni, lo racconto anche nel mio libro Ritmo per Correre in prossima uscita. Ho iniziato piano piano come tutti, mi sono appassionato, ho visto che malgrado la fatica immensa mi risultava relativamente facile e così ho iniziato ad allungare le distanze fino ad arrivare alle maratone. Non ne ho fatte molte, solo 5, ma non è detto che non ne faccia ancora. Siccome questa mia rubrica, magari in maniera un poco strana, si occupa di cucina, ti chiedo: adotti una rigorosa “dieta del maratoneta”? In realtà quando si inizia a fare un’attività sportiva, anche a livello iper amatoriale come la faccio io, viene assolutamente spontaneo il considerare diversamente anche l’alimentazione. Si cerca di mangiare sano, evitare zuccheri, alcoolici e bevande gassate, controllare l’assunzione di carboidrati…è un iter abbastanza normale. Nel particolare, io sono vegetariano da 10 anni, durante i quali non ho mai mangiato carne e latticini e da un anno ho eliminato anche pesce e uova, diventando così al 100% vegano. L’ultima domanda che può aiutarmi molto nella creazione della tua ricetta personalizzata: c’è un tema musicale che ritieni particolarmente invitante e appetibile? Domanda difficile… perché ce ne sono molti! Se dovessi sceglierne uno in particolare forse in questo momento ti indicherei Manhata (Para Lulu Santos) di Caetano Veloso, che trovi nel meraviglioso disco Livro, capolavoro della musica brasiliana contemporanea.
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Mensile di cultura, spettacolo e tempo libero Numero 245-246 - Anno XXIV Venezia, 1 Luglio 2020 Con il Patrocinio del Comune di Venezia Autorizzazione del Tribunale di Venezia n. 1245 del 4/12/1996 Direzione editoriale Massimo Bran Hanno collaborato a questo numero Marisa Santin Maria Laura Bidorini Loris Casadei Sergio Collavini Fabio Di Spirito Pierangelo Federici Renato Jona Franca Lugato Massimo Macaluso Daniela Paties Montagner Alessandra Morgagni Laura Piccinetti Giorgio Placereani Giandomenico Romanelli Livia Sartori di Borgoricco Delphine Trouillard Massimo Zuin Si ringraziano Eike Schmidt Monica Billio Dieder Guillon Dario Nardella Melania G. Mazzucco Massimo Lapucci Giovanni Montanaro Luisella Pavan-Woolfe Paolo Molesini Paola Severini Melograni Sergio Pascolo Paolo Lucchetta Valentina Secco Piero Tomaselli
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La ricetta Caro Leo, è stato un piacere e aggiungo che, con le tue indicazioni, dedicarti una ricetta è davvero un gioco da ragazzi. Un piatto atletico, vegano e da preparare con il sottofondo musicale di Caetano Veloso. La ricetta non può che essere ispirata alla mitica Feijoada (ovviamente in una mia versione senza la carne!). LA FAGIOLATA PER LEO Cominciamo col dire che i fagioli sono un nutrimento proteico, ricco di vitamine, sali minerali e potassio, ferro, calcio, zinco e fosforo. Chiudiamo subito la breve parentesi rieducational channel e cominciamo col mettere a mollo 300 gr di fagioli neri secchi (ci vorrà tutta la notte). In una capiente pentola facciamo rosolare in olio extravergine una bella cipolla bianca affettata, 4 o 5 grossi pezzi di radice di manioca sbucciata, un paio di peperoncini piccanti, 3 spicchi d’aglio, una foglia di alloro. Aggiungiamo quindi i fagioli ammollati e un litro circa di brodo vegetale. Lascia sobbollire per un paio d’ore e servi la tua fagiolata alla temperatura che preferisci, con un filo d’olio e prezzemolo finemente tritato. Accompagna con riso integrale bollito.
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