150 anni camera di commercio massa carrara

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i centocinquantanni della camera di commercio di massa-carrara

1862 2012





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i centocinquantanni della camera di commercio di massa-carrara

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I 150 anni della Camera di Commercio di Massa-Carrara

Autori: Riccardo Boggi · Daniele Canali · Gualtiero Magnani con il contributo di: Massimo Marcesini Ricercatore I.S.R. Gino Vatteroni Fotografie e documenti: Archivio Storico della Camera di Commercio di Massa-Carrara (Le immagini dell’Archivio Storico sono eseguite su committenza della Camera di Commercio da: A. Corsini, V. Valenti, G. Miniati, M. Casseri, I. Bessi, L. e M. Begali). Archivio della Camera di Commercio: servizi fotografici di Daniele Canali Si ringraziano i privati collezionisti e gli autori per la gentile concessione di alcune immagini storiche. Progetto editoriale: Riccardo Boggi · Daniele Canali · Gualtiero Magnani Progetto grafico: Marina Gugino


Indice Prefazione . . . . . . . . . . . . . . pag. 7 Introduzione . . . . . . . . . . . . . pag. 9

Parte Prima Capitolo Primo UNA NAZIONE, UNA PROVINCIA Istituzioni di governo, classi dirigenti e identità di un territorio nella nuova Italia unita . 1. 2. 3.

. pag. 13

Una borghesia rivoluzionaria: il ruolo del governo piemontese e della Società Nazionale nel Risorgimento “Apuano” . . . . . Il processo di formazione della provincia di Massa e Carrara . . . . Classi sociali dominanti e formazione dei corpi elettorali politici e amministrativi

Scheda 1:

Banche ed industria marmifera dopo l’unità d’Italia · 1860-1880 .

Capitolo Secondo La nascita e i primi importanti atti della Camera di Commercio e Arti di Carrara . Scheda 2: Scheda 3:

pag. 13 pag. 15 pag. 20

. pag. 35 .

pag. 41

Quando i bachi salivano ai boschi . . . . . . . pag. 61 La situazione politica e le condizioni economiche e sociali della provincia di Massa e Carrara al momento dell’istituzione della Camera di Commercio pag. 65 Gli uomini che promossero la Fondazione della Camera di Commercio e come furono eletti . . . . . pag. 67

Capitolo Terzo Profilo economico e sociale dei circondari e dei mandamenti della provincia · 1860-1890 .

pag. 69

Il primo grande affresco dell’industria e del commercio attraverso gli elenchi dei contribuenti alla tassa a favore della Camera di Commercio e Arti di Carrara 1864

1. Il Mandamento di Carrara . . . . . . . . . pag. 69 Scheda 4:

Gli Svizzeri a Carrara. Chi furono e da dove provenivano .

.

. pag. 87

2. Massa: profilo della città · 1861-1900 . . . . . . . pag. 95 3. Fivizzano e il suo Mandamento . . . . . . . . pag. 104 4. Profilo sociale ed economico del circondario di Pontremoli e annotazioni sulla lista camerale del 1864 . . . . . . pag. 119 5. Profilo sociale ed economico del circondario di Castelnuovo Garfagnana . . pag. 135 Scheda 5: Scheda 6: Scheda 7:

E il treno finalemte arrivò..., ma chiusero i cantieri . . . . pag. 145 La Camera di Commercio e gli ospedali di Carrara e Fivizzano . . pag. 149 Quell’antico segno di croce . . . . . . . . pag. 151

Capitolo Quarto L’industria dei marmi apuani: la seconda industria di esportazione di materie prime dell’Italia appena unita Scheda 8: Scheda 9: Scheda 10: Scheda 11:

.

.

pag. 153

La nascita della Ferrovia marmifera privata Carrara . . . . pag. 163 I destini militari di una terra . . . . . . . pag. 173 Cotonificio ligure Forno . . . . . . . . pag. 175 Le prime visite illustri e scoperta fotografica e turistica delle cave . . pag. 177

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Capitolo Quinto Lo sviluppo di un territorio tra XIX e XX secolo . . . pag. 179 Scheda 12: In Lunigiana si spera nella ferrovia, mentre in Garfagnana si fa conto sull’allevamento del bestiame . . . . . . pag. 185 Scheda 13: Fiere e Mostre Zootecniche . . . . . . . . pag. 189 Scheda 14: “Per evitare ogni confusione si sarebbe egregiamente chiamata Massa Lunense” . . . . . . pag. 191 Scheda 15: Letterati illustri alle cave: cave e letteratura italiana . . . . pag. 192 Scheda 16: Il porto di Carrara dal progetto alla realtà (1900-1922) . . pag. 193 Scheda 17: I ponti e l’economia di una valle . . . . . . . pag. 196 Scheda 18: A proposito del maiale . . . . . . . . pag. 197 Scheda 19: “Confacente alla missione della Camera che si preoccupi della mancanza dell’asilo” . . . . . . . . pag. 199 Scheda 20: Dalla lotta alla peronospora... alla strada del vino dei Colli di Candia e della Lunigiana . . . . . . pag. 201

Parte Seconda Capitolo Primo Dalla crisi marmifera alla ricostruzione . . . . . pag. 203 Scheda 21: L’avventura dei venditori ambulanti di Lunigiana . . . . pag. 211 Scheda 22: La lungamente attesa Ferrovia Aulla-Lucca . . . . pag. 213 Scheda 23: La crisi del 1920 . . . . . . . . . pag. 215 Scheda 24: Al fianco delle popolazioni disastrate: dal terremoto del 1920 all’alluvione dell’ottobre 2011 . . . . pag. 219 Scheda 25: Turismo balneare a Marina di Massa . . . . . pag. 221 Capitolo Secondo DOPOGUERRA E LA RICOSTRUZIONE . . . . . . . pag. 223 Scheda 26: Scheda 27: Scheda 28: Scheda 29:

Gastone Dazzi. Un grande Presidente . Avvenire turistico per la nostra provincia Un porto in costante crescita 1950-1990 . La Camera di Commercio salvò dall’estinzione la pecora massese e il cavallo di Comano .

. . .

. . . . pag. 227 . . . . pag. 231 . . . . pag. 233

.

.

.

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pag. 235

Capitolo Terzo Dai massimi storici al declino industriale non solo grande industria e marmi · 1955-1990 . . . . . . . pag. 237 Scheda 30: Scheda 31: Scheda 32: Scheda 33:

Artigianato, Camera di Commercio e Scuola . . . . L’Autocamionale della Cisa e l’impegno della Camera di Commercio . Un’indagine dell’Istituto di Studi e Ricerche azienda speciale della Camera di Commercio fotografa la Lunigiana alla fine del primo decennio del 2000 . . . . . La IV Mostra Interprovinciale del Tirreno del 1951 un’iniziativa di grande valore promozionale . . . .

. .

pag. 241 pag. 243

.

pag. 245

.

pag. 246

Capitolo Quarto UN decennio di ascese e cadute economia e territorio nella provincia apuana . . . . . . . . pag. 251 Scheda 34: L’Archivio Storico della Camera di Commercio di Massa e Carrara .

.

pag. 259

Bibliografia essenziale . . . . . . . . . . . pag. 261

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PREFAZIONE Il traguardo di 150 anni di esistenza per un’istituzione pubblica come la Camera di Commercio è sicuramente anniversario da celebrare, fissandolo nella memoria collettiva con il volume qui presentato. Più di una ragione giustifica l’iniziativa, ognuna con una propria validità intrinseca. Innanzitutto, l’evidenza della sostanziale coincidenza con la celebrazione del 150° anniversario della nascita dell’Italia, in sintonia con il processo di unificazione che segna il Risorgimento italiano, movimento di massa cui parteciparono aristocratici, popolani, borghesi, intellettuali ed operai accomunati da un unico ideale e che caratterizzò territori amministrativi modesti come grandi città. Non è dunque semplice coincidenza, non è un caso se la Camera di Commercio di Massa Carrara trova il definitivo sigillo alla sua fondazione subito a ridosso delle vicende che portarono all’Unità d’Italia: i territori si organizzarono in ambiti amministrativi, una generazione di imprenditori acquisì consapevolezza e si fece classe dirigente del nuovo stato unitario ed in tali contesti si organizzò. La vicenda storiografica e amministrativa della Camera di Commercio trova, in epoca successiva, il suo secondo momento topico nel dopoguerra: la ricostruzione di impianti e stabilimenti dopo le macerie, grandi nomi di imprenditori che emergono e di amministratori che trovano nuovo slancio per ricostruire e riprendere in mano le redini dell’economia. Grandi uomini per grandi sfide, che hanno saputo ritrovare, a Massa Carrara come nel resto della Nazione, gli slanci degli inizi rimboccandosi le maniche e progettando il futuro, attraverso la paziente ricomposizione dei frammenti rimasti nell’industria, nell’artigianato, nel commercio, nell’agricoltura. La Camera di Commercio di Massa Carrara, sino dai suoi inizi, in tutti questi anni, ha senza flessioni svolto un ruolo di supporto sia quando si è trattato di sostenere i vari settori economici in tempi normali sia quando si è dovuto intervenire ora come un tempo – impegno testimoniato dalle iniziative in occasione dell’ultima disastrosa alluvione che ha colpito la Lunigiana - per aiutare aziende e imprenditori in momenti di eccezionale difficoltà.

Oggi la Camera di Commercio deve confrontarsi con sfide diverse ma ugualmente impervie: un quadro normativo mutato - che ha introdotto nuovi scenari ed equilibri territoriali da ricomporre - impone scelte strategiche non facili da assumere per le quali occorre grande lucidità di analisi e visione prospettica. Con questa pubblicazione, che non vuole essere semplice dispensatrice di incenso e gloria sul passato, vengono ricordati gli eventi ma soprattutto le persone che, attraverso i 150 anni della Camera di Commercio di Massa Carrara, hanno fatto la storia economica del territorio e hanno dato il loro contributo perché questa terra prosperasse e crescesse, nella ferma convinzione, peraltro, che un secolo e mezzo di storia dell’istituzione non possa essere facilmente trascurato ma debba trovare una continuità ancora per molti anni a venire, con la Camera ancora protagonista, in futuro come nel passato, delle vicende economiche che ci appartengono. L’auspicio è che, nell’attuale momento, anche da quei fatti e dagli uomini che ci hanno preceduto, si possa trarre la giusta ispirazione per le scelte migliori.



Introduzione Il libro del 150° anniversario della fondazione della Camera di Commercio è mosso dalla necessità di rappresentare la complessa costruzione di un sistema economico-sociale quale è stato e in parte è tuttora il nostro. Caratteristica di questa Camera di Commercio è quella di essere sempre stata qualcosa in più rispetto alla modestia delle dimensioni del proprio territorio amministrativo e di avere spesso operato con efficacia in un raggio molto più ampio. Questo in virtù delle caratteristiche specifiche dell’industria dei marmi, della sua internazionalità, del considerevole peso economico che il marmo ebbe, come seconda voce per valore e per quantità, nelle esportazioni del nuovo stato unitario; di una valenza culturale insomma oltre che economica che caratterizzò da subito il comprensorio carrarese come laboratorio sociale e politico. Carrara detenne il monopolio mondiale sull’industria lapidea dalla metà del diciannovesimo secolo all’ultimo decennio del ventesimo; certo con ascese e cadute, con innovazioni significative e profonde e repentine ristrutturazioni capaci di intercettare nuovi impulsi e futuri sviluppi, conservando, nel contempo strutture economiche e mentali dettate dalla tradizione. Contraddizioni insomma che sono alla base della propria originalità e dei conflitti presenti e passati. La monocultura del marmo caratterizza insomma tutta la storia economico-sociale del territorio fino al 1938 quando l’apertura della Zona industriale apuana mitigherà gli effetti devastanti della crisi del ’29 (effetti che qui durarono un lungo decennio) e segnerà una svolta decisiva nella struttura socioeconomica del territorio. A questo punto, la Camera di Commercio che dalla sua fondazione (1862) al 1927 era stata espressione diretta della visione politica, economica, sociale delle elites dominanti apuane nei loro complessi incroci ed interessi, diviene un organismo burocratico al servizio delle strategie economiche del regime. Continua a produrre dato statistico e documentazione, per noi oggi preziosa oltre misura, continua a stimolare il settore marmifero e l’agricoltura ma, la caratteristica della nuova zona industriale è quella di essere “prodotto non concepito sul territorio”: nasce e si rafforza quindi un conflitto sempre meno latente tra il mondo del marmo e quello dell’industria chimica e metallurgica, espressione di centri decisionali posti altrove. Per ironia del destino,

proprio la Camera di Commercio sarà protagonista, nel secondo dopoguerra, del salvataggio della Zona Industriale Apuana, della sua ricostruzione e del suo rilancio. Comprendendo che la crisi del settore marmifero è fenomeno di lungo periodo cercherà di incoraggiare l’artigianato del marmo e le possibili applicazioni tecnologiche nell’edilizia ormai entrata nella fase di massima espansione corrispondente agli anni del “boom economico”. Non sarà sufficiente. Il settore artigianale perderà vieppiù di importanza e la sperimentazione con i materiali lapidei prenderà una strada inusitata. Il mix di conoscenze micromeccaniche derivate dalle esperienze lavorative negli stabilimenti industriali, una seria formazione scolastica professionale e tecnica sommati a una storia bimillenaria, una tradizione ad affrontare i problemi in maniera creativa e una dedizione assoluta al lavoro creò le condizioni per una nuova potentissima ascesa del settore lapideo su tutti mercati. Le città apuane divennero il centro mondiale del commercio e della lavorazione di marmi, pietre, graniti. Parimenti si sviluppò quello che potrebbe essere impropriamente definito indotto ma che a breve assunse caratteristiche di assoluta leadership sui mercati mondiali: l’industria delle macchine per l’escavazione, il taglio, la lavorazione delle pietre naturali. Concordemente alle fasi di crescita del settore delle grandi costruzioni pubbliche e private in mercati decisivi quale quello nordamericano, mediorientale e nordeuropeo il lavoro apuano si affermò internazionalmente e con grandi e riconosciuti successi che ebbero non solo ricadute economiche ma anche di know how sul territorio. Tutto andò in direzione di specializzazioni sempre più complesse: l’elettronica, la micromeccanica, la cantieristica e la cantieristica da diporto, la movimentazione delle merci unite ad uno sviluppo esponenziale delle produzioni di cava portò il territorio a livelli sempre più elevati. In questa fase, nel ventennio compreso fra gli anni ’70 e ’80 del novecento la Camera di Commercio tornò ad essere protagonista del progetto economico sociale che si andava via via delineando. Ebbe ruolo primario nel rilancio della agricoltura, nel recupero e valorizzazione di sapori antichi e quindi di una cultura del fare e del mangiare che rischiava di soccombere sotto le maglie del consumismo sfrenato e del “precotto”. Ebbe ruolo nelle importanti battaglie per la realizzazione di infrastrutture moderne e avanzate e ebbe

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cura di conservare e mantenere una tradizione del commercio su tutto il territorio provinciale privilegiando interventi in quelle aree, specie della Lunigiana, dove più urgente era necessario un rilancio turistico, culturale e produttivo. Le contraddizioni poste in essere dalla storia non possono essere risolte dagli autori, i quali si sono limitati a prendere atto del presente. L’attualità ci consegna una situazione non facile, qui come altrove. Noi paghiamo anche una dura realtà di dismissioni industriali che assomigliavano più ad una fuga che non ad un arrivederci. Il conflitto fra industria e turismo è superato dai fatti: molte fabbriche vuote da una parte, presenze che non decollano dall’altra. Eppure, con costanza ed operosità si perseguono strade nuove, si prova ad investire e sviluppare, si cerca insomma di delineare il futuro della nostra terra e della nostra gente. Il libro quindi non celebra; piuttosto racconta. La narrazione avviene su due livelli, il primo è quello dello svolgimento dei temi chiave e degli avvenimenti concordemente alla storia della Camera di Commercio, il secondo è quello degli approfondimenti tematici, di finestre aperte su determinati fatti, avvenimenti, curiosità. C’è anche il terzo livello, quello delle immagini e della iconografia, di documenti inediti conservati in quello splendido archivio della camera di Commercio che le generazioni future indagheranno ancora con più cura e passione di quella che noi abbiamo potuto instillare in questo appassionante lavoro. Riccardo Boggi Daniele Canali Gualtiero Magnani

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Parte Prima

Capitolo primo

Una nazione, una provincia. Istituzioni di governo, classi dirigenti e identità di un territorio nella nuova Italia unita

01. Una borghesia rivoluzionaria: il ruolo del governo piemontese e della Società Nazionale nel Risorgimento “Apuano”

in territorio sardo, un centro di forte iniziativa attivistica e di reclutamento di esuli e transfughi dal vicino ducato estense. E questo afflusso trovò un ulteriore incremento in occasione degli stati di assedio di Carrara, il primo nel

Il decennio seguente i fatti del 1848, fu caratteriz-

1854-55 e il secondo, assai più duro, nel 1857-58, in oc-

zato da una forte espansione della propaganda mazzinia-

casione del quale un centinaio di carraresi vennero spediti

na e da una nutrita serie di tentativi insurrezionali e di

nell’ergastolo di Mantova. Tra questi il giovane Andrea

scorribande sull‘insuccesso dei quali si inserì abilmente la

Passani, che ritroveremo protagonista della fondazione

Società Nazionale, che trovava nella vicina Sarzana, già

della Camera di Commercio.

Massa: Piazza Aranci, sullo sfondo Palazzo Ducale. In primo piano l’obelisco che ricorda il plebiscito del 1860.

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cercato di contendere alla Toscana il possesso dei territori

Massa, Rocca Malaspiniana vista dalla foce.

granducali, limitrofi al circondario di Sarzana. In quella occasione però le popolazioni insorte avevano votato per l‘annessione con la Toscana, ad eccezione della frazione di Avenza, nel comune di Carrara, che optò per il Piemonte, oltre che per ovvi motivi politici ed economici, anche sulla base della provenienza di molti di quegli abitanti, specie della marina, da zone liguri. Sebbene tutti coloro che, impegnati in prima persona nei governi provvisori e, per detto motivo, esclusi dalla ‚generosa‘ amnistia promulgata da Francesco IV preferirono l‘esilio in Toscana, l‘emigrazione politica dei liberali e dei democratici lunigianesi si rivolse progressivamente verso il Piemonte e colà si rivolsero pure le simpatie politiche delle élites dominanti della regione. Nel gennaio del 1859, dopo il noto discorso della Corona del 10 gennaio tenuto da Vittorio Emanuele II, si tenne una riunione segreta a Castelnuovo Magra nella quale, i responsabili del comitato carrarese e di quello sarzanese, convennero per mettere a punto con l‘emissario di La Farina, Vincenzo Giusti, il piano per l‘insurrezione di Massa e di Carrara. È interessante notare come, alla attiFin dal 1856, il La Farina iniziò per mezzo di emissari, una attiva opera di propaganda e di diffusione di opuscoli in territorio apuano e dal 1857, anno di nascita della Società Nazionale e del Piccolo Corriere d‘Italia, incontrò vieppiù il favore di numerosi personaggi del notabilato massese e della borghesia marmifera carrarese: di questa fitta rete di relazioni e propaganda fu attivo coordinatore l‘esule massese Vincenzo Brondi. Proprio sulla base

Generale Domenico Cucchiari, primo Deputato del collegio elettorale di Massa e Carrara quindi nominato Senatore del Regno nel 1865. Ritratto di Giuseppe La Farina.

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vità della Società Nazionale prendessero parte molti tra i maggiori esponenti del notabilato politico ed economico delle due città apuane, soprattutto di quello carrarese che in effetti diresse il moto risorgimentale, arricchendolo di un forte consenso popolare. La nascita del Comitato di Massa e Carrara della Società Nazionale, nella seconda metà del 1858, significò l’affiliazione di alcune migliaia di persone, soprattutto cavatori e artigiani dislocati in Carrara, nelle frazioni a monte e a valle di questa e nelle

di una precisa sollecitazione del La Farina pare che il conte

frazioni del massese nelle quali erano reclutati numerosi

Emilio Lazzoni stendesse infine una nota-appello sotto-

operai del marmo; spesso appartenenti o già appartenuti

scritto da oltre 2000 carraresi, nella quale, tratteggiando

ad associazioni mazziniane, massoniche e settarie, diffu-

abilmente il dispotismo estense, si chiedeva l’intervento di

sissime a Carrara tra il 1850 e il 1859 (ma anche dopo)

Vittorio Emanuele II. Il “grido di dolore” di Carrara, di-

essi divennero il nerbo della milizia del gen. Ribotti. Il

veniva un possibile pretesto per fare decidere formalmente

presidente del comitato era il garibaldino conte Emilio

a Luigi Napoleone l‘ingresso in guerra al fianco dei pie-

Lazzoni, appartenente ad una delle più note e facoltose fa-

montesi. Che il Piemonte fosse da tempo interessato alla

miglie di proprietari di cave e segherie; lo stesso dicasi per

annessione della Lunigiana è cosa nota e già nel ’48 aveva

Francesco Del Nero, futuro sindaco della città ed Enrico


Brizzolari, in seguito Commissario provvisorio di Carrara. Fecero inoltre parte di questo organismo: Giovanbattista Cucchiari, fratello del generale dell’esercito sardo Domenico Cucchiari, ‚eroe di S.Martino‘, primo deputato del collegio, Giovanbattista Sarteschi, appartenente ad una ricca e nota famiglia di industriali del marmo e proprietari di cave; l’avv. Andrea Passani, futuro presidente del Casino Civico; l‘avv. Giuseppe Tacca e Carlo Fabbricotti, già ardente mazziniano, fratello del futuro deputato Giuseppe e personaggio di punta dell‘economia apuana.

02. Il processo di formazione della provincia di Massa e Carrara Con l‘abbandono di Massa e di Carrara da parte del governo e delle truppe estensi il giorno 27 aprile, si aprì la delicata fase del trapasso dei poteri. Il 30 aprile 1859 Massa, Carrara e la Lunigiana estense venivano aggregati al Genovesato, e il Conte Ponza di San Martino, commissario regio di Genova provvedeva ad inviare l‘Intendente Giuseppe Campi in qualità di Sotto Commissario straordinario, il quale assunse l‘incarico il 20 maggio; ma il 17 giugno una comunicazione annunciava che, per deliberazione del Consiglio dei Ministri, la “Provincia di Massa e Carrara e della Lunigiana” doveva ritenersi facente parte del “territoriale aggregato del Ducato di Modena, dipendendo in tutti gli affari concernenti la Pubblica Amministrazione dal Governatore civile no-

Guglielmo Diana e, infine il dott. Benedetto Maramotti.

minato dal Re a reggere i paesi già componenti quel Du-

Venivano quindi utilizzati uomini fidati, già ap-

cato”. Stessa sorte toccò alla Garfagnana che, evacuata il

partenenti alla Società Nazionale o comunque notabili

22 maggio dalle truppe estensi, chiese al Buoncompagni

espressione dei liberali locali, quali i commissari di Fi-

l‘invio di un commissario regio da Firenze, e questi rispose

vizzano, Raffaele Agostini, di Aulla Giacomo Ferrari e di

di rivolgersi a Genova. A nulla valsero le reiterate richieste

Pontremoli avv. Girolamo Giuliani; uomini che puntual-

di delucidazioni avanzate dal presidente del municipio di

mente ritroveremo nelle vicende politiche ed amministra-

Castelnuovo Antonio Vittoni; il 25 maggio da Massa fu

tive post-unitarie.

inviato l‘avv. Vincenzo Giusti in qualità di commissario

Le forti spinte finalizzate a costituire una provin-

per la provincia garfagnina, al quale succederanno poi, in

cia separata per la Garfagnana erano già emerse in questi

rapida scansione temporale, Enrico Brizzolari, il Conte

frangenti, e assai abile sarà il lavoro del Giusti teso a ras-

Carrara, il Duomo.

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Massa, Palazzo Ducale loggiato interno.

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continuarono a tenere nei loro confronti un atteggiamento di sospetto“ E questa necessità di “soffocare subito le tendenze municipali le quali svegliano subito le ambizioni grandi e una volta incominciate si arresterebbero difficilmente” caratterizzò l’impronta che il governo sabaudo volle dare alle annessioni e, in specifico, l’atteggiamento che ebbero le autorità politiche del Regno nei confronti della provincia e delle sue oggettive necessità. La formazione di un entità amministrativa assai anomala quale sarà quella cui diede vita la provincia di Massa e Carrara, poggiava le sue basi sopra i forti interessi reciproci delle classi dominanti delle varie realtà del territorio. Se in parte è vero che, come ebbe a sostenere il prefetto Agnetta, che “questa provincia è la fattura dei fugaci ed esigui dittatori dell‘Italia centrale del 1859, non ha euritmia alcuna” tale interpretazione non può essere assunta a dettato generale, quasi che tale ordinamento, risultato del processo risorgimentale e in un certo senso veramente “banco di prova per le annessioni al regno sabaudo dei

Carrara, monumento a Beatrice D’Este. Massa, la seicentesca fontana del “Battì”.

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sicurare che tale indicazione sarebbe stata rispettata; così

territori già appartenenti agli stati italiani preunitari” sia

dicasi per il pontremolese, il quale ambiva a restare parte

frutto del caso e non di una precisa visione politica pro-

della provincia di Parma.

pria dei moderati. Molti autori locali si sono soffermati sul

Sarà Luigi Carlo Farini a dare l‘impronta definitiva

tema della “anomalia” della provincia di Massa-Carrara;

alla struttura amministrativa della provincia. Governatore

spesso hanno esaminato il problema dal semplice punto di

prima delle provincie modenesi e poi Dittatore dal 28 lu-

vista locale, senza porre mente alla generalità di un proble-

glio, egli si adoperò anche con numerose forzature dovute

ma, quello del riordino amministrativo del paese, ben più

alla situazione di impasse che si era creata in conseguen-

complesso e contraddittorio. Certo, la formazione della

za ai patti di Villafranca, al fine di raggiungere l’obiettivo

provincia di Massa-Carrara, che viene generalmente ri-

dell‘unificazione dell‘Emilia al Piemonte, e il suo operato

condotta alle scelte intercorse sotto la dittatura del Farini,

scaturì nello stabilire per i giorni 10-12 marzo 1860 la data

ricalcava un‘area tutt‘altro che omogenea, o quantomeno

dei plebisciti nelle provincie emiliane.

omogenea per la sola vicinanza geografica e per la comune

Dei 36.814 iscritti della provincia votarono in 23.584, di cui 23.492 a favore dell‘ annessione alla monar-

frantumazione dei confini e delle vicende storiche, tipica dei territori dei cessati governi.

chia costituzionale del Savoia, ma nonostante ciò le auto-

La scarsa viabilità e la generale difficoltà delle co-

rità piemontesi, come ha giustamente notato il Mori non

municazioni nella regione ne rendevano ancora più ardua

furono mai particolarmente convinte „della sincerità dell‘

l‘unificazione amministrativa. Ma crediamo essere questa

adesione alla causa monarchica dei liberali lunensi, per cui

situazione non molto dissimile da quella di numerose altre


provincie. È pacifico, infine, come, nei primi anni succes-

ex territori granducali di Fivizzano e Casola, gli ex feudi

sivi l‘unificazione, fosse stata perseguita, dai governi po-

imperiali di Aulla, Calice al Cornoviglio, Tresana, Roc-

stunitari, una semplicistica operazione di giustapposizione

chetta di Vara, Podenzana, Albiano e Licciana, detti dal

degli ordinamenti sabaudi sopra il precedente tessuto am-

1847 Lunigiana estense; il circondario di Pontremoli, con

ministrativo. Ne può essere esempio il mantenimento, per

Pontremoli, Mulazzo, Bagnone, Filattiera, Zeri e Villa-

un buon lasso di tempo ancora, dei numerosi e differenti

franca, appartenenti allo stato dei Borbone di Parma; il

catasti esistenti in provincia, (da quello lucchese a quello

circondario di Garfagnana, con a capo Castelnuovo, già

estense, a quello toscano), il mantenimento sotto la giu-

Garfagnana estense, accorpato alla provincia di Massa e

risdizione giudiziaria della Corte di Appello di Genova

Carrara a partire dal 1 gennaio 1861 e facente parte, fino a

di tutte le magistrature della provincia, dalla pretura di

quella data, del Modenese.

Gallicano al Tribunale di Massa, in virtù della annessione del ’59.

Massa, veduta delle Apuane dalla strada del Passo del Vestito che conduce in Garfagnana.

Stando ai dati pubblicati in occasione del censimento del 1881, la provincia di Massa e Carrara misurava

La definizione dei circondari e delle sottoprefetture

1779,91 Kmq. Il circondario di Massa Carrara, compren-

non sulla base di un razionale disegno di omogeneità ter-

dente anche alcuni comuni della bassa Lunigiana e della

ritoriale, bensì ricalcando le tre ripartizioni circondariali

Lunigiana orientale, misurava 871,37 Kmq, quello di Ca-

precedenti l‘annessione, aggiunse ulteriori elementi di di-

stelnuovo Garfagnana 476,83 Kmq e quello di Pontremoli

squilibrio nella struttura della pubblica amministrazione:

431,71 Kmq. La popolazione, sempre secondo i dati del

il circondario di Massa-Carrara, comprendente l’ex-prin-

censimento, assommava a 169.469 unità. Oltre l’80% del

cipato dei Cybo-Malaspina (Massa, Carrara, Fosdinovo)

territorio era montuoso, compreso tra la catena appennini-

l‘ex territorio della repubblica lucchese, Montignoso, gli

ca e le Alpi Apuane, scarse le zone pianeggianti, perlopiù

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Villafranca Lunigiana, borgo e castello di Malgrate.

di fondovalle e la breve striscia costiera subito rotta da alte colline. In questo scenario impervio, scarse erano le vie di comunicazione, se non mulattiere colleganti l‘infinita miriade di paesi e borghi medievali che costellavano l‘intiera provincia: 396 frazioni compresi i centri maggiori senza contare la sessantina di piccole località composte di poche case e riportate unitamente alle frazioni maggiori! 89 erano le frazioni censite nel circondario di Pontremoli, 155 in quello di Massa e Carrara, 152 in quello di Castelnuovo! La provincia, dal punto di vista amministrativo era suddivisa in 14 mandamenti e 35 comuni. Inizialmente, nel 1861, i comuni erano 37, ma in seguito furono soppressi i comuni di Albiano e Terrarossa, assorbiti rispettivamente nei comuni di Aulla e Licciana.

03. Classi sociali dominanti e formazione dei corpi elettorali politici e amministrativi Fatta eccezione debita per i centri più importanti, nelle campagne l’elettore politico di questo periodo, era il cittadino maggiorente, sia esso contadino benestante, prete o nobile di campagna, la cui casa si stagliava e distingueva tra la massa di bassi e malsani edifici, frutto di secoli di umanizzazione del territorio. Il notabilato politico delle prime amministrazioni locali postunitarie è, più o meno, lo stesso presente nelle municipalità del decennio precedente l’unificazione, eccezion fatta per la necessaria scrematura degli elementi più legittimisti e retrivi. A questi andarono ad aggiungersi o a sostituirsi elementi liberali-democratici o ex-garibaldini. La situazione della rappresentanza amministrativa nei piccoli centri delle campagne lunigianesi e garfagnine, non si discosta molto dalle indicazioni espresse poco sopra, al punto tale che in aree a cavallo dell’Appennino, la predominanza di un elettorato contadino molto legato all’orientamento clericale, appare distintamente nelle occasioni del voto amministrativo al punto che risultano

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senza nella élite del notabilato locale e quindi, alla diretta cointeressenza nella amministrazione della cosa pubblica. Filattiera, abside e facciata della Pieve di Sorano. Licciana Nardi, borgo e castello di Bastia.

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assai numerosi i parroci lunigianesi eletti nei consigli comunali. Tale fenomeno deve essere inquadrato in una diversa lettura del movimento cattolico in provincia che data la sua prima comparsa organizzativa nei primi anni ’70 e

In Garfagnana, invece, al parroco si sostituisce la figura del notabile locale, decisamente clericale al punto da essere più volte richiesta la sua rimozione da parte dell’autorità politica. L’unica peculiarità nelle vicende amministrative

non, come si vorrebbe, negli anni immediatamente succes-

provinciali è data dal comune di Carrara, che fin dai primi

sivi l’unità nazionale. Nel primo decennio unitario la pre-

anni si distinse nettamente rispetto agli altri grossi centri

senza clericale deve essere distinta in due diverse correnti,

della regione.

una, di carattere legittimista legata al vescovado massese (e

La lotta amministrativa in quel comune fu caratte-

castelnovese in particolar misura), minoritaria e ripiegata

rizzata dallo scontro tra la vecchia aristocrazia marmifera

in una posizione di ostilità rispetto lo stato liberale, l’altra,

e la nuova borghesia capitalistica che, dagli anni ’50 aveva

assai più diffusa, di impegno, specie a livello amministrati-

iniziato la sua inarrestabile ascesa. In un secondo tempo,

vo, facente capo a numerosi parroci che, in piccoli e medi

alla fine degli anni ’70 la lotta si trasferì tra i liberali del-

comuni rurali, non rinunciarono per nulla alla loro pre-

la moderna borghesia marmifera e la democrazia radicale,


Licciana Nardi, suggestivo panorama con al centro il castello di Monti.

che rappresentava principalmente i ceti artigianali e ope-

Nel 1865 dei diciassette sindaci dei comuni della

rai della città. La nomina regia del sindaco avveniva sulla

Garfagnana, ben sette erano in possesso di una laurea e

base di una proposta prefettizia tendente ad indicare una

uno di un titolo nobiliare; si proponeva una lista in cui i

persona di vocazione governativa e, nel contempo, gradita

possessori di un titolo accademico assommavano a 10 e, la

in loco estrapolata dai componenti il consiglio comunale

maggioranza dei giudizi a tergo espressi dal sotto prefetto

che, sulla base della legge comunale e provinciale veniva

Della Nave sui sindaci in carica, variavano tra “l’attuale

generalmente rinnovato parzialmente, quando non inter-

non gode di fiducia”, “non soddisfa gli amministrati”, “è

venissero le dimissioni della maggioranza dei consiglieri o

di carattere debole” e “l’attuale è uscito dal consiglio”, “è

questo fosse sciolto d’autorità da parte del prefetto.

dimissionario”; solo due erano quelli indicati come i mi-

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Mulazzo, panorama dell’ingresso al borgo. Sullo sfondo la torre di Dante.

gliori elementi. Dalla lista appare inoltre quanto sia stretto

professionale o un titolo formale, da aggiungere alla solida

il rapporto tra il notabilato locale e il ricoprire una carica

posizione sociale della famiglia. Non c’era consiglio che

amministrativa, carica concepita come dovere da espletare

non possedesse almeno due membri laureati e che, la loro

verso lo stato ma anche come occasione di trarne un per-

distribuzione sul territorio non corrispondesse alla precisa

sonale interesse. Una domanda legittima può essere quel-

locazione del centro delle loro proprietà od interessi, per

la relativa a chi fossero gli eletti nei consigli comunali, se

cui venivano spesso indicati come “capo della più nota fa-

possedessero o meno titolo di studio, quale la condizione

miglia del paese”.

sociale e quale, infine, il giudizio che ne veniva dato. A questa domanda è possibile rispondere attraver-

circondario pontremolese, dove ai possidenti si avvicen-

so la disamina di una serie di documenti compilati dai vice

davano negozianti, impiegati di pubblici uffici, professio-

prefetti e sottoposti al vaglio dell’autorità politica riguar-

nisti ma anche tintori e fabbri ferrai e parroci, segno di

danti i sindaci e i consiglieri di tutti i comuni componen-

una situazione sociale più fluida, almeno nel capoluogo del

ti la provincia. Molti dei nomi indicati, i Paoli Puccetti,

circondario. L’età media era intorno ai 50 anni, più o meno

i conti Carli e De Nobili, i Giovannoli, il Lorenzetti, il

come in Garfagnana, con una tendenza a diminuire nei

Raffaelli li ritroveremo puntualmente in occasione delle

centri rurali.

vicende politiche di quel collegio. La prima indicazione della condizione sociale era

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Leggermente più differenziata la situazione del

Anche qui, la composizione media dei consigli, vedeva prevalere i “possidenti” con due tre nobili e laureati.

quella di possidente, che ci dice ben poco su quelle che

Riferendoci a quanto detto, circa la presenza del

in realtà erano le attività dei soggetti in questione e, la

clero nelle amministrazioni, il caso limite è fornito dal co-

semplice indicazione di un titolo accademico, raramente

mune rurale e montano di Zeri, dove nel 1865 ben 5 sa-

ci illustra se tale titolo era una vera e propria condizione

cerdoti sedevano sui banchi del consiglio comunale e due


ricoprivano pure la carica di assessore! Segno di una scel-

rurale, fatta dal medico chirurgo, dal veterinario, dal far-

ta di rappresentanza motivata da interessi di frazioni del

macista, il prete e l‘avvocato si riscontra in altri comuni

comune o appartenenza di questi sacerdoti a famiglie del

quali, ad esempio, quelli di Rocchetta Vara, Casola Lu-

locale notabilato?

nigiana, Terrarossa e Fivizzano, sebbene in quest‘ultimo,

Resta il fatto che, anche in queste liste, non solo

la rappresentanza sociale non comprenda muratori, fabbri

sono rappresentati coloro che hanno precisi interessi nel

ferrai, contadini e mugnai come nei piccoli comuni rurali

comune, quali il 27enne Dott. Nicolò Quartieri, assesso-

nei quali, mettendo le qualità professionali in relazione a

re del comune di Bagnone, ma tutta quella varia rappre-

l’età si può supporre che, determinate figure godessero di

sentanza di una élite locale che, per più di un ventennio,

un qualche prestigio particolare all’interno della comunità

ricorrerà in occasione di scelte politiche ed economiche

civile, di un carisma tipico dei valori della società contadi-

della regione (il dott Girolamo Giuliani, il Cav. Eleonoro

na, non in diretta relazione con una precisa e diversa con-

Uggeri, il Razzetti Domenico, il dott. Albertosi Giambat-

dizione di classe e di ceto rispetto gli altri elettori.

tista, il Marchese Dosi Giancarlo, il Cimati Pasquale, il

In Fivizzano l‘elenco riguarda solo professionisti e

dott. Leopoldo Gromola, il dott. Remigio Coppini etc. di

“possidenti”; possidenti quali il cinquantunenne avv. Coja-

Pontremoli; il dott. Quartieri Nicolò, il dott. Bicchierai

ri Vincenzo, proprietario della più importante e moderna

Luigi e il Conte Stefano Nocetti di Bagnone; i Marchesi

filanda serica della provincia, o l’avv. Pietro Francini e il

Malaspina di Villafranca ecc.).

Conte Paolo Fantoni, già candidati alle elezioni politiche

Più o meno le stesse considerazioni per quanto

Malgrate, torre castellana e ippocastano centenario.

del ’60 e del ’61.

concerne i restanti comuni della Lunigiana, appartenenti

Carrara rappresenta a tutti gli effetti una eccezio-

al circondario massese ma separati dal punto di vista del

ne in quel panorama delle amministrazioni locali con una

collegio elettorale. La combinazione tipica del notabilato

fortissima prevalenza di “negozianti”, dove per negozian-

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Carlo, Giromella dr. Pietro, Marchetti Agostino, Pasquali avv. Epaminonda, Passani avv. Andrea, Pelliccia prof. Ferdinando, Sarteschi cav. Carlo, Tacca avv. Giuseppe, Tenderini Conte Franco: tutti nomi che caratterizzeranno le vicende locali, presenti in tutte le determinazioni del potere ma, nel contempo, espressione delle contraddizioni interne alla elite dominante, espressione del conflitto tra vecchia aristocrazia e nuovi baroni del marmo che porterà in seno le ragioni di un quindicennio di movimentate vicende amministrative e politiche. La legge del 6 luglio 1862 provvedeva al riordino delle Camere di Commercio già esistenti ridefinendone compiti ed orientamenti nella struttura amministrativa ed economnica del nuovo regno. Con il regio decreto del 31 agosto 1862 venivano istituite 13 nuove Camere di Commercio, tra queste la Camera di Commercio di Carrara. Il primo ventennio di attività della Camera fu contraddistinto dal totale predominio dei carraresi che da soli rappresentavano i due terzi dei commerci e della ricchezza del territorio. Bisogna però dire, ad onor del vero, che questa classe dirigente sebbene orgogliosa del proprio predominio, non fu ottusa e campanilista, ma lungimirante e rispettosa delle autonomie dei territori e delle città componenti la provincia: in questo fu degna erede della tradizione democratica risorgimentale. Come vedremo in maggior dettaglio in apposito capitolo, l’azione della camera nel primo ventennio postunitario, specchio fedele della borghesia marmifera e dei propri alleati (dagli esplosivisti di Pontremoli e Bagnone ai marmisti e cavatori di Massa) fu tesa alla costruzione di strutture formative (il sostegno alle scuole tecniche Pontremoli, sullo sfondo castello del Piagnaro.

te si deve intendere commerciante di marmi, ben dieci su

Calice al Cornoviglio, castello Malaspiniano.

te o degli altri ascritti con qualità professionali (avvocato,

trenta ma, degli altri otto ascritti colla qualità di possidennotaio, farmacista, scultore) si deve intendere esercenti in modo capitalistico l‘industria dei marmi.

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ed artistiche in vari centri provinciali) ed di infrastrutture (viabilità stradale, ferrovie, porto) giungendo in taluni casi a supplire con proprie risorse alle difficoltà altrui. È il caso del mantenimento, a spese della Camera di Carrara, del pilotaggio e del dragaggio della foce del Magra, posta in territorio cioè della provincia di Genova ma tradiziona-

Baratta Aristide, Binelli Lorenzo, Cucchiari Bat-

le porto naturale della marineria carrarese. Ci sono carte

tista, Del Medico Conte Alessandro, Del Nero cav. Fran-

ancora più complesse e forse foriere di interessanti svi-

cesco, Fiaschi not. Ferdinando, Lazzoni Conti Emilio e

luppi storiografici, quali il fitto carteggio tra la Camera di


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Commercio di Carrara, Walton Nepote e il comune della Spezia per la costruzione del porto mercantile in quella città, dove adesso sorgono i riempimenti di passeggiata Morin; carte dettagliate rappresentano progetto e opere

Castelnuovo Garfagnana, rocca Ariostesca. Il complesso fu acquistato dalla Provincia di Massa e Carrara nel 1865.

che veranno eseguite in un secondo momento. Fittissimi poi i carteggi con i comuni della provincia dove si assiste ad una vera e propria “evoluzione positiva” del momento amministrativo che passa da incertezze ed approssimazioni nelle risposte ai primi questionari statistici su industria ed agricoltura ad una competenza e precisione necessaria a rappresentare, specie dopo il primo ventennio, le esigenze di crescita e di affermazione delle competenze industriali, agricole e artigianali del proprio comune. A questo punto si pone legittimamente la domanda di come si caratterizzarono le amministrazioni moderate nel primo ventennio postunitario? Da un punto di vista meramente politico, in sostanza, la prima grande operazione che contraddistinse queste amministrazioni, fu quella della progressiva esclusione dell‘ elemento democratico a favore di una conciliazione, all‘ interno del blocco dei moderati, con le tendenze clericali di tanta parte dei notabili della regione. Ne sia esempio la questione sollevata in occasione delle misure prese dal vescovo legittimista mons. Berardi quando, nel 1862 aveva esercitato forti pressioni su alcuni elementi del clero carrarese, quali il canonico Vincenzo Tacca, al fine di costringere i loro atteggiamenti filo-nazionali nell’alveo di una obbedienza più rigorosa, almeno dal punto di vista formale, alle direttive del pontefice. Le reiterate e numerose proteste di tipo anticlericale, frequenti nel quinquennio‚ ’61-’65, promosse da liberali democratici, specie carraresi, valsero a poco nel contrapporsi al palese tentativo della classe politica locale di rimettere in gioco i notabili clericali appartenenti a molte delle famiglie più in vista della regione, in una soluzione di governo locale espressione di un blocco sociale e di interessi complessivamente omogeneo, sebbene dilaniato da aspre diatribe campanilistiche. E in questa direzione andava la omogeneizzazione degli interessi di quella classe dirigente che aveva scorto la possibilità di un affare im-

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Ritratto del Generale Domenico Cucchiari “eroe di San Martino”. Garibaldini in un raro ritratto fotografico. Uniforme della Guardia Nazionale del Regno.

Uniformi: dell’Artiglieria Estense, dei Dragoni a cavallo, della Fanteria Estense e della Guardia Nazionale.

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mobiliare assai fruttuoso: la vendita dei beni ecclesiastici. Sebbene andò sempre più scemando la rivendicazione di una maggiore autonomia dei comuni rispetto al centralismo del nuovo stato, la classe dirigente locale preferì imboccare la strada della mera difesa dei particolari interessi di casta, insorgendo sempre ed in forma quasi endemica contro gli aggravi della tassazione diretta, scaricando sui ceti più poveri i costi dell‘unificazione e del sostanziale mantenimento dei bilanci comunali, assai magri, corrosi sempre più dagli oneri passivi e da una gestione per nulla oculata delle finanze pubbliche, specie quando, il debito comunale o della Deputazione provinciale, diveniva una ghiotta occasione per istituti bancari nati con la partecipazione degli amministratori stessi. Tipico delle amministrazioni moderate della regione fu, infatti, il tendere ad alleggerire la tassazione sulla terra operando, di contro un forte aggravio dei dazi di consumo e della tassazione sulla ricchezza mobiliare. Predominante, per tutti gli anni ’60, fu la politica delle infrastrutture stradali che pesò moltissimo sui bilanci delle amministrazioni. Tentativo di rendere omogeneo un territorio assai diversificato, la costruzione di strade di comunicazione divenne funzionale soprattutto al sostegno e all‘ interesse di una ristretta cerchia di imprenditori e commercianti che, in tal modo, facevano ricadere sul pubblico erario i costi della gestione di arterie viarie utili ad abbattere i costi delle principali produzioni locali, quali i marmi. Il caso della via Carriona, principale arteria di collegamento tra centri di escavazione marmifera e la marina, luogo deputato per eccellenza alla spedizione dei marmi, è emblematico al fine di una corretta comprensione di questo problema: la manutenzione di questa strada costava al comune di Carrara ben 80.000 lire annue. A stento, invece, procedettero le realizzazioni delle strade obbligatorie previste dalla legge e atte al collegamento dei vari centri con la sede principale del comune o con una arteria di importanza nazionale. Ma non si deve tralasciare a questo punto il grande rilievo che in quel periodo ebbe la necessità di una “decoro-

Ritratto della famiglia Fabbricotti. La famiglia Fabbricotti a bordo dello Yact Gabriella. Villa Fabbricotti a Bocca di Magra. Spadaccini, Carlo Andrea Fabbricotti a sinistra della foto.

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Il Magra nei pressi di Terrarossa, sullo sfondo i gioghi appenninici e il Passo della Cisa.

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sa” rappresentanza delle sedi di governo e dei comuni; sedi generalmente ereditate dal cessato governo, dalla amministrazione ecclesiastica e dalle congregazioni religiose: tali sedi erano l‘immagine che il nuovo stato dava di sé stesso e delle sue strutture periferiche. Da una parte, si lasciava nella piena decadenza un grande patrimonio storico e culturale, eredità di un vivace passato, lo si ignorava o semplicemente si cercava di ricavarne un qualche tornaconto, come nel caso della vendita della fortezza di Castruccio Castracani in Avenza di Carrara, ceduta a privati nel 1868 per farne “sassi”, dall’altra si acquistava con grande dispendio di risorse la rocca ariostea di Castelnuovo per dare un segno dell’interesse della Deputazione provinciale verso i problemi del circondario garfagnino, in cronico odore di

Non dissimili le vicende caratteristiche della Deputazione provinciale. Innanzitutto il bilancio di questa divenne sempre più deficitario nei confronti del peso degli oneri patrimoniali rispetto alla percentuale destinata ai vari servizi, quali le strade, l’istruzione, la sanità. La Deputazione provinciale fu, a tutti gli effetti, un organo chiave nella omogeneizzazione delle varie élites dirigenti della provincia. Interessante notare come, nel ventennio in esame, fungesse una sorta di regola di esclusione che sottraeva a Carrara e ai suoi deputati provinciali un peso e un rilievo di sorta nella determinazione delle politiche dell’ente. Nell’analizzare le vicende della Deputazione siamo di fronte ad una sorta di blocco di alleanze tra due realtà diverse (ma socialmente

“separatismo”; o si indebitava il comune per più lustri, è il caso di Massa, al fine di costruire un teatro comunale. Nel complesso, eccezion fatta per Carrara che fin dal 1868 aveva varato un primo stralcio di piano regolatore generale, approvato poi definitivamente nel 1874 e funzionale ai primi grossi mutamenti della struttura urbana e sociale della città, le amministrazioni locali moderate, ben poco si occuparono di quelle che noi oggi definiremo “politiche urbanistiche”, e in effetti in quel ventennio la fisionomia delle principali città della regione non mutò quasi per nulla.

affini) della regione, Massa e la Lunigiana, che esercitano un ruolo di stabilizzazione e di omologazione rispetto agli orientamenti dell’autorità politica provinciale, dando maggiori segni di affidabilità rispetto all’indirizzo governativo che, sembra non fossero riscontrabili in Garfagnana, troppo percorsa da fermenti secessionisti per potere in qualche misura divenire parte di uno stabile blocco di alleanze o a Carrara, anche se questa ultima città riuscisse sempre ad esprimere il deputato del collegio. Da questo punto di vista, la Deputazione divenne, fin dai primi anni, tutore e garante dell‘unità amministra-


tiva della provincia di Massa e Carrara. Già nel 1863, una risoluzione votata dal comune di Massa, a cui faceva eco una presentata in quello di Carrara puntava alla aggregazione alla prima del circondario di La Spezia (anche sulla base di una volontà espressa da quel consiglio cittadino) e della Versilia, cedendo la Garfagnana a Lucca e dando vita ad una nuova provincia di vocazione industriale, visto che si sosteneva la comune vocazione per l‘industria marmifera e la presenza a Spezia di un buon porto. Ma il Cucchiari stesso, in una sua corrispondenza al sindaco di Carrara, sconsigliava detta eventualità sostenendo, a giusta ragione, che lo sviluppo futuro di Spezia avrebbe finito col fagocitare tutte le altre realtà. Nel ’65 fu il Giorgini, nel suo programma politico a sostenere la necessità di una annessione di Massa a Lucca, ma tale idea non riscosse interesse di sorta, piuttosto opposizione. E, nel 1870, lo stesso prefetto Winspeare sosteneva, nel suo discorso di apertura del consiglio provinciale che “la provincia di Massa e Carrara ha i suoi confini geografici abbastanza bene delineati dalla natura; ma le sue parti non hanno tra loro omogeneità alcuna. Separate corograficamente, il solo vincolo che per ora le unisce, è affatto amministrativo, e ciascuno dei suoi tre circondari, non ha relazione cogli altri che solo per disposizione di legge”. Ed è sulla falsariga di queste affermazioni che nel 1873 partì l‘iniziativa dei deputati provinciali della Garfagnana di dimettersi e sottoscrivere ancora una volta una richiesta di annessione a Lucca, motivandola colla comunanza di interessi commerciali, “affinità idiomatiche” e in sostanza, sostenendo che ci si era fin troppo dimenticati della Garfagnana, specie in occasione della discussione parlamentare sulla ferrovia Spezia-Parma, che aveva sostanzialmente eliminato il progetto di una strada ferrata da Pisa a Modena via Castelnuovo. Presidente della Deputazione provinciale era quel Quartieri, deputato del collegio di Pontremoli e cointeressato a vicende creditizie locali, e ancora una volta i nomi dei venti deputati provinciali sono quelli che, in un docu-

mento di otto anni prima avevamo trovato negli elenchi dei vari consigli comunali: Quartieri, Cocchi, Giumelli, Albertosi e Strinchini per Pontremoli; Agostini, Serafini e Barberi per Fivizzano e Aulla; Baratta, Fiaschi e Binelli per Carrara; Pellerano, Magnani e Zini per Massa; Raffaelli, Marchiò, Pierotti, Giovannoli e Landi per Castelnuovo. Non è azzardato, a questo punto, sostenere che i segni essenziali per tratteggiare un sommario ritratto delle élites politiche in provincia sono ormai in numero sufficiente. Si può trarre la ovvia conseguenza logica che, in questo primo ventennio, il consiglio provinciale e i consigli comunali, specie nelle città capoluogo di circondario, erano diventati “circoli di ottimati, ove anziché trattare problemi generali si scontravano e si risolvevano interessi particolari o risentimenti personali”. Non a caso, nel 1869, in seguito all‘attentato subíto si era dimesso immediatamente il sindaco di Carrara, Giromella; nello stigmatizzare quell’episodio e il complesso contesto nel quale doveva essere collocato, il Conte Tenderini scriveva al prefetto che le ragioni di tale situazione di divisione all‘interno del consiglio comunale erano da

L’onorevole Niccolò Quartieri, deputato del collegio elettorale di Pontremoli ritratto con i figli. Ritratto del senatore Giovan Battista Giorgini. Ritratto di Luigi Carlo Farini dittatore delle Provincie Emiliane. Ritratto del Conte Bernardo Monzoni, sindaco di Carrara nel 1861.

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Ritratti: Iginio Cocchi, Raffaele Cadorna, Conte Gustavo Ponza di San Martino, Pietro Torrigiani, Paolo Fabrizi, Niccolò Quartieri, Generale Nicala Fabrizi.

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ricercarsi nelle “scissure e controversie per cause politiche,

autonomia dal sempre più forte centralismo statale, tema

per gare commerciali, per rancori di famiglia”.

questo, caro alla propaganda elettorale di Del Medico nelle

Scissure che portarono più volte allo scioglimento

elezioni politiche del ‘65, ma caro pure alla sinistra pro-

di importanti consigli comunali, prima Castelnuovo nel

gressista e alla democrazia risorgimentale, e la fortissima

1865 e poi Carrara nel 1870, contribuendo con tale atto,

recrudescenza delle agitazioni operaie ed internazionaliste

visto come concreto contributo alla vittoria di una parte

degli anni ‘70, crearono le condizioni per una affermazione

sull‘altra, ad un periodo di forte instabilità delle ammini-

del blocco progressista carrarese che, sostenuto dal giorna-

strazioni locali e quindi ad un maggiore peso dell‘autori-

le “Lo Svegliarino” (rilevato nel frattempo da un gruppo

tà prefettizia. Ma nel caso di Carrara, lo scioglimento del

di azionisti dissidenti della Banca del Popolo di Firenze)

consiglio comunale del 1870, dovuto con ogni probabilità

e appoggiato dal “Circolo popolare educativo” conquistò

alle forti pressioni del ministro Lemmi, non si può ridur-

l’amministrazione civica nelle elezioni del 1877, indette

re alle ripetute dimissioni di ben venti assessori comunali,

per il rinnovo parziale del consiglio. Il nuovo indirizzo del-

ma alla questione che aveva provocato questa situazione di

la amministrazione cittadina si caratterizzò subito per una

scontro: il progetto di costruzione di una ferrovia marmi-

politica favorevole agli strati sociali medio-bassi della po-

fera che collegasse i bacini estrattivi con la linea ferrovia-

polazione, a partire da un programma per l’assistenza sani-

ria mediterranea e i pontili di caricamento alla marina. La

taria e per la costruzione di alloggi popolari, incentrando la

contraddizione tra la scelta del Comune, il quale aveva dato

sua azione sul riequilibrio della pressione fiscale, tassando

una concessione privata, e il competente ministero, che ne

maggiormente gli esercizi della attività industriale e sgra-

aveva avvocata una pubblica e quindi di sua competenza, a

vando la tassazione sui meno abbienti. Come vedremo in

favore di un gruppo finanziario facente capo al Marchese

altro capitolo, gli anni ottanta segnarono una svolta signi-

Lotaringio Della Stufa fu all‘origine di una situazione di

ficativa nelle strutture urbane e sociali del territorio pro-

instabilità politico-amministrativa del comune apuano. In

vinciale: mutamento dapprima iniziato a Carrara e quindi

questo quadro si colloca il complessivo “fallimento” delle

più lentamente ma altrettanto risolutamente a Massa, ad

amministrazioni moderate della regione e il loro progres-

Aulla, a Fivizzano e a Pontremoli. L’ampliamento della

sivo superamento con compagini ampiamente rinsanguate

struttura produttiva e commerciale portò all’affermarsi di

da personaggi di recente fortuna economica e politica. Ma

quell’idea un poco da “cartolina” ma non errata nella so-

il fallimento, sotto il profilo “sociale”, di quelle ammini-

stanza delle cose cose cui andiamo volentieri con il pen-

strazioni segnò l’unico fatto politico nuovo ed importante

siero quando sfogliamo libri ed albun di vecchie fotografie.

di quel primo ventennio: la conquista del comune di Car-

Nasceva una società nuova e complessa con alle spalle il

rara da parte dei progressisti nel 1877. L’incapacità delle

fatto risorgimentale e davanti, con complessità e contrad-

amministrazioni moderate nel dare risposte ai temi della

dizioni, l’obiettivo di divenire la “sesta potenza” del mondo.


PARTE PRIMA

amministrazione figurano i maggiori operatori economici ed industriali: il Conte Cesare Del Medico, Carlo Fabbricotti e il fratello di questi, Giuseppe, deputato al parlamento nazionale, che ebbe un ruolo rilevante nella fondazione di detto istituto e, in qualità di Presidente, Carlo Binelli. Quella di una banca di sconto era una vecchia aspirazione degli industriali apuani, e soprattutto una banca solida, sganciata per quello che era possibile dalle fluttuazioni delle crisi finanziarie già presenti nel decennio precedente. Il secondo statuto della Banca di Sconto di Carrara, approvato con Regio Decreto il 29 giugno 1875, prevedeva la conversione delle azioni nominative in titoli al portatore trasmissibili e apriva la sottoscrizione di nuove azioni in ragione proporzionale a quelle già detenute: 2000 azioni da lire 250 cadauna, per un ammontare di lire 500.000 con una validità trentennale con decorrenza dalla data di istituzione; lo sconto delle quote versate ammontava al 6% annuo. Infine, a partire dal 1 maggio 1875 era stato istituito il deposito pubblico. Le operazioni di cui si occupava detta banca erano: sconto di effetti di commercio, bollati, pagabili in una delle città del Regno entro 4 mesi dalla presentazione e con due firme riconosciute solvibili; sconto di lettere di cambio per l’estero, anche con una sola firma pur che solvibile, ammissibilità allo sconto di effetti fino a mesi sei; anticipazioni sopra il deposito di fondi pubblici, di buoni del tesoro dello stato e di altri titoli regolarmente emessi dalle amministrazioni governative, provinciali e comunali, sopra azioni di istituzioni di credito, di strade ferrate e di stabilimenti industriali legalmente costituiti; di fare anticipazioni sopra polizze di carico e merci depositate in luoghi convenuti tra società e mutuatari; nell’ aprire crediti in bianco ossia conti passivi; nel rilasciare credenziali, nel fare operazioni di commissioni quali l’acquisto e vendita di titoli per conto terzi, di promuovere l’emissione di azioni e di altri titoli di società in formazione, di comuni o altri corpi morali legalmente autorizzati. Ma, di importanza per le ripercussioni sul tessuto economico locale erano l’articolo 12, recitante che la banca avrebbe provveduto alla vendita degli oggetti per i quali non erano stati rimborsati i crediti, l’art. 13 “la banca potrà

Capitolo primo

Dopo il raggiungimento dell’unificazione politica della penisola, la produzione marmifera crebbe a tale punto che non è possibile non considerare l’importanza avuta, nella determinazione di tale processo, dei nuovi strumenti finanziari quali le banche di interesse, nazionali o locali. Nel bacino marmifero carrarese la produzione andò crescendo dalle 66.112 tonnellate del quinquennio 186164 alle 90.193 del quinquennio 1865-69, alle 104.378 del 1870-74 fino a raggiungere le 104.731 del 1875-79. Tale peso è ancora più rilevante se considerato in rapporto all’aumento delle esportazioni e allo sviluppo intenso dei commerci internazionali. L’importanza acquisita dalla classe economicamente e politicamente dirigente sarà sancita dalle scelte strategiche compiute in occasione dell’ insediamento della nuova struttura politica post unitaria. Non a caso, il 30 aprile 1859 Carlo Fabbricotti verrà nominato membro della giunta municipale di Carrara dal Governo Provvisorio per le Provincie Modenesi; nel 1863 egli sarà il primo presidente della succursale carrarese della Banca Nazionale, nel cui consiglio di amministrazione figureranno, tra l’altro, il Cav. Carlo Sarteschi, Carlo Binelli e il Conte Cesare Del Medico. L’apertura della succursale carrarese della Banca Nazionale in un edificio di proprietà del Fabbricotti, sancisce l’apparizione della prima grande banca di tipo moderno in tutta la provincia; mentre la Cassa di Risparmio mantiene le proprie dimensioni limitate a modesta banca popolare, rivolta al piccolo commercio e al settore artigianale non avendo avuto positivo seguito il tentativo di trasformarsi in banca di credito agrario e di risparmio operaio. Un decennio dopo, grazie al consolidamento delle posizioni economiche succedutesi agli investimenti massicci operati per l’acquisto di nuovi macchinari industriali e all’andamento del settore nel suo complesso, gli industriali carraresi giunsero alla determinazione di dare vita ad una banca propria, non controllata dall’esterno e specializzata nel credito per il settore marmifero. Approvata con R.D. n° 437 del 6 ottobre 1872, in qualità di società anonima, nel gennaio 1873 iniziava la sua attività la Banca di Sconto di Carrara; nel suo consiglio di

1 Scheda

Banche ed industria marmifera dopo l’unità d’Italia 1860-1880

35


Risposta della Direzione della Banca Nazionale di Torino alla Camera di Commercio di Carrara, 18 novembre 1863. (Archivio Storico della Camera di Commercio - Affari Generali, 1863.)

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impiegare il 10% del suo capitale per l’acquisto di fondi pubblici dello stato, prendere interesse in società anonime o in accomandita, aventi per iscopo operazioni di pubblica utilità locale o atte a sviluppare l’industria e il commercio del paese” (dove per paese si intende la città di Carrara e zone limitrofe) e l’art. 14 nel quale, a chiare lettere, si affermava che “la banca riceverà deposito di somme in conto corrente fruttifero e infruttifero; le somme ricevute in de-

posito non potranno essere impiegate in speculazioni aleatorie o di borsa, ne in operazioni di lunga scadenza”(42), prendendo così le distanze dalle speculazioni finanziarie caratterizzanti molti istituti di credito dell’ epoca. È possibile supporre, specie sulla scorta del citato art. 13 che fosse prioritario intento dei promotori dell’ istituto puntare al finanziamento della costruenda ferrovia marmifera carrarese. Dal 1873 in poi, le due maggiori banche presenti sul territorio carrarese operarono sul mercato mobiliare di tutta la provincia apuana e delle vicine zone di escavazione marmifera, quali la Versilia, divenendo strumenti di sempre maggiore importanza per lo sviluppo economico della regione. Ed è proprio la particolare posizione assunta dall’industriale banchiere che acquisisce un ruolo specialissimo rispetto agli altri operatori economici. Non solo è in grado di controllarne le situazioni patrimoniali ed i movimenti finanziari e commerciali, ma è anche in grado di dare vita a sempre nuove forme di impresa, accelerando così lo sviluppo industriale e trovando un impiego consono all’ investimento dei propri utili. Per avere un idea dell’entità della circolazione del danaro, si pensi che nel solo comune di Carrara nell’anno 1869 era stata corrisposta una somma di lire 80.000 a titolo di imposta di Ricchezza Mobile, mentre il solo comune nello stesso anno aveva introitato lire 140.000 per la tassa di pedaggio marmi, e in circa 12.000.000 di lire veniva stimato il complessivo valore dell’ esportazione marmifera apuana. Al fine di dare un quadro della vivace attività economica di Carrara, il Mori rimanda alle cifre delle operazioni compiute nel corso del 1868 dalle due banche carraresi, la Banca Nazionale e la Banca Popolare di Carrara: in quest’ultima, gli sconti assommavano a 973.272,73 lire; la Banca Nazionale emise, nello stesso anno, “biglietti ad ordine sopra Carrara per lire 1.580.370, mentre da questa città sopra altri stabilimenti della banca stessa venivano emessi biglietti ad ordine per lire 1.620.570. Gli sconti ammontarono a lire 3.675.801, le anticipazioni a lire 578.786”. Il volume della capacità finanziaria, a riprova del notevole benessere goduto soprattutto da un esiguo numero di maggiorenti, proprietari di cave, segherie, laboratori di scultura, agenzie di commercio e da poco più di 300 livellari e commercianti, si dimostra ad esempio in occasione della messa all’incanto dei beni ecclesiastici: nel 1867 in


pochi giorni furono venduti 106 lotti; la somma raccolta, 367.035,50 lire superava di ben 148.384,41 lire il valore estimativo posto a base della licitazione. Una circolazione finanziaria intimamente legata alla peculiarità dell’ industria marmifera, tale da rendere propizie le occasioni per un rapido arricchimento senza una particolare profusione di iniziativa, di ingegno o di una intelligenza versata in modo particolare al commercio. Il meccanismo che alla base regolava il commercio dei marmi era, di per sé stesso, assai semplice e per nulla distante da molte pratiche commerciali tipiche del secolo diciannovesimo: comprare o produrre ad un prezzo più basso possibile per poi rivendere in condizioni di monopolio al prezzo più alto possibile. I prezzi subivano soprattutto l’incidenza del costo dei noli marittimi, ma variavano anche a seconda delle particolari condizioni dei vari mercati e del tipo di offerta che, su quei mercati veniva espressa. Gli ordini relativi ai quantitativi e alle tipologie del prodotto, cioè marmi grezzi, segati o lavorati, venivano raccolti con largo anticipo dalle numerose succursali delle ditte più note o delle rappresentanze commerciali e fiduciarie sparse ogni dove; di contro, la spedizione delle commesse avveniva con una certa lentezza. Ciò faceva sì che le crisi economiche cicliche si potessero abbattere sul settore con uno o due anni di ritardo rispetto ad altri settori produttivi; tale periodo permetteva agli operatori di prepararsi in tempo utile e di immobilizzare notevoli scorte da fare nuovamente affluire sul mercato in un momento successivo: si immobilizzava così un capitale che, comunque tendeva ad elevare, non a diminuire il suo valore. Gli unici a pagare le spese di tali ciclicità erano gli operai, licenziati per mancanza di lavoro e i piccoli proprietari o livellari di cave che potevano contare solo sul proprio lavoro, non avendo di fatto, potere alcuno sui commerci. Non a caso, la più grossa operazione di investimento occorsa nel periodo da noi studiato fu la progettazione e la costruzione della Ferrovia marmifera, una sorta di monumento allo spirito dei tempi. Come vedremo in altro capitolo, tale vicenda fu sicuramente uno dei motivi principali della creazione di una locale banca di sconto, in contrapposizione alla Banca Nazionale. Per quanto riguarda la realtà di Massa, sebbene in quella città le strutture economiche e produttive e i commerci legati al settore marmifero non detenessero la

medesima importanza della vicina Carrara, si registrarono alcune interessanti iniziative volte alla creazione di locali istituti di credito. In un dispaccio della prefettura del 29 gennaio 1867 si sollecitava il comune di Massa a verificare la possibilità dell’istituzione di una Banca Mutua Popolare alla quale devolvere i capitali residui del cessato Monte di Pietà; operazione questa che mirava soprattutto al mantenimento di un importante strumento di assistenza a favore delle classi meno abbienti piuttosto che allo sviluppo delle arti e dei commerci. Il comune diede incarico di studiare la questione al Prof. Carlo Magenta, senza che poi ne sortissero soluzioni di un qualche interesse. La prima banca ad essere rappresentata sul territorio di quel comune nel 1865 fu la succursale della fiorentina Banca del Popolo, banca azionaria che operava su prestiti, sconti, cambiali su pegno e depositi a risparmio. Tale istituto, sebbene soddisfacesse le aspirazioni di commercianti e artigiani massesi, era diretta da alcuni locali industriali del marmo; presidente era l’avvocato Ferdinando Compagni, figlio di quel Lazzaro governatore granducale di Lucca e Siena; direttore era il Conte Paolo Guerra, imparentato col Compagni tramite la sorella di questi, vice-direttore il n.h. Cav. Giuliano Lecco. Gli altri componenti il consiglio di amministrazione erano l’avv. Giovanni Pellerano, Amadeo Valesi e Tommaso Brunetti. Ritroveremo questi personaggi nel corso delle varie iniziative bancarie massesi; e come questi possederà cariche elettive il direttore della filiale (aperta per un breve periodo) della Banca Agricola Nazionale, approvata con regio decreto il 17 marzo 1870, l’avv. Luigi Magnani, più volte consigliere comunale, sindaco di Massa e deputato provinciale. Pare invece che la nascita di una vera e propria società creditizia massese venisse caldeggiata da personaggi già partecipi in Sarzana in una “Banca Popolare” e aventi in Massa interessi commerciali, quali Giuseppe Fontana e Luigi Ferrarini che, più volte sostennero presso Giovanni Pellerano l’utilità dell’avvio di una banca. Con un rogito del notaio Giuseppe Luciani, il 15 gennaio 1873 nasceva la Banca di Massa, società anonima con un capitale nominale di lire 500.000 (effettivo di 275.000) sottoscritto in parte dal Pellerano, dall’avvocato sarzanese Cesare Betti, dal Conte Paolo Guerra, dal Cav. Italo Torri, dal Marchese Gasparo Massoni, da Cesare

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Carteggio Camera di Commercio-Banca Nazionale di Torino, 1863. Minuta di risposta camerale alla Banca Nazionale circa l’impianto di una succursale in Carrara e relazione storica sulla presenza di istituti di credito. (Archivio Storico della Camera di Commercio- Affari Generali - 23 aprile 1863.)

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Ascoli, Emilio Bargiacchi, dagli avvocati Magnani e Valesi e da Tommaso Brunetti, i quali lasciarono i loro incarichi presso la Banca del Popolo. Presidente della banca era Giovanni Pellerano, e alle più importanti famiglie massesi furono assegnati i posti nel consiglio di amministrazione: tra questi i conti Paolo ed Ernesto Guerra e Ferdinando Compagni; l’anno successivo sarebbero entrati il carrarese Giovanni Battista Cucchiari, Luigi Pincellotti, Giuseppe Ascoli, Cesare Dello Strologo ed Eligio Giacomini. Bargiacchi e Brunetti svolgevano il ruolo di sindaci, affiancati nell’ anno successivo dagli ultimi due citati sopra. Il legame profondo tra questa ristretta elite e la po-

litica locale appare palesemente quando, sulla scorta della loro presenza nella amministrazione comunale e nella deputazione provinciale viene affidato a detto istituto creditizio la gestione e la custodia dei fondi di quelle amministrazioni, delegando alla Banca di Massa il servizio di tesoreria, e nel 1875 sarà aperto in piazza Aranci, nel centro storico di Massa dove in definitiva si concentravano le maggiori attività economiche della città, uno sportello bancario rivolto alla raccolta del risparmio privato. Sebbene i bilanci presentati dall’istituto appaiano più che mai attendibili, l’entità dei profitti era piuttosto bassa. Ma soprattutto bisogna notare la particolarità di


questo istituto, diretto a tutti gli effetti dal Pellerano che collocherà all’ interno il nipote Cesare Carlo Alberto, per diversi anni direttore di detto istituto e il nipote Silvio, avvocato, Sindaco di Massa e poi Deputato e Senatore del Regno. È probabile, quindi, che la nascita dell’istituto massese sia da collegarsi con la nascita della Banca di Sconto di Carrara, quasi ad emularne la strategia finalizzata ad una crescita dell’industria dei marmi massesi. Nel 1876 la Banca di Massa era stata coinvolta nel fallimento della ditta di Marmi di Paolo e Michele Guerra, della ditta di Marmi di Filippo Ciotti e Carlo Castiglioni e della ditta di tessuti di Geremia Dello Strologo. La banca fu salvata dal prestigio e dal patrimonio del Pellerano nonché dall’intervento della ditta bancaria “Zolezzi Benedetto” di Lavagna e da quello della Banca Nazionale di Carrara. Infine, nel 1875 nasce la “Banca Lecco&Guidoni”, società in accomandita semplice, capitale nominale lire 240.000, sottoscritto per lire 30.000 da Giuliano Lecco e per altre 30.000 dal Conte Carlo Guerra fu Paolo e da Paolo Guidoni fu dr. Luigi, ambedue con la qualifica di “responsabili in solido”. Vi concorsero Antonio Querni, esattore a Carrara, il fratello Carlo Querni, Antonio Razzoli e il dr. Niccolò Quartieri, tutti di Bagnone. Quest’ultimo per tre volte presidente della amministrazione provinciale e poi deputato del collegio di Pontremoli e senatore del regno. La restante quota di lire 30.000 venne impegnata dal Cav. Raffaello Raffaelli, già governatore di Massa sotto il cessato governo. Una banca non solo nata e concepita all’ interno del ‘palazzo rosso’ della amministrazione provinciale, della quale, come si è detto, è presidente il Quartieri e segretario il Raffaelli (suocero del Paolo Guidoni, il quale gode di un discreto patrimonio immobiliare) ma soprattutto una banca che raccolga quei personaggi del notabilato locale avulsi, se non ostili, agli industriali del marmo. Infine, nel 1875, la Banca del Popolo cederà al Quartieri le proprie dipendenze di Massa e di Pietrasanta, mantenendo le sedi di Carrara e Castelnuovo Garfagnana. Anche la “Lecco & Guidoni”alla fine degli anni ‘80 sarà travolta dal crack bancario di quegli anni, e sarà liquidata con un disavanzo notevole che, nel 1883, ammontava già a circa 150.000 lire. Nella provincia apuana si verificò quella “crescente concentrazione finanziaria conseguente all’estensione del giro di affari e di compenetrazione con l’apparato statale”

di cui parla il Coppini nel suo saggio sulle banche fiorentine. La differenza sostanziale sta però nella arretratezza dello sviluppo di un autonomo settore creditizio apuano rispetto alla restante realtà toscana, anzi ad una vera e propria dipendenza iniziale di questo da quello. Non è un caso che la prima banca ad essere fortemente presente nel tessuto economico carrarese fosse la Nazionale Toscana, frutto della fusione delle due banche di Sconto, quella fiorentina e quella Livornese. Con ogni probabilità la questione della apertura di una succursale della nazionale fu trattata dal Fabbricotti, il quale a Livorno possedeva, insieme al fratello, una avviata casa di spedizione di marmi e, naturalmente, i necessari contatti con gli ambienti finanziari di quella città ed essendo, seppure in secondo piano, interesse di quella banca intervenire nei vari settori industriali, specie minerari. Con ogni probabilità, infine, la presenza della Nazionale Toscana era motivata dal grosso affare rappresentato dalla ventilata costruzione della Ferrovia Marmifera Carrarese e dal forte cointeressamento della B.N.T. con le costruzioni ferroviarie; e anche in questo senso può essere letta la costruzione del raccordo tra il tronco principale della Genova-Roma e la città di Carrara, voluta fortemente dai proprietari di cave carraresi e caldeggiata in parlamento dal deputato del collegio Gen. Cucchiari e dal deputato del collegio di Pontremoli Giuliani. Infatti le “Romane”, in quanto appaltatrici del tratto Massa-La Spezia per conto delle “Liguri” dovettero accollarsi la costruzione di quel tratto che, come dall’art.80 della convenzione del 1860 stipulata tra il governo e le Liguri, era prevista, ma non si voleva realizzare. I lavori furono appaltati il 6 maggio 1863, come risulta da una lettera del deputato Pietro Torrigiani al Cucchiari. Nell’arco di un solo decennio però, mutarono le condizioni sostanziali dell’ intesa prima raggiunta, e la rottura tra il gruppo di industriali cappeggiato dal Fabbricotti e la B.N.T. non avvenne solo su problemi di impostazione oggettiva dell’istituto bancario, con una vocazione alla speculazione finanziaria quello e con una precisa di finanziamento alla attività industriale l’istituto voluto dagli industriali carraresi. Il grosso nodo dello scontro fu proprio sulla costruzione della Ferrovia Marmifera che, alla lunga si dimostrò un vero affare per gli industriali del marmo i quali razionalizzarono la produzione marmifera, e un grosso problema, una esposizione di parecchi milioni per la

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B.N.T. nei confronti dei suoi creditori: il Credito Mobiliare dello spregiudicato Bastogi, la Banca Anglo-Americana e la Banca Agricola Italiana. Sebbene in linea di massima gli industriali carraresi non rifuggissero dal partecipare in maniera sporadica a società azionarie o creditizie esterne alla città, la loro vocazione prioritaria rimase il mantenimento di una forte egemonia sull’industria marmifera, anche da un punto di vista creditizio. Non paiono essere molti, in Toscana, gli industriali-banchieri come i carraresi che nel periodo successivo gli anni ‘70 caratterizzarono l’economia e la finanza locale. A Massa invece, la presenza della Banca del Popolo, che vedeva a Firenze azionisti quali D’Ancona, Mangani e Servadio e la collaborazione di noti democratici quali il Dolfi che tanta parte ebbe nella nascita del movimento democratico apuano, mantenne la sua vocazione di istituto in bilico tra affari e beneficienza, derivazione di quell’ambiente aristocratico toscano cui erano molto vicini i notabili massesi, come si vide incidentalmente in occasione della elezioni del ’65 e nella presa di posizione favorevole al Giorgini. Gli esperimenti intrapresi per dare avvio a istituti di credito locali si collocano maggiormente nel tumultuoso mondo delle banche del periodo e non producono, in definitiva, interventi significativi per un deciso sviluppo dell’industria massese che rimarrà, fatte alcune debite eccezioni, sostanzialmente al palo rispetto alla consorella carrarese. L’avere sommariamente tratteggiato questo aspetto, così disertato dalla storiografia locale eppure così importante per cogliere l’essenza della struttura del potere della élite dominante dell’ epoca aggiunge qualche tessera in più al difficile compito di ricostruire il mosaico del profilo delle classi dominanti del secolo scorso.

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Parte Prima

Capitolo SECONDO

La nascita e i primi importanti atti della Camera di Commercio e Arti di Carrara Adunanza del 24 gennaio 1863 “ore 4 pm nella sala dell’istituto tecnico”. Richiesta alla Onorevole Accademia degli Animosi di poter usare i loro locali per l’ufficio di segreteria camerale. (Archivio Storico della Camera di Commercio - Registri Verbali, 1863.)

Il 6 luglio 1862 venne approvata in via definitiva

con una buona dose di autonomia: prima della istituzione

dal Parlamento del regno, la legge riguardante il riordino

delle Camere questa rappresentanza era limitata alle socie-

delle Camere di Commercio e Arti. L’ obiettivo era quello

tà economiche, ai club o alle poche istituzioni economiche

di organizzare capillarmente un sistema di rappresentanza degli interessi economici territoriali. Le Camere di Commercio detenevano il monopolio della rappresentanza degli interessi dei ceti produttivi borghesi e la esercitavano

derivate dalle tradizioni di singoli territori.1 Per rispondere a pressioni di varia natura il numero delle Camere di Com1.  Vedi Unioncamere, Il sistema camerale tra imprese e istituzioni, a 150 anni dall’Unità d’Italia, Roma 2011. G. Sapelli, in Storia dell’Unione italiana delle Camere di commercio (1862-1994), Unioncamere-Rubettino, Roma-Soveria Mannelli 1997.

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Il brevetto presentato e registrato dalla Camera di Commercio: il “Martino” (“vero nome prepulsore”) realizzato dal fabbro Stagi Carlo per movimentare i blocchi di marmo in cava (Archivio Storico della Camera di Commercio, 1871.)

mercio fu elevato portate dalle 26 esistenti alle 58 previste dal decreto. Utilizzando il criterio del principio della maggiore importanza economica e commerciale (cui non sempre corrispondeva la maggiore importanza di una città nella gerarchia amministrativa)2 la creazione delle Camere avrebbe portato come risultato il riequilibrio dei poteri locali effettivi. Accanto al compito di organizzare la rappresentanza degli interessi, alle nuove Camere erano state confermate le funzioni che le avevano caratterizzate già in “antico regime” ed in epoca napoleonica: raccogliere informazioni di natura economica e commerciale e rappresentarle presso il Ministero della agricoltura, industria e commercio e rappresentare esigenze, proposte o suggerimenti provenienti dai loro territori finalizzati a favorire interventi di stimolo sull’economia locale, sulla formazione scolastica e professionale capaci sostenere e radicare nei suoi termini economico-sociali il complesso processo di unificazione. La Camera di Commercio e Arti di Carrara fu ufficialmente costituita il 31 agosto 1862. Veniva istituita unitamente a quelle dell’Aquila, di Ascoli Piceno, Cagliari, Caltanissetta, Girgenti, Modena, Portomaurizio, Ravenna, Reggio nell’Emilia, Salerno, Sassari e Teramo. La “Camera di Commercio e Arti di Carrara” ebbe da subito questa denominazione con rela-

tiva giurisdizione su tutta la Provincia di Massa e Carrara; scelta ovviamente dettata dal fatto che la città dei marmi, per popolazione e sviluppo economico, era il centro più importante del territorio provinciale.3 In quanto enti elettivi e non di nomina le Camere di Commercio ed Arti dovevano eleggere da un minimo

Regio Decreto del 31 agosto 1862, in Archivio CCIAA MassaCarrara, rappresenta il documento camerale più antico dell’archivio. Vedi anche Guida agli Archivi storici delle Camere di commercio italiane, a cura di E. Bidischini e L. Musci, Roma 1996.

3.  2. L. Gaddi, Camera di commercio, in Enciclopedia giuridica italiana, Società editrice libraria, Milano 1903.

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Lista degli elettori camerali del comune di Piazza al Serchio, 7 settembre 1863. (Archivio Storico della Camera di Commercio, 1863.)

di nove fino ad un massimo di 21 membri componenti il consiglio camerale tratti da una lista elettorale commerciale dei soli aventi diritto. Alla Camera di Commercio ed Arti di Carrara fu assegnato un consiglio composto da nove membri. La metodologia per la elezione adottata dalla legge prevedeva il raggiungimento di una maggioranza relativa e quindi sarebbero risultati eletti quei candidati che avessero raccolto più voti nell’ambito della consultazione. I componenti il consiglio eletti dovevano, a loro volta, scegliere al loro interno un Presidente ed un Vicepresidente, con votazione a scrutinio segreto fino al raggiungimento della maggioranza assoluta fino alla individuazione delle due cariche. Il Presidente della Camera di Commercio e Arti in quanto legale rappresentante dell’ente camerale aveva

il compito di convocare e di presiedere alle adunanze del consiglio, proporre gli indirizzi e gli atti camerali e, infine, verificare e firmare la corrispondenza dell’ente. Per legge erano elettori ed eleggibili tutti gli esercenti commercio, arti od industrie, i capitani marittimi, i capi o direttori di stabilimenti ed opifici industriali ed i gerenti delle società anonime ed in accomandita che avevano sede nel comune; i figli o i genitori che avessero la delega richiesta, le vedove e mogli separate dal proprio marito che fossero mercantesse o proprietarie di opifici industriali. Infine, regola non di poco conto, gli stranieri che da almeno cinque anni esercitassero il commercio o le arti ed avessero le condizioni richieste per l’iscrizione nelle liste elettorali politiche. Le Camere di Commercio ed Arti, sebbene dotate

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Lista degli elettori camerali del comune di Villafranca, 7 settembre 1863. (Archivio Storico della Camera di Commercio, 1863.)

di una certa autonomia rispetto al governo centrale e alle due rappresentanze territoriali quali le prefetture, non erano amministrazioni periferiche dello stato bensì enti pubblici territoriali: “l’ingerenza” governativa si faceva sentire più intensa proprio in materia di controlli che erano assai severi e minuziosi. Il Decreto del 13 novembre 1862 assegnava alla Camera di Commercio e Arti di Carrara il numero di nove componenti il consiglio. Furono stabiliti seggi elettorali a Carrara, a Castelnuovo Garfagnana e a Pontremoli, in corrispondenza con i circondari componenti la provincia. Stabiliva quindi il giorno delle elezioni generali nella giornata del il 14 di dicembre 1862.4 Il 14 dicembre, presso la sala 4.  Ricordiamo che la scelta della città di Carrara come sede della Camera fece accrescere ulteriormente la rivalità di questa con la città di Massa, come testimonia anche

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del Consiglio del palazzo comunale di Carrara, situato in via del Plebiscito ( così da poco rinominata ma ancora nota come via del Suffragio) fu insediato l’ufficio per l’elezione dei membri che avrebbero composto il consiglio della Camera di commercio. Il seggio cittadino aprì le operazioni di voto alle ore 10 antimeridiane. Erano presenti il Conte Carlo Lazzoni, il notaio Ferdinando Fiaschi, Jacopo Stretti, Eugenio Baratta, Francesco Livi: il primo in qualità di presidente del seggio, gli altri quattro come scrutatori e infine Achille Brizzi che svolgeva le mansioni di segreteria.5 Concluso l’appello nominale alfabetico della lista una disputa politica successiva; infatti Il 18 giugno 1865 il Consiglio comunale di Carrara incaricava la giunta di chiedere, al Governo del Re, che la denominazione presa dalla città di Massa, di Massa-Carrara, che si era ormai verificata, venisse modificata in quanto cagionava non lieve danno al commercio carrarese. 5.  Vedi cronologia Atti da miscellanea 1863-65 busta 1.


Lista degli elettori camerali del comune di Gallicano, 7 settembre 1863. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

elettorale generale contenente i nominativi dei 185 elettori

Vara era una fotografia esatta della classe dirigente politica

aventi diritto, iniziarono le operazioni di voto. Si presen-

ed economica della società italiana dopo il processo di uni-

tarono alle urne solo 62 aventi diritto. Nel singolo voto era

ficazione nazionale.

possibile esprimere un massimo di nove preferenze nomi-

A sua volta, l’attenta analisi di queste liste getta luce

native: ecco il motivo per cui dai documenti archivistici re-

sulla struttura sociale e sulla composizione delle liste elet-

lativi questo importante evento risultano oltre cinquecento

torali politiche, svelandoci così un universo umano, men-

preferenze espresse a fronte di un così modesto numero di

tale e politico e comportamentale dell’Italia post-risorgi-

votanti.

mentale.

A Carrara e negli altri seggi gli elettori componen-

Come si è detto poco sopra, dopo un’ora dal termi-

ti la lista camerale furono tratti in ragione del censo dal-

ne del primo appello il presidente Conte Carlo Lazzoni

le sole liste elettorali politiche dei comuni componenti il

procedeva alla seconda chiamata di rito. Concluse quindi

circondario di Massa e Carrara. La lista composta da 114

le operazioni di voto si procedeva allo “squittinio” con l’a-

carraresi, 40 massesi, 7 di Montignoso, 4 di Fosdinovo, 6

pertura dell’urna. Lo scrutinio delle 62 schede votate diede

di Albiano, 11 di Fivizzano, 1 di Aulla e 2 di Rocchetta

il seguente esito:

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Esposizione Universale di Parigi, 1867. Sotto Commissione con sede a Carrara presso la Camera di Commercio ed Arti di Carrara, lettera di protesta dei fratelli Sarteschi per il ritardo della spedizione a Livorno del blocco di bianco destinato alla Esposizione. A fianco: Lettera datata 26 novembre 1867 e protocollata il 27 indirizzata al Presidente Nicolao Lazzoni dallo spedizioniere Henderson di Livorno con notizia circa il rientro del “Regio trasporto Città di Napoli da Marsiglia previsto per il 10-15 decembre” con gli oggetti esposti a Parigi. (Archivio Storico della Camera di Commercio. Esposizione Universale. 1867.)

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1. Fabbricotti Carlo .

.

. voti 42,

ma del presidente Cybeo. Risultarono eletti solo consiglieri

2. Walton Guglielmo .

.

. voti 26,

carraresi, poiché l’inglese Walton era carrarese d’adozione,

3. Bonanni Vincenzo . . . voti 25,

e risultarono eletti solo i membri della moderna borghe-

4. Baratta Giovanni .

.

. voti 24,

sia capitalistica, non i rappresentanti di quella tradizione

5. Passani Avv.to Andrea

.

. voti 23,

“aristocratica” che andavano via via soccombendo, letteral-

6. Fabbricotti Ferdinando .

. voti 20,

mente ingoiati dai moderni “baroni” del marmo. La cosa

7. Lazzoni Conte avv.to Nicolao . voti 20,

non deve meravigliare dato che l’elenco dei contribuenti

8. Tacca avv.to Lorenzo

.

. voti 20,

carraresi alla tassa camerale era composto da ben 416 unità

9. Cucchiari Gio. Battista .

. voti 19.

e le elezioni si tenevano in quella città.

Il risultato della consultazione, fu certificato dal tri-

Questi documenti, apparentemente aridi, se letti

bunale del circondario di Massa il 29 dicembre 1862, a fir-

tra le righe ed incrociati con altre fonti storiografiche e do-


Copia di ricevuta datata 10 febbraio 1867 relativa al pagamento di lire italiane trenta per il lavoro straordinario notturno di carico blocchi per la spedizione (con bollo originale e visto del presidente della commissione Iginio Cocchi). (Archivio Storico della Camera di Commercio. Esposizione Universale, 1867.)

cumentarie ci rendono con forza lo spaccato di una società

Già il giorno successivo, in data 2 gennaio 1863,

in una fase turbolenta di cambiamento ed innovazione e di

William Walton scriveva da Livorno al Presidente del Tri-

ricomposizione delle classi sociali dominanti: essi rendono

bunale esprimendo la propria gratitudine verso gli elettori

il quadro di una città vivacissima, moderna ma colma di

che avevano pensato a lui “ma gli doleva comunicare che

contraddizioni e tensioni.

essendosi da alcuni anni ritirato dagli affari di commercio

Concentrato soprattutto nel centro storico cittadi-

ed abitando pochissime settimane all’anno in Carrara, non

no, il commercio carrarese contemplava decine e decine di

poteva prestare il dovuto zelo e la migliore assiduità ai do-

botteghe alimentari, osterie, drogherie, caffé, commestibili,

veri della nuova carica, alla quale aveva perciò deciso di ri-

rivenditori di vino, pizzicagnoli, merciai, macellai, osti, ta-

nunciare”. Queste poche righe svelano forse il gusto “spor-

baccai, stagnini, lattai, commercianti di chincaglierie e di

tivo” ad una rinuncia dettata si da validi motivi, ma dopo

manifatture, ambulanti ma anche negozi specializzati quali

un’ultima competizione, leale, con gli avversari di sempre:

cappellai, birrai, negozianti di legname, fabbricanti di cera,

quei Fabbricotti e in special modo con Carlo Fabbricotti,

orefici, banchieri, negozianti di olio, di grano, di ferro, e

“Carlazz” la cui irresistibile ascesa economica, da quel mo-

soprattutto di marmi.

mento, non avrà ostacolo.

L’insediamento ufficiale della Camera di Commer-

Il 3 gennaio 1863 il Sindaco di Carrara, Conte Ce-

cio ed Arti di Carrara avvenne il 1 gennaio 1863 “coll’in-

sare Del Medico riuniva a palazzo comunale i consiglieri

tervento dell’Ill.mo Prefetto della Provincia nonché di tut-

camerali appena proclamati al fine di eleggerne il presi-

te le principali autorità”.6 6.  Per il discorso integrale del Prefetto Lanza vedi Atti da miscellanea 1863-65.

dente ed il vice-presidente. Erano presenti sette consiglieri, mancavano quindi William Walton e Lorenzo Tacca. La votazione ebbe il seguente esito: Andrea Passani voti 2,

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Copia del giornale l’Apuano, anno I, sabato 14 maggio 1864. Il giornale nel sottotitolo è indicato come “organo della Camera di Commercio ed Arti di Carrara”. Presenti nelle buste dell’archivio decine di numeri di giornali del territorio praticamente introvabili nelle collezioni pubbliche. Nella quarta dell’Apuano pubblicata a fianco viene dato un curioso elenco di pericolosi truffatori agenti su scala europea: tra questi vi è Karl Marx. La notizia si commenta da sola ed oggi fa sorridere... (Archivio Storico della Camera di Commercio, Affari Generali, 1864.

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Giovanni Baratta voti 1, Nicolao Lazzoni voti 4. Quest’ul-

sidente Passani, i consiglieri Cucchiari e Bonanni. L’adu-

timo risultò eletto presidente. Una successiva votazione

nanza fu dichiarata deserta per insufficienza dei membri ed

designò il vice presidente: Andrea Passani ottenne 3 voti,

una nuova fu convocata per il giorno successivo 9 gennaio.

Vincenzo Bonnani 1, Lorenzo Tacca 2 e Giovanni Baratta

In questa riunione erano presenti il presidente Laz-

1; non raggiunta la maggioranza assoluta venne effettuata

zoni, il vice Passani, i consiglieri Cucchiari, Bonanni e Ba-

un’ulteriore votazione nella quale Passani ottenne 4 voti,

ratta: fu preso in esame la nomina del segretario camerale.

Bonnani 1, Baratta 1, Tacca 1. Venne quindi eletto vice

L’avvocato Passani propose il Prof. Siccardi che venne no-

presidente il Dottor Andrea Passani.

minato primo Segretario della Camera. Nell’adunanza del

La prima adunanza fu convocata dal Presidente l’8

10 gennaio presenti il presidente Lazzoni, il vice Passani, i

gennaio, erano presenti il presidente Lazzoni, il vice pre-

consiglieri Cucchiari, Bonanni e Baratta, oltre al Siccardi,


(che in quella occasione assumeva ufficialmente la carica di segretario) vennero addottati i primi tre atti della storia della Camera di Commercio ed Arti di Carrara. Il primo atto riguardava un appello da indirizzare ai municipi ed ai commercianti della provincia notificando loro l’insediamento della Camera stessa e chiedendo il sostegno necessario “a cooperare per il miglior vantaggio ed incremento del commercio e dell’industria”. Il secondo atto fu quello di una successiva missiva ai municipi al fine di avere compilate compiutamente le liste dei commercianti di ogni comune con l’indicazione delle quote di contribuzione spettanti a ciascuno. Infine, il terzo atto, fu quello di scrivere al Ministero dell’agricoltura, industria e commercio, per appoggiare presso il Ministero dei lavori pubblici, le due seguenti istanze: la prima tendente “a chiedere che nella vicina stazione di Avenza, per l’epoca dell’apertura del nuovo tronco di ferrovia da Massa a Sarzana, venissero predisposti i necessari attrezzi ed utensili atti al carico dei marmi e segnatamente una apposita gru o mancina”. Nella seconda si chiedeva “che l’ufficio telegrafico di Carrara restasse, per l’avvenire, aperto dalle ore 7 fino alle 21 ciascun giorno”. Il successivo 15 gennaio anche Carlo Fabbricotti rinunziò al proprio incarico di consigliere, “ringraziando per la fiducia accordatagli dai suoi concittadini” scriveva giustificando la rinunzia adducendo “motivi di impegno lavorativo, che spesso lo obbligavano ad allontanarsi dal Paese, restando quindi per lungo tempo assente, non poteva soddisfare debitamente le incombenze della carica a membro della Camera di Commercio”. A William Walton e a Carlo Fabbricotti subentrarono il Conte Ferdinando Monzoni (già sindaco della città di Carrara dal 15 dicembre 1860 al 20 febbraio 1861) che aveva ottenuto 18 voti ed il Cav. Del Nero Francesco (che sarà sindaco della città dal 27 luglio 1874 al 14 luglio 1877)

Del Medico, voti 16. Appare con chiarezza che finalmente l’assetto “politico” della Camera aveva raggiunto un equilibrio destinato a durare nel tempo, una capacità di rappresentare chiaramente gli interessi economici e le aspettative di progresso economico e tecnico che la moderna borghesia marmifera riponeva nella “sua” Camera.

con voti 17. Questi ultimi due, a loro volta, si dimisero il giorno 26 gennaio: il Monzoni per motivi di salute e Del

Da menzionare

Nero per impegni di lavoro. Furono sostituiti nella stessa

Le sedute del consiglio camerale durante l’anno

data da Giuseppe Del Nero, voti 17, e dal Conte Cesare

1863 furono 26: e molte le deliberazioni stabilite e molti

Nuova legge doganale della repubblica Argentina. Circolare ministeriale del 7 novembre 1863. Il lavoro della nostra Camera di Commercio a favore di un forte impegno del governo sulla questione dei dazi e tariffe doganali dei paesi di esportazione dei marmi apuani fu attenta, efficace, costante. (Archivio Storico della Camera di Commercio. Affari Generali, 1863.)

49


Lettera autografa di William Walton sulla necessità della ferrovia e la richiesta alla Camera di Commercio di adoperarsi presso il ministero e il parlamento a tale scopo “essendo la Camera di Commercio e Arti di Carrara rappresentante e custode degli interessi del paese”. (20 febbraio 1863).

gli atti e gli indirizzi emanati, tra questi il più importante

mento una stanza del palazzo comunale venne nominata

fu certo la presentazione al Ministero di una istanza sot-

una commissione incaricata della ricerca di un locale adat-

toscritta da numerosi commercianti delle città di Carrara

to per l’ufficio della Camera.

(Archivio Storico della Camera di Commercio.)

to, Giovanni Bigazzi e un inserviente, Claudio Marcuc-

e Massa affinché si promuovesse l’istituzione di una Ban-

Secondo le disposizioni ministeriali si provvide a

ca di Sconto e Circolazione nella provincia, domandando

raggruppare in sei classi di tributo gli esercenti commercio

esplicitamente l’apertura in città di una succursale della

e industria fissando i criteri nel modo seguente: in classe

Banca Nazionale. . 7

L’organico del personale prevedeva un applicaci. Giuseppe Del Nero era il cassiere, Nicola Fabbricotti il vice segretario. Essendo stata utilizzata fino a quel mo7.  Con Regio Decreto si approvava, il 14 gennaio 1864, l’istituzione di una succursale della Banca Nazionale nella città di Carrara, a seguito della deliberazione del Consiglio superiore della Banca Nazionale, presa nell’adunanza del 17 novembre 1863, su proposta del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio.

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prima con tributo pari a lire italiane 35, in classe seconda lire 25, in classe terza lire 14, in classe quarta lire 8, classe quinta lire 5 e quindi in classe sesta Lire 1. Nel febbraio del 1864 venne pubblicato il primo Annuario della Camera di Commercio ed Arti di Carrara,8 8. L’Annuario venne stampato dalla Regia tipografia del Sig. Filippo Frediani, con il quale, il seguente 3 febbraio 1864, la Camera stipulava un accordo di lire 250 annue per la pubblicazione degli atti della Camera nel giornale l’Apuano.


cui 49 nel Circondario di Castelnuovo di Garfagnana, 85 in quello di Massa e Carrara, ed i restanti 42 in quello di Pontremoli. L’agricoltura, in un territorio perlopiù montuoso, forniva raccolti agricoli appena sufficienti coprire i bisogni alimentari della popolazione per sei mesi l’anno. Prodotti agricoli quali vino, bestiame, frumento, granoturco, frutta, ortaglie e anche la legna da ardere venivano consumati in loco mentre derrate quali olio, castagne e agrumi, oltre al sostentamento degli agricoltori e alla vendita sui mercati locali, davano luogo anche a qualche esportazione. Per la produzione di olio erano attivi in tutta la Provincia 30 frantoi, con una produzione annua stimata in circa seimila barili, pari a litri 261.600. La produzione di castagne meritava una speciale menzione, secondo gli estensori dell’annuario camerale, sia per l’abbondanza che per l’eccellenza, in particolare per le castagne della Garfagnana che venivano altresì esportate in gran quantità nel vicino territorio di Lucca.Eccellenti erano gli agrumi di Massa, e per quanto riguardava i limoni si diceva che per qualità potevano sostenere il paragone con quelli meridionali”. Veniva esaltata, citando Plinio, “la rinomanza dei nostri vini” e nel contempo si evidenziava l’effetto continuativo e devastante della crittogramma, ciò nonostante il prodotto annuale era riferito a tutto il 1863 e compilato, per incarico della Camera stessa, dal Segretario Siccardi, (membro nel contempo anche della Camera di Cuneo). Radunare in un’unica pubblicazione i principali atti e deliberazioni della Camera, le leggi che la riguardavano e la relazione sull’andamento economico della provincia non fu compito facile. Esisteva solo il precedente della cosiddetta “relazione Roncaglia” redatta sotto il cessato governo estense e altre statistiche per gli ex stati parmensi. La prima relazione statistico-economica annuale realizzata dalla Camera di Carrara9 inizia trattando della agricoltura. Il territorio provinciale era di 176 ettari, di 9.  Vedi Annuario Camera di Commercio ed Arti, Anno Primo 1863, Massa-Carrara 1864.

di circa 8.600 ettolitri.10 Per il bestiame risultava scarsa la produzione di formaggi essendo questo destinato ad altri usi; i buoi ad esempio erano quasi esclusivamente addetti al trasporto dei marmi. In alcuni luoghi erano allevate le pecore, che producevano lane eccellenti, che tessute dalle contadine creavano stoffe di lana che servivano a vestire gran parte degli agricoltori. Si annotava invece la mancanza di studi per lo sviluppo della pastorizia e la silvicoltura. L’11 aprile 1864 la Camera deliberava di partecipare all’esposizione agraria che avrebbe avuto luogo a Torino nel giugno dello stesso anno, e per tale occasione inviava n° 46 campioni di vini raccolti per cura della stessa Camera da diversi produttori della Provincia. I vini di questa Provin10.  Vedi infra pag. 8.

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cia, scriveva la Camera ai giurati, godevano grande fama fin dal tempo degli antichi Romani, ed erano il frutto delle colline lunensi e secondo le statistiche degli uffici camerali la produzione annuale era di ventimila some di uva, ogni soma pari a 100 kg di peso produceva circa un barile di vino, pari a litri 43, quindi il totale del vino prodotto era stato di 8.600 ettolitri. I produttori locali che erano presenti all’esposizione erano il Conte Cesare Del Medico, il Conte Carlo Lazzoni, Micheli Ferdinando, Morescalchi Dott. Bernardo, Orlandi Vincenzo, Triscornia Ferdinando e Triscornia Paolo. L’attività industriale di maggiore importanza della Provincia era senza dubbio quella dei marmi. Nella città di Carrara vi erano 117 conduttori di cave e queste erano 400, delle quali oltre in piena attività. Il numero delle segherie di marmi era di 38, con 166 telai a lame. Il numero di frulloni destinati a levigare le tavole e le marmette era di 20, ed il numero degli studi si calcolava in più di 100. In questi studi oltre ad opera d’arte originali, si facevano molte copie di statue, monumenti, vasi, bagni, oggetti d’architettura e si eseguivano commissioni e lavori di marmo d’ogni specie. Secondo l’ultimo censimento risultavano: cavatori di marmo 1.484, scalpellini 486, ornatisti 84, scultori 103, modellatori 202, segatori 208, lustratori 91, carratori 189 e stivatori 5. A questi dovevano aggiungersi più di 200 cavatori non domiciliati nei confini del comune e che lavorano tuttavia alle cave. Nella città di Massa i proprietari di cave erano 27 ed in proporzione si poteva calcolare il numero dei lavoratori. Dalla statistica dell’anno 1863, si ricavava “che furono denunziati all’uffizio comunale della tassa di pedaggio di Carrara e portati alla marina di Avenza i mar-

esportazione dei marmi si era avuto a causa della guerra civile americana. Altra industria di rilievo della provincia era quella della seta con 11 filande capaci di lavorare circa 20mila chilogrammi di bozzoli in ragione d’anno. L’industria del ferro era radicata da secoli ma la scarsità di materia prima e la concorrenza estera ne aggravarono rapidamente la situazione, con esiti drammatici per le ferriere della

mi seguenti“: marmi greggi in blocchi tonnellate 44.000,

Garfagnana: emigrarono verso le americhe interi paesi da

tavole, lastre e lastroni 7.400, marmette di diverse misure

secoli dediti alla lavorazione del ferro. L’industria dei cuoi

2.805, e marmi lavorati 2.345 tonnellate. Marmi invece

e delle lane destinate agli abiti, e l’industria di tessuti in filo

portati da Carrara a Massa e Seravezza tonnellate 240. Per

di cotone e di canapa, costituivano la restante parte della

un totale di 56.790 tonnellate, il cui valore approssimativo si calcolava in quattro milioni di lire italiane, per un totale

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provinciale intorno ai cinque milioni.11 Un ristagno nella

11. L’annuario camerale del 1863 riporta a pagina 123 un totale di tonnellate pari a 59.790.


“Lista degli elettori per le Camere di Commercio”, municipio di Gallicano e di Bagnone. Dalle liste degli elettori camerali può essere desunto almeno l’80 per cento degli elettori politici degli stessi comuni nel periodo 1863-1882. Un materiale quanto mai prezioso per lo storico sociale. (Archivio Storico della Camera di Commercio, 1863.)

presenza manifatturiera sul territorio.Secondo le notizie

Il 30 agosto 1864 furono stese le risposte ai quesiti

fornite dai comuni interpellati, le attività commerciali e in-

ricevuti dalla Camera di Commercio e Arti di Carrara dal

dustriali erano in totale 1.714 così suddivise: pizzicagnoli

Professore Carlo Magenta per conto del ministero, in qua-

e venditori di vini e liquori 540, negozianti in marmo 148,

lità di membro della Commissione ministeriale nominata

fabbri ferrai, ramieri e stagnini 99, mugnai 98, macelli 76,

per studiare la situazione della locale industria dei marmi.13

negozianti in genere di manifatture e chincaglierie 69, ap-

Il documento è di estremo interesse storico. Il pri-

palti di sale e tabacchi 69, caffè 59, falegnami 50, merciai

mo punto affrontato fu quello relativo alle qualità dei mar-

ambulanti 46, calzolai 45, negozianti di granaglie 38, torchi

mi escavati nel Carrarese, tra i quali il più pregiato era lo

da olio 38, farmacie 24, cappellai 11, filande da seta 11, orefici 7, librai 7, tintori 7, fabbriche da cera 6, banchieri 6.12 12. Dall’Annuario camerale si evinceva anche la situazione scolastica ed in particolare si menzionava la scuola Tecnica comunale di Carrara, fondata nel 1862, comprendente tre anni di corso, per la quale nel 1862 vi erano 42 allievi, nel 1862-63 gli allievi erano 42 e 2 uditori, nel 1863-64 allievi 23 e 17 uditori. Venne poi fondato l’Istituto Tecnico Governativo, con un corso triennale di perfezionamento, inaugurato

il 9 dicembre 1862, diviso in tre anni di corso dove si insegnavano le materie che erano necessarie a completare gli studi per diventare un buon commerciante o industriale ed anche un abile amministratore: nel 1863 gli allievi furono 21 e 2 uditori e l’anno seguente 7 allievi e 5 uditori. 13.  Vedi Carlo Magenta, L’industria dei marmi apuani, Firenze, 1871 e Delle condizioni presenti dell’industria e del commercio dei marmi in Italia e della rispettiva legislazione/relazione letta dal prof. Carlo Magenta davanti al Consiglio dell’Industria e del Commercio di Carrara la sera del 22 novembre 1872.

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Rimborso spese riconosciuto al Bigazzi. Se ne deducono le minute spese di gestione delle basilari attività camerali. A seguire due circolari circa la navigazione a Rostock e le tariffe doganali relative lo “zollverein”, l’unione doganale che apre la strada alla unificazione tedesca sotto la direzione politica prussiana. La diffusione di dette circolari, informazioni e note risultò preziosa per il commercio carrarese da sempre volto alla esportazione. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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statuario di prima qualità, anche “tarolato”, utilizzato specialmente per la scultura e per lavori fini di architettura come caminetti, vasi, tazze e candelabri: questo marmo era desiderabile possibilmente senza macchia, vene o “brusche”. Lo statuario di seconda qualità era invece adoperato prevalentemente per lavori di architettura, decorazioni interne, per tavole ed anche per statue monumentali. Infine lo statuario con macchie, vene e brusche era usato principalmente per la produzione di altari, scale, porte interne, monumenti sepolcrali e tavole. Seguiva a questo il venato, di prima o seconda qualità, utilizzato specialmente in In-


ghilterra per i lavori di architettura. Il paonazzetto invece,

La seconda risposta riguardava la descrizione delle

marmo dal fondo bianco-giallognolo con vene scure e so-

località di estrazione dei marmi (e quindi la loro prove-

vente in tinte paonazze, era adoperato nella architettura e

nienza). La valle di Torano era considerata la più ricca di

particolarmente nella produzione di colonne per interni.

qualità pregiate: in quei bacini marmiferi si trovavano il

Il bianco chiaro ed ordinario, a sua volta, era adoperato

maggior numero di cave di statuario e le migliori di bianco

in ogni genere di lavoro e si distingueva in tre tipologie:

chiaro e di bardiglio. Poi vi era la valle di Miseglia in cui

la prima era utilizzata per la scultura, per caminetti, vasi,

si escavavano i migliori venati ed erano ricche di cave di

tazze e tavole; la seconda per tavole, lastroni, porte, scale,

bianco chiaro, di qualità però inferiore al Canal Bianco e

colonne e così anche la terza.

Ravaccione della Valle di Torano.

In ultimo vi era indicato il bardiglio, dal bel colore

Anche nei monti di Miseglia vi erano delle cave di

grigio turchino, adoperato comunemente per lavori di ar-

statuario ed erano molto apprezzate quelle di Carpevola.

chitettura e tavole. Oltre le qualità accennate -che erano

La valle di Colonnata era invece quella più ricca di cave

le più conosciute in commercio- le cave fornivano anche

di marmi di varie qualità, inoltre il venato di Fossacava era

alcuni marmi di colorazione mista, ma la poca richiesta del

molto apprezzato in Inghilterra per la sua solidità ed infi-

mercato per queste varietà tipologia faceva si che queste

ne i marmi statuari erano escavati anche nella località dei

cave erano “coltivate” saltuariamente ed il commercio ri-

Vallini.

guardava piccole porzioni di mercato.

“Elenco dei tassati per commercio” deliberati dal consiglio comunale di Carrara in data 17 dicembre 1861 e 20 luglio 1862. Si tratta del primo elenco su cui verranno costruiti gli elenchi provinciali. Nella seconda immagine si può apprezzare l’elenco alla pagina relativa i Fabbricotti. (Archivio Storico della Camera di Commercio. Affari Generali, 1862.)

Il terzo quesito del Magenta era riferito ai prezzi

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Registro dei processi verbali 1867 e interno dei processi verbali del 13 dicembre 1868 relativo le elezioni per il rinnovo di 4 consiglieri. Dal verbale risulta con chiarezza la forte egemonia esercitata dai maggiorenti carraresi sui destini industriali e commerciali della provincia. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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del marmo che variavano non solo secondo le differenti

cia: se era minore il quantitativo del marmo maggiore era il

qualità, ma anche a secondo la loro maggiore o minore bel-

suo prezzo, commerciando quasi esclusivamente il marmo

lezza, e la loro maggiore o minore cubicità, in particolare

statuario e quasi esclusivamente il bel venato. Nel Belgio si

gli statuari.

esportava soprattutto il bianco chiaro delle migliori qualità,

Gli statuari di prima qualità si vendevano da Lire

mentre la Germania cominciava ad accrescere la domanda

320 a 1.600 al metro cubo, quelli di seconda qualità da Lire

di statuario per la scultura, desiderando quello più resisten-

250 a 550. Quelli macchiati da Lire 60 a 310, il bianco

te delle cave di Crestola e Polvaccio. Consumavano invece

chiaro, a secondo della qualità, da Lire 150 fino a 240, il

minori quantità di marmo la Russia, l’Austria-Ungheria e

venato da Lire 180 a 240, il paonazzetto da 350 Lire a 500,

gli altri Paesi europei.

ed infine il bardiglio da 150 Lire quello di seconda qualità,

Il commercio con l’America del Nord era forte-

fino alle 260 Lire quello migliore. Era evidente pertanto

mente diminuito a causa della guerra civile e anche oer

che i marmi più rinomati in commercio fossero gli statuari.

le conseguenze dell’aumento del dazio di importazione

Dal punto di vista commerciale le esportazioni an-

imposto dal governo di Washington. In quest’ultimo caso

nue del marmo carrarese erano pari a tonnellate 56.790 ed i

si riconosceva che grazie all’intervento della Camera di

mercati di sbocco più floridi erano quello dell’America del

commercio e del Ministero per tutelare gli interessi dei

Nord cui seguivano la Francia e l’Inghilterra. In valore del-

commercianti in marmo, questo dazio fu limitato ai soli

le importazioni l’Inghilterra non era al disotto della Fran-

marmi greggi.�


La relazione si conclude con una rassegna relativi i bisogni dell’ industria dei marmi distinguendo quelli più generali, identificabili con le maggiori possibili comunicazioni, l’affluenza di capitali, la moralità, l’attività ed istruzione degli operai, l’abolizione dei dazi d’uscita e di entrata e altri provvedimenti di genere, da quelli specifici per l’industria carrarese. Quest’ultimi erano la necessità di una ferrovia che in continuazione dell’attuale arrivasse fino alle

Registro dei processi verbali 1872 e interno dei processi verbali del 29 gennaio 1863. La borghesia risorgimentale è nel contempo classe dirigente politica ed industriale. La lettura di questo documento rende esplicito quanto appena l’affermato. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

cave e si prolungasse al mare, la riduzione della tariffa di spesa per il trasporto del marmo per mezzo delle ferrovie, la facilitazione di mezzi di caricamento e scaricamento sia sul mare sia sulle ferrovie. Tra gli altri bisogni figuravano anche l’ associazione dei proprietari, l’istituzione di scuole destinate all’industria dei marmi, e la sorveglianza e direzione per mezzo di ingegneri della lavorazione delle cave. Stava nascendo, da queste righe, il progetto di quella Carrara ottocentesca conosciuta ancor oggi dai più.

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Lettera di Walton Nepote. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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(Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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(Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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Dell’allevamento del baco da seta si è ormai persa la memoria e la si rintraccia soltanto nelle carte degli archivi: quello della Camera di Commercio, che annualmente doveva inoltrare al Ministero la statistica relativa alla lavorazione della seta, è il più interessante per comprendere l’importanza della produzione, che era significativa e di lunga tradizione. Il marchese di Terrarossa, Fabrizio Malaspina (1556-1621), nel cosatruire il suo nuovo castello predispose ampi spazi destinati all’allevamento del baco da seta , come ci ricorda Eugenio Branchi nella sua storia della Lunigiana feudale : “…il marchese Fabrizio si diè somma premura nel far coltivare i propri terreni con dissodamenti e piantagioni utilissime, fra le quali merita special menzione quella dei gelsi, fonte grande di ricchezza serica, al cui scopo per quanto sembra fece costruire vaste sale che tuttora si veggiono nel palazzo o castello che dai fondamenti eresse in Terrarossa..”. Nella prima metà dell’ottocento la coltivazione dei gelsi appariva un buon investimento, stando a quanto nel 1835 scriveva Michele Angeli nel suo Aronte Lunense, auspicando per Fivizzano la messa a dimora di gelsi : “un altro oggetto oggi assai scarso, ma che potrebbe venire di gran conseguenza per tutto il Fivizzanese, sarebbe la coltivazione dei Mori o Gelsi” e in una nota ricordava che molti vivai erano stati impiantati “ queste piante pure in oggi sono in aumento, essendone stati fatti molti vivai, fra i quali ve n’è uno a Bigliolo, degno d’esser veduto. Speriamo che anche questa coltivazione vada crescendo al riflesso soltanto che quest’albero al presente, tranne l’ulivo, è quello che ci rende maggiore utilità”.

Nella seconda metà dell’ottocento a Fivizzano e Soliera erano attive due filande dei Cojari e dei Ginesi, mentre una era in funzione a Pontremoli : nel 1867 la filanda Cojari disponeva di 40 bacinelle riscaldate a vapore, tecnica innovativa che aveva soppiantato l’uso dell’acqua calda per liberare i bozzoli dalla lanugine che li ricopriva. A Pontremoli, la filanda in attività nel 1866 era decisamente più modesta, disponeva di sole 16 bacinelle ad acqua calda ed aveva funzionato per 79 giornate lavorative, mentre per l’anno successivo non fu attivata a causa della scarsità di bozzoli. Nel 1880 ad Aulla venne istituito un mercato dei bozzoli, dove convenivano tutti gli allevatori, meglio sarebbe dire le allevatrici, perché erano le donne a provvedere all’allevamento e alimentazione con le foglie di gelso. L’incubazione del seme dei bachi iniziava a primavera, in genere verso fine aprile, quando il gelso aveva ormai messe le foglie. Il seme comincia a svilupparsi a calore superiore ai 10° C e in seguito la temperatura deve essere

PARTE PRIMA

Salire al bosco non è una frase casuale, ma l’esatta descrizione di ciò che le larve fanno quando iniziano a produrre il bozzolo: trovare un posto adatto, generalmente più in alto di dove fino ad allora hanno mangiato la foglia e in un “bosco” di rametti, che permetta loro di fissare i vari punti fermi della costruzione della rete di filo serico che consentirà loro, in piena sicurezza, di chiudersi all’interno del bozzolo… (Nello Serra)

2 Capitolo secondo

L’industria serica in Lunigiana: dal marchese imprenditore alle filande di Fivizzano e Pontremoli censite dalla Camera di Commercio

Scheda

QUANDO I BACHI SALIVANO... AI BOSCHI

(Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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(Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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progressivamente aumentata e costantemente controllata: nelle case contadine i luoghi più utilizzati erano la cucina o il gradile, ma la schiusa avveniva in seno, dove le donne tenevano le uova per una quindicina di giorni, avvolte in un sacchetto di lana. Sempre nel 1888 la Camera di Commercio inoltrò al ministero la statistica dalla quale si evince che in Aulla furono incubate 100 once di seme indigeno ( 3 kg) che dettero 45 kg di bozzoli di ottima qualità per la rigogliosa vegetazione dei gelsi, non così nel resto della Lunigiana: a Bagnone 420 once di seme indigeno e 30 di seme giapponese dettero soltanto 25 kg di seta di qualità mediocre per cattiva stagione, umida, burrascosa, fredda, specialmente

negli ultimi giorni in cui i bachi erano per andar al bosco; a Fivizzano 300 once di seme dettero 35 kg di bozzoli di mediocre qualità; a Casola si ottennero 25 kg di bozzoli di mediocre qualità; a Pontremoli da 110 once di seme si ebbe un’ottima produzione di 62 kg per la foglia abbondante ed apparentemente molto bella, ma molti bachi perirono mentre erano per andar al bosco; a Montignoso 128 kg di bozzoli furono di cattiva qualità perché l’allevamento andò bene, ma i bachi ebbero la peggio nell’andare al bosco, mentre a Mulazzo a fronte di 40 once di semi si ebbero 3,5 kg di bozzoli di mediocre qualità. Nel 1882 non si hanno più notizie della filanda di Pontremoli, mentre a Fivizzano esistevano ancora le due


Castelnuovo, 11 luglio 1864. Statistica industria serica in Garfagnana. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

filande, “una in Fivizzano e una in Soliera, ove sono impiegate per la filatura dei bozzoli complessivamente 100 operaie alle quali si corrisponde la mercede media giornaliera di lire una.Il loro prodotto speciale è la seta grezza che ammonta annualmente a circa 500 chilogrammi per ciascuna filanda e che si esporta nella provincia toscana. Il sistema di filatura è stato ridotto a norma dei moderni perfezionamenti. Si avverte che nel corrente anno la seconda filanda è rimasta chiusa a causa della morte del proprietario.” Nel corso del novecento scomparve progressivamente l’allevamento del baco da seta: probabilmente non furono estranee a questo abbandono la mancata innovazione nella

tecnica di allevamento del baco da seta, la mancanza di spazi idonei, la diminuita disponibilità di manodopera negli anni della guerra; non va dimenticato che l’allevamento dei bachi, divoratori di enormi quantità di foglie, imponeva un’assistenza giorno e notte per fornire foglie sane e ben asciutte. La decadenza della bachicoltura ha fatto progressivamente scomparire dal paesaggio lunigianese il gelso: solo qualche raro esemplare sopravvive, relitto vivente di un’attività economica il cui ricordo è affidato alle carte di un archivio.

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“Sia benvenuta l’Europa. Entri in casa sua. Prenda possesso di questa Parigi che le appartiene e a cui essa appartiene”. (Victor Hugo, Esposizione Universale, Parigi 1867).

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PARTE PRIMA

della provincia, ancora legato prevalentemente alle tradizionali attività agricole. A proposito della provincia di Massa e Carrara dobbiamo rilevare come essa, all’epoca alla quale ci riferiamo, fosse notevolmente diversa da quella odierna per estensione e conformazione amministrativa. Rispetto ai confini attuali, infatti, il territorio della provincia post-unitaria comprendeva, oltre ai 17 comuni apuani (che erano in effetti 18 dato che costituivano comune autonomo anche Albiano Magra e Terrarossa, poi soppressi ed annessi ri-

Capitolo SECONDO

Nel luglio del 1862, durante il governo presieduto da Urbano Rattazzi, fu promulgata la Legge n. 682 che provvedeva all’istituzione delle “Camere di Commercio ed Arti” sul territorio nazionale. Tale legge venne firmata dal re Vittorio Emanuele II e controfirmata dal ministro “di agricoltura, industria e commercio” Gioacchino Napoleone Pepoli. Le stesse autorità, nel mese successivo, sottoscrissero il Decreto Reale che indicava le Camere che dovevano essere “riordinate” (Parma, Piacenza e Lucca) e quelle di nuova istituzione: Aquila, Ascoli, Cagliari, Caltanissetta, Carrara, Girgenti (oggi Agrigento), Modena, Portomaurizio (oggi Imperia), Ravenna, Reggio Emilia, Salerno, Sassari e Teramo. A tale proposito l’art. 1 del decreto precisava che dette Camere assumevano “giurisdizione in tutta la provincia nella quale ciascuna aveva sede”. Pertanto, la “Camera di Commercio ed Arti” di Carrara figura tra le prime istituite nel nostro paese ed ha assunto valenza giurisdizionale sulla provincia di Massa e Carrara. Furono soprattutto gli imprenditori del marmo che indussero la municipalità carrarese ad inoltrare al competente ministero la richiesta di istituzione di una Camera di Commercio ed Arti. Infatti, l’unificazione, seppure ancora parziale del Regno d’Italia, proclamato il 17 marzo 1861, produsse, con la soppressione del ducato estense e la trasformazione di parte di esso nella provincia di Massa e Carrara, una profonda ristrutturazione nel settore dell’attività marmifera, che già aveva tratto un notevole vantaggio dalla nuova situazione interna e dalla favorevole congiuntura internazionale. L’incremento dell’attività estrattiva verificatosi in quegli anni richiese un consistente aumento di mano d’opera che, per la maggior parte, venne detratta dai lavori agricoli, con afflusso di personale proveniente oltre che dal territorio comunale e provinciale anche dalle zone limitrofe, segnatamente dall’Appennino reggiano. Le statistiche relative al periodo mostrano, dal punto di vista dell’attività economica, una accentuata dicotomia tra l’area carrarese, investita da un rilevante progresso industriale, e il resto

3 Scheda

La situazione politica e le condizioni economiche e sociali della provincia di Massa e Carrara al momento dell’istituzione della Camera di Commercio

Nella pagina di sinistra: Esposizione Universale di Parigi 1867, padiglione. Sotto: decreto di ammissione alla esposizione universale di Parigi conferito alle ditte Nicoli Francesco di Carrara e ai Fratelli Azzi di Castelnuovo Garfagnana, cappellai, vincitori di una medaglia di onore. (Archivio Storico della Camera di Commercio. Esposizione universale di Parigi, 1867.)

In questa pagina: Ritratto di Andrea Passani, vice presidente della Camera di Commercio. (Fotografia modello “carte da visite” fotografato da Morotti. Archivio privato.)

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Ritratto di Carlo Lazzoni. (Collezione Antonio Bernieri.)

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spettivamente ad Aulla e Licciana Nardi e tenendo conto che non era ancora costituito in “comune” il territorio di Comano, divenuto tale nel 1919 dopo il distacco da Fivizzano) anche i comuni di Calice al Cornoviglio e Rocchetta di Vara (passati nel 1923 alla provincia di La Spezia) e i 17 comuni della Garfagnana: Camporgiano, Careggine, Castelnuovo di Garfagnana, Castiglione di Garfagnana, Fabbriche di Vallico (già Trassilico), Fosciàndora, Gallicano, Giuncugnano, Minucciano, Molazzana, Piazza al Serchio, Pieve Fosciana, San Romano in Garfagnana, Sillano, Vagli Sotto, Vergemoli e Villa Collemandina (passati nel 1923 alla provincia di Lucca). La superficie della provincia misurava 1.772,71 Kmq., in confronto ai 1.157,00 di quella attuale. Dal punto di vista amministrativo, essa era suddivisa nei tre circondari di Massa e Carrara, Pontremoli e Castelnuovo Garfagnana, articolati in 14 mandamenti comprendenti 37 comuni. Gli abitanti della provincia erano 140.733, dei quali solamente 1.651 avevano diritto di voto. Il Comune di Carrara, che sulla base del censimento del 1861 contava 17.182 abitanti (6.684 dei quali residenti nel centro cittadino), al momento della costituzione della Camera di Commercio era amministrato da una giunta presieduta dal conte Cesare Del Medico, sindaco progressista-moderato, appartenente a una famiglia nobiliare di cospicua ricchezza patrimoniale per lunga gestione di agri marmiferi e possedimenti fondiari. La città attraversava, negli che seguirono l’unificazione nazionale, un periodo di favorevole congiuntura economica; particolarmente significativo fu il progresso dell’industria marmifera carrarese, che fece registrare un considerevole aumento degli opifici (segherie e frulloni), dei laboratori (studi di scultura e ornato), e, conseguentemente, della manodopera. Naturalmente anche il settore commerciale, specialmente quello caratterizzato dalle piccole imprese, fu interessato da un certo fervore di iniziative con notevole crescita di piccoli esercizi di vendita al dettaglio. Tutto ciò avvenne malgrado le notevoli difficoltà nel campo dei trasporti e la vigenza di un fiscalismo non tanto oneroso quanto disordinato e lacunoso. A mettere ordine nel macchinoso apparato burocratico che regolava le attività commerciali, a sollecitare interventi governativi a sostegno delle esigenze territoriali, a coordinare le iniziative delle imprese per far conoscere i prodotti locali, a cooperare con le amministrazioni per migliorare e incrementare il commercio della provincia, sarà

d’ora innanzi la “Camera di Commercio ed Arti” della provincia di Massa e Carrara, sorta per volere della comunità carrarese, pronta ad accogliere la sollecitazione del governo “per promuovere gli interessi commerciali ed industriali ed offrire alle singole province l’opportunità di intraprendere opportune iniziative per le loro necessità”.


Chi furono gli uomini che promossero la fondazione della Camera di Commercio e come furono eletti

Ottemperando scrupolosamente alle norme della legge 682/1862 ed alle disposizioni della circolare n. 4703 del 19 novembre 1862, circa l’ elezione dei nove componenti della costituenda “Camera di Commercio ed Arti”, il sindaco di Carrara conte Cesare Del Medico convocò per domenica 14 dicembre di quell’anno il comizio elettorale per le procedure relative alla votazione e alla proclamazione degli eletti. Sono chiamati al voto, e sono al tempo stesso eleggibili alla carica in questione, i commercianti, gli esercenti, gli industriali e gli artigiani che siano iscritti nelle liste elettorali del Comune di Carrara. Come è noto, i requisiti per assolvere a tale funzione erano: la condizione di sesso maschile, l’età anagrafica di 25 anni compiuti, la capacità di leggere e scrivere, il censo tassabile. Nel caso di cui ci stiamo occupando, i votanti chiamati alle urne furono 185. La procedura di rito prevedeva anzitutto la costituzione del seggio elettorale, che doveva essere formato da elettori scelti con votazione segreta tra i componenti dello stesso corpo elettorale; risultarono eletti a tale incarico il conte Carlo Lazzoni, nominato presidente del seggio, Ferdinando Fiaschi, Jacopo Ghetti, Eugenio Baratta e Francesco Livi in qualità di scrutatori; le funzioni di segretario furono demandate ad Achille Brizzi. Costituito il seggio si procedette alla votazione per scegliere i nove componenti della camera carrarese. Ad ora stabilita, dopo una prima chiamata da parte del presidente del seggio degli ammessi al voto presenti in sala, si procedette ad un secondo appello con il quale si conclusero le operazioni di voto. Si passò quindi allo scrutinio (che, nel linguaggio giuridico di allora, con voce arcaica e dotta si diceva squittinio) delle schede dei 62 elettori che avevano votato; sulla base di tale operazione risultarono eletti: Carlo Fabbricotti con 42 voti, Nicolao Lazzoni e Guglielmo Walton con 26, Vincenzo Bonanni con 25, Giovanni Baratta con 24, Andrea Passani con 23, Ferdinando Fabbricotti e Lorenzo Tacca con 20, Gio. Battista Cucchiari con 19. Tale lista ricevette notificazione da parte del “Tribunale del circon-

dario di Massa” in data 29 dicembre 1862. Subito dopo rinunciarono all’incarico Guglielmo Walton e Carlo Fabbricotti, che furono sostituiti rispettivamente da Ferdinando Monzoni, che aveva ottenuto 18 voti, e da Francesco Del Nero, che aveva ottenuto 17 voti; successivamente anche Francesco Del Nero, dimissionario, fu sostituito dal fratello Giuseppe, che aveva ricevuto 17 voti, e così pure Ferdinando Monzoni venne sostituito da Cesare Del Medico, che aveva ottenuto 16 voti. Pertanto, al momento della proclamazione ufficiale degli eletti, in occasione dell’inaugurazione della “Camera di Commercio ed Arti”, avvenuta alla presenza del Prefetto della provincia cav. uff. R. Lanza, “addì 1 gennaio 1863”, il primo consiglio direttivo della Camera risultò composto da: - LAZZONI Conte Avv. Nicolao, Presidente - PASSANI Avv. Andrea, Vice Presidente - BONANNI Prof. Vincenzo - BARATTA Giovanni fu Andrea - FABBRICOTTI Ferdinando - TACCA Avv. Lorenzo - CUCCHIARI Giovanni Battista - DEL NERO Giuseppe - DEL MEDICO Conte Cesare Vediamo adesso succintamente chi erano questi “pionieri” che guidarono la Camera di Commercio di Massa - Carrara all’inizio del suo lungo cammino. Giovanni Baratta, nato a Carrara nel 1817, era figlio di Andrea, commerciante di marmo e conduttore di cave, proveniente dalla “vicinanza” di Miseglia; Giovanni era titolare del noto “studio Baratta allo Stradone”. Vincenzo Bonanni (Carrara, 1802-1887), era professore di “architettura e ornato” presso l’Accademia di Belle Arti; titolare di un rinomato “Laboratorio di Archi-

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tettura e Ornato” ubicato lungo lo Stradone al piano terra di quello che è oggi il “Palazzo Bonanni “ di via Verdi; per la sua attività artistica ottenne il titolo di Cavaliere della Corona d’Italia e, a testimonianza delle sue benemerenze all’estero, fu beneficiato del riconoscimento di “Ufficiale” dal Vice Re dell’Egitto.

Lorenzo Tacca (Carrara 1806-1870), figlio di Raimondo, industriale del marmo originario di Bedizzano; Lorenzo, qualificato nella professione come “negoziante e possidente”, era nato a Castelpoggio. Non pare che la famiglia fosse imparentata, almeno in linea diretta, con quella dei famosi scultori.

Giovanni Battista Cucchiari (Carrara, 18161896), possessore di cave e terreni agricoli, era figlio di Francesco Antonio, scultore, architetto e professore dell’ Accademia di Belle Arti; era fratello del generale Domenico (“l’eroe di San Martino”) e di Enrica, madre di Domenico Zaccagna. La famiglia possedeva una prestigiosa dimora sulla collina di Moneta ed altre abitazioni a Carrara, a Bergiola e nella zona di Marina.

Nicolao Lazzoni fu, come abbiamo visto, il primo presidente della Camera di commercio e di tale esperienza venne fatta menzione in occasione del necrologio pronunciato in occasione della sua morte. In tale circostanza fu fatto rilevare anche il fatto che Nicolao Lazzoni, concluso il mandato, era stato rieletto alla carica di presidente, ma ritenne opportuno rinunciarvi; tuttavia, sollecitato a non fare mancare alla Camera il suo apporto di competenza ed esperienza, decise di restare come semplice consigliere. Il necrologio, voluto dal cugino Emilio Lazzoni, fu declamato il 4 agosto del 1876, in occasione dei funerali, dal conte Alfonso Poggi. A un certo punto del testo vi si legge: “Istituitasi in Carrara la Camera di Commercio, fattrice possente dell’industria, dell’economia e della statistica, il conte Nicolao vi ebbe la presidenza, la quale tenne fino al 1871. Nella qual epoca, rieletto, la cedeva, bramando solo esserne membro. Il Comitato Agrario della Provincia trasse partito dai lumi dell’illustre carrarese, e se lo ebbe sempre a suo Consigliere; e l’Onorevole Presidente di quel Comizio vi disse quanto valesse l’opera dell’insigne agronomo per quell’istituzione tanto benemerita. Il Governo italiano grato ai servigi per tanto tempo prestati al paese, nominò cavaliere il benemerito cittadino”.

Cesare Del Medico, conte (Carrara, 1822-1885), discendente da una delle più illustri e ricche famiglie carraresi; la madre apparteneva alla famiglia dei conti Pisani; la moglie era la contessa Maria Minerva Casoni. Fu sindaco di Carrara negli anni 1862 e 1863, scultore, benefattore, socio onorario dell’Accademia di Belle Arti. Notevolissimo il patrimonio immobiliare della famiglia, con prestigiose dimore a Carrara, Fossola, Marina. Fonte principale dell’attività della famiglia era il commercio del marmo. Giuseppe Del Nero (Carrara, 1817-1890), appartenente ad una importante famiglia originaria di Miseglia che aveva interessi nell’attività marmifera; egli si segnalò anche nella vita politica, con vari incarichi di carattere amministrativo. Ferdinando Fabbricotti (Carrara, 1803-1892), cugino del notissimo imprenditore Carlo, godeva di vaste rendite nel settore marmifero. Nicolao Lazzoni, conte (Carrara, 1803-1876), figlio del conte Giulio Andrea, pur avendo notevoli interessi nell’attività marmifera, esercitò anche la professione di avvocato. Andrea Passani (Carrara, 1808-1875), commerciante di marmo e possidente, ebbe il titolo di Cavaliere della Corona d’Italia per le sue benemerenze culturali; era avvocato e socio onorario dell’Accademia di Belle Arti.

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N.B. I dati anagrafici e le parentele dei citati membri del primo Consiglio Direttivo della Camera di Commercio sono frutto delle ricerche dell’ing. Bruno Casoli, noto studioso delle genealogie delle famiglie carraresi.


Parte Prima

Capitolo TERZO

Profilo economico e sociale dei circondari e dei mandamenti della provincia (1860-1890) Il primo grande affresco dell’industria e del commercio attraverso gli elenchi dei contribuenti alla tassa a favore della Camera di Commercio e Arti di Carrara del 1864 01. Il Mandamento di Carrara Al visitatore che nella primavera del 1861 fosse giunto nella rada della Marina di Avenza, gli si parava dinnanzi uno spettacolo suggestivo e originale, già evocato nelle pagine di numerosi poeti e scrittori del tempo. Una stretta piana divisa dal mare da una breve striscia di sabbia nasceva sotto l’ultimo contrafforte di terra ligure, alle foci del fiume Magra. Sul bruno sfondo del promontorio di Monte Marcello numerosi navigli erano all’ancora lungo l’estuario del fiume; ma la cosa che colpiva maggiormente il visitatore era certo l’imponenza di quelle montagne squarciate dall’operosità umana che si levavano altissime a sì poca distanza dal mare. La fitta vegetazione della macchia impiantata dagli ultimi sovrani di casa Cybo-Malaspina aveva progressivamente ceduto il passo allo sterminato estendersi di blocchi e lastre di marmo candidissimo. In quella stretta

di commercio in Livorno. Sebbene terminato nel 1854,

gola che dalla marina giungeva ai piedi delle cave, ancor

il pontile “Walton” entrò in funzione già dal ‘52 introdu-

più chiusa da erte colline terrazzate a vigna e olivo, si

cendo una delle prime modernizzazioni tecniche di so-

andava sempre più sviluppando in senso capitalistico una

stanza nella industria dei marmi apuani e, inoltre, sancì

delle più note industrie del paese.

il primo sostanzioso e vistoso ingresso di capitali inglesi

Altri navigli di medio tonnellaggio stavano alla

nell’ammodernamento tecnologico-industriale del bacino

fonda in attesa di caricare i marmi, dinnanzi ad un pontile

estrattivo carrarese. Detto pontile era fornito di due gru

di moderna concezione la cui costruzione fu iniziata nel

caricatrici dette”mancine” funzionanti a vapore, di co-

1851 dall’ inglese naturalizzato italiano Guglielmo Wal-

struzione inglese, che caricavano su navicelli e barconi i

ton, nativo della contea di York e finanziato dal conna-

marmi greggi o lavorati, trasportati da vagoncini aperti su

zionale Edward Pate, titolare di un banco internazionale

di una rotaia a scartamento normale.

La spiaggia di Marina di Carrara in una celebre foto di fine ottocento: è di fatto un deposito disordinato di marmi pronti all’imbarco. (Archivio Storico del Comune di Carrara, 1895 ca.)

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Navicelli alla fonda. (Foto di Ilario Bessi, Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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La spiaggia era tutta un fervere di varie attività col-

medioriente ed oltreoceano.

legate alla spedizione dei marmi; molti navicelli e scho-

Il complesso rapporto relativo al finanziamento del-

oner di media stazza puntavano solitamente su porti me-

le attività di spedizione e l’impianto di case commerciali

diterranei, raramente verso il mare del nord; per le rotte

relative e conseguenti all’industria dei marmi (quella de-

più lunghe si faceva capo alle tradizionali piazze di distri-

gli stracci, ad esempio: una nave di linea su rotte ocea-

buzione di Genova e Livorno: da qui la maggioranza dei

niche, sbarcate le merci generalmente stivava a Livorno

blocchi e dei lavorati prendeva le destinazioni di Londra,

marmi greggi e stracci per acquistare notevole stabilità

Marsiglia, New York, Buenos Aires, Melbourne.

di navigazione; questo espediente non fu poca cosa nelle

Livorno, come già è stato evidenziato, particolar-

vicende relative alla apertura di nuovi mercati transoce-

mente prediletta nel corso del diciannovesimo secolo, era

anici), non può essere semplicemente spiegato per mez-

la principale “piazza” atta al reperimento dei necessari

zo della sola accumulazione originaria legata al prodotto

mezzi finanziari utili a coprire i costi e i rischi delle spe-

delle campagne apuo-lunensi; e neppure con le sole fortu-

dizioni, che incidevano moltissimo sul prezzo del prodot-

ne commerciali di un ristretto numero di famiglie locali;

to nei mercati di arrivo, e al finanziamento di iniziative

crediamo infatti che non poco peso abbia avuto nello svi-

commerciali da intraprendersi in accomandita e joint-

luppo dell’ industria marmifera apuana, l’apporto di ca-

ventures presso i maggiori scali commerciali d’ Europa,

pitali originati da una accumulazione avvenuta altrove,


in rendite terriere e commerci non strettamente legati a quella industria; capitali di provenienza estera ed italiana che grazie alla mediazione della piazza commerciale livornese venivano dirottati sugli investimenti relativi al commercio dei marmi; numerose sono infatti le testimonianze certificanti l’esistenza di queste speculazioni finanziarie su tale commercio dove, il piazzare una buona partita di marmi significava trarne un utile mediamente quadruplo la somma anticipata. Infatti, abbiamo cercato di dimostrare quanto questa sia un’ utile strada per comprendere i numerosi e complessi rapporti commerciali e finanziari che molto spesso legavano eminenti personaggi della elite carrarese con esponenti della aristocrazia finanziaria livornese e fiorentina. Altro elemento di interesse è dato dalla incidenza sulle scelte di trasporto in relazione al costo dei noli marittimi. Non pochi erano i grandi industriali che, costruita una flottiglia privata, sbarcavano a Londra prodotti destinati a raggiungere i luoghi più lontani, sotto la bandiera della marina mercantile britannica. Tornando al nostro ipotetico viaggiatore, non gli sarà passato inosservato una sorta di contrasto, tipico della industria marmifera; una sorta di contrapposizione rispetto quelle modernità tecniche che gli si erano per prime parate dinnanzi. Ai lati più discosti del pontile, alla fine dei lunghi cumuli di marmi pronti per l’imbarco e marchiati con lo stigma delle più note famiglie della “aristocrazia marmifera”, perseverava, immutato, uno stile di lavoro arcaico e tradizionale; pariglie di buoi maremmani trascinavano i blocchi dei proprietari di piccole cave non legate ai “pool” dei maggiorenti, i blocchi di piccoli padroncini di cava, fuori da ogni regola di mercato e di economicità, loro stessi conduttori e cavatori delle cave in posizione più che marginale, loro stessi dietro il pesante blocco che lasciava profondi solchi nella sabbia, ad incitare, bestemmiando, le bestie nella loro fatica fino a raggiungere un arcaico quanto originale sistema di caricamento invalso fin dal ’500 (e forse figlio dell’epoca romana).

Il blocco veniva trascinato nei pressi della battigia e agganciato a braghe a loro volta collegate a grossi canapi. Alti pali incrociati saldamente fungevano da braccio di caricamento; sotto veniva posto il barcone, trascinato a riva e riempito di sabbia. Per mezzo di numerosi lavo-

Operazioni di carico di un navicello. (Foto di Ilario Bessi. Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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Carrara, panorama della città vista da Montia. (Foto di Daniele Canali, 2007. Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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ranti avventizi e dei buoi, il blocco veniva sollevato sopra

marmi o la costruzione di adatti navicelli o, infine, l’idea

la barca e indi calato; tolta la sabbia si scavava un breve

di pontili caricatori, semplici e funzionali; tale situazione

canale fino all’ acqua, infine il barcone era spinto in mare.

palesava con immediatezza un duraturo aspetto della con-

Questa complessa ed antieconomica operazione, sebbene

dizione dell’ industria marmifera apuana: la contrapposi-

riveli un’attitudine a trasportare l’esperienza della’scava-

zione di interessi economici tra i piccoli intraprenditori e

zione anche sopra la finale fase del caricamento (nota è

i grossi monopolisti del settore.

la discussione circa la creazione di un bacino portuale fin

Questi divennero un particolare strato economico

dalla prima metà del settecento, ma nulla fu mai fatto)

e sociale: svendendo sottocosto e spesso in rimessa pur

è indice di una cultura nulla affatto marittima, che ne-

di mantenere la propria autonomia, una autonomia fitti-

cessitava di numerosi apporti forestieri per dare soluzioni

zia, fin troppo connessa all’andamento delle alterne fasi

razionali ai problemi connessi il trasporto via mare dei

di mercato, creeranno non poco danno ai grandi commer-


cianti capitalisti in determinati mercati e situazioni eco-

dei Cucchiari, lì non solo per la vicinanza della spiaggia,

nomiche e divennero fertile terreno per la diffusione delle

già meta di bagni nel periodo estivo, ma anche all’uopo di

idee mazziniane e della democrazia risorgimentale nel suo

seguire da vicino i propri interessi commerciali.

complesso proprio grazie a questo preciso antagonismo

Infatti, una diligenza collegava la marina con la cit-

economico, che porterà ad individuare nelle tendenze mo-

tà, e non era per nulla agevole risalire la tortuosa strada

nopolistiche dei grossi industriali del marmo quelle carat-

dei marmi, una fangaia l’inverno, uno sconnesso polve-

teristiche illiberali e accentratrici proprie dei moderati.

rone d’estate.

Che la Marina di Avenza fosse il grande deposito

Lasciate le macchie di pini, numerosi campi colti-

per l’imbarco dei marmi, si poteva pure notare dalla pre-

vati a granturco, frutta e ortaggi segnavano il paesaggio

senza di una mezza dozzina di sontuose residenze patrizie,

nel breve tratto prima di Avenza, dove, sotto le mura del-

quali quelle dei Monzoni, dei Del Medico, dei Lazzoni,

la solida fortezza del Castracani, passava la via postale

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Cave di marmo: bacino di Torano, la città di Carrara e la costa da Campocecina. (Foto di Daniele Canali, 2005. Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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per Sarzana e Pisa, unica efficace via di comunicazione

divenivano sempre più sontuose e di piccole borgate semi

nella piana carrarese che collegasse la città apuana con

agricole, dove non pochi facevano il mestiere del cava-

le vicine città toscane e liguri. La tortuosa via Carriona,

tore, senza però rinunciare alle modeste entrate di lavori

percorsa con difficoltà dai cavalli della diligenza causa i

agricoli su un proprio minuscolo appezzamento di terra

profondi solchi lasciati nella terra fangosa dai pesanti car-

vignato e seminato a ortaglie.

ri adibiti al trasporto dei marmi, si snodava in una verde

La città si sarebbe lentamente srotolata dinnanzi

cornice di colline terrazzate, costellate di residenze che

agli occhi del visitatore, velata da una “ritmica cortina” di


rumore prodotto dalle numerose segherie e laboratori di

razionale nell’ uso della forza idrica che, con un elemen-

scultura che formavano una sorta di cinta attorno ad essa.

tare principio faceva muovere ben 12 moderni telai dotati

Tra le basse abitazioni proletarie della borgata di

di centinaia di lame.

Groppoli, poco fuori la cinta urbana, sorgeva il più gran-

“Quarantanove segherie armate di duecento telai e

de e moderno stabilimento per la segatura dei marmi, co-

venti frulloni sorgono sulle rive del Carrione, centoquin-

struito nel 1857 sempre dall’ inglese Walton, sulla base di

dici officine di scultura e di ornato si annoverano nell’ in-

concetti tecnici innovativi e rivoluzionari, maggiormente

terno della piccola e laboriosa città. Disse Camillo Cavour

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Veduta panoramica di piazza del Duomo. (Foto di Daniele Canali, 2010. Archivio Storico della Camera di Commercio.)

Nella pagina di destra: “Il gigante” (monumento incompiuto di Andrea Doria eseguito da Baccio Bandinelli) e il campanile del Duomo di Carrara. (Foto di Daniele Canali, 2007. Archivio Storico della Camera di Commercio.)

che Biella è la Manchester d’Italia; e alcuno, forse con

tez­za del­le strut­tu­re alle­via­ta da deco­ra­zio­ni orizzontali

maggiore verità, potrà dire che Carrara, fatta differenza

e lon­gi­tu­di­na­li in cal­ce bian­ca; attor­no, nel­le col­li­ne, non

dal prodotto, è la nostra Mulhouse” recitava il Magenta

boschi uber­to­si, come qual­cu­no potreb­be cre­de­re, ma

nella sua nota opera sull’industria dei marmi apuani.

quel­la ter­ra ava­ra tut­ta ter­raz­za­ta con il lavo­ro di seco­li e

La struttura urbana della cittadina sarebbe di lì a poco profondamente mutata, assumendo progressiva-

E proprio su questo terreno che i liberali modera-

mente, nell’ arco di un ventennio, la forma ‘moderna’ ti-

ti carraresi, ricchi di una cultura positiva e modernistica,

pica delle razionali città ottocentesche.

diedero una grande battaglia: il riordino della città e la

Al momen­to del­ l’ uni­ tà d’I­ ta­ lia, Car­ ra­ ra man­ te­ ne­ va

creazione delle basi per una diversa dimensione urbani-

la sua strut­ tu­ ra e fisio­ no­ mia set­ te­ cen­ te­ sca, che abban­ do­

stica del territorio comunale; ma soprattutto la necessaria

ne­ rà solo a segui­ to del­ le gran­ di ristrut­ tu­ ra­ zio­ ni degli anni

impronta della loro egemonia attraverso la “cristallizza-

‘80 e ‘90.

zione”, nei luoghi e negli spazi urbani, dei “miti” del pa-

A par­ te l’a­ rea rina­ sci­ men­ ta­ le e monumentale di via

trio risorgimento.

e piaz­ za Albe­ ri­ ca, il centro storico che si irraggiava dal

In questa direzione andava la rela­zio­ne pre­sen­ta­

Duomo e che ave­ va in via Ros­ si e via S.Maria le vie cen­

ta al Con­si­glio Comu­na­le di Car­ra­ra, in data 14 ago­sto

tra­ lis­ si­ me, man­ te­ ne­ va quel­ la fisio­ no­ mia di cui par­ la­ va il

1868, dal­la com­mis­sio­ne comu­na­le crea­ta allo sco­po di

Tar­ gio­ ni-Toz­ zet­ ti nel­ la pri­ ma metà del ‘700; case bas­ se al

sten­de­re un pro­get­to di “rior­di­na­men­to del­le piaz­ze e vie

mas­ si­ mo di due pia­ ni, pic­ co­ le por­ te, fine­ stre stret­ te e tet­

del­la cit­tà di Car­ra­ra e sob­bor­ghi”, com­mis­sio­ne com­

ti di pia­ gne d’ar­ de­ sia, come è pos­ si­ bi­ le vede­re in alcu­ne

po­sta da due per­so­nag­gi qua­li il con­te Emi­lio Laz­zo­ni,

foto degli anni ‘80, e pre­ci­sa­men­te nel­la foto del­l’al­lo­ra

pro­fes­so­re, inse­gnan­te di Sto­ria del­l’Ar­te pres­so l’Ac­ca­

muni­ci­pio; pochissimi i tratti di strada lastricata.

de­mia di Bel­le Arti e del­l’av­vo­ca­to Cav. Andrea Pas­sa­ni,

Colo­ri scu­ri a base di ter­re sugli into­na­ci, la pesan­

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col­ti­va­ta a vite, oli­vo, gra­na­glie e ortag­gi.

let­te­ra­to e socio ono­ra­rio del­la Acca­de­mia stes­sa, nonché


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Registro degli esercenti commercio. Carrara, 1864. L’estremo dettaglio delle informazioni ci permette di ricostruire l’intero universo umano, sociale e geografico delle attività commerciali e industriali del territorio. (Archivio Storico della Camera di Commercio. Registro 1864. Primo registro completo inerente tutti i comuni della provincia.)

ani­ma­to­re del­le atti­vi­tà culturali, tea­tra­li, e presidente del

ni, che diver­rà poi vico­lo del­l’A­ran­cio; vico­lo Sar­te­schi,

Casi­no civi­co, luo­go di incontro e di affari per ec­cel­len­za

poi Chias­so di via Nuo­va; via dei Grop­pi­ni, sot­to la vol­ta

del­la eli­te cit­ta­dina e dei commercianti di marmi, italiani

Zano­li­ni, poi chias­so del­l’A­ran­cio.

e stranieri. Da tale rela­zio­ne nascerà l’an­no suc­ces­si­vo la pri­

Carrara borghese nella direttrice est, lun­go lo stra­do­ne di

ma pian­ta di pia­no rego­la­to­re, idea­to dagli ingegneri Vin­

S.Fran­ce­sco, era ancora attor­nia­to dagli stu­di e labo­ra­to­ri

cen­zo Luchi­ni e con­te Car­lo Laz­zo­ni, modi­fi­ca­to in par­

di scul­tu­ra Bie­nai­mè, Bonan­ni ecc.

te nel 1874 dagli ingegneri Giu­sep­pe Tur­chi e Tele­sfo­ro Simo­net­ti.

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Quella che sarà la prima zona di espan­sio­ne della

Lì la serie di vie inti­to­la­te alle patrie bat­ta­glie del Risor­gi­men­to, via Mar­sa­la, via Sol­fe­ri­no, via Castel­fi­dar­

Dal­la tabel­la allegata a quella relazione è pos­si­bi­

do; poi nel­la par­te ter­mi­na­le del­lo stra­do­ne via Cavour,

le ricavare la distri­bu­zio­ne di palaz­zi e residenze delle

che si incro­cia con via Gari­bal­di (ex via del Colom­ba­rot­

fami­glie più in vista non a caso sem­pre cita­te quali pun-

to) e ter­mi­na in cor­so Vit­to­rio Ema­nue­le: qua­si a voler

to di riferimento per comprendere l’esatta ubicazione di

rap­pre­sen­ta­re che la par­te di nuo­va espan­sio­ne di Car­ra­

stra­de o vico­li, e spesso dette strade portavano il nome

ra, quel­la par­te così razio­na­le e ammi­ra­ta dai visi­ta­to­ri di

del­le fami­glie che vi risedevano, qua­li il vico­lo Negro­

fine seco­lo sia diret­ta figlia­zio­ne del Risor­gi­men­to. Ma un


ulti­ma con­si­de­ra­zio­ne va appli­ca­ta ad un altra impor­tan­ te inno­va­zio­ne, che va di pari pas­so con le tesi sud­det­te: la can­cel­la­zio­ne del­la mag­gio­ran­za del­le vie inti­to­la­te a fat­ti reli­gio­si, come a can­cel­la­re il ricor­do del­la domi­na­ zio­ne pre­ti­na e austria­can­te. Via del Suf­fra­gio divie­ne via del Ple­bi­sci­to, piaz­za del Luo­go Pio piaz­za d’Ar­me, via del Cro­ce­fis­so via Cavour e via Lunen­se, via del­l’An­gel Custo­de via S. Piero. Quel­la clas­se poli­ti­ca che ave­va avvia­to la tra­sfor­ ma­zio­ne urba­ni­sti­ca di Car­ra­ra, e che pre­sto l’avrebbe cir­ con­da­ta di magni­fic­ he vil­le e resi­den­ze patri­zie, per nulla si poneva il problema delle abitazioni popolari, tanto dal popo­lo era lon­ta­na. E nei mise­ri tugu­ri del Caf­fag­gio, di Cai­na e Vez­za­la, dei pae­si a mon­te i lavoratori ebbero la loro definitiva emarginazione in quanto classi subalterne e incontrarono quelle idee di giustizia e di riscossa che ebbero tanto seguito tra il proletariato apuano. A partire dalla fine degli anni sessanta si poté assistere ad un forte fenomeno di crescita del valore del suolo e quindi ad una disordinata crescita “in alto” dei quartieri del vecchio centro storico, ormai definitivamente diventati popolari, siti ai margini del vecchio perimetro murario e tendenti ad occupare sempre di più il centro della città, come diretta conseguenza del progressivo trasferirsi delle dimore patrizie nell’area orientale della città, la rettifila città borghese ed ottocentesca, che a sua volta, tenderà ad occupare gli spazi prima destinati ai laboratori di scultura. Di quello stacco fisico tra città popolare e città borghese, (delimitazioni sconosciute fino a poco tempo prima) ne divenne interprete “fisico” l’alto poggio dell’ex giardino ducale che, con il suo alto muro collegato al vecchio castello principesco, dava il senso di un lungo bastione naturale che separava le due città: da una parte la città popolare, vivacissima, con decine di mescite di vino, negozi di pizzicagnolo, botteghe, norcinerie, con il mercato delle erbe e i primi negozi “svizzeri” di pasticceria, caffè e coloniali e dall’altra i quieti ed ordinati quartieri della borghesia cittadina, cresciuti all’ombra della impo-

nente caserma di fanteria e dei pretenziosi edifici disegnati dall’ing. Casella di Torino a partire dai primi anni ‘80, quando pareva che Carrara dovesse divenire, di lì a poco, sede del governo provinciale e della prefettura. Non è possibile tratteggiare accuratamente questa evoluzione urbanistica comprendente un periodo ben più lungo di quello da noi studiato, ma non si può ignorare che le direttrici dello sviluppo della città traggono dalle mutazioni intervenute in questi anni le loro radici. La dinamica sociale dei flussi di immigrazione, troppo poco analizzata con la necessaria attenzione, è fenomeno chiave per la ricostruzione del tessuto sociale cittadino, e non solo, quindi, per la esplicazione del notevole incremento della popolazione subìto dalla città nell’arco di un quarantennio, ma anche per la comprensione della distribuzione della popolazione in funzione delle proprie mansioni produttive. La tendenza di questa immigrazione di lavoratori dalle zone circonvicine, ricostruibile attraverso la disamina degli atti dei registri di stato civile, di quelli delle parrocchie e soprattutto dalla analisi dei cognomi, ci permette di ricostruire un quadro, ben lungi dall’ essere concluso, ma assai valido allo scopo di ricostruire fisionomie sociali e motivazioni individuali. Argomento da approfondire in altra sede, ma utile a fornirci alcune interessanti chiavi di lettura. L’immigrazione non era mai di una famiglia intera, ma, almeno nel primo periodo era preceduta dalla stagionalità della presenza del capofamiglia o, ancor più spesso, da celibi, giunti attraverso collegamenti parentali o di appartenenza ad una medesima località. La tendenza era quella di prendere alloggio presso una famiglia già residente, carrarese o di provenienza dalla medesima località, la quale affittava una o due camere ad un certo numero di uomini, di solito da due a quattro, allo scopo di integrare le magre entrate, e ancor più spesso in coincidenza con una disgrazia famigliare, quale la mutilazione del capofamiglia in un incidente di cava. Nel caso dell’ affitto ad una sola persona era generalmente invalsa la regola della “stabile conoscenza”ovvero si conosceva

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l’avventore in quanto collega di lavoro (di solito della

e ancor più le popolatissime borgate limitrofe alle cave,

stessa compagnia di lizzatori) o garantito e presentato da

erano “ammassi di case dallo stampo antico, con piani

un collega; una situazione non molto dissimile da quanto

bassi, finestre piccole e mal distribuite, scale buie e ripi-

avveniva nelle realtà minerarie inglesi o americane dello

dissime. Poste in vicoli stretti e accidentati non risentono

stesso periodo.

menomamente i benefici della luce solare né di una venti-

Le zone dove generalmente si localizzava questa

lazione atta a purificare in parte l’aria corrotta dai miasmi

tendenza erano i quartieri ad ovest del fiume Carrione

esalanti dai prodotti della vita umana. La sproporzione

o immediatamente limitrofi ad esso: Grazzano, Caffag-

dei fabbricati con l’aumento progressivo e rapido della

gio, la “dantesca” Caina, Vezzala, e, poco più a sud S.

popolazione originò la divisione dell’interno in tante cel-

Martino, sede della stazione ferroviaria, Fuori Porta e “‘l

le ( che così addirittura possono chiamarsi e non camere)

pioc”, cioè l’area di via S. Piero, i primi quartieri a subire

male illuminate, peggio ventilate e assolutamente insuffi-

una forte proletarizzazione. Ma, se alla stagionalità della

cienti per cubatura al numero degli inquilini”.

migrazione, seguiva la scelta della residenza e la venuta

Se questa descrizione si attagliava ad una condizio-

della famiglia o la contrazione di un matrimonio in loco,

ne sicuramente immiserita con l’andare del tempo e ap-

l’alto costo dei fitti portava la famiglia a stanziarsi nelle

pena successiva ai moti di Lunigiana, non rinunciava alle

borgate a monte, in situazioni abitative assai precarie ma

tinte fosche ma realistiche del positivismo ottocentesco

meno costose, più vicine alle cave e dove, sia i figli che

attraverso una disgressione particolareggiata di quelle

le donne, potevano integrare il salario con occupazioni

condizioni disumane: “ogni spazio, ogni buco, dal pian

saltuarie in cava o nella raccolta di legna nei boschi co-

terreno alle soffitte è utilizzato e abitato. Fondaci col pia-

muni. Questo processo, in un secondo tempo si estese alle

no sotto il livello della strada, privi di aria e di luce, umidi

borgate del piano, dove, nel caso di Avenza e di Marina

e melmosi ricoverano intere famiglie: pavimenti smossi e

tendevano invece a trovare collocazione quegli immigrati

sconquassati, pareti colanti un viscido sudicio e untuoso,

con mestieri e attitudini conseguenti al trasporto dei mar-

soffitti polverosi e cadenti che da anni ed anni non hanno

mi e al loro caricamento nei navigli alla fonda.

visto l’opera riparatrice del muratore, costituiscono gli

Le condizioni igieniche e abitative dei lavoratori del marmo non subirono importanti migliorie nel corso

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ambienti in cui vive giornalmente la famiglia dell’operaio.”

di tutto il secolo decimonono, sebbene la città, a parti-

Non molto più confortevoli gli arredi, composti da

re dagli anni ottanta venisse dotata di una vasta rete di

pochi mobili e masserizie: “i letti poverissimi composti di

fognature, di ampie vie lastricate e di numerosi punti di

un saccone ripieno di foglie di grano turco che vengono

distribuzione delle acque potabili. In uno studio di igie-

rinnovate ogni anno o due. I materassi di crine vegetale,

ne sociale del 1894, il dottor Ludovico Milani affermava

raramente di lana, sono oggetti di lusso. Anche gli arre-

che “mentre l’alto ceto abita in condizioni di comodità e

di di cucina si riducono a poche terraglie: gli oggetti di

di igiene più che soddisfacenti, mentre i pubblici edifici

rame o di bronzo sono quasi del tutto scomparsi a causa

rivelano una grandiosità ed un lusso anche superfluo, le

della miseria crescente o dei sequestri del fisco.”

case abitate dalla povera gente sono un infelicissimo rico-

L’assenza totale di latrine favoriva il perseverare di

vero ripugnante all’igiene e condannabile da ogni umano

fetide “corti” comuni nelle quali venivano gettati i rifiuti

sentimento.”

e gli escrementi della vita umana.

E la parvenza esterna di decoro e pulizia si contrap-

“L’elemento operaio, variabilissimo d’origine e di

poneva alla realtà di interni miserabili; questi quartieri

favella si accumula in queste topaie, e, per strana ironia, è


fortuna grande che porte ed imposte non corrispondano al

un miserabile gruzzolo racimolato a scapito della salute

loro ufficio perché altrimenti dopo poche ore di chiusura

che è rovinata dall’eccesso della fatica e dalla mancanza

la mancanza d’aria respirabile sarebbe causa di dolorosi

di nutrizione, e spesso le donne e le figlie portano il frutto

accidenti. Stante la gravezza dei fitti il tipo medio dell’a-

di una coabitazione bestiale pagando con lacrime e vergo-

bitazione operaia sarebbe rappresentato da due vani - ca-

gna il malinteso risparmio.”

mera e cucina - per una famiglia composta dai genitori e di tre o quattro figlioli piccoli.

Una situazione di degrado morale che rendeva acuta la pressione del grande “esercito industriale di riserva

Fin che questi non hanno raggiunto qualche anno

“ sui lavoratori apuani, sempre più espropriati dai proces-

più della pubertà dormono in comune; poi se le femmine

si produttivi semplificati dalla introduzione di moderne

non vanno a marito o i maschi non si cercano una fa-

tecnologie ma che rendeva ancora più acuto il contrasto

miglia fittizia o legale, il problema della coabitazione si

tra quella sorta “aristocrazia operaia” formata dalle figure

risolve coi maschi in una camera e le femmine nell’al-

più professionalizzate e la massa di miseri che si affollava

tra. L’igiene sarà la stessa, la morale guadagnerà poco

in quella sorta di “frontiera” interna che divenne la Carra-

ma si rivela sempre un fondo di pudore che accenna ai

ra di fine Ottocento.

sani principi radicati nell’ animo dell’ operaio. Ma per

I cavatori, i segatori, gli scalpellini e le loro fami-

disgrazia non tutte le famiglie non sono così, sono anzi

glie tendevano ad ostentare un decoro proprio di una clas-

vergognosamente troppe quelle che pur sentono alla loro

se sociale cosciente di sé e della propria condizione, che

maniera i vincoli del sangue, estrinsecano gli affetti inti-

partecipava attivamente alla politica cittadina attraverso i

mi solo nella soddisfazione brutale dell’appetito che non

circoli educativi e politici prima, e le organizzazioni in-

ragiona. Formano il gradino più basso della classe ope-

ternazionaliste e di resistenza poi.

raia: abitano in fondaci di case da cui rifugge inorridita

L’aspetto miserabile dei giorni lavorativi svaniva in

la vista e l’odorato, poveri di masserizie, colle stoviglie

occasione dei giorni festivi o nella mattinata del lunedì di

ridotte al più stretto necessario, in un ambiente di sudiciu-

mercato, quando i proletari del marmo sfoggiavano “con

me materiale e morale che per fatalità o malavoglia pare

spavalderia” i loro cappelli a larga tesa e l’abito dalla

non risalti che alla vista del medico che troppo spesso li

festa, curando la pulizia e l’igiene della persona e della

deve visitare.

biancheria, affollando le numerose barberie, veri centri di

E questa abiezione è superata da un ultimo elemen-

discussione politica e aggiornamento su fatti e “misfatti”

to, fortunatamente temporaneo, costituito da montanari

cittadini, passeggiando per le vie del centro e sceman-

della Garfagnana o del Reggiano che calano a Carrara

do progressivamente nelle numerose cantine e bettole a

al sopraggiungere dei primi freddi. Gli uomini trovano

festeggiare S. Lunedì, antica consuetudine artigianale

occupazione negli infimi lavori, le donne ed i bambini

diffusa tra gli operai urbani dei maggiori centri industria-

vanno indecentemente questuando. Pur di risparmiare

li d’Europa. Ed è proprio nelle bettole, dove per lungo

qualche soldo alloggiano in case senza serramenta e mez-

tempo si protrasse la consuetudine di pagare il salario,

zo rovinate, in fondaci a nudo terreno, in stalle, e senza

specie se le cantine erano di proprietà del padrone della

masserizie, biancheria e stoviglie, dormendo sullo strame

cava, che si forgiavano nuove generazioni di idee, riu-

e sulla paglia e nutrendosi del ricavo della questua o dei

nioni politiche ma anche, bisogna registrarlo, il raro caso

cibi più miserabili passano i mesi dal novembre all’apri-

dello sconfinamento delle donne nello “spazio maschile”.

le. Quando il sole comincia a scottare ritornano ai loro

La madre di famiglia che veniva a recuperare il marito

monti decimati dalle malattie e dagli infortuni: portano

ubriaco, timorosa del fatto che egli potesse dilapidare nel

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vino il magro salario e sottrarlo al sostentamento della famiglia, è una figura altrettanto tipica della moderna civiltà urbana ed industriale. Gli spazi “femminili” erano rigorosamente distinti da quelli maschili, e ai primi competeva soprattutto l’allevamento e l’educazione dei figli. Infatti “amano i figli, ma per la continua assenza di casa poco influiscono sulla loro educazione che è affidata più propriamente alle donne alle quali, a dir il vero, un esagerato amor materno e la debolezza dell’animo fanno troppo spesso velo sulle disposizioni e sugli atti dei figli”. Notevole era la frequenza presso le scuole pubbliche, sebbene i genitori, molto spesso, fossero privi di istruzione e fino che ciò era possibile si tendeva ad evitare loro le fatiche dell’apprendistato di un mestiere finché non fossero fisicamente atti a svolgerlo. C’era insomma una sorta di velato senso di precarietà dell’esistenza, dovuto alla durezza e alla pericolosità del lavoro alle cave che impermeava i vari livelli della cultura operaia carrarese; una vita vista come provvisorietà e quindi da vivere intensamente, ovviamente, per quanto fosse possibile. Sebbene diffusissime fossero le “libere unioni” e le nascite illegittime, così deprecate dalla morale borghese del periodo, non si riscontrava una altrettanto diffusa pratica di abbandono della prole, segno di una particolare “parificazione” tra matrimonio legale e illegale nella mentalità delle classi lavoratrici apuane. Ci pare quindi assai attuale l’analisi che il Milani veniva conducendo nel suo saggio circa i costumi dei cavatori:” l’indole di questi operai se è energica per natura e per abitudine non degenera affatto in prepotenza. I continui rischi delle cave ne hanno temprato il carattere ad una fierezza straordinaria che scende qualche volta a intolleranza di tutto quanto credono sopruso o imposizione forzata. L’isolamento in cui vivono, la segregazione da ogni civile consorzio li rende rozzi negli atti e nella parola, diffidenti della borghesia e delle sue leggi, ma non mancanti di rispetto o violatori per sistema alle leggi comuni. Facili all’ entusiasmo seguono ciecamente la prima idea, il primo impulso, e, se sobillati, diventano turbolenti

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con una ingenuità che ha del fanciullesco per rientrare poi prestamente nella calma, quando svaniti i bollori subitanei appare nella mente onesta la irragionevolezza dei moti inconsulti. Seguaci degli estremi pongono nelle idee politiche abbracciate la tenacia degli animi risoluti e la fede indiscussa nei dogmi dottrinari non sempre i migliori, quasi mai impartiti con fede di apostolo, e che nella deficiente cultura deviano nei mezzi e nello scopo. Ma in fondo laboriosi ed onesti, è fra loro raro l’ozio ributtante, sconosciuto il furto, minimi i delitti comuni.(...) Comprendono e sentono più che le proprie le altrui miserie, che non si contentano di compiangere ma che aiutano nei limiti delle loro forze”. Questa descrizione, sebbene assai vicina a verità, fatte salve alcune considerazioni proprie del paternalismo politico dei democratici e illuminati scienziati sociali del periodo, non tiene conto della disamina di una lunga serie storica di dati sui reati del circondario, sebbene il Milani individui le principali cause di questi nelle ire di partito, nelle liti causate dalla contesa per una donna, dalla ubriachezza e dal dilagante alcolismo che facevano registrare nel corso dei giorni festivi la maggioranza dei reati. La piaga sociale dell’ alcolismo ebbe nella provincia apuana e nel Friuli i suoi due principali epicentri per tutto il corso (e oltre) del diciannovesimo secolo; il consumo di vino, a partire dai primi anni sessanta aumentò a ritmi sempre più impressionanti: nonostante i gravami del dazio e gli altri numerosi balzelli trovava un ampio mercato di consumo che orientava i produttori verso il mercato carrarese da cui potevano trarre maggiori profitti, visti i salari mediamente più alti che nelle regioni limitrofe. La cantina quindi diviene a tutti gli effetti il luogo principe della socialità delle classi subalterne carraresi. È assai difficile tracciare il confine tra politica e ribellismo endemico dei lavoratori del marmo; ma riteniamo che possano essere accettate alcune indicazioni avanzate da E.J. Hobsbawn in merito al banditismo sociale, alle sette operaie, e al rituale dei movimenti sociali. Il forte sviluppo durante gli anni ‘50 delle sette ope-


raie, derivate dal rituale massonico della borghesia liberal-democratica apuana, e poi sfociato progressivamente nella adesione ai gruppi internazionalisti dovrebbe essere studiato anche sotto il profilo del rapporto con la religione da parte del proletariato preindustriale apuano o nei contadini immigrati. Infatti, “..le sette operaie si distinguono da queste forme religiose in quanto sono essenzialmente attive. Non soltanto i membri del gruppo provengono principalmente dai salariati, ma l’intera setta è intimamente legata ai movimenti operai e sindacali, attraverso la teoria , l’organizzazione o le attività degli aderenti”. Delle numerose sette che si incontrano agli inizi della seconda metà del secolo e in particolare della “famigerata Spartana” colpisce, dai pochi elementi di conoscenza conservati soprattutto nelle carte di polizia, la complessità di simboli, ritualità di affiliazione e di esecuzione delle direttive, quasi che l’accentuazione degli elementi rituali, compresi i numerosi omicidi di “traditori”, spie ed avversari (caratteristica perdurata nelle epoche di forte crisi sociale alla fine del secolo) si possa giustificare, sempre con le parole di Hobsbawn,” ... a causa della inclinazione che generalmente si riscontra nelle persone ignoranti e politicamente impreparate, verso manifestazioni violente, come i giuramenti e le cerimonie segrete”. Il superamento di queste forme primitive di associazione politica segna il definitivo ingresso del movimento operaio apuano nella sua fase moderna e coinciderà, non a caso, con gli anni dell’ allargamento delle basi del suffragio elettorale e della nascita del movimento socialista. Alcune considerazioni, infine, sul regime alimentare, che era nel complesso il più ricco e vario della provincia intera; pane bianco, stoccafisso, baccalà, pesce affumicato, carni bovine e suine, legumi e ortaglie, minestra con fagioli condita con lardo o olio e frutta, specie d’estate facevano parte della dieta tipica della popolazione carrarese, che raramente si privava di questi importanti apporti alimentari indispensabili al duro lavoro delle cave. Le malattie infettive non avevano il peso che assun-

sero in altre parti della provincia, ma dall’esito delle liste di leva per il periodo da noi studiato si deduce una forte presenza di esclusioni, ben superiori alla media del regno, per deficienze toraciche, oculistiche e per ernie viscerali; a queste vanno aggiunte le diffusissime affezioni alle vie respiratorie e reumatiche proprie di gran parte dei cavatori e dei lavoranti in segherie e laboratori di scultura, e traumatismi da infortuni. La mortalità media prevaleva nella zona della campagna, e specie nella frazione di Avenza, la quale possedeva il triste primato delle peggiori condizioni igieniche e abitative di tutto il territorio comunale. La costruzione di un vasto e moderno ospedale, iniziato nel gennaio 1874 ed ultimata nel marzo del 1876, ovviò in parte al tradizionale disinteresse dei maggiorenti rispetto i problemi e le esigenze del ceto inferiore, e fu di grande stimolo alla diffusione di un sempre maggiore controllo sulle condizioni dell’ igiene pubblica, rafforzando i controlli sanitari sulle vettovaglie, i mercati, la pulizia urbana e i servizi di assistenza medica. Alla costruzione del nuovo “Civico” Ospedale contribuirono tutti i notabili e gli industriali carraresi, a partire dal lascito testamentario di lire 60.000 del primo sindaco, Conte Ferdinando Monzoni, lo stesso Comune con lire 21.000 e il terreno e, congruamente, sia Carlo Fabbricotti con lire 10.000 che il fratello Giuseppe, deputato del collegio e sempre in prima fila nelle opere di pubblica beneficenza, con lire 12.000. A questa realtà delle condizioni di vita e di lavoro delle classi subalterne si opponeva una ben diversa realtà, quella delle classi medie e delle elites dominanti. La guida redatta da Carlo Lazzoni nel 1880 descrive ampiamente la Carrara delle classi medie e della ristretta elite dei maggiorenti: palazzine moderne e sontuose, costruite in prevalenza intorno ai primi anni ‘70, ricche di marmi e preziose suppellettili, laboratori di scultura ornati da gessi e sculture dirette ad ornare piazze e palazzi delle maggiori città del mondo, ville e casini di campagna, sparsi nelle colline e nel piano, palazzi nobili,

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assediati da un centro storico sempre più invaso da un popolo variopinto e chiassoso. L’immagine di una città vivace, con moderni e lucenti bars che si contrapponevano alle sordide cantine, scuole tecniche e ginnasiali per i figli della buona borghesia, balli di gala nel grande salone della prestigiosa Accademia di Belle Arti, centro della scultura marmorea e della cultura cittadina, il Teatro degli Animosi dove si susseguivano balli di società, rappresentazioni teatrali e soprattutto liriche, il Casino Civico, che nelle sue stanze ospitava la buona società nei suoi ozi, svaghi ed affari. L’elenco dei soci di questa “benemerita istituzione” è già, di per sé, l’elenco della elite dominante ; l’elenco di coloro i quali ricopriranno le cariche elettive nelle amministrazioni locali, provinciali e parlamentari, dei sindaci di nomina regia, dei consigli di amministrazione delle banche, dell’ ospedale, della Camera di Commercio, i cui primi presidenti furono Nicolao Lazzoni dal 1863 al 1871, Carlo Fabbricotti nel 1871, Carlo Binelli dal 1871 al 1877, l’inglese Giovanni Goody dal 1877 al 1879, Giovanni Baratta dal 1879 al 1889. E naturalmente la sede della Camera di Commercio, le sedi delle banche e delle numerosissime ditte di marmi, site in gran parte tra la via Alberica (dove aveva sede la prima) e il corso Vittorio Emanuele. Per nulla studiate nei loro riti sociali, nei complessi intrecci famigliari e di interessi, le borghesie urbane carraresi rappresentarono un caso singolarissimo nella regione. Espressamente indirizzate all’emulazione del modello di vita anglosassone, da questo traevano l’essenza del liberismo economico e politico di cui si dicevano fautori, almeno a parole; dell’Inghilterra e degli inglesi mutuavano cultura, lingua e stile, inviando regolarmente i propri rampolli a fare studi e pratica di mercatura a Londra o a New York; e gli stessi gusti anglosassoni entravano nel disegno e negli arredi delle loro sontuose dimore. Il classico salotto borghese ricco di pesanti drappeggi, di tavoli e sofà in noce, del biliardo, dei marmi

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pregiati e dell’immancabile orologio a pendola, quasi una sorta di “orror vacui”, di vuoto che non poteva essere concepito senza quei precisi segni dei riti della vita borghese, il salotto tipico di tanta letteratura ottocentesca lo ritroviamo puntualmente nei leziosi inventari dei beni del Casino Civico o dell’eredità di Domenico Andrea Fabbricotti. Ma era una borghesia sì tutto ottocentesca, entusiasta per i progressi della scienza e della tecnica, che intraprese la costruzione di quella che, per l’epoca, il 1876, era la più alta strada ferrata d’Europa destinata al trasporto dei marmi e degli illustri turisti, quali i membri del congresso geologico internazionale del 1883, portati a visitare quella straordinaria formazione orografica che sono le Apuane e quella millenaria opera dell’ uomo, ormai nota in tutto il mondo grazie a cartoline postali e litografie, quella borghesia che si preoccupò di dare forma razionale ad un territorio che non era stato ancora ufficialmente rilevato, producendo agli inizi del terzo decennio unitario la dettagliata carta orografica in scala 1: 2000 delle Apuane, redatta dall’ ing. Fossen o dando vita, nel 1888 ad una nutrita sezione carrarese del Club Alpino: era una borghesia anche non ancora dedita alla rendita che nel Cav. Carlo Fabbricotti, “Carlazz” per la gente, aveva il modello di assiduo e attento” lavoratore”, che ogni giorno si recava nelle più erte cave a controllare, di buon ora, l’andamento del lavoro; capace di improvvisi e paternalistici atti di generosità verso i propri lavoratori, o di una cruda e fatalistica insensibilità nello scontro economico con la vecchia aristocrazia marmifera o quando, per alleviare le durissime condizioni di vita e di lavoro delle classi subalterne doveva metter mano al portafoglio, non come gesto liberale, ma come gesto dovuto alle nuove imposizioni patrimoniali previste dall’amministrazione democratica; o capace, infine, delle contraddizioni apparentemente più strane, come quella di avere tra i principali e stimati agenti di cava l’attivissimo e altrettanto conosciuto internazionalista Brandisio Merlini. Una classe che non ebbe mai ritegno nello spregiu-


Marina di Carrara, 1883. Planimetria della attuale piazza Gino Menconi con prospetto della “pagodina” della fontana ed essenze verdi del giardino: è il primo intervento di arredo urbano sulla nascente Marina. Sotto: Una tavola relativa ad un progetto di ampliamento. Tra gli anni ’80 e la fine del secolo la città cambiò radicalmente volto. (Archivio di Stato di Massa, comune di Carrara, lavori pubblici, 1883.)

dicato utilizzo del potere che la sua supremazia economica gli aveva dato, anche quando quella politica venne meno, sempre più scalzata dall’azione politica dei democratici, degli internazionalisti, dei loro circoli, dei loro giornali. “Lo Svegliarino”, interprete di oltre un trentennio di battaglie democratiche era ben diversa cosa dai giornali finanziati dai baroni del marmo, ma si trovava sulla loro direttrice in occasione delle sempre più frequenti battaglie campanilistiche tra una Carrara moderna e industriale e Massa dipinta come baluardo di arretratezza. Questa elite cittadina, profondamente ed intimamente legata al marmo e alle sue alterne fortune divenne la controparte necessaria del complesso scontro di classe che caratterizzò la vicenda storica carrarese dall’unificazione nazionale all’ avvento del fascismo.

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Estratto di mappa catastale del centro storico di Carrara eseguito dall’ingegnere comunale Leandro Caselli prima degli interventi da lui eseguiti. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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triplici diciture: ciò è indizio quasi sicuro che si tratta di locali di origine svizzera. In effetti non furono gli svizzeri gli inventori di questo tipo di negozi, ma essi seppero darvi un’impronta del tutto particolare, un marchio - potremmo dire - che nella storia del commercio restò inalterato e dura tuttora. Il “Caffè”, infatti, si trasformò spesso, per loro iniziativa in “caffè - pasticceria” ed assunse una notevole importanza nella vita cittadina, sia dal punto di vista sociale che intellettuale e talvolta anche politico. I nuovi locali ebbero caratteristiche strutturali comuni: sale non molto grandi ma accoglienti, con vetrine sulle strade o sulle piazze; pareti dipinte, adorne di stucchi, intagli e specchi; sedie impagliate o rivestite di velluto, tavolini generalmente in marmo. Spesso erano situati in posizioni strategiche, presso gli incroci delle strade, con ingressi d’angolo su due vie o alla confluenza di queste in una piazza, con duplice entrata sulla strada e sulla piazza.

PARTE PRIMA

Non sono molte le città italiane nelle quali non si trovi un locale pubblico, come “caffè”, “pasticceria”, “drogheria”, che non faccia in qualche modo riferimento agli “Svizzeri”. Talvolta è la denominazione stessa del negozio che ci indica esplicitamente la nazionalità dei proprietari (ad es. “Caffè degli Svizzeri”), talvolta è il nome del gestore che ci rimanda al paese di provenienza dello stesso (ad es. “Pasticceria Caflish”), anche se qualche volta il nome originario del fondatore è stato italianizzato (è il caso di Reatsch diventato Reacci e poi Riacci). La maggior parte di quei locali ha continuato la propria attività fino ad oggi e alcuni sono riusciti a mantenere le caratteristiche delle origini. Taluni, invece, hanno mutato radicalmente la funzione primitiva e sono stati trasformati in empori commerciali di altro tipo. Abbiamo distinto i locali creati e gestiti dagli svizzeri in “caffè”, “pasticceria” e “drogheria”. Si trattava, almeno nella fase iniziale della loro attività, di tre esercizi commerciali di diversa tipologia merceologica e di differente struttura ambientale. Col termine di “Caffè” si intendeva il locale pubblico adibito alla torrefazione e alla preparazione del caffè. In seguito esso assunse alcune caratteristiche che favorivano la sosta dei frequentatori e divenne luogo di ritrovo e di svago, aggiungendo la disponibilità di altri prodotti come liquori, bibite e dolciumi. La “Pasticceria” era il negozio ove si fabbricavano paste e dolci che venivano poi serviti ai clienti in apposite sale. Col mutamento degli usi alcune pasticcerie ampliarono la loro offerta con servizi di caffè, tè e cioccolato in tazza e divennero esse stesse dei “Caffè”. La “Drogheria” era notoriamente la bottega nella quale si vendevano i cosiddetti prodotti coloniali o spezie, quali caffè in chicchi o macinato, cacao, pepe, cannella, noce moscata, chiodi di garofano, senape, zenzero, vaniglia: tutti elementi compresi nel termine generico di droghe. Anche le drogherie, col tempo, ampliarono la gamma dei loro prodotti con dolciumi e confetteria, articoli di caffetteria e liquoreria, poi anche generi alimentari specialmente attinenti all’industria conserviera. Non è raro vedere delle insegne che riportano duplici o

Capitolo TERZO

CHI FURONO E DA DOVE PROVENIVANO

4 Scheda

GLI SVIZZERI A CARRARA

Registro degli esercenti di commercio del 1886. Pagina con iscrizione di Flutsch. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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Pasticcini “Amor” tipica specialità degli svizzeri di Pontremoli. A fianco: L’interno in stile Lyberty del caffè Aichta di Pontremoli. (Foto di Daniele Canali, 2012.)

Per quanto riguarda le drogherie, si deve agli svizzeri la trasformazione da semplice bottega per la vendita di prodotti esotici in elegante negozio con torrefazione e consumazione di caffè, tè e altre bevande, con facoltà di intrattenimento per la degustazione di paste, cioccolata, vini rinomati, liquori e bibite. Dicevamo che il nostro paese mantiene tuttora tracce della presenza degli svizzeri in quel settore della vita commerciale e molti di quei negozi sono entrati a far parte del patrimonio artistico-culturale con l’Associazione dei Locali Storici d’Italia. *I negozi svizzeri, con le peculiarità cui abbiamo accennato, sorsero in Italia (e anche in altre parti d’Europa) prevalentemente tra la seconda metà dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento, ma se ne erano già avute sporadiche avvisaglie nella prima metà del XIX secolo e perfino negli ultimi anni del XVIII. A ben guardare, il periodo di maggiore rinomanza dei locali degli svizzeri può essere collocato in quell’arco di tempo che viene normalmente indicato con la denominazione di “belle èpoque”; periodo contrassegnato artisticamente dalla diffusione dell’ “art nouveau” e che, soprattutto nell’ambito dell’architettura, dell’arredamento e della grafica pubblicitaria, viene identificato con lo “stile liberty” o floreale. Ciò che può dare spiegazione della struttura ornamentale

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esterna (facciata, insegna, ingresso, vetrine) ed interna (pareti, tendaggi e arredamento) che costituiva negli elementi compositivi il fascino e l’eleganza di quei locali. Ma chi erano, da dove venivano quegli svizzeri che, con la loro attività commerciale e la loro capacità organizzativa, crearono e dettero lustro a quei negozi? Ebbene, desterà forse sorpresa sapere che la stragrande maggioranza di essi erano “grigionesi”. Il cantone dei Grigioni è il più esteso dei ventidue che costituiscono la Confederazione Elvetica. Esso occupa una regione montuosa, solcata da valli elevate fiancheggiate da massicci aspri e boscosi; trae la propria denominazione dai componenti della “Lega Grigia”, i “Grigioni” appunto: popolani che si ribellarono ai nobili legati all’Impero verso la fine del XIV secolo. Nel cantone si parla prevalentemente il Ladino, lingua neolatina assunta all’onore di quarta lingua nazionale della Svizzera. Oggi la regione è costellata da rinomate stazioni turistiche (basti citarne due per tutte: Davos e St.Moritz), ma nei secoli passati la povertà endemica delle sue vallate spinse gli abitanti sulla via dell’emigrazione. Fu così che fino dal Medio Evo, uomini e donne grigionesi scesero per le valli di Poschiavo, della Mesalcina e dell’Engadina per offrirsi come mano d’opera in varie città dell’Italia settentrionale. In particolare, la Repubblica di Venezia, che confinava per


lungo tratto con il cantone dei Grigioni, stipulò nel 1570 un trattato con il “Libero Stato delle tre leghe” (come era ufficialmente denominato l’odierno territorio cantonale grigionese) per incanalare il flusso migratorio soprattutto verso la città lagunare, dove gli emigranti grigionesi avrebbero potuto godere del privilegio di praticare il commercio o di esercitarvi una professione. Le attività commerciali nelle quali i grigionesi che arrivarono a Venezia trovarono favorevole accoglienza furono soprattutto quelle della panetteria e della pasticceria. Specialmente i ragazzi scoprirono nei laboratori di panettieri e pasticceri un luogo idoneo a ... non patir la fame e al tempo stesso adatto ad imparare i segreti del mestiere. Osservando alcuni quadri e stampe d’epoca è facile intravvedere ragazzini con ceste piene di pane e vassoi colmi di dolci mentre si fanno largo tra la folla per campi e campielli; segno che i grigionesi cominciarono a lavorare come garzoni o venditori ambulanti, ma ben presto si qualificarono per le loro capacità al punto che nel “1725 oltre 100 locali veneziani erano gestiti da grigionesi”. Poi i tempi mutarono anche per i solerti svizzeri dei Grigioni; infatti nel 1766 una crisi politica causò la rottura dei rapporti fra veneziani e svizzeri che portò all’e-

Drogheria caffé “Gli Svizzeri” di Massa. Specialità e prodotti tipici. (Foto di Daniele Canali, 2012.)

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Antica Drogheria Riacci di Carrara: l’interno ancora conservato come era a fine XIX secolo e le vetrine ricche di spezie, the, cioccolate e coloniali. (Foto di Daniele Canali, 2012.)

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spulsione dalla città veneta della comunità elvetica. Questo fatto provocò la diaspora dei pasticceri grigionesi per tutta Europa. Durante la loro lunga permanenza a Venezia, i grigionesi avevano appreso tutti i segreti della produzione dolciaria. “All’epoca svolgere l’attività di pasticcere voleva dire avere competenze nel settore della caffetteria, della cioccolateria, della gelateria, della liquoristica e ognuno di questi ambiti prevedeva uno studio specifico”. La specializzazione acquisita dai cittadini elvetici dei Grigioni, la loro attenzione verso culture gastronomiche diverse, l’uso accurato di prodotti di alta qualità, insieme ad un acuto spirito creativo e alla consolidata serietà professionale degli “Svizzeri”, hanno fatto sì che essi venissero considerati nel tempo, non solo i più abili e raffinati creatori e venditori di dolciumi, ma anche i più intraprendenti negozianti di pasticcerie, caffetterie, drogherie. Sul territorio italiano le “botteghe degli Svizzeri” cominciarono ad apparire subito dopo la fine del periodo napoleonico e proseguirono per tutta le seconda metà dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento. Da allora le principali città della Penisola hanno assistito all’apertura di eleganti caffè e di raffinate pasticcerie, che in molti casi, oltre che locali di piacevole intrattenimento, sono diventati luoghi di incontro di intellettuali e di uomini d’affari. Fu così a Milano come a Mantova, a Genova come a Cuneo, a Torino come a Modena, a Perugia ed a Foligno, e, nel meridione a Napoli, a Brindisi, a Palermo, a Bari, a Catania. In Toscana quasi tutte le maggiori città furono interessate dalle iniziative dolciarie degli Svizzeri: Firenze, Livorno e Pisa in primo luogo. Eleganza raffinata, accoglienza cortese, aromi soffusi e squisiti di dolci alla crema e al marzapane, effluvi odorosi di caffè appena tostato e di cioccolato fumante, pungente profumo di esotici infusi; velluti cremisi all’intorno e specchi luminosi; alle pareti scaffali di massello protetti da ante di vetro con scatole di latta multicolori e bottiglie dal contenuto variopinto; stile liberty in prevalenza e atmosfera da belle époque: così gli umili montanari svizzeri dei Grigioni fecero assaporare agli europei e agli italiani le delizie del palato ed insegnarono loro l’arte della pasticceria. Nella provincia di Massa e Carrara i primi arrivi di negozianti svizzeri si verificarono intorno alla metà del XVIII secolo, con l’apertura di esercizi denominati ora “Droghe-

ria degli Svizzeri” ora Caffè degli Svizzeri” ora “Pasticceria Svizzera”. Uno dei primi fu appunto la pasticceria dei fratelli Aichta in Pontremoli, tuttora esistente con mutata famiglia conduttrice e citata nelle guide turistiche come “monumento” da visitare. Seguirono Aulla, forse Fivizzano e Castelnuovo di Garfagnana; anche Massa ebbe il suo “Caffè degli Svizzeri”, oggi divenuto rinomata drogheria. Fu tuttavia la zona carrarese a fare la parte del leone con i numerosi locali gestiti da famiglie quali Caflish, Flutsch, Melcher, Prinz, l’italianizzata Riacci e forse anche altre che poi cedettero la licenza di vendita a successori italiani. Negli anni che intercorrono tra l’istituzione della Camera di Commercio (1862) e i primi decenni del Novecento, risultano aperti in Carrara vari negozi gestiti da commercianti svizzeri. Sarebbe interessante poterli identificare con precisione, ma in assenza di dati certi dobbiamo limitarci a citare, accanto a quelli sicuramente elvetici già nominati, anche altri che la tradizione orale, per un processo di facile generalizzazione, ha finito per classificare come tali anche se di altra nazionalità; ciò che però dimostra non solo la presenza di diverse botteghe svizzere, ma anche un numero considerevolmente alto di esercenti comunque stranieri. Ecco, infatti, la “drogheria – confetteria” di Nicola Moder nella piazza del Duomo, presso il fondo del palazzo Sarteschi più vicino all’inizio della via Ghibellina; e, dello stesso proprietario, il “Caffè delle Colonne” nella piazza Alberica. La “drogheria” di Paolo Robby, in fondo alla stessa piazza Alberica, la cui insegna, ancora visibile, segnala la vendita di “liquori – siroppi” e “confetti – paste”. Sempre in piazza Alberica era ubicato il “Caffè delle Logge” gestito da Adamo Spiller, titolare altresì di una drogheria situata “fuori porta”. Significativa la presenza, ancora in detta piazza, del grande “Caffè Elvetico”, che nel 1880 era di proprietà di Domenico Giuseppi, ma certamente rilevato da precedenti conduttori svizzeri. Troviamo poi i negozi della famiglia Caflisch, sicuramente grigionese e presente in molte città italiane: Luzio Caflisch possiede una drogheria in via Finelli ed un caffè-fiaschetteria denominato “Il Gigante” in piazza del Duomo; Giovanni Caflisch risulta titolare di una drogheria in piazza Alberica, di un’altra in via Santa Maria e di un emblematico “caffè grigione” in via San Francesco (oggi via Verdi). A Cristiano Flütsch facevano capo una drogheria in via Alberica ed una in piazza Alberica. La signora Gruber M. Luigia figura come proprietaria di una “drogheria e generi di privativa” in piazza Duomo. Save-

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rio Prinz possiede una “drogheria e liquoreria” in via Santa Maria, con titolarità anche di “confetteria e biscotteria” ed autorizzazione alla vendita di “vini e coloniali, cancelleria e articoli da caccia”. Nicola Melcher, infine, è l’intestatario, come si legge ancora nell’artistica insegna marmorea, di una bella drogheria sita in piazza del Duomo all’angolo con lo “stradello dell’Arancio”. Proprio di fronte alla vecchia sede della Camera di Commercio, nella strada intitolata oggi a Carlo Rosselli, ma all’epoca cui ci riferiamo denominata corso Vittorio Emanuele e, prima ancora, via Postale, c’è un negozio contrassegnato da una maestosa insegna sovrastante una facciata decorata in ferro lavorato, con porta d’ingresso vetrata. Questa è contornata all’esterno da una serie di scomparti protetti da pannelli di vetro che adornano la struttura, che si completa con una spaziosa, invitante vetrina. L’insegna reca la scritta a grandi caratteri grafici “Giovanni Riacci”. Si tratta del nome del titolare del negozio che fu italianizzato (pare a scopo patriottico) nel periodo della prima guerra mondiale; nella lingua natia esso figurava come Johann Riatsch. Quella drogheria fu aperta nel 1888, ma nei registri camerali del 1864, quindi agli esordi della stessa Camera di Commercio, figura un esercizio di “drogheria ed altri generi”, ubicato nella piazza Alberica ed intestato a Riacci Luigi di Giovanni. Non sappiamo se si tratta di un antenato del droghiere di corso Vittorio Emanuele; oltre che il nome già in italiano, pone un dubbio sulla parentela anche il fatto che il nome di Riacci Luigi non compare più nei registri camerali dopo il 1865. Sappiamo, però, che era frequente, se non abituale, presso le famiglie grigionesi emigrate, l’usanza di chiamare a sé, in caso di insediamento vantaggioso, parenti o amici della terra natale. Gli odierni proprietari, per necessità di adeguamento alle norme che oggi regolano la sicurezza funzionale degli esercizi pubblici e la tutela della merce esposta ed anche per l’accresciuto assortimento merceologico imposto dalle esigenze del mercato, hanno apportato alcune modifiche alla struttura interna del negozio; le innovazioni, tuttavia, non hanno sostanzialmente alterato la sistemazione dell’arredo dell’antica drogheria che mantiene quasi identica la disposizione del banco di vendita e la collocazione degli scaffali attigui alle pareti. Chi entra per la prima volta in quel negozio non può non provare una sensazione di estatica meraviglia. Sopra un

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pavimento di marmo a scacchi quadrati bianchi e scuri, che offre alla vista un piacevole effetto cromatico, poggia il banco di vendita la cui massiccia struttura di marmo è alleggerita dalla composizione della parte anteriore, dove ampi riquadri in “fior di pesco” sono incorniciati da una bordatura in “bardiglio” che nei lati verticali è aggraziata da piccole borchie in ottone. Le pareti del locale sono completamente rivestite da una imponente scaffalatura in pregiato legno di rovere, formata da leggiadre vetrine alternate a lunghi ripiani aperti. Le vetrine sono a due e tre ante, decorate in alto da un motivo ornamentale a sottili listelli lignei che, a vetri chiusi, conferisce un andamento ondulato alla composizione parietale. Le sobrie modanature che accompagnano l’arredo sono evidenziate da delicate guarnizioni geometriche con piccoli triangoli di ottone brunito incisi da figure floreali. La scaffalatura laterale a sinistra di chi entra presenta due aperture che immettono in altrettante salette; tali aperture sono contrassegnate nella parte superiore da paramenti ornamentali formati da una corona floreale intrecciata da sottili filamenti in ferro battuto terminanti in eleganti volute. La superficie pensile di tutta la scaffalatura è decorata da una schiera ininterrotta di stagionate bottiglie di vini o liquori, indorate da quel sottile strato di pulviscolo che ne nobilita la vetustà. Poggiano sul soffitto cinque lampioni circolari chiusi ad emisfero di vetro lavorato, quattro dei quali in direzione degli angoli della sala ed uno più grande collocato al centro. Le variopinte scatole di latta, i vasi di vetro, i cartoni colorati, le bottiglie di diversa forma, i barattoli multicolori ordinatamente esposti nelle vetrine e sui ripiani, ci dicono la grande varietà della merce esposta; mentre sul bancone, tra la macchina del caffè e il contenitore di vetro delle paste, s’apre lo spazio riservato alla mescita. Un tempo, a sinistra dell’ingresso un piccolo mobile “a pulpito”, cui si accedeva salendo un gradino, costituiva la “cassa” ove il titolare, in posizione elevata, esigeva i pagamenti e controllava visivamente tutta la bottega nel fervore della sua attività. Oggi, chi entra nel negozio si trova immerso in piena atmosfera liberty, resa più suggestiva dalla vetustà del tempo. Il tempo degli “svizzeri”.


Aulla, Palazzo detto degli Svizzeri (1930 ca). Sotto: Lo storico locale degli Aichta di Pontremoli, in un’immagine degli anni ‘20. (Archivio Giuseppe Chiappini Editore.)

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02. Massa: profilo della città 1861-1900 Massa, già sede del cessato governo ducale, era racchiusa nelle vecchie mura albericiane. Conservava quasi intatta l’impronta di città fondata sopra un reticolo rinascimentale, ricca di case e giardini lussureggianti. In effetti, la città vera e propria, si connotava per il suo svolgersi attorno all’edificio principale, il palazzo ducale, in una soluzione d’interessanti costruzioni patrizie e religiose immerse tra agrumeti e frutteti. La maggioranza della popolazione risedeva nelle borgate immediatamente limitrofe, che costellavano la piana e la montagna massese. Quasi a contrapporsi al disegno rinascimentale di una città creata in funzione della corte che doveva ospitare, Borgo del Ponte, appena fuori le mura, manteneva intatta la sua fisionomia medievale: così la grande maggioranza delle borgate montane, mentre la campagna che si estendeva dalla città verso il mare era caratterizzata da piccoli agglomerati di case coloniche. Al viaggiatore che discendeva la via postale della foce che collegava Carrara con Massa, le profonde differenze del paesaggio e della struttura sociale delle due città apparivano lampanti. La prevalenza dell’agricoltura sull’industria e i com-

nianza di ciò stava il fatto che la “rottura “della cinta muraria e la prima espansione della città in direzione della stazione ferroviaria è un fenomeno che data a partire da questo periodo. Prescindendo da liti e rancori di tipo famigliare, la direzione politica della città fu tenuta saldamente nelle mani di questa ristretta elites che traeva dalla situazione fondiaria, assai spezzettata e per nulla omogenea, un co-

Nella pagina di sinistra: Rocca Malaspina di Massa, interno con le aggiunte seicentesche. (Foto di Daniele Canali, 2003.)

Sotto: Rocca Malaspina di Massa, il bel cortile interno con il palazzo rinascimentale. (Foto di Daniele Canali, 2002.)

stante livello di rendite tali da costituire una sorta di accumulazione originaria per altre attività intraprese in epoca postunitaria. È il caso di alcune grandi famiglie della borghesia massese, quali i Pellerano, che nelle stesse direttrici di esportazione dei loro marmi immetteranno le proprie produzioni agricole quali i vini, gli agli e le cipolle. A Massa, similmente a quello che avveniva in Lunigiana, i sistemi di coltivazione erano assai arretrati, e la ragione di ciò era dovuta soprattutto all’estremo sminuzzamento della proprietà fondiaria e alla presenza di una sempre più numerosa classe di piccoli proprietari che mai riuscivano a trarre sostentamento dal loro piccolo appezzamento, dovendo quindi ricorrere ad altri lavori per sopravvivere, compresa la coltivazione di piccoli appezzamenti padronali; in ciò va pure ravvisato l’aumento notevole nel primo ventennio unitario della produzione di

merci, la presenza di una sede di un piccolo ducato avevano caratterizzato la formazione sociale massese in maniera assai diversa da quella della città gemella; la struttura della proprietà della terra rimase sostanzialmente invariata, dominio incontrastato di una ristretta elites di nobiltà locale e di una “borghesia agraria” fortemente tradizionaliste e di un ceto contadino tra i più miseri della provincia. Fatta salva l’esigua presenza di un ceto impiegatizio ereditato in parte dal cessato governo e in parte importato dal nuovo e di una ristretta classe d’artigiani e commercianti, la fisionomia della città dopo l’unificazione rimane pressoché inalterata per oltre un trentennio. Fino alla metà degli anni ottanta il tessuto urbano massese non subì particolari modificazioni, e a testimo-

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Panorama di Massa ripreso dal Monte di Pasta. (Foto di Daniele Canali, 2009.)

ortaglie, specie di agli e cipolle, vendute nelle città vicine e

buito alla forte diffusione dell’ enfiteusi; e “la meschinità

nei principali porti italiani ed occitani.

dei livelli è la causa per cui non conviene direttamente ca-

Il Raffaelli osservava come nel massese fossero ben

ducarli, non riuscendo a formare un latifondo da poter-

poche le proprietà “grandi”, e “generalmente i migliori

si concedere a mezzadria”. La situazione peggiorava ul-

possidenti hanno la maggior parte delle loro rendite in ca-

teriormente a causa della forte tassazione sulle proprietà

noni livellari”.

prediali che gravava sopra questa classe di piccoli proprie-

E tale sminuzzamento della proprietà andava attri-

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tari agricoli.


Se da una parte tale struttura sociale comportava

sosteneva che “...una sola volta all’anno gli utilisti sono a

una sorta di ossequiosa sudditanza rispetto alla nobiltà

contatto coi loro Direttori, i quali cercano con ogni mez-

proprietaria, dall’altra, l’estrema povertà di questi conta-

zo di rendere il meno possibile, e della peggiore qualità il

dini piccoli proprietari, sfociava in una sorta di astio verso

raccolto, considerando il Padrone quasi come un nemico.”

i ricchi che non poteva non venire notato dal Raffaelli il

La condizione di estrema povertà dei contadini li-

quale, nel trattare il problema della assenza di una relazio-

vellari della piana massese viene dettagliatamente descritta

ne diretta tra proprietari e coltivatori del suolo a Massa,

dal Raffaelli: “Le abitazioni dei coltivatori del suolo, che

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Massa, palazzo Ducale. Sala della biblioteca. Particolare dell’affresco attribuito al Lemmi. (Foto di Daniele Canali, 2001.)

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sono livellari nella piana massese, sono generalmente meschine e luride; e ben pochi hanno i letti e la biancheria appena necessaria al numero degli individui che compongono la famiglia. Queste abitazioni consistono in una stanza o due all’ unico piano, con pavimenti di legno in pessimo stato, e sotto, la stalla, ove tengono il bestiame, e aderen-

te all’ abituro hanno gli ammassi del concime. Una cassa, una panca, un tavolino ed un letticciolo formano tutto il mobiliare di questi meschini abituri” e ancora: “nella pianura massese il cibo ordinario è la polenta di granoturco, talvolta misto a cavoli, a fagioli e a pane della stessa farina, detto marocco; le cipolle, gli erbaggi, i pomidori con cui mangiano la polenta. La sera è usanza fare la minestra. La bevanda della maggior parte di queste annate è acqua, ma nelle feste gli uomini frequentano molto le vendite di vino, e facilmente si ubriacano.” Gli uomini della campagna massese andavano vestiti di mezzalana d’inverno, di rigatini di canapa o di lino nella stagione estiva. Nel complesso il vestiario della campagna massese, per uomini e donne, è peggiore rispetto a quello dei contadini della Garfagnana e Lunigiana. In questa situazione di povertà e di indigenza estrema proliferavano sia le malattie, denunciate a più riprese dal dott. Vaccà del locale comizio agrario, sia l’abitudine al furto campestre, vera e propria piaga delle campagne massesi. Le condizioni di vita delle campagne erano atte alla proliferazione di febbri tifoidee e di tisi, mentre imperversavano le anemie, le cachessie e la pellagra, dovuta al forte consumo monoalimentare di granoturco. La condizione delle campagne quindi era andata peggiorando nell’arco del primo ventennio unitario, in parte grazie all’aumento dei prezzi di molti generi di prima necessità e in parte causa l’aumento della popolazione. Infatti, sebbene la tassa sul macinato non colpisse più di tanto le popolazioni locali grazie allo scarso consumo di questo genere, la tassa sul sale e altre tassazioni indirette colpivano ben più duramente i consumi di quelle popolazioni. Ma il Raffaelli che scriveva le sue note al principio degli anni ottanta notava alcune importanti modificazioni intervenute nel ventennio grazie soprattutto alla nuova e fiorente attività di escavazione dei marmi. Infatti, “quelli che si danno ai lavori del marmo si vestono assai bene, ed in ciò riscontrasi da pochi anni un sensibile miglioramento”. E molti contadini abbandonavano i lavori campestri


per impiegarsi in cave e segherie, attratti dal maggior guadagno possibile in questa industria. Anche a Massa quindi nasceva una questione sociale circa le classi subalterne, sulla loro ‘moralità’ e sulla preoccupante diffusione delle idee sovversive. Il Raffaelli in questo caso sostiene una sorta di connivenza tra l’abbassamento della moralità e della religiosità delle popolazioni ex agricole che si avviano al lavoro nel settore marmifero, che si abbandonano all’ubriachezza, dilapidando in un sol giorno quello che hanno guadagnato in una settimana, che si abbandonano al turpiloquio e alla bestemmia “venutaci dall’estero e specialmente dalla Toscana”, e “alla trista compagnia dei lavoratori forestieri,

non sempre qua recatisi col retto fine unicamente di procacciarsi lavoro, ingenera nei nostri principi falsi e sovversivi, che li rendono in breve proclivi alla crapula, alle risse, e talvolta persino ai delitti di sangue”. È interessante notare come il Raffaelli insista sulla tesi della ‘minaccia’ venuta dall’ esterno, che corrompe gli animi dei suoi bravi ex governati. Ma in ciò non bisogna ravvisare la semplice declamazione dei bei tempi andati che non sono mai esistiti, ma una forte ostilità della borghesia terriera rispetto agli industriali del marmo che, con la diffusione della loro industria sconvolgono interessi di classe e situazioni sociali ben consolidate.

Massa, palazzo Ducale. Sala della biblioteca. Particolare dell’affresco attribuito al Lemmi. (Foto di Daniele Canali, 2001.)

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ministrazione comunale, diretta da moderati legati soprattutto ad interessi terrieri, che, come nota giustamente il Bernieri, si vedevano minacciati nelle loro prerogative politiche e sociali dall’arricchimento degli escavatori dei marmi e insieme dal decadere della agricoltura locale e dalla ventilata attuazione di una nuova perequazione dell’ imposta fondiaria per la provincia apuana. Tale lotta, sviluppatasi in numerose occasioni, sfociò in un conflitto di interessi che si ripercosse sulla amministrazione locale; infatti, i moderati massesi appoggiati in più occasioni dal clero, non seppero risolvere una situazione di stagnazione che, a fronte di scarsissime realizzazioni di opere di pubblica utilità portò ad un sempre maggiore aggravio del deficit del bilancio comunale, indebitando fortemente quel comune prima con istituti di credito locali e poi con la Cassa di Risparmio di Pisa, come risulta dallo spoglio dei cartoni dell’archivio comunale. Ma quella situazione non può essere compresa dal solo punto di vista schematico di un conflitto tra due posizioni rigide, dato che non pochi proprietari terrieri passarono progressivamente a qualche cointeressamento con il lucroso commercio dei marmi. Infatti, come nota il Raffaelli, “la mancanza di forQuesto scontro tra due classi sociali antagoniste nei

Lettera dei fratelli Guerra dove si descrivono il numero e le caratteristiche delle segherie massesi e le diverse attività di segagione e lucidatura del marmo da loro condotte. 31 marzo 1865.

zione, nel 1861, sull’ esempio della vicina Carrara, di una

(Archivio Storico della Camera di Commercio.)

tassa di pedaggio marmi atta a garantire la manutenzione

fatti ma accomunate dalla comune provenienza e dal governo della cosa pubblica caratterizzerà il primo ventennio unitario a Massa. L’occasione dello scontro sarà dato dalla promulga-

delle strade di accesso ai bacini marmiferi massesi, avviati ad una escavazione di tipo moderno a partire dagli anni ‘50. Nel 1865 le tariffe di detto pedaggio, inadeguate alle esigenze di mantenimento delle strade in oggetto, furo-

da cui ritrarrebbero necessariamente un frutto molto minore di quello che ottengono impiegandoli in altro modo, causa delle ingenti imposte da cui sono gravati, dalle spese di coltivazione e dalla grandissima difficoltà dell’ acquisto dei terreni dei livellari, per poterli poscia affrancare”. E quell’impiegarli in altro modo significava soprattutto la speculazione finanziaria, dove, abusando del potere dato dalle cariche pubbliche ricoperte, si giungerà alla spregiudicata operazione di fare finanziare il debito comunale da parte degli istituti di credito nei quali erano presenti gli amministratori stessi.

no pesantemente rialzate dando inizio ad una mai cessata

L’impressione che si riporta dopo una attenta disa-

contesa con gli industriali del marmo i quali pretendevano

mina delle vicende di vent’anni di amministrazione po-

che tali spese fossero poste completamente a carico della

stunitaria da parte dell’ elite massese non è quella di uno

collettività.

scontro senza esclusione di colpi finalizzato al prevalere di

Fu il pretesto per una più complessa lotta tra la am-

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ti capitalisti che vogliono impiegare i loro denari in terreni,

un dato ceto sociale rispetto ad un altro, ma quello di una


Elenco degli iscritti al ruolo camerale per il comune di Massa nel 1864. Questa pagina termina l’elenco dei commercianti mentre nella successiva si inizia quello degli esercenti attività marmifere. Il motivo è spiegato nel testo. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

graduale e quasi concordata ascesa di una nuova elite di

zone di escavazione marmifera che dallo sbocco delle valle

imprenditori e speculatori in gran parte composta da ele-

di Forno, in Bassa Tambura, giungeva fino alla stazione

menti delle stesse famiglie dei proprietari agrari; e le voci

ferroviaria. Il contrasto tra amministrazione ed industria-

citate troppo spesso ad esempio di quel contrasto, come

li quindi, era espressione di una limitata frangia di ‘indu-

quella dell’ avv. Quadrella, consigliere comunale che nel

striali’ facenti capo al Pellerano timorosi di un aumento

‘64 scrisse una lunga memoria per il consiglio sugli effetti

del distacco tra l’industria carrarese e quella massese dei

nocivi del prevalere dell’ industria rispetto l’agricoltura al

marmi e di una conseguente penalizzazione delle vendite

fine del mantenimento di una società bene ordinata, suo-

di marmi massesi a causa del prezzo più alto di questi, sui

nano un poco come voci isolate rispetto ad un’ipotesi di

quali gravavano notevoli incidenze infrastrutturali, cioè gli

sviluppo a grosse linee già disegnata nei primi anni postu-

alti costi del trasporto dalla cava alla marina. Va inoltre

nitari.

aggiunto che forse l’accumulazione dei capitali privati non

In effetti, la maggioranza dei bilanci comunali del

era sufficiente ad accollarsi gli alti oneri previsti per la co-

primo decennio postunitario riportavano sotto la voce ‘la-

struzione di efficienti vie di accesso o di una ferrovia, sull’

vori pubblici’ un incidenza del 20% sul bilancio del ‘62 e del

esempio di quello che stava accadendo nella vicina Carrara

42% in quello del ‘67 , voce in gran parte compresa per la

e che alla fine, quindi, detto contrasto divenne insanabile

manutenzione e l’ampliamento della strada di accesso alle

al punto che il blocco moderato entrerà in crisi alla fine

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nelle liste per le elezioni del 1870 vedeva 19 impiegati della Amministrazione provinciale, 23 della Prefettura, 22 insegnanti del Liceo, 12 maestri, 40 impiegati comunali e 21 ufficiali del regio esercito. E Massa era pure sede vescovile, per cui non è difficile comprendere il peso della opinione pubblica cattolico liberale sulle vicende cittadine, e la nascita in città dei primi nuclei politici cattolici che ne “L’Operaio Cattolico” avranno, dal 1873, il loro naturale punto di riferimento. Infine, nel tracciare un quadro sintetico della consistenza e della distribuzione del commercio massese, metteremo a confronto due annate degli elenchi dei contribuenti del comune di Massa relativi la”Imposta sugli esercenti industrie e commerci”dovuta alla Camera di Commercio di Carrara. Dei 135 contribuenti iscritti nel registro del 1863 colpisce immediatamente che i livellari o conduttori di cave sia registrati non più in ordine alfabetico, come i primi 104 esercenti, ma in fondo al registro stesso come una sorta di corpo separato dalle attività cittadine. Ascoli Cesare di Angelo, iscritto al n°105 della lista, domiciliato in MasMassa, villa malaspiniana detta “La Rinchiostra”. (Foto di Daniele Canali, 2005.)

degli anni ‘70 e nel decennio successivo prevarrà il blocco ‘pelleranista’ che caratterizzerà le vicende amministrative massesi fino alla fine del secolo. In questa complessa vicenda si inserì il prefetto Agnetta, insediatosi a Massa il 1 luglio 1877, il quale, rispetto ai suoi predecessori si distinse per la crassa ignoranza e per una rozzezza fuor di misura. In quelle vicende egli sostenne sempre le posizioni dei più moderati e del blocco sociale conservatore contro gli industriali del marmo da una parte, e dall’altra reprimendo con energia le organizzazioni democratiche o di classe. Sebbene Massa si configurasse come città arretrata rispetto alla vicina Carrara, la sua caratterizzazione buro-

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sa, è commerciante di marmi: Angelo Ascoli fu Raffaele, primo della lista alfabetica, contribuisce per lire 35 ed è cambista e commerciante. Bondi Levi e Carmi, domiciliati a Livorno sono livellari di cave, iscritti in 3° categoria, pagano 14 lire di contribuzione; il Conte Andrea Del Medico, domiciliato a Firenze, è livellario di cave; iscritto in 6°categoria paga 1 lira di contribuzione. Guerra Conte Paolo di Pietro e Guerra Conte Paolo fu Michele sono iscritti rispettivamente in 2° e 3° categoria e contribuiscono per 25 e 14 lire italiane. Già questo primo dato conferma quanto scritto più sopra. Il Cav: Guglielmo Hechnerr, domiciliato in Massa presso Bargiacchi, paga 35 lire essendo iscritto come livellario di cave alla prima categoria, al pari del più noto Guglielmo Wagner. Ma abbiamo anche un

cratico-amministrativa era tale da lasciare profonde trac-

Ricci Girolamo, Ricci Battista, Bonotti Giovanni, De An-

ce nella sua struttura sociale. La presenza della Prefettura,

geli Giuseppe, tutti domiciliati alle Casette, iscritti come

della Deputazione Provinciale, della Intendenza di Finan-

livellari di cave in 6°categoria, e contribuiscono con 1 lira

za, del tribunale e del Distretto Militare lasciano ben im-

ciascuno. Questo ultimo dato evidenzia come la escavazio-

maginare la composizione di quel elettorato politico che,

ne dei marmi nella valle del Frigido si caratterizzi anche


per la nascita di società di escavazione composte, gestite e

panni, telerie, locande o pizzicherie. Le sorelle Esmiel fu

finanziate da famiglie delle piccole comunità della monta-

Francesco hanno una locanda in città.Panni e telerie sono

gna massese: un processo che porterà in pochi decenni alla

venduti sempre in città da Brigaia Caterina e in altro ne-

radicale mutazione del profilo sociale ed economico del-

gozio da Raffo Annunziata fu Lorenzo, mentre al Ponte

le stesse comunità. Nel caso delle cave come in quello del

troviamo Botta Caterina in Carofini. Gavarini Colomba fu

Cotonificio Ligure di Forno, popolazioni tradizionalmente

Giuseppe in Zeri ha una caffetteria in città, Stagnari Gio-

legate alla pastorizia e alla agricoltura di sussistenza passe-

vanna in Bartelli una pizzicheria, Cantelli Camilla in Oli-

ranno precipitosamente dall’arcadia alle profonde contrad-

vieri vende tinte e cuoiami, De Benedetti Teresa fu Battista

dizioni della modernità imposta dal “secol novo” . Scorren-

ha una pizzicheria e Da Massa Giovanna in Guidi vende

do la lista del 1863 relativamente la città e le sue adiacenze,

stoviglie a Castagnola nel negozio di pizzicheria. La città

si compone via via il quadro di un equilibrio prossimo alla

era dotata di due farmacie: quella del dottor Medici Ferdi-

rottura, con piccole e costanti spinte che solo negli anni

nando fu Cosimo e l’altra di Manzi Michele. Interessante

ottanta del diciannovesimo secolo porteranno alla nascita

e forse moderno per i tempi il caffé con bigliardo gestito

di un nuovo profilo urbano, maggiormente ricco di inizia-

da Giannetti Cristiano e soci. Per concludere questa breve

tive economiche e commerciali. Le attività commerciali

rassegna citiamo Cuturri Giuseppe fu GioBatta che ha un

si concentrano prevalentemente in città, a Castagnola e

negozio di ferramenta in città mentre Marchi Antonio e

a Borgo Ponte, dove Bigini Luigi fu Luigi, iscritto al n°

Marchi David hanno attività di ramiere e telerie a Pisto-

7, eserce una bettola ma è anche iscritto al n°110 come

ia. Rabajoli Gerardo vende chincaglierie, Fassoni Antonio

livellario di cave: segno anche questo di come l’industria

è panettiere e pastaio come Pedonesi Francesco, mentre

dei marmi fosse ormai percepita come capace di rendere

i Davini commerciano in cuoiami e i Ballestracci hanno

profitti inimmaginabili in altri settori. La media delle con-

una trattoria e vendono materiali diversi: questo caso per

tribuzioni si attesta attorno alle 5 lire, in quinta categoria.

significare come si possa già apprezzare il fenomeno del

Troviamo i Fratelli Crastan, svizzeri grigionesi già in Italia

trasferimento di gruppi famigliari dalla zona appenninica

da tre decenni, con una drogheria in città. Si sposteranno

alle città della costa con il preciso intento di aprire attività

quindi a Spezia dando vita ad una solida industria del caffé

commerciali, investendo così i propri capitali accumulati

attiva ancor oggi. Kaspar Giovanni e compagni è anche lui

con fatica nelle zone rurali. Significativa e storicamente

droghiere, e contribuisce per 14 lire; Picofer Luigi è bir-

importante la presenza della comunità israelita che a Mas-

raio: una interessante presenza nel commercio cittadino

sa e a Carrara, come ampiamente trattato nel saggio di N.

degli svizzeri engandinesi. Alcuni gruppi famigliari come i

Jacopetti (Gli Ebrei a Massa e Carrara) trova asilo e ruolo

Milani, gli Orsolini, i Landucci e Giampaoli Stefano eser-

dalla prima metà del ‘500. Angelo Ascoli di Raffaele Vita

citano il commercio di granaglie e farine sulla piazza di

che abbiamo già visto essere il primo contribuente came-

Lucca. Altri gruppi famigliari quali i Tongiani, i Rustighi,

rale della lista del ’63, nella assegnazione dei propri beni a

i Mannini, i Celi, i Bertoneri e i Mignani si occupano del

favore dei tre figli troviamo in elenco case e terreni a Massa

commercio di bestiame. Bartalini Giovanni è libraio e car-

e a Carrara (qui anche il palco n° 5 del Teatro degli Ani-

toliere; parimenti Frediani Filippo fu Luigi è tipografo e

mosi), segherie e depositi di marmi e marmette e una casa

cartolaio: due rarità in provincia. La camera si servirà per

a Brooklyn, New York, lettere di credito sopra la Merchant

anni dell’opera del Frediani e l’archivio storico camerale

Bank:un patrimonio complessivo che nel 1869 assomma-

conserva un carteggio ricco di note di colore circa i paga-

va a circa 300.000 lire italiane. Samuele Dello Strologo di

menti pretesi o dovuti. Molte le donne esercenti negozi di

Moisè aveva parimenti ad Ascoli una avviata attività di tes-

103


Nella pagina di destra: Fivizzano, piazza Medicea, particolare della fontana e della chiesa. (Foto di Daniele Canali, 2008.)

situra di panni lana e telerie, così come Angelo Eminente di Isacco, che contribuiva per 14 lire di tassa camerale. Nel 1882 gli iscritti, più che raddoppiati (sono 295) rendono una immagine molto più articolata della città. Massa sta crescendo complessivamente e quindi aumentano non solo il numero delle attività ma anche le specializzazioni necessarie a soddisfare consumi più complessi ed articolati. Negozi di cappelli gestiti dagli Alberti (Alberti Francesco fu Francesco, in via Garibaldi e Balloni Liberata nata Carofini, alla Conca: una tradizione “fornese” per eccellenza quella dell’industria dei cappelli. Quindi alla Misericordia la birreria e il caffé Bader (la birra era prodotta a Carrara presso la Porta del Bozzo), la fabbrica di fiammiferi di Bibolotti Pietro, in via Alberica; il pittore Pietro Bontemps in via Stazione, il “ciccollatario”Bernardoni Giuseppe alla Conca, non distante dal liquorista Biglioli Raffaello. In via Beatrice Di Bello Augusto aveva una sartoria, Gestri Leonardo faceva l’orologiaio in via Nuova e alla Misericordia Cancogni Agostino gestiva una “impresa di vetture omnibus”. Kaspar Giovanni continuava a fare buoni affari con la sua drogheria e caffè in via Beatrice mentre Giovanni Pult ne aveva impiantata una nuova al Ponte. Insomma, all’aumento delle presenze commerciali e imprenditoriali corrisponde un aumento dei gestori locali

104

03. Fivizzano e il suo Mandamento Risalendo da Carrara la statale della Spolverina, appena giunti alla sommità dello spartiacque, una lunga serie di colline digradava verso le vallate del Lucido e del Rosaro, fino a perdersi, di nuovo, alle pendici dell’Appennino; oltre le sommità arrotondate della Nuda, spesso innevate, si estendeva la Padana, alla quale si arrivava per mezzo dell’antichissima via del sale; le montagne del reggiano più a sud e il parmense poco sopra, di lato, verso est, il basso valico dei Carpinelli conduceva in Garfagnana, subito rotto dalle scoscese pendici delle Apuane, ai piedi delle quali si incastonavano gli ultimi centri abitati. Al centro di questo grande triangolo della Lunigiana orientale si stendeva l’antica città di Fivizzano, difesa ancora dalle possenti mura medicee, in una posizione chiave per il controllo delle vecchie strade di accesso alla Padana. Il paesaggio agricolo dei comuni di Fivizzano e di Casola conservava intatte le strutture del paesaggio tipiche dell’ancien régime, distinguendo, agli occhi dell’ osservatore attento, il paesaggio di questo lembo di Lunigiana dalla struttura del paesaggio circostante.

e di quelli provenienti dal circondario e dalla Alta Valle

Nella parte di fondovalle primeggiava l’”alberata”

del Magra, generalmente posizionati nelle borgate prossi-

di tipo toscano, introdotta durante il governo granducale,

me alla città per poi, prudentemente, aprire in centro una

frammista a campi di colmata disegnati dai pioppi pian-

rivendita di vino o commestibili di una certa importanza.

tati in prossimità dei canali di scolo; in queste colmate

Altre drogherie, un lattaio, Stefanucci Antonio, nuovi ne-

non era infrequente incontrare al pascolo capi di bestiame

gozi di ferramenta, di legname, di falegnameria ed ebani-

bovino, posseduti in piccola misura da ogni casolare, e tra

sta, e anche un sensale di agrumi, Strenta Ferdinando in

questi appezzamenti, campi dorati di cereali: il segno del

piazza Mercurio. In questa lista scultori, cavatori e pro-

costante intervento umano nella regolazione del fattore

prietari di segherie sono finalmente mescolati agli altri e

idraulico delle valli di questi comuni, la cultura mista ad

messi semplicemente in ordine alfabetico. L’industria dei

olivo, vigna, grano e gelso era insomma, il fattore pre-

marmi ha conquistato un proprio ruolo. A fianco dei ca-

dominante di queste campagne. Verso le colline subito

vatori e segatori locali, dei commercianti come i Guerra e

prospicienti la campagna alluvionale, era un crescendo di

Pellerano ci sono ormai ditte come quella dei Fratelli Puis-

numerosi terreni lavorati con “terrazzamento” e “taglia-

sent. La città sta cambiando e tende timidamente verso il

poggio” a superficie unita e a tagliapoggio divisa in cilioni;

mare, verso il novecento.

forma prevalente questa, atta a favorire il maggiore sfrut-


tamento possibile dei terreni. E infine la sodaglia contornata da fitte boscaglie di cerro, faggio e castagno fino alle pendici montane. E sul castagno, sulla sua coltura e sul suo prodotto si basava essenzialmente la vita e la cultura di tutti i paesetti montani, dove solo la chiesa spiccava sui bassi tetti di piagne, tetti senza camino, poiché ogni casa era in pratica un “canniccio” per seccare le castagne, e il fumo era prezioso. Una cultura antica, che lasciò ben inorriditi i primi studiosi delle campagne italiane che, con la grande inchiesta agraria scoprivano un mondo a loro sconosciuto; un mondo che non può essere compreso senza una lettura precisa della umanizzazione del suo paesaggio. Come osservava Engels in una nota lettera a Turati, la società italiana soffriva, ancora sulla fine del secolo decimonono, di un ritardo dello sviluppo capitalistico, impacciato dai residui feudali che una rivoluzione democratico borghese incompiuta aveva lasciato sussistere nelle nostre campagne. Il Sereni nota giustamente che “l’estrema varietà e complicazione di situazioni e di rapporti” che è caratteristica della via di sviluppo all’italiana al capitalismo nelle campagne non consentirà una produzione agraria crescente con una popolazione agricola decrescente; anzi la popolazione resterà spesso stazionaria e con tendenza all’ aumento. “Si tratta, in realtà, di una massa crescente di lavoratori che, espulsi di fatto dal processo produttivo agricolo per effetto dei progressi della tecnica e dello sviluppo capitalistico, restano disperatamente attaccati al loro piccolo appezzamento, impiegandovi con strumenti rudimentali un lavoro non qualificato e scarsamente produttivo, per sfuggire alla assoluta disoccupazione in un paese la cui evoluzione capitalistica non offre loro occupazione nell’ industria”. Ci sembra che detta situazione, così acutamente descritta dal Sereni, sia un poco lo specchio di quello che in effetti accadde nelle campagne lunigianesi nel periodo postunitario.

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106


te un possidente borghese che aveva compiuto studi in materia di colture ed allevamento moderno; ancora piĂš limitata e scarsa la circolazione delle idee e delle pratiche agronomiche presso la grande massa di contadini piccoli proprietari assai restii ad innovazioni di sorta, al punto che il Raffaelli, nella sua celebre monografia del circondario sottolinea con amara ironia che “gli strumenti rustici, le vanghe, gli aratri, le zappe ecc. sono foggiati alla Trittolemoâ€?. I mali di questa complessiva arretratezza delle campagne lunigianesi e massesi furono piĂš volte denunNelle campagne della Lunigiana prevalevano i tradizionali sistemi di coltivazione; pochissimi i poderi di medie dimensioni condotti per mezzo di metodologie agronomiche avanzate da un proprietario, generalmen-

ciati dal Comizio Agrario, frustrato nei suoi indefes-

Nella pagina di sinistra: Fosdinovo, villa Malaspina di Caniparola con il giardino delle essenze. (Foto di Daniele Canali, 2008.)

In questa pagina: Casola Lunigiana, pieve di Offiano sullo sfondo dei gioghi innevati delle apuane. (Foto di Daniele Canali, 2004.)

Fivizzano, pieve di Viano, la facciata con le preziose sculture cinquecentesche. (Foto di Daniele Canali, 2007.)

si tentativi di diffondere una mole di informazioni atte a sviluppare ed introdurre moderni sistemi di cultura, e soprattutto preoccupato di migliorare le razze bovine ed

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Fosdinovo, castello malaspiniano, facciata settentrionale.

ovine, e di introdurne di nuove. Il predio lunigianese era

I poderi piccoli sono generalmente coltivati dai

di tipo medio, con una ampiezza di circa 20 ettari di terre-

proprietari stessi e dalle loro famiglie, e in parte ciò vale

(Foto di Daniele Canali, 2008.)

no, quindi superiore al predio tipico delle campagne pon-

pure per la classe dei medi proprietari, classe prevalente

Nella pagina di destra: Fosdinovo, castello e borgo medievale.

tremolesi o della bassa Lunigiana: generalmente 5 ettari

in tutti e due i circondari citati; e questi poderi possono

erano destinati al seminativo alternato, 10 di castagneto, 2

essere lavorati sia dagli stessi proprietari che da mezzadri,

Sotto: Particolare del castello Malaspina.

di prativo, di bosco e sodaglia, finalizzato alla produzione

e ciò in misura proporzionale all’ estensione dei poderi.

(Foto di Daniele Canali, 2009.)

108

di legna e carbone.

Ma il costante frazionamento della proprietà con-

Il Raffaelli, da attento studioso dei problemi agri-

tadina in appezzamenti sempre più piccoli cominciava ad

coli della provincia, giunge a definire il valore medio dei

essere, in quegli anni, un fenomeno assai pesante; poche

poderi del circondario di Garfagnana e del fivizzanese, es-

invece le enfiteusi, e quindi rari i canoni, i censi, le servitù

sendo le strutture agricole di questi assai consimili. I predi

e i diritti promiscui, sebbene a livello delle fasce più alte

più grossi erano stimati per un valore di circa 30.000 lire,

degli Appennini e delle Apuane permanessero numerosi

i medi 15.000 e circa 6000 per i piccoli.

incolti comunali.


Apprezzabili alcune esportazioni di derrate in città vicine: si spedivano, infatti, castagne secche e fresche a

che, come la coltivazione del gelso, sono precise eredità del periodo granducale.

Parma, a La Spezia, a Genova, così come patate, polli ed

Il contratto di mezzadria prevalente nel fivizzane-

uova. Di un certo rilievo le produzioni di canapa e di vino,

se e nella Garfagnana è il contratto “puro”. Tale contrat-

quest’ultimo spedito in Francia. Qualcosa si esportava an-

to concedeva al mezzadro la metà dei prodotti del suolo

che dal punto di vista delle carni ovine e suine, e di buoi

e la metà del guadagno sul capitale del bestiame e delle

da lavoro, generalmente verso Carrara.

vernaglie che il padrone somministra al mezzadro all’atto

Alcune zone della montagna, come il paese di Sas-

dell’ entrata nel predio. Erano a carico del proprietario

salbo, producevano carbone di legna di ottima qualità, e

le imposte pubbliche e gli alloggiamenti della famiglia e

legna, carbone e frutta varia si esportavano sui mercati

del bestiame; il contadino aveva però l’obbligo di fornirsi

delle città vicine. Interessante pure la produzione di seta

degli strumenti rurali, contrariamente a quanto accadeva

greggia, di cui diremo più oltre.

in Garfagnana. Al proprietario andavano inoltre regalie,

Ritorniamo coll’attenzione sopra la mezzadria,

consistenti generalmente in uova, polli, uve scelte, casta-

109


Raffaelli e di altri studiosi dell’ epoca, se non in modo incidentale, era la povertà endemica di quelle campagne dato che non tutti possedevano i necessari mezzi di sostentamento. Povertà perlopiù concentrata nei numerosi borghi, in una situazione di notevole promiscuità abitativa e famigliare. La struttura di questi borghi, a tutt’oggi sostanzialmente invariata, risaliva al periodo medievale. Insieme alla chiesa emergeva, in questa fascia collinare e valliva, il palazzotto del signorotto locale, a volte stupendi esempi di architettura rurale del ‘5OO- ‘600, come a Mazzola e a Luscignano, ma molto frequenti erano abitazioni signorili più modeste, residenza di campagna di notabili cittadini o residenza vera e propria di nobilotti di campagna che coltivavano la loro educazione col mimare i modi di vita del moderno borghese, abbonandosi Fivizzano, convento di Cerignano, chiostro. (Foto di Daniele Canali, 2009.)

gne ecc. Le case coloniche, quasi sempre site sul predio,

a qualche giornale agricolo o a riviste di umanità varia, da

sono fornite di letti e i contadini vi portano le loro poche

leggersi nel salotto buono o nelle fornite biblioteche, all’

masserizie, biancheria in prevalenza di canapa o coperte

ombra delle antiche vestigia di castelli e rocche diroccate.

fatte con la lana delle loro pecore. Nei poderi lunigianesi, sempre secondo le statistiche del Raffaelli, gli adulti sono 8-10 nei poderi grandi, sei nei medi e tre nei piccoli, comprese le donne. L’uso di riunirsi la sera non avveniva nelle stalle bensì negli essiccatoi delle castagne, dove gli uomini intagliavano lavoretti in legno, le donne filavano o facevano calze di lana grezza da vendere sui mercati settimanali e gli anziani a volte raccontavano ai fanciulli storie e filastrocche, spesso ancora presenti nella memoria popolare di quelle campagne. Sempre il Raffaelli ci dà notizia che “nell’alto fivizzanese si semina molta scondella, con la quale si fa anche il pane per la famiglia che riesce molto aspro. Il companatico consiste in formaggio, frittata ed anche carne di

cantine buie ed umide usate a mò di stalle, il piano intermedio usato per l’abitazione e il piano sottotetto per l’ammasso delle granaglie, delle castagne e della frutta. A parte la totale assenza di moderne norme igieniche, ( gli usi locali erano finalizzati alla coltura delle ortaglie) in questi borghi mancava quasi sempre l’acqua, e questa veniva raccolta da sorgive e da pozzi siti in luogo pubblico, ben al di fuori dell’ abitato. Diffusissime le piccole mescite e il commercio minuto, le botteghe dei vari mestieri ma, soprattutto, i mestieri itineranti tipici della società contadina, quali il bottaio, il calzolaio, lo stagnaro e via discorrendo; la comunità possedeva, di solito regole e strutture ben precise, e l’unico modo per salire qualche gradino nella scala sociale era l’acquisizione della fatidica ‘roba’; per cui, come

maiale. Nella bassa Lunigiana fanno molto uso di certe

ha giustamente notato il Sereni , l’emigrazione stagionale

schiacciate di granturco cotte in testi di terra che dicono

o temporanea quando i lavori agricoli non richiedevano

pestelle. Il companatico di quegli abitanti consiste prin-

manodopera a giornata, finiva per diventare una prospet-

cipalmente in carne di maiale, in legumi e pesce salato”

tiva sempre più concreta. Ma l’idea fissa non era quella di

Quello che però non risulta dalla narrazione del

110

Ben diverse le case dei contadini proprietari. Le

trovare una nuova collocazione nella società ‘industriale’’


e urbana, bensì tornare e coi risparmi acquistare a prezzi

ni di Pognana e Collegnago, discendenti pare dai maestri

che rasentavano l’usura, un piccolo appezzamento in pro-

lapicini comaschi, i carbonai di Sassalbo, i mendicanti di

prietà su cui continuare da ‘libero’ una vita di stenti.

Soliera.

Da questo punto di vista vanno lette le vocazio-

E a Soliera, come vedremo, esisteva il più grosso

ni di intere comunità che, già in questi anni, tendevano

stabilimento industriale del fivizzanese, la filanda Coja-

a specializzarsi in determinati ‘mestieri’ e con quelli in-

ri: un connubio, quello tra lavorazione serica e mendicità,

traprendevano la via dell’emigrazione temporanea anche

piuttosto frequente.

nelle Americhe. Ne siano esempio i cavapietre e scalpelli-

Fivizzano, Terenzano con i suoi uliveti e il prativo per l’allevamento. (Foto di Daniele Canali, 2008.)

Il Raffaelli ricorda, un poco sorpreso, come “nella

111


Lunigiana eziando i furti campestri sono pure frequen-

di Reusa) con gli strumenti del vivere quotidiano ed ar-

tissimi per ogni specie di raccolti: si rubano frumenti, il

ricchendo i testi, mandati a memoria, con la farsa della

granturco, le uve, la frutta, le castagne e in modo parti-

vita contesa tra il benigno ed il diabolico, tutto sottoposto

colare anche le erbe. Estesissima è in quei paesi la classe

alla legge naturale di un ineluttabile destino, la nascita la

dei proletari per la frequenza dei matrimoni con cui si

fatica e la morte: il destino dei contadini.

moltiplicano le famiglie dei nullatenenti” e la ricetta sua e

Lo stato sanitario dei contadini della Lunigiana

delle classi possidenti della Lunigiana è di tipo educativo

era considerato assai migliore rispetto allo stato dei con-

(‘insegnare ai fanciulli il senso del mio e del tuo’) e repres-

tadini della piana massese, e maggiore era la longevità.

sivo, basti considerare la quantità enorme di liti, denunce

Sempre il Raffaelli ci dice che “le malattie ivi do-

e processi tali da fare prosperare una quantità di legulei

minanti sono lo scirro e il cancro, specialmente nei luoghi

non inferiore a quella presente nelle città capoluogo.

più elevati” e numerosi sono gli studi sulle malattie di det-

Il processo di privatizzazione delle terre comunali,

Fosdinovo, particolare del castello, lato est. Sotto: Regnano (Casola) chiesa di Santa Maria. (Foto di Daniele Canali, 2011.)

avviato ormai da qualche decennio e lo sforzo fatto per

Malattie reumatico-catarrali, ma soprattutto la

frantumare gli usi tradizionali danno un segno di quanto

difterite dominavano quelle campagne mietendo nume-

sia stata latente la tensione nelle campagne lunigianesi all’

rose vittime tra i bambini.

indomani dell’ unità, la quale per i “proletari” di quei luo-

La maggioranza delle attività industriali ed arti-

ghi significò un immediato abbassamento del tenore di

gianali si concentravano nei pressi di Fivizzano, e lì risie-

vita conseguente alla lievitazione dei prezzi.

deva gran parte dell’ elettorato politico di quella sezione.

E, se in quelle campagne fu di una certa consisten-

Fivizzano, fino alla metà del ‘700, era un fiorente

za il fenomeno della adesione dei ceti subalterni al legitti-

mercato, vi si acquistavano, soprattutto, grani dalla Pada-

mismo, tale dato non può essere letto in maniera univoca,

na per rivenderli sulla piazza di Genova, come fiorente

visto che uno degli ultimi casi di banditismo endemico

era il contrabbando, causa la prossimità di così innumeri

delle campagne si risolse in tutt’altro senso che non in

frontiere.

quello conservatore al punto da portare numerosi conta-

Anche all’ interno delle mura medicee il dislivello

dini di uno tra i più poveri e popolosi borghi del fivizza-

fra le classi sociali si fa notare, e la bella piazza medicea,

nese innanzi al giudice per il sostegno dato alla banda del

costellata da edifici secenteschi è sede della sonnolenta

‘Margà’ e le grida contro il governo e la forza pubblica.

vita della cittadina; la farmacia dei Contigli, gli studi degli

Non è facile entrare nell’ universo mentale di quei

avvocati, dei medici chirurghi e la cinquecentesca acca-

contadini, richiederebbe un lavoro a parte e ben più arti-

demia letteraria degli ‘Imperfetti’, insieme al caffè, sono

colato, e certo che la cultura e l’umanizzazione millena-

i principali luoghi di vita sociale delle classi dominanti.

ria di quei luoghi aveva lasciato strascichi profondi nella mentalità collettiva.

112

te popolazioni promossi da medici locali.

I rampolli delle famiglie più in vista vengono spediti, come è tradizione, a studiare presso le università di

Fiere, giostre e giochi, specie nel periodo estivo

Pisa, Siena, Parma, Modena; da lì tornano dottori in leg-

erano diffuse un po’ dovunque, alcune perdurano tutt’og-

ge, in scienze, in lettere, in medicina e farmacia ma rara-

gi, come tutt’oggi perdura l’antichissima tradizione del

mente esercitano, se non per proseguire una particolare

‘canto del maggio’ dove improvvisate compagnie teatrali

‘vocazione’ familiare.

vanno recitando nelle piazze delle sagre le gesta di Orlan-

Si occupano piuttosto della conduzione degli affa-

do a Roncisvalle e dell’ Orlando Furioso, disegnando gli

ri, della rendita agricola e di eventuali migliorie ai terreni

abiti della leggenda (molto simili alle statue stele celtiche

ed alle colture, oppure si occupano della direzione delle


piccole imprese commerciali locali, essendo Fivizzano il

all’epoca dell’unificazione nazionale: quattro pastifici, due

naturale mercato delle genti della vallata, o delle piccole e

cererie, due fabbriche di cappelli di pelo, alcune saponerie

Fivizzano, Ceserano con gli Appennini innevati sullo sfondo.

antiche intraprese industriali-artigianali, come le ferriere

e una fabbrica di pannilana, una tipografia, dodici gual-

(Foto di Daniele Canali, 2009.)

di Sassalbo e Posara che lavoravano il minerale estratto

cherie, quattro concerie, quindici tintorie, una filanda di

presso Sassalbo e Mommio o proveniente dall’Elba, fun-

canapa e cotone, due di seta, una operante la sola trattura.

zionanti qualche mese all’ anno e lentamente cancellate

Vanno aggiunte una decina di piccole fornaci di mattoni

dalla competitività dei prodotti di importazione; più o

e di calce a Collegnago, Terenzano, Castelletto. Una real-

meno questi erano gli insediamenti produttivi presenti

tà produttiva limitata, instabile, che occupava raramente

113


Fivizzano, suggestiva immagine invernale di Cormezzano.

manodopera a tempo pieno e che, soprattutto, lavorava

risale, quantomeno ai primi del Settecento. Negli anni ‘30

per il mercato locale, acquistando lane e pelli nel garfa-

del diciannovesimo secolo conosce l’ultima grossa espan-

(Foto di Daniele Canali, 2009.)

gnino e nel pontremolese e rivendendo i fusi e le conoc-

sione per poi andare lentamente scemando a partire dagli

chie di filato, raramente il tessuto intero.

anni ‘70.

Eccezione va fatta per quanto riguarda l’attività

La maggior parte della manodopera impiegata nel

serica. Nell’annuario della Camera di Commercio di Car-

settore veniva assorbita dalla trattura dei bozzoli, mentre

rara del 1863 si descrive minuziosamente l’attività serica

l’attività di filatura era assai limitata. La buona redditività

in provincia, riguardante soprattutto la Garfagnana, il fi-

di detta industria aveva incentivato la coltura del gelso

vizzanese ed alcune località del pontremolese.

in tutte le campagne circonvicine, con vivai di particolare

La presenza della coltura del gelso in Lunigiana

114

interesse a Bigliolo, Collegnago e Soliera e a Terrarossa


ed Annunziata già nel circondario pontremolese. Nel fi-

adulti e 59 femmine adulte e 7 fanciulle sotto i 15 anni.

vizzanese gli operai impiegati nelle due fabbriche di trat-

Le campagne circostanti erano costellate di numerosi

tura della seta erano 197: 128 operai, di cui 6 maschi, 110

graticci e i bozzoli venivano venduti o agli opifici suddet-

femmine adulte e 12 ragazze sotto i 15 anni trovavano

ti, compresa qualche piccola trattura a bacinella a fuoco, o

occupazione nella Filanda Cojari di Soliera, dotata di ben

venivano venduti ad incettatori che percorrevano le cam-

110 bacinelle e un motore a vapore di 5 hp.

pagne e li portavano altrove.

L’altro opificio era quello di Giuseppe Ginesi do-

La famiglia Cojari, di provenienza maremmana

tato di 54 bacinelle a vapore attivate da una caldaia e di

aveva dato vita a quello che, negli anni ’60, era uno tra

un motore di 2hp. Questo opificio lavorava per circa 100

i più grossi stabilimenti industriali della provincia e che

giorni l’anno, impiegando 69 lavoranti di cui tre maschi

occupava un vasto numero di lavoranti femminili, assur-

Fivizzano, immagine del piano di Moncigoli e delle colture miste all’alberata. (Foto di Daniele Canali, 2009.)

115


Borgo di Tendola. A fianco: Fosdinovo, borgo e castello di Ponzanello con nebbia. (Foto di Daniele Canali, 2004.)

116

gendo in breve spazio di tempo ai vertici della ristretta

iscritti sono 91 molti dei quali collocati in 3° e 4° cate-

elite dei notabili fivizzanesi.

goria, quindi con una tassazione annua pari a 14 ed a 8

Il registro camerale del 1863 rende nel dettaglio

lire; un elemento questo assai eloquente sulla natura di

la situazione illustrata nelle pagine precedenti. Un centro

dette attività che si possono quindi considerare floride.

cittadino ricco di commerci vari e diversi, anche in virtù

Fivizzano quindi si configura come centro mercatale di

della storica centralità di Fivizzano sul passaggio di una

una vasta area. La tradizione commerciale è come in al-

delle poche direttrici viarie verso i valichi appenninici. Gli

tri centri consimili connessa strettamente a precisi gruppi


famigliari: troviamo gli Andreani, i Brunetti, i Barberi, i Bertolini, i Bigarani, i Bonotti, i Bertoli, i Catelani, i Calamaj, gli Ercolini, i Giannetti, gli Jacomelli, i Landini, i Marini, i Mazzoni, i Pigoni e i Procuranti, i Tonelli e i Varanini, tutti pressochè impegnati in piccole attività di pizzicheria e piccole produzioni manifatturiere. Ci sono anche attività di maggiori dimensioni come la ditta di manifatture di Raffaello Andreani fu Giovanni: è infatti iscritta in 3° categoria e paga 14 lire annue. La fabbrica di ferro del dott. Leopoldo Barberi fu Battista, anche questa iscritta in 3°categoria è la maggiore ferriera della valle e mantiene viva una tradizione antica di trasformazione del minerale ferroso locale. Frassinetti Antonio fu Giuseppe ha una importante concia presso la città Anche Mazzoni Giovanni di Domenico, negoziante di rami è iscritto in 3° categoria; lo stesso dicasi per Carlo Nobili, pizzicagnolo, per la drogheria di Perli e Compagni e quindi Sbertoli Raffaello, negoziante di cuoio e Sacerdoti Giuseppe ne-

cole rivendite di pizzicagnolo, mescite di vino e generi

goziante di legnami.

alimentari disseminate nelle 90 frazioni del comune. Lo-

Simone Bresadola fa il ramaio in città mentre Ber-

cande e osterie sono anche presso i valichi con la costa,

toli Michele è argentiere e Bonotti Tommaso è cappellaio,

come quella di Morelli Giovanni Antonio a San Terenzo

anche lui in 4° categoria e corrispondendo 8 lire annue; ci sono le manifatture di Ercole Bongi, Pietro Cardinali fu Bartolomeo ha una rivendita di legnami e Cappelli Giovanni una rivendita di grano, emulo della tradizione settecentesca del commercio dei grani con la Lombardia. Don Cesare Angeli fu Giovanni è negoziante di olio, Bigarani Antonio fu Michele ha un macello bene avviato che contende clienti a quello di Barrani Domenico, Pandiani Egidio un negozio di pastaio mentre Baldiera Filippo di Agostino una fabbrica di pesi e misure. Sansoni Luigi una buona drogheria e Sambuchi Beniamino un avviato negozio di pizzicagnolo; Maria Serafini, che ha una attività

Casola, prati per l’allevamento del bestiame presso Reusa. (Foto di Daniele Canali, 2009.)

o presso il valico appenninico come quella osteria di Sassalbo gestita da Micheli Giovanni fu Michele.. Ma la attività manifatturiera non si ferma a queste iniziative: Felice Tonelli fu Andrea ha una fonderia di bronzo presso Equi e a Soliera è la più grande e moderna manifattura tessile della provincia: la filanda di seta dell’avvocato Vincenzo Cojari fu Dante, iscritta in 3° categoria paga 14 lire di tassa camerale. A Soliera abbiamo anche una farmacia condotta da Claudio Contigli fu Carlo, una fabbrica di cera di Contigli Quintilio e la pizzicheria di Battista Calamai. La realtà socio-economica del comprensorio, nel

consimile, è una delle poche donne gerenti un commercio

successivo ventennio, non mutò molto rispetto a questa

in città: l’altra è la vedova Procuranti Angiola che ha una

situazione se non per la crescita di frazioni come Mon-

osteria. Non manca la farmacia di Miniati Torello “oggi

zone grazie all’arrivo della moderna industria dei marmi

Paolo” che conserva una tradizione erboristica di gran

anche nella valle del lucido. Tra i 26 iscritti alla lista camerale nel comune di

pregio. La maggior parte dei contribuenti è data da pic-

Casola nove sono mugnai; Alessandri Tommaso, Amedei

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Fogli statistici in cui vengono rilevate e descritte le attività di conceria (Fivizzano) e le ferriere e stendini presenti nel comune di Trassilico e Fivizzano. Sotto: Pagina in cui è iscritto il Cojari Vincenzo. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

118


Antonio, Argenti Antonio, Battaglini Girolamo, Bertieri

e Carlo Gatti hanno una rivendita di liquori ciascuno. A

Battista, Biagioni Domenico, Pacetti Pietro, Scaletti Bat-

Posterla i liquori li vende carlo Tacchetti e a Ponzanello

tista e Serafini Giovanni Antonio. Molti i liquoristi che

Alessandro Benacci vende vino, liquori e pane. A Giuca-

sovente accoppiano quest’arte con una piccola rivendita

no c’è l’osteria di Domenico Bassini mentre a Caniparola,

di drogheria e panetteria, come nel caso di Margherita

ormai prossimi a Sarzana, troviamo l’osteria e macello di

Tesconi. Ma sono liquoristi e droghieri o cantinieri Cuc-

Carlo Bagnoni, e quello di Giovanni Gandolfi; quindi il

chi Egidio, Franchini Silvestro, Ricci Giuseppe, Ricciotti

negozio di pane e liquori gestito da Filippo Filippi.

Francesco, Spadoni Jacopo, Storti Jacopo, Serafini Francesco. La tradizione panettiera di Casola è ancor oggi presente grazie alla nota “marrocca” di pane, non più quella liquoristica basata sulla conoscenza delle erbe e delle essenze. Bondi Angelo ha un’ officina per la fusione dei metalli. Probabilmente non è distante da quella del Tonelli Felice di Equi, lato fivizzanese del borgo. Il farmacista del paese è Ricciotti Francesco mentre l’armaiolo è Giocondo Zangani che, naturalmente per Casola, è anche liquorista. L’armaiolo è una figura professionale piuttosto rara ed è in rapporto con la tradizionale fusione dei metalli e con le piccole miniere di metallo presenti sulle apuane. Musetti Sante è tintore come Bezzecchi Pietro che esercita in aggiunta anche l’arte del calzolaio e del falegname. Il comune di Fosdinovo, sempre parte del circondario di Massa e Carrara, ha 22 iscritti distribuiti nelle diverse località del comune, compreso il borgo di Gragnola, ora appartenente al comune di Fivizzano ma per secoli parte del marchesato di Fosdinovo. Nel borgo ca-

04. Profilo sociale ed economico del circondario di Pontremoli e annotazioni sulla lista camerale del 1864 L’ampia vallata del fiume Magra, ultima propaggine a nord della Toscana e da sempre crocevia obbligato tra il Tirreno e la Padana, dava vita al circondario di Pontremoli e questa città, ai piedi degli Appennini e delle tradizionali vie di valico era il centro per eccellenza di tutta la valle. Tutt’attorno il paesaggio non era così diverso da come lo era stato nei secoli precedenti; innumeri borghi medievali sovrastati da antichi castelli si estendevano fino alle falde delle più alte montagne, a testimonianza di un ricco passato e di un sempre maggiore degrado nell’ epoca presente. I borghi raramente superavano la cinta delle vecchie mura e nullo o quasi era il tessuto sociale in aggiunta alla classe dei contadini e dei notabili. Nell’inchiesta agraria si sottolineava come “l’agricoltura locale

stellano di Fosdinovo Tommaso Arcolini ha un macello

non ebbe ad avvantaggiarsi di un passo in confronto dei

con osteria e paga 8 lire annue poiché iscritto in 4° classe

passati secoli”.

e Agostino Armanini una osteria come Antonio Tonelli

La perpetuazione nelle campagne di un rapporto di

in 5° classe mentre l’osteria di Biagio coloretti e quella

tipo feudale ben poco intaccato dai grandi fatti che scon-

di Giuseppe Battaglia. Nicola Lazzini ha una specifica

volsero l’epoca moderna, il prevalere della piccola rendita

“bottega da caffé”, Antonio Onniboni vende vino e caf-

fondiaria su altre forme di conduzione dell’ agricoltura

fè, Giobatta Sarzanini vende pane, vino, liquori, Pasqua

costituivano l’elemento economico di base su cui poggia-

Landò pane e salsamentari mentre Bernardo Torchiana

va tutta la struttura sociale del circondario. Osserva giu-

vende telerie, ferramenta e coloniali, un genere merceo-

stamente il Gestri che anche l’inchiesta agraria relativa al

logico in più rispetto a Serafini Giuseppe. A Gragnola

circondario appariva dare più una giustificazione che non

Francesco Furia ha un macello bene avviato, è iscritto in

una spiegazione alla “assenza di ogni processo di raziona-

quarta classe e paga 8 lire. A Marciaso Antonio Cipollini

lizzazione sia delle colture sia dei sistemi di lavorazione,

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che restavano quelli religiosamente tramandati da una generazione all’ altra senza alcuna innovazione né in essi né

Pontremoli, vista dal viale di villa Dosi. (Foto di Daniele Canali, 2011.)

negli strumenti che servono ai medesimi” La differenza tra ‘signori’ e contadini qui era più forte che in altre parti della provincia, al punto da essere spesso identificata come un vero e proprio rapporto di soggezione rispetto al proprietario di beni e terreni, generalmente medico, avvocato, notaio della piccola nobiltà di campagna o della borghesia signoriale di recente formazione. L’istituzione, nel 1869 del comizio agrario di Pontremoli, veniva vista con una certa diffidenza dall’allora prefetto Winspeare quale una sorta di sostegno alle idee di decentramento amministrativo; ma in realtà, oltre il perpetuarsi dei tradizionali rapporti di classe diventava un modo di salvaguardare il ruolo di autonomia delle amministrazioni locali rispetto al centralismo del capoluogo. La relazione del Comizio Agrario di Pontremoli del 1879 dava ampia descrizione delle caratteristiche tradizionali e conservatrici della conduzione dei fondi agricoli, della scarsità dell’investimento e del prevalere, nelle campagne delle zone più pianeggianti di una forma vecchia di tipo mezzadrile. L’attività del comizio agrario si concentrerà soprattutto sul miglioramento delle razze bovine, e ciò soprattutto grazie alla ‘grande depressione’ del 1873 e del conseguente crollo dei prezzi agricoli tale da liberare dal lavoro delle campagne una grande quantità di manodopera agricola e da rendere più interessanti le possibilità dell’ allargamento dei pascoli, dovuto all’ acquisto da parte di pochi notabili e benestanti di numerosissimi piccoli appezzamenti ceduti da coloro i quali avevano scelto la via dell’ emigrazione. Una emigrazione, quella lunigianese, sempre meno stagionale e non più indirizzata verso la Corsica, le maremme o la coltivazione del baco nelle provincie padane, ma rivolta verso la Francia prima e le Americhe poi. Il sempre maggiore processo di impoverimento delle campagne lunigianesi incrementato dall’atrofia del

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Pontremoli, vista dal “ponte “stemma”. Nella pagina di destra: Pontremoli, vista dal “ponte “stemma”. Sotto: Pontremoli dal ponte della “cresa”. Foto di Daniele Canali, 2010.)

baco da seta e dal flagello della crittogama che si era pro-

Solo Pontremoli presentava un tessuto urbano tale

tratto ben oltre il ‘65, aveva fatto sì che la gran parte dei

da essere possibile una sua definizione quale città. Lì rise-

lavori agricoli fosse condotta da donne e vecchi, mentre

deva la sede della sottoprefettura, la sede vescovile ed al-

gli uomini si prestavano a lavori bracciantili o di mano-

cune attività di carattere commerciale ed artigiano proprie

valanza presso i fondi dei più abbienti o nelle opere pub-

di una dinamica sociale di modeste proporzioni. L’elite

bliche che, specie con la costruzione delle strade, quali la

dominante il circondario era soprattutto formata da un

statale della Cisa e dell’ Arsenale della Marina Militare di

ristretto gruppo di famiglie di origine nobiliare che arric-

Spezia, richiesero una grande quantità di lavoratori non

chitesi nei secoli XVI-XVIII grazie ad alcune fortunate

specializzati.

speculazioni, godevano di un ampia ma frastagliata pro-

Una agricoltura arretrata che dopo l’unità aveva subito una forte pressione fiscale (assai diversa dall’atteggia-

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prietà fondiaria da cui traevano la maggioranza dei propri cespiti e rendite.

mento del cessato governo) tale da peggiorare ulterior-

Non erano numerose le attività extra-agricole, e co-

mente le già precarie condizioni di vita delle popolazioni

munque sempre controllate dal notabilato locale. Dalla

delle campagne e che aveva dato vita ad un diffuso ma-

prima metà degli anni ‘70 erano presenti due fornaci tipo

lessere tale da essere interpretato, nei primi anni, come un

Hoffman (impiantate in funzione delle opere necessarie

sostegno al legittimismo filo-estense.

alla costruzione della ferrovia Spezia-Parma) di laterizi e


calce con 305 lavoranti, una ventina di operai impiegati in una gualcheria e tintoria, e un’altra decina impiegati in una piccola cartiera; infine funzionava una cava di arenaria che occupava circa 45 persone. Ad Aulla erano in funzione due piccole fornaci di laterizi occupanti 130 persone alla fine degli anni ‘80, di proprietà del Cocchi Raffaello, vice-presidente nel 1869 della Cassa centrale di depositi e prestiti di Firenze; e poco altro c’era, se non attività legate all’agricoltura quali torchi per l’olio, mulini per macinare grano, granturco e castagne. L’attività delle amministrazioni locali si risolveva spesso nella discussione di esposti, ricorsi ed istanze, suppliche e resistenze in giudizio. Gli amministratori locali cercavano di conseguire, per mezzo della loro carica, piccoli privilegi e tendevano ad accrescere la loro posizione di privilegio economico, lucrando favori e sviluppando

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tiva delle varie attività commerciali. L’elenco, ovviamente in ordine alfabetico, inzia da Angella Luigi, pizzicagnolo in Pontremoli, Angella Paolo calzolaio, Angella Antonio, vinaio a Mignegno per passare subito ad una realtà ancora oggi presente ed evidente, quella dei fratelli Aichta, negozianti di liquori e droghieri provenienti dalla Engandina. Armanini Giovanni Matteo fa il mugnaio a Pracchiola, Albertosi Vincenzo fa il tintore in Pontremoli, Ambrosini Pietro il carrettiere a Montelungo. Una farmacia in città è condotta da Giuseppe Buttini mentre Cristoforo Bocconi ha, sempre a Pontremoli, una fabbrica di polveri e di cera che ritroveremo anche nei decenni successivi: una fabbrica di polveri è posseduta anche dai fratelli Bonzani e una altra fabbrica di polveri dal Dr Francesco Barbieri; infine un’ultima è di Carlo Razzeti collocata in 3°categoria paga 14 lire. Il Razzetti lo ritroviamo impegnato nelle battaglie elettorali e politiche e amministrative del primo decennio postunitario. La ditta Società Amici Ing. Federico si occupa del commercio di legnami; l’ingegnere Giulio Parasacchi ha una sua propria attività, Domenico Pontremoli, facciata della chiesa dell’Annunziata all’inizio dell’omonimo borgo. A fianco: Chiostro del convento dell’Annunziata. (Foto di Daniele Canali, 2010.)

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amicizie con personaggi importanti. Pontremoli con i sui 167 iscritti è la seconda città della provincia per numero di contribuenti camerali. L’elenco è minuzioso e viene dettagliato con precisione anche il luogo in cui si svolge l’attività commerciale o manifat-

Sartori è perito geometra e Modesto Sartori mastro muratore: ovviamente sommano le loro capacità lavorative in una società di fatto dedicata all’edilizia e alla agrimensura. Numerose le bettole e le locande, come quelle di Ravani Angelo fu Carlo e Ravani Angelo fu Paolo. Il negozio di Belletti Domenica vende tessuti in città (le don-

turiera. Anche in questo caso specifici gruppi famigliari

ne gerenti commercio sono una mezza dozzina), mestiere

giocano un ruolo determinante nella geografia distribu-

condiviso con Maddalena Varesi e Antella Franceschini.


Giovan Battista Bresadola è ramiere, (un altro Bresadola,

grani, Tommaso Falaschi è calzolaio. Domenico Ferzet-

Simone lo è a Fivizzano) Antonio Bacchini è falegname

ti è pizzicagnolo e commerciante di grani iscritto in 3°

come Carlo Francesconi e Pasquale Gambarana; Felice

categoria e anche Marcantonio Cappellini, caffettiere e

Cappellini e fratelli sono indoratori, un mestiere ad alta

droghiere, è iscritto in 3 categoria e paga 14 lire annue

specializzazione e che richiede anche un pubblico ade-

di tributo; infine Giuseppe Cappellini è farmacista: que-

guato; Giulio Del Pino è conciapelli, Franco Olivieri è

sta attività era condiviso da Domenico Rossi quindi, in

conciapelli, Vincenzo Eschini è negoziante di pelli e di

città, c’erano ben tre farmacie. Molti altri i negozi di piz-

Pontremoli, chiostro dell’Annunziata. Attuale sede della sotto sezione di Pontremoli dell’Archivio di Stato di Massa. Il convento possiede ben due chiostri. (Foto di Daniele Canali, 2010.)

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Filattiera, chiesetta altomedievale di San Giorgio. A lato: Castello di Villa di Tresana. Sotto: Chiesetta romanica di Santa Maria detta la Chiesaccia sul vecchio guado della francigena sotto Lusuolo. (Foto di Daniele Canali, 2010.)

è negoziante di riso, altra attività questa piuttosto rara in provincia., Giovanni Battista Reisoli ha una rivendita di vino, Apollonia Ricci è ostessa, Maria Orefici pastaia come anche Bartolomeo Garibotto, Francesco Chistoni invece è iscritto come macellaio. Luigi Cella è oste e vetturale, Nicola Romiti è vetturale, mentre Agostino Campolonghi è caffettiere, iscitto in 4° categoria e paga un tributo di lire 8. Nulla di più interessante il rileggere le pagine del figlio Luigi per entrare nel clima politico e sociale del periodo. Sempre in città altre attività di un certo zicheria presenti in città tra cui quello di Raggi Carlo, di Francesco Pesella, di Niccolò Tamburini, di Pietro Da Prato. Michelangiolo Canali è pizzicagnolo e così anche

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rilievo sono la rivendita di stoviglie di Terilli Giovanni, la rivendita di tessuti di Solferini e Leporati, i gabellotti (ovvero rivenditori di generi di privativa quale il sale e i tabacchi) come Marinari Giovan Battista, Reisoli Enrico

Giuseppe Bocchi, Montani Giovanni, Faconti Domeni-

e Erminia Parolini . Possiamo concludere la rassegna con

co, Fanti Giovanni. Pasquale Cimati è pastaio ed impre-

Michel Angelo Moreni, Rigattiere e Bernardo Bertolini,

sario di lavori ed è iscritto in 3° categoria; Luigi Cardinali

merciaio, forse ambulante.


A Mignegno sulla statale della Cisa, a nord della città, Cheli-Calani e Chiaritelli hanno un’osteria e Beghetti Antonio vende vino; Assunta Restori ha una rivendita di liquori. Alla Annunziata, nel suggestivo borgo ai piedi del convento, gli eredi di Bertolini Giobatta conducono un’osteria e Andrea Chiaritelli negozia in pelli. La borgata è estremamente interessante dal punto di vista della sua collocazione poichè vi si concentrano moltissime attività, non solo di piccolo commercio ma vere e proprie attività manifatturiere, come la filatura di seta di Giuseppe Olivieri, la rivendita di grani di Pasquale Lazzeroni, il

sa: al registro camerale sono iscritti in 6° classe per un tributo di lire annue una perlopiù mugnai: compaiono Otta-

negozio di orologiaio di Ludovico Romiti, il fabbro fer-

vio Corsini e anche Bartolomeo Corsini al Bratto, Pietro

raio Giovanni Ferrari e Luigi Bertolini l’osteria di Luigia

Cattini alla Braja, Andrea Corvi alla Cervara, Bartolo-

Romiti vedova Lazzeroni e quella di Antonio Sardella e

meo Callegari, Luigi Cocchi e Pasquali Pietro a Guinadi.

anche quella di Pasquali la caffetteria di Romiti Giuseppe

In val d’Antena, a Cavezzana, il mestiere di mugnaio è

di Antonio e quella di Romiti Giuseppe fu Agostino.

esercitato da Celestino Rosa. A Teglia troviamo Verunelli

Nelle borgate montane la situazione è molto diver-

Francesco e Ferdani Domenico, Taini Pellegrino e Terro-

Villafranca, castello di Malgrate. A fianco: Castel del Piano, attualmente rinomata struttura di B&B. Sotto: Castello di Terrarossa, sede delle principali manifestazioni di promozione delle eccellenze del territorio. (Foto di Daniele Canali, 2009.)

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Facciata in pietra della “chiesaccia”di Fornoli. (Foto di Daniele Canali, 1997.)

ni Andrea; a Caragalla Giovan Battista Veroli, a Soccisa

noni, Nadotti, Pedrinelli, Pedrini, Pelliccia, Pilati, Raggi,

abbiamo una donna, Apollonia Toma Ricchetti e anche

Rossi, Tosi, Ugolini, Varesi.

Toma Giuseppe Maria. Antonio Maria Rosa a Grondola,

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Pasqualetti Giacomo a Vignola, Pasquali Pietro a Torra-

Dei 20 iscritti di Filattiera, sudivisi per frazioni,

no, Andrea Bergamaschi a Santa Giustina e gli eredi di

emerge che le tre uniche località ad avere attività regi-

Battaglia Giuseppe a Montelungo.

strate sono Scorcetoli, Caprio, Filattiera. In 5° “classe del-

Del circondario di Pontremoli facevano parte an-

la tassa” troviamo Francesco Ballestracci e Doglia Paolo,

che i comuni di Zeri, Mulazzo, Filattiera, Bagnone, Vil-

in società nel commercio dei grani. Pasquale Cimati di

lafranca.

Lorenzo, residente a Pontremoli è fabbricante di matto-

Nelle valli zerasche gli iscritti alla lista del 1864

ni. Gli altri, Angella, Baldini, Bastoni, Serradori, Pagani,

sono 26, perlopiù mugnai e qualche gabellotto, iscritti in

Biondi, Moscatelli sono piccoli negozianti di commesti-

6°classe con tributo di lire 1 in ragione d’anno. Troviamo

bili, vino, grani oppure mugnai e oliari. Nettamente più

i Barbieri, Bornia, Conti, Donnini, Farina, Figaroli, Me-

articolata la situazione delle attività e dei commerci a Ba-


gnone dove erano iscritti al registro camerale in 64. Prin-

stesso fa Pietro Rabbuffi; Pietro Cortesi è venditore di

cipalmente si tratta di iscrizioni in 6°classe con contribu-

liquori, Leovigildo Prayer Galletti vende utensili e vasi di

zione di 1 lira; sei sono gli iscritti in sesta e solo due in

terra. Molti sono rivenditori di minute cose, commestibi-

quarta. Giovan Battista Focacci è farmacista e droghiere e

li, fabbri ferrai e bettolieri, mugnai, come Anna Medici.

Ferri Nicolò, anche lui farmacista e droghiere è il secondo

Questo numero di piccole iniziative commerciali, supe-

dei due iscritti in seconda categoria con tributo di lire 8

riore al fabbisogno locale, sta a significare una abitudine

annue. Luigi Focacci vende filati di seta, lana e cotone, lo

al commercio ambulante e anche al trasferimento in aree

Bagnone, veduta di Castiglione del Terziere: sullo sfondo i gioghi che separano la val di Magra dalla val di Vara. A lato: Mascheroni marmorei della rinomata fonte medievale di Virgoletta. (Foto di Daniele Canali, 2010.)

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Podenzana, il Castello con le Apuane sullo sfondo. (Foto di Daniele Canali, 2008.)

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a maggiore sviluppo economico, quali la costa, lo spezzino

de panni, Pedretti Carlo è sarto e pastaro, Battista Razzoli

o la valle padana. Partendo da un piccolo capitale inizia-

è negoziante e carrettiere, Antonio Carmi è pannivendolo

le, risparmiato nel tempo o raccolto grazie al sistema del

e torcolaio da ulive, Giuseppe Cavalli è pastaro, mugnaio

gruppo famigliare “emigrano” nelle città della costa e si

e ha i generi di privativa; Paolo Antonio Canali è mugna-

posizionano nelle zone di recente espansione dove sono

io e torcolaio da ulive. A Castevoli Bianchini Giovanni

richieste e quindi maggiormente redditizie le piccole at-

è gabellotto e pannivendolo, Giovannacci Giovanni fu

tività commerciali che altrimenti, impiantate nelle zone

Lorenzo è mugnaio a Montereggio, Carlo Lorenzelli di

centrali di una città, soccomberebbero in breve.

Parrana è gabellotto e pannivendolo. Giovanni Righet-

A Mulazzo, l’elenco dei contribuenti iscritti al ruolo

ti è mugnaio e torcolaio a Groppoli, Giacomo Tarantola

camerale del 1864 pel il 1863 assommava a 29 iscritti. In

(scritto “Tarandola” ) è mugnaio e torcolaio da ulive. An-

se la lista non è particolarmente significativa dato che è

che il signor Parrini ha il “torcolo per le ulive” a Mulaz-

composta principalmente da attività sempre presenti nei

zo, ma come annota diligentemente il redattore della lista

comuni rurali quali mugnaio, torcolaio da ulive, carrettiere

“l’esercente variasi quasi ogni anno”.

e venditore di minuti commestibili. E’ interessante piut-

A Villafranca tra i 39 iscritti della lista troviamo

tosto per comprendere appieno gli inizi di grandi dinastie

gli eredi di Alfonso Malaspina che esercitano l’arte del

di commercianti ed imprenditori che hanno fatto fortuna

mugnaio; Annibale e Virginio Malaspina esercitano l’ar-

all’estero in attività molto diverse da quelle di partenza.

te della farmacia e del commercio dei grani: granaioli e

Tra le più note famiglie di “librai”pontremolesi ritroviamo

farmacisti sono iscritti in 4° classe e contribuiscono per

i Maucci o i Fogola e i Tarantola iscritti come mugnai o

8 lire. Anche Ricci Angelo è farmacista mentre Beatrice

venditori di minuti commestibili. Giuseppe Maucci ven-

Malaspina è pizzicagnola e caffettiera. Pietro Bustichi è


fabbro ferraio, arte che in famiglia verrà tramandata per generazioni. La Società di Virgoletta aveva un proprio mulino, evidente retaggio dei beni comunitari; Pietro Bassignani commercia in bestiami, Trombella Domenico è granaiolo e anche Porta Domenico, Luigi Cattoja è mugnaio, Geremia Battaglini è caffettiere, Mori Edoardo oste, Giuseppe Giumelli oste e pizzicagnolo come Giuseppe Bragoni, Battista Razzoli vetturale. Spinetti Antonio mugnaio a Filetto e Domenico Viola caffettiere a Fornoli sono cancellati dalla lista. Vengono aggiunti Piola Giuseppe, negoziante e sarto al pari di Rossi Francesco e Viola Antonio e Domenico carrettieri a Fornoli. Gli altri comuni della Val di Magra sebbene appartenessero amministrativamente al circondario di Massa e Carrara, componevano la parte mancante di quella identità territoriale che nel novecento passerà sotto il nome di Lunigiana.

Nel comune di Licciana gli iscritti sono 30. Montali Ermelindo ha una farmacia, Giovanni Roffo vende stof-

Nel comune di Terrarossa che di li a poco sarà unito

fe, Paolo Puppi vende stoffe, Gemignano Bustichi vende

a Licciana, abbiamo tre soli iscritti: Baracchini Quirino,

coloniali, Angelo Formentini vende generi coloniali e fa

Baracchini Vincenzo, Benetti Pietro.

l’oste, e anche Galeazzi Policarpo è oste; Antonio Gal-

Borgo di Virgoletta, conserva intatto l’originario impianto medievale. Sotto: Frazione di Noce e chiesa di Patigno a Zeri. (Foto di Daniele Canali, 2009.)

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Stemmi araldici in marmo collocati a Castel del Piano. (Foto di Daniele Canali, 2010.)

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li vende ferramenti mentre Antonio Diana commercia

iscritti suddivisi tra Calice e Madrignano si distinguono

in granaglie come Luigi Luccini infine Pietro Boschetti

Camiffi Luigi sarto, venditore di tessuti e bettoliere al

commercia in bestiame.

pari di Guerrieri Venanzio. Paita Carlo fu ridolfo è oste e

A Tresana, 9 iscritti, prevale l’attività ora scompar-

calzolaio, Paita Raffaello è gabellotto e vende tessuti e li-

sa della coltivazione e della tessitura della canapa.Tesse

quori mentre Paita Carlo di Francesco è macellaio e Pai-

canape Caterina Bellavigna vedova Rossi e anche Dome-

ta Pietro fu Girolamo è “bettogliere”. Lorenzo Venturini,

nico Baldi, Angelo Lani, Prea Domenico, Ciri Francesco.

Pini Nicola e Francesco Antonio Angeletti sono gabel-

Giuseppe Bianchini è farmacista e vende commestibili,

lieri e rivenditori di liquori a Madrignano e anche Luigi

Luigi Bianchini vende tessuti e granaglie, Giuseppe Laz-

Rossi è “bettogliere” e vende liquori nello stesso luogo.

zerini vende vino e commestibili.

Pasquali Germano è farmacista a Calice. Dei 5 iscritti di

Nella confinante Rocchetta di Vara registriamo 10

Podenzana non vi è molto da riferire: Angeletti, Spella,

iscritti: la piccola manifattura di Francesco Focacci che

Moretti, Spadoni, Rossi e Corbani, perlopiù affittuari di

è anche gabellotto e quella di Francesco De Ferrari che

torchio da olio e pastari.

vende anche commestibili. Antonio Volpi è negoziante di

Nel comune di Albiano Magra, presto assorbito da

corame, Carlo Baccelli è fornaciaio e Drovandi Francesco

quello di Podenzana e quindi da Aulla, gli iscritti all’elen-

è Farmacista. Nella vicina Calice al Cornoviglio dei 16

co dei contribuenti della Camera di Commercio e Arti


di Carrara sono 27. Solo Sciara Domenico, impresario di lavori pubblici è in quarta classe e versa 8 lire annue di tributo. Le attività più diffuse sono quelle relative la torchiatura e la molitura con 10 esercenti bene rappresentate da gruppi famigliari quali i Franceschini Domenico, Giuseppe e Pietro. L’elenco specifica che c’era anche una torchiatura a “cavallo” dell’olio fatta con l’utilizzo del cavallo ed era posseduta da Camillo Rossetti fu Domenico; l’olio prodotto da questi frantoi prendeva la strada del golfo spezzino e dell’appennino. Tre i negozianti di olio: Bocchia, Moretti e Bevilacqua. Altri Bevilacqua erano Elia fu Angiolo e Lazzaro fu Camillo, rispettivamente cantiniere e caffettiere. Il commercio delle granaglie era esercitato da Bellani Costantino di Giovanni e altre attività di cantiniere, caffettiere, bettoliere, bottegaio, pizzicagnolo oste e locandiere esercitate da precisi gruppi familiari quali i Luciani, i Neri, i Nosei, i Perutelli, gli Olivieri. Aulla, con 40 iscritti principalmente in sesta classe, è ben lontana da divenire quel centro commerciale “naturale” dell’area lunigianese che è oggi. Il borgo stretto tra due fiumi e non ancora collegato da ponti ferroviari e stradali è un punto di snodo di commerci e comunicazioni ma senza apprezzabile ruolo se paragonato a Pontremoli o Fivizzano. Da l’impressione di una grossa famiglia, di un borgo dove tutti si conoscono e condividono l’esistenza quotidiana. Bisogna però notare che nel borgo sono censite, nel 1864 ben 29 attività commerciali. Luigi Giuseppe Formentini ha una piccola farmacia iscritta in sesta classe e paga 1 lira annua. Antonietta Ceschi vedova Dentoni ha una merceria ed è gabellotta mentre Rosa Baldassini ha una caffetteria Cinque attività sono registrate a Pallerone, quattro a Olivola e due a Bigliolo. A Pallerone Giacomo Guasti è venditore di granaglie e vinaiolo, Giobbe Chiocca è venditore d’olio, Vincenzo Rosaja ha una cantina dove vende vino e fa il pizzicagnolo, Giuseppe Donati è gabellotto e Andrea Mignani genericamente “negoziante”Ad Olivola hanno un commercio di granaglie Antonio Vit-

tori, Giuseppe Pierini e Virgilio Gilli; Paolo Gilli invece vende tessuti e cera. Si evince che le produzioni agricole delle campagne di Olivola orientassero con precisione la merceologia commerciale. A Bigliolo, all’ombra dei resti del castello, l’attività di gabellotto è gestita da Giovanni Fabbri, mentre Felice Lombardi è macellaio e vinaiolo.

Elenchi iscritti di Pontremoli nel 1864 con le aggiunte del 1865. (Archivio Storico della Camera di Commercio, 1864.)

133


Comune di Rocchetta di Vara, notizie alla Camera di Commercio relative a fiere e mercati, (1 gennaio 1864). L’attività camerale nel censire e riordinare fiere e mercati fu attenta e rispettosa delle differenti tradizioni dei territori. A fianco: Il sindaco della comunità di Bagnone da notizia che “sventuratamente in questo comune di Bagnone non vi è alcuna industria manifatturiera che possa trovar luogo nello stato speditomi”, (1 dicembre 1864). Sotto: Registro verbale. (Archivio Storico della Camera di Commercio, Affari generali, 1864.)

134


05. Profilo sociale ed economico del circondario di Castelnuovo Garfagnana Collocata come appendice al confine orientale della provincia, la Garfagnana, a dispetto di questa marginalità, giocava ben altro ruolo per la sorte di quel contrastato ed accidentato mosaico che dava vita alla provincia di Massa Carrara e che appariva agli occhi di molti osservatori del tempo come la dimostrazione più evidente dell’improvvisazione e delle carenze dell’azione del governo del nuovo regno. “La Garfagnana, la quale in faccia al Governo Centrale di cui, fino ad oggi non conosceva che il commissario di leva e l’agente delle imposte, aveva ragione di esistere solo in quanto si sottometteva alla sua funzione di feudo elettorale” Ad un ruolo del genere la Garfagnana assurgeva proprio per diretto riflesso di quella situazione dominata da frequenti tensioni autonomistiche di varie località e di continue sollecitazioni per una nuova suddivisione del territorio provinciale. Tutta la zona compresa tra La Spezia (allora circondario della provincia di Genova) e Massa era investita da spinte reclamanti una diversa definizione dei confini amministrativi disegnati all’ indomani della unificazione. Il primato di Massa e addirittura l’esistenza stessa della provincia venivano messi in discussione.

‘L’Apuano’, giornale che si stampava a Massa, denunciava sul numero del 1 marzo 1874 le “responsabilità dei massesi” nel deterioramento dei rapporti. Con la minaccia della separazione, i deputati provinciali della Garfagnana riuscirono a fare assumere all’amministrazione impegni di notevole consistenza, quali la strada di collegamento con Fivizzano, la costruzione del ponte sul Serchio a Gallicano, il finanziamento del tratto di strada per il mare attraverso Arni e l’acquisto, nel centro di Castelnuovo, della Rocca ariostesca. Le motivazioni di supporto al distacco della Garfagnana da Massa e la sua annessione a Lucca erano illustrate dall’avv. Emilio Coli, dal Conte Luigi Carli e dal dott. Raffaello Landi in un opuscolo pubblicato a Castelnuovo nel 1874 ed intitolato “Relazione della commissione incaricata dai Signori Sindaci della Garfagnana da presentare al Ministero per l’aggregazione alla provincia e corte d’appello di Lucca e rassegnare al medesimo le analoghe deliberazioni dei consigli comunali”. Tali problematiche non sfuggirono al De Stefani, incaricato dal Bertani di redigere l’inchiesta agraria per quanto concerneva il circondario garfagnino; le parole suggerite da questi al deputato lombardo riecheggiavano le motivazioni insite in quell’ annosa polemica e suffragavano la necessità di una nuova suddivisione del territorio compreso tra il mare, l’Appennino e i fiumi Magra e Serchio. La superficie del circondario della Garfagnana era

La consapevolezza di questa precarietà non era

di 476,83 Kmq; i diciassette comuni della Garfagnana,

mancata ai dirigenti della amministrazione provincia-

suddivisi in quattro preture e mandamenti, erano distri-

le che, già nel 1874, di fronte ai gravi problemi imposti

buiti su di un territorio montagnoso, composto da ampi

da una ripresa della agitazione autonomistica della Gar-

piani e terrazzi degradanti dalle vallate e pendici scoscese

fagnana tendente al passaggio di quel circondario alla

verso il fiume Serchio serrato tra le erte cime delle Apua-

provincia di Lucca, fecero pubblica ammenda dei ritar-

ne a sud e quelle dell’ appennino a nord.

di perpetrati in nome di un gretto egoismo municipale a

I collegamenti stradali, specie verso il capoluogo,

danno di quella regione, per lungo tempo dimenticata dai

erano rappresentati dalla settecentesca via Vandelli, una

provvedimenti dei vari organi amministrativi del governo

mulattiera scoscesa che valicando sul passo della Tambura

provinciale.

a 1620 metri di quota scendeva lungo la valle del Frigido

Intervenendo sulla questione della Garfagnana,

fino a Massa; per Carrara ancor peggio, uno stretto viot-

135


Statistica relativa le ferriere e gli stendini in Garfagnana, 1864.

tolo valicava la foce di Giovo a 1496 metri e scendeva

più popolosi erano, secondo il censimento del 1871, Ca-

lungo le cave fino in città. Più agevoli le comunicazioni

stelnuovo con 2.040 abitanti, Gallicano con 1.338, Pieve

(Archivio Storico della Camera di Commercio.)

con Lucca, collegata a Castelnuovo dalla via nazionale

Fosciana con 1.078 e Vagli Sotto con 1.100 abitanti. La

Livorno-Mantova che proseguiva per l’Emilia attraverso

tipologia abitativa era rappresentata, in maggioranza, da

il passo delle Radici, e con la Lunigiana, per mezzo del

case generalmente agglomerate in paesetti, specie nell’al-

passo dei Carpinelli.

ta Garfagnana; le case sparse erano invece maggiormente

Nessun centro raggiungeva i 6000 abitanti, sebbene la “città” per eccellenza sia rappresentata da Castelnuovo, il centro su cui gravitavano tutte le attività della valle.

136

presenti nella media e bassa valle, in rapporto con l’estensione delle colture agricole. La caratteristica peculiare della struttura della pro-

La maggioranza degli abitati era concentrata nella

prietà fondiaria era data dall’ estremo sminuzzamento;

zona centro-meridionale del circondario; infatti i centri

solo due o tre proprietà superavano i cento ettari di esten-


sione di terreno coltivato, tralasciando selve e pascoli; e circa 18 erano quei poderi di maggior estensione che si distinguevano dalla gran maggioranza di piccoli e piccolissimi appezzamenti; ad esempio “nel piano della Pieve un podere dato a mezzadria è piccolo se si estende circa mq. 21.660, medio se circa mq. 41.000, grande se supera mq. 65.000”; e i poderi appartenenti ad un medesimo proprietario raramente erano prossimi tra loro ma erano altresì isolati o disposti in piccoli gruppi lontani gli uni dagli altri e, a volte, in comuni diversi. Tale sminuzzamento della proprietà fondiaria era derivato da decenni di divisione della proprietà, in precedenza appartenete ai beni del comune, e a tale ragione va ricondotta la pratica dell’ enfiteusi e del pagamento di numerosi livelli ai comuni. Le terre di proprietà comune vennero spartite tra i capi famiglia della comunità; tali porzioni, assai risicate furono a loro volta suddivise in lotti ereditari tra i familiari del capostipite e “furono conservate dall’ affetto dei terreni avuti dai nonni, dai limitati desideri dei proprietari che si contentavano di campare onestamente e non agognavano aumentare le possessioni e dal loro spirito di economia, il quale fa si che non si sperperino quel poco che hanno avuto dai genitori”. Questi, secondo il De Stefani e altri studiosi che si erano occupati della situazione delle campagne in Garfagnana, alcuni tra i principali motivi del ritardo e del progresso agricolo di quelle campagne, ma non è da sottovalutare un altro importante elemento, sempre descritto nelle relazioni dell’ epoca. Infatti, la conformazione del territorio incideva notevolmente sulla situazione economica del circondario; l’eccessiva piovosità e la persistenza delle basse temperature aveva introdotto una selezione

saccati, verso Marsiglia, l’Inghilterra e le Americhe, via Genova) essendo infatti silvo-pastorali la grande maggioranza di colture dell’ alta Garfagnana. La grande maggioranza delle famiglie rurali era

nelle colture agricole con esclusione del grano in molte

composta da piccoli proprietari agricoli e, come confer-

zone a favore di cereali minori quali l’orzo, la segale, il far-

mato dal De Stefani, i pastori (che secondo i dati del cen-

ro: prevaleva quindi l’importazione di generi quali il gra-

simento del 1861 assommavano ad oltre duemila unità)

no, l’olio e il vino di contro alla esportazione di prodotti

grazie al commercio dei loro prodotti, caseari e carne in

silvo-pastorali (formaggi ovini e caprini, carne, legname,

modo particolare, avevano raggiunto una discreta posi-

carbone di legna, farina di castagne, rivolti soprattutto ai

zione economica rispetto al contesto della valle, sebbene

mercati di Lucca, Pisa, Livorno e, nel caso di uova ed in-

nel complesso veniva denunciato un “sensibile peggiora-

Lettera del sindaco di Castelnuovo Garfagnana al presidente della Camera di Commercio relativa alla statistica sull’industria serica a Castelnuovo, 25 luglio 1864. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

137


mento delle condizioni generali della regione, registrato

ceti contadini e possidenti, ma soprattutto della raccolta

nel corso dei primi decenni dell’ inserimento nel nuovo

della fitta messe delle rimesse degli emigranti garfagnini

stato unitario”.

che, sul totale dell’emigrazione in provincia, detenevano

Un altro elemento, molto interessante come ele-

138

un ruolo numericamente prioritario.

mento di osservazione relativo all’idea che gli illuminati

Sebbene tali rimesse fossero impiegate anche nel

studiosi quali il De Stefani si erano formata delle ideo-

prestito locale con un ritorno di interesse del 6-61/2%

logie socialiste del periodo è contenuta nella riflessione

percento, il desiderio degli emigranti era quello di pote-

proprio relativa all’attività della pastorizia:” la pastorizia

re acquistare al loro ritorno un appezzamento di terreno,

estensiva, poi si deve reggere, e poi ne vedremo qualche

magari lo stesso sopra il quale lavoravano prima di partire,

esempio, sui beni comunali, sopra servitù, sopra condomi-

nonostante il prezzo dei terreni fosse assai elevato rispetto

ni e insomma sopra una specie di comunismo”; e sempre

al loro reale valore.

sui modi di coltivazione delle terre comunali e sulla pro-

Ma rispetto al periodo precedente l’unità, le modifi-

prietà rurale dei comuni il De Stefani scrive: “questo ar-

cazioni che lentamente coinvolgevano la struttura sociale

gomento, troppo ignorato e quasi nemmeno citato da que’

garfagnina si facevano sentire soprattutto con l’aumento

nostri che avrebbero occasione di parlarne, ci da un idea

del ceto dei braccianti e dei manovali, spesso impegnati in

vivissima di quel comunismo che era molto più frequente

lavori diversi rispetto l’agricoltura. Poche erano le attività

nei secoli passati e che va a scomparire intieramente per

di tipo industriale, se si fa eccezione di una grossa seghe-

opera di quello stesso popolo e di quei ordini diseredati

ria di legnami, di qualche piccola ferriera, di 245 piccoli

che socialisti e comunisti vorrebbero a strumento e a mez-

mulini per la macina delle castagne ( e dotati di ‘mazzi’,

zo d’applicazione delle loro idee.”

magli per battere e rendere morbida la canapa) di alcune

Su questo problema torneremo in altra sede, ma re-

filande per la trattura della seta e di una miniera di lignite,

sta il fatto che queste considerazioni del De Stefani e altre

attività questa avviata nel 1873 per mezzo di una società

del Raffaelli, sono un’elemento interessante nella com-

anonima della quale facevano parte il deputato di Barga

prensione della risposta dei ceti dominanti all’avanzare

Antonio Mordini, il Cav. Raffaello Raffaelli, i sindaci di

delle idee del socialismo che, in provincia, raccoglievano

Castelnuovo e Gallicano, il Cav. Petrioli ingegnere capo

non pochi sostenitori presso il proletariato del marmo,

del Genio Civile, il presidente del Comizio Agrario della

della terra, gli artigiani e gli intellettuali radicali.

Garfagnana “e altri cospicui cittadini”.

Il 30 luglio 1869 si teneva in Castelnuovo una adu-

In Castelnuovo si concentrava la grande maggio-

nanza dei maggiorenti della regione a favore della strada

ranza dei notabili della Garfagnana e le loro residenze di

ferrata tra Lucca e Castelnuovo, sentita come esigenza

rappresentanza. Perlopiù iscritti alle liste politiche attra-

prioritaria per lo sviluppo dell’economia della regione e

verso i ruoli della Ricchezza Mobile, si distinguevano nel

adducendone a giustificazione eventuali interessi di ca-

circondario per uno spiccato senso di casta e per un forte

rattere militare-strategico. E proprio dai notabili di Ca-

prestigio sopra la gran massa degli altri cittadini, e per una

stelnuovo era partita l’idea dell’istituzione del Banco di

sorta di esclusiva dedizione alla politica ed alla ammini-

Sconto, succeduto alla succursale della Banca del Popolo;

strazione locale. Infatti, pur essendo numerosi i proprie-

tale istituzione si rivelò un grosso affare, dato che, seb-

tari contadini aventi diritto all’iscrizione nelle liste eletto-

bene il suo indirizzo fosse quello di una banca locale fi-

rali, perché paganti oltre 40 lire (come appare dall’ esame

nalizzata al credito per il piccolo commercio, divenne il

dai ruoli del 1866 della Prediale per i comuni garfagnini)

centro privilegiato del deposito del piccolo risparmio dei

tale dato non corrispondeva ad una relativa percentuale di


presenza nelle liste, e tanto meno negli elenchi di coloro i

nella prima metà degli anni ‘70 e occupanti una cinquan-

quali avessero espresso la loro preferenza di voto.

tina di persone; una fornace “Hoffman” di laterizi sempre

Questa elite concentrava nelle proprie mani la grande maggioranza delle attività industriali ed artigianali non legate strettamente alle attività agricole.

presso il capoluogo, qualche tintoria e piccola fabbrica di cappelli. Le ferriere e gli stendini, esistenti fin dal 1300, e

Le quattro filande di seta impiegavano circa 45

concentrate soprattutto a Fabbriche sulla Torrite Cava

donne per 2-3 mesi l’anno, ed erano tutte in proprietà

(comune di Trassilico), subirono un duro colpo nel 1867.

dei maggiorenti locali, che spesso ritroviamo a sedere nei

La chiusura delle ferriere di Torrite fu la molla che spinse

consigli comunali o nelle battaglie elettorali politiche; ne

i 40 operai che vi lavorarono ad intraprendere, tutti, la

è esempio la filanda Vittoni di Filicaia, presso Castelnuo-

via delle Americhe. La forte emigrazione dal circondario,

vo, che nel 1879 occupava una ventina di donne e pro-

specie di lavoranti in possesso di un mestiere, tradizionali

duceva dai 200 ai 500 kg di seta greggia; la filanda Carli

figure di una società contadina espropriate progressiva-

presso Cascio, nel comune di Molazzana, che nello stesso

mente del loro lavoro quali muratori, calzolai, bottai, scal-

anno occupava una decina di donne e rendeva dai 100 ai

pellini, era un fenomeno in continua ascesa e certamente

200 kg di seta greggia (presumibilmente di buona qualità

collegato anche alle prime avvisaglie della grande crisi

visto che un suo campione, inviato all’Expo Internazio-

agricola degli anni ‘70; ma l’emigrazione era un fenomeno

nale di Parigi del 1878, fu premiato) e altre due piccole

antico di quelle valli, e precedentemente al 1874, quando

filande, situate nel comune di Gallicano: quella del Paoli-

più forte si fece il flusso migratorio verso la Francia e le

Puccetti che rendeva attorno ai 200kg l’anno e quella del

Americhe, era generalmente legata a fenomeni stagionali

Benedetti, sita nella frazione di Verni che non produce-

precedenti ai grossi lavori agricoli, ed indirizzata al taglio

va più di 100 kg di seta l’anno. Qualche volta la seta era

dei boschi in Corsica, e alle bonifiche delle maremme to-

filata pure dal sig. Quirici, a San Francesco, comune di

scane. Le direttrici non erano casuali, ma generalmente si

Pieve Fosciana e dal sig. Girolami, in Filicaia, comune

indirizzavano verso località dove un qualche famigliare o

di Camporgiano. Una produzione volta in massima par-

compaesano era già stato o aveva impiantato una attività

te all’esportazione, e che raramente superava i mille chili

di sorta; non conoscevano quindi, secondo il Paladini i

annui di filato.

fenomeni quali “i bosses” tipici di altre emigrazioni re-

La produzione dei bozzoli era condotta dai conta-

gionali.

dini che sovente tenevano i gelsi “veronesi” nei loro ap-

Un’altra forma di emigrazione, già segnalata dal De

pezzamenti e che rivendevano poi a dette filande o a com-

Stefani era quella verso le cave di Carrara, specie nei co-

pratori esterni nei mercati di Castelnuovo (il giovedì e la

muni dell’alta valle quali Piazza al Serchio, Giuncugnano

domenica) o di Gallicano.

e Minucciano, sebbene si lavorino, nel periodo estivo cave

Pochissime le “bigattiere” costruite nei poderi, e

di arenaria e qualche marmo si estragga ad Arni; una ot-

sempre dai proprietari più ricchi, gli altri generalmente

tantina di uomini di Vagli si recavano in quegli anni a

“fanno i bachi in stanze buie e puzzolenti e magari nella

lavorare nelle cave di Stazzema, dando inizio ad un altro

camera da letto”; nell’ultimo quindicennio la produzione

importante fenomeno di mobilità interna della popola-

aveva accennato a salire, per poi accennare di nuovo ad

zione.

un calo.

Dal punto di vista dell’attitudine al lavoro il De

Da notare poi tre piccole cartiere per la fabbricazio-

Stefani, descrivendo le qualità morali e fisiche, sostene-

ne della carta gialla, aperte in prossimità di Castelnuovo

va che”i garfagnini sono in genere buoni lavoratori e fino

139


a tarda età seguitano a fare nelle campagne tutti i lavori

donna più anziana della famiglia. Le malattie, salvo quelle

agricoli che possono. Le donne godono di molta libertà e

di ritorno dall’emigrazione, quali le febbri miasmatiche

avvedutezza fin da ragazze; dai 15-16 anni lavorano nei

o la pellagra, erano soprattutto derivate dalla scarsezza

campi, e continuamente aiutano gli uomini nelle opere

dell’igiene che faceva da palese contrasto con una ali-

meno gravose; esse poi, oltre al tessere in casa lavorano

mentazione certamente superiore ad altri circondari della

nelle filande, vanno per coglitrici di castagne, ed alcune

provincia. Infatti “le case sono in muratura e coperte di

migrano cogli uomini nelle maremme: alcune studiano

tegoli. Le condizioni abitative sono per i più miserabili”

per fare le maestre. Da giovani portano sulla testa e sul-

fattori che si assommavano alla promiscuità ed alla forte

le spalle forti pesi, dove mancano bestie da soma, in tal

umidità della zona, per cui, come risulta dall’ esame del-

modo acquistano le malattie di cuore e invecchiano pre-

le visite di leva degli anni’60-70 relative il circondario, le

cocemente”.

cause di principale rividibililità erano date dalle malattie

Interessante la nota sulla vocazione di maestre: in

polmonari, dalle malattie cardiache e dalle malformazio-

effetti, sebbene non siano presenti nel circondario scuole

ni, non infrequentemente dovute al lavoro o ai duelli di

tecniche ed il ginnasio fosse tenuto dai religiosi fino alla

“scherma”. Notevole invece la diffusione dell’ alcolismo e

soppressione, le scuole elementari erano distribuite nelle

dell’ ubriachezza, specie presso i contadini, causa il pro-

maggiori frazioni e il tasso di alfabetizzazione, con qual-

liferare ogni dove di mescite e cantine quale modo per

che eccezione nell’alta valle, era abbastanza elevato. Non a

integrare le magre entrate. La diffusione delle mescite di

caso le due ‘professioni chiave’ per accedere ad un gradino

vino in tutta la provincia, nonostante l’alto prezzo dovuto

superiore della scala sociale erano il sacerdozio e gli studi

all’ elevato peso dei dazi di consumo e del trasporto, è con

da maestro elementare.

ogni probabilità uno dei più appariscenti fenomeni legato

La particolare condizione di piccoli proprietari o di mezzadri non ledeva lo spirito orgoglioso ed intrapren-

140

alla proletarizzazione delle popolazioni rurali, fino ad ora, assai poco studiato.

dente dei valligiani, anzi esaltava una sorta di livellamen-

“Mangiano carne tutte le solennità e molte famiglie

to nelle abitudini, specie nelle frazioni più montane nelle

anco tutte le domeniche e più spesso. Col lardo di maiale

quali l’uniformità del modo di vita del ‘signore’ o bene-

fanno la minestra, eppoi è molto aumentato il consumo

stante e del semplice contadino erano assai affini,”salvo

di carne di vitella e di vacca, segno evidente di accresciuto

quelle non grandi differenze che derivano dalla maggiore

benessere del paese”. Alla fine degli anni ‘70 si notava una

o minore agiatezza nel pensare”. Differenze assai marcate

maggiore diffusione del lusso delle stoffe e la diffusione di

invece, a nostro giudizio, si riscontravano nel capoluogo,

stivaletti di cuoio, e le donne e gli uomini nel vestire asso-

in relazione alla presenza di una forte élite dominante

migliano di più ai popolani delle città che non alla foggia

particolarmente acculturata.

“de ‘massesi, dei sarzanesi, dei lucchesi”.

Interessante, come il De Stefani narra, del rappor-

Una realtà, dunque, assai più complessa ed in evolu-

to tra ceti dominanti e subalterni:”ai signori, ai sacerdoti,

zione di quanto sia tradizionalmente dato da intendere, e

alle persone benestanti e ben vestite o in qualche modo

nel complesso più vivace che non nel circondario pontre-

superiori nella gerarchia, il paesano, sempre rispettoso dà

molese. Ciò nulla toglie al fatto che è difficile compren-

del lei o del Voi; ma parecchi montanari, quando veniva

dere le dinamiche dei problemi propri di quella regione

l’ex-Duca gli davano anche del Te”

astraendo da una riflessione di più lungo periodo, che

La struttura della famiglia era di tipo patriarcale,

però sostanzialmente non sottrae la Garfagnana dal desti-

con un vecchio “capoccia”e una massaia, generalmente la

no di regione marginale, prettamente agricola e ben lungi


Stemma del comune di Castelnuovo Garfagnana, 5 ottobre 1864.

da divenire quella “terra promessa” più volte favoleggiata

Gemignano Azzi, mentre Pietro Azzi di Gemignano ha

dalla pubblicistica locale per tutto il corso del dicianno-

un negozio di terraglie, stoviglie e cristalli, una specializ-

vesimo secolo.

zazione piuttosto interessante. Azzi Pietro del fu Carlo

Per dettagliare ulteriormente il quadro della regio-

produce e vende tela di “canapino”: altra industria caratte-

ne, il registro camerale del 1863 relativo l’elenco contri-

rizzante il territorio andata ormai pressochè scomparsa; la

buenti, ci racconta una situazione del commercio che in

coltivazione e la lavorazione della canapa era molto radi-

qualche misura tocca un punto elevato e ricco di inizia-

cata nella valle. Infine Azzi Angelo e Fratelli, con una fab-

tive industriali, artigianali e commerciali diffuse princi-

brica che produce cappelli eccellenti al punto di meritare

palmente nell’area centro meridionale della Garfagnana.

un premio alla esposizione universale del 1867. Troviamo

Castelnuovo è naturalmente il centro di tutta la valle, ma

osti come Bocci Nicolao (ascritto in quarta categoria ver-

interpreta questo ruolo come una “piccola capitale”con

sa lire 8, quindi è gerente di una osteria piuttosto impor-

industrie, commerci ed attività molto spesso ad alta spe-

tante) e grossisti legati intimamente al mondo agricolo

cializzazione. Nel registro sono iscritte ben 110 attività,

quali Bertagni Battista, commerciante di vino, olio, cuoio

un numero molto prossimo a quelle di Massa. L’impres-

e canapa che paga ben 14 lire ed è iscritto in 3° categoria.

sione è quella di attività gestite prevalentemente da veri

Probabilmente la sua attività va ben oltre lo spazio mer-

e propri gruppi famigliari con, al loro interno dinamiche

catale della città ed è rivolta anche ai territori finitimi.

sociologiche e comportamentali assai interessanti per lo

Il gruppo famigliare dei Barsanti ( Luigi, Ermenegildo e

studioso: prendiamo il caso del gruppo famigliare allarga-

Pietro) si occupa di orificeria, attività ad alta specializza-

to degli Azzi. La signora Cleofe Azzi gestisce un negozio

zione che richiede una buona e diffusa clientela. Di tela

di pizzicagnolo con rivendita di vini e liquori, così anche

in “canapino” di produrla e venderla si occupano le attività

141


142

di Felice Bertoi e della vedova Beverini Maria. Giuseppe

Antonio e l’attività di ramaio svolta da Pietro Monticelli

Bianchini ha un negozio di ferrareccia mentre Salvatore

e infine l’osteria di Francesco Orlandi e l’albergo di Luigi

Davini, forse di quel gruppo famigliare dei Davini origi-

Paroli. Queste ultime attività dovevano confrontarsi con il

nario dell’alta Garfagnana e già incontrato nelle liste di

negozio di coloniali e liquori gestito dallo svizzero Pietro

Massa si occupa di cuoiami e pelli. Sempre relativamente

Schmitz e compagnia (Gasparo Bazzell) che iscritto in

alle attività specializzate troviamo la piccola farmacia di

3°categoria pagava una imposta camerale di 14 lire annue,

Francesco Bimbi, quella di Antonio Marovelli dove sono

dimostrando così un volume di affari molto interessante

reperibili anche generi coloniali e quella di Filippo Rosa-

e confermando indirettamente la politica di posiziona-

ti della Bona, le caffetterie di Bussi David e di Odoardo

mento capillare nel nostro territorio svolto dai pasticceri e

Coli, le telerie di Bonini Odoardo e quelle di Francesco

droghieri engandinesi.

e Salvatore Bonini, il negozio di modista della Assunta e

Quanto detto per Castelnuovo può valere in misura

Maddalena Barsanti e quello della vedova Cecchini Giu-

minore per Pieve Fosciana dove, con 44 iscritti al registro

seppa e infine anche un ombrellaio in cotone, Giovanni

camerale abbiamo attività varie gestite da un unico grup-

Biagioni. Le donne nel commercio castelnovese hanno un

po famigliare: è il caso degli Angelini, che hanno rivendi-

ruolo vivace ed interessante che non trova corrispondenza

te di vino, liquori, pane mentre Angelo Angelini produce

nei comuni di montagna. Ermelinda Capitani, parte di un

cappelli di media qualità che trovano clientela soprattutto

gruppo famigliare presente in altre attività, ha una riven-

nei borghi appenninici garfagnini ed emiliani. Cappellaio

dita di pizzicagnolo e di liquori, certamente prodotti nel

è anche Giovannini Carlo mentre Antonio Giovannetti

territorio; lo stesso dicasi per beatrice Venturini ed Enri-

commercia in cenci, Giovanni Antonio Giovannetti in li-

chetta Focacci fu Pietro; la vedova Angiola Castelli vende

quori e Giovannetti Giuseppe è mercante di cuoio; Gian-

vino e canapina, Rosalba Gaddi fa la pastara, la vedova

netti Antonio è mercante di bestiame mentre Giannotti

Teresa Emeri ha una rivendita di chincaglieria e la vedova

Antonio ha una fabbrica di pasta, Giannini Elisabetta

Fabbiani Caterina è albergatrice e locandiera. La percen-

vende vino e fabbrica pasta. Attività di smercio di pane,

tuale di vedove è elevata ma non si approssimino con-

vino, liquori, caffè sono gestite da Rinaldo Betolini, da

clusioni affrettate; certo non erano vedovelle sprovvedute,

Francesco Bertolini, da Francesco Boggi, da Bacci Dal-

piuttosto donne energiche, laboriose e volitive. Le molte

mazio di Cesare, da Paladini Lorenzo; Luigi Paladini fa

attività di tessitura fanno riflettere su di un mondo che

il macellaio mentre Toni Jacopo è tintore. Pieve quindi si

forse aveva rapporti sociali non dissimili da quelli descritti

caratterizza per essere una interessante realtà di commer-

nella vastissima bibliografia collegata al settore della tes-

cio e di scambio.

situra prima e durante la rivoluzione industriale. Molto

Castiglione Garfagnana, importante centro sulla

lavoro era dato a domicilio, ma tanti piccoli e laboriosi

via delle Radici (caratterizzato da notevoli monumenti

opifici costituirono l’ossatura per future esperienze indu-

medievali, quali le mura castellane e la chiesa romanica

striali nel settore tessile. Possiamo prendere ad esempio

dalla facciata policroma) ha 31 iscritti, perlopiù rivendi-

l’opificio di Battista Giovannoli dove avveniva la tessitu-

te di vino, liquori e commestibili iscritte in 6° categoria.

ra della tela e la filatura della seta, quest’ultima prodotta

Costantino Regoli ha l’appalto dei generi di privativa e

nel territorio. Ci sono le fabbriche di cera di Ildebrando

la rivendita dei tabacchi, Pietro Lucchesi fu Francesco è

Tegami e di Eredi Satti Giacomo ma anche la stamperia

fabbricante di mattoni mentre Verri Paolo ha una piccola

e cartoleria di Morelli Michele. Per concludere qusta ras-

fabbrica di vasellami. Domenico Pioli fu Simone (can-

segna citiamo il negozio di pastami gestito da Ponticelli

cellato in un secondo tempo) è commerciante in miele,


un pioniere; Paolo Lunardi (ma anche Rosa Lunardi, poi

Angeli, Mazzoni Elena, Cozzi, Ferrari Vittoria, Gatti,

cancellata) hanno una mescita di vino e liquori al passo di

Graziani, Castellotti, Serafini.

san Pellegrino in Alpe, dove tuttora si conserva una antica tradizione famigliare.

Camporgiano ha 25 iscritti, principalmente in 6° categoria, 7 in quinta e uno in 4°: Orlando Santarini che

Dalle altre località della valle emerge una situazio-

ha un macello. Gli iscritti in 5° categoria hanno perlopiù

ne delle industrie e commerci assai più modesta, legata

piccoli esercizi commerciali dedicati alla rivendita di ge-

vieppiù alle tradizioni secolari o al piccolo consumo tipico

neri coloniali e caffè: Vecchiacci Francesco, Magiera Lu-

delle realtà profondamente agricole. Nel comune di Ca-

igi di Vincenzo, Mazzei Antonio (caffè) Mazzei Angelo

reggine, 9 iscritti, abbiamo Aldebrando Giannetti come

(generi coloniali), Suffredini e quindi Sormani Angelo

produttore di ferro di ferriera, Corsi, Bertoni, Prosperi

(sali e tabacchi), Capitani Pietro che ha un caffé ma fa

commercianti di bestiame e Franchi, Coli, Micheli con

anche il sarto così come Davini Benedetto. Antonio Ma-

piccole rivendite di vino e liquori.

rovelli gestisce una cartiera, la vedova Lucia Gherardi ha

Nel comune di Vergemoli abbiamo un solo iscritto, Angelo Bertozzi, commerciante in ferro prodotto nella

una privativa di tabacchi e infine troviamo una farmacia, gestita da Felice Giorgi.

locale ferriera. Le piccole ferriere garfagnine scompari-

Se a Fosciandora troviamo solo 12 iscritti e le at-

ranno sotto il maglio della crisi postunitaria che colpirà

tività sono le piccole attività commerciali di rivendita di

il settore artigianale provocando flussi di emigrazione di

pane, vino, liquori e anche un macello, il gruppo fami-

operai specializzati verso le americhe.

gliare più rappresentato è quello dei Bonini, con piccoli

A Vagli di Sotto gli otto iscritti hanno piccole ri-

esercizi diffusi nelle principali frazioni. Bonini, Bernardi,

vendite di vino e liquori tutti iscritti in 6°categoria dove

Bonugli, Marchini, Leonardi, Zaberoni e i Nardini, citati

è previsto il pagamento di 1 lira: troviamo i Bertolini, i

dal Raffaello Raffaelli nella sua nota opera.

Buzzini, i Fazzani, i Lorenzoni, i Coltelli e i Gaspari.

A Gallicano, dei 36 iscritti, colpisce la presenza di

A Villa Collemandina dei tredici iscritti solo uno,

due “venditori di bordati”. Un macello di Venturelli Mas-

Fontana Giovanni, gerente un negozio di privativa (generi

similiano e un droghiere, Capret Ferdinando sono seguiti

di monopolio) è iscritto in 3°categoria con una contribu-

dal locandiere Carlo Lucchesi e dalla cantina con annesso

zione prevista di 14 lire ma, a seguito di reclamo, la giunta

commestibili di Piccinini Damiano. Le altre piccole at-

camerale approva la sua richiesta e lo porta in 5° categoria:

tività sono gestite da Paoli, Fabbri, Lucchesi, benedetti,

gli altri iscritti, Fioriti Antonio, Aquilini Giuseppe (com-

Pellegrini, Buonaccorsi, Luisi, Gaspari, Corti, Saisi, Si-

mestibili) Bimbi Lodovico (coloniali) Bertoloni, Grandi,

monini, Piccini, Pinocci, Piccinini, Puccetti, Grilli, Pel-

Gazzanelli, Martini, Pennacchi, Santini Ferdinando (caf-

liccia, Isola,Vannucci, Adami, Mazzoni, Bertoli, Donati.

fettiere) sono ascritti alla 6° categoria, quella delle picco-

In questo come in altri casi, il registro camerale ci offre

lissime attività commerciali.

numerosi indizi e spunti di riflessione circa la mobilità

A San Romano Lodovico Baldacci gestisce una

della popolazione a cavallo delle Apuane. La progressiva

osteria così come Fontana e Vincenti Carola, oste ed

crisi che colpirà la Garfagnana nei decenni successivi non

ostessa sotto le maestose mura della fortezza di Verrucole.

si risolverà che in minima parte nella emigrazione all’e-

Piccole rivendite sono gestite da Bonaldi, Crudeli, Fon-

stero; piuttosto l’immigrazione verso le vivaci realtà della

tana, Pieri e Vincenti. A Molazzana dei dodici iscritti la

costa saranno un segno assai più evidente e non ancora

maggior parte è composta da rivendite di vino e liquori

doverosamente studiato e analizzato.

gestite da Bernardini, Partigliani, Tognocchi, Piannasi,

La realta dei commerci e delle attività non agricole

143


si impoverisce nel numero e nella qualità se saliamo nella alta Garfagnana. A Piazza al Serchio degli 11 iscritti, fatta eccezione per una rivendita di carne, gli altri hanno mescita di vino: sono Ceccardi, Borghesi, Domenichetti, Nobili, Pedri, Pierami, Pucci, Pieri, Rocchiccioli, Santarini, Tolaini, regai. A Minucciano i 13 iscritti sono tutti assegnati alla professione di “liquorista”. In assenza di riscontri certi non è chiaro se questo sia dovuto ad una tradizione di produzione locale (da non escludere, dato che lo stesso fenomeno si registra nella vicina Casola) o ad una approssimazione -o leggerezza che dir si voglia- nel lavoro svolto dai primi esattori camerali e dagli sconsolati impiegati amministrativi che dovevano raggiungere località impervie su mulattiere sconnesse. I “liquoristi” sono Poli, Pini, Coli, Casotti, Tognoli, Tucci, Pistelli, Bocchi, Franchini, Tolomei Caterina e Olivetti Michelangelo. A Sillano tra i 13 iscritti abbiamo un farmacista, Bossi Gaetano; Agurri Bartolomeo commercia in cereali, vino e liquori. Nella osteria di Luigi Ceccardi abbiamo, in aggiunta di vino e liquori anche il caffé. Arzi Antonio in aggiunta ai generi di cui sopra, vende pannine di lana e Corradi Gioacchino il sale, il tabacco e il pane. Tra le piccole attività quelle di Bruschi, Gatti, Guidotti, Marracci, Panzani, Pagani.

144


PARTE PRIMA

venditore di granaglie e pristinaio: i Baracchini avevano aperto due panifici, continuavano a produrre pasta (il termine vermicellaio nell’ottocento viene sostituito da pastaio), vendevano liquori e altri generi. Ma ad Aulla si erano aperte botteghe di pizzicagnoli, di caffettieri, che si affiancarono ai tre osti ed alle tre ostesse, ad altri venditori di liquori, c’era un appalto di sale e tabacchi, mentre i Cocchi avevano già dato vita alle fornaci della Quercia, che otterranno ambiti riconoscimenti alle esposizioni universali sostenute dalla Camera di Commercio. A Pontremoli già subito dopo l’appalto dei primi lavori il commercio si fece ancora più fiorente che ad Aulla per il grande afflusso di lavoratori alla tratta di pianura, ma soprattutto per i lunghi lavori al Borgallo, iniziati nel 1883. “Il mercato - scrive Campolonghi - conosceva giorni più opimi, la roba si vendeva meglio: aumentando la domanda i prezzi salivano. Ormai il pomodoro non passava più per una pianta esotica e la pasta asciutta era diventata d’uso quasi comune”. I registri della Camera di Commercio del 1881 ci confermano la vivacità di Pontremoli dove operavano locandieri, macellai, osti, caffettieri, pizzicagnoli, venditori di stoviglie, falegnami, barbieri, mugnai, tintori, venditori di cuoiami, orologiai, fabbri, fabbricanti e venditori di cera e polveri piriche, farmacisti, muratori, scalpellini, venditori di cerali, fruttivendoli, calzolai, ma anche il fabbricante di carta Ciompi e Cimati con la sua fabbrica di pasta che otterrà prestigiosi riconoscimenti nelle esposizioni internazionali sostenute dalla Camera di Commercio. Nel 1884 a Pontremoli erano censite 217 attività, tra le quali quelle dei liquoristi “Aicta e Compagni”, 25 venditori di vino, 18 osti, 5 caffettieri. Dunque, nell’attesa del completamento della linea ferroviaria, con tanti cantieri aperti, tutta l’economia della vallata della Magra assistette a trasformazioni dei costumi e dell’economia, a partire dall’impiego in massa del lavoro femminile: le donne, pagate meno dei manovali maschi, per la loro abilità nel portare carichi in testa erano destinate al trasportarono sabbia e pietre su tutta la tratta. Maria Farinacci, nel 1972, ormai giunta all’età di 102

Capitolo TERZO

La Camera di Commercio, fin dal 28 gennaio 1867 aveva assunto una risoluzione nella quale sottolineava, nell’ambito di un congresso nazionale della Camere di Commercio, “l’utilità dal lato del commercio marittimo italiano e dell’industria nazionale, della costruzione di una ferrovia da Spezia a Parma, per il più economo e sollecito trasporto merci dal Mediterraneo al centro Germania, mediante il progettato valico delle Alpi da parte del Brennero”, valico ferroviario che sarà aperto proprio nel 1867. Fin dalla prima occasione di discussione sul futuro delle strade ferrate, la Camera aveva preso una decisa posizione a favore del tracciato Parma-Spezia, in opposizione ad altre proposte di attraversamento dell’Appennino nelle direttrici BorgotaroVarese Ligure-Chiavari, Lucca-Modena. Eterna e attuale questione, questa del collegamento Brennero-Cisa-Mare: da decenni si discute senza risultati concreti del collegamento tra l’autostrada del Brennero e la Parma-Mare. I lavori della ferrovia La Spezia-Parma erano iniziati nel 1880, ma ci vollero 14 anni per poter andare in treno dalla pianura padana al mare: a ritardare i lavori erano stati i tragici incidenti mortali e le difficoltà tecniche affrontati nel traforo del Borgallo, lungo 7.972 metri. Come accadrà un secolo dopo per l’Autocisa, l’apertura del collegamento tra Parma e La Spezia avverrà per lotti e con l’apertura delle tratte ferroviarie La Spezia-Aulla e Parma-Ghiare di Berceto molte cose erano cambiate nell’economia e nei costumi lunigianesi. Non appena si dette il via ai cantieri la vita commerciale di Aulla si animò e nei registri della Camera dell’anno 1881 si nota l’apertura di due alberghi, assenti nei primi censimenti del 1864, ma anche un ampliamento dell’offerta commerciale. È interessante il caso della famiglia Baracchini che già all’indomani dell’unità d’Italia, nel 1864, svolgeva attività commerciale in Aulla: Antonio era merciaio e vermicellaio, Battista era negoziante di cereali, olio e vermicellaio, Giuseppe era gabellotto e merciaio. Nel 1881 Torello, pristinaio (fornaio) vendeva granaglie, liquori e altri generi; Luigia era pastaia , Giuseppe

5 Scheda

E il treno finalmente arrivò..., ma chiusero i cantieri

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Livorno, 31 luglio 1872. Lettera del deputato del collegio di Massa e Carrara Giuseppe Fabbricotti a sostegno della ferrovia Parma-La Spezia. La Camera di Commercio sostenne fortemente quest’opera perché ritenuta strategica per il territorio. (Archivio Storico della Camera di Commercio, Affari Generali, 1872.)

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anni, ricordava ancora quando, giovanissima e non ancora sposata, aveva lavorato alla costruzione della ferrovia nella tratta di Villafranca e, a fine giornata, dopo aver portato in testa ceste e ceste di sabbia e mattoni, assieme alle altre donne manovali, si concedeva un bicchierino di rosolio all’emporio del Ponte Magra. Agli inizi del 1888 era già in funzione la stazione di Aulla, ma l’apertura dell’intero tronco dalla Spezia a Pontremoli tardava a venire e la Camera di Commercio prese l’iniziativa di sollecitare il Ministero dell’Agricoltura Industria e Commercio; il 21 marzo 1888, il segretariato del Ministero dell’ Agricoltura Industria e Commercio in risposta alla richiesta della Camera circa i ritardi nell’apertura del tronco Spezia Pontremoli scrisse: “il Regio Ispettorato generale delle ferrovie mi ha dichiarato che i suoi desideri concordano perfettamente con quelli delle popolazioni di Lunigiana e che nell’intento appunto di soddisfarli esso fa tutto quanto è in suo potere perché il tronco medesimo possa essere aperto al pubblico esercizio nel più breve termine possibile, avverte però lo stesso ispettorato che per l’apertura del detto tronco occorre tuttora la posa dell’armamen-

to, appena iniziata, nonché la provvista di meccanismi fissi tuttora in corpo d’appalto”. Il 15 novembre 1888, dopo estenuanti sollecitazioni da parte di tutti i comuni della Lunigiana, come ricorda Campolonghi “finalmente il treno giunse solenne, con gran fragore, tra gli applausi del pubblico, mentre la Filarmonica attaccava la marcia reale, e la Società di Mutuo Soccorso lo salutava inchinando la sua bandiera (…) fra la confusione che regnava nella stazione e nei dintorni , un piccolo ferroviere, appena sceso dal treno, s’aperse un varco nella folla ufficiale, si guardò d’intorno, titubò e finalmente si diresse verso un gruppo di operai dov’era anch’io. Ci scrutò, ci indovinò estranei alla festa degli altri e divergendo un po’ i lati della tunica che aveva sbottonata ci mostrò il lembo di una fascia rossa. Assentimmo col capo, ci avvicinammo e ci stringemmo forte le mani. L’idea socialista era arrivata a Pontremoli”. La festa per l’arrivo del treno, come ci ricorda Paolo Bissoli nel volume “La Spezia-Parma la ferrovia tra il Mediterraneo e l’Europa”, si conclude nel Teatro della Rosa con il sindaco Novelli che saluta le ferrovie come uno dei più


bei ritrovati dell’ingegno umano “esse sono le ricchezze, l’anima e l’incivilimento delle popolazioni; e segnatamente poi di noi abitanti della Lunigiana, nati tra i monti, in una terra d’esilio (…) ove per mancanza di comode comunicazioni, languiscono nel ristagno le arti, le manifatture, l’industria, la manodopera, le speculazioni a danno di questi abitanti, che molti sono costretti ad emigrare all’estero in cerca di lavoro”. L’entusiasmo del sindaco è comprensibile: in quell’anno alla Camera di Commercio Pontremoli ha iscritto 352 contribuenti (135 attività in più rispetto a 4 anni prima), tra i quali: la Banca pontremolese, Istituto di credito, Bocconi fabbrica cera e polveri, Bonzani vendita di polvere e

zolfo, Frassinelli noleggio di vettura, Guerra e Marchetti appaltatori di costruzioni. Sono state attivate fornaci da calce dall’impresa Castrucci, mentre l’impresa Ghepardi lavora al tronco ferroviario Pontremoli-Filattiera, l’impresa Canova al tronco Pontremoli-Guinadi, l’impresa Piatti alla galleria Guinadi-Borgotaro. L’anno dopo, nell’ottobre 1889 insediò una succursale anche la Cassa di Risparmio in Parma, la Casa di Provvidenza Galli Bonaventura aprì una rivendita di vino, Nicola Orioli ebbe posta di cavalli, servizio di vettura ed esercitò il mestiere di carraio, alla stazione aprì i battenti il ristorante di Pio Valiani, l’impresa Piatti dette vita a Casa Corvi ad

Villafranca, Selva di Filetto. (Foto di Daniele Canali, 2010.)

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una fornace per mattoni, poco lontano dai suoi cantieri. Alla ferrovia era affidata la speranza nello sviluppo della Lunigiana, così come lo sarà un secolo dopo per l’autostrada e come qualcuno ancora spera possa accadere con il raddoppio della Pontremolese. Ma le grandi opere viarie, quando non sorrette da politiche comprensoriali di sviluppo e investimenti locali, corrono il rischio di diventare arterie di scorrimento veloce, che allontanano la crescita economica e sociale dei territori attraversati. Dopo la chiusura dei cantieri della ferrovia l’economia pontremolese entrò in crisi ed il sindaco, tra le varie iniziative, cercò di porvi rimedio con l’inaugurazione di nuove occasioni di commercio: i mercati e le fiere di bestiame. Ma questa è un’altra storia.

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unicamente le mire al progressivo sviluppo di quelli non porgesse ascolto all’invito di chi la chiama a sollevare i mali che di quello stesso programma sono spesso i tristi e fatali compagni. Vuolsi con ciò alludere ai lamentati infortuni che accadono nella escavazione dei marmi, dove tanta parte di operai trae il suo sostentamento, infortuni resi più frequenti dal mirabile incremento assunto in breve tempo da quelle lavorazioni. Nel 1879, intervenne anche a favore del restauro del Duomo di Carrara: “Considerando che il duomo di Carrara è stato dichiarato monumento nazionale unicamente per questa circostanza che

PARTE PRIMA

La Camera di Commercio ogni volta che nei suoi atti si occupava di assistenza sociale, di cultura, di tutela dei monumenti ed anche di contributi per la costruzione di chiese, aveva premura di motivare che l’intervento avveniva nell’ambito della sua funzione prioritaria di cura degli interessi commerciali e industriali del comprensorio. Così quando, nel 1876, stabilì di assegnare una rendita annua di 500 lire per sostenere l’Ospedale di Carrara, la premessa che giustificò l’intervento fu chiara: La camera poi specialmente preposta alla vigilanza degli interessi commerciali ed industriali mancherebbe ad un dovere se dirigendosi

Capitolo TERZO

(...il povero solo nello Spedale trova quello che i ricchi possono avere nelle loro case...)

6 Scheda

La Camera di Commercio, e gli ospedali di Carrara e Fivizzano

Fivizzano, mercato settimanale (1900 ca). (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

149


ne qualifica l’eccellenza e rarità come opera d’arte merita da parte di questa camera cure e riguardi speciali”; l’anno dopo la Camera deliberò di concorrere anche alla costruzione della nuova chiesa di Marina d’Avenza “considerando che la numerosa popolazione della borgata di Marina di Avenza è composta per la massima parte di operai dediti al servizio del commercio dei marmi e che un progetto che tende a soddisfare i sentimenti religiosi di quella popolazione merita tutta la considerazione”. Dopo l’intervento a favore dell’ospedale di Carrara, anche da Fivizzano giunsero nuove richieste di sostegno per l’ospedale: i documenti della Camera di Commercio ci raccontano di uno dei momenti di crescita dell’ospedale di Fivizzano, promosso dalla locale Congregazione della Carità, che tanta parte ebbe proprio nella qualificazione dell’offerta sanitaria. Il documento offre uno spaccato delle condizioni sociosanitarie di fine ottocento e di un’assistenza ai poveri assicurata con la legge del 1862, quando venne istituita presso ogni comune del Regno una Congregazione di Carità con lo scopo di curare l’amministrazione dei beni destinati all’erogazione di sussidi e benefici per i poveri. La Congregazione di Carità di Fivizzano raccolse fondi tra la cittadinanza, anche con l’organizzazione di “pubblici divertimenti” e, a nome del comitato, nel 1895 chiese l’aiuto della Camera di Commercio, che già l’anno precedente era intervenuta. “In soli tre anni che lo Spedale trovasi nell’ex convento di S. Francesco, per molto che si sia fatto, occorrono sempre nuove spese per effettuare lavori i più necessari e suggeriti dalla scienza e dall’igiene. L’anno scorso col denaro di generosi oblatori, fra i quali occupa il primo posto codesta onorevole Amministrazione si poté provvederlo di abbondante e salubre acqua; quest’anno la Congregazione di carità si è studiato di stabilire possibilmente una stanza operatoria che corrisponda alle esigenze moderne della chirurgia, ma importando essa una spesa che il bilancio della Congregazione non potrebbe ottenere, ha pensato di rivolgersi alla carità cittadina e in seduta del 20 aprile nominava un comitato di beneficenza. Questo Comitato a cui sta a cuore l’incremento del nostro Spedale, accettando il mandato, venne nel concetto di dare a profitto di detta attività, dei pubblici divertimenti chiedendo il concorso e obolo di tutti, incoraggiato dall’esempio degli anni scorsi. Mi rivolgo dunque alla s.v. ill.ma pregandola ad interessarsi

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e spendere la di lei parola affinché codesta Amministrazione, ispirata come lo è e fu sempre a sentimenti caritatevoli, venga anche quest’anno, col proprio obolo, a rinforzare l’opera nostra povero, meritoria in favore del povero il quale solo nello Spedale trova quello che i ricchi possono avere nelle loro case, buona cura, assistenza, pulizia e vitto per riacquistare la perduta salute”. Una Camera “mai sorda all’appello della carità”. Nel soccorso alle popolazioni operavano in Fivizzano numerose istituzioni, di diverso orientamento, ma tutte con la finalità dell’assistenza e la Camera di Commercio “non fu mai sorda all’appello della carità, anche quando è partito da questi poveri monti”. Così scrisse la Società di Mutuo Soccorso di Fivizzano, anche a nome di reduci, veterani della Fratellanza Militare Italia e Casa Savoia, in uno spirito di fratellanza tra l’operaio e il soldato. “La amiche e compagne istituzioni che lavorano nel nobile campo del Mutuo Soccorso ritornano quest’anno alla consuetudine di fare una veglia a loro profitto nel teatro degli Imperfetti accoppiando così alla beneficenza il divertimento. In questa festa spiccherà la legge di fratellanza fra l’operaio ed il soldato, perché l’uno e l’altro rappresenteranno l’uno sotto lo stendardo dell’ordine come simbolo di forte risveglio di concordia nelle istituzioni del paese. Per l’esito felice tanto morale che materiale occorre l’intervento non solo dei buoni cittadini, ma ancora delle istituzioni che hanno già dato prova di atti filantropici per rendere più onorato e proficua la beneficenza colla loro adesione (...) siccome codesta amministrazione non fu mai sorda all’appello della carità anche quando è partito da questi poveri monti, così si invitano alla veglia del 24 febbraio il presidente e il consiglio”.


La nostra firma, senza scomodare la grafologia, dice molto di noi, del nostro carattere, delle nostre paure, ma la firma è soprattutto il sigillo che mettiamo sulle nostre volontà, per confermare, ordinare, accettare. Rimane aperto ancora oggi il problema di chi non può o non sa scrivere: i casi sono in aumento con l’arrivo di molti immigrati.

PARTE PRIMA

modo un potente ausiliare per fare al più presto scomparire dalle statistiche della popolazione d’Italia quella vergogna dei 17 milioni di illetterati, che rende da questo lato la Patria nostra la più degradata fra le Nazioni civili di Europa. Merita però che una tale repentina debba essere presa in seria considerazione nei rapporti che si applicano al minuto commercio e alla piccola industria per le quali una tale misura riuscirebbe nella sua applicazione gravissima”.

Capitolo TERZO

Sempre attenta alle nuove disposizioni e opportunità per gli operatori economici, la Camera di Commercio ha attivato da tempo un servizio per il rilascio della firma digitale, che è l’equivalente informatico della firma su carta: essa infatti permette di firmare un qualunque file in modo da attestarne la paternità e la veridicità.

7 Scheda

QUELL’ANTICO SEGNO DI CROCE

Sono passati quasi centocinquanta anni, ma la possibilità di firma col segno di croce non è stato possibile eliminarla: la legge n. 18/197 ha stabilito che coloro i quali non sanno o non possono firmare possano apporre il segno di croce.

All’indomani dell’Unità d’Italia e subito dopo l’insediamento della Camere di Commercio il Parlamento introdusse nel nuovo codice civile una disposizione per vietare la firma con il segno di croce, ma ciò provocò l’immediata reazione degli operatori commerciali e delle Camere che ne tutelavano gli interessi. La questione fu sollevata da una circolare della Camera di Commercio di Ravenna, che arrivò a Carrara il 18 maggio 1866 per sollecitare le altre Camere ad unirsi nel presentare al Parlamento “una rimostranza nello scopo di ottenere un provvedimento, anche temporaneo onde riparare al dissesto che crede sarà per apportare nella classe troppo numerosa degli illetterati l’abolizione del segno di croce sulle private scritture, sancita dal nuovo codice civile”. Anche a Carrara il provvedimento preoccupa la giunta camerale, che nel suo deliberato riconosce le buone intenzioni espresse nel provvedimento, la vergogna nazionale di milioni di analfabeti, tuttavia, per la Camera, i tempi per eliminare la forza probatoria del segno di croce non sono maturi, soprattutto se applicata ai piccoli operatori economici. “sebbene il legislatore col togliere nel suo novello codice la forza probatoria al segno di croce avesse in mira di prestare in tal

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camera di commercio di massa-carrara

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Parte Prima

Capitolo QUARTO

L’industria dei marmi apuani: la seconda industria di esportazione di materie prime dell’Italia appena unita.

Notizia della Prefettura circa la pubblicazione a stampa della memoria sull’industria dei marmi redatta dal Prof. Carlo Magenta. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

Negli anni trenta del secolo XIX° la produzione marmifera inizia la sua progressiva ascesa grazie ad una domanda internazionale divenuta sempre più articolata e consistente. Non siamo di fronte ad una semplice fase di accumulazione originaria, crediamo piuttosto che anche in detta crescita la forte presenza di capitali provenienti dall’ estero, specie da Inghilterra e Francia, che trovano in questa industria un impiego e una remunerazione assai redditizia e, soprattutto, la prospettiva di un investimento destinato a crescere e prosperare unitamente al settore. Il bisogno delle borghesie londinesi o parigine, statunitensi o austriache di acquisire un tenore di vita conseguente allo status economico raggiunto e quindi figurarlo nello sfarzo delle dimore alto borghesi o negli oggetti di pregio tipici della aristocrazia permise ai marmi di Carrara, che nel secolo dei lumi avevano rivestito sale e scalinate prestigiosissime dall’ Ermitage di Sanpietroburgo a quelle del Campidoglio statunitense, di entrare in quella ristretta cerchia di elementi indispensabili alla rappresentazione del proprio status sociale. Nel 1838 dalla sola Carrara furono spedite 8.804 tonnellate di marmi grezzi, 12.876 nel 1848, 28.764 nel 1852 e 51.701 nel 1854: un incremento del 587% nell’ arco di un quindicennio. Siamo difronte ad un fenomeno senza precedenti nel passato che implicherà, necessariamente, una scomposizione-ricomposizione delle classi sociali. È necessario, innanzitutto, distinguere con decisio-

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In questa pagina e nella pagina di destra: Lettera di Iginio Cocchi, Direttore del Gabinetto di Geologia del Regio Museo di Fisica e Storia Naturale (Firenze, 20 luglio 1863) in cui chiede collaborazione per espletare il compito di redigere un rapporto sull’industria dei marmi in Italia. La raccolta di campioni e l’interesse suscitato dalla raccolta fecero “esplodere” l’interesse degli scienziati internazionali per le cave e il marmo di Carrara.

ne tra il lungo e diversificato percorso delle secolari vicen-

(Archivio Storico della Camera di Commercio.)

meglio ancora “persistenze” di modi di produzione pre-

de legate alla lavorazione delle cave apuane dall’ingresso sulla scena di una moderna concezione capitalistica nello sfruttamento delle cave e nel commercio internazionale dei marmi. L’esperienza dimostra quanto sia fittizia l’operazione di tracciare nette divisioni periodizzanti all’interno di processi produttivi complessi e spesso gelatinosi, dove la permanenza della tradizione, anche lavorativa, va ben oltre i criteri produttivistici conseguenti all’introduzione di innovazioni tecnologiche o ad oggettive modificazioni della domanda internazionale: “oasi di arretratezza” o cedenti saranno sempre presenti nelle vicende di un’industria come questa dove, in effetti, la quantità di tecnologia utilizzata rispetto ad altri comparti produttivi dell’epoca era piuttosto scarsa. Anche per comprendere al meglio il ruolo, il peso e l’azione originale della Camera di Commercio di Carrara bisogna riconsiderare le vicende dello sviluppo economico della regione apuana alla luce di una interpretazione che superi le antinomie dello sviluppo ineguale e ricollocare il fenomeno originalissimo dell’ industria dei marmi apuani, la più importante e considerevole della regione lunense, in una dimensione quanto meno europea.

permettere la costruzione di segherie azionate, in modo

La fisionomia sociale di Carrara moderna si stabili-

molto più funzionale che nel passato, dalla forza motrice

sce proprio in quegli anni ‘50 che videro il primo grande

dell’acqua e capaci di azionare telai dotati di numerose

balzo dell’industria lapidea .

lame da sega.

La richiesta di manodopera non qualificata atta a

Tale sistema, conosciuto quale sistema Bramanti

lavori ripetitivi e non specialistici ma comunque meglio

poiché fu realizzato, costruito e messo in opera in nu-

retribuiti che in altre attività inizia ad attirare lavorato-

merosissime segherie dagli omonimi fratelli, meccanici di

ri dalle vicine campagne e, unitamente alla crescita del-

Serravezza, razionalizzava la forza dell’ acqua applicata ad

la popolazione cresce la città nei suoi bisogni e nelle sue

una enorme ruota di ferro dotata di “roteggini”, ovvero

strutture.

recipienti a forma di un quarto di noce, producendo una

Indubitabilmente i primi grandi progressi tecnici stabiliti nella lavorazione e nel commercio dei marmi fu-

154

ro Karl Muller il quale disegnò migliorie tecniche tali da

forza motrice poi trasmessa orizzontalmente a telai e ai frulloni destinati alla levigatura delle lastre.

rono quelli introdotti da due stranieri. Il più interessante

Si superavano in questo modo le rozze segherie con

dal punto di vista della tecnologica applicata alla sega-

telaio in legno monolama, presenti comunque fino alla

gione dei marmi fu il sistema ideato dal pittore svizze-

fine del secolo, come lo furono i telai a mano, un rozzo ed


assai antico sistema di segagione basato sulla forza del-

tere tecnologico ma la vicina Versilia, dominio granducale

le braccia dei due segatori che spingevano ritmicamente

e, soprattutto, priva di quelle pastoie dovute ad una serie

avanti e indietro una lama incassata in manici di legno e

di delicati equilibri di forza, interessi e tradizione presenti

sospesa ad una corda tesa sopra il blocco. Infine, nel 1841

all’interno della produzione apuana.

il francese Henreaux introdusse sotto la direzione dell’ing.

Solo quando si concretavano le condizioni di un

Nerier 8 telai in ferro, capaci di una precisione estrema,

vero e proprio rischio dovuto al possibile distacco tecno-

come il segare lastre spesse un centimetro. Tale macchi-

logico a sfavore dell’area carrarese, a quel punto, e solo

nario fu introdotto alla fine degli anni ‘40 dall’inglese

allora, gli industriali carraresi procedevano alle necessarie

Guglielmo Walton nella sua esemplare segheria di Car-

innovazioni tecnologiche; molto spesso con una rapidità

rara, rapidamente seguito da altri industriali. Lui stesso

impensata e con l’apporto di ulteriori migliorie funzionali

promosse e costruì, nel 1851, il primo pontile caricatore

al mantenimento di una situazione di sostanziale mono-

di Marina di Carrara, atto al caricamento dei blocchi sui

polio.

vascelli mercantili grazie a due gru o mancine a vapore di fabbricazione inglese.

Ma bisogna anche notare che dette innovazioni da principio furono introdotte e intraprese da operatori di

Si nota come, non fu mai Carrara in questo periodo

paesi, quali la Francia e l’Inghilterra, che in quegli anni

iniziale, ad intraprendere per prima innovazioni di carat-

avevano già raggiunto un notevole livello di risultati tec-

155


moderna industria dei marmi apuani. Furono gli anni in cui, grazie al regolamento sugli agri marmiferi del’46 iniziò la corsa all’ accaparramento privatistico delle cave più redditizie e degli agri liberi da parte di un ristretto gruppo di famiglie di recente ricchezza; furono gli anni in cui le case di rappresentanza presso i maggiori mercati di sbocco divennero veri e propri centri regolatori della domanda internazionale, e le stesse rappresentanze delle ditte di marmi divennero sedi delle legazioni consolari d’Italia a New York, Buenos Ayres, Montreal. Nel caso specifico di Montreal è interessante notare la coincidenza rilevata dal Ramirez nel suo volume “Les premieres italienne a Montreal” dove il primo nucleo stabile di italiani è costituito da commercianti e statuari di marmo di Carrara; un gruppo iniziale che tende a fondersi rapidamente con la popolazione di lingua francese attraverso matrimoni misti e un allargamento dell’ attività a soci locali, rimanendo un punto di riferimento fisso per la prima fase di arrivi migratori, quella degli anni ‘7O, prima che tale esperienza fosse travolta dall’ emigrazione di massa degli anni ‘8090, assai diversa per caratteri e provenienza. È condivisibile l’impostazione del Gestri quando afferma che gli anni dal ‘61 al ‘79 furono contrassegnati da una crescita a ritmo discontinuo, più marcata “in quei settori solo scarsamente interessati dallo sviluppo registratosi nel decennio preunitario”, attuando una sorta di riequilibrio sui nuovi livelli industriali. La crescita dell’esportazione di grezzi, sebbene quantitativamente superiore a quella dei marmi segati, finiti o lavorati, ha un indice percentuale nettamente inferiore a quello di questi ultimi relativamente il periodo 1872-79; infatti posto 100 come l’indice della media reIl capo cava Monti Eliseo di Torano dichiara che la prova in cava dell’efficacia del “martino” a cassa brevettato dallo Stagi ha una efficacia operativa e una forza straordinaria capace di sollevare fino a 3000 palmi cubi di Genova (24 luglio 1871).

156

lativa il quinquennio 1838-42, la crescita percentuale per nologici ed industriali in numerosi campi delle attività economiche: dimostrazione di quanto la storia di questa industria vada di pari passo con i motivi essenziali che caratterizzarono la prima fase dell’industrializzazione italiana. Gli anni ‘50 furono anni chiave per lo sviluppo della

il quinquennio 1872-79 sarà del 606% per i grezzi e del 1.117% per i segati. Questo dato è quindi altamente indicativo delle modificazioni occorse nel periodo e nelle variazioni della domanda internazionale che, stando ai dati riportati dal prof. Carlo Magenta nella sua nota conferenza


“Delle condizioni presenti dell’industria e del commercio

di essere degli espropriati, degli oppressi, degli sfruttati;

dei marmi in Italia e della rispettiva legislazione”, letta

il sentimento, che necessariamente domina in tutti i loro

la sera del 22 novembre 1872 presso la locale Camera di

atti, è quello di una ribellione disordinata, incomposta,

Commercio, quantificava dette interessanti modificazioni

incoerente, ad un sistema che nega le più elementari con-

in oltre 10.000.000 di lire il valore del commercio estero

dizioni dell’ esistenza, e col quale non varrà ormai più a

procurato dai marmi apuani per il solo 1870.

rinconciliarli la predicazione mazziniana incitante alla

Ma già si andavano a scoprire nuovi giacimenti

collaborazione tra capitale e lavoro.

marmiferi nel Vermont , nel Maryland, in Portogallo e

Il sentimento di ribellione si fa tanto più vivo, in

in Spagna e iniziava, come già era iniziata per la Francia

quanto sempre nuovi lavoratori dalle campagne affluisco-

e per il Belgio, la diaspora di molti bravi capicava e arti-

no nelle città, portando con sé i loro rimpianti e il loro

giani carraresi, allettati da paghe cospicue, da attività da

odio represso; in quanto, man mano che la associazione

aprire in proprio e spinti, molto spesso, da problemi con

operaia si va diffondendo nei centri minori, sempre più

la giustizia, e non sempre per motivi di carattere politico.

larghi e naturali si fanno i contatti con le popolazioni

La ragione di questa diaspora e in modo particolare

contadine, nelle quali ancor più vivo è il malcontento,

nella “particolare propensione al ribellismo dei cavatori

che già esplode in moti come quelli del macinato. È in

apuani” può essere letta attraverso numerosi sociologismi;

tale ambiente, che è già profondamente mutato rispetto

resta certo il fatto che il principale motivo rimane l’idea

a quello che nei primi anni dell’unità dominava nelle so-

di una l’espropriazione subita per opera di una ristretta

cietà operaie, che si viene ad innestare l’azione politica del

cricca di capitalisti, da un diritto consuetudinario e da una

Bakunin e del movimento internazionalista che, in Italia,

struttura del lavoro consuetudinaria.

si svolge sotto la sua influenza prevalente”.

Il tradizionale maestro del marmo possedeva una

Agli inizi degli anni ottanta erano circa seimila gli

“capacità lavorativa” senza pari, un mestiere praticato fin

operai addetti al settore marmifero, cifra che non mute-

da ragazzo e tramandato, generazione dopo generazione,

rà in modo sostanziale fino alla fine del secolo. Cavatori

all’interno della struttura viciniale (che, sebbene venne

esperti, solitamente di origine e nascita carrarese, erano

abolita sotto il principato dei Baciocchi non significa che

i circa 250 capi cava, cui spettava la mansione del con-

non restasse nei modi di pensare e di comportarsi degli

trollo e della direzione della escavazione sulla base di

strati più bassi della popolazione), confortata vieppiù da

conoscenze empiriche tramandate per generazioni e ar-

una rigidissima gerarchia del lavoro, come è dato apparire

ricchite dall’esperienza personale; circa duemila i cavatori

dalla differenziazione infinitesimalizzata di mansioni e sa-

e i riquadratori, i quali, assieme ai primi, si occupavano

lari, invalsa pure nella successiva contrattazione sindacale.

della lavorazione del fronte della cava, della estrazione e

A un dato momento, l’introduzione di nuove tec-

della riquadratura degli informi, aiutati da un migliaio di

niche di estrazione e di lavorazione rese detta capacità

manovali, di cui buona parte erano lavoratori immigrati

lavorativa inutile da un punto di vista produttivo, quasi

adibiti ai lavori di sterro e di pulizia della cava dopo l’e-

di intralcio, e si preferì assumere in massima parte gente

splosione delle mine e durante la riquadratura degli in-

non qualificata da utilizzare in modi diversi da quelli tra-

formi. Infatti la principale modalità di escavazione veniva

dizionali.

realizzata con un uso massiccio di mine; praticati i fori per

In modo assai illuminante il Sereni osserva che” la

la introduzione delle cariche di polvere pirica nel fronte

coscienza, che è ben chiara in questi operai che comincia-

di cava, si dava corso all’esplosione cercando di distaccare

no ad affollare le riunioni delle società operaie, è quella

dalla bancata quanto più marmo possibile.

157


Il massiccio aumento di questa metodologia di la-

cede più alta e dalla assenza di una diretta dipendenza

voro, invalsa fin dalla fine del 1700 e poi soppiantata a

dal proprietario della cava; mestiere che con quello dello

fine secolo dalla introduzione del filo elicoidale, aveva

“spartano”, solitario accaparratore di blocchi di scarto (e

drasticamente diminuito le necessità di cavatori esperti

non sempre di scarto) con il tacito consenso del proprie-

nella tradizionale lavorazione condotta con una tecnica

tario aveva dato numerosi aderenti alle sette più estreme

antichissima, risalente all’età romana, che prevedeva il di-

e alle prime organizzazioni libertarie. Circa quattrocento

stacco dei marmi per mezzo di cunei di legno abbondante

persone attendevano alla lizzatura, un centinaio alla “car-

annaffiati.

ratura” dei blocchi ai quali andavano assommati altri due-

L’uso della polvere pirica non richiedeva la perizia

cento lavoratori, tra segatori in cava, stradini, operai vari

data dalla tradizionale capacità lavorativa, ma un gran nu-

e donne. Circa 4.000 persone occupate nelle tre vallate di

mero di operai senza una particolare capacità professiona-

escavazione, senza contare il gran numero di giornalieri

le, di solito arruolati nei giovani immigrati o nelle decine

ed avventizi!

di ragazzi, i “bagasc” che seguivano parenti e genitori in

L’altra grande quantità di lavoratori era data dal mi-

cava adoprandosi nelle mansioni meno faticose. Inoltre

gliaio di scultori e scalpellini in attività presso i laboratori

gli eccessi della polvere pirica rendevano inutilizzabile in

del piano, dai trecento operai delle segherie, dai duecento

poco tempo la bancata marmifera, creando una forte ro-

carratori che trasportavano con carri propri o di terzi i

tazione nella escavazione e una delle cause del divario tra

blocchi alle segherie o alla marina, dal centinaio di ad-

concessioni marmifere rilasciate dal comune e cave effet-

detti alla ferrovia marmifera e dai trecento operai addetti

tivamente lavorate.

al caricamento e movimentazione dei marmi alla marina.

La movimentazione dei blocchi nel piazzale di cava,

Questa descrizione sommaria è utile al fine di com-

operazione svolta per mezzo di martinetti o cricks e l’uti-

prendere alcuni essenziali meccanismi e linee tendenziali

lizzo notevole di strumenti in ferro quali mazze, mazzuo-

dell’ industria marmifera apuana.

li, subbie e altri attrezzi di ferro, richiedeva la presenza

Poche realtà italiane del periodo occupavano nella

di piccole officine meccaniche per la loro produzione e

medesima industria una tale quantità di operai, e in un sì

numerosi punti, distribuiti nelle vallate dove i “magnan”,

ristretto spazio, e poche avevano superato lo stadio quasi

fabbri ferrai di estrema perizia, assolvevano alla riparazio-

artigianale per divenire, a tutti gli effetti e con le dovute

ne e alla manutenzione di questi utensili.

cautele, una moderna concentrazione industriale di tipo

Il trasporto dei blocchi ai poggi di caricamento della ferrovia marmifera o dei carri avveniva per mezzo della lizzatura.

158

capitalistico. Sulla base di questi dati può essere colto il prioritario motivo di una così rapida diffusione di ideologie po-

La “lizza”, una slitta composta da due pali insapo-

litiche sociali estremistiche e contrapposte alla moderna

nati che scorrono su pioli di legno messi davanti alla cari-

società capitalistica che si stava rapidamente sviluppando

ca mollata a valle lentamente per mezzo di robusti canapi

nell’ area apuana.

fissati ai “piri”, una sorta di pali circondati da fasciame e

I motivi del contrasto sociale erano palesi, agli occhi

infilati in appositi buchi (“puncioti”) operati nella roccia

di tutti. Un lavoro duro e per nulla garantito da previden-

viva; mestiere estremamente pericoloso e saltuario, rego-

ze di sorta creava una ricchezza inusitata, estrinsecata nei

lato da leggi non scritte proprie delle ‘compagnie di lizza’

luoghi e nei modi di vita dei maggiorenti, di contro lo

era in gran parte svolto da lavoratori giovani, immigrati

squallore e la miseria del “ceto operaio”. Tutti i tentativi di

dalle montagne garfagnine e toscane, attratti da una mer-

risalire lo scalino sociale venivano frustrati dalle ricorrenti


e cicliche crisi del settore che colpivano sempre le imprese piccole e peggio organizzate. Dagli inizi degli anni ‘70 i salari si assesteranno su li-

D’altro canto, i fenomeni di concentrazione e di scala da parte delle famiglie dei “baroni del marmo” erano assai evidenti.

velli stabili per circa un ventennio, a fronte di un continuo

Nella statistica allegata al progetto per una “Nuova

indice di incremento dei prezzi dei generi alimentari e dei

strada automatica dalle cave carraresi al mare” avanzata

fitti, creando nel corso degli anni settanta e, naturalmente

dall’ing. Bourelly nel 1867, interessante per l’estremo det-

in connessione con una forte crisi della agricoltura apuana

taglio delle informazioni, abbiamo un quadro della distri-

nei primi anni ‘70 e alla fase economica di recessione inter-

buzione e della tipologia e della proprietà delle cave, delle

nazionale che cominciò a farsi duramente sentire in Italia

segherie e dei laboratori.

nei primi del ‘74, una lunga serie di tensioni sociali dalle quali, la zona apuana, non restò certo immune.

Mappa delle cave di Ravaccione. (Archivio di Stato di Massa, Comune di Carrara, Lavori Pubblici.)

La sola famiglia Fabbricotti impiegava ben 258 operai nelle ventitré cave in attività gestite direttamente,

159


e possedeva otto segherie con trentanove telai, trentadue

cola tabella riportante quanto segue: anno 1820, 28 se-

operai adulti e otto ragazzi, nonchè uno studio di archi-

gherie e 266 lame; anno 1863, 38 segherie, 74 telai e 888

tettura e ornato con quattordici operai; Il Conte Andrea

lame, anno 1874, 53 segherie, 252 telai e 3024 lame. Nel

Del Medico e fratelli possedevano 45 cave di cui trenta-

1880 infine le segherie sarebbero diventate 63, con 269

quattro attive e 278 operai impiegati, e una segheria con

telai e oltre 3300 lame.

quattro telai, tre operai e un ragazzo; i Lazzoni nove cave

Credo si possa tranquillamente dedurre una sinto-

e 149 operai, i Sarteschi 17 cave e 95 operai, il Conte

matica riflessione in merito alla mutazione avvenuta in

Monzoni 13 cave e 73 operai e due segherie, la prima con

così breve tempo: il trapasso ad una industria di tipo ca-

due telai e due operai, la seconda con dodici telai e dodici

pitalistico e da una categoria sociale dirigente ad un al-

operai, i Binelli 16 cave, 90 operai e due segherie con due

tra, più consona “allo spirito dei tempi”, stava per essere

telai ciascna e una terza con 8 telai e otto operai. Seguiva-

compiuto.

no altri proprietari di cave di una certa importanza, quali i

Già molti meno sono nelle tabelle del ‘74 i proprie-

Cucchiari, i Passani, i Marchetti, Guglielmo Walton, Lo-

tari di cave e segherie di vecchia tradizione aristocratica,

renzo Tacca, i Baratta, Vincenzo Bonanni, Filippo Bardi.

e naturalmente è molto più consistente il peso delle fami-

Lo studio di scultura di gran lunga più importante

glie dei nuovi “baroni del marmo”, che hanno acquisito

era quello del Bonanni che impiegava ben 82 operai. La più importante segheria era certo quella del

160

gran parte di quei patrimoni a discapito dei primi, coinvolti in un declino inesorabile.

Walton a Groppoli, con 12 telai, seguita da quella dei Bi-

Il grande fenomeno di concentrazione dell’indu-

nelli a Pontecimato e quella dei Fabbricotti al Fiorino,

stria marmifera e di omogeneizzazione della base pro-

poco sopra Avenza. Dette costruzioni apriranno la strada

duttiva andò sempre più consolidandosi nel corso degli

ad una successiva “colonizzazione” della piana carrarese

anni ottanta quando solo sette gruppi fagliari-industriali,

da parte degli opifici industriali, situazione indicativa di

i Fabbricotti, i Dervillé (subentrati ai Del Medico), i Bi-

una tendenza necessaria a costruire nuovi e moderni edi-

nelli e i Sarteschi, i Lazzoni-Goody (eredi del Walton,

fici industriali con ampie necessità di spazio e piazzali per

scomparso nel 1878) e i Peghini, spesso imparentati tra

il deposito dei prodotti lungo l’asse tracciato tra il torrente

loro, controllavano oltre un terzo delle cave e, un gruppo

Carrione e la ferrovia marmifera.

di 25-30 famiglie controllava oltre il 95% della produzio-

Raffrontando questi dati con la tabella pubblica-

ne; non a caso questo dato si può evincere per deduzione

ta dal Tenderini nel 1874, si nota la caratteristica testé

logica, non per via induttiva, dai dati riportati nel secondo

sottolineata; tutte le segherie collocate a sud della città

censimento del regio corpo delle miniere, ovvero la se-

adottarono il “nuovo sistema Bramanti” e così gran parte

conda volta, dopo la raccolta di dati statistici effettuati

delle segherie di proprietà dei gruppi famigliari di recen-

nel 1865.

te ricchezza, segno di un forte investimento di capitali

All’interno di questa ristretta elite politico indu-

impegnato nella realizzazione di nuovi e più funzionali

striale la molla della concorrenza giocò sempre un ruolo

edifici industriali; le segherie al piano di Carrara passa-

fortissimo; dapprima il contrasto non sempre silenzioso

rono da 7 a 10 e i telai impegnati da 52 a 68. Gli opifici

con gli industriali stranieri che introdussero la produzione

industriali passarono da 42 a 53 e i telai da 190 a 252. Di

marmifera dentro una nuova dimensione tecnologica e in

poco superiore, invece il numero degli operai impiegati.

collaudati canali finanziari e commerciali, tali da costrin-

Un ulteriore elemento di comparazione storica ci

gere numerosi industriali locali, i Fabbricotti ad esempio,

viene sempre fornito dal Tenderini; allega infatti una pic-

a divenire armatori di una propria flottiglia, in conse-


guenza, soprattutto al rincaro dei noli marittimi occorso

do ed efficace gran parte delle 645 cave, di cui, nel 1879,

dei primi anni sessanta, a promuovere la costruzione di

387 in attività : 197 nel canale di Torano (25 di statuario,

un secondo pontile caricatore nel 1871, e in secondo luo-

167 di bianco ordinario, 3 di bardiglio grigio, 1 di venato

go ad inviare manodopera scelta in Francia e Belgio ad

e 1 di paonazzo), 86 nel canale di Miseglia-Fantiscritti (2

aggiornarsi sulle novità tecnologiche e sulle possibilità di

di statuario, 68 di bianco ordinario, 14 di venato, 1 di bar-

una ottimizzazione della produzione.

diglio grigio e 1 di paonazzo) e 104 nel canale di Colon-

La crisi del mercato statunitense, coincisa con la

nata ( 94 di bianco ordinario, 7 di venato e 3 di bardiglio).

guerra civile e in un secondo tempo con l’adozione di ta-

Furono necessari vent’anni prima che il progetto,

riffe fortemente protezionistiche sui marmi lavorati ita-

inizialmente proposto dal Conte Andrea Del Medico, re-

liani nel ‘66 e nel ‘70, allo scopo di favorire i forti interessi

duce da un soggiorno di un anno a Londra, venisse final-

degli industriali delle cave del Vermont e Tenesse, aveva

mente portato alla discussione del consiglio comunale il

portato la conseguenza di un indirizzo delle esportazioni

quale, nel 1864, diede incarico di preparare un progetto

di grezzi apuani verso la Francia, il Belgio e una discreta

all’ing. Stefano Condona, direttore dei lavori della co-

ripresa per i segati e lavorati nel nord Europa e nei paesi

struenda tratta di ferrovia tra Carrara e la stazione sulla

legati all’impero britannico. Ma nella seconda metà de-

linea nazionale ad Avenza.

gli anni settanta una nuova crisi commerciale si abbatté

Una intricatissima serie di vicende, tipica della “que-

sull’industria apuana, originata soprattutto dal trattato

stione ferroviaria “di quegli anni, rimandò di dieci anni

commerciale italo-francese del 1877 che, introducendo

l’inizio dei lavori di quella che sarà sì una ammirata opera

forti elementi protezionistici, imponeva un pesante da-

di ingegneria ma che riuscì a scatenare interessi fortissimi,

zio sulla importazione dei marmi italiani, aggravando so-

aprendo un contenzioso tra comune e Ministero dell’A-

prattutto i marmi lavorati di ben 50 franchi la tonnellata.

gricoltura, Industria e Commercio, dicastero presieduto

Questa questione spinse il deputato del collegio, Conte

dall’Avv. Castagnola il quale con R.D. del 12 aprile 1871

Giuseppe Fabbricotti ad intervenire in merito alla discus-

attribuì la concessione della ferrovia ad un gruppo finan-

sione del trattato chiedendo, nella sessione del primo di

ziario capeggiato dal Marchese Lotaringio Della Stufa,

aprile 1878, una posizione più ferma della delegazione

dal Cav. David Barlassina e dal Conte Giuseppe Friangi,

italiana, cosa che non avvenne; in compenso gli industriali

scatenando le ire dei notabili e della amministrazione co-

apuani ottennero dal governo l’abolizione del dazio d’u-

munale che fu patrocinata in appello dal notissimo giuri-

scita per i marmi; il marmo divenne quindi un prodotto su

sta Francesco Carrara.

cui gravava solo la tassa imposta dal comune, in accordo

La vicenda giudiziaria ebbe strascichi che andarono

con gli industriali, per il pedaggio sulle vie pubbliche e

ben oltre la realizzione della stessa opera; opera finanziata

finalizzato al corretto ripristino di queste(e che nel 1861

dalla Banca Nazionale Toscana e sostanzialmente diretta

aveva fruttato 85.000 lire, nel 1880 178.000): un prodotto

e voluta dai “baroni del marmo” che, per mezzo della fer-

su cui incidevano costi di lavorazione assai esigui rispet-

rovia, si garantirono il controllo del trasporto dei marmi,

to al rientro economico che procurava all’ industriale e al

la valorizzazione di nuovi bacini di escavazione, dei propri

commerciante.

in ispecialmodo, e infine, l’esenzione dalla contribuzione

Ma la grande innovazione che permise il decollo

ai costi di gestione dell’opera, costi che, come accennato

della industria capitalistica dei marmi apuani fu certa-

in altra parte, lasciarono la Banca Nazionale Toscana sco-

mente la realizzazione nel 1876 del primo tronco della

perta di oltre 10.000.000 di lire.

ferrovia marmifera carrarese, che collegava in modo rapi-

Crediamo di avere, in questo modo, tratteggiato gli

161


aspetti salienti di un periodo estremamente complesso ed importante per la formazione di una moderna industria capitalistica, certamente una delle principali nella Toscana di quegli anni; da questa industria e dalle connessioni che seppe produrre sul tessuto sociale della regione apuana, discendono gran parte dei comportamenti, delle motivazioni e degli avvenimenti politici, elettorali e sociali che andremo ad analizzare, nel dettaglio, in altro capitolo.

La relazione sui marmi di Carrara e delle Apuane (di cui qui vediamo il foglio relativo lo statuario e i venati) venne richiesta dal Ministro dell’Industria alla Camera di Commercio di Carrara e pose le basi alla moderna letteratura scientifica sui marmi apuani (lettera del 30 agosto 1864). (Archivio Storico della Camera di Commercio, 1864.)

162


8

Nell’Archivio storico della Camera di Commercio ed Arti di Carrara i documenti relativi la “questione ferroviaria” sono raccolti in abbondanza. La tratta ferroviaria Pisa-La Spezia, la cui costruzione era stata appaltata alla “Società della strada ferrata ligure” aveva raggiunto Viareggio nelll’aprile del 1861, Pietrasanta nel dicembre dello stesso anno e finalmente raggiungeva Massa il due novembre 1862 e Carrara a metà del dicembre. La ferrovia infine raggiunse La Spezia il 4 agosto del 1864. La lentezza della realizzazione e le polemiche ed anche gli scontri occorsi durante la realizzazione di questo tratto ferroviario sostanzialmente svolto in piano sono accuratamente dettagliati nel saggio di Marcello Bernieri a cui volentieri rimandiamo il lettore. Fin dall’arrivo della ferrovia alla stazione di CarraraAvenza, nel dicembre 1862, la Camera di Commercio intervenne con ripetute pressioni al fine di sostituire la baracca di legno della “Piombara” con una adeguata strut-

tura in muratura. Nelle minute e nei processi verbali la presenza di documenti relativi alla richiesta di nuovi collegamenti e fermate, modifica degli orari, le richieste di un numero maggiore di carri merci destinati al trasporto marmi e di altro materiale rotabile capace di soddisfare l’esigenza di una industria in ascesa si susseguono senza sosta. Ma la cosa che maggiormente stava a cuore alla giunta camerale che al pari della giunta comunale e del deputato Cucchiari rappresentavano al meglio gli interessi, le ambizioni e i progetti della borghesia marmifera carrarese, era la realizzazione del previsto tronco ferroviario di collegamento tra Avenza e Carrara quale inizio del progetto di una audace ferrovia dei marmi che, arrampicandosi nel cuore delle cave, avrebbe rivoluzionato quell’industria. Oltre al Cucchiari che su questa questione diede veramente “battaglia” fu pienamente coinvolto l’onorevole Giuliani, deputato del collegio di Pontremoli ed esperto di questioni ferroviarie. Egli scrisse al sindaco

PARTE PRIMA

Capitolo QUARTO

Scheda

La nascita della Ferrovia marmifera privata Carrara

Carrara, stazione della Ferrovia Marmifera a Monterosso. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

163


Carrara, ponti di Vara, La Ferrovia Marmifera di Carrara fu una delle più ardite opere ingegneristiche dell’ottocento. (Foto Daniele Canali, Archivio Storico della Camera di Commercio.)

164

di Carrara Monzoni che “...per noi si tratta di Vita o di Morte. Se non si otterrà sarà grave danno”. E ancora si annoverano il Torrigiani di Parma e il Depretis che in più lettere rassicura Cucchiari sul fatto che l’opera si farà. Chi era quindi l’ostacolo principe alla realizzazione del tronco underline? Ubaldino Peruzzi, Ministro dei lavori pubblici, definito dal Monteverdi “uomo rotto agli affari” e vero “deus ex machina” unitamente al Bastogi, del grande affare delle strade ferrate in Italia. Il generale Cucchiari vinse però anche questa battaglia e il suo telegramma dove si annunciava l’inizio dei lavori

trovò la città esultante. Il 10 settembre 1866 veniva aperto all’esercizio di trasporto merci e passeggeri il tratto di ferrovia tra la stazione di Carrara-S. Martino ed Avenza, collegando così la città alla linea ferroviaria nazionale. Nove giorni dopo il Cav. Troyse-Barba, dichiaratosi rappresentante di una società anonima, inoltrava al Comune di Carrara domanda al fine di ottenere concessione cinquantennale di una ferrovia per il trasporto dei marmi dalle cave alle stazioni di S.Martino, di Avenza e ai pontili caricatori della spiaggia di Marina. Il 26 settembre successivo il Consiglio Comunale, con ra-


pidità inconsueta, accettava la domanda del Troyse-Barba e l’allegato progetto di massima, nominando una commissione tecnica di studio per definire progetti, tempi e modi di esecuzione, nonché le tariffe d’esercizio. Il 19 ottobre, ad un mese esatto dalla presentazione della domanda del Troyse-Barba, il consiglio comunale deliberava di accordargli la concessione per la costruzione e l’esercizio della ferrovia marmifera; nel corso della seduta il sindaco, dott. Pietro Giromella che sosteneva essere di pertinenza del Governo l’attribuzione della concessione per la ferrovia delle cave, venne messo in minoranza dalla

proposta del consigliere avv. Andrea Passani, vice presidente della camera di Commercio, sosteneva di contro, essere facoltà del Consiglio comunale l’accordare la concessione richiesta, in quanto privata. Il 5 dicembre, il Consiglio comunale nuovamente riunito, ribadiva la validità della propria concessione, sostenendo trattarsi di ferrovia destinata allo specifico trasporto dei marmi, non di merci varie e persone, rigettando così la tesi del Ministero dei Lavori pubblici che, sollecitato dalla prefettura di Massa, dichiarava la Ferrovia Marmifera dover considerarsi pubblica, e che quindi spettava allo stesso

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1869, Francesco Bourelly, ingegnere comunale, declina l’invito a progettare la ferrovia Parma-La Spezia. Sulle questioni ferroviarie della regione lunense forse non tutti i capitoli sono stati scritti. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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rilasciarne la concessione. La questione fu sottoposta al Consiglio di Stato, che sentenziò, sulla base della proprietà reale del comune di Carrara sulle cave, dover essere lo stesso ente a costruire e gestire la ferrovia finalizzata allo sviluppo di una propria industria: quindi era da considerarsi privata la concessione fatta al Troyse-Barba. Conseguentemente alla sentenza del Consiglio di Stato, il Ministero dei Lavori Pubblici classificava la Ferrovia Marmifera tra quelle private di seconda categoria. Il 21 settembre 1867, il Troyse-Barba consegnava i progetti eseguiti unitamente all’ing. Bourelly, capo ufficio tecnico del comune, di una strada automatica ferrata e a

vapore comprensiva di numerosi piani inclinati meccanici -ben lungi da quello che sarà il definitivo progetto- che prevedeva l’utilizzo di forza animale per la risalita dei carri vuoti, e la discesa dei vagoni per gravità opportunamente frenata. Respinto questo progetto dal Consiglio Superiore dei lavori pubblici in data 4 gennaio 1868 in quanto inidoneo, si scatenava un vero e proprio il putiferio, e il Troyse-Barba entrava in lite giudiziaria con il Comune di Carrara, soprattutto a causa delle affermazioni rese pubbliche dal segretario comunale Francesco Fossati che sosteneva essere il Troyse-Barba associato nella concessione con l’ing. Bourelly, il Fossati medesimo, e il costruttore edile Da Pozzo di La Spezia. Appariva quindi, quanto precaria e avventuristica fosse la posizione del Troyse-Barba, non suffragata dai necessari mezzi finanziari né dalle concrete garanzie di serietà necessarie alla realizzazione di un opera tanto complessa. “Il 21 settembre 1867 scoppiò lo scandalo: il Barba presentò al Comune i piani di costruzione della ferrovia, e l’ing.Bourelly, chiamato a darne un giudizio, dichiarò di esserne l’autore, mentre il Fossati rivelava di essere compropietario dei piani e degli studi e chiedeva e otteneva dal pretore il loro sequestro. nel novembre il Fossati lasciò l’impiego di segretario comunale non prima di avere ottenuto dal sindaco Giromella degli attestati di zelo e capacità”. Antonio Bernieri, qui appena citato sostiene che non è azzardato affermare che tra Fossati, segretario generale del comune di Carrara e il suo Sindaco Giromella vi fosse un’intesa. Anzi argomenta che dietro l’allontanamento da Carrara del pretore che aveva sequestrato i progetti e il tentato omicidio subito dal sindaco Giromella nell’ottobre 1869 che portò alle sua dimissioni “in realtà la città di Carrara si trovava di fronte ad un tentativo veramente audace e spregiudicato del Fabbricotti di impossessarsi della ferrivia marmifera ancor prima che essa fosse costruita”. Infatti, inventatosi un socio prestanome nella persona di certo Merlini di Firenze, spacciato quale acquirente della concessione del Troyse-Barba, questi, il 30 ottobre 1869, si fece rappresentare dal fantomatico Merlini in occasione della consegna di un nuovo progetto di massima redatto dagli ingegneri Carlo Willy e Pietro Ganzoni, non dissimile dal precedente progetto del Bourelly. Il progetto Willy-Ganzoni fu infine approvato il 16 febbraio 1870 con decreto del Ministero dei lavori pubblici,


Poco tempo dopo, nei primi mesi del 1871 il Mordant si associa con certo Adriano Righi e con l’Ing. Turchi; dichiarando al comune di assumere l’obbligo di condurre a termine i lavori intrapresi e di rimettere al sindaco l’atto costitutivo della società anonima per la costruzione e l’esercizio della ferrovia, procedendo poi alla stipulazione del contratto definitivo di concessione, basato sulle condizioni accordate con la deli­berazione del 19 ottobre 1866. Ignorando completamente tutta la complessa vicenda, il Governo, sedente allora in Firenze capitale, e probabilmente a seguito di forti pressioni esercitate internamente allo stesso, rilasciava al Marchese Lotaringio Della Stufa, al Cav. David Barlassina e al Conte Giuseppe Friangi la

Ignorato dai più, l’accurata disamina dell’Archivio Storico della Camera di Commercio rivela, tra i suoi tesori celati, tutte le opere di pubblicistica a stampa, memorie e sentenze prodotte nella complessa vicenda giuridica relativa la costruzione della ferrovia marmifera.

ma solo per la parte con trazione ordinaria, cioè fino alla stazione di Piastra. Il 31 maggio dello stesso anno il Ministero dei lavori pubblici approvava i piani esecutivi e i lavori di costruzione venivano finalmente affidati all’impresa Ferroni e Prati di Sinigallia, sotto la direzione dei lavori dell’ing. Giuseppe Turchi. Nel novembre 1870, la morte improvvisa dello spregiudicato Troyse-Barba, provocava un ulteriore colpo di scena in quello che sempre più andava configurandosi quale un vero e proprio giallo ferroviario-finanziario: gli eredi cedevano i diritti della concessione a Luigi Mordant, che, acquisiti anche i diritti del Merlini, dichiarava di agire per contro di una fantomatica società inglese.

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concessione novantennale per la costruzione e l’esercizio di una ferrovia pubblica dalle cave dei marmi alla stazione di Carrara e dalla stazione di Avenza fino al mare, secondo un progetto ricalcante quello di Willy e Ganzoni. Con Regio Decreto del 12 aprile 1871 , quindi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 6 maggio 1871, venivano resi pubblici convenzione e capitolato d’oneri convenuti per la costruzione dei vari tronchi, contemplando nei minimi dettagli le caratteristiche tecnico-costruttive della linea. Mordant e soci rispondono, unitamente al comune, con

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uno schema di convenzione che viene approvato dal Consiglio comunale nella seduta del 21 ottobre successivo, e il comune patrocinato da F. Carrara, entra in lite contro il Governo, vincendo la famosa causa con sentenza della Corte di Appello di Roma del 19 dicembre 1873. Il 29 maggio 1874 si costituisce la “Società della Ferrovia Marmifera Privata di Carrara”, finanziata dalla Banca Nazionale Toscana e finalmente, il 19 di agosto del 1876 viene inaugurato l’esercizio ferroviario sul tronco Carrara-Miseglia-La Piastra e tra Avenza e il mare. In quella vicenda, così ricca di colpi di scena, quali interessi erano realmente rappresentati dal Troyse-Barba, come si è detto poco sopra, sprovvisto dei mezzi finanziari necessari alla realizzazione dell’impresa? Perché il consiglio comunale accettò così celermente la sua proposta di concessione, scontrandosi con le indicazioni del sindaco Giromella, ligio alle indicazioni del governo al tempo dominato dalla Consorteria dei finanzieri toscani e lombardi? Chi fu il mandante dell’attentato al sindaco Giromella, contro cui furono esplosi diversi colpi di pistola nell’inverno 1868 mentre da Fossola percorreva il tracciato ferroviario in direzione di Carrara? Il Troyse -Barba, si può congetturare, che almeno inizialmente fosse stato spinto avanti da gran parte degli industriali del marmo in contrapposizione alla parte tenuta dai finanzieri toscani, fortemente collegati agli ambienti governativi.


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Ma questi, visto il possibile affare, strinse forti relazioni con tecnici comunali ed improvvisati finanzieri, soprattutto allo scopo di cedere successivamente, e con lucro, detta concessione. Lo scoppio dello scandalo nel 1868 e la sua successiva e repentina morte nel 1870, mutarono completamente lo scenario, portando alla luce lo scontro sotterraneo in atto. Deve infatti essere tenuto presente che il biennio 1868-1870 fu un periodo di grande instabilità politica per il comune di Carrara, determinatasi a causa dello scontro tra le diverse fazioni industriali e infine concluso con la vittoria e l’affermazione definitiva della egemonia della famiglia Fabbricotti. L’amministrazione cittadina, dopo un periodo di commissariamento, fu retta fra il dicembre 1870 e l’aprile 1874 da Giovanni Bajni, uomo sopra le parti, a cui si debbono gran parte delle iniziative intraprese per la tutela dei diritti del

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Idem Interessante e rara mappa topografica delle cave di marmo di Carrara scala 1-10.000 precedente lo studio del Fossen. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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comune nella complessa vicenda appena descritta. Solo dopo la vittoria del Comune nella causa contro il Governo si profilarono le nuove condizioni, comprese quelle finanziarie, atte alla costruzione della ferrovia, tutte accollate alla Banca Nazionale Toscana. L’inaugurazione, svolta in pompa magna del tratto ferroviario da Marina alla Piastra, vide la presenza del Conte Cambray-Digny, presidente della BNT, del direttore della Ferrovia Marmifera Privata Carrara, Cav. Pietro Bologna, del Sindaco Cav. Francesco Del Nero e di numerosi consiglieri comunali, ma non del Deputato del collegio, Conte Giuseppe Fabbricotti ne degli industriali legati a questo potente gruppo famigliare ed economico che, con scuse di vario genere, garbatamente, glissarono. Intanto lungo il percorso del festoso corteo, “ad ogni sbocco di strada provinciale, comunale o consortile, era una calca di persone che salutavano il percorrere della locomotiva annunciato a distanza dal lungo e prolungato fischio della macchina

uscita dalle officine di Monaco in Germania, ammirabile per il suo modello, adatto al trasporto di enormi blocchi, e soprattutto ammirabile per il sistema dei freni a scatto che in un momento ferma il convoglio e impedisce il troppo abbrivo”. Il fischio del treno metteva fine ad un decennio di polemiche, appariva chiaro che, con l’arrivo della ferrovia alla cave, la partita per il predominio sull’industria dei marmi e sulla città sarebbe stata giocata sopra un altro terreno.


cese Barbier, noto aveva insediato una fabbrica di acidi che verranno utilizzati a Boceda per la stabilizzazione della dinamite. La presenza degli investitori francesi a Villafranca e Mulazzo si comprende nel contesto della politica economica italiana che, nel 1869, liberalizzò la produzione di esplosivi, a fronte del pagamento di una tassa di fabbricazione. L’avvocato Vittorio Carloni, possidente di Mulazzo e figlio di quel Pietro Carloni agente della duchessa di Galliera che già da qualche anno pagava alla Camera di Commercio una tassa per l’utilizzo della sorgente minerale salata di Bergondola, fu il grande sfortunato oppositore all’insediamento di Boceda. In un periodico significativamente titolato “La nostra Pelle” nel 1913 scriveva: “In un periodo di grandi opere ferroviarie e trafori, e nella corsa agli armamenti lo stato alza i dazi per favorire le imprese italiane contro le società estere, così alla società francese di Parigi, che vede interdetta l’esportazione di prodotti in Italia conviene aprire lo stabilimento in Boceda. Se fosse mantenuto il monopolio dello Stato ci potremo anche rassegnarci a questa molesta vicinanza, come ad una servitù

PARTE PRIMA

Bisogna dare atto allo scrittore Carlo Cassola di aver colto nel giusto quando, sulla terza pagina del Corriere della Sera, aveva invitato i lettori a venire in Lunigiana per constatare come , di secolo in secolo, furono impegnate dai governanti enormi risorse nel costruire castelli e strutture militari, dalla più remota antichità fino alle fortificazioni dell’ultima guerra mondiale. Accanto ai castelli e alle fortificazioni la Lunigiana conobbe, nel corso dei secoli, l’attività di produzioni di polveri da sparo, soprattutto nell’area pontremolese dove alcuni imprenditori operarono ancora agli inizi del novecento, spostando l’attività nella nuova area di Boceda, in comune di Mulazzo. Gli imprenditori pontremolesi furono sempre particolarmente attivi: nel 1640, ad esempio, Carlo e Marc’Aurelio Camisani entrarono in società con i banchieri genovesi Centurione, marchesi di Aulla. Marco Centurione finanziò la costruzione di una polveriera a Gorasco e la concesse in affitto ai due pontremolesi, assegnando loro un credito di mille scudi d’argento, con il monopolio di vendita della polvere nel feudo di Aulla, licenze di vendita nei territori dipendenti da Genova. I due imprenditori ed i nove lavoranti furono autorizzati a portare le armi ed un anno dopo la polveriera era già in piena attività, con polvere pronta per essere invita, dal porto di Lerici, a Genova e in Spagna. Nelle carte d’archivio della Camera di Commercio ricorrono per decenni i nomi degli imprenditori pontremolesi Bocconi e Bonzani che nel 1884 risultano produttori di polveri piriche ; Bonzani in quello stesso anno cessò la produzione, (probabilmente a seguito del tragico scoppio di Mignegno del 1887 che fece 15 vittime e numerosi feriti) e si limitò alla vendita di polvere pirica e zolfo per contrastare la ormai diffusissima infestazione dei vigneti. Otto anni dopo, nel 1892, Bonzani, in società con Bocconi, aprirà a Boceda, in comune di Mulazzo,“una grossa fabbrica dinamitificio e altri esplodenti”. La scelta di Boceda, un podere disposto tra la confluenza del torrente Geriola nella Magra ed il ponte di collegamento con Villafranca, dove nei pressi della stazione ferroviaria il fran-

9 Capitolo QUARTO

Antiche fabbriche di esplosivi, dalle polveri piriche per le cave di marmo alla produzione bellica. L’industria bellica a Pallerone, Boceda, Virgoletta, Scorcetoli e le opposizioni di inizio ‘900

Scheda

I DESTINI MILITARI DI UNA TERRA

Particolare della leziosa carta intestata della ditta di Camillo Cimati. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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Questo documento statistico del 1864 ci rende un’idea diversa delle industrie manifatturiere di Pontremoli. I quattro polverifici occupano centinaia di operai. La gran parte della produzione finisce alle cave di Carrara. I figli dei ricchi commercianti di marmo, quali ad esempio i Fabbricotti, studiano al liceo vescovile di Pontremoli. Forse i rapporti sociali ed economici tra le due realtà cittadine sono più complessi e profondi di quanto sia apparso successivamente A fianco: Lettera di Camillo Cimati circa la medaglia d’oro da lui ottenuta a Liverpool (lettera del 2 aprile 1887). (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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militare imposta nell’interesse della collettività, ma ci ribelliamo ad una servitù impostaci a favorire una banda di privati speculatori stranieri”. Contro il monopolio della fabbricazione della polvere pirica, che si era riproposto nel 1895, si era espressa la nostra Camera di Commercio, probabilmente anche per gli interessi legati al grande uso di polveri per mine che si faceva nelle cave di marmo. In questo clima la ditta Bocconi e Bonzani di Pontremoli fece un’operazione pubblicitaria, registrando alla Camera di Commercio tre marchi di fabbrica che significativamente evocarono nei nomi la caccia e le grandi opere ferroviarie, tra le quali la galleria del Gottardo, inaugurata nel 1882: “Avendo fatto le opportune pratiche per conseguire l’uso esclusivo di tre distinti marchi di fabbrica per confezionamento ed imballaggio delle polveri piriche di sua fabbricazione, ha ottenuto dal Ministero Agricoltura Industria e Commercio i relativi attestati di trascrizione concernenti i tre segni distintivi designati colle parole: Starna- Cacciatore Cervo- Gottardo”. Nel 1924, oltre a Boceda e Pallerone, un altro polverificio di notevole importanza era presente in Lunigiana, a Soliera: si trattava della Società Apuana Prodotti Esplodenti (S.A.P.E.S) della quale l’archivio camerale conserva un esposto contro la eccessiva fiscalità dei controllo che ostacola la produzione di polvere per le cosiddette “mine con polvere da mezzo”: “il signor ispettore di finanza presso

il nostro polverificio è talmente meticoloso, scrupoloso e noioso che non permette neppure quella quantità di grana più fine consentita e ammessa; anzi spinge la sua meticolosità a tale estreme da destare sorpresa e meraviglia nei nostri colleghi fabbricanti, compreso e non ultimo il cav. Magrini della Società Italiana Prodotti Esplodenti il quale si ripromise spontaneamente di parlarne a Roma”. Non conosciamo l’esito di questa lamentela, ma la vigilanza doveva essere intransigente, perché la questione della sicurezza delle fabbriche di esplosive era prioritaria: gli incidenti a Boceda e Pallerone furono diversi e molto gravi, con morti, feriti e danni alle cose. La polemica dell’avvocato Carloni, che giustamente notava come l’insediamento di Boceda fosse troppo vicino ai centri abitati, fu scambiata per la difesa di interessi personali, visto che lui aveva casa nei pressi dello stabilimento , dove pure sgorgava quella sorgente di acqua salata che cercava di commercializzare. Tuttavia, che alla luce dei fatti che sono accaduti trent’anni dopo la pubblicazione della rivista, al Carloni si debba quantomeno riconoscere d’essere stato profeta delle sventure che Boceda avrebbe portato con le esplosioni, i bombardamenti di Villafranca, i numerosi incidenti.


PARTE PRIMA

potente turbina, incassata al termine di un pozzo profondo 64 metri, sfruttava al meglio la potenza di caduta delle acque. Nel 1881 la proprietà aveva richiesto la concessione per la costruzione di un canale scaricatore lungo 550 metri. È questa la prima fase di realizzazione dell’impianto industriale che nel 1893 era dotata di tre caldaie a vapore capaci di 500 cavalli di potenza e di un motore idraulico da 750 cavalli. Il cotonificio, costruito in muratura portante con

Capitolo QUARTO

L’imponente stabilimento industriale del Cotonificio Ligure a Forno venne realizzato nel 1891 su progetto dell’ingegner Frimi. Lo stabilimento era destinato alla lavorazione del cotone e come altri stabilimenti del gruppo venne ubicato presso il fiume Frigido poco sopra la frazione di Forno che ai primi dell’ottocento era nota per la fabbricazione dei cappelli di feltro e per la presenza di alcune piccole miniere di rame e di ferro. L’abbondanza delle acque permetteva le varie fasi di lavorazione del cotone; una

10 Scheda

Cotonificio Ligure Forno

Una suggestiva immagine del Cotonificio Ligure di Forno (1895 ca). (Archivio Società Editrice Apuana .)

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solai in ferro e laterizio poggianti su colonne in ghisa era costituito dagli edifici del cotonificio e del magazzino, da un corpo di fabbrica per gli uffici, dall’officina e dalla abitazione del direttore. La definizione architettonica dei vari piani rispecchiava i differenti utilizzi degli spazi produttivi: la lavorazione del cotone seguiva un procedimento diviso in sei fasi (bagnatura, battitura, stiratura, cardatura, banchi intermedi e filatura).Nei seminterrati si operava il lavaggio e la battitura del cotone mentre nei locali del primo e secondo piano erano posizionati i telai di fabbricazione inglese (della nota marca Brother), infine, all’ultimo piano, piccoli macchinari per lavorazioni specifiche e particolari. Un caratteristico complesso abitativo realizzato sul modello delle case di ringhiera tipico degli insediamenti operai sorti presso le attività industriali dell’Italia settentrionale fu costruito davanti al paese secolare e finalizzato ad ospitare parte delle famiglie dei lavoratori del Cotonificio. e da un complesso di abitazioni per i dipendenti. Dall’annuncio della sua apertura, avvenuto nel 1889, il Cotonificio cambiò radicalmente il profilo sociale della montagna massese. Nacque un forte nucleo operaio, principalmente costituito da donne che in pochi decenni incise profondamente sui comportamenti sociali e politici della città. Fino alla realizzazione della nuova zona industriale, fu lo stabilimento produttivo non marmifero più imponente ed importante della provincia, erede in qualche misura, della filanda serica Cojari di Soliera che detenne questo primato fino alla costituzione dello stabilimento di Forno. La crisi economica degli anni trenta fece tramontare questa interessante esperienza. La produzione cessò intorno al 1940. Divenne quindi un vasto deposito della Marina Militare e per questa ragione fu prima depredato e quindi minato dall’occupante tedesco. Adesso la Filanda è sede di un museo dedicato a questa interessante vicenda.

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PARTE PRIMA

gue spiegano chiaramente da quale ammirazione siano compresi quegli scienziati, che per la prima volta vedono uno spettacolo, che non ha simile in tutto il mondo”. Risaliti in carrozza, i gitanti si dirigevano alla stazione di Piastra dove venivano accolti dal frastuono di numerose mine fatte scoppiare in onore degli illustri ospiti; da lì si arrampicarono lungo la strada Carriona verso il Polvaccio, cava di statuario che diede il masso colossale da cui trasse la colonna Traiana. “Il proprietario della cava, Sig. Carlo Fabbricotti, ci spiega il modo di lavorazione ed escavazione, indicandoci pure le tracce tuttora esistenti di lavori romani”. Sempre al Polvaccio fu imbandita la colazione per gli illustri ospiti, quindi concluso il desinare si incamminarono verso il Torrione, incontrando per strada lizzatori all’ opera. Dal Torrione, dove visitarono la cava della ditta Walton e scambiarono qualche parola con dei cavatori, ridiscesero verso Fantiscritti; lì osservarono altre tracce di cave romane, e quindi da lì in Canalgrande, a visitare la cava di Giulio Lazzoni, che li accolse con una piccola varata, infine di nuovo giù, verso le Canalie, dove il treno nuovamente li attendeva per riportarli in città. La vivace comitiva, signore comprese, sebbene un poco dolente per la scarpinata visitava i principali monumenti della città, il laboratorio di scultura di Vincenzo Bonanni, e la segherie della ditta W.Walton & Nephew per poi recarsi, in conclusione tra le affascinati sale dell’ Accademia di Belle Arti, dove fu dato il banchetto di commiato. La visita del secondo congresso internazionale di geologia consacrava Carrara e le sue cave ad oggetto di studio scientifico e a meta obbligata nel “Gran Tour” delle maggiori personalità del mondo della cultura, dell’arte, della politica di tutta Europa, entrando a pieno titolo dentro l’immaginario delle bellezze paesaggistiche che il “Bel Paese” proponeva a se stesso e al mondo intero. E non sfuggirono neppure all’occhio indiscreto di quel piccolo esercito di fotografi, spesso sconosciuti che, a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso, inizieranno la raccolta delle “bellezze naturali e paesaggistiche” della penisola, fino a comporre un mosaico di stereotipi visivi tenaci al

Capitolo QUARTO

“Carrara, fin dalle prime ore del mattino dava a divedere prepararsi ad una festa insolita: doveva far gli onori di casa alla scienza per la quale i suoi monti sono grandissimo soggetto di studio” Così il 6 ottobre 1881, in un mattino terso e limpido, la città attendeva la visita degli illustri membri del secondo congresso geologico internazionale. Alla stazione di S.Martino lungo la banchina erano stati schierati in buon ordine la “Musica” cittadina, la Società di Mutuo Soccorso fra gli operai, i Reduci delle Patrie Battaglie del Risorgimento, i Veterani del 48-49, come si conviene nelle grandi occasioni. A lato, il drappello delle autorità celava nervosamente, con civile ipocrisia, la reciproca insofferenza: da una parte il prefetto della Provincia Comm. Agnetta, dall’altra i Deputati Giuseppe Fabbricotti e Niccolò Quartieri, la Giunta Municipale e la Giunta della Camera di Commercio, il Cav. Giovanni Sforza e l’Ing. Domenico Zaccagna, nonché una folla numerosa ed impaziente. Quando finalmente il treno giunse in stazione, i membri del congresso, capitanati dal loro presidente, Prof. Cappellini, insieme alle autorità si incamminarono attraverso la città fino alla stazione di Monterosso, al cui ingresso era posto un arco di trionfo con l’iscrizione “Onore alla Scienza - La Ferrovia Marmifera”. Ricevuti dal direttore della Ferrovia Marmifera, Cav. Avv. Pietro Bologna e dell’ Ing. Turchi, gli ospiti salirono su di un treno ornato di bandiere e di corone di lauro, iniziando il percorso verso le cave, salutati in continuazione da una folla festosa assiepata lungo i binari. Giunti nei pressi di Crestola, si fermavano per osservare una tagliata romana e i blocchi di finissimo statuario. Una bandiera posta in località “Cavetta”, proprietà di Giuseppe Binelli, segna il luogo ove si ritiene lavorasse il Buonarroti, poco sotto, l’imboccatura di una cava in galleria nel cui fondo si traevano marmi statuari. Ai Betogli gli ospiti si fermarono, accolti da un coro di fanciulle e fanciulli, e i congressisti, “estratto il loro immancabile martello” asportarono scaglie-ricordo di marmo candidissimo. Le “esclamazioni espresse in molte lin-

11 Scheda

Le prime visite illustri e scoperta fotografica e turistica delle cave

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punto di sostituire, per sempre o quasi, luoghi e paesaggi reali. Uno di questi tenaci stereotipi sarà proprio la ferrovia dei marmi, presente in quasi tutte le vedute delle cave, parte componente del paesaggio stesso, momento di unione tra natura, scienza e progresso. Nella prolusione conclusiva alla visita dei congressisti, il Deputato Fabbricotti ebbe a sostenere che “dovunque passa la Scienza sparisce il verno dell’ignoranza, e spuntano i fiori della civiltà e del progresso”. Questi era, in effetti, il diffuso punto di vista della classe dirigente carrarese. Poco studiate nei loro riti sociali, nei complessi intrecci familiari e di interessi, le borghesie urbane carraresi rappresentarono un caso singolarissimo nella regione. Espressamente indirizzate alla emulazione del modello di vita anglosassone, da questo traevano l’essenza del liberismo economico e politico di cui si dicevano fautori, almeno a parole; dell’Inghilterra e degli inglesi mutuavano cultura, lingua e stile, inviando regolarmente i propri rampolli a fare studi e pratica di mercatura a Londra o a New York; e gli stessi gusti anglosassoni entravano nel disegno architettonico e negli arredi delle loro sontuose dimore. Il classico salotto borghese ricco pesanti drappeggi, di tavoli e sofà in noce, del biliardo, dei marmi pregiati e dell’immancabile orologio a pendola, quasi una sorta di horror vacui, di vuoto che non poteva essere concepito senza quei precisi segni dei riti della vita borghese, il salotto tipico di tanta letteratura ottocentesca lo ritroviamo puntualmente descritto nei leziosi inventari dei beni del Casino Civico o dell’eredità di Domenico Andrea Fabbricotti. Una borghesia sì tutto ottocentesca, entusiasta per i progressi della scienza e della tecnica, ma anche una borghesia concreta, che si preoccupò di dare forma razionale ad un territorio che non era stato ancora ufficialmente rilevato, producendo agli inizi del terzo decennio unitario la dettagliata carta orografica in scala 1: 2000 delle Apuane, redatta dall’ ing. Fossen o dando vita, nel 1888 ad una nutrita sezione carrarese del Club Alpino Italiano. Per Carrara e le sue cave era davvero iniziata una nuova stagione, e la piccola città apuana entrava appieno nelle mete di quel variopinto esercito di turisti che scoprirono i ruvidi paesaggi delle Apuane scomodamente seduti sul vagoncino passeggeri della Ferrovia Marmifera.

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Parte Prima

Capitolo QUINTO

Lo sviluppo di un territorio tra xix e xx secolo

Edificio della Camera di Commercio ed Arti di Carrara costruito su progetto di Leandro Caselli. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

Stando a quanto puntualizza Carlo Lazzoni nella sua nota opera “Carrara e le sue Ville” La Camera di Commecio ed Arti di Carrara nel 1880 aveva ancora sede presso casa Passani in via Rossi, proprio nel cuore del centro storico medievale della città. Nel dettagliato elenco delle istituzioni pubbliche, delle associazioni e delle attività commerciali ed industriali presenti in città egli cita una “Scuola Industriale e professionale per il taglio e la lavorazione dei marmi (piazza del teatro)istituita con regio decreto 15 agosto 1871. “L’intiero corso degli studi compiesi in un triennio e la detta scuola è fornita di una biblioteca. Possiede Gabinetti di Fisica e Chimica, di Meccanica,di Mineralogia e Geologia; un Laboratorio di Meccanica e uno di Chimica, una ricca Collezione di marmi, e finalmente, un’altra di disegni e gessi artistici. Quest’ istituzione è sussidiata annualmente dal governo per L.5000; dal Comune per L.2500; dalla Camera di Commercio per L.1500; e finalmente dalla Provincia per L.1000”. L’altra “Scuola Tecnica e Ginnasiale Comunale” (nell’ex convento dei francescani) riformata nel 1862 era da tempo soggetta al contributo economico della Camera in virtù del perseguimento di un ammodernamento del sistema della istruzione pubblica a Carrara, Massa, Pontremoli e Castenuovo Garfagnana: una scelta lungimirante tesa a porre le basi per uno sviluppo culturale, professionale e qualitativo dei giovani e quindi delle potenzialità di progresso industriale della provincia.

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ra, fatta differenza dal prodotto, è la nostra Mulhouse”. Una città laboratorio insomma, vivace e chiassosa: una fisionomia urbana che abban­do­ne­rà definitivamente solo a segui­to del­le gran­di ristrut­tu­ra­zio­ni urbanistiche Veduta di una cava di marmo di Carrara. Il fotografo Corsini inizia la tradizione di documentazione sistematica delle attività produttive del territorio voluta dalla giunta camerale. Dalla foto si nota la forte frantumazione delle bancate di marmo dovuta ad un uso intensivo delle mine. A fianco: Cava dei Campanili. (Foto Valenti, 1898 circa. Archivio Storico della Camera di Commercio.)

Nella pagina di destra: Valenti. Immagine di cava, banchina ferrovia presso la zona degli studi di via Verdi, infine segagione e riquadratura a mano di blocchi di marmo nel piazzale di San Martino. Si ricorda che proprio a San Martino il Valenti ebbe un piccolo studio di scultura nel 1892.

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Carlo Magenta, professore all’università di Pavia, incaricato dal ministero di studiare l’industria dei marmi apuani dopo più di tre lustri ancora deteneva un ruolo findamentale nelle esportazioni italiane, così descrive le proprie impressioni sulla città in cui tenne, per conto della Camera di Commercio, una memorabile conferenza pubblica: “ Niuna città offre una fisionomia più spiccata di quella che ha Carrara. Piccola com’è, non contando che dieci mila abitanti, tiene occupate nell’industria de’marmi tre mila persone.

degli anni ottanta e novanta; Emerge con chiarezza che, ancora nella prima metà degli anni ottanta, nei progetti edilizi presentati, la tipologia abitativa più diffusa è quella della casa laboratorio: sotto ampi spazi per lo studio o il laboratorio introdotti da stipiti e portoni possenti, sovente ad arco; nella parte meglio esposta alla luce la galleria delle opere e, a primo piano la residenza, a volte gli uffici. Sempre negli anni ottanta, a Marina di Carrara, si produce un vasto movimento edilizio di case residenziali molto caratteristiche: case della buona borghesia carrarese che edifica la casa al mare

Non appena il viaggiatore entra in quelle mura, si

per comodità nel seguire gli imbarchi dei blocchi e per un

accorge di essere un centro di grande attività economica:

cambiamento culturale e di costume rappresentato dalla

qui ei vedrà tra grandi saldezze e bianche lastre, là riputati

moda dei bagni di mare. Cambia anche il profilo urbano

opifici; in molti luoghi gli uomini a digrossare il marmo,

della località: nel 1883 è già esistente la piazza, con aiuole

a bozzarlo, a segarlo, a impomiciarlo; in altre, carrate di

tenute a verde ed adornate di fiori e con la fontanella a

marmo e operai intenti a introdurlo nelle officine piene

forma di pagoda situata verso la spiaggia. Come ha no-

di scaglie, di scarpelli…e adorne di insuperabili modelli...

tato Pietro Giorgieri, “ al momento dell’Unità Nazionale

Se 42 segherie armate di 200 telai e 20 frulloni sorgono

Carrara, a differenza di quanto generalmente accade nelle

sulle rive del Carrione, 115 officine di scultura e d’ornato

altre città italiane, è in una fase di rapida trasformazione”.

si annumerano nell’interno della piccola e laboriosa città.

Dopo venti anni, la volontà di rimodellare lo spazio urba-

Disse Camillo Cavour che Biella è la Manchester d’Italia;

no in funzione dei nuovi rapporti sociali ed economici che

e alcuno, forse con maggior verità, potrà dire che Carra-

si erano andati affermando divenne una precisa volontà


delle classi dirigenti espresse dalla borghesia marmifera. Fu proprio la costruzione della nuova sede della camera di Commercio ed Arti di Carrara a dare il via a questo progetto di “monumentalizzazione” del primato della città del marmo come figlia della stessa, ottocentesca idea di progresso. Un quarantennio di ininterrotta crescita dell’industria dei marmi, aveva richiamato in città migliaia di persone che non sempre andavano ad ingrossare il proletariato del marmo. Giunsero, specie dalle zone rurali della provincia, anche centinaia di persone che, con un gruzzolo faticosamente raccolto, intendevano aprire piccole attività commerciali nelle zone limitrofe la città in tumultuosa crescita, sopperendo, con la loro iniziativa e abilità nel piccolo commercio, alla tradizionale ritrosia del carrarese ad impegnarsi in commerci non marmiferi. Dapprima ritroviamo questi coraggiosi ed intraprendenti commercianti iscritti negli elenchi camerali e collocati in zone marginali, come Avenza o a San Martino, quartiere della ferrovia e di numerose segherie e laboratori. Ma alla fine degli anni ottanta li troviamo a Marina di Carrara, a comporre quel originale quadro umano e sociale della futura identità marinella. Alcuni, in virtù dei successi ottenuti, daranno la scalata alla città, ritagliandosi sovente posizioni di tutto rispetto. Basti confrontare i primi elenchi camerali del ’63 e il successivo, completo elenco del ’64 con l’elenco redatto dal Lazzoni nella sua guida per avere accesso ad una vera e propria “geografia” delle strategie di mobilità territoriale di interi gruppi famigliari. A partire dagli anni sessanta era in corso un processo di vera e propria “proletarizzazione” della città storica. Dapprima gli edifici crebbero in altezza: un piano, due piani in più, ristrutturazioni e ampliamenti necessari a dare risposta alla perenne fame di case; anzi si può affermare che la città storica divenne presto sede di una strana convivenza tra le vecchie famiglie mercantili, avviate ad una inesorabile decadenza e il proletariato del marmo, costretto a condizioni di convivenza durissime. Di queste condizioni abitative abbiamo già dato conto: citiamo nuovamente il

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determinante saggio di Igiene sociale del dottor Ludovico

sto di proprietà immobiliari e una forte tendenza verso

Milani e le appassionate parole di denuncia raccolte nella

la speculazione edilizia. A Carrara molti industriali del

“Memoria” di Girolamo Fiaschi e indirizzate a Crispi a

marmo che fino al decennio precedente avevano tenden-

seguito dei noti “fatti del 1894”.

zialmente reinvestito gran parte dei profitti dell’industria

Fiaschi non era un semplice borghese “indignato”

in migliorie tecniche, ammodernamenti e acquisizione

dalla dura repressione crispina, ma all’atto della “Memo-

di cave o di rendite agricole nelle città vicine, vuoi per

ria” ricopriva la carica di vice-presidente della Camera di

condizionarne l’amministrazione, vuoi per “controllare” la

Commercio e, nel biennio 1895-1896 ne divenne addirit-

concorrenza in campo marmifero, iniziarono a scoprire

tura il settimo presidente. Proseguendo con ordine è im-

“il mattone” come moderna forma di rappresentazione

portante citare che, dopo la giunta “democratica” sortita

sociale. Quasi tutte le famiglie eminenti della città si im-

dalle elezioni del 1877 e che ebbe il pregio di dare alcu-

pegnarono nella costruzione di una nuova sfarzosa resi-

ne importanti risposte alla “questione sociale”, le elezioni

denza cittadina. Ne conseguì l’aumento di nuovi e mo-

amministrative del 1883 portarono alla ribalta una giunta

derni spazi destinati alle più svariate attività commerciali

moderata guidata dall’energico Cav. Agostino Marchetti,

che, come si riscontra dagli elenchi camerali del periodo

determinato ad attuare un processo di profondo rinnova-

1885-1900 tendono sempre più a proporre attività alta-

mento urbanistico della città. La introduzione della cinta

mente specializzate con merci di lusso di importazione

daziaria e il rinvio”sine die” delle elementari soluzioni al

parigina o londinese. Ad oggi, dopo più di un secolo, suc-

gravoso problema degli alloggi popolari furono utilizzate

cede che una persona elegante e ricercata nel vestire ven-

al fine di finanziare un vasto progetto di opere pubbliche,

ga ancora definita, in dialetto, con l’espressione “t par un

di edifici di rapprsentanza e di ammodernamento della

lundrin”(“sembri un londinese”). Infine, per completezza,

città che sbalordì anche i contemporanei. Per la fortuna

questo sviluppo urbano attrasse in città anche commer-

dei posteri si decise, intelligentemente, di non gravare

cianti “toscani”, “piemontesi” e “genovesi” che portarono

l’espansione edilizia sulla città esistente, piuttosto di in-

importanti innovazioni qualitative nel settore. La città,

tervenire sui nuovi spazi edificabili già previsti nel Piano

nella bella epoque era veramente uno specchio dei fasti e

Regolatore del 1867, del 1869 e del 1874 e definitivamen-

delle miserie, delle conquiste e delle contraddizioni dell’e-

te dettagliati in quello del 1886 redatto dall’ingegnere co-

poca; ma nacque anche uno spirito cittadino nuovo, con-

munale Leandro Caselli.

diviso che nei momenti cruciali seppe dare grandi lezioni

In poco più di cinque anni, dal 1887 al 1892, la

Vico Fiaschi, avvocato socialista era figlio di Gerolamo Fiaschi, presidente della Camera di Commercio nel 1895. Luigi Campolonghi, autore di una formidabile pubblicazione su Pontremoli. Augusto Fusani, personaggio di primo piano nella vicenda insurrezionale del 1894.

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di umanità e di solidarietà.

struttura urbanistica della città fu completamente rivolu-

In storia, la necessità di periodizzare non sempre

zionata e a fianco della città ancora racchiusa nelle mura

corrisponde coerentemente allo sviluppo della società,

albericiane ne sorse una nuova, ampia, luminosa e ariosa,

dell’economia, della cultura di un territorio. La dettagliata

con una volumetria tripla rispetto alla città storicamente

descrizione del dato economico sociale su di cui operava

esistente da un millennio. Alla fine del 1886 fu consegna-

in maniera incisiva e molteplice l’azione della Camera di

to il nuovo palazzo sede della camera di Commercio. Fu il

Commercio ed Arti di Carrara si è considerato necessario

primo di una lunga serie di interventi e, questo dato non

proprio per la peculiarità di questa istituzione in relazione

è assolutamente casuale. Le ragioni alla base di questa tu-

ad un territorio dominato dalla monocultura del marmo

multuosa febbre edilizia possono essere in parte spiegate

ma non necessariamente e completamente risolto in que-

con l’adozione del corso forzoso della moneta nel 1880

sta. Questa affermazione tende a sottolineare come ci si

che aveva stimolato -come in molte città italiane- l’acqui-

trovi dinnanzi ad un diverso rapporto tra città e campagna


proprio per la struttura e la composizione storica del territorio. In effetti le città sono sei e volendo alcuni centri minori hanno svolto ruoli caratterizzanti e significativi nella determinazione delle vocazioni economiche e commerciali del territorio. Pontremoli concentra rigidamente nel centro storico medievale (su cui si somma l’esperienza architettonica del suo ricco settecento) la stragrande maggioranza delle attività commerciali e produttive comprimendo, di fatto, la campagna circostante al ruolo secondario del semplice consumo. Solo l’arrivo della ferrovia, come ricorda nitidamen-

di fare passare il tracciato su Piacenza e non su Parma.

Alceste De Ambris.

te Luigi Campolonghi, altererà definitivamente rapporti

Della ferrovia, invece e dell’essere snodo obbligato

sociali ed economici secolari sconvolgendo riti, tradizioni,

delle comunicazioni viarie si gioverà Aulla, che crescerà

strutture sociali. Eppure quella ferrovia era stata fortemen-

nelle sue proprie funzioni di centro di commerci anzi, co-

te richiesta e voluta dalla Camera di Commercio e Arti di

struendo proprio su questa vocazione una identità nuova

Carrara, dal deputato Fabbricotti e dal Quartieri. Ne ab-

e fortemente rivolta al futuro. Lo stesso si deve registrare,

biamo traccia nei carteggi dell’archivio; anzi determinante

sempre grazie alla attenta disamina dei registri camera-

fu il ruolo giocato per sconfiggere il tentativo di Genova

li, nella valle del Lucido. Monzone da piccolo borgo ar-

A fianco: Cucine comuniste durante la serrata padronale. Tipica foto del cavatore carrarese nel giorno di festa (1900 ca). Nella pagina successiva: Gruppo repubblicano di San Martino. Sotto, primo sciopero femminile della Lunigiana.

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roccato su di uno sperone figlierà lungo il fiume la sua espansione edilizia di nuovo centro della vallata, grazie proprio a quel progresso dell’industria dei marmi, alla sua costante necessità di aumentare le produzioni, di scoprire nuovi giacimenti. Separata da Carrara dai colossi delle Apuane, connessa alla costa per secoli da esili tracciati, la valle del Lucido ospiterà dagli inizi del novecento una colossale opera ingegneristica, la teleferica del Balzone collegante le cave della società Walton, poste sul versante meridionale del monte Sagro, con i nuovi stabilimenti di segagione e trasformazione sorti a Monzone. In Garfagnana invece, si assistette ad una discontinuità. Da una parte Castelnuovo rafforzava la sua vocazione di principale centro commerciale ed economico della alta valle del Serchio sviluppando nel contempo nuove attività industriali nel settore tessile, dall’altra si andava affievolendo l’antica tradizione delle ferriere, schiacciate dalle produzioni industriali importate dall’estero in virtù dei trattati commerciali. Si rompe l’equilibrio secolare delle campagne garfagnine, inizia una emigrazione definitiva di intere comunità valligiane (es da Trassilico, da Fabbriche verso le acciaierie della Pennsylvania) verso l’estero e, soprattutto verso la costa. Ancora una volta il marmo attrae centinaia di lavoratori giovani che abbandonano le aspre campagne e i monti della valle per tentare un miglioramento della propria condizione. Ma all’inizio del secolo, insieme alla nascita dell’industria dei marmi garfagnina a Vagli e a Piazza, nasceva anche la grande esperienza dell’ energia elettrica, anche questa promossa dalla Camera di Commercio in concerto con il territorio: è il caso del bacino di Gramolazzo.

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Questi non costituiscono così una vera industria, come non la costituiscono le poche arti meccaniche di fabbri, falegnami ,sarti, calzolai e la cui produzione è pure limitata allo smercio locale. Le condizioni industriali del comune di Villafranca sono a presso a poco le stesse. Lambito dalla Magra per circa chilometri 5 verso ponente e traversato dal torrente Bagnone, assai ricco d’acqua anche nella stagione estiva, queste sono, come nel comune di Filattiera impiegate nelle irrigazioni e nel movimento di parecchi molini e frantoi da olio, ma sempre costruiti coi sistemi primitivi e con produzione limitata al consumo locale.

PARTE PRIMA

La Camera di Commercio periodicamente richiedeva ai comuni una serie di informazioni sulle condizioni economiche : le domande erano poche e semplici :“quali sono le principali industrie? , quali sono le arti?, quanti produttori?, quale coltura agraria?”. Da Filattiera Antonio Giuliani nel rispondere scriverà: . Onorevole cavaliere, le notizie di cui è parola nella gentilissima sua dei 26 settembre, sono troppo semplici e poche perché io non debba provare dispiacere nello scriverle” In quegli anni i lavori della ferrovia Parma-Spezia, iniziati nel 1880, erano fonte di speranza per un futuro insediamento di industrie in un territorio che aveva qualche raro esempio di attività industriale nel comune di Fivizzano. Purtroppo nelle carte dell’archivio camerale mancano i dati di Pontremoli, dove erano attivi polverifici, una fabbrica di pasta, una cartiera, una filanda di seta; anche di Aulla mancano i dati, ma è certa l’attività delle fornaci da mattoni. L’industria principale, nel resto della Lunigiana, rimane la produzione agricola: secondo il parere del sindaco di Filattiera Antonio Giuliani “il ritardato sviluppo industriale va imputato alla limitate e difficili comunicazioni cui questa valle è stata condannata fino adesso”. Nelle relazioni si fa affidamento sulla ricchezza di acqua come possibile fonte energetica per l’industria, con l’avvertenza di non precluderne l’utilizzo per l’irrigazione. Interessante è la questione della Garfagnana, dove Raffaello Raffaelli, estensore della relazione fornisce un’analisi dettagliata dell’allevamento quale principale risorsa del territorio.

Capitolo QUINTO

IN LUNIGIANA SI SPERA NELLA FERROVIA, MENTRE IN GARFAGNANA SI FA CONTO SULL’ALLEVAMENTO DEL BESTIAME

12 Scheda

1881-1882

Negli anni 20 la forza lavoro dell’agricoltura, scarsamente meccanizzata, era ancora costituita dai buoi.

Filattiera “Il comune di Filattiera è assolutamente agricolo, né vi fiorisce industria alcuna. Esso è lambito dalla Magra per circa 4 chilometri tra lo sbocco dei torrenti Capria e Monia suoi tributari, ma quelle acque sono principalmente adoperate nelle irrigazioni e, come forza motrice, non altro servono che a muover qualche molino e pochi frantoi da olio, ma costruiti tutti coi sistemi antichi, né altro lavoro fanno oltre quello richiesto dal bisogno locale dei consumatori.

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Un gregge a Monti di Licciana.

Si è non pertanto stabilito recentemente nel capoluogo del comune una fabbrica da paste mossa non dall’acqua, ma da cavallo. Queste paste per la loro buona qualità, trovano mercato nei comuni vicini, non escluso Pontremoli ove è oggi una grande fabbrica di paste e pane mossa dall’acque con macchine costruite coi migliori sistemi moderni Questo stato attuale delle industrie nei comuni di Villafranca e Filattiera . Non è al certo confortante ma è dovuto dall’esser queste due popolazioni eminentemente agricole ed alla limitate e difficili comunicazioni cui questa valle è stata condannata fino adesso. Giova sperare che colla apertura della ferrovia Spezia Parma si troverà modo di stabilire qui pure importanti industrie, senza pregiudizio i delle irrigazioni, come si è fatto nei comuni di Massa ed in quello di Carrara, nei quali bene usando delle acque correnti si è ottenuto di sviluppare la lavorazione dei marmi senza renunziare alla irrigazione. Attendiamo dunque. Colgo l’occasione di professarmi suo devot.mo Antonio Giuliani. Fivizzano “Esistono due filande, una in Fivizzano e una in Soliera, ove sono impiegate per la filatura dei bozzoli complessivamente 100 operaie alle quali si corrisponde la mercede media giornaliera di lire una. Il loro prodotto speciale è la seta grezza che ammonta annual-

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mente a circa 500 chilogrammi per ciascuna filanda e che si esporta nella provincia toscana. Il sistema di filatura è stato ridotto a norma dei moderni perfezionamenti. Si avverte che nel corrente anno la seconda filanda è rimasta chiusa a causa della morte del proprietario. Esiste pure nelle vicinanze una ferriera che è di qualche importanza fabbricando in media due quintali e mezzo di ferro al giorno. Il suo prodotto speciale è ferro greggio in verghe e utensili per l’agricoltura. Gli operai che vi lavorano sono in numero di 8 e ricevono in media la mercede di lire tre, il ferro si commercia in paese e nei comuni limitrofi e la sua fabbricazione si eseguisce secondo i vecchi sistemi. Nel paese di Equi è in attività una piccola fonderia di bronzi il cui prodotto speciale consiste in utensili da cucina che per la maggior parte si smerciano nel nostro territorio. Altra industria si esercitano in questo comune, una concia, fornaci da mattoni e da calce fabbriche di paste che non sono di sì tanta importanza che non meritano particolare menzione”. Bagnone “Dispiaciutissimo di non poter segnalare alla ill.ma speciali industrie di questo comune tranne quella forza che fa la fertilità e natura del terreno si utilizzano e d’anno in anno si sviluppano merce l’opera assidua dei proprietari che nulla trascurano pel loro incremento. Vino, olio,grano, castagne, fieno, legname da ardere e da costruzione, carbone di faggio e cerro, burro, formaggio, lane, pelli, bestiame da macello e da lavoro, polli, ova, ecc. sono generi che in soddisfacente proporzione produconsi in questo comune e vengono fattivamente esportati anche da paesi lontani e ai nostri mercati. Questo capoluogo è ben fornito di botteghe e magazzini dove si trovano tutti i generi necessari agli usi della vita. Non mancano negozi di tessuti, di chincaglieria, di ferramenti e di cera. Vi sono officine di fabbri ferrai e falegnami, di farmacie e drogherie. Se qualche speculatore si recasse in Bagnone gli sorgerebbe tosto l’idea di piantarvi qualche opificio imperocchè per le frequenti forti cascate d’acqua egli avrebbe quasi senza spesa la forza motrice per suo opificio. Ha preso qui da noi uno sviluppo l’industria serica sono pochi anni che è piuttosto soddisfacente, ma vuoi per la cattiva qualità del seme che i coltivatori di tale industria mettono in incubazione, vuoi per l’incostanza della stagione questo prodotto è sempre inferiore alla media. La mercede degli operai non sta in relazione a quella che viene corrisposta altrove specialmente all’ estero. Qui al manovale si


paga da lire 1,1 a 1,90; al muratore da lire 2 a lire 3, allo scalpellino da lire 2,50 a lire 3,90 al falegname da lire 2 a lire 3. Conseguentemente ogni anno si verifica una forte emigrazione di circa 600-800 individui. Il sindaco Pedretti “ Mulazzo Da Mulazzo il sindaco Orlandini risponde : “In questo comune non vi sono industrie... solo molti di questi abitanti esercitano l’industria di rivenditori ambulanti di pietre, libri e chincaglierie nei diversi comuni del regno e all’estero. Le arti che si esercitano sono il falegname, il muratore,il sarto che va detta di poco conto. Non essendovi industrie locali le colture agricole principali sono quelle delle viti, del frumento del granturco legumi, fieni e pascolo, e dei castagni.” Garfagnana Da Fosciandora il 21 ottobre 1881 Raffaello Raffaelli presentò alla Camera di Commercio una relazione dettagliata con interessanti considerazioni “Sulla importanza del bestiame nel circondario di Garfagnana sotto il rapporto industriale e commerciale”. A differenza delle annotazioni dei sindaci lunigianesi, che liquidano sbrigativamente l’apporto dell’agricoltura ad un possibile incremento industriale, dalla Garfagnana si punta decisamente, e con dati alla mano, sulle grandi opportunità che prospetta l’allevamento. Molto interessanti sono le annotazioni che riguardano, ad esempio, la cura della produzione di formaggi misti di latte di pecora e mucca per la cui produzione si fanno coincidere i tempi di parto di pecore e mucche. È significativa la notizia della vendita delle pecore vecchie nelle zone del Frignano per l’ingrasso e l’utilizzo delle loro carni, mescolate a quelle del maiale, per la produzione di salami. Questo particolare antico salume di maiale e pecora si sta cercando di riproporlo a Zeri, dove per la recente valorizzazione della pecora zerasca, attuata da un gruppo di eroiche ragazze guidate da Cinzia Angiolini, punta sulla qualità dell’agnello, ma anche sull’utilizzo della lana e degli animali più vecchi e non più produttivi: “Non mi fermerò a parlare dei quadrupedi da tiro e da soma e da sella, i quali per quanto si trovino in numero di 246 cavalli, 275 muli, 797 asini, pure essi non servono che al bisogno dei trasporti e dell’agricoltura. Tratterò piuttosto del bestiame vaccino, ovino, caprino e suino che forma se non la prima, cer-

to una delle principali risorse del paese. Predomina in questi luoghi una razza speciale di vaccina indigena, come quella che la esperienza ha dimostrato la più utile ed adatta a queste località. Esse sono piuttosto piccole, di manto grigio, leggiere, agili pei monti, e assai produttive di latte. Di fatto ogni vacca purché tenuta come si deve, produce annualmente 100 chilogrammi circa di formaggio e burro ed un vitello del peso medio dai chili 60 ai 70. Quindi il suo prodotto annuo ragguaglia quasi al 100%, ed eccovi la prova. Una di queste vaccine costa in media lire 200, i vitelli si vendono al prezzo medio annuo di lire 8,60 il peso di libbre 21, pari a chili 8,333 e quindi per un vitello di pesi 8, ossia di chili 66,666 si hanno lire 120 Formaggio e burro chili 100, lire 1,20 il chilo, 120,00. Prodotto totale annuo lire 188,00, vi è inoltra da calcolare. Vi è inoltre da calcolare il concio che si ottiene dalla vaccina... Non in tutta la Garfagnana si fanno le così dette caciaje , ove generalmente si confezionano dei buoni formaggi unendo al latte di vacca quello delle pecore che i contadini tengono nel podere. Nei luoghi più pianeggianti, vicino alle strade rotabili principalmente, si fa invece un attivo commercio di vacche, come a Pive a Fosciandola, Castelnovo, ecc. e vaccine. Quegl’industriosi coloni recansi nei luoghi più lontani da loro e vanno comprando le migliori manze che vi si trovano e condottele alle loro stalle le ingrassano, le custodiscono con diligenza speciale e le rivendono con molto vantaggio ai lucchesi, ai bolognesi, agli abitanti del frignano che in diversi tempi dell’anno vengono a provvedersene. Questi contadini non fanno le cosiddette caciaje per vendere il formaggio alla fiera di Castelnovo, ed il loro cacio ha meno pregio, non contenendo lette di pecora... con le vacche arano pure i campi non esistendo buoi in tutto il circondario... i vitelli, prescelte le femmine da allevarsi, si vendono ed oltre questi che servono per macellazione pel consumo interno , gli altri si trasportano settimanalmente con modo barbaro ed antigenico straziati su dei birocci a Livorno a Pisa e a Firenze ove giungono sempre febbricitanti e quindi non ugualmente buone sono le carni. Le vacche vecchie si vendono generalmente ai lucchesi che ingrassate le mandano anche all’estero. 8319 sono i capi di bestiame. RAZZA OVINA Anche le razze delle pecore sono assolutamente indigene e ben conservate con riproduttori che si allevano opportunamente fra i migliori individui della specie.questa razza di pecore non

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Mucca Pontremolese. (Foto Vannozzi, Archivio ARSIA).

Sotto: Alcune fasi delle lavorazioni tradizionali della carne suina.

ha nessuna analogia colle inglesi né con alcun tipo di merinos spagnoli e francesi, ne colle razze dei Pirenei e se evvi una somiglianza che si avvicini ad un tipo conosciuto dai naturalisti si è quella così detta barbaresche di cui trovansi mandre specialmente nel nord dell’Africa ove sono molte sparse per le campagne della colonia francese. Da ogni pecora ottengonsi in media grammi 666 sui primi di maggio e circa 330 grammi a settembre, la prima vendesi a lire 1, la seconda fra i 60 e 70 centesimi. Gli agnelli, prelevandone annualmente un certo numero per allevarsi e sostituire le pecore che si vendono per vecchiaia (fra 7 e 8 anni quando principiano a perdere i denti) si esitano con molto vantaggio a Lucca, Pisa, Livorno, Firenze - Da ogni pecora si ottengono lane che costano fra lire 5 e lire 6 ; chili 8 di cacio e ogni pecora costa lire 18 e dà un prodotto al 100%. Si hanno 43.744 capi e non tutte queste mandrie si trattengono continuamente. Alcune più numerose emigrano al sopravenire dell’invernale stagione e son condotte nelle pianure lucchesi, pisane e nelle Maremme. Rimangono nelle loro stalle quelle che formano dote di poderi e si procura farle fecondare per modo che partoriscano circa un mese o 40 giorni prima di pasqua, sia perché a quell’epoca si esitano con maggiore vantaggio gli agnelli, sia perché allora che si sgravano anche le vacche di quei predi ove fanno le caciaje. Le pecore vecchie si vendono nel mese di novembre o decembre agli abitanti del Frignano che le ingrassano e le macellano per salame la carne come quella dei maiali e farne loro cibo durante l’inverno. SPECIA CAPRINA Si hanno 4456. Questi animali destinati dall’Autore della natura a popolare località dalle quali non potrebbe altrimenti ottenersi alcun prodotto sono assai fruttiferi ed economici pel loro vitto prediligendo gli arbusti che nascono nelle montagne, sebbene rocciose. .., il loro dente però è dannosissimo e quindi non possono

188

tenersi nelle località coltivate. Bene a ragione sotto il governo estense una legge del 30 gennio 1826 determinava una linea in queste alte montagne, sia dell’Appennino, sia delle Alpi Apuane, al di sotto della quale non potevano tenersi le capre. Le capre producono un frutto considerevole di fronte al suo valore ottenendosi oltre 2/3 più di latte di una pecora, e partorendo quasi sempre due capretti... siccome il capretto ha un valore superiore all’agnello, attesa la migliore qualità delle carni. La carne di capra si usa in questi paesi è molto salubre e quando sia magra produce un brodo migliore di quello di vitello e di vacca, il suo tenue valore fra i cent. 60 e90 il chilo permette che possano usarne frequentemente anche i contadini con molto vantaggio. Le pelli poi si vendono in ragione della grandezza e del peso e si spediscono all’estero. SPECIE SUINA Non esistono razze suine in tutto il circondario la provvista dei molto piccoli maialini si fa principalmente sui mercati settimanali di Castelnovo anche nelle fiere di settembre nelle montane reggiane modenesi, dove vanno i garfagnini a provvedere i cosiddetti magroni che in 3 o 4 mesi s’ingrassano per macello... E siccome si spende molto in altri paesi, la Garfagnana potrebbe introdurre razze, specialmente nell’alto circondario ove trovansi querce e roveri che somministrano buone quantità di ghiande e dove si fa abbondante raccolto di piccole fave, dal giorno di san Michele il 29 settembre. S’incominciano a fare ottimi insaccati coteghini, salsicce, mortatelle dette comunemente bondiole, coppe di cui si fa gran esportazione insieme a prosciutti pel lucchese e la Toscana.”


Cinque anni dopo la festa per l’arrivo del primo treno, il tre maggio del 1893, in Camera di Commercio si prese visione di una lettera inviata da Camillo Cimati, fino al 1894 sindaco liberale di Pontremoli e poi, a partire dal 1895, deputato e dal 1920 senatore del Regno. La vivacità dell’economia pontremolese era già un ricordo: con la chiusura dei cantieri era venuto meno l’apporto di centinaia di lavoratori e le parole del sindaco Cimati furono esplicite. “Il commercio che si teneva vivo ed esteso fra noi durante le grandi lavorazioni della Parma-Spezia essendo venuto assolutamente a mancare per la completa cessazione di queste, indusse questo consiglio comunale a studiare un mezzo per nuovamente incoraggiarlo. Istituì di fatto una fiera mercato di bestiame in genere, da tenersi mensilmente nella lusinga che il commercio potesse risorgere e riacquistare così vita ed incremento il nostro paese. Ma andati frustrati i primi tentativi, questa giunta municipale operò saviamente che per far sortire i desiderati effetti dall’istituiti mercati , era assolutamente indispensabile il conferire eziandio dei premi ai migliori espositori ed infatti il primo mercato con premi riuscì animato anche oltre aspettativa” La richiesta del sindaco di Pontremoli fu presa in considerazione dalla Camera di Commercio e proprio sul sostegno allo sviluppo e al miglioramento delle razze la Camera sarà poi presente per molti anni, con la vicinanza a tutte le amministrazioni che avviavano fiere e mercati di bestiame. Questo interesse, già fatto proprio dalla Camera a fine ottocento, anni dopo fu certamente rinnovato anche per l’attenzione che il governo nazionale ebbe per la ripresa dell’agricoltura. La crisi dell’agricoltura che si ebbe tra il 1915 ed il 1918, quando gli uomini più validi furono chiamati al fronte, fu aggravata quando a fine guerra si contarono migliaia e migliaia di caduti ed al lavoro dei campi continuarono a dedicarsi donne, bambini e anziani. Nell’anno 1920, il comune di Pontremoli chiese nuovamente l’aiuto della Camera per la ripresa di quelle fiere che erano state sospese nel 1916, in piena guerra: “Il 16 agosto 1920 si terrà a Pontremoli la IX mostra zootec-

nica Circondariale a premi per il bestiame bovino, verranno distribuiti premi per tori, torelli,vacche,vitelle da razza per il valore complessivo di lire 2.400 nonché i diplomi appositamente compilati e alcune medaglie di argento dorato concesse dal ministero dell’ agricoltura. Le mostre eseguite dal 1903 al 1916 portarono un apprezzabile risveglio zootecnico negli allevatori di Lunigiana e della Garfagnana. Pontremoli oggi inaugura la ripresa di queste benefiche mostre e vogliamo sperare che gli allevatori della valle della Magra sappiano trarne profitto con ampio concorso”. La manifestazione pontremolese vide in primo piano proprio l’intervento della Camera: assieme all’Eccellenza Camillo Cimati fu chiamato a far parte del Comitato d’Onore il suo presidente Cav. Nob. Alessandro Giorgini. A presiedere il comitato direttivo fu il Cav. Magg. Girolamo Bocconi; vicepresidente il cav. Uff. Dott. Lisi Garibaldo, segretario Francesco Galli, cassiere il Marchese Alberto Dosi. Per l’organizzazione della manifestazione fu costituito un consiglio del quale facevano parte i sindaci di Bagnone, Filattiera, Mulazzo, Pontremoli,Villafranca, Zeri, il Presidente dell’ordine dei Veterinari Barattini dott. Alfonso, il Veterinario Provinciale Turri dott. Vito. Allevatori e proprietari possidenti furono anch’essi chiamati a far parte del consiglio: Angella Ermengildo, Angelini Felice, Cheli avv. Carlo, Binotti cav. Olindo, Bologna avv. Pietro, Brazzi Dott. Pietro, Ferrari Col. Dott. Pietro, Ferrari Giuseppe, Gallione dott. Carlo, Giulianotti Cristoforo, Pallatroni Pietro, Pasquali Vito, Pretti Attilio,

PARTE PRIMA

la valorizzazione della razza pontremolese, la sua scomparsa e il suo ritorno

Capitolo QUINTO

FIERE E MOSTRE ZOOTECNICHE:

13 Scheda

“... nell’interesse generale della collettività e poi in quello maggiore della pace sociale, si avanza viva e commovente preghiera a codesta onorevole Camera di Commercio...”.

Pubblicazione relativa alla IX Mostra Zootecnica del circondario di Pontremoli.

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Salvatori Gualfredo, Schiavi Armando, Rossi Cav. Uff. Enrico, Taddei Ferdinando, Zini Dott. Beniamino. Nel Regolamento della Mostra si fece esplicito riferimento all’Associazione Nazionale Veterinaria Italiana, sottosezione della Provincia di Massa e Carrara, come ente promotore dell’evento nel contesto della fiera di bestiame del 16 agosto e fu deciso di ammettere alla mostra soltanto gli animali appartenenti agli allevatori del mandamento. A giudicare gli animali fu una commissione composta da due veterinari e tre allevatori, esclusi i partecipanti alla mostra: due di essi eletti dal comitato direttivo, il terzo allevatore eletto a scrutinio segreto da tutti gli allevatori-espositori. Poiché l’obbiettivo di queste iniziative fu quello di promuovere il miglioramento del patrimonio zootecnico, agli allevatori premiati si prescrisse, oltre all’obbligo di far portare all’animale il marchio impresso dalla Commissione, il divieto di vendere l’animale al di fuori del territorio circondariale di Pontremoli. Premi per complessive 900 lire furono destinati alle sei premiazioni dei tori da 12 mesi a 4 anni di età , tipo locale a mantello rosso; 625 lire per i torelli, 325 alle vacche da riproduzione, 225 alle manzette fino a 11 mesi di età e 325 alle manzette già atte alla riproduzione. Ancora nel 1920 la rossa pontremolese era l’unica grande protagonista dell’allevamento bovino dell’alta Lunigiana: con una meccanizzazione quasi del tutto assente, la mucca pontremolese aveva il grande pregio dell’ottimo adattamento all’ambiente, della velocità e della robustezza che la rendevano adatta anche per il traino ( i buoi pontremolesi erano impiegati anche nelle cave di marmo). La produzione di latte era scarsa, ma aveva grandi proprietà nutrizionali. Nell’Atlante delle Razze Italiane, la razza pontremolese è indicata dal dottor Alessio Zanon come “la razza Bovina italiana con il minor numero di esemplari. Intorno al 1940 il numero dei capi si aggirava circa a 15000 per passare nel 1960 a 5700 fino a giungere al definitivo tracollo della popolazione, 13 capi censiti nel 1983” Nel marzo 2011, a quarant’anni dalla scomparsa della razza pontremolese dagli allevamenti lunigianesi, un’iniziativa della Comunità Montana, dopo anni di ricerche e selezioni, ha riconsegnato una decina di “ritrovate” pontremolese, compreso il toro Gulliver, ad allevatori di Fivizzano e Pontremoli ed è anche nato il primo “vitello pontremolese”. Padre del salvataggio della Pontremolese è stato Francesco Magnavacca che donò i suoi ultimi capi alla Comunità Montana della Garfagnana, ma l’attuale reintroduzione è

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stata resa possibile dall’intervento della Provincia e della Regione Toscana. La Mostra pontremolese dell’agosto 1920 anticipò la sollecitazione che da Firenze fu fatta pervenire alla Camera con una lettera anonima, con la dizione urgentissima e archiviata nel fascicolo “Cattedre Ambulanti e simili” “Ad Alessandria ed a Firenze sono sorti comitati provinciali di propaganda per l’incremento e per l’intensificazione della coltura dei cereali, piante alimentari ed ortaggi, offrendo importanti premi in denaro e medaglie ed in menzioni a tutti coloro che si dedicheranno con tenacia e zelo a maggiore produzione. A tale scopo e nell’interesse generale della collettività e poi in quello maggiore della pace sociale, si avanza viva e commovente preghiera a codesta onorevole Camera di Commercio, perché si compiaccia favorire in comune accordo coi consorzi, comizi ed altri sodalizi agrari di codesta provincia la costituzione di sì importante comitato di propaganda. Codesta rispettabile Camera di Commercio sarà altresì tanto compiacente di collegarsi immediatamente con quelle limitrofe della provincia per si vitale bisogno, non che per facilitare ancora una maggiore intensività per lo sviluppo e l’incremento del nostro patrimonio zootecnico, si duramente assottigliato durante la guerra. Chi si volta a tale obbligo - che è oggi un alto dovere sociale e patrio - è considerato un aperto nemico dell’umanità, del bene pubblico, del proprio paese, e partecipa alla disorganizzazione sociale. Codesta patriottica, nobile, ricca, fertile ed ubertosa provincia può e deve produrre molto e molto di più in generi alimentari ed agricoli per il bene di tutti. Bisogna produrre fino al massimo sforzo, fino alla massima energia, perché si ritorni quanto prima la quiete e la pace nel nostro paese, così tanto e tanto necessaria.” Attualmente le fiere di bestiame sono quasi del tutto scomparse in Lunigiana: resistono, anche con l’interesse della Camera, le fiere del Cavallo di Comano e quella del cavallo Bardigiano a Zeri. Negli anni settanta ha chiuso battenti anche il foro boario che era stato aperto ad Aulla, all’uscita dell’autostrada e solo da tre anni è ripresa la rassegna del bestiame nell’ambito della fiera di san Genesio del 25 agosto, a Filetto. Nell’indagine più recente dell’Istituto di Studi e Ricerche il comparto dell’allevamento del bestiame ha visto diminuire notevolmente il numero dei capi allevati, ma - come accade nel settore viticolo - si nota un miglioramento qualitativo della produzione, basti pensare all’agnello di Zeri ed ai bovini da carne.


La Camera di Commercio dice la sua sulla denominazione della Provincia, con Massa abbinata a Carrara

Scheda

Ogni tanto ci riprovano a cambiare denominazione alla Provincia di Massa-Carrara: ancora nel 2009 è stata presentata in Parlamento una proposta di legge per tornare alla denominazione di Massa e Carrara che si trova nel decreto n. 79 del 27 dicembre 1859 del dittatore delle province modenesi e parmensi Luigi Carlo Farini e, successivamente, fu ripresa nel Regio Decreto del 16 dicembre 1938, n. 1860. Il dittatore Farini, colpevole di aver disegnato gli assurdi confini della neonata provincia, da lui denominata Massa e Carrara, col suo provvedimento di fatto aveva spezzato in due un territorio che pure aveva un’unità culturale, tra-

mandata nel segno dell’antica diocesi di Luni e che poi, nel corso del novecento, cederà ancora porzioni importanti del suo territorio a Lucca e Genova (poi La Spezia). Le tante polemiche su quella e che, sostituendo il trattino, metterebbe sullo stesso piano le due città assumono ancora oggi i toni di un esercizio di campanile, più che di sostanza. I dirigenti della Camera di Commercio nel 1864 constatarono che la nuova denominazione della Provincia procurava un danno agli operatori commerciali di Carrara. Corrispondenze, bagagli, rappresentanti di commercio diretti a Carrara si indirizzavano a Massa, ritenendo che Massa e Carrara fossero un’unica città. Si fece notare che la denominazione aveva da subito originato molti inconvenienti e provocato esposti e reclami proprio da parte di alcuni commercianti di Carrara e si deliberò, così, di “presentare ricorso al Ministero per esprimere i danni che ne provengono al commercio”. La giunta camerale decise che in tale istanza dovesse essere citato il ritardo “che avviene talvolta nella corrispondenza e gli equivoci sulla spedizione di oggetti e nel passaggio stesso dei commercianti i quali confondono in una le due città e si recano a Massa con molta perdita di tempo”. Poi, ad ulteriore supporto della richiesta, avanzò la sua proposta per la nuova denominazione della provincia: “Vogliamo poi essere indicate le varie denominazioni date pel passato a quella città di Massa: Massa Ducale, Massa Estense, Massa di Carrara, e come, senza volersi erigere a maestri, per evitare ogni confusione si sarebbe egregiamente chiamata Massa Lunense”. Forse, se si fosse ascoltata la Camera di Commercio, non saremmo ancora qui a discutere fra il trattino che separa, e la e che congiunge e, questione da non trascurare, si sarebbe data soddisfazione a quella gran parte del nord della provincia dove è oggi erroneamente confinato il nome di Lunigiana.

PARTE PRIMA

14 Capitolo QUINTO

“Per evitare ogni confusione si sarebbe egregiamente chiamata Massa Lunense”

Uno dei primi stemmi a stampa del municipio di Massa in epoca post unitaria.

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Scheda

Capitolo QUINTO

PARTE PRIMA

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Carrara: ferrovia marmifera, i ponti di Vara. Si vedano i rinforzi messi in opera dopo l’attentato dinamitardo dei bovari. (Archivio Camera di Commercio, 1910 ca.)

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Letterati illustri alle cave: cave e letteratura italiana

Nel 1915 si era aperto, per la verità un poco in sordina, il servizio di tram tra Carrara e Marina, dando vivace impulso ai collegamenti urbani, lungo la recente ed ariosa arteria stradale di viale XX Settembre. Il viale iniziato nel 1906 e compiuto nel 1910, si prolungava in sostanza parallelamente al percorso della ferrovia, segno di quanto quest’ultima avesse profondamente inciso il tessuto urbanistico del territorio carrarese. Sia però detto che neppure la ferrovia marmifera disdegnava il trasporto passeggeri, al punto che la visita in treno alle cave era descritta e consigliata dallo stesso Touring Club Italiano nella sua famosissima guida. A partire dagli anni del primo dopoguerra fino agli anni ‘40, la stampa nazionale ed estere, e la stampa illustrata in ispecialmodo si occuperanno numerose volte di Carrara, le sue cave e della sua ferrovia.

Riconosciuto all’industria lapidea il rilievo e il riguardo dovuto, le cave e il loro lavoro divenivano sempre più oggetto di curiosità e di interesse diffuso. Numerose sono infatti in quegli anni le visite di personaggi di spicco alle nostre cave, e molte hanno lasciato un vivace ricordo nella cultura letteraria europea. Mentre Pirandello pare prediligesse l’umile asinello per la sua salita alle cave, e D’Annunzio la maschia arrampicata a piedi, il pigro e simpatico ingegner Carlo Emilio Gadda consacrava il treno del marmo nelle buone pagine della letteratura italiana, lasciandoci questa vivace descrizione: “La ferrovia a scartamento della Marmifera (...) ha avuto laboriosi natali e poi tutta una storia e una gloria; ha un traffico bianco unisenso di cubi zuccherini e compatti, che non richiedono imballo, e dei macchinisti più neri del loro fumo. Per gallerie e viadotti accede a sbocchi dei valloni più fertili: (tra cui Ravaccione, Lorano, Colonnata, Fanti Scritti). Il trenino eroico sale ad avanti-indietro, superando un tracciato pendolare come quello della vecchia porrettana, invertendo cinque o sei volte la marcia: si studia non precipitare dal colmo delle arcate, coi suoi cubi di zucchero, e in coda (o in testa) c’è un vagonetto passeggeri a 32 posti, e coi finestrini. Ci consegna neri alla chiostra scheggiosa dei ravaneti, dove dimentichiamo che esiste l’erba, la stoppia. Dove ci prende l’ossessione della pietra: quando, come, che cosa mangeremmo se il mondo fosse tutto così? Poi pensi, risuscitando, che massi e lastre vanno anche in America, in Germania, in Inghilterra, in Ispagna; che pagano la lana e il carbone, il rame e il petrolio”.


PARTE PRIMA

ale volontà del ministero di costruire un porto moderno e funzionale. Apparve chiaro come, le forti opposizioni alla costruzione di un porto provenissero sia dalla sede locale che da La Spezia e Livorno, per i quali, la sottrazione di traffici legati o conseguenti al commercio dei marmi significava una significativa flessione di imbarchi e sbarchi. Interprete della necessità della costruzione di un porto moderno nonché appassionato e disinteressato fautore dell’importanza civile ed economica di quella realizzazione, fu Eugenio Chiesa, milanese, eletto deputato di Car-

Capitolo QUINTO

Nel novembre 1901, un’incredibile ondata di piena del fiume Magra trascinò alla deriva in mare aperto una trentina di navicelli che erano ormeggiati “in andana” alla foce del fiume, dove solitamente sostavano in attesa di recarsi ai pontili caricatori di Marina. Naufragarono i navicelli Fiorino, Ernani, Fratelli Pelliccia, Canal del Rio, Corinna Vecchia, lo schooner America e il gozzo Primo, alcuni si incendiarono a causa dei fulmini, tutti riportarono gravi danni per l’improvvisa ondata di piena e in quel disastro morirono due ragazzi, mozzi a bordo dei navicelli naufragati, mentre altri furono salvati dal coraggioso intervento di Carlo Andrea Fabbricotti che su un gozzo di pescatori sfidò la piena per portarli in salvo. L’impressione suscitata da quell’evento fu fortissima, così l’indignazione della comunità marinella, profondamente colpita da quel disastro. Apparve allora ancor più chiara la transitorietà insita nella soluzione offerta dai pontili caricatori, mentre l’esigenza di un porto sicuro e moderno, capace di soddisfare le esigenze della vivace marineria locale e quelle ancor più pressanti della esportazione marmifera, diveniva non più procastinabile. Nel 1904 la commissione nominata dal ministro dei Lavori Pubblici per lo studio del piano regolatore dei porti italiani individuava la necessità di “munire il porto di Avenza di opere di difesa”, conseguentemente presentò un piano per la costruzione del porto, stimando in una spesa complessiva di cinque milioni di lire i costi per la realizzazione dello stesso. Questa indicazione di massima fu approvata dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici il 15 novembre 1907, autorizzando così sul bilancio del 1908 la spesa di lire un milione per la costruzione di un primo tronco di moli a ponente e a levante. Questo primo progetto, conosciuto col nome del suo estensore, Ing. Lo Gatto, non prevedeva sostanziali sviluppi del porto marinello, ma si limitava alla blanda difesa dei pontili caricatori. L’insoddisfazione generale conseguente alla presentazione di quel progetto, rese evidente la mancanza di una re-

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Il Porto di Carrara dal progetto alla realtà (1900-1922)

Marina di Carrara, il porto al tramonto. (Foto di Daniele Canali, Archivio Camera di Commercio.)

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rara nel 1906 per il partito Repubblicano. Egli si batté a lungo per promuovere un nuovo progetto che, a parità di spesa prevista, possedesse i necessari requisiti per un futuro sviluppo del porto. La costante e comune azione del Comune di Carrara, della Camera di Commercio e dell’onorevole Chiesa portarono, su suggerimento di questi, ad individuare nell’ingegner Ignazio Inglese, Ispettore superiore del Genio Civile, il nuovo progettista. Il nuovo progetto da questi compilato, che preventivava una spesa di lire 5.500.000, fu approvato dal Consiglio superiore dei Lavori Pubblici il 18 agosto 1911, e poco più di un mese prima, il 15 luglio, veniva pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge n°749 “per la riscossione della tassa sui marmi, abrogante il R.D. 19 settembre 1860 istituente il diritto di pedaggio marmi a favore del Comune di Carrara, imponendo che una parte di quel pedaggio fosse erogata a favore della costruzione del porto a Marina di Carrara., gravando di fatto l’onere della spesa prevista sull’industria carrarese, principale beneficiaria dell’opera prevista. Il 27 marzo 1912 l’Ing. Inglese presentava al Consiglio Superiore LL.PP. il progetto esecutivo del porto, e il 15 ottobre, il sindaco di Carrara, Avv. Eumene Fontana, richiese che il Comune potesse prevedere direttamente alla esecuzione dei lavori, anticipando la somma di un milione, come previsto dalla legge 14 luglio 1907 n° 542 sulle opere marittime; detta domanda fu accolta dal Consiglio Superiore LL.PP. il 17 giugno 1913. Appare chiaro come l’esasperante iter burocratico rallentasse oltremisura la realizzazione del progetto dell’Ing. Inglese. Questi aveva previsto all’imboccatura del bacino portuale una profondità di 9 metri, facilmente estendibile alle banchine, tale da consentire l’ingresso anche ai grossi piroscafi, a conferma di un utilizzo presente e futuro dello scalo marinello. Il progetto copriva uno specchio d’acqua di circa 41.000 mq, posto agli estremi dei tre pontili caricatori, con un molo a ponente di 540 metri, uno a levante di 560 e una diga frangiflutti di metri 740, una banchina addossata ai moli di complessivi metri 840 e larga 10, adagiata su pali in cemento infissi nel suolo fino ad una profondità di 13 metri e sovrastrutture in cemento armato. La bocca del porto, rivolta a mezzogiorno, permetteva una protrazione indefinita in relazione all’eventuale ritirarsi delle acque, la diga invece fungeva da efficace protezione dalle mareggiate di libeccio, conferendo al porto un aspetto trapezoidale; infine, il fondale del bacino, tale da permettere

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l’approdo di moderni vapori era superiore a quello dello stesso porto di Livorno. A favore di questo progetto deponeva soprattutto il fatto che dalla spiaggia di Marina partivano considerevoli quantitativi di merci, al punto che nel 1915 il piccolo porto occupava il 21° posto nella classifica dei 1192 scali marittimi italiani, con imbarchi medi di 130.000 tonn. annue di marmo tra il 1900 e il 1913. L’anno precedente, 1914, erano partite da Livorno, trasbordate dai navicelli apuani o giunte via ferrovia, 367.310 ton. di marmi, per un capitale di circa 40.000.000 e per una spesa complessiva annua di due milioni in soli trasbordi. Per questa ragione diviene evidente che, la comunità carrarese, costruendo un suo porto avrebbe ricavato rapidamente vantaggi economici e funzionali di grande importanza. L’opposizione dei livornesi al progetto di porto non si fece attendere, e tramite l’Ing. Greco dell’Ufficio Opere Marittime di quella città, venne un parere nettamente negativo al progetto Inglese, sostenendo che il porto si sarebbe comunque celermente e stabilmente interrato; le motivazioni addotte non erano di natura eminentemente tecnica, piuttosto riconducibili ai motivi di interesse economico che contrapponevano le due località: non fu quindi difficile, per l’On. Chiesa chiedere ed ottenere il trasferimento dell’Ing. Greco ad altra sede. Altra opposizione veniva dalla Amministrazione Provinciale, e soprattutto dalle forze politiche e sociali della Lunigiana e di Massa. In effetti, la provincia di Massa e Carrara, frutto della giustapposizione risorgimentale di vari territori dei cessati governi, priva di una omogeneità politica ed economica, o di un primato urbano storicamente consolidato, aveva sviluppato originali equilibri nella gestione del potere economico, politico ed amministrativo. Se Carrara era di gran lunga il centro economicamente e politicamente più vitale, capace per decenni di esprimere il deputato del collegio, l’Amministrazione Provinciale, fungeva da momento di compensazione per le altre realtà territoriali. La Lunigiana, sempre più gravitante sull’areale economico spezzino a seguito della costruzione dell’Arsenale Marittimo e della linea ferroviaria La Spezia-Parma, la Garfagnana, chiusa in un particolarismo che la porterà dopo il primo conflitto mondiale ad unificarsi a Lucca e Massa, centro del tradizionale momento amministrativo e sede delle delegazioni di governo, avevano sempre espres-


so una comune egemonia nella direzione dell’organismo provinciale. Dunque la commissione che avrebbe dovuto relazionare al Consiglio Provinciale sul progetto di porto, si espresse negativamente sul progetto dell’Ing. Inglese, concludendo che “ci sarebbe sembrato preferibile il primo progetto Lo Gatto”. Quel progetto, secondo i relatori, aveva il pregio di non entrare in concorrenza con il porto di La Spezia per le spedizioni di marmo oltre oceano. Animata dall’Ing. Quartieri di Bagnone, rappresentante degli interessi lunigianesi gravitanti sulla Spezia, quella tesi trovava sostegno addirittura nell’Avv. Pietro Bologna di Pontremoli, socialista, poi sindaco di quella città, e dell’Avv. Francesco Betti, esponente di spicco del socialismo apuano e leader indiscusso dei socialisti massesi, in chiaro e netto contrasto con i socialisti di Carrara. Si presentò quindi un ordine del giorno per verificare se i dubbi sul futuro possibile interramento del porto avessero o no fondamento, ma la discussione animata in Consiglio Provinciale non produsse i risultati sperati dagli oppositori del porto marinello, anche perché il contributo della provincia ammontava al 15% della spesa totale, essendo l’imbarco di Marina considerato di seconda classe, e non gravava quindi in misura notevole sui bilanci della stessa. Infine, l’11 gennaio 1915 si giunse alla firma della convenzione tra lo Stato e il Comune di Carrara, presenti il Sindaco Eumene Fontana e l’On.. Eugenio Chiesa. Un manifesto affisso per cura della Giunta Municipale salutava entusiasticamente l’evento, e così la popolazione civile, specie a Marina. Si può dire, eufemisticamente, che il progetto dell’Ing. Inglese era, finalmente, “giunto in porto”. L’imminente scoppio del primo conflitto mondiale rimandò ancora di qualche anno l’effettivo inizio dei lavori. In una nuova convenzione tra Stato e Comune di Carrara del 10 giugno 1919 si prevedeva la costituzione dell’Ente Portuale di Carrara” che avrebbe gestito sia la realizzazione dell’opera che la sua successiva gestione nei settant’anni a venire. Determinata la nuova spesa in 8.800.000, lo stato si accollava il 70% dell’onere complessivo; 6.160.000 lire pagabili in 50 annualità di lire 363.895 ciascuna. La prima pietra fu posta nel febbraio del 1922 per opera dell’impresa milanese Bianchi, Righetti e Tettamanti e, calcolando i proventi della tassa marmi e una lira a tonn. di marmo imbarcato, stando alle tariffe ufficiali dell’Ente Portuale, la parte più gravosa della spesa per la costruzione del por-

to ricadde sulla comunità locale. Aperta una cava di pietra nella collina di Codupino, lungo la strada Aurelia, i massi giungevano sul luogo dei lavori per mezzo di una ferrovia a scartamento ridotto che attraversava la macchia della Partaccia fino al cantiere dell’impresa; cinque anni furono necessari per i soli lavori di completamento della testata della diga di ponente, per la realizzazione della quale fu necessario abbattere il pontile Thomas Pate. Nel 1929, dopo due anni di lavori svolti sempre a rilento, furono realizzati i primi 200 metri di diga foranea e i 560 della diga di levante. Agli inizi degli anni trenta l’opera, tutt’altro che compiuta, tracciava grossomodo le linee essenziali del futuro porto, e in qualche misura ne svolgeva alcune funzioni, offrendo attracco a piccoli bastimenti a vela, navicelli e a piroscafi di maggiore stazza che collegavano Marina di Carrara con i porti inglesi. Motivo di tanta lentezza nella esecuzione dei lavori è da ricercarsi negli avvenimenti e nei profondi sconvolgimenti che avevano segnato il decennio appena concluso.

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Scheda

Capitolo QUINTO

PARTE PRIMA

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Castello di Massa, vista sud-ovest. Il Castello di Massa sorge nell’anno BBB e si consolida.

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I PONTI E L’ECONOMIA DI UNA VALLE Il ponte di Pallerone

In un territorio segnato da una fitta rete di corsi d’acqua l’esistenza i ponti era ed è di vitale importanza per l’economia: ne è prova l’isolamento di interi paesi dopo l’alluvione dell’ottobre 2011 ed i disagi che ancora oggi le popolazioni subiscono. Qualcosa di analogo accadde nel 1451, quando crollarono quasi tutti i ponti della Val di Magra e quello di Aulla, sull’Aulella, fu ricostruito solo dopo l’unità d’Italia. Dopo l’apertura del ponte sull’Aulella, sulla strada per Sarzana, nel 1879 era stato inaugurato anche quello, sempre sull’Aulella, in direzione di Pallerone sulla strada per Fivizzano, Monzone, Equi e soprattutto per le cave di marmo. Con l’apertura del ponte per Pallerone, alla cui costruzione aveva contribuito il comune di Fivizzano, il comune di Aulla alienò la “barca traiettoria”ed il casotto di servizio ad uso del traghettatore : la Deputazione Provinciale approvò la vendita, a condizione che il ricavato fosse investito in titoli di stato. La Camera di Commercio, che nei primi anni della sua istituzione non si era interessata molto del territorio lunigianese, con lo sviluppo dell’attività delle cave nel versante lunigianese delle Apuane si sentì investita delle problematiche relative ai trasporti, sia con l’attenzione alla viabilità stradale, sia con interventi per sollecitare la realizzazione della ferrovia Aulla - Lucca. Nel 1896 la strada per Pallerone, che era già classificata come strada nazionale, fu interrotta dal crollo di parte del ponte di Pian di Bibola, nella località che ancora oggi è indicata come Ponte della barca, con grave danno per le attività economiche delle valli dell’Aulella e del Rosaro, dove erano attive, oltre alle cave di marmo, anche cave di pietra arenaria, filande di seta .ed una fitta rete di attività commerciali che avevano necessità di raggiungere la stazione di Aulla, già attiva fin dal 1888. Crollato il ponte, la Camera di Commercio venne interessata per sollecitare la ricostruzione e questa non fu la prima volta che i comuni e gli imprenditori della provincia si rivolsero alla Camera, riconoscendo nell’istituzione un interlocutore importante. Il presidente della Camera nel novembre del 1896 solle-

citò il Prefetto a richieder un intervento d’urgenza, ma il Ministero solo agli inizi del 1897 promise di finanziarne la ricostruzione con i fondi del bilancio 1897-98, affermando che “non essendo ancora approvato dal Parlamento il bilancio “non può disporsi l’appalto, intanto sono in corso gli studi pel completamento del progetto di ricostruzione”. La Camera di Commercio non smise di sollecitare il prefetto e fu coinvolto anche il deputato Camillo Cimati, lericino di nascita e pontremolese d’adozione, titolare di un pastificio che ottenne riconoscimenti importanti in tutte le esposizioni nazionali e internazionali. Cimati, sollecitato dalla Camera che non si stancò di avanzare continue richieste per tutelare gli interessi economici penalizzati dalla interruzione del ponte, chiese un intervento straordinario, quindi indipendente dall’approvazione del bilancio. A rispondergli fu il ministro dei Lavori Pubblici, sostenendo che la spesa necessaria superava l’importo massimo di 30.000 lire. Il 7 maggio finalmente il Ministro fu in grado di rispondere “di aver mpartito all’ufficio del genio civile di Massa le necessarie istruzioni per gli assaggi occorrenti per la ricostruzione del ponte detto di Pallerone sul torrente Aulella, assaggi che verranno fra breve eseguiti” e agli inizi del 1898 finalmente il ponte fu riattivato.


diole, coppe di cui si fa gran esportazione insieme a prosciutti pel lucchese e la Toscana”. Nella nostra provincia, come in Garfagnana, i maiali arrivavano prevalentemente dalla Maremma e dall’area senese: si acquistavano alle principali fiere estive e si distingueva tra i lattonzoli da allevamento ed i maiali pronti per la macellazione. All’atto della vendita si controllava lo stato di salute dell’animale e la malattia più temuta era la cosiddetta panicatura o male della gramigna, un male già ricordato da Aristofane nel 380 a.C., ma anche Aristotele parlò della panicatura delle carni (gragnuola o gramigna), come di un male che renderebbe la carne più gradevole, se le cisti non sono troppe, ma che la renderebbe umida e sgradevole se le cisti sono numerose. In realtà la malattia (presenza di cisticerchi) impediva di fatto la macellazione ed obbligava alla distruzione della carcassa: nell’attuale raccolta attuale degli usi, è previsto l’indennizzo al compratore nel caso in cui il sanitario scarti alcune parti dell’animale (art. 55) “Il venditore di suini da macello deve indennizzare il compratore per quelle parti dell’animale che all’atto della macellazione vengono scartate dal sanitario, previo avviso al venditore in modo che questi possa accertare l’identità della bestia”. Nel passato i casi di infezione da cisticerchi erano particolarmente numerosi e molte dovevano essere le controversie tra compratori e venditori per stabilire a chi spettasse l’onere di rifondere il danno per un maiale che si fosse ammalato. Nel maggio del 1892 in Camera si discusse sulle diverse consuetudini che regolavano la compra-vendita dei maiali, in particolare nel fivizzanese e all’Aulla: per agevolare il commercio e tutelare gli interesse di venditore e acquirente la Camera prese una posizione ufficiale al fine di uniformare i comportamenti in tutto il territorio camerale. A porre la questione fu il consigliere cavaliere Alessandro Cocchi, proprietario terriero e imprenditore nel settore dei laterizi. La Camera finì per adottare la seguente disposizione: “nella compra-vendita dei suini se l’animale è comprato per allevamento e non per macellazione il male della gramigna appalesatosi nel progresso del tempo sta a carico del

PARTE PRIMA

L’ attribuzione alle Camere di Commercio della funzione di raccolta ed aggiornamento degli usi e delle consuetudini della provincia fu decisa per la prima volta dalla Legge n. 121 del 1910 e confermata successivamente dal Regio Decreto n. 2011 del 1934 e dalla Legge n. 580 del 1993 che impone la revisione quinquennale delle raccolte. Nell’archivio camerale si conservano determinazioni che testimoniano come la Camera di Commercio sia stata interessata agli usi locali ancor prima dell’attribuzione per legge del 1910. È evidente che questioni legate ad usi e consuetudini, spesso derivanti direttamente da antichi statuti comunitari medievali, finivano per coinvolgere la Camera, vista la loro incidenza negli scambi economici, soprattutto in ambito rurale. Nella raccolta redatta nel 2006 ed in vigore fino a tutto il 2012, si parla ancora , ad esempio, delle consuetudini legate alla compravendita dei suini.Per capire quale importanza abbia avuto l’allevamento del maiale per l’economia della famiglia contadina basta ricordare che ad una persona insolitamente silenziosa si chiedeva scherzosamente: “T’è mort el pork ?”. È superfluo ricordare l’importanza dello strutto e del lardo, quest’ultimo oggi proposto nella ristorazione di tutto il mondo, abbinato a Colonnata. Nel 1884 a Bagnone troviamo un Albericci, macellaio di suini: aveva macelleria o esercitava il mestiere di norcino? Nel 1881 in una relazione del Raffaelli sullo stato degli allevamenti a Fosciandora si legge che “non esistono razze suine in tutto il circondario la provvista dei molto piccoli maialini si fa principalmente sui mercati settimanali di Castelnovo anche nelle fiere di settembre; nelle montane reggiane e modenesi vanno i garfagnini a provvedere i cosiddetti magroni che in 3 o 4 mesi s’ingrassano per macello..., e siccome si spende molto in altri paesi, la Garfagnana potrebbe introdurre razze, specialmente nell’alto circondario ove trovansi querce e roveri che somministrano buone quantità di ghiande e dove si fa abbondante raccolto di piccole fave. Dal giorno di san Michele (29 settembre) s’incominciano a fare ottimi insaccati coteghini, salsicce, mortatelle dette comunemente bon-

Capitolo QUINTO

LA CAMERA DI COMMERCIO e gli USI e CONSUETUDINI della PROVINCIA

18 Scheda

A PROPOSITO DEL MAIALE

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compratore, se invece l’animale comprato è destinato all’immediata macellazione, e di fatto non macellato, la panicatura costituisce un vero vizio redibitorio facente carico al venditore perché la carne venga tutta distrutta a norma”. Come si può notare, a distanza di più di un secolo nella raccolta di usi e consuetudini, qualora il veterinario scarti parti non idonee per l’alimentazione, al venditore spetta l’onere di rifondere il compratore. Nel territorio provinciale oggi operano diverse aziende nel settore degli insaccati e della concia del lardo, accanto ad una ancora assai diffusa macellazione casalinga. La Camera di Commercio ha svolto un ruolo importante nella valorizzazione delle produzioni tipiche ed anche grazie al suo impegno ed alla collaborazione con enti locali e associazioni di categoria, oggi accanto al lardo di Colonnata tra i salumi da tutelare è inserita anche la spalla cotta di Filattiera. Tuttavia, ancora prima del successo mondiale del lardo e dell’apprezzamento dei pregiati salumi di Tresana e Montignoso, i nostri prodotti passavano le frontiere e dalla Lunigiana partivano insaccati in genere diretti al mercato estero: lo prova la richiesta della ditta Ambrogio Guscioni di Tresana che il 18 aprile 1921 chiede, ed ottiene dalla Camera, l’autorizzazione ad esportarne in Svizzera 12 quintali.

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PARTE PRIMA

dustria dei marmi rende oggi tale istituzione di una ineluttabile necessità. Confacente alla missione della Camera che si preoccupi della mancanza dell’asilo, perocchè essa deve tutelare gli interessi commerciali del suo distretto è eziandio suo sacro dovere volger lo sguardo e sollevare le miserie che di quegli stessi interessi sono spesso le tristi compagne. Il gran numero di operai convenuti in Carrara da ogni parte

Capitolo QUINTO

Il 28 giugno 1840 in Germania nacque il primo “Giardino infantile” voluto dal pedagogista Froebel che intraprese viaggi di propaganda, organizzando convegni e corsi per promuovere la sua istituzione. Ciò nonostante il governo prussiano nel 1851, proibì i “giardini” con l’accusa di ateismo e di socialismo, mentre in Francia il movimento froebeliano diede origine, dopo il 1870, alle “scuole materne”. In Italia il primo asilo infantile, privato e a pagamento, fu fondato dall’abate Ferrante Aporti sul finire del 1828 a Cremona, e quindi nacque anteriormente al primo “giardino d’infanzia” tedesco: i “giardini d’infanzia” in Italia hanno sempre ricevuto storicamente particolare attenzione da parte dei legislatori a partire dall’Unità d’Italia, anche se l’istruzione prescolastica non venne presa in considerazione dalla Legge Casati del 1859, la prima legge che stabilì un ordinamento scolastico per la scuola italiana. Tuttavia a vent’anni dalla Legge Casati, con il Regolamento del 30.9.1880, n. 5666 venne resa obbligatoria la “patente” per le maestre dei “giardini d’infanzia”. In Lunigiana, a Pontremoli, l’amministrazione comunale il 2 settembre del 1868 approvò l’Ente Asilo Infantile e Scuola Materna Domenico Razzetti ed alla fine del 1876 si rivolse alla Camera di Commercio per chiedere un sussidio a favore dell’asilo infantile da tempo già funzionante. Leggendo gli atti della Camera, sembra che a suggerire al comune la richiesta di contributo sia stato il rappresentante pontremolese nel governo camerale che aveva partecipato alla deliberazione di un contributo di lire 10.000 per il costituendo asilo di Carrara. A Carrara, infatti, la necessità della fondazione di un asilo infantile era stata posta dal presidente della Camera in una delle ultime sedute del 1876 con una premessa che ricorrerà in molti atti e deliberazioni a legittimare interventi apparentemente non strettamente compatibili con le finalità di tutela degli interessi commerciali. Così si espresse il presidente della Camera: “lo straordinario aumento di popolazione quivi avvenuto nel breve volger di tempo a causa dello sviluppo assunto dal commercio dell’in-

19 Scheda

“Confacente alla missione della Camera che si preoccupi della mancanza dell’asilo”. L’imbarazzo della Camera di Commercio, che sosterrà anche l’asilo di Pontremoli, ma solo quando sarà funzionante quello di Carrara

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Lettera del Presidente della Camera di Commercio ed Arti di Carrara Carlo Binelli in risposta alle sollecitazioni circa il contributo della Camera di Commercio a favore di questa istituzione. Dalla sua fondazione la Camera di Commercio aveva concretamente sostenuto la diffusione dell’istruzione tecnica in tutto il territorio provinciale. (Archivio Camera di Commercio, 4 giugno 1886.)

200

della provincia per trovarsi lavoro aumentata tutta di figli del povero a cui un giornaliero ricovero è troppo necessario per indirizzarli nella via di virtuosi propositi”. Quasi a voler prevenire possibili obiezioni su un così importante investimento su Carrara, la Camera affermò che l’istituzione di asilo in città non era un interesse puramente locale, ma si trattava di una istituzione che aveva un carattere provinciale. Nella risposta al comune di Pontremoli, nella prima seduta del 1877, sembra di poter cogliere un certo imbarazzo, se non fastidio, per la richiesta di sostegno all’asilo per l’infanzia, che è già attivo da otto anni, mentre a Carrara si era alla manifestazione di volontà. La Camera respinse la richiesta, aggiornando la discussione più avanti nel tempo, con una motivazione poco comprensibile: non fu concesso sussidio, perché l’asilo

di Pontremoli era già in vita e “verrebbe effettivamente a godere del sussidio, perché già si trova in vita, la stessa cosa non avverrebbe per l’asilo infantile di Carrara che è in via di semplice formazione, anzi di puro progetto”. Ma appena un anno dopo, nel 1888, di fronte alla richiesta d’obolo avanzata dal comitato permanente “a profitto dell’asilo infantile di Carrara” la Camera risponde che “è dolente che le sue attuali condizioni economiche non le permettano di erogare alcun sussidio per asilo infantile”.


C’era in quella collera un po’ di rancore anche contro il treno, agente della peronospora e della filossera, rovina del piccolo commercio locale, perturbatore della pace e della città e della valle?” A porsi questa domanda nel suo capolavoro letterario “Pontremoli, una cittadina italiana fra l’80 e il 900” è Luigi Campolonghi, esule antifascista in Francia, che racconta con garbata ironia i grandi mutamenti economici e sociali del decennio 1890-1900, mutamenti dei quali le carte d’archivio della Camera di Commercio conservano indizi preziosi. Nella seconda metà dell’ottocento arrivò dal nord America un parassita che, impiantatosi in Francia nel 1858, in pochi anni fece strage dei migliori vigneti italiani e non si salvarono neppure quelli della nostra provincia: ci vollero anni di tentativi prima di accorgersi che a salvare i sapori delle uve locali sarebbe stato l’innesto della vite europea su una radice di vite americana. Così in tutta la Val di Magra, anche nei terreni meno adatti alla viticoltura, furono impiantate migliaia di viti americane, maritate a pioppi, olmi e aceri, che davano (ormai sono quasi del tutto scomparse) quel vino “americano” dolciastro, con poca gradazione, non commerciabile. Non c’era podere che non avesse qualche pianta d’uva “mericana”, nera o bianca che fosse, talvolta abbarbicata alla casa, preziosa per far barbatelle e innesti di vitigni locali. Si cominciò ad impiegare lo zolfo (solforazioni e zolfo sui grappoli poi si introdusse il solfato di rame) e nei registri della Camera, tra i generi prodotti o venduti dagli imprenditori, comparve per la prima volta lo zolfo, talvolta unico genere di vendita, come a Mulazzo dove, nel 1888,

PARTE PRIMA

troviamo “Baldini Carlo negoziante al minuto di zolfo”. A Pontremoli nel 1888 lo commerciava, assieme alla polvere pirica, Bonzani che poi, l’anno dopo, fonderà la Ditta Bocconi Bonzani, per la vendita polvere e zolfo. Nella zona di Massa un venditore cercò di imporsi come fornitore esclusivo alla Camera: Giuseppe Ponti chiese alla Camera che si ricorra “al di lui mezzo per l’acquisto dello zolfo di ottima qualità occorrente per la cura della vite in tutto il distretto camerale”. La Giunta Camerale liquidò sbrigativamente la questione con l’annotazione: inopportuna . Quello che la Camera di Commercio fece fu il tentativo di richiamare l’attenzione del Ministro per l’Agricoltura che il tre dicembre 1891 il ministro scrisse: “non mancherò poi, qualora se ne dia l’occasione, di tener presente il voto espressomi, perché venga costà data alcune conferenze specialmente nelle malattie della vite, nei vitigni americani e sul loro innesto”. Intanto, aiuto del ministero o no, la Camera di Commercio si impegnò per arginare l’epidemia e furono acquistati

Capitolo QUINTO

“Il treno passò via, nero e goffo, fra la collera contenuta della gente, ma la collera non si contenne più, allorché, da un finestrino fu visto agitarsi, giallo e rosso come la bandiera del re di Spagna, il parasole della impudica forestiera che se ne tornava alla Spezia e soddisfatta di aver alleggerito i bei giovinotti dell’alta valle di Magra..., li salutava allegramente così.

20 Scheda

Dalla lotta alla peronospora... alla Strada del Vino dei Colli di Candia e della Lunigiana

Addossata al casolare di un podere già dei Malaspina di Mulazzo, la pianta-spia di vite, messa a dimora dopo la diffusione della peronospera, era la prima ad essere infestata e indicava al viticoltore la necessita di provvedere immediatamente alla profilassi del vigneto.

201


Nelle antiche foto del cavalier Beniamino Zini di Mulazzo, ritratti di contadine all’inizio del novecento.

250 esemplari del libro Lotta alla peronospora del professor Domizio Cavazza, da distribuire ai viticoltori e si dispose di organizzare in Carrara Massa Castelnuovo e conferenze teoriche e attività pratiche sulla cura della peronospera, l’innesto delle viti, e l’impianto di vitigni americani. Con l’acquisto del libro del professor Cavazza, la Camera mise a disposizione dei viticoltori l’opera più aggiornata e in voga del momento, nata dall’esperienza condotta nella scuola di Alba, che dette istruzioni ai viticoltori per combattere la peronospora e la tignola dell’uva, diffondendo la pratica dell’innesto e dell’ibridazione delle viti americane con le viti locali. Merita anche di essere ricordata una curiosa richiesta dei viticoltori: nel 1892, in piena crisi da peronospora, i vignaioli chiesero alla Camera di Commercio di intervenire per calmierare il presso del filo telegrafico messo fuori uso, che loro utilizzavano nei vigneti per farvi stendere i tralci, La richiesta venne accolta ed il filo telegrafico dismesso fu posto in vendita a lire 25 per quintale. Sono passati più di cent’anni dall’intervento della Came-

202

ra per la difesa della viticoltura: nel corso dei decenni i vigneti di Lunigiana, esclusi quelli pregiati delle colline del Candia e di pochi altri coltivatori appassionati, hanno subito alterne fortune, fino alla riscoperta avviata negli anni settanta, quando ad apprezzare i vini raccolti da Fabio di Corneda furono Luigi Veronelli e Mario Soldati, incoraggiando il recupero degli antichi vitigni salvati dalla peronospora. Oggi i vitigni locali sono oggetti di indagini accurate dell’Università di Pisa e li promuove la Strada del Vino dei Colli di Candia e Lunigiana, alla quale aderisce, fin dalla sua costituzione, anche la Camera di Commercio che, peraltro, si era già impegnata con la Camera di Commercio della Spezia per la D.O.C dei Colli di Luni. Intanto sono significativi i dati raccolti dall’Istituto di Studi e Ricerche della Camera di Commercio che sottolineano l’incremento di superficie a vigneto per le produzioni di vino a denominazione di origine controllata (DOC), controllata e garantita (DOCG) e indicazione geografica tipica (IGT).


Parte SECONDA

Capitolo PRIMO

Dalla crisi marmifera alla ricostruzione

Il decennio precedente la grande crisi marmifera del

sformazione. A cavallo dei secoli decimonono e ventesimo

1927-35 segnava il punto più alto di modernizzazione tec-

si assistette ad un forte rilancio della meccanizzazione del

nica che il settore marmifero avesse mai conosciuto: con

trasporto del marmo in cava e verso il piano.

l’introduzione di moderni macchinari da cava e da seghe-

Nel 1925, la ditta Cesare Frugoli inaugurò un piano

ria capaci di lavorazioni più rapide e agevoli furono no-

inclinato lungo 1.250 metri, svolto sopra un unica rotaia

tevolmente implementate le quantità di marmo escavato

che correva con pendenze fino al 75% e curve di sei metri

e ridotto in blocchi e quindi di marmi segati in lastre o

di raggio, disteso sopra una via di lizza; l’argano elettrico

ridotti in lavorati per le opere di architettura ed edilizia.

dotato di tre freni di sicurezza, in aggiunta a quello appli-

Purtroppo, in un breve spazio di tempo, la rovinosa crisi

cato sul carrello, svolgeva un cavo di acciaio tale da per-

del settore conseguente la crisi generale del ’29, congelò

mettere un carico fino a 56 tonn di marmo, e agiva con un

nei fatti, per più di un ventennio, le speranze di una ulte-

controcarrello che risaliva in senso contrario, con un punto

riore evoluzione tecnologica del settore estrattivo e di tra-

di scambio all’altezza della coincidenza tra discesa e risali-

Massa. Tradizionale laboratorio per il taglio e la lucidatura di tavole di marmo (1920 ca). (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

203


ta e ancora, per opera della Walton nel 1927 si iniziavano

della borghesia carrarese che da quel momento perse pro-

i lavori di costruzione di una ardita teleferica, la telefe­

gressivamente il ruolo di direzione della politica e dell’eco-

rica del Balzone, capace di trasportare fino a 24 tonnellate

nomia del territorio provinciale.

di marmo lungo i 1500 metri del suo sviluppo, da quota

Gli sconvolgimenti intercorsi nel settore marmifero

1.100 metri.delle cave del versante nordest del monte Sa-

a partire dal 1927, quando ad una politica inflazionistica

gro, fino al poggio di scarico sopra Monzone, superando il

che privilegiava le esportazioni, marmo compreso, si pas-

pauroso dislivello del Balzone di oltre 500 metri. Sempre

sò bruscamente ad una politica deflazionistica - la famo-

in quegli anni, nel 1926, la ferrovia marmifera toccava l’a-

sa “quota 90” della lira - si tradussero, nel comprensorio

pice della propria attività trasportando sui propri vagoni

apuano, in un rincaro medio del 35% sui prezzi dell’ anno

ben 500.000 tonnellate. di merci (di cui 270.000 di mar-

precedente.

mi) ; a fronte di risultati più che posi­tivi la FMC pianificò l’acquisto di nuovo materiale rotabile.

204

Si apriva una profonda fase negativa per l’industria marmifera apuana da cui non fu più possibile sollevarsi so-

Sembrava proprio essersi aperta una nuova fase di

prattutto a causa del repentino e improvviso sopraggiun-

prosperità per l’industria marmifera, tale da cancellare

gere della catastrofica crisi del 1929-30 quando, complesse

molte delle difficoltà successive le forti tensioni sociali

ripercussioni segnarono l’inesorabile caduta dei maggiori

scaturite nel primo dopoguerra, dalla occupazione delle

gruppi industriali marmiferi carraresi.

fabbriche all’avvento del fascismo: un avvento che in ter-

La risposta del regime a quegli avvenimenti fu l’ap-

ra apuana fu particolarmente cruento e ricco di inusitate

provazione da parte del Consiglio dei Ministri, il 17 di-

violenze.

cembre 1927, della costituzione del Consorzio obbligato-

Inizialmente sostenuto e finanziato dagli industriali

rio tra industriali e Commercianti del marmo teorizzato e

del marmo, il fascismo carrarese e lo squadrismo guida-

fortemente voluto da Ricci che il 27 marzo successivo ne

to da Renato Ricci, “Duce d’Apuania”, una volta giunto

fu nominato Regio Commissario.

al potere e nel tentativo di acquisire credibilità presso le

Il consorzio scatenò un aspra lotta tra gli industriali

masse proletarie dei lavoratori del marmo - in ragione del

e all’interno dello stesso fascismo carrarese - culminata in

suo preteso spirito “rivoluzionario” e “anticapitalista”- con-

un attentato di matrice ricciana al podestà Canesi - pro-

dusse nell’ottobre-novembre 1924 una vertenza sindacale

vocando la dura reazione delle aziende più prestigiose, la

durissima contro gli industriali del marmo a sostegno del

Fabbricotti in testa, che chiesero l’intervento dello stesso

rinnovo del contratto di lavoro di cavatori e marmisti. Il

Mussolini, riportando una vittoria di Pirro.

Ricci a nome della Federazione Provinciale delle Corpora-

Già a partire dal 1929 appariva evidente il prossimo

zioni Fasciste firmava di suo pugno un proclama che invi-

tracollo del consorzio medesimo, infine sciolto con regio

tava tutti i lavoratori del settore allo sciopero generale. La

decreto il 14 febbraio 1930, e dell’idea protezionista che

vertenza sfociata nello sciopero generale dei lavoratori e in

ne stava alla base, ma non altret­tanto chiaramente se ne

una serrata da parte degli industriali durò circa cinquanta

poté allora evincere la vera funzione: quella di operare una

giorni e fu risolta il 18 dicembre dello stesso anno dall’

ristrutturazione dell’industria marmifera apuana a favore

intervento di Mussolini in persona, segnando una cocente

del grande oligopolio industriale e finan­ziario, con il defi-

sconfitta del sindacalismo fascista e il progressivo allonta-

nitivo ingresso della Montecatini del Donegani nei bacini

namento dei lavoratori del marmo dal populismo fascista.

marmiferi carraresi sulle macerie di quelle che, pochi anni

Detto intervento, richiesto a gran voce dagli industriali del

prima, erano le maggiori e più floride aziende del settore.

marmo, aprì una frattura sorda e incolmabile all’interno

Nel 1929 il Consorzio Marmi assunse la maggio-


ranza delle azioni della FMC ; allo scioglimento di que­sto

fatto di piccoli e grandi drammi. Di questi ultimi si è par-

le azioni vennero ripartite tra gli industriali del marmo.

lato a più riprese, degli altri solo oggi è possibile farne cen-

Come ricorda Cesare Piccioli nel suo notevole volume del centenario della Camera - un volume capace di

no ed invitare ad un lavoro più assiduo e compiuto proprio grazie al materiale del nostro archivio camerale.

trascendere la semplice narrazione documentaria e di por-

Gli anni della crisi segnarono una definitiva scollatu-

re piuttosto nodi storiografici non ancora compiutamente

ra tra il regime e le masse popolari Apuane. Nel momento

risolti - “in armonia con i criteri del dirigismo economico

più alto del consenso la parabola del regime iniziava la sua

imperanti (…) le Camere divennero organi consultivi del-

inarrestabile discesa. Eppure la situazione di forte tensione

lo Stato e delle amministrazioni locali nelle materie riflet-

sociale non era sfuggita.

tenti le industrie e i commerci (…) In ossequio ai principi

Infine, nella seconda metà degli anni Trenta, la na-

della Carta del Lavoro del 21 aprile 1927 si provvide alla

scita della zona industriale apuana e il consolidamento

radicale trasformazione delle Camere di Commercio”.

delle fabbriche di armi ed esplosivi in Lunigiana, satelliti

La trasformazione in Consigli Provinciali dell’E-

naturali dell’Arsenale della Marina Militare di La Spezia,

conomia e la istituzione degli Uffici Provinciali dell’E-

se furono parte fondamentale di una strategia di respiro

conomia Corporativa nel 1931 svuotò di fatto il ruolo di

nazionale per la militarizzazione della produzione indu-

proposta, promozione e innovazione di tutto il territorio

striale, miravano, nella zona apuana, ad utilizzare nuove

provinciale aveva pazientemente costruito in un settanten-

condizioni storiche al fine di cambiare il profilo industriale

nio di storia.

della provincia, creando una classe operaia nuova, slegata e

Gli anni ‘30 furono anni terribili per la provincia

distante dal marmo.

apuana e particolarmente per la città di Carrara che vedrà

In questa e in altre operazioni, intervennero perso-

gran parte della sua popolazione, ridotta alla fame, vivere

naggi assai vicini a Ricci, a lui legati a doppia mandata

della pubblica sussistenza: una crisi economica senza ap-

fin dagli albori dello squadrismo toscano quali Ciano e

parenti vie d’uscita con il settore trainante l’economia del

Donegani, ambedue livornesi, eletti deputati nelle liste del

territorio che in un decennio aveva perduto i tre quinti del

blocco liberale durante le elezioni del ’21.

prodotto.

Essi saranno tra gli artefici della politica economi-

Consultando i preziosi documenti conservati nel

ca industriale del fascismo e parte attiva di quel ristretto

ricchissimo e ancora poco esplorato archivio della nostra

oligopolio di famiglie che avranno la direzione reale delle

Camera, colpisce come una classe dirigente ottusa scari-

scelte economiche del paese nel corso di un ventennio. Il

casse sulle classi subalterne gli aspetti più devastanti della

Donegani, presidente della Montecatini, rileverà quasi tut-

crisi. Scorrendo il registo relativo i “Piccoli Fallimenti” del

te le concessioni degli agri marmiferi dal fallimento delle

1932 l’autorità giudiziaria chiede e ottiene il fallimento di

grandi ditte industriali carraresi, tra cui la ditta Fabbricotti

un migliaio di piccole ditte individuali, dal barbiere alla

mentre Costanzo Ciano, finanziere ed imprenditore, era

merciaia al verdurario ambulante che, evidentemente, non

il padre di quel Galeazzo che sposerà Edda Mussolini in

potendo corrispondere le piccole somme del loro debito,

una tipica commistione tra politica e finanza propria del

si videro pignorare e quindi sequestrare un paio di forbici

regime fascista.

sdentate, un rasoio logoro, un cesto sfondato La Camera

Quando la profonda crisi che aveva colpito l’indu-

non potè che registrare passivamente la situazione, ma la

stria marmifera tra il 1927 e il 1935 toccò il culmine e

apparente aridità di quei registi, se letti con le moderne

sembrò che la situazione di indicibile miseria delle mas-

tecniche storiografiche, ci rendono un universo umano

se popolari carraresi fosse senza via d’uscita, si verificò un

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Carrara. La “Abital” e le sue giovani maestranze femminili (1940 ca). Nata come fabbrica destinata alla produzione di vestiario militare, nel dopoguerra divenne nel campo delle confezioni maschili di alta sartoria una delle eccellenze produttive italiane maggiormente conosciute nel mondo. La tradizione di eccellenza continua con il marchio D’Avenza e con altre note marche sartoriali nate da quella esperienza.

fatto nuovo, tale da mutare radicalmente, anche negli anni

rittime tali da favorire le economie di scala. Fu per questo

futuri, la vocazione economica e produttiva del territorio

che la vicinanza di un porto, sebbene ancora in costruzio-

apuano.

ne, alla maggiore arteria stradale del paese la via Aurelia

La costituzione della Zona Industriale Apuana (2

e alla linea ferroviaria Genova-Roma, entrambe collegate

marzo 1939) si inseriva in un progetto che prevedeva la

con i valichi appenninici, insieme ad una politica di fran-

costruzione di nuove zone industriali (Fiume, Trieste,

chigie e forti sgravi fiscali, resero la zona industriale apua-

Pola, Bolzano, Ferrara, Livorno, Roma, Palermo) finaliz-

na estremamente appetibile agli interessi dei monopoli

zate all’attuazione della politica di autarchia economica

che, già nel 1935, con la Società Montecatini di Donegani

successiva alle sanzioni del 1936; tale politica favoriva la

erano pesantemente intervenuti nell’industria marmifera

nascita di nuovi poli di sviluppo, grandi concentrazioni

rompendo equilibri centenari. I terreni sui quali avrebbe

monopolistiche sul modello dei trusts americaninei settori

dovuto sorgere la futura zona industriale apuana, perlopiù

della chimica e della meccanica. Queste produzioni, perlo-

fondi agricoli siti nella campagna tra Massa e Carrara, era-

più destinate alla preparazione dell’entrata in guerra dell’I-

no espropriabili a buone condizioni, la manodopera, anche

talia a fianco della Germania di Hitler teorizzata fin dal

specializzata, era disponibile in gran numero e a basso co-

1938 dai massimi dirigenti del regime e dalle concentra-

sto poiché agli assunti in loco furono imposti salari media-

zioni economico finanziarie del paese che vedevano nella

mente inferiori del 30-40% rispetto ai dipendenti di pari

guerra un’ottima occasione di profitti, necessitavano di un

qualifica provenienti da altre parti del paese.

sistema di infrastrutture e di comunicazioni terrestri e ma-

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La realizzazione della Z.I.A. bruciò i lunghi tem-


pi dettati dalla burocrazia, pare anche grazie all’intervento personale del dott. Osvaldo Sebastiani, massese, allora segretario particolare di Mussolini e del Ministro Renato Ricci, ormai ai vertici del partito fascista. Solo per il completamento del porto furono immediatamente stanziati 19 milioni destinati alla prosecuzione dei lavori fermi da un decennio e in tempi brevi il re in persona inaugurò, nel ’39, la nuova zona industriale apuana. Questa occupava un vasto perimetro tra i comuni di Carrara e Massa, allora riuniti nell’unico comune di Apuania, e al fine di chiarirne la natura produttiva, si riteneva opportuno specificare nell’articolo 12 del Regio Decreto Legge del 24 luglio 1938, convertito in Legge il 5 gennaio 1939, la totale esclusione dalla costituenda Zona Industriale Apuana delle lavorazioni del marmo. Rompendo situazioni consolidate nei secoli, attraverso la rapida proletarizzazione dei contadini delle campagne massesi e carraresi si era dunque costituita una nuova presenza operaia che produsse una definitiva rottura tra generazioni vecchie e nuove di lavoratori. In effetti, dal ’39 al ’42, gran parte della domanda occupazionale giovanile e della disoccupazione dei lavoratori del marmo fu assorbita nelle nuove attività della zona industriale che, alla data dell’8 settembre 1943 contava 44 stabilimenti occupanti 7.902 unità lavorative distribuite nelle diverse realtà produttive: nel Porto e nel Cantiere Navale, ancora agli albori e nelle altre aziende della zona industriale quali la Montecatini Ammonia e Derivati, la Montecatini Calciocianamide, la Rumianca, la Cockapuania, la S.A.I.M.A., la Breda (per la costruzione di bombe a mano, proiettili e caricatori), la Cementeria Italiana Fibronit, la C.A.S.A. (settore cemento), la Iniex, la Marelli, il Catenificio Bassoli, la Diana (costruzione fusti metallici) la Pirelli. Ma l’operazione organizzata dal regime per creare un proletariato legato a doppio filo al potere dittatoriale era destinata a fallire miseramente: fu proprio la natura di questi grandi complessi industriali a favorire il rapido organizzarsi dentro le fabbriche, di cellule clandestine dei

partiti antifascisti, attive soprattutto in forza del contributo delle nuove generazioni di lavoratori. L’incontro con il sistema della fabbrica rappresentò infatti un’ottima occasione per il proletariato apuano per riorganizzarsi andando ad ingrossare le file dell’antifascismo ed avviare quel lungo e doloroso processo di liberazione che porterà alla liberazione delle città apuane dall’occupazione tedesca e fascista.

Carrara. Sfilata di giovani avanguardisti. Il regime fascista cancellò le autonomie locali compreso il ruolo e l’autonomia della Camera di Commercio. Sotto: Marina di Massa: celebrazione della amicizia italo-germanica nelle sale della colonia. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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Le immagini della nascita della Zona Industriale Apuana. La Camera di Commercio commissionò a Ilario Bessi questo servizio fotografico per documentare la costruzione della nuova zona industriale apuana (1939-1940). A lato: Due prospettive delle strutture che ospiteranno lo stabilimento Breda. Sotto: Rumianca, reparto Acido Solforico. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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Nella pagina precedente: Da sinistra verso destra: Stabilimento Montecatini sulla statale Aurelia (poi Ferroleghe) nella foto a fianco si apprezzano ancora le tipiche colture della piana che ricalcano ancora le strutture bimillenarie della centuriazione romana. Sotto Cockerie Apuane (Cokeapuana) Cementerie Apuane (poi Italcementi) e infine lo stabilimento Montecatini finito e funzionante. Alla fine del vastissimo lotto, presso la ferrovia, vi era la Montecatini Marmi. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

In questa pagina: Zona Industriale Apuana, Il delicato rapporto tra nuova industria e tradizione agricola è ancora presente; l’area tra la via Carriona, il torrente Carrione e l’Aurelia. Sotto: Stabilimento Innocenti (poi Dalmine) e lo stabilimento Dica Petroli mentre sulla sinistra della stessa immagine abbiamo lo stabilimento Diana. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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PARTE SECONDA

Camera di Commercio con una varietà di offerta merceologica: mercerie, chincaglierie, maglierie, tessuti, confezioni, casalinghi, profumi. Dopo la parentesi della guerra, un buon numero di ambulanti lunigianesi riprenderanno la loro attività, talvolta cominciando una nuova avventura, dedicandosi al mercato nero di abiti e tessuti acquistati nei campi americani dell’area pisana e livornese. Diverse donne, fino al 1970, si dedicheranno alla raccolta, di casa in casa, di uova e pollame che, con grosse ceste e utilizzando il treno, venivano commercializzate porta a porta alla Spezia. Da Bagnone giunge alla Camera un elenco di 54 nuovi ambulanti di maglierie e chincaglierie, ma ci sono anche un venditore ambulante di castagne fresche e secche, patate e legna da ardere ed una donna che commercia uova, burro, frutta e pollame.

Capitolo PRIMO

L’emigrazione in Lunigiana è storia antica, a partire da quella più lontana, quando uomini d’armi , diplomatici, giuristi, ecclesiastici, letterati, fin dal medioevo lasciarono la loro terra per cercar fortuna presso le più importanti corti e università italiane. Poi, nell’ottocento, ci fu l’avventura nelle terre di Brescia: la mitica Barsana degli ambulanti bagnonesi e di tutta l’alta Lunigiana, documentata nel Centro multimediale degli archivi storici di Bagnone e nel Museo dell’emigrazione della Toscana di Lusuolo. Nel 1882 era esploso il fenomeno dei librai ambulanti di Mulazzo e il sindaco poteva scrivere alla Camera di Commercio: “molti di questi abitanti esercitano l’industria di rivenditori ambulanti di pietre, libri e chincaglierie nei diversi comuni del regno e all’estero”. Nel 1940, all’indomani dell’entrata in guerra, nei comuni lunigianesi ci fu un vero e proprio boom di iscrizioni alla

21 Scheda

L’avventura dei venditori ambulanti di Lunigiana (gli iscritti alla Camera di Commercio nel 1940)

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A Casola c’è una sola venditrice di pollame, uova, burro e formaggio. A Filattiera sono presenti 39 ambulanti: 16 di chincaglierie, 5 di Chincaglierie e profumi, 9 di Chincaglierie e maglierie, 7 di Chincaglierie e mercerie, 2 di bigiotteria. A Fivizzano un solo ambulante commercializza chincaglieria, tessuti, maglierie, confezioni. Da Licciana nella statistica inviata si hanno 9 ambulanti di maglierie e chincaglierie ed un venditore di funghi e cenci. Vendono maglierie 7 ambulanti di Mulazzo, mentre 23 abbinano alle maglierie,chincaglieria, e mercerie e una venditrice offre chincaglierie e profumi. è interessante a statistica del comune di Podenzana, dove fin dall’inizio del 900 c’erano produttori agricoli che scendevano al mercato di Aulla e nel 1940 si iscrivono alla Camera un ambulante di frutta e verdura, due di frutta, verdura, polli, uova, formaggi ed un ambulante di maialini da allevamento. A Pontremoli 21 ambulanti vendono prodotti più diversificati: le solite chincaglierie le vendono in due; maglierie e profumi li vendono in sei; cinque commerciano chincaglierie, maglierie, casalinghi; un venditore offre zoccoli, scarpe di gomma, pantofole, scarpe e tre ambulanti, oltre alle chincaglierie commercializzano casalinghi, profumi e maglierie. Tresana chiude la rassegna con 4 venditori ambulanti di chincaglieria. Per molti ambulanti l’emigrazione in Lombardia fu una scelta obbligata ed iniziarono l’attività proprio vendendo maglierie portate sulle spalle o con la cassetta a tracolla piena di chincaglieria: a dar una mano a molti dei nostri ambulanti in Bersana fu un personaggio destinato a segnare cinquant’anni di vita del prestigioso Premio Bancarella, del quale è stato l’anima indiscussa. Mario Mengoli, emiliano che aveva magazzini di maglieria e biancheria, dopo aver conosciuto l’onestà e l’intraprendenza degli ambulanti lunigianesi faceva loro credito e riceveva i pagamenti a merce venduta. Mengoli finì col trasferirsi a Mulazzo ed aprì poi un deposito di libri a Pontremoli, mantenendo le relazioni con i discendenti di quegli ambulanti mulazzesi che, nel frattempo, avevano aperto bancarelle e prestigiose librerie nelle principali città italiane. Intanto molti ambulanti partiti dalla Lunigiana negli anni 50 del secolo scorso hanno creato in Lombardia fio-

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renti attività commerciali e non pochi sono diventati imprenditori, ma la loro saga doveva essere ben nota ad un largo pubblico, se un poeta come il premio Nobel Eugenio Montale pensò a loro nel rendere omaggio all’avventurosa vita del poeta ortonovese Ceccardo Roccatagliata Ceccardi: Sotto quest’umile arco dormì talora Ceccardo, partì come un merciaio di Lunigiana lasciandosi macerie a tergo. Si piacque d’ombre di pioppi, di fiori di cardo...


PARTE SECONDA

sia mantenuta fra quelle di prossima costruzione, farsi appello agli onorevoli deputati dei collegi di Modena, di Lucca e di Massa per che vogliano perorare la causa”. Sette anni dopo era stato realizzato solo un primo tronco e si appaltava il secondo, ancora in Provincia di Lucca: come si legge nei documenti conservati nell’archivio camerale, la Provincia nel 1894 aveva già versato la propria quota di contributo per la realizzazione dell’opera, ma lamentava che nessun investimento fosse stato effettuato . Nella seduta del 18 luglio 1895 il consigliere lunigianese Cocchi propose l’ennesimo ordine del giorno: all’unanimità e con plauso venne approvato il seguente deliberato: “Visto che già da tempo fu aperto all’esercizio il primo tronco della linea ferroviaria Aulla-Lucca. Visto che di recente è seguito l’appalto anche del secondo tronco di questa importantissima linea, ritenuto che l’uno e l’altro dei due tronchi sviluppano il loro percorso nella provincia di Lucca Vista la deliberazione della deputazione provinciale di Massa del dì 22 dicembre 1894 colla quale mentre si disponeva per il pagamento della quota di concorso dovuto dalla nostra provincia in lire 27.879,50 per il primo tronco, faceva premura al R. Governo perché in omaggio alla giustizia distributiva eseguisse lavori anche nella provincia di Massa e Carrara. Ritenuto di essere di interesse grandissimo facilitare lo sbocco alla produzione del solo e specialmente dei marmi bianchi che abbondantemente si escavano nelle ricche vallate dell’Aulella e del Lucido. Delibera far voti ardenti al R. Governo perché voglia appaltare o quanto meno autorizzare la società delle ferrovie del Mediterraneo ad appaltare il IX tronco Fivizzano-Aulla della linea Aulla-Lucca” Nel 1897 nessun appalto era stato effettuato e la Provincia, nonostante solleciti e ingiunzioni, si rifiutò di versare le quote di sua spettanza, fino all’autunno del 1899, quando deliberò di condizionare l’erogazione del contributo all’appalto dei lavori della tratta Aulla-Soliera. Nel 1901 di avvio dei lavori in Lunigiana ancora non si parla e nel 1905 tutti i sindaci si recano a Roma per sol-

Capitolo PRIMO

Della costruzione della linea ferroviaria Aulla-Lucca si era cominciato a parlare fin dal 1879, ma al di là di alcuni primi tronchi realizzati in Garfagnana, a partire da Lucca, agli inizi del 1891 non erano ancora finanziati i lavori tra Soliera e Aulla e neppure quelli tra Ponte Moriano e Bagni di Lucca. Era stato costituito un comitato per l’Aulla-Lucca del quale faceva parte la Camera di Commercio, interessata alla realizzazione dell’opera per soddisfare le esigenze commerciali delle cave di marmo di Equi Terme, dalle quali i marmi dovevano essere trasportati fino alla stazione di Aulla, dapprima con carri trainati da animali, poi dal 1903 con locomotive stradali a vapore che il comune di Aulla autorizzò a transitare nel suo territorio e nel paese non senza numerose proteste da parte dei cittadini, impauriti dalla velocità dei mezzi. La Provincia di Massa-Carrara era interessata in prima persona all’opera, anche perché i comuni dell’alta Garfagnana facevano parte del proprio territorio. La ferrovia, come si legge nel documento che segue, era stata individuata non solo come arteria di interesse commerciale, ma anche come linea di primaria importanza militare: nel 1888 il Municipio di Castelnuovo Garfagnana, di fronte all’esclusione della linea dagli impegni annunciati in Parlamento dal Ministro dei Lavori Pubblici , adottò una deliberazione ampiamente pubblicizzata a mezzo stampa: “Nei provvedimenti ferroviari presentati alla Camera da S.E. il ministro dei Lavori Pubblici nel quale non è compresa la linea Lucca-Aulla che ha una specialissima importanza per le valli del Serchio e della Magra: ritenuto che fin dal 1879 il parlamento la comprese fra le linee di 3 categoria e che con successiva legge del 1882, sulla richiesta dell’autorità militare, fu introdotto l’art.7, in forza del quale veniva la line suddetta classificata di prima urgenza Ritenuto che oltre alla indiscutibile importanza militare come complemento della Parma-Spezia questa linea ha pure una speciale influenza economica per le dette valli, a causa delle miniere di ferro, lignite, piombo, rame e marmi che vi abbondano, Delibera di farsi voti al governo perché la linea Lucca-Aulla

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LA LUNGAMENTE ATTESA FERROVIA AULLA-LUCCA

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lecitare l’inizio dei lavori nella tratta Aulla-Monzone, che partiranno solo nel 1908 ed alla cui realizzazione erano particolarmente interessati gli industriali del marmo Walton, Goody e Cripps. Nel 1924 la Camera di Commercio si interessò nuovamente, e con grande impegno, al completamento della linea che da Aulla si fermava ad Equi. Nel giugno 1947, mentre per il completamento della ferrovia Aulla-Lucca mancava ancora la realizzazione di una galleria, la Camera di Commercio approvò la proposta alternativa, destinata a finire nel nulla, di un “progetto per la ferrovia Massa-Carrara-Modena, con galleria al valico del Cerreto apportatrice di benefici per Carrara e Massa tramite galleria Foce e Carrara e Monzone per marmi e infine per tutta la zona di Fivizzano, costretta ora ad aggirarsi per Aulla e Sarzana per giungere a Massa, con un risparmio di oltre un terzo del tragitto odierno” Nel 1957 l’avventura dell’Aulla-Lucca stava finalmente concludendosi con l’inaugurazione della galleria del Lupaccino, tra Equi Terme e Piazza al Serchio e si prospettava l’avvio di quel promettente incremento dei commerci da troppi decenni auspicato. Così l’annunciava Augusto Cesare Ambrosi sul quotidiano La Nazione Italiana, parlando di un’Aulla che risorgeva dalle distruzioni belliche: “sgretolate dalle bombe e dalle nuove strade le mura del vecchio castello del fondovalle sono pressoché sparite ed anche l’antica abbazia che fu tanto cara ai pellegrini si è adattata alla standardizzata banalità dei tempi moderni; in compenso però Aulla presto sarà capolinea della ferrovia per Lucca e questa ravviverà certamente il suo commercio già tanto prospero”. Oggi il futuro della ferrovia Aulla-Lucca, raccordata alla nuova stazione di Aulla-Lunigiana, è affidato ad una maggior incentivazione del trasporto locale e al ruolo di ferrovia turistica che si addentra nel cuore dei parchi delle Apuane e dell’Appennino Tosco Emiliano e ancora una volta la Camera di Commercio partecipa alle iniziative di valorizzazione e promozione del patrimonio culturale e naturalistico della Lunigiana.

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A Bagnone si segnala l’attività di cinque industrie estrattive, di seicento rurali, di 18 manifatture, di 120 occupati nelle costruzioni edilizie e di 20 nel settore trasporti. Nella campagna riprendono i lavori agricoli e c’è la tendenza ad estendere le coltivazioni dei cereali e della vite, si ha un modesto utilizzo dei concimi chimici e non vi sono disoccupati, perché “quelli che non si dedicano più ai lavori campestri cercano occupazioni nei centri industriali

PARTE SECONDA

Capitolo PRIMO

Tra il 1919 e il 1920 l’Italia si trovò ad affrontare la grave crisi economica conseguente alla guerra appena terminata, vi furono imponenti scioperi causati dalle difficoltà economiche, tesi a ottenere migliori condizioni di lavoro e salari più alti, ma agli scioperi si unirono anche manifestazioni di contenuto dichiaratamente politico. I due motivi finirono col mescolarsi e confondersi e si diffusero parole d’ordine come le fabbriche agli operai e la terra ai contadini. Il governo teneva sotto osservazione la situazione economica del paese e l’organo che aveva sostituito le Camere di Commercio era incaricato di rispondere mensilmente ad un questionario standard, che prestava particolare attenzione ai lavori agricoli, all’uso dei fertilizzanti e all’impiego delle macchine, alla presenza di industrie, all’emigrazione, agli scioperi. Nelle relazioni del giugno del 1920 si hanno echi di qualche sciopero nelle fabbriche e di inquietudini nel mondo rurale, specialmente tra i mezzadri, ma si segnala anche la ripresa del lavoro nei campi, dopo il ritorno a casa dei soldati. È segnalata una nuova ondata migratoria verso Francia, Svizzera e verso le Americhe e si dà avvio ai primi abbandoni dei campi, verso le industrie spezzine ed i polverifici locali. Da Podenzana si risponde che la popolazione è tutta dedicata all’agricoltura ed in special modo dopo la guerra è intenta a rilavorare i terreni che per causa durante la guerra fu costretta ad abbandonare per la mancanza di mano d’opera. I maggiori prodotti in questo comune sono il vino l’olio il grano turco castagne e frutta. La concimazione viene fatta collo stallatico ed in parte con concimi chimici.

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LA CRISI DEL 1920

fuori comune, la disoccupazione è quasi del tutto scomparsa ed emigrano per sfuggire alla disoccupazione in 50 nel’emigrazione interlocale e 241 si dirigono quasi tutti alle Americhe, in Francia, in Svizzera quali braccianti e minatori”. Nel comune di Casola la costruzione di strade e della ferrovia Aulla-Lucca assorbe parte della manodopera, una sessantina di operai lavorano nelle costruzioni edilizie, ma la maggior parte della popolazione è addetta all’agricoltura, con 1550 occupati che importano 150 quintali di

Bellissima pubblicità d’epoca dell’Industria Italiana Surrogati Caffè di Aulla. (Archivio Giuseppe Chiappini Editore.)

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Il polverificio di Pallerone. Società anonima esplodenti e prodotti chimici (1920 ca). (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

concimi chimici, ma non utilizzano macchine agricole. “I congedati il 6% preferiscono dedicarsi alle costruzioni stradali in vista delle paghe assai alte e dicesi che verrà iniziato uno sciopero per parte degli operai addetti al costruendo tronco ferroviario Monzone-Castelnuovo Garfagnana per conseguire maggiori salari” A Filattiera, comune che occupa una delle più vaste e fertili piane alluvionali della Magra lavorano 2000 agricoltori, ma viene segnalato l’inefficienza della cattedra di agricoltura. “La gioventù tende ad abbandonare il lavoro dei campi e cerca occupazione nei lavori di Stato (ferrovia) e stabilimenti industriali, ed una parte della popolazione è occupata nel taglio dei boschi. Nell’agricoltura è assai esteso l’uso del perfosfato minerale nelle concimazioni dei prati stabili, mentre è nullo o quasi l’ impiego delle macchine agricole, dipendente dal neppure interessamento della cattedra di agricoltura. In generale il lavoro dei campi è ripreso, ma il sistema di coltivazione dei terreni è presso a poco uguale a quello del secolo scorso, quindi nessun incremento nella produzione. L’emigrazione non è molto estesa ed è presente negli smobilitati che non avendo mestiere fino erano abituati ad emigrare. emigrano all’estero operai fabbri falegnami che emigrano in Francia, i braccianti parte in Francia e parte in America”.

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A Fivizzano, pochi mesi prima di quello che sarà uno dei più disastrosi terremoti, la risposta al quesito viene data da un Commissario: è molto dettagliata e presenta alcune considerazioni politiche che collocano la realtà fivizzanese nel contesto degli scioperi che stavano animando tutto il territorio nazionale. “Le industrie sono quelle delle cave di marmo e d’arenaria, l’agricoltura è accoppiata all’allevamento del bestiame, si hanno: produzione e distribuzione di energia per luce e forza motrice, molini, concia di pelli, costruzioni edilizie e stradali. Le costruzioni edilizie sono poche principalmente pel costo elevato dei materiali, della manodopera e dei trasporti. Localmente vi è bisogno di compiere lavori di costruzioni civili, rurali, cimiteri e strade, ma questi non potranno mai prendere il desiderato sviluppo per la mancanza specialmente di calce e di laterizi. I rurali sono 8000, ma l’intensificazione delle colture di campi è ostacolata principalmente dalla propaganda sovversiva di sedicenti socialisti improvvisati specialmente nelle del piano di Moncigoli e Soliera. Si comincia ad estendere l’uso di un aratro razionale, importato dal consorzio agrario cooperativo lunense e tende ad estendersi anche l’uso dei concimi chimici, contrariato però dalla caparbietà ed ignoranza generale della classe dei nostri contadini. Sino ad ora la disoccupazione non ha dato origine ad emigrazione e si sono verificate agitazioni nella classe degli scalpellini, però più per opera di sobillatori che per necessità di vita. Come pure è latente un’agitazione nei mezzadri e più specialmente nei luoghi ove regna per essi il migliore benessere rispetto alle altre zone del comune. Lo sciopero parziale degli scalpellini è durato qualche mese senza nessuna fase rimarchevole per l’aumento salari e la diminuzione ore lavoro” Nel comune di Licciana Nardi si segnalano sbrigativamente “agricoltura, allevamento bestiame, pastorizia, viticoltura, industria manufattiera (pastificio, falegnami, sarti, ecc.), industrie metallurgiche (8 fabbri), edilizie (muratori, manovali, carrettieri). In agricoltura si usano i concimi chimici in misura esigua a causa dell’alto prezzo. Molti artigiani e braccianti di questo comune si recano settimanalmente alla Spezia a lavorare negli stabilimenti e opifici di quella città. Ciò verificavasi anche prima della guerra, gli specializzati trattasi di soli lavoratori di sesso maschile”.


A Montignoso “sono attive tre cave di marmo, ma le due segherie non funzionano ancora; i lavori non furono mai sospesi, le cave e le leggi non offrono garanzie e 120 operai circa trovano lavoro nelle cave di Massa e di Carrara”. Non vi sono disoccupati, perché “chi ha volontà di lavorare cerca e trova”. A Mulazzo le industrie sono quelle della “ lavorazione del legname, dei lavori stradali, dell’agricoltura e dell’allevamento; si hanno circa 300 agricoltori, 19 lavorano nel dinamitificio e 30 nei lavori stradali. Non si usano macchine agricole, vista la natura del terreno e si usa concime naturale. Gli emigranti trattasi di venditori ambulanti che recansi nel ferrarese e negli Abbruzzi”. A Pontremoli l’industria è quella dei lavori stradali e per l’agricoltura non vi è “ nessuna possibilità di maggior coltura dei campi, essendo già utilizzata la parte suscettibile di coltivazione, si fa uso in parte di concimi chimici, non sono adoperate le macchine agricole. Vi è ripresa normale dei lavori agricoli da parte dei contadini congedati i quali quindi non aumentano la massa dei disoccupati, rimanendo disoccupati una buona parte degli operai in specie nella classe dei manovali, muratori e scalpellini. La disoccupazione accenna ad aumentare specialmente nella classe dei manovali, muratori e scalpellini; la mano d’opera tende ad emigrare specialmente in Francia, America e Svizzera”.

d’ onde venne per la guerra, e per seguire il tenore di vita precedente alla guerra. Serpeggia attualmente l’agitazione fra i contadini, mossa della camera del lavoro di Spezia pel nuovo patto colonico e circa un anno fa ci fu sciopero fra gli operai del dinamitificio durato circa 9 mesi per ottenere un aumento di paga e fu alfine composto con soddisfazione delle parti”. A Zeri l’industria è quella del legname, “c’è deficienza nei trasporti, cioè di strada, v’è deficienza di smercio a causa della mancanza della strada rotabile, non vi sono disoccupati e chi non trova lavoro emigra”. La preoccupazione del governo per incrementare la produzione agro-alimentare era vivissima e, come si vedrà, si puntò molto sull’incremento del patrimonio zootecnico, duramente assottigliato durante la guerra.

A Tresana non si segnalano industrie e “nei lavori agricoli non si fa uso delle macchine, si usa del concime chimico, ma in limitata misura e poco da pochi conducenti di terre. Per mancanza di lavoro locale circa 450 persone temporaneamente si recano a lavorare all’estero, la vera emigrazione si ha specie per la Francia e si verifica specialmente negli uomini col mestiere di braccianti”. A Villafranca, che si presenta come il maggior centro industriale dell’alta Lunigiana, sono attivi un dinamitificio, un’ industria concianti e coloranti,una fabbrica di laterizi, attività di estrazione di lignite, lavori nelle opere pubbliche. “In agricoltura non si usano macchinari data la natura montuosa del terreno. Si fa pochissimo uso di concime chimico e ricorrono al concime naturale. Chi emigra non lo fa perché non trova lavoro, ma per tornare

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PARTE SECONDA

Che tale impressione non fosse errata lo prova il fatto che il Genio Civile ha stanziato nuovi milioni oltre i 15 previsti dal decreto ed ha altresì assicurato che leverà dal lire 3000 a lire 5000 il contributo da corrispondersi ai danneggiati aventi un reddito inferiore a lire. 5000. Ma neanche ciò ha accontentato le popolazioni colpite le quali si agitano per ottenere ulteriori provvedimenti di favore; ed infatti il 5 dicembre p.v è indetto a Fivizzano un pubblico comizio con largo invito alle autorità politiche ed amministrative onde stabilire quali sono gli ulteriori provvedimenti che si ritengono necessari, specialmente in materia di tasse e per conseguire lo scopo che nessuno rimanga senza abitazione. La sospensione della riscossione di imposte e sovrimposte terreni e fabbricati, salvo il pagamento nelle 12 rate bimestrali 1921 e 1922 non sembra un provvedimento giusto, si chiede la sospensione fino al 1923. Se si tiene poi conto della distruzione dei vasi vinari necessari e che i proprietari e coloni sue nella raccolta del vino, nelle uve subirono non poca perdita non sembra esagerata la pretesa dei medesimi a chiedere condonata per la raccolta 1920 la tassa sul vino. Tiensi infine a rilevare

Capitolo primo

La recente alluvione che ha sconvolto la Lunigiana ed in particolare la città di Aulla, dove ci sono state due vittime e la devastazione di attività commerciali, uffici, abitazioni private, ha visto l’intervento della Camera di Commercio con uno stanziamento di € 300.000,00 per contributi a fondo perduto, destinati a favorire la ripresa delle attività produttive ed economiche danneggiate dall’alluvione. Nel secolo scorso, il 7 settembre del 1920, la terra tremò e vi furono decine di vittime e distruzioni di interi paesi: nel frattempo, dal 1912 e fino al 1926, le Camere erano state soppresse per dar luogo ai Consigli e Uffici Provinciali dell’Economia Corporativa ed il bollettino del mese di dicembre riportava la cronaca dell’evento e prende posizione sulle iniziative di ricostruzione e, in particolare, sugli interventi decretati dal Governo. Come capita ancora ai giorni nostri, anche nel 1920 l’intervento governativo non riuscì a coprire le effettive necessità, sia per quanto riguardava la ricostruzione materiale degli edifici, sia per le questioni relative alle tassazioni delle attività che avevano subito danni. Il consigliere camerale Giovanni Monzani intervenne sui contenuti del decreto del 23 settembre 1920, pubblicato integralmente sul bollettino del mese di ottobre. “L’immane disastro che la mattina del 7 settembre ha colpito le provincie tosco-emiliane, addossate a quel tratto di appennino, che va dall’Orsaio al Cimone, ha specialmente infierito sulla nostra provincia con conseguenze che può calcolare solo chi se ne rende conto di presenza. L’opera di pronto soccorso apprestata fu abbastanza pronta, per quanto la vastità stessa del disastro e le difficoltà di accesso in molte delle località più colpite nonché l’incertezza di istruzioni impartite fossero causa di confusione e ritardi. Né l’opera del legislatore mancò per riparare agli immensi danni, subiti dalla popolazione; ma, o fosse errata la valutazione dei danni arrecati dal terremoto, c o fosse il timore dell’enorme contributo a cui si sarebbe dovuto assoggettare l’erario certo l’impressione di tutti fu che il decreto legge lasciasse molte lacune e non corrispondesse all’aspettativa delle popolazioni danneggiate.

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AL FIANCO DELLE POPOLAZIONI DISASTRATE: dal terremoto del 1920 all’alluvione dell’ottobre 2011

Nella pagina precedente: Terremoto di Fivizzano del 7 settembre 1920. In questa pagina: Il ponte di Mulazzo, distrutto da una piena d’inizio 900 e nuovamente abbattuto dall’alluvione del 2011. Pagina successiva: Terremoto di Fivizzano.

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La necessità di un provvedimento atto a rimediare ad uno fra gli inconvenienti più gravi derivanti dal terremoto. Colla ricostruzione delle case a termine di legge e colla riduzione di quelle lesionate a minor altezza viene di molto ad esser diminuita la disponibilità degli ambienti ad uso di abitazione per cui non poche persone si trovano per l’avvenire senza possibilità di trovarsi un conveniente alloggio. Per le popolazioni più misere provvede lo stato a mezzo dell’unione nazionale edilizia colla costruzione di case economiche, ma rimane una classe di professionisti, commercianti, agiati che non avevano casa di proprio e non potranno costruirsene dato l’attuale alto costo della mano d’opera. Per costoro s’invoca lo stato voglia autorizzare la Cassa depositi e prestiti a sovvenzionare con mutui garantiti sui costruendi fabbricati quelle cooperativa fra cittadini di località colpite dal terremoto che sorgessero, con lo scopo di eseguire nuove costruzioni parificandole alle cooperative che si formano fra impiegati dello Stato “. Nel 1921 erano già stati costruiti nuovi alloggi, ma molti abitanti furono costretti a vivere lungamente in tende e baracche, queste ultime inviate da ogni parte d’Italia. Fivizzano fu il comune più colpito, con vittime, case, palazzi, castelli e chiese rovinati; nelle campagne lunigianesi alcuni edifici furono abbandonati per sempre e tra tutti si ricorda il grande castello di Olivola mai più ricostruito. Con tenacia e operosità la gente di Lunigiana seppe far risorgere quello che il terremoto aveva distrutto, così come è accaduto con la recente alluvione.

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PARTE SECONDA

fatto di proporsi nei mesi primaverili e autunnali piuttosto che in quelli estivi e per l’approfondirsi della ricerca del lusso e dell’esclusività. In questa fase caratterizzata dal prevalere del turismo di élite, le spiagge europee cercarono di imitarsi reciprocamentae, come ci rivelano le campagne pubblicitarie dell’epoca e i modelli di riferimento proposti dalla letteratura coeva. Ricordiamo per esempio la vicenda turistica riminese, le cui origini vengono abitualmente fatte risalire al 1843, data di costruzione del primo stabilimento balneare: tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, questa località balneare cominciò a confrontarsi con le spiagge europee e individuò almeno due diversi modelli di riferimento dapprima la Nizza invernale, con la sua Promenades des Anglais e successivamente Ostenda.” (P. Battilani). In questa direzione andò Viareggio (dove il primo stabi-

Capitolo primo

Il turismo balneare sulla riviera apuana nasce intorno al 1840 a Marina di Massa, quando i regnanti di casa D’Este fanno costruire un edificio in legno destinato ai bagni di mare. La moda dei bagni di mare, già in voga nella vicina Versilia, si diffonde molto lentamente per poi esplodere verso la fine del secolo decimonono. Come tutti gli estuari dei torrenti apuani, la zona di Marina di Massa tra Brugiano e Frigido era paludosa e malsana, oggetto di pochi insediamenti abitativi. Gli interventi di bonifica, iniziati con una certa regolarità a partire dalla fine del cinquecento, furono portati a conclusione alla fine del diciottesimo secolo con importanti interventi di regimazione delle acque; ma solo nel periodo 1843-1845 furono definitivamente conclusi. Il litorale massese, parimenti a quello carrarino e anche a quello di Forte dei Marmi (che fino ai primi del ‘900 si chiamava Magazzini del Forte) era principalmente sfruttato come deposito di marmi pronti all’imbarco. Attorno ai pontili caricatori che si estendevano per alcune centinaia di metri verso il mare aperto negli anni ottanta dell’ottocento nacquero i primi stabilimenti balneari aperti a tutti; capanne stagionali di legno che progressivamente si arricchirono di momenti di ristoro e di svago. Se l’inizio dei “bagni di mare” a Marina di Massa è praticamente coevo a quanto accadde a Rimini, il modello piuttosto standardizzato della stazione balneare europea, con tre edifici rappresentativi il prestigio di una stazione turistica: lo stabilimento dei bagni, il casinò e l’hotel di lusso non venne applicato alla nostra realtà. I Grand Hotel di lusso divennero il barometro del successo di una località: non a caso tutte quelle che tentarono il salto di qualità e si proposero per un turismo internazionale se ne dotarono; di contro il successo di Marina di Massa crebbe in relazione ad una dimensione più famigliare, con costruzioni non pretenziose e destinate a trascorrere l’estate. “L’ingresso sui mercati turistici internazionali del mediterraneo invernale, con l’invenzione della francese Costa azzurra e della sua propaggine italiana,la costa ligure, non modificò il modello elaborato nei mari freddi se non per il

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Turismo balneare a Marina di Massa

Massa, 1933. La costruzione del grattacielo “Fiat” sede della colonia estiva per i figli di impiegati ed operai della nota casa automobilistica. Progettata dall’arch. Bonadè Bottino, è la prima grande opera di architettura moderna realizzata a Marina di Massa. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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Marina di Massa. Un vero e proprio capanno di canne e due bagnanti in opportuno costume da bagno (1910 ca). Sotto: Tavoli all’aperto durante la stagione balneare. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

limento balneare fu costruito nel 1826) e solo in secondo momento Forte dei Marmi. Le cose cambiarono radicalmente durante la “belle epoque” quando Marina di Massa sviluppò una prima serie di residenze di villeggiatura di notevole interesse artistico: questo percorso fu continuato e concluso negli anni trenta con la costruzione di una ulteriore serie di edifici di pregio. Il liberty è a tutti gli effetti lo stile architettonico caratterizzante la località tra le foci del Brugiano e del Frigido mentre il razionalismo è l’elemento caratterizzante dell’altro importante momento, compreso tra le spiagge del Bondano e della Partaccia. Le imponenti colonie marine, decine di splendidi edifici razionalisti culminanti nella torre della colonia marina Fiat rappresentano un vero e proprio museo diffuso, un concentrato dei migliori progettisti e urbanisti degli anni trenta e cinquanta. Esaminando fotografie e documenti, affiches e pubblicità conservati presso l’Archivio della Camera di Commercio

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o presso archivi pubblici e privati l’aspetto che più stupisce è, fino agli anni trenta, l’assoluta somiglianza dei comportamenti, degli abiti e delle strutture presenti sulla spiaggia: tutte ci descrivono un ambiente ancora fortemente aristocratico e un rapporto con il mare di stampo ottocentesco, caratterizzato dalle gonne lunghe delle signore, dalla presenza di un grande stabilimento, da una frequentazione della spiaggia sporadica e limitata a poche ore al giorno. Al contrario negli anni Venti e Trenta, le spiagge apuane erano già profondamente cambiate, un mondo in fortissima trasformazione non solo nell’uso della spiaggia, ma anche per quanto riguarda lo sviluppo delle attività economiche ad essa collegate. A fianco degli stabilimenti di lusso, negli anni Venti e Trenta cominciano a proliferare strutture più piccole e meno pretenziose, che offrono servizi, bar e ristoranti, adatti ad un pubblico con minore capacità di spesa. Non solo la vita di spiaggia assume connotati meno esclusivi, divenendo un luogo sempre più importante per la socialità dei villeggianti, che qui cominciano a trascorrere la quasi totalità della giornata. Anche gli abiti cambiano: le gonne delle donne si accorciano, compaiono i primi costumi molto castigati. L’avvio del processo che porterà verso il turismo di massa sembra quindi accentuare le differenze fra le diverse epoche, in base al loro livello di sviluppo economico: alcune realtà conservano i modelli elitari, altre cominciano ad elaborarne di nuovi. È interessante notare come sia le fonti documentarie (archivio della camera di commercio sulla nascita di nuove imprese e dalle statistiche estrapolate dai dati sul flusso dei villeggianti) sia quelle visive sottolineino con chiarezza questi aspetti. In questo contesto quindi, l’esperienza delle colonie marine estive condotta da migliaia di ragazzi e ragazze di altre regioni tra anni trenta e cinquanta porrà le basi del successo del turismo di massa. A questi villeggianti di ritorno, già sommati alle famiglie lombarde, piemontesi, fiorentine presenti da decenni, si aggiungerà un nuovo flusso turistico: quello dei giovani tedeschi e scandinavi che eleggeranno Marina di Massa a loro meta estiva. nasce la stagione dei camping, di un modo diverso di fare turismo. Nasce anche la necessaria valorizzazione delle risorse circostanti poiché a partire dagli anni del boom economico sarà più facile spostarsi autonomamente e il desidero di vedere le cave di marmo, i palazzi, i castelli diverrà uno sprone ad una diversificazione dell’offerta turistica.


Parte SECONDA

Capitolo SECONDO

Dopoguerra e la Ricostruzione

Uno degli episodi più significativi della lotta contro l’occupante nazi-fascista fu proprio la lotta dei lavoratori della zona industriale apuana finalizzata ad impedire il trasferimento degli impianti produttivi in Germania. Il salvataggio di parte dei macchinari concretizzò le speranze di una ricostruzione che potesse tornare a garantire alti livelli occupazionali e quindi scongiurare la miseria e la fame che avevano contraddistinto il periodo bellico che, desolatamente, continuavano ad infierire anche ben dopo la fine del conflitto. Non è questo comunque il solo episodio; ad esempio il Cantiere Navale di Marina di Carrara potè iniziare nuovamente grazie al fatto che molte famiglie marinelle, d’accordo con il CLN di Apuania, avevano nottetempo sotterrato negli orti e nei campi attigui le loro case moltissime travi e tavole di pice-pine necessarie alla costruzione degli scafi, proprio allo scopo di sottrarle alle razzie degli occupanti. Anche questo permise l’esecuzione della commessa per la fornitura di 10 rimorchiatori commissionati dal governo sovietico grazie alla mediazione svolta dall’on. Antonio Bernieri. L’opera di ricostruzione del tessuto industriale, commerciale e produttivo vide la Camera di Commercio svolgere un’opera determinante. Come ben rilevato da Cesare Piccioli, la necessità di una nuova legislazione relativa

Commercio Industria e Agricoltura” e degli “Uffici Provinciali del Commercio e dell’Industria” in sostituzione dei soppressi Consigli ed Uffici dell’Economia. La guerra, nella zona apuana, aveva lasciato un se-

le Camere di Commercio fu uno dei cardini immaginati

gno lungo 7 mesi, poiché quel territorio era parte a tutti gli

dal legislatore al fine della ricostruzione di un’Italia nuova:

effetti della Linea Gotica che iniziava proprio sul confine

infatti il decreto legge luogotenenziale del 21 settembre

del torrente Versilia, a Montignoso e attraversata la cam-

1944 n° 310 dispone la ricostruzione della “Camera di

pagna massese e avenzina si concludeva con le fortifica-

Massa. Inaugurazione delle nuove linee di produzione della Dalmine Tubi. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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Il Dott. Almo Bertolini ritratto a Milano negli anni trenta. Insediato su indicazione del Comitato di Liberazione Nazionale- Alta Italia di Massa e Carrara, fu il primo presidente della ricostituita Camera di Commercio. (Archivio Famiglia Bertolini.)

zioni anticarro del “Muraglione” sul torrente Parmignola, a confine tra Carrara e Ortonovo. Dei 44 stabilimenti presenti nella Zona Industriale alla data del 8 settembre 1943, ben 11 andarono distrutti per effetto dei bombardamenti alleati e delle mine tedesche mentre i restanti 33 risultavano parzialmente smontati o smantellati. I primi amministratori della Camera di Commercio, nominati dal CLN di Apuania nell’aprile 1945, dovettero intraprendere un compito estremamente difficile. Culturale innanzitutto, poichè a tutti gli effetti la parentesi industriale era durata un quinquennio e in molti, anche di opposte tendenze politiche, sostenevano

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il suo totale azzeramento. In un contesto in cui il settore marmifero avrebbe dovuto arrancare ancora per un decennio prima di riconquistare le posizioni raggiunte nel 1926 e l’agricoltura non avrebbe potuto sostenere la pressione demografica ormai presente sul territorio, la soluzione favorevole alla chiusura definitiva degli impianti avrebbe significato il precoce declino del territorio. Certo in quella tesi convivevano spinte contrapposte e controverse, quali la socializzazione dell’industria marmifera da una parte e il ritorno allo status quo ante fortemente desiderato dai vecchi baroni del marmo... ma non è nostro compito esprimere giudizi. Resta il fatto che il CLN di Apuania e le forze politiche in esso largamente rappresentate si adoperarono alacremente (soprattutto in virtù dei rapporti e dei legami stabiliti nel periodo resistenziale e anche grazie al prestigio della azione della Resistenza Apuana durante il duri mesi conflitto sul proprio territorio) presso il CLN-Alta Italia al fine di premere sui grandi gruppi industriali del nord a non abbandonare la zona apuana ma ad intraprendere piuttosto l’importante opera di ricostruzione e di rilancio. Nel periodo 1945-1946 il CLN designò presidente della Camera di Commercio il Dottor Almo Bertolini, comunista, personaggio di punta della Resistenza, già condannato ad una pena di anni 18 dal Tribunale Speciale per attività antifascista. Quindi, con il ritorno alla “normalità”, il 3 marzo 1946 il decreto ministeriale che sanciva la ricostituzione della Camera di Commercio e il superamento degli istituti di epoca fascista, indicava nel repubblicano Gastone Dazzi il nuovo Presidente. Tra i primi atti della nuova giunta camerale ci fu la richiesta della fine di ogni limitazione al consumo di energia elettrica per le nostre industrie. Anzi, il tema delle risorse energetiche e della loro produzione in loco avrebbe attraversato il ventennio successivo con scelte che oggi tornano ad essere apprezzate. Sempre la Giunta camerale chiedeva fortemente il rapido ripristino dei raccordi ferroviari con gli stabilimenti e chiedeva, “come da tradizione” (essendo questa una delle prime sollecitazioni espresse già


nel 1863 e reiterate negli anni successivi) la assegnazione di carri ferroviari sufficienti a sostenere il trasporto delle produzioni industriali. Una svolta fu segnata nel 1948 quando, con il contributo determinante della Camera di Commercio, si diede vita al Consorzio Zona Industriale Apuana. La sua istituzione segnava la decisiva volontà di percorrere una strada di sviluppo alternativa e non complementare all’industria marmifera e che già all’epoca avrebbe definitivamente riequilibrato i rapporti tra le due città Apuane, fino allora profondamente sbilanciati a favore di Carrara. Tra gli interventi significativi di quegli anni ci fu anche l’aumento degli alloggi destinati ai lavoratori dell’industria apuana. Con il completamento dei villaggi operai di Castagnola e Romagnano a Massa (iniziati nel 1939-40) e di Nazzano a Carrara si andava costituendo una cintura abitativa attorno ai luoghi di lavoro, scelta che ebbe come conseguenza l’inizio dello svuotamento del superaffollato centro storico di Carrara; e anche delle condizioni per il sorpasso del numero degli abitanti di Massa sopra quelli di Carrara. In aggiunta è doveroso ricordare che senza particolare clamore anche l’architettura moderna aveva “impattato” sul territorio apuano: nel ventennio 1935-1955 la corrente razionalista in architettura aveva dato grandi prove in terra apuana e nella edilizia industriale come in quella residenziale. Un valore aggiunto forse non compiutamente apprezzato e valutato. Per concludere, si deve ricordare anche l’azione volta alla costruzione di un moderno metanodotto industriale e il ripristino dell’acquedotto industriale. L’inserimento di altri comuni della Provincia nell’ambito del Consorzio Zona Industriale Apuana permise una ampia estensione dei benefici necessari ad una rapida ricostruzione delle strutture industriali danneggiate dalla guerra anche in Lunigiana. In quegli anni, tra 1947 e 1959 si registra l’ultima consistente ondata migratoria dai nostri territori. Con la differenza che questa volta partiranno perlopiù coloro i quali non possedevano particolari capacità professionali.

Carrara, 1972. Viale XX Settembre, manifestazione di tutti i lavoratori in difesa dei Cantieri Navali Apuani. Sotto: Maestranze e dirigenti sindacali del sindacato dei chimici. La difesa del posto di lavoro fu caratteristica della ricostruzione post-bellica, compito cui non si sottrassero le giunte camerali indipendentemente dalla connotazione politica. (Archivio Storico della Camera del Lavoro di Massa-Carrara.)

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Saranno “carne da miniera” destinati al Belgio col famoso accordo “braccia contro carbone”. Saranno le braccia destinate alle fonderie francesi ed inglesi e in parte a quelle tedesche. Molti attraverseranno l’Oceano per le Americhe del Sud e del Nord per rientrare, sovente, con un solo carico di rimpianti. Diverso il flusso degli anni sessanta, diretto verso le industrie lombarde e piemontesi, verso la Svizzera o per i più fortunati, Genova o La Spezia.

Carrara, primi anni sessanta. La cockeria vista dai binari di smistamento del carbone. A lato: Imponente struttura del Nuovo Pignone calata in acqua dalle banchine portuali. Fiera del Bestiame ad Aulla. Lavorazioni industriali nello stabilimento Dalmine, (foto anni ’60). Infine un’immagine di risistemazione della viabilità distrutta dai bombardamenti in occasine di uno “sciopero alla rovescia” (anni ’49-50). (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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PARTE SECONDA

cinini; alla carica di prefetto era stato chiamato Pietro Del Giudice. Il 3 marzo del 1946, con decreto ministeriale firmato dal ministro per l’industria e il Commercio on. Giovanni Gronchi e dal ministro per l’agricoltura e foreste on. Fausto Gullo, Gastone Dazzi fu nominato presidente della Camera di Commercio, Industria e Agricoltura di Massa e Carrara. Da allora si potrebbe dire che tale istituzione divenne per Gastone Dazzi quasi una seconda casa, nel senso che egli dedicò alla Camera ogni sua cura ed ogni suo pensiero, con grande passione e spirito di sacrificio. Quando Gastone Dazzi assunse l’incarico di presidente, trovò la Camera di Commercio non nelle condizioni di altre istituzioni pubbliche che avevano subito ingenti danni alle strutture e al patrimonio, ma pur sempre in una situazione che, dal punto di vista organizzativo, era veramente disastrosa in quanto c’erano da riannodare i fili del tessuto associativo uscito dal periodo bellico in uno stato di rovino-

Capitolo SECONDO

Nell’albo d’onore dove sono trascritti i nominativi dei presidenti della Camera di Commercio di Massa e Carrara che si sono succeduti nel tempo dalla fondazione ad oggi, desta curiosità mista ad ammirazione constatare la durata nell’incarico di uno di essi. Si tratta dell’undicesimo presidente, in ordine cronologico, dell’elenco e risponde al nome di Gastone Dazzi, che diresse ininterrottamente la Camera dal 1946 al 1965. Diciamo subito che alla durata dell’incarico di quel dirigente corrispose una energica e intelligente capacità di governo che permise all’istituzione camerale di affermarsi come sicuro punto di riferimento tra gli enti pubblici della provincia per numero e qualità di iniziative, per competenza organizzativa e per efficacia operativa. Gastone Dazzi era nato a Carrara il 10 ottobre del 1899 da una famiglia di modeste condizioni discendente da antenati della “vicinanza” di Sorgnano. Nella giovinezza studiosa ed impegnata nell’attività politica, Gastone Dazzi frequentò il Regio Istituto Commerciale “Vittorio Emanuele III”, antesignano dell’attuale Istituto Tecnico Commerciale (che venne intitolato a Domenico Zaccagna nel 1949) proprio a far tempo dalla sua ricostituzione, nell’anno scolastico 1915-16, sulle ceneri del precedente Istituto Commerciale fondato nel 1862 per iniziativa della Camera di Commercio ed Arti di Carrara. Ottenuto il diploma al termine dell’anno scolastico 191819, Gastone Dazzi fu subito assunto, insieme ad altri neoragionieri carraresi, dal Credito Italiano di Genova; durante la permanenza nella città genovese, egli si iscrisse alla Scuola di Economia e Commercio di quella città, conseguendovi quell’attestato di frequenza che potrebbe essere assimilato ad una laurea universitaria. Gli impegni di lavoro e di studio non distolsero Gastone Dazzi dall’interessamento alle vicende politiche italiane di quegli anni, che lo avvicinarono alle posizioni antifasciste di molti giovani intellettuali. Durante il periodo bellico aveva partecipato all’attività clandestina nelle file del ricostituito Partito Repubblicano e, con decreto n. 1 del 27 marzo 1945, fu nominato dal C.L.N. Provinciale vice-prefetto insieme ad Evaristo Pic-

26 Scheda

GASTONE DAZZI UN GRANDE PRESIDENTE

Inaugurazione della Mostra Tirreno 1951. Da sinistra si riconoscono, in prima fila, il Maestro Fulvio Bianchi vicesindaco di Carrara, il Ministro dell’Industria Togni il rag. Gastone Dazzi presidente della Camera di Commercio. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

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Una importante pubblicazione statistica curata dalla Camera di Commercio sotto la direzione del Presidente Gastone Dazzi. (Archivio Storico della Camera di Commercio.)

sa dispersione. La prima iniziativa del Presidente fu quella di pubblicare a scadenza mensile, in un’edizione dimessa a pagine dattilografate con carta-carbone, il Notiziario Economico della Camera di Commercio, che si riallacciava al vecchio “Bollettino” camerale a sua volta erede dell’Annuario che dal 1863 aveva accompagnato ogni atto della Camera. Un’altra importante pubblicazione, curata dall’ufficio del Genio Civile con il concorso della Camera di Commercio, fu l’inventario dei danni di guerra; strumento necessario per avere il quadro esatto della condizione materiale della provincia onde poter provvedere all’opera di ricostruzione dell’organismo commerciale e industriale distrutto o disperso. Nel 1951 Gastone Dazzi, presentatosi come capolista del P.R.I. alle elezioni amministrative, fu eletto sindaco del comune di Carrara, succedendo ad Enrico Isoppi pure repubblicano. Chi si aspettava che la carica di sindaco, per il carico di impegni che richiedeva, costringesse il neo-eletto a rinunciare alla presidenza della Camera, sbagliò i conti.

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Gastone Dazzi, infatti volle operare contemporaneamente su entrambi i fronti dimostrando una capacità di lavoro davvero eccezionale. Si tenga presente che, durante i cinque anni del suo mandato, l’amministrazione comunale carrarese realizzò importantissimi interventi; ne citiamo i principali: la sistemazione della Via Carriona, la bitumazione del Viale XX Settembre, l’istituzione del servizio filoviario urbano, la costruzione dello stadio comunale e della piscina di Marina. E mentre operava come sindaco, Gastone Dazzi non dedicò meno impegno all’attività camerale. In quello stesso 1951, a pochi mesi dalla sua elezione, fu lui ad inaugurare la IV Mostra Interprovinciale del Tirreno; una manifestazione che Dazzi fermamente sostenne e che, per il momento in cui fu attuata e per l’efficienza organizzativa dimostrata, rappresenta tuttora una delle realizzazione più importanti in campo fieristico attuate dalla Camera di Commercio di Massa e Carrara. Quando carezzava un’idea era difficile che Gastone Dazzi non riuscisse a realizzarla, tanto era l’impegno che profondeva nel creare le condizioni favorevoli per attuare il suo disegno. Ancora durante l’esercizio del suo mandato di sindaco, egli cominciò a riflettere intorno alla possibilità di dotare la Camera di Commercio di una nuova sede. In effetti il vecchio edificio di Via Rosselli, per quanto pregevole, cominciava a mostrare la corda di una funzionalità sempre più inadeguata di fronte alle crescenti esigenze dei servizi. Correvano voci che la mancanza di un edificio disponibile in Carrara consigliava il trasferimento della sede camerale nella vicina Massa; si asseriva che le spese per una nuova costruzione avrebbero prosciugato le finanze dell’Istituzione, mettendo a rischio la sua stessa autonomia; ma Gastone Dazzi, di fronte all’invidia e allo scetticismo di molti, procedeva risoluto verso l’attuazione del suo disegno. Ed ebbe ragione. La nuova sede della Camera di Commercio, opera progettata dagli architetti Carlo Aymonino e Carlo Chiarini e dall’ingegnere Baldo De Rossi, fu inaugurata nel 1957 ed è tuttora non solo razionale e funzionale, ma è considerata come un’esemplare opera architettonica e ritenuta una delle più belle sedi delle Camere di Commercio italiane. Ancora non si era spenta l’eco dei consensi favorevoli per l’opera realizzata, che una nuova idea incalzava nella mente di Gastone Dazzi: costruire una struttura atta ad ospitare quella mostra nazionale del marmo che egli aveva intenzione di allestire stabilmente in Carrara. Per realizzare questo


Cave di Massa. Inizio delle lavorazioni per preparare il fronte di cava, (anni 1920 ca). Messa a confronto con le foto degli anni ‘50-’60 questa tipologia di lavorazione di cava sarà definitivamente abbandonata alla fine degli anni ‘30. (Archivio Camera di Commercio.)

impegnativo progetto Gastone Dazzi dovette superare diversi ostacoli, sia di carattere burocratico che politico; ma agli uni e agli altri egli seppe far fronte con l’indomita tenacia del suo carattere, replicando con durezza di giudizio alle critiche pretestuose. La maggiore difficoltà dell’operazione fu quella riguardante l’esproprio dei terreni della zona dove dovevano essere costruiti i padiglioni della mostra; ma Dazzi riuscì a superare anche questo ostacolo. E l’edifico, costruito su progetto dei giovani architetti carraresi Ezio Bienaimè e Dante Petrucci, fu pronto nel 1962. Ma gli impegni per Gastone Dazzi non erano finiti. Realizzato il “contenitore” egli volle procedere anche alla scelta del “contenuto”, mettendo mano all’organizzazione della “1^ Mostra nazionale del marmo e delle tecniche di impiego del marmo nell’edilizia industrializzata”; e già questo titolo la dice lunga sull’impegno richiesto per realizzare un’esposizione del genere, alla quale si doveva aggiungere un convegno di alta specializzazione scientifica per l’importanza degli argomenti e l’autorevolezza dei relatori.

Proprio nel periodo in cui Gastone Dazzi si apprestava ad organizzare la Prima Mostra Nazionale del Marmo, negli ambienti politici locali c’era molto fermento: erano in corso, infatti, le manovre per il rinnovo della carica di presidente della Camera di Commercio. Alle discussioni intorno ai nominativi del “papabili” si accompagnavano insinuazioni circa la lunga permanenza di Dazzi alla guida della Camera e malevoli critiche sulla validità della sua opera. Gastone Dazzi, com’era suo costume, affrontò di petto la situazione ed affermò pubblicamente che non avrebbe lasciato il suo incarico fino a che non avesse portato a termine la sua missione e che ciò sarebbe avvenuto con l’inaugurazione della mostra programmata. E si gettò a capo fitto nella direzione della macchina organizzativa, non lesinando fatiche ed impegno. La “1ª Mostra Nazionale del Marmo”, così tenacemente voluta da Gastone Dazzi, si tenne nella sede espositiva della Camera di Commercio nei tempi e nei modi decisi dal suo propugnatore. E - come diciamo in altro luogo - ottene

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Cave di Carrara, lizzatura di una carica di circa 20 tonn. (Archivio Camera di Commercio, fine anni ‘50.)

un discreto successo di pubblico e di critica. L’inaugurazione avvenne il 29 agosto del 1965 e la mostra restò aperta fino al 16 settembre. Il catalogo, contenente anche gli atti del convegno sull’applicazione del marmo all’edilizia industrializzata, fu pubblicato nel novembre del 1965. Esso riporta integralmente il discorso introduttivo pronunciato da Gastone Dazzi nello stesso giorno dell’inaugurazione. Purtroppo, per un crudele gioco del destino, non poté sfogliarlo e ammirarlo proprio colui che la mostra aveva fermamente voluto e strenuamente difeso. Gastone Dazzi, infatti, aveva chiuso gli occhi per sempre il 12 settembre del 1965. Gastone Dazzi fu un grande presidente. Uomo dal carattere chiuso e riservato, sul lavoro era tenace e puntiglioso; dotato di una ferma volontà operativa, ispirava ogni sua azione al buonsenso e alla praticità. Fiducioso più nelle sue forze che in quelle degli altri, contava su pochi ma scelti collaboratori, verso i quali fu sempre esigente e severo. Sicuro di sé, quando maturava un’idea ricorreva a tutte le sue forze per realizzarla. Dotato di straordinarie capacità organizzative, si può dire che fosse nato per lavorare, per

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dirigere, per costruire. Amministratore rigoroso, sacrificò agli incarichi pubblici gli interessi personali, offrendo un encomiabile esempio di virtù civiche e probità. Fu stimato protagonista della storia politica ed economica della nostra provincia. Un uomo come Gastone Dazzi non poteva non suscitare, insieme all’ammirazione di molti, le invidiose invettive di pochi. Ma tutte le critiche che gli furono mosse, tutte le polemiche sul suo modo di governare, non scalfirono la sua convinzione di essere nel giusto. Dazzi stesso dimostrò questa sua “intangibilità” nel corso di una intervista rilasciata ad un giornale locale proprio in un momento in cui più aspri divampavano le critiche intorno alla sua persona; riteniamo utile riportarne di seguito un passaggio essenziale, assai indicativo della sua forte personalità. “Sono un roncione - disse Dazzi al giornalista - ; sa cos’è un roncione? È una di quelle grosse pietre che si nascondono sottoterra e di queste solo una piccola punta affiora sul terreno. Chi passa crede che sia un sassolino e vi tira una pedata. Ma si fa male al piede. Se si vuole realizzare qualcosa bisogna fare così; almeno, io penso che si debba fare così. Se si ascoltano le chiacchiere di tutti, se ci si mette a discutere si finisce per perdere tempo e non si conclude mai niente”. E ci pare condivisibile quanto affermato dall’intervistatore a chiosa del colloquio che definisce quello appena trascritto come “il ritratto più vero e più umano” di Gastone Dazzi. Prima di concludere il nostro discorso sulla figura di Gastone Dazzi, ci pare doveroso ricordare che egli ricoprì anche altre importanti cariche pubbliche; fu infatti presidente del Consorzio provinciale per l’istruzione tecnica, presidente del consiglio di amministrazione dell’Istituto professionale del marmo, presidente del Collegio dei ragionieri della provincia, membro del consiglio di amministrazione della società Autocamionale della Cisa, membro del Comitato regionale per la programmazione, membro del consiglio di amministrazione dell’Istituto professionale di stato di Massa, revisore dei conti dell’Unione delle camere di commercio italiane. Numerose furono anche le onorificenze che Gastone Dazzi ricevette per la sua attività; la più alta, a riconoscimento delle sue benemerenze, fu il conferimento, su proposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del titolo di “Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana”, consegnatogli dal Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat il 2 di giugno del 1965: degno coronamento di una luminosa carriera.


PARTE SECONDA

La Camera di Commercio negli ultimi sessant’anni è sempre stata partecipe delle principali iniziative comprensoriali per la promozione dell’immagine turistica di tutto il comprensorio provinciale: dalla promozione del turismo balneare al sostegno a tutti gli interventi nel settore del turismo culturale e del turismo rurale. Nel 2009 l’Istituto di Studi e Ricerche, azienda speciale della Camera di Commercio, ha dedicato alla Lunigiana un approfondito studio sull’identità della sua economia e la parte relativa al turismo mostra come molte delle aspettative degli anni ’50 siano state raggiunte. La valorizzazione dei castelli, ad esempio, è passata per importanti investimenti economici nel settore del restauro, con l’insediamento di musei e la promozione della stagione di prosa e musica del festival “Lunatica” alla quale partecipa la Camera. La crescita del settore agrituristico è la grande novità del turismo lunigianese degli ultimi vent’anni, che si collega naturalmente alla promozione delle produzioni agricole tipiche, con le D.O.P e le I.G.P., attribuite a diversi prodotti dell’agricoltura e per le quali anche la Camera ha operato, sia nel sostegno alle procedure, sia nell’attività di controllo. In qualità di organismo di controllo, infatti, la Camera svolge funzioni di verifica e controllo nei confronti imprese inserite

Capitolo SECONDO

Il titolo è lo stesso dato ad un articolo comparso sul bollettino della Camera di Commercio del 1951, a firma del presidente dell’Ente Provinciale per il Turismo (E.P.T.) di Massa-Carrara. Val la pena di riproporre l’articolo per le osservazioni che, sessant’anni dopo, sono in parte ancora attuali e che, in ogni caso, già allora individuavano assi di intervento che hanno trovato sviluppo, anche con l’intervento della Camera di Commercio. Scriveva Bassani: “È incontestabile che la provincia apuana con la verde Lunigiana, i suoi monti ed i suoi castelli, offre bellezze ben più imperative e suggestive di troppe parti d’Italia, la quale pure primeggia nel mondo; alle bellezze naturali si aggiungono poi le risorse idrogeologiche di vasta importanza che si trovano in luoghi già frequentati da correnti turistiche: Equi Terme e San Carlo Po’. E tanta bellezza di paesaggio, tanta ricchezza di mare, di pinete, di monti e di acque sulle scenario più seducente sono un dono di natura ed un capitale incalcolabile a condizione di non lasciarlo infruttifero, poiché il turista gode lo spettacolo, rimane suggestionato alla scoperta di paesaggi sempre nuovi, sempre migliori, ma vi ritorna e lo consiglia solo se lo trova accogliente. Di qui la necessità, l’urgenza di un ringiovanimento, di una modernizzazione se vogliamo trarne i vantaggi che meritiamo, con un flusso benefico. Non ben coordinata, quale conta, nella sua attrezzatura alla buona, ed in qualche punto non ben coordinata, 3 alberghi e ben 17 pensioni - tutto il rimanente della provincia, pur di altissimo interesse turistico, non ha un albergo né un posto di ristoro rispondente alle moderne esigenze.Gli stessi centri di Carrara e Massa mancano di una conveniente attrezzatura alberghiera. Equi Terme ha un solo albergo inadeguato, per la sua attrezzatura, al valore e alla rinomanza delle sue acque, San Carlo Po’, Fivizzano, Comano, ecc. sono prive di una vera e propria capacità ricettiva. È la nostra speranza che qualcuno si faccia promotore di iniziative per lo studio della situazione e dei provvedimenti tendenti a migliorarla. Il cammino sarà lungo e penoso, ma il successo non potrà mancare”

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AVVENIRE TURISTICO PER LA NOSTRA PROVINCIA (dal bollettino della Camera del 1951 alle indagini più recenti sulla Lunigiana)

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Depliant della Prima Rassegna “Olea Lunae”, 10-11 febbraio 2001. Pagina a fianco: Porto di Carrara, stivaggio container. (Foto Daniele Canali, Archivio Camera di Commercio.)

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nel sistema per la produzione della farina di castagne della Lunigiana e dal 2008 anche per la produzione di vini D.O.C. del Candia e dei Colli Apuana. Con l’adesione al progetto “Lunigiana come Distretto Rurale” la Camera ne ha assunto le linee di indirizzo come riferimento programmatico degli interventi in agricoltura. In questa direzione, nel 2002, partecipa alla pubblicazione della guida alle imprese agrituristiche, sostiene la partecipazione dei produttori locali al Salone del Gusto di Torino e conclude il progetto dell’Unioncamere nazionale per la certificazione delle carni bovine. Fin dalla loro prima edizione la Camera contribuisce ad importanti manifestazioni che valorizzano le produzioni locali: il Bancarelvino a Mulazzo, ribalta della produzione vinicola locale e nazionale, Olea Lunae, la manifestazione che nel castello Malaspina di Terrarossa presenta la produzione dell’olio di Lunigiana derivante dalla coltivazione di circa 439.000 piante, distribuite soprattutto nei comuni di Fosdinovo, Licciana, Fivizzano e Montignoso. Una curiosità storica ci dà la dimensione della lunga tradizione di coltivazione dell’olivo: nel VII secolo l’oliveto di Montignoso, per disposizione del fondatore dell’abbazia di Nonantola, doveva fornire ai monaci l’olio per la lampada dell’altare. La Camera di Commercio sostiene anche la Mostra Mercato Sapori di Fivizzano, che ricerca i migliori prodotti dell’agricoltura; la rassegna vinicola Spino Fiorito di Massa; la promozione - fin dal 2003 - dell’iniziativa regionale Vetrina Toscana, alla quale aderiranno produttori agricoli, ristoranti e negozi di prodotti locali di qualità. Con l’obbiettivo di coniugare produzioni dell’agricoltura locale, ristorazione di qualità, itinerari turistici nei paesi del mangiar bene, la Camera a partire dal 2000 ha dato vita al progetto Qualità Lunigiana, con la collaborazione dell’Amministrazione Provinciale, dell’ Azienda di Promozione Turistica (APT) e della Comunità Montana della Lunigiana. L’iniziativa, finalizzata alla valorizzazione dell’immagine della Lunigiana ed in particolare della sua capacità di offerta turistica in termini di ricettività ristorativa, alberghiera e agrituristica, si concretizzò nella pubblicazione La strada e l’osteria, che per molti anni è stata l’unica guida alla scoperta di cultura e gastronomia del territorio.


PARTE SECONDA

ormai volgeva la propria attenzione ad altri e nuovi materiali per le costruzioni, settore questo, come è opportuno ricordare, che ebbe in quegli anni una crescita vertiginosa e probabilmente irripetibile. Le condizioni che si determinarono a seguito di queste innovazioni, permisero lo sviluppo di un nuovo e vasto settore di produzione di lavorati di granito, che grazie a costi competitivi e standard qualitativi ineguagliati per ol-

Capitolo SECONDO

A partire dalla seconda metà degli anni ‘50 le fabbriche che sembrava dovessero essere dismesse, raddoppiarono la produzione attirando altri insediamenti industriali di grande importanza. Ripartendo la produzione industriale, il porto divenne nuovamente determinante nel contesto dello sviluppo industriale e produttivo del comprensorio apuano. Nel decennio precedente, la netta prevalenza degli imbarchi era stata fino al ‘55 in rapporto di tre a uno, per scendere a due a uno nel quinquennio successivo. Certo la maggior parte delle merci movimentate era ancora rappresentato da prodotti lapidei, ma altri prodotti di grande importanza commerciale venivano movimentati dalla Compagnia Lavoratori Portuali. Gli sbarchi erano soprattutto costituiti da materie prime destinate alla zona industriale, da merci varie, ma anche da blocchi di marmo e granito grezzo che dalle più disparate cave site in lontane regioni del mondo giungevano a Carrara per essere lavorate, per costituire poi i rivestimenti e gli arredi delle maggiori opere di architettura. È solo a partire dal 1963 che gli imbarchi e gli sbarchi di prodotti lapidei iniziano a toccare cifre ragguardevoli: 177.000 tonn. in uscita e 100.000 in entrata, sintomo di una nuova situazione industriale del settore lapideo che di li a pochi anni avrebbe completamente rivoluzionato il settore. Il movimento complessivo di imbarchi e sbarchi trovò un sostanziale equilibrio solo nel corso degli anni ‘60. Nei primissimi anni ‘60, presso la segheria Locati Luciani Ugo di Carrara, era stato messo a punto un innovativo procedimento per la segagione del granito, tale da permettere l’avvio di una vera e propria rivoluzione tecnologica nel settore delle pietre naturali; nello stesso torno di tempo venne costruita una innovativa lucidatrice per granito. Tra la fine del secondo conflitto mondiale e gli anni sessanta il settore marmifero non aveva segnato quella ripresa, quell’aumento dei livelli occupazionali e produttivi auspicata dai più; si assistette, piuttosto, ad una continua emorragia occupazionale, ad un progressivo ridimensionamento della presenza sul mercato internazionale che

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Un porto in costante crescita 1950-1990

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tre due decenni sul mercato internazionale, provocarono una rapida ascesa della domanda di silicei grezzi. Carrara divenne rapidamente l’emporio mondiale di marmi e graniti, e il settore lapideo apuano assunse rapidamente le dimensioni di distretto industriale tale da garantire tutte le fasi di commercializzazione, lavorazione e messa in opera delle pietre naturali, acquisendo importantissime commesse per la realizzazione delle più grandi e prestigiose opere di architettura. Questo inedito sviluppo, sovente ignorato anche dalla pubblicistica dell’ epoca, oltre a determinare la formazione di una nuova e vivace categoria di imprenditori lapidei, produsse inaspettati e decisivi effetti positivi anche sull’attività portuale, proprio grazie allo stabilirsi di nuove linee di navigazione tra i porti di provenienza dei silicei grezzi e lo scalo marinello. Il porto, dalle 83.000 tonn. di merci complessivamente movimentate nel 1950 era passato alle 510.000 del 1963, quindi al 1.000.000 del 1976 e ai 2.000.000 di tonn. del 1983. Una crescita rapida, dovuta alla capacità di offrire risposte alle nuove esigenze dei trasporti marittimi che si sviluppavano ormai su scala planetaria. Il porto di Marina di Carrara, sebbene compresso dalla vicinanza di importanti scali nazionali (Genova e Livorno) e del vicino porto di La Spezia divenne meta privilegiata di navi provenienti da svariati paesi e di varie e importanti compagnie di navigazione. Capace di complesse operazioni di carico, come nel caso delle gigantesche piattaforme petrolifere prodotte dal Nuovo Pignone, svolte con competenza e capacità dai lavoratori portuali, sempre più attrezzati per eseguire imbarchi e sbarchi di ogni tipo, il Porto di Carrara rilanciava il proprio ruolo di scalo privilegiato per imbarchi e sbarchi di materiali lapidei non solo per il distretto industriale marmifero apuo-versiliese, ma anche per quello di Verona ed altre realtà lapidee italiane. Sebbene le attività portuali segnassero un costante incremento, con un conseguente aumento delle unità occupate nei lavori portuali, questi non dimenticarono il dovere di lottare per la difesa del posto lavoro anche di coloro i quali subivano le pesanti conseguenze di ristrutturazioni aziendali o la minaccia della dismissione delle attività produttive. Bisogna infatti ricordare che, in momenti cruciali della vita del paese, e durante vaste stagioni di lotta per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle masse operaie, i lavoratori portuali non fecero mai mancare la loro generosa solidarietà e la loro attiva partecipazione. Alla metà degli anni ‘80 infatti, le partecipazioni statali

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e alcuni grossi gruppi industriali, pianificarono l’azzeramento della realtà produttiva apuana. Si persero, in pochi anni circa 15.000 posti di lavoro, e la reindustrializzazione sperata tardò, inesorabilmente. Si era creata una nuova profonda frattura nella storia economica del territorio. Dopo un quarantennio cambiava, di nuovo, la fisionomia produttiva di un’intera area-sistema. Il contraccolpo fu parzialmente assorbito da un nuovo ed impressionante sviluppo del settore lapideo che segnò livelli record di crescita, rinnovando quasi radicalmente la tradizionale fisionomia delle aziende marmifere, il loro modo di operare e di stare sul mercato; a questo sviluppo si legava, quindi, la diffusione di un moderno e tecnologicamente avanzato settore delle macchine per il marmo e il granito, di un innovativo sistema di servizi e attività artigianali diffuse che in parte seppero rispondere, sovente con grande originalità, al bisogno di “inventarsi lavoro”. In questa nuova e complessa situazione il porto confermava la propria centralità per il variegato sistema produttivo apuano. Oggi, il Porto di Carrara è uno dei più attrezzati e funzionali scali marittimi d’Europa.


PARTE SECONDA

tuosa, ardesia più o meno scuro, larga alla base, con due capezzoli ai quali se ne aggiungono spesso uno o due sopranumerari Vello: varia dallo scuro al grigio chiaro, non raro anche il marrone (5/8%); lana piuttosto ordinaria. Negli agnelli neonati si ha la pelliccia morbida, con peli corti e lucenti. Pigmentazioni tipiche della razza: colore nero del palato, delle aperture nasali, dello scroto

Capitolo SECONDO

“La pecora massese sembra originaria della frazione di Forno in Comune di Massa (detta perciò anche Fornese) e, comunque, la culla della razza è la zona compresa tra le Apuane e il mare Tirreno e tra il Magra e la piana di Viareggio; è allevata oggi anche nelle province di Lucca, Pisa, Pistoia, Firenze, Grosseto, La Spezia, Reggio Emilia, Parma, Modena, Ravenna e altre zone limitrofe. L’area di allevamento è in continua espansione in quanto le buone capacità produttive e di adattamento destano crescente interesse tra gli allevatori. Si ritiene che attualmente (1970) la consistenza numerica si aggiri sui 100.000 capi. Massa è la zona di origine non solo della pecora massese, ma anche di quasi tutti i pastori che la allevano nelle altre province e che spesso sono presenti alle manifestazioni espositive e ai mercati che si tengono nella provincia di Massa Carrara: i Fruzzetti e i Del Sarto sono infatti originari del Forno, i Galloni di Antona, i Musetti di Carrara, ma la sempre minore disponibilità di pascolo nel litorale apuano li ha portati fuori provincia.

29 Scheda

LA CAMERA DI COMMERCIO SALVò DALL’ESTINZIONE LA PECORA MASSESE E IL CAVALLO DI COMANO

Caratteristiche dell’allevamento e della produzione La pastorizia è ormai a carattere specializzato e viene esercitata da pastori che non esercitano altra attività e che possiedono greggi di consistenza da 70 a 150 capi. Tali greggi, da settembre a maggio, utilizzano le scarse risorse foraggere del litorale; in annate particolarmente avver-

Suggestiva immagine della pecora massese ritratta al pascolo nella piana di Avenza. (Archivio Storico C.C.I.A.A.)

Dati biometrici e principali caratteristiche morfologiche della pecora massese Altezza al garrone: cm 72/79 per i maschi e cm.60/65 per le femmine Lunghezza tronco: cm 65/74 e cm 58/62 Circonferenza toracica: cm 32 e cm 30 Peso medio alla nascita: kg 3,700 Peso medio a 30 giorni: kg 12/13 Incremento carneo medio: gr 300 al giorno Testa: bene sviluppata, a profilo quasi rettilineo nelle femmine, camuso nei maschi, orecchie piccole, sottili, mobili, dirette in fuori, occhio sporgente. Le corna sono sempre presenti nel maschio, robuste e ben salde, a spirale, aperte in fuori, con l’apice rivolto anteriormente. Nelle femmine le corna talvolta mancano (6/8%). Il collo è sottile. Regione dorsale: rettilinea, groppa spiovente, bacino ampio, coda magra e corta, arti sottili ma robusti e asciutti, unghia nera e di non comune resistenza. Mammella: bene sviluppata, con pelle sottile, elastica, un-

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Le stagioni di parto sono due (autunno e primavera) e circa il 40% delle pecore partorisce due volte l’anno; i parti gemellari rappresentano il 25% circa.

Villafranca: Rassegna Zootecnica di Filetto promossa dalla Camera di Commercio di MassaCarrara, nella foto i padiglioni avicunicoli. Il Dr. Ferdinando Vatteroni (1911-1999) premiato dal Presidente Gastone Dazzi in qualità di benemerito della zootecnia provinciale. Diresse dal 1945 al ‘75, l’ufficio Zootecnico dell’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Massa Carrara. Dal 1979, per 20 anni, è stato membro di Giunta della Camera di Commercio, Industria e Agricoltura di Massa Carrara in rappresentanza degli Agricoltori.

se vengono somministrati anche concentrati (granturco, avena). Nel periodo maggio-settembre le greggi sono avviate sull’Appennino tosco-emiliano per la monticazione, senza disporre in genere di ricoveri. La mungitura viene eseguita dagli stessi pastori che curano pure la lavorazione del latte e la vendita del formaggio, della ricotta e degli agnelli. L’igiene è curata. Da oltre 15 anni viene eseguita regolarmente la profilassi della brucellosi; i casi di aborto sono ridotti a percentuali limitatissime. L’attitudine preminente della razza massese è quella del latte, segue, per importanza, quella della carne e, a distanza quella della lana. La produzione di latte media di una pecora va da kg 0,900 a kg 1,000 per lattazioni della durata di 180/200 giorni. In altre province toscane , dove non mancano zone di pianura e buoni pascoli la pecora massese può dare produzioni superiori del 20% circa. La resa in formaggio si aggira sul 20%, quella in ricotta sul 9%. Il siero viene utilizzato per l’alimentazione dei suinetti che in numero di 2/4 vengono sempre tenuti presso i singoli allevamenti. Tutta la produzione di formaggio e ricotta viene assorbita localmente.

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L’agnello viene destinato al macello al peso di kg 10/11, ma non mancano casi di vendita dell’agnello al peso di kg 7/8. Tutti gli agnelli vengono venduti localmente”.

L’interessante testo che qui presentiamo è stato redatto da Ferdinando Vatteroni e pubblicato in “Agricoltura Apuana” (rivista mensile di tecnica e propaganda agraria n. 5 del maggio 1968) e da “Giornate di studio e aggiornamento per esperti di razza” (Associazione Nazionale della Pastorizia Roma 1970).


Parte SECONDA

Capitolo TERZO

Dai massimi storici al declino industriale non solo grande industria e marmo 1955-1990 All’inizio degli anni sessanta era ormai da conside-

acutamente Antonio Bernieri: “la caratteristica di questa

rarsi consolidata definitivamente la presenza industriale in

economia sarebbe quella di un marcato processo di dein-

terra apuana dove i settori metalmeccanico e chimico svol-

dustrializzazione e un conseguente livello occupazionale

gevano un ruolo di assoluto primato. Dalmine, Riv, Nuovo

sempre più basso”.

Pignone, Olivetti e Rumianca occupavano 4821 addetti sui 7396 totali. In quegli anni sessanta si definisce il carattere industriale della provincia e i tratti di una classe operaia nuova, ristretta numericamente ma moderna ed agguerrita nella

Nel 1981 assistiamo all’inizio del declino della chimica le cui esplosive contraddizioni segneranno la fine di un quarantennio di politiche industriali. Il settore lapideo a partire dai primi anni settanta ini-

Il nuovo edificio della Camera di Commercio appena inaugurato. (Archivio Storico C.C.I.A.A.)

difesa della propria identità e funzione. A fronte di un ulteriore ridimensionamento della agricoltura si assisteva, di contro, ad una forte crescita del settore turistico; in assenza di un piano preciso e con l’affidarsi ad iniziative sovente gestite da operatori poco qualificati che nel turismo vedevano solo un modo per integrare il reddito famigliare, non nacquero politiche e strutture adeguate ad intercettare in profondità il fenomeno. Ancora una volta ci sovviene il vasto e accurato patrimonio statistico messo in essere, negli anni dalla Camera di Commercio. Nel 1961, in pieno boom economico, furono registrate 1.800.000 presenze che nel 1969 assommavano a circa 1.950.000. Poco, troppo poco per un decennio di grandi numeri. Anche nell’industria si assisteva ad una crescita considerevole dei livelli produttivi a fronte di un modesto incremento degli occupati. Infatti, gli 8054 addetti all’industria del 1970 sono solo un migliaio in più dei 7092 addetti del 1939. Era evidente come i dati iniziassero a divenire tema per una riflessione approfondita. Notava

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namentale ha causato la crisi dell’artigianato carrarese e gli studi e i laboratori si sono ad uno ad uno chiusi eccettuato l’antico studio Nicoli, e l’artigianato moderno si è trasferito in zona versiliese, principalmente a Pietrasanta. Negli anni cinquanta e nei primi anni sessanta la Camera di Commercio aveva investito molte energie e risorse nel sostegno all’artigianato e alla agricoltura favorendo la nascita di fiere, eventi e puntando soprattutto alla realizzazione di opere di alta qualità architettonica quali la nuova sede Camerale e la Mostra permanente del marmo: un segno preciso per riaffermare la concordanza dell’ente camerale con i processi di modernizzazione in corso nel territorio. Nel dettaglio sarà questo tema trattato in una scheda di approfondimento. A partire dalla metà degli anni settanta vengono definitivamente superate “riserve” rispetto al modello di sviluppo industriale del territorio e la ri-conquista di un ruolo primaziale per il settore lapideo coinciderà con nuoSi gettano le fondamenta del nuovo edificio della Camera di Commercio. (Archivio Storico C.C.I.A.A.)

ziava ad importare pietre da tutto il mondo, specialmente granito ed a lavorarle in zona. Iniziava una fase assolutamente nuova. “Anche qui nacque e si affermò il cosiddetto “modello carrarese” di sviluppo, consistente in tre fattori interconnessi: la fortuna del marmo bianco, la domanda estera e la vendita assolutamente preminente del prodotto grezzo rispetto a quello lavorato”. Nel 1926 il modello carrarese di sviluppo era già entrato in crisi ma senza alcuna fortuna poiché i loro sforzi furono vanificati dalla riorganizzazione coatta del mercato di produzione e di vendita attuata dal regime fascista con l’introduzione del Consorzio Obbligatorio del Marmo.

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ve strategie di sviluppo e di presenza dell’azione camerale sui processi produttivi del territorio. Si può affermare, a ragione, che lo sviluppo dell’industria turistica, della sua capacità “attrattiva”, della valorizzazione di aree fino allora marginali o del rilancio dell’agricoltura di qualità siano state fortemente e positivamente condizionate dall’iniziativa camerale. Tutt’altro che trascurabile l’azione condotta per lo sviluppo di una moderna portualità, per il rilancio delle lavorazioni artistiche del marmo e soprattutto per il consolidamento della piccola e media impresa che, nei settori della meccanica fine e dell’elettronica ha compensato il tramonto del settore chimico. Le centinaia di attività di profesionalizzazione promosse dall’ente hanno permesso al territorio, dopo i primi,

Detto modello viene superato ai primi anni sessanta

duri sbandamenti seguiti alla “fuga” delle partecipazioni

con l’adozione di un modello diverso: in quegli anni si for-

statali, di “riconvertire” rapidamente migliaia di persone a

ma, grazie al binomio colorati-mercato interno, una vera

nuove professioni e attività, quindi ad un destino non ne-

industria marmifera italiana al di fuori del tradizionale

cessariamente fatto di sconfitta e amarezza. Questa capa-

comprensorio apuano. “Si assiste allora alla ricostruzione di

cità di “tenuta sociale” è stata omogenea, quindi ha attivato

quella rete di introduzione commerciale efficiente quale era

energie e idee anche in territori industrialmente marginali

quella degli anni venti”. Forse l’incapacità a rinnovarsi sia

come la valle del Magra che in un certo senso, grazie anche

nel settore dell’arte funeraria sia in quella della scultura or-

a questa iniziativa e questa presenza, non si è sentita sola;


piuttosto ha riscoperto una nuova immagine del proprio es-

risorse nella creazione di piccole attività ricche più di spe-

sere fatta di risorse culturali e ambientali di notevole pregio.

ranze che di idee (attività rivelatisi poi fallimentari nei fatti

Ha tenuto anche la zona della costa che ha pagato un prez-

e disastrose nella costruzione di un elevato debito privato).

zo elevatissimo al processo di deindustrializzazione. Non

La liberazione di queste forze produttive altamente specia-

sempre c’è stata concordanza tra le promesse di nuova oc-

lizzate (e questo sia detto a memoria contraria di coloro i

cupazione e l’utilizzo produttivo delle aree dismesse. Se in

quali sostenevano scientemente essere questo un territorio

una prima fase, grosso modo sul finire degli anni ottanta, il

di assenteisti e la grande industria un erogatore di salari) ha

territorio della costa ha letteralmente bruciato ingentissime

per contrappeso permesso uno sviluppo verticale del mo-

Il nuovo edificio della Camera di Commercio: salone di rappresentanza. (Archivio Storico C.C.I.A.A.)

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dello della piccola e media impresa, (meccanica, elettronica o chimica, costruzioni navali o lavorazioni complesse di marmi e graniti) che crescendo si è trascinata dietro uno sviluppo robusto del terziario. Cosa c’entra a questo punto, si dirà, il giovane scultore Poli che un secolo prima riceveva a Parigi un sussidio dalla Camera di Commercio? C’entra eccome, perchè questa attenzione al sostegno dei giovani e della scuola non si è perduta. Per anni le imprese giovanili hanno potuto contare sul sostegno camerale e così le scuole, come centocinquanta anni prima, contano ancora sulla Camera di Commercio per le iniziative di inserimento e contatto con il mondo del lavoro. Sostegno a iniziative artistiche, a mostre, progetti, esposizioni, libri che hanno creato sul territorio opportunità e rinnovato interesse per la cultura del lavoro come motore principe per la realizzazione completa dell’individuo e della comunità. Certo leggi e normative hanno lavorato, negli anni, volontariamente o involontariamente a favore di una denaturazione delle identità territoriali delle camere. Camere che nacquero proprio per liberare idee, energie e iniziativa dai territori che da poco erano parte del nuovo stato italiano. Questa Camera ha fatto bene e coscienziosamente quanto era previsto nel regio decreto del 1862. La speranza è quella di poter ancora rappresentare al meglio la ricchezza e la complessità di un territorio originale. Dato questo scenario economico e sociale, il nostro compito è quello di concludere, alla soglia del presente, questo lavoro fatto soprattutto di “lineamenti”, di indirizzi di studio e ricerca che non si sono posti alcuna finalità celebrativa ma hanno provato a proporre un quadro di insieme di “natura indiziaria”. Gli indizi sono dati dai documenti raccolti nell’Archivio Storico della Camera di Commercio e dall’incrocio con altri archivi ed altre fonti, specie di quelle a stampa e particolarmente per l’ultimo sessantennio. Ogni approfondimento o ricerca sarà utile per sapere sempre di più e in dettaglio fatti, vicende ed attività spesso scritti con inchiostro sbiadito su aridi registri. Compito dello storico è quello si saper fare parlare il documento, di contestualizzarlo: ogni documento ha finito per riportarci

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sui grandi temi, sui nodi di ogni periodo analizzato dando un contributo di approfondimento alla storia del territorio; la nostra storia, la storia della nostra identità. Quindi si può concludere parafrasando, con licenza, una battuta di un vivace personaggio: “le ruote si possono cambiare, la... storia no.” Il decennio precedente la grande crisi marmifera del 1927-35 segnava il punto più alto di modernizzazione tecnica che il settore marmifero avesse mai conosciuto: con l’introduzione di moderni macchinari da cava e da segheria capaci di lavorazioni più rapide e agevoli furono notevolmente implementate le quantità di marmo escavato e ridotto in blocchi e quindi di marmi segati in lastre o ridotti in lavorati per le opere di architettura ed edilizia. Purtroppo, in un breve spazio di tempo, la rovinosa crisi del settore conseguente la crisi generale del ’29, congelò nei fatti, per più di un ventennio, le speranze di una ulteriore evoluzione tecnologica del settore estrattivo e di trasformazione. A cavallo dei secoli decimonono e ventesimo si assistette ad un forte rilancio della meccanizzazione del trasporto del marmo in cava e verso il piano. Nel 1925, la ditta Cesare Frugoli inaugurò un piano inclinato lungo 1.250 metri, svolto sopra un unica rotaia che correva con pendenze fino al 75% e curve di sei metri di raggio, disteso sopra una via di lizza; l’argano elettrico dotato di tre freni di sicurezza, in aggiunta a quello applicato sul carrello, svolgeva un cavo di acciaio tale da permettere un carico fino a 56 tonn di marmo, e agiva con un controcarrello che risaliva in senso contrario, con un punto di scambio all’altezza della coincidenza tra discesa e risali


L’artigianato è sempre stato oggetto di particolare attenzione da parte della Camera di Commercio, non solo nel comprensorio del marmo, ma anche nel territorio lunigianese, dove negli anni del boom economico si ebbe una fase di crescita nella lavorazione del legno ed in quella del ferro, senza tralasciare quella che da produzione artigiana familiare diventerà, fino agli inizi degli anni ’90, la fiorente industria di arredamenti navali dei Signani, ad Albiano Magra. Sul finire degli anni ’70 la Camera sostenne le mostre provinciali dell’artigianato che si allestivano ad

PARTE SECONDA

Capitolo TERZO

Aulla e a Pontremoli e ospitavano anche espositori delle province limitrofe. Un tentativo di promuovere il recupero di forme tradizionali e artistiche dell’artigianato del legno, della ceramica, della pietra e del ferro ebbe tra i promotori le Comunità Montane, ma quel progetto non ebbe sviluppo: era denominato “artigianato artistico”, doveva basarsi su prototipi realizzati da artisti di fama, da riproporre in ipotetici nuovi laboratori artigianali. Recentemente maggior successo e interesse hanno destato le iniziative artistiche e di design collegate alla valorizzazione del marmo nell’arredo urbano ed all’attività dell’Accademia di Belle Arti. Molto successo ebbe l’iniziativa svolta nelle scuole medie, con il sostegno economico a laboratori di ceramica, di tessitura e per la lavorazione del legno che trovarono ospitalità nell’ambito della “Mostra provinciale dell’artigianato delle province di Massa-Carrara, della Spezia e di Lucca”. Il progetto didattico, svolto in collaborazione con le Comunità Montane e le associazione di categoria, aveva ottenuto l’adesione di tutte le scuole medie della provincia e prevedeva conferenze di funzionari della Camera e della Comunità Montana, fornitura di materiali d’uso e attrezzature, visite ad aziende e laboratori artigianali. Nel gennaio 1988 la Camera di Commercio, sospese le mostre artigianali provinciali, si fece carico dell’organizzazione ad Aulla dell’esposizione di tutti i manufatti realizzati dagli alunni della provincia nell’intento di promuovere tra gli alunni la conoscenza del lavoro artigianale e contribuire a fornire elementi di orientamento professionale. A chi, senza fretta, percorra oggi le strade e le piazze di Pontremoli e Fivizzano non può sfuggire la ricchezza dei portali di pietra, l’eleganza dei portoni in legno e delle inferriate in ferro battuto: sono le testimonianze discrete di una stagione felice di artigianato, forse dovuta a maestranze venute da fuori, ma certamente proseguita fino alle soglie del novecento anche da artigiani locali di grandi capacità. Nel Museo Etnografico della Lunigiana, a Villafranca, si possono ammirare esempi di sedie, divani,

30 Scheda

ARTIGIANATO, CAMERA DI COMMERCIO e SCUOLA

Tegola con ghianda a rilievo, prodotta dalle fornaci della Quercia che cessarono l’attività tra la fine del 1800 e il primo decennio del 1900.

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Testo da pane di ghisa e testelli in terracotta.

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mobili realizzati a Bratto, nella montagna pontremolese, e conosciuti come stile pontremolese, così come sono esposte le tipiche culle a dondolo, riccamente istoriate e dipinte in rosso faggio. Tra le tante opere di artigianato artistico giunte fino a noi, una delle più singolari e stupefacenti è la sacrestia della Santissima Annunziata di Pontremoli: una grandiosa opera di falegnameria firmata da frate Francesco Battaglia da Mignegno nell’anno 1676. Nella documentazione della Camera di Commercio è conservata la documentazione di una straordinaria stagione di produzioni di manufatti in terracotta, con i Cocchi della Quercia che partecipano con successo e riconoscimenti di primo piano alle esposizioni internazionali che caratterizzano la seconda metà dell’ottocento. Le produzioni degli stabilimenti della Quercia di Aulla, proprietà dei Cocchi di Terrarossa, non si limitarono alla produzione di tegole e coppi, ma misero in vendita, su un vasto mercato che superava i confini della Lunigiana, artistici elementi architettonici, orci, piccole statue: la ricercatezza della loro produzione la si può ancora notare nelle superstiti tegole che recavano in rilievo una ghianda di quercia. Nel 1864 i Cimati avevano costruito, a Filattiera, una fornace di mattoni che avrà breve vita, mentre la fornace per mattoni che nel 1889 l’impresa Piatti aveva attivato a Casa Corvi, poco lontano dai suoi cantieri dei ponti ferroviari sul Verde, resterà in attività fino al secondo dopo-

guerra del secolo scorso, assieme alle fornaci per mattoni di Aulla-Ragnaia e di Vallescura, in comune di Bagnone. Secoli prima, per buona parte del secolo XVII, è attestata a Bagnone l’esistenza di una fornace che produceva testi, pentole, brocche, piccoli orci, scodelle, piatti, mentre nel 1500 sembra essere stata attiva una fornace per stoviglie anche nel centro di Aulla, nei pressi dell’abbazia di san Caprasio. Proprio dall’archeologia ci arriva la testimonianza di una produzione di testelli, già attestata prima dell’anno mille, che ha attraversato i secoli senza soluzione di continuità ed ha ripreso impulso con Marco Podenzana, anche per il successo dei panigacci di Podenzana per la cui valorizzazione la Camera di Commercio ha operato nell’ambito dei progetti di sostegno ai prodotti gastronomici lunigianesi di qualità. I testelli di Podenzana sono oggi in vendita nei negozi locali e rappresentano la sola produzione di terracotta ancora attiva, fatte salve le produzioni artistiche di piccoli artigiani a Pontremoli, Podenzana, Filetto, Mulazzo, Ponte Teglia. Proprio nel settore artistico nel secondo dopoguerra a Quercia e Licciana fu effettuato un tentativo di rilancio della produzione di piastrelle decorate ed elementi di architettura dei quali restano importanti testimonianze negli altari delle chiese di Quercia e Licciana: Luigi Baldassini, Paolo Guiso e Anselmo Gabrielli sono stati loro gli ultimi coraggiosi imprenditori del settore ceramico.


PARTE SECONDA

Capitolo TERZO

Il 24 maggio del 1975 l’intero tratto dell’Autocamionale della Cisa veniva aperta al traffico: la costruzione dei 101 chilometri aveva richiesto 2.500.000 giornate lavorative e la sua realizzazione era stata auspicata fin dal 1947 quando gli enti pubblici di Parma chiesero al governo di occuparsi dell’attraversamento dell’Appennino, così come prima della guerra era avvenuto sulla Serravalle-Genova. Nel 1949 un opuscolo a stampa dimostrò l’utilità di un collegamento Parma-Pontremoli , perché “era giunto il momento di collegare il nord con il centro ed il sud del paese, bucando l’Appennino” e si affermò che “in nessuna altra valle, l’Appennino si presta alla realizzazione di una strada più economica, giacché è qui che le curve di livello di pari quota corrono maggiormente ravvicinate e che lo spessore dello spartiacque si presenta più sottile”. Una relazione del Prof. Ing. Aimone Jelmone, dello stesso anno, prospettò una circoscritta analisi dei costi-benefici dell’arteria, ipotizzando un percorso sulla sponda sinistra della Magra, ma lasciando aperta l’ipotesi del tracciato in sponda destra che finirà per prevalere. Di fronte ai ritardi governativi nel predisporre il piano delle autostrade, nel settembre 1951 si tenne a Salsomaggiore un convegno nazionale per lo studio delle comunicazioni transappenniniche e nell’ordine del giorno finale si affermò la necessità e l’urgenza della costruzione della Camionabile della Cisa. “Devesi riconoscere la inadeguatezza della rete stradale italiana per le esigenze di traffico e specialmente la deficienza delle comunicazioni transappenniniche...” Alla votazione dell’ordine del giorno si astennero solo gli enti del consorzio interprovinciale per la strada LivornoModena e l’amministrazione di Reggio Emilia. Il rappresentante della Camera di Commercio di Piacenza dichiarò di non essere munito dei poteri necessari per partecipare al voto. Non parteciparono alla votazione i rappresentanti degli enti delle province più direttamente interessate alla costruzione dell’autostrada della Cisa: Parma, La Spezia e Massa Carrara. L’ordine del giorno si concluse con una ipotesi di compromesso, affermando che:

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L’Autocamionale della Cisa e l’impegno della Camera di Commercio

Opuscolo a stampa dal titolo “L’Autocamionale della Cisa”, Parma 1950. Logo dell’Autocamionale della Cisa.

“La soluzione indispensabile ed urgente per la realizzazione di un primo migliore collegamento fra il nord e il centro-sud Italia , assicurante le più brevi distanze da ogni provenienza e da ogni destinazione è costituito dalla realizzazione dei due progetti di valico della Cisa e di Montepiano, quest’ultimo prolungato fino al porto di Livorno ed alla via Aurelia”. Nel 1955 la legge Romita disciplinò la costruzione e gestione di autostrade a carico dell’ANAS e quella in concessione e gestione fu preferibilmente assegnata ad enti di diritto pubblico, consorzi o società da essi costituiti o nei quali essi avessero la maggioranza azionaria. Nel

Foto di pag. 240: Decreto di Napoleone I di approvazione della costruzione della strada statale dalla Spezia a Parma. La barriera di Stadano, innesto tra Autocisa e Salt, ormai demolita. Il monumento in acciaio, opera di Luigi Magnani: il marmo è stato donato dalla Camera di Commercio di Carrara ed è collocato all’inizio dell’autostrada, a Parma. Il viadotto a corsie sovrapposte di Roccaprebalza,

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1960 venne costituita la S.P.A per la costruzione dell’autocamionale e nel 1961 anche la nostra Camera di Commercio era ormai entrata a far parte della Società con grandi speranze nell’ imminente avvio dei lavori, come si legge in un resoconto dell’incontro tenutosi a Parma nell’aprile del 1961, conservato nell’archivio camerale: “Alla Camera di Commercio di Parma il 15 aprile si è tenuta una riunione dei dirigenti di enti e amministrazioni della Toscana, Liguria ed Emilia che fanno parte della società per azioni “Autocamionale della Cisa. Alla riunione era presente il presidente della Camera di Commercio di Massa e Carrara e si informò che l’ANAS aveva approvato il progetto il 21 dicembre 1960, prevedendo l’inizio lavori per i primi due lotti nel luglio 1961 . Si spera che il 24 maggio in occasione della venuta del Presidente della Repubblica a Villafranca Lunigiana, per l’inaugurazione del monumento all’asso dell’aviazione Medaglia d’ 0ro Flavio Torello Baracchini, possa essere effettuata la posa della prima pietra per la costruenda arteria.La manifestazione avrà luogo a Pontremoli, a cura del comune, nel punto terminale dell’autostrada, la Società per Azioni Autocamionale della Cisa provvederà all’iscrizione di appropriate parole su di un cippo marmoreo a ricordo dell’evento”. Ma, a Villafranca, il presidente della Repubblica non si fece vivo e del previsto cippo pontremolese, se mai fu po-

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sto, non c’è più memoria. La società per azioni, costituita nel 1950, aveva soppiantato il comitato promotore dell’autocamionale, assumendo la denominazione “Autocamionale della Cisa per la direttissima Milano-Roma-Mezzogiorno s.p.a”, denominazione che esprimeva una grande intuizione, ma evidentemente contrastava con altri più forti interessi dell’asse Bologna-Firenze-Roma e così, dopo l’affidamento all’I.R.I della costruzione della Milano-Roma, la denominazione della nostra autostrada fu mutata in “Autocamionale della Cisa S.p.A” ed il sogno di un collegamento veloce lungo la costa tirrenica è ancora tale. Le procedure per l’ampliamento della concessione, inizialmente prevista da Fornovo a Pontremoli, portarono, nel 1961, alla concessione di altri due lotti: da Fornovo al collegamento con l’A1 e da Pontremoli a Santo Stefano Magra. In fondo, come scrisse Gianmaria Piazza nel volume celebrativo dell’autostrada pubblicato a fine lavori, “quella dell’Autostrada della Cisa è una storia patetica, fatta di una somma infinita di sforzi che ogni volta parevano vani e destinati all’insuccesso, tanta era la sproporzione tra i grandi problemi da risolvere e le forze a disposizione per affrontarli”, ma che furono superati con la volontà concorde e instancabile dei maggiori enti pubblici delle tre province più interessate e delle rispettive Camere di Commercio di Parma, La Spezia e Massa Carrara.


PARTE SECONDA

pare la promozione turistica e troppo poca l’ informazione per il turista. L’agriturismo ha registrato un notevole incremento ed è caratterizzato da una forte presenza di imprenditori provenienti da altre regioni e talvolta anche dall’estero, specialmente dalla Germania e dall’Inghilterra. Per la prima volta, nell’ambito di un’indagine ad ampio raggio, si affronta il tema importante del rapporto giovani e scuola, con l’accento posto sul disagio più grande, che è quello del pendolarismo, della difficoltosa situazione del trasporto pubblico e dell’emigrazione verso scuole della vicina La Spezia e, non ultima, la spinosa questione della disoccupazione intellettuale. Si registra scarsa fiducia nel lavoro autonomo e il lavoro più ambito è quello vicino a casa, possibilmente nel terziario. In ogni caso anche coloro che sono occupati presso le attività pubbliche e privare delle città di costa e dell’area spezzina preferiscono il rientro quotidiano presso l’abitazione.

Capitolo TERZO

L’indagine promossa alla fine del primo decennio del 2000 dall’ Istituto di Studi e Ricerche sulla realtà socioeconomica della Lunigiana ha rappresentato una novità prima di tutto per la metodologia seguita: non solo dati statistici, ma una vera e propria inchiesta svolta con interviste agli operatori, perché, come ebbe a scrivere il presidente Norberto Ricci: “insieme al rigore della statistica ed alla minuziosa ricerca dell’oggettività degli indicatori, vi è spazio per considerazioni ed analisi che si immergono nella storia e nelle tradizioni”. Così lo studio si occupa dei dati demografici, dell’avanzamento del terziario, ma anche della specificità dell’agricoltura che cambia volto e, oltre a qualificare la produzione, ne sta avviando anche la commercializzazione e registra un nuovo interesse dei giovani. Prevale ancora l’azienda a conduzione familiare: i titolari sono in età compresa tra i 30 ed i 50 anni, hanno buon livello di scolarizzazione ed utilizzano strumenti di comunicazione i più innovativi. Per il periodo 2007-2013, 90 giovani hanno presentato domanda di finanziamento a sostegno della loro azienda, nell’ambito del Piano di Sviluppo Rurale e di queste 38 sono state finanziate, 18 escluse e 34 ammissibili, ma non finanziate per mancanza di risorse. Il limite della piccola proprietà e della commercializzazione delle produzioni si sta cercando di superarlo con iniziative quali la vendita diretta in mercati a KM 0 e la recente apertura di un negozio nel castello di Terrarossa. Molta parte dell’indagine è dedicata al turismo, con l’analisi dei flussi ed i punti di vista degli operatori e della clientela che negli ultimi anni ha decisamente scoperto l’agriturismo o, meglio, il turismo rurale. Il turista si lega al territorio ed è abbastanza diffusa la fidelizzazione della clientela, specialmente di quella che scopre occasionalmente la Lunigiana e poi vi torna. Positive le valutazioni del turista che mette al primo posto la qualità dell’ambiente, poi il traffico sostenibile ;al terzo posto le sagre e le feste paesane; al sesto musei; la pulizia dei locali e, appena sufficiente, le manifestazioni culturali; molto carente ap-

32 Scheda

Un’indagine dell’Istituto di Studi e Ricerche azienda speciale della Camera di Commercio fotografa la Lunigiana alla fine del primo decennio del 2000

Suggestiva immagine del castello di Borgocastevoli in primavera. Foto Daniele Canali.

245


Scheda

Capitolo TERZO

PARTE SECONDA

33

L’ingresso alla Mostra Tirreno del 1951. (Ar

246

LA IV MOSTRA INTERPROVINCIALE DEL TIRRENO DEL 1951 UN’INIZITIVA DI GRANDE VALORE PROMOZIONALE

Durante l’ultima settimana del mese di luglio del 1951, i carraresi che erano soliti frequentare i giardini pubblici della Piazza d’Armi videro quel luogo ameno trasformarsi in un vero e proprio cantiere di lavoro. Un copioso numero di operai, infatti, si era insediato nella piazza ed aveva iniziato la costruzione di padiglioni in legno per l’allestimento - come la stampa locale aveva preannunciato - della “IV Mostra Interprovinciale del Tirreno”, in programma dal 12 al 31 agosto. Falegnami e carpentieri, elettricisti e ponteggiatori, insieme a maestranze di altre specializzazioni, lavorarono alacremente sotto la canicola di quei giorni e riuscirono a realizzare per tempo un ampio complesso espositivo che, oltre lo spazio dei giardini pubblici, comprendeva anche il piano terra del sovrastante edificio della scuola “Aurelio Saffi”. L’area destinata alla mostra fu protetta da un’agile palizzata costituita da lunghe tavole di legno piallato e verniciato che, poste in posizione verticale, formavano una specie di muro di cinta di elegante fattura. L’ingresso della mostra era stato posto dove ha inizio la via Roma, fra il palazzo dell’Accademia di Belle Arti e quello della Cassa di Risparmio. Esso era costituito da un armonico complesso architettonico comprendente, a partire dal basso, una sorta di vestibolo suddiviso da tre corridoi, uno centrale assai largo e due laterali più stretti, protetti ciascuno da cancelli di colore verde scuro. Tale vestibolo era coperto da un ampio architrave sul quale poggiava, in un ardito gioco aereo di ponteggi, una maestosa impalcatura realizzata con “tubi Innocenti” che da una parte inquadrava verticalmente, in forte evidenza coloristica, gli stemmi delle cinque province “tirreniche” partecipanti alla mostra e dall’altra evidenziava quattro grandi pannelli, separati da spazi aperti in sequenza verticale, contrassegnati ciascuno rispettivamente dalle parole “Industria”, “Commercio”, “Agricoltura”, “Artigianato”. Sui tubi ascensionali che completavano la struttura svettavano, altissime, varie bandiere rappresentative di organizzazioni e istituzioni pubbliche; tubi laterali reggevano i numerosi riflettori che durante la notte illuminavano il panora-

ma offrendo una visione spettacolare di grande effetto. L’intero complesso fieristico, una volta ultimato, risultò composto da 65 stands ordinatamente disposti nella Piazza d’Armi e da 41punti espositivi allestiti all’interno del palazzo delle scuole “Aurelio Saffi”. Un’accurata collocazione di grandi vasi sfoggiava esuberanti combinazioni floreali che, con le aiuole della piazza e i rigogliosi alberi circostanti, conferivano una piacevole veduta d’assieme all’ambiente espositivo.


La “IV MOSTRA INTERPROVINCIALE DEL TIRRENO”, organizzata dalla Camera di Commercio di Massa e Carrara, era stata autorizzata dal Ministero dell’Industria e del Commercio con decreto 30 dicembre 1950, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24 gennaio 1951. Essa proseguiva la tradizione fieristica istituita dalle Camere di Commercio toscane del litorale tirrenico le quali, nel clima ricostruttivo che animava l’Italia del dopoguerra, convennero nel 1947 di organizzare nelle rispettive sedi, a turno e con spirito collaborativo, una manifestazione a carattere espositivo con lo scopo di incrementare le attività economiche delle cinque province interessate e di favorire lo sviluppo delle relazioni commerciali attraverso la presentazione dei prodotti dell’industria, dell’agricoltura e dell’artigianato delle province stesse. La prima edizione della mostra fu ospitata a Pisa nel 1948, la seconda a Livorno nel 1949 e la terza a Lucca nel 1950; nel 1951 fu la volta di Carrara e il ciclo si sarebbe concluso a Grosseto nel 1952. L’edizione carrarese della mostra fu allestita con particolare cura dalla Camera di Commercio di Massa e Carrara, che mise a disposizione dell’organizzazione l’esperienza e le capacità professionali del proprio personale, sia dal punto di vista logistico che da quello propagandistico, sollecitando tutti gli associati ad assicurare la massima collaborazione e la piena partecipazione. Accanto al Comitato Promotore, composto dai presidenti delle cinque Camere di Commercio interessate, fu creato un Comitato Ordinatore, presieduto dal rag. Gastone Dazzi, presidente della Camera di Commercio locale, formato da un copioso numero di membri rappresentativi delle istituzioni amministrative, industriali, commerciali, agrarie, artigianali, turistiche e culturali della provincia di Massa e Carrara. Un più snello Comitato Tecnico Esecutivo, composto da dirigenti di specifica esperienza settoriale, diretto dall’ing. Giorgio Di Ricco, doveva seguire da vicino la fase preparatoria e redigere il piano generale della Mostra. Merita di essere ricordata, inoltre, l’opera infaticabile ed insostituibile, del rag. Bruno Contigli, segretario generale della Camera provinciale, coadiuvato dal dott. Erberto Marchetti e dall’ ing. Antonio Giannico, zelanti funzionari camerali. La Mostra fu inaugurata domenica 12 agosto, alle ore 12 alla presenza delle autorità della provincia e dei parlamentari della circoscrizione, accolti da un pubblico folto e caloroso. In verità l’orario di apertura della manifestazione era stato fissato per le ore 11 e avrebbe dovuto procedere

al tradizionale taglio del nastro tricolore l’onorevole Ugo La Malfa, ministro del Commercio con l’estero; ma questi “per un imprevisto contrattempo” non poté essere presente all’ora stabilita. Pertanto, a mezzogiorno, fu deciso di procedere ugualmente all’inaugurazione, della quale assunse l’incombenza l’avv. Efisio Giua-Loy, prefetto della provincia di Massa e Carrara, che pronunciò parole di compiacimento per la riuscita della mostra. Dopo le operazioni di rito, il rag. Gastone Dazzi, presidente della Camera di Commercio di Massa e Carrara e, da pochi mesi, sindaco di Carrara, rivolse il saluto della cittadinanza alle Autorità e agli ospiti ed espresse un particolare ringraziamento agli espositori che con la loro numerosa partecipazione avevano contribuito a qualificare esemplarmente la manifestazione. Le Autorità stavano procedendo alla visita dei singoli padiglioni, quando giunse l’on. Ugo La Malfa che, accolto festosamente, si scusò per il ritardo ed espresse agli organizzatori e agli espositori il suo vivo elogio; poi si unì al corteo nel prosieguo della visita.

Mostra Tirreno del 1951, stand dell’Olivetti Synthesis. Nello stabilimento massese si producevano mobili e componenti per ufficio. L’Olivetti era anche presente sul territorio con una modernissima colonia marina al Bondano.

Immaginiamo, a questo punto, di tornare indietro nel tempo e, sulla base di ricordi personali e valendoci del catalogo ufficiale, uniamoci al corteo delle Autorità in visita ai padiglioni espositivi. Prima, però, è necessario precisare che l’edizione carrarese della Mostra Interprovinciale del Tirreno mise in evidenza

247


Mostra Tirreno del 1951, stand della caramica “La Quercia” di Aulla. (Ar

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una sua particolare fisionomia, dovuta alle peculiari caratteristiche industriali della provincia apuana. Nel panorama merceologico della fiera, infatti, era largamente rappresentato il marmo, con la presentazione di lavori in grado di offrire una chiara dimostrazione delle svariate possibilità di applicazione di quel materiale non solo nell’edilizia, ma anche nell’arredamento e nell’arte. L’artigianato locale, tenendo fede alla sua prestigiosa tradizione, si segnalò per gradevolezza di forme nelle riproduzioni artistiche e per l’ingegnosità di impiego negli oggetti di arredo. Lo spazio riservato alla produzione artigianale nell’ambito della mostra fu rilevante per la numerosa presenza di singoli artigiani, di ditte specializzate, di associazioni di categoria e perfino di scuole ad indirizzo tecnicoartistico. Anche le macchine per la lavorazione del marmo fecero la loro parte nel rappresentare l’industria marmifera apuana e consentirono di valutare i progressi allora raggiunti dalla tecnica meccanica in tale settore. Fonderie ed officine locali, filiali e rappresentanze di ditte nazionali esposero i loro più recenti prodotti, come macchine per l’escavazione e la segagione di marmi e graniti, apparecchiature per la levigatura di lastre, la sagomatura di blocchi e il loro sollevamento; inoltre trapani, elettrosmerigliatrici e accessori vari come dischi, filo elicoidale, funi metalliche. Alcune ditte operanti nel settore dell’edilizia evidenziarono le loro re-

alizzazioni nei rivestimenti esterni ed interni di abitazioni ed edifici in genere. Pure le imprese operanti nella conduzione di cave esposero alla mostra i magnifici campionari dei marmi di loro produzione. L’industria motoristica, specialmente nel settore motociclistico, era degnamente rappresentata da varie “marche”, alcune delle quali impegnate anche in ambito sportivo. La moto era allora considerata un mezzo di trasporto particolarmente conveniente sia per la praticità che per il costo, tanto è vero che essa cominciava a diffondersi non soltanto come veicolo per recarsi al lavoro, ma anche come opportunità di svago. L’Italia poteva vantare numerose case costruttrici, che in accesa concorrenza tra di loro immettevano sul mercato tipi di varia cilindrata e di diversa concezione estetica. Si aggiunga che a favore della propaganda della moto giocava un ruolo importante il fatto che sia le marche che i piloti italiani primeggiavano in campo sportivo nei vari gran premi per il titolo mondiale e nelle numerose corse su strada che si svolgevano in quegli anni. Erano presenti alla mostra i “motorini” cucciolo e mosquito, molto popolari allora, che all’inizio altro non erano che “comuni biciclette alle quali era stato applicato un propulsore ausiliario” in modo tale da trasformarle in un veicolo a motore; di piccola cilindrata essi avevano cominciato a rumoreggiare sulle strade delle città italiane fino dall’immediato dopoguerra. I modelli esposti già avevano assunto la veste di motoleggere pratiche e maneggevoli, la cui convenienza economica era sottolineata dallo slogan pubblicitario che segnalava la percorrenza di 70 km con un litro di carburante composto da olio e benzina. Molto frequentato era lo stand della Lambretta, lo scooter allora sull’onda del successo, che esponeva vari prototipi, compreso quello della prima variante carenata. Altre marche in vista erano la Motom, la Iso e la Ducati, nomi che all’epoca rappresentavano una parte importante dell’industria motociclistica italiana. Ma la più grande attrazione in questo campo era costituita dal padiglione dove il concessionario della Moto Guzzi aveva predisposto con abile collocazione logistica le varie cilindrate in uso: dall’Airone 250, all’Astore 500, al Falcone 500: queste motociclette, tutte rigorosamente di colore rosso acceso, rappresentavano “il sogno dei motociclisti italiani”, come recitava uno slogan pubblicitario; il potente Falcone 500 venne poi riconosciuto come “il massimo della tecnica motociclistica” del tempo. Ai lati di questo imponente schieramento erano collocati altri due prodotti della casa italiana: il Guzzino 65, nato nel 1946,


e il Galletto 160, il primo scooter a ruote alte della storia. L’industria alimentare non aveva ancora valorizzato i prodotti locali, dal lardo agli insaccati e ai formaggi lunigianesi, e neppure il miele né l’olio né i vini tipici della zona; specialità che avrebbero conquistato molti anni più tardi una meritata rinomanza sulle tavole degli italiani. Alla mostra, perciò, soltanto alcuni negozianti e grossisti locali di “commestibili” avevano esposto la loro merce: formaggi e salumi, barilotti di pesci conservati, variopinti barattoli di latta con marmellata o salsa di pomodoro, prodotti dolciari come biscotti, caramelle e cioccolate in contenitori aperti all’assaggio dei visitatori, olio d’oliva in policrome lattine e vino in fiaschi impagliati offrivano un’allettante visione gastronomica ad occhi ancor poco avvezzi all’abbondanza del cibo quotidiano. Nello stand di un rappresentante locale di liquori, numerose bottiglie di varia forma erano disposte su di un piano ricoperto da un panno verde: con le loro multicolori etichette indicanti la marca di ciascuna davano l’impressione di uno schieramento di soldati in divisa; in un piano accanto un gran numero di minuscole bottigliette collocate casualmente contenevano “estratti per farsi i liquori in casa”, forse ricordo di uno scomodo periodo di autarchia nazionale più che saggio invito al risparmio. Ancora nel settore dolciario, alcune ditte specializzate a carattere nazionale avevano partecipato alla Mostra appoggiandosi ad esercenti locali di pasticcerie, gelaterie e caffetterie; in questi stand, insieme alle novità di strumenti automatici per la lavorazione del latte e della crema e per la torrefazione del caffè, venivano offerti ai visitatori prodotti specifici come paste ripiene di crema, soffici sfoglie imbevute di infusi liquorosi, coni gelati esuberanti di delicata panna; intanto dallo stand della “Casa del Caffé” si diffondeva all’intorno l’aroma gustoso dell’espresso fumante. Occupava alcuni padiglioni un prodotto che oggi è praticamente scomparso: il gas liquido in bombole. Si trattava di un combustibile indispensabile per quelle abitazioni che ancora non erano servite dalle condutture del gas di città; alla Mostra esso era rappresentato da tre diverse qualità in tre diversi siti: Butangas, Liquigas, Pibigas. Erano presenti all’esposizione anche due qualificate aziende locali operanti nel campo del mobile e dell’arredamento; era piacevole ammirare nei loro stand la ricostruzione di cucine, camere da letto e salotti arredati con eleganza e funzionalità. Macchine da maglieria e da cucire rappresentavano l’uso domestico di un’attività oggi assurta a livelli industriali.

Il comparto dell’edilizia poteva contare su una nota cooperativa pontremolese che, al riparo di uno stand riproducente il muro merlato di un castello medioevale, ostentava cumuli piramidali di sacchi di cemento e calce, e su una fabbrica carrarese di mattonelle di cemento e mosaico. Non mancavano negozianti locali di calzature e articoli in pelle e di generi di abbigliamento. Una affermata vetreria carrarese presentava vetri e specchi di alta qualità, mentre il concessionario per la Toscana di una nota ditta esponeva un vasto assortimento di giocattoli che accendevano il desiderio dei più piccoli visitatori della Mostra. Lo stand che la ditta “Giuseppe Barbieri”, oggi cessata, aveva allestito con particolare cura, sfoggiava la varietà dei prodotti della sua tabaccheria: pacchetti di sigarette nazionali ed estere, sigari di varia fattura, scatolette di fiammiferi dei vari tipi, cartine di velina per sigarette, “spuntatura” di tabacchi diversi e pipe di ogni specie: insomma, tutto quanto veniva allora utilizzato per le esigenze dei fumatori. Oltre alle aziende industriali, commerciali ed artigiane che abbiamo citato partecipavano alla Mostra alcuni Enti che con tali attività avevano strette attinenze come associazioni consortili ed istituti scolastici di istruzione professionale ed artistica. Così il Consorzio per la Zona Industriale esponeva un bellissimo plastico dell’area ove erano ubicati i vari stabilimenti; l’Ispettorato dipartimentale delle foreste aveva allestito uno stand ricco di materiale illustrativo a docu-

Mostra Tirreno del 1951, stand “Butan Gas”.

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mentazione della vegetazione del territorio della provincia, mentre il Consorzio Agrario Provinciale presentava materiali utili per l’agricoltura e macchine agricole. La Scuola del Marmo di Carrara esibiva lavori in marmo eseguiti dagli allievi, le scuole industriali di Massa e di Avenza avevano presentato i migliori saggi dei loro alunni, così come gli studenti della scuola marinara di Marina di Carrara. L’Associazione degli Artigiani di Massa e Carrara aveva allestito una “collettiva” con le pregevoli opere di quattordici ottimi scultori. Non dobbiamo dimenticare il qualificato apporto conferito alla manifestazione dalle Camere di Commercio di Grosseto, di Lucca e di Pisa, i padiglioni delle quali permisero ai visitatori di rendersi conto delle produzioni tipiche di quelle province: dai cucirini, agli oli e alle ceramiche artistiche della lucchesia, ai minerali, ai sugheri ed agli oggetti in ferro e ghisa del grossetano, ai vetri, ai pellami, ai vini ed ai prodotti delle industrie del legno della zona pisana. La “IV Mostra del Tirreno”, che abbiamo cercato di descrivere succintamente, potrà apparire al lettore di oggi una delle tante fiere tradizionali, con esposizione di prodotti locali ed oggetti di vendita corrente. Ma non è così; essa, infatti, fu una qualificata manifestazione commerciale ed ebbe una rilevante importanza promozionale sia per le dimostrate capacità organizzative che per l’immagine rappresentativa della nostra provincia, ancora alle prese con le difficoltà della “ricostruzione”. Siamo nel 1951 e l’Italia non è ancora guarita dalle ferite della guerra; nel territorio di Massa e Carrara vari centri abitati mostrano ancora le rovine di edifici distrutti e molte famiglie vivono in condizioni disagiate. La vita è dura, ma nella gente c’è voglia di fare, di lavorare; quella voglia che sta per avviare il nostro paese sulla via del benessere e che porterà agli anni del cosiddetto “miracolo economico”. E’ quella volontà che indusse la Camera di Commercio di Massa e Carrara ad accettare, anzi a richiedere, la partecipazione alla Mostra del Tirreno, al fianco delle più ricche province della costa toscana. E la nostra Camera di Commercio fu ripagata dell’impegno profuso con unanimi riconoscimenti. Circa cinquantamila furono i visitatori della Mostra e generale fu l’apprezzamento manifestato, anche per la suggestione offerta dall’ambiente: la Piazza d’armi immersa nel verde, sovrastata dall’imponente palazzo delle scuole “Saffi”, socchiusa dall’elegante edificio della Cassa di Rispar-

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mio e dal castello merlato dell’Accademia di Belle Arti, e sul fondo il monumento a Pellegrino Rossi, guardingo custode della piazza. Durante la Mostra si tennero interessanti convegni di carattere economico e si svolsero varie manifestazioni collaterali come concerti, rassegne di pittura, premi letterari, spettacoli di varietà, avvenimenti sportivi. Furono, inoltre, organizzate gite collettive alle cave per dare modo ai visitatori di assistere al lavoro di estrazione e trasporto dei marmi e di ammirare visioni panoramiche di eccezionale bellezza. I cittadini carraresi vissero le giornate di quel lontano agosto con entusiastica partecipazione. Ai loro occhi, la manifestazione fieristica allestita dalla Camera di Commercio assunse un aspetto di piacevole diversivo e al tempo stesso di orgogliosa soddisfazione. La città, del resto, non aveva alle spalle una tradizione fieristica vera e propria; in sede locale il precedente più vicino può essere fatto risalire alla II Mostra celebrativa del Marmo tenutasi in Carrara dal 21 luglio al 15 settembre del 1935 presso l’Accademia di Belle Arti. Con la mostra del Tirreno si colse il valore promozionale di certe iniziative e da allora cominciò una serie di manifestazioni espositive che sarebbe arrivata fino ai nostri giorni, con la costruzione di apposite strutture e la costituzione di un ente specializzato. La IV Mostra Interprovinciale del Tirreno merita dunque un posto importante non solo nelle attività della Camera di Commercio, ma nella storia della città in cui si svolse. A testimonianza del successo riportato, la durata della Mostra fu prolungata fino al 2 settembre. Il 31 agosto, fra l’altro, essa ricevette la visita dell’on. Giovanni Gronchi, toscano, allora presidente della Camera dei Deputati e prossimo Presidente della Repubblica. La serata di chiusura ebbe il degno suggello di un concerto di musiche di Giuseppe Verdi, eseguite nell’apposito palco liberty della Piazza d’Armi. Celebri cantanti e l’eccellente orchestra del Conservatorio musicale di Reggio Emilia offrirono il meglio delle loro capacità, suscitando il caloroso entusiasmo del pubblico. “Un eccezionale concerto di cui a Carrara si serberà un grato ricordo per anni” scrisse un cronista locale di quella esibizione lirica. Riteniamo di poter estendere lo stesso apprezzamento di quelle parole alla “IV Mostra Interprovinciale del Tirreno”.


Parte SECONDA

Capitolo QUARTO

Un decennio di ascese e cadute: economia e territorio nella provincia apuana

Nell’arco dell’ultimo decennio non poche sono state

iettorie fondamentali, risulta fortemente modificato nelle

le modifiche che hanno interessato il sistema economico

linee di sviluppo e nelle strategie da seguire, in particolare

e sociale apuano: la popolazione, le imprese, il turismo, il

alla luce di una crisi internazionale, iniziata nel 2007, sen-

mercato del lavoro, i settori economici principali, dall’a-

za precedenti e che non parrebbe allentare la morsa.

gricoltura all’industria passando per servizi, hanno assunto caratteristiche distinte rispetto ai periodi precedenti. Il sistema produttivo, pur mantenendo alcune tra-

Area retroportuale di Marina di Carrara. Turbine a gas della General Electric. Foto di Daniele Canali.

Se nel recente passato le luci e le ombre descrivevano l’evolversi delle produzioni locali, oggi, siamo arrivati ad uno spartiacque senza precedenti. Non è più sufficiente

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mantenere la barra decisionale verso una “faticosa sopravvivenza”, ma è necessario alimentare tutte le condizioni

Il primo passo è quello di rendersi consapevoli che

possibili per trasformare l’inerziale tendenza del territo-

non siamo più quelli di prima, non quelli che hanno vis-

rio in una sorta di “rinascita complessiva”, che permetta di

suto la fase di de-industrializzazione del nostro territo-

essere competitivi e rappresentativi nel mercato globale,

rio, oppure quelli che contribuirono al nuovo modello di

dove si giocano le sfide future.

sviluppo centrato sulle piccole e medie imprese locali, e

La rottura con il passato sembra inevitabile, gli stessi comparti produttivi quali l’industria, l’artigianato, il turi-

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internazionale che li condiziona molto più di prima.

neppure quelli che più recentemente hanno vissuto il passaggio dalla Lira all’Euro.

smo, il terziario ma anche la stessa agricoltura, non sono

La crisi, paradossalmente, ci ha portato a riflettere

più quelli di qualche decennio fa, hanno prospettive diver-

di più, a far emergere come sia arrivato il termine ultimo

se per il futuro, si muovono in un contesto nazionale ed

per puntare con decisione all’innovazione, alla sostenibili-


negli anni duemila si presenta profondamente diversa rispetto a quella degli anni ’80 e ’90. Si assiste ad un passaggio epocale nel quale un ter-

Suggestiva immagine delle officine meccaniche Gaspari Menotti. Foto di Daniele Canali.

ritorio fino ad allora caratterizzato dalla presenza di grandi imprese industriali private e pubbliche, con l’inizio del nuovo millennio, vede il tramonto di quel modello di sviluppo, sostituito da una nuova struttura imprenditoriale, quella della piccola e media impresa e dell’impresa artigiana. Questo nuovo modello imprenditoriale ebbe inizio negli anni novanta e la crescita delle medie, piccole e piccolissime imprese, oltre a sostituirsi a quelle più dimensionate (assorbendo una parte considerevole dei più di 4.500 posti di lavoro persi dalla chiusura o ridimensionamento delle grandi aziende quali Montedison, Italiana Coke, Dalmine, Enichem, ecc)., ha permesso, e allo stesso tempo determinato, il positivo sviluppo del tessuto produttivo provinciale negli anni duemila. Altro elemento paradigmatico è rappresentato dalla decisa terziarizzazione delle attività produttive. In una pur breve dimensione storica possiamo osservare che nel 1991 i servizi pesavano sul Pil provinciale per il 67,5% e l’industria per il 31%. All’inizio del 2000, il peso del terziario era salito al 70,5% e contestualmente quello dell’industria era sceso al 28%. Oggi, secondo gli ultimi dati disponibili, il variegato settore dei servizi incide sul valore aggiunto prodotto dall’economia locale per il 77,5%, l’industria per il 21,5% e l’agricoltura solo per l’1%. tà produttiva, alle aggregazioni d’impresa, all’internazionalizzazione.

Lo sviluppo del nuovo terziario ha avuto un impatto diretto anche sull’occupazione. Basti pensare che a fine

Ecco, pertanto, che la Massa-Carrara del XXI se-

anni novanta l’occupazione attivata dai servizi era pari a

colo deve ritagliarsi nuovamente un ruolo da protagonista

circa 49 mila addetti (il 69% di quella totale) e al contem-

all’interno del mercato globale, con quelle competenze, ca-

po l’industria occupava circa 21 mila addetti (poco meno

pacità e creatività che ne hanno contraddistinto, da sem-

del 30% del totale). Nel 2011 i servizi hanno dato lavoro a

pre, l’evolversi storico attraverso la crescita delle proprie

60 mila addetti (il 75% del totale) e l’industria complessiva

condizioni economiche e sociali.

a più di 20 mila occupati.

Entrando nello specifico dell’andamento dell’eco-

Possiamo quindi affermare che i fenomeni della cre-

nomia locale negli ultimi anni il primo elemento da sot-

scita della piccola impresa, oltre a quello della terziarizza-

tolineare è riferito alla struttura economica provinciale che

zione dell’economia locale, sono stati i più evidenti cam-

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biamenti strutturali verificatisi nel tessuto imprenditoriale

“performances” dei primi anni duemila. Diminuivano pe-

apuano nell’ultimo decennio.

santemente i traffici del porto di Marina di Carrara, ad-

Per quanto concerne invece le tendenze più con-

dirittura del 21%, si accentuavano le criticità per artigia-

giunturali, in estrema sintesi, mostriamo gli andamenti

nato e commercio, il tasso di disoccupazione raggiungeva

degli ultimi cinque anni dell’economia locale, ricordando,

l’11,5%, il doppio della Toscana. L’unico comparto che re-

preliminarmente, che oltre ai macrocomparti storici del

gistrava andamenti più che positivi, non risentendo affatto

lapideo e della meccanica, nel corso di questi anni, altri e

della situazioni di crisi, era il marmo grezzo venduto al

nuovi settori si sono consolidati, assumendo ruoli sempre

monte che otteneva in media d’anno un +5%. Fin troppo

meno marginali all’interno dell’economia del territorio.

naturale che ci aspettassimo un 2010 migliore anche come

Partiamo dall’esercizio 2007 quando potevamo

effetto “rimbalzo” dopo il disastroso 2009.

esprimerci in termini di ripresa, di indicatori contrasse-

In realtà anche nel 2010 l’economia provinciale non

Ingresso al complesso fieristico della Internazionale Marmi e Macchine. In primo piano la scultura di Angelo Mangiarotti.

gnati dal segno della crescita, di riconquista di invidiabili

riusciva affatto ad uscire dalla crisi e pochissimi erano i

posizioni di slancio e di recupero.

settori che, quantomeno, mostravano una migliore tenuta.

Cave di Gioia, impressionante immagine di tutto il bacino estrattivo ripreso dal monte di Beneo. Foto Daniele Canali.

Anche allora qualche settore destava preoccupazio-

E così, a fronte di una diminuzione della produzio-

ne, in particolare commercio ed artigianato, ma il 2007, al

ne industriale che, in controtendenza rispetto alla Toscana,

pari del 2006, non era stato un anno qualunque, era stato

accusava un -4% dopo il -19% del 2009, la trasformazione

un anno positivo che ci aveva fatto credere che fosse supe-

lapidea segnava un -6,5% e cadevano gli investimenti, si

rata la soglia minima dello sviluppo registrata nel 2004 e

registrava un buon recupero delle attività portuali ed an-

nel 2005. Sul finire dello stesso anno, però, gli indicatori

che delle esportazioni, meccanica a parte. Da sottolineare

cominciavano ad orientarsi verso il basso, quasi una preoc-

comunque le ottime variazione del comparto lapideo nel

cupante premonizione di quello che sarebbe successo negli

suo complesso; alla consueta positività delle vendite di ma-

anni successivi.

teriale grezzo (+22,8%), si aggiungeva, per la prima volta

E con il 2008 arriva la crisi. Crisi per noi voleva

dopo un biennio difficilissimo, il buon andamento delle

dire produzione industriale al -4%, cadute in otto com-

vendite all’estero di materiale lapideo lavorato (+10,7%).

parti industriali su dieci, crollo del lapideo del 9%, in ne-

Ancora senza crescita l’andamento del turismo, mentre

gativo i traffici portuali, il raddoppio del ricorso alla cassa

l’agricoltura sembrava reggere meglio ai venti della crisi

integrazione, il rallentamento dell’export, bilanci negativi

ma, purtroppo, non migliorava affatto il mercato del lavo-

per commercio ed artigianato ed anche per il turismo e

ro ed il tasso di disoccupazione restava al 10,1%

soprattutto il tasso di disoccupazione che ritornava a due

Infine siamo giunti al 2011 dove le criticità derivanti

cifre accompagnato da una diminuzione del PIL pro-ca-

ancora una volta dal complesso dell’economia internazio-

pite superiore al 2%. Crisi dalle dimensioni generalizzate

nale e nazionale hanno continuato ad incidere sulle ten-

e dalle percentuali letteralmente negative rispetto all’anno

denze locali. È inevitabile per un sistema produttivo come

precedente.

quello apuano, con una fortissima propensione verso le

Nel 2009 le cose non cambiavano, anzi, peggiora-

vendite all’estero, non subire il condizionamento di ciò che

vano: quasi tutti i comparti presentavano risultati ancora

accade nel mercato globale, una sorta di internazionalizza-

insoddisfacenti, poche le luci nell’economia locale.

zione della nostra produzione che pur nella sua settorialità,

Il lapideo lavorato, in particolare, raddoppiava le perdite del 2008, toccando un limite dei livelli di vendite all’estero mai registrato in precedenza e ben lontano dalle

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e spesso ciclicità, resta comunque inserita all’interno di dinamiche e tendenze di livello mondiale. In sostanza l’evoluzione dell’economia locale nel


2011 ci faceva osservare qualche segno positivo, dall’export alla dinamica delle imprese, ai livelli produttivi delle medie aziende e della meccanica in particolare, mentre il mondo delle piccole aziende, soprattutto artigiane, segnalava ancora diminuzioni di fatturato. Ne possiamo avere conferma osservando, in sintesi, i risultati ottenuti dai singoli settori produttivi a consuntivo 2011: a. La produzione industriale è diminuita dell’1,1%, il fatturato del 3,3%, mentre in Toscana si registrano aumenti in entrambi gli indicatori. b. Il sistema manifatturiero provinciale ha perso, solo nel 2011, 250 unità di lavoro, dopo che nel biennio 20092010 se ne erano già registrate 1.700 in meno. c. Il comparto industriale che ha fatto meglio è stato quello della meccanica la cui produzione industriale è salita di oltre il 13%. La cantieristica e la nautica da diporto, invece, anche nel 2011 accusano diminuzioni produttive intorno al 12%. d. Il lapideo: produzione in diminuzione del 4,5%, fatturato -3,9%, investimenti -23%, occupazione –1,9%. Tiene invece l’export: per i lavorati l’aumento in valore ha sfiorato l’8%, per i grezzi +6,5% e così il nostro distretto si conferma il primo in Italia. Oggi la Provincia di Massa Carrara contribuisce a circa il 70% dell’export del lavorato. La Cina consolida il ruolo importatore di prodotti grezzi davanti all’India (insieme rappresentano oltre il 42%). Gli Stati Uniti continuano ad essere il nostro principale mercato dei prodotti finiti raddoppiano le esportazioni verso l’Arabia Saudita. La propensione all’export delle aziende lapidee locali è maggiore rispetto al resto d’Italia. e. Le imprese industriali sono sempre più ”anziane”: gli imprenditori under 30 rappresentano meno del 5%. f. Per l’attività portuale, la movimentazione totale delle merce a Marina di Carrara ha avuto una diminuzione del 3,3% rispetto al 2011, in flessione gli imbar-

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Cave di Gioia, immagine di tutto il bacino estrattivo. Alla sinistra Colonnata e il monte Sagro, alla destra Casette e le Apuane massesi. Foto Daniele Canali.

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chi, stazionari gli sbarchi. Da notare come i prodotti lapidei incidano oggi solo per 1/3 sui traffici, mentre negli anni 90 raggiungevano la punta dell’80%: molto è cambiato nel rapporto tra il porto ed il lapideo. g. Il bilancio di fine 2011 dell’export sarebbe di segno negativo (-8,6%), dovuto essenzialmente alla diminuzione delle vendite all’estero dei prodotti della meccanica; considerando, però, le oscillazioni periodiche dei flussi in uscita di questo comparto ch incidono molto sul dato finale, diventa significativo quel +6,8% che si avrebbe non considerando appunto il suddetto comparto. Anche così facendo, però l’andamento dell’export locale sarebbe inferiore agli aumenti più consistenti registrati in Toscana (+14%) ed in Italia (+ 11%). In linea con la flessione dei livelli produttivi, la diminuzione delle vendite all’estero della nautica e della cantieristica, addirittura –82%. Ci sono però settori, sia pure di minore incidenza sul totale dei volumi esportati, che, invece, presentano risultati in positivo, quali la chimica, l’abbigliamento, il tessile e il legno.

h. A fine 2011 registriamo 295 nuove imprese, quale saldo positivo tra le 1.574 iscritte e le 1.279 cancellate dal registro imprese. Oggi il tessuto imprenditoriale locale è formato da 22.528 imprese, di cui 19.180 attive. A far crescere il numero delle imprese sono stati i settori delle costruzioni, ma di meno rispetto agli altri anni, e soprattutto i servizi. Perde, invece, il manifatturiero (-2,4%). i. Se si guarda al numero delle imprese, anche l’artigianato mantiene sostanzialmente la sua struttura, ma, come da molto tempo, il fatturato registra una flessione del 7%. È vero che tale percentuale è inferiore a quella della Toscana, ma preoccupa la costatazione che quasi tutti i comparti, ad eccezione della moda, segnalano cali produttivi, dal manifatturiero, all’edilizia ed ai servizi. l. Con il 2011 salgono a 28 i trimestri consecutivi di perdite di fatturato registrate dal commercio: dal 2004 i piccoli negozi hanno visto diminuire i loro incassi del 30%, particolarmente nell’extra alimentare. In gene-


rale le vendite dei prodotti alimentari sono calate del 3,3%, quelle del non alimentare del 4%. m. Bilancio assai deludente per il turismo: in 30 anni abbiamo perso la metà dei flussi, per il 2011 non si parla neanche di tenuta, mentre Italia e Toscana chiudono in crescita. Le presenze ufficiali scendono dell’8%, soprattutto è in diminuzione la quota di turisti italiani ed in particolare di quelli provenienti dalle Regioni più affezionate al nostro territorio. n. L’agricoltura, pur in presenza di nuovi percorsi di valorizzazione, e pur considerando alcuni risultati produttivi importanti riferiti al 2011, si sta ridimensionando sempre di più sul piano strutturale: in 10 anni la superficie colturale della provincia è diminuita del 48%, si sono perse oltre 4.000 piccole aziende, anche se si assiste ad una graduale e significativa professionalizzazione del settore. o. Nel 2011 le negatività, le incertezze, le diffuse perdite di occupati fanno del lavoro il tema centrale della no-

stra economia. Abbiamo perso oltre 2.000 forze lavoro, soprattutto coloro che “scoraggiati” hanno rinunciato alla ricerca di un posto di lavoro, e contiamo inoltre in più di 10.000 le persone in cerca di occupazione. Il tasso di disoccupazione è arrivato all’11,7%, valore quasi doppio rispetto a quello regionale e superiore anche a quello nazionale.

Bacino estrattivo di Colonnata, sullo sfondo Punta Bianca e il mare. Foto Daniele Canali.

p. Tema delicato quello del credito: i prestiti al nostro sistema economico si sono ridotti in provincia del 2,6%, una perdita mai registrata prima d’ora, mentre in Toscana la dinamica creditizia registra a fine 2011 un sia pur modesto incremento. Si riducono anche i depositi, dell’1,4%, sia per le imprese che per le famiglie. Il tasso di sofferenza ha raggiunto il 6,8%, peggiora il tasso di decadimento ed il numero dei soggetti insolventi raggiunge la cifra record di oltre 3.200. q. Il PIL procapite è pari a 23.378 euro, quello toscano a quasi 28.000, quello nazionale a poco meno di 26.000 *. * Vedi Rapporti Economia Massa-Carrara, anni 2007-2012, I.S.R.

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Cave dei Campanili. Sullo sfondo Colonnata. A sinistra cave di Canalgrande alto, trincea e approntamento di un nuovo taglio. A destra cave di Canalgrande alto, margine del piazzale di cava. Foto Daniele Canali.

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PARTE SECONDA

infatti presente un apposito link che permette all’utenza di accedere ad una sezione dedicata all’archivio storico, dove si può visionare l’intero inventario sintetico di consistenza e, quando presenti, i documenti originali scannerizzati associati alle rispettive unità archivistiche. Chi è interessato, potrà quindi svolgere le proprie ricerche sia comodamente da casa, visitando la sezione dedicata all’archivio storico presente sul sito della Camera di Commercio, sia recandosi direttamente presso la sede dell’archivio, sito in Via Rosselli n. 3 a Carrara, nell’Ottocentesco edificio progettato dall’illustre ingegnere Leandro Caselli, già da alcuni anni riportato al suo antico splendore grazie ad una mirata operazione di ristrutturazione e restauro.

Capitolo QUARTO

La Camera di Commercio ha dato inizio, sin dal marzo del 2008, ad una operazione di recupero e valorizzazione del suo patrimonio archivistico. Si è trattato di un intervento molto impegnativo che ha visto coinvolto sia il personale della stessa Camera, sia, a partire dal novembre 2009, una società specializzata nel settore dei servizi di gestione documentale (IC Outsourcing). Importante è stato poi il contributo finanziario di Unioncamere, che ha consentito alla Camera di attenuare i costi di realizzazione dell’iniziativa. La documentazione conservata presso l’archivio della Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Massa e Carrara costituisce quindi una fonte primaria per lo studio della storia economica e sociale della provincia a partire dal 1862, anno in cui la Camera venne insediata ufficialmente in Carrara. Ad oggi, l’archivio storico consta di 3190 unità archivistiche, i cui estremi cronologici vanno dal 1862 al 1969. Il documento più antico è infatti datato 31 agosto 1862, e si tratta del Regio Decreto di costituzione della Camera di Commercio ed Arti di Carrara. Oltre ovviamente al materiale prodotto dalla Camera stessa (tra cui spiccano per interesse le numerose statistiche e relazioni di carattere economico svolte nel corso degli anni), l’archivio conserva anche svariati documenti provenienti da altri enti e/o organizzazioni – quali i diversi Comuni della provincia, organizzazioni sindacali e imprenditoriali, associazioni varie ecc. – e rare copie di giornali locali – come Il Carrarese, Il Corriere Carrarese, Il Serchio, Il Camporgiano, L’Eco del Carrione, Lo Svegliarino, Il Cavatore – che rendono ancora più ricco, completo ed esaustivo il patrimonio documentale camerale per quel che concerne eventuali ricerche e studi di storia riguardanti il circondario apuano. Un gran numero dei suddetti documenti sono stati inoltre digitalizzati (attualmente sono più di 1600 le pagine scannerizzate), in modo da offrire all’utenza la possibilità di consultarli liberamente senza correre il rischio di deteriorarli e rovinarli. Sul sito della Camera di Commercio è

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L’Archivio Storico della Camera di Commercio di Massa e Carrara

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Bibliografia ESSENZIALE

Autorità Portuale di Marina di Carrara, Piano operativo triennale, Carrara, 1996. AA.VV., La Cisa nella storia e nella cronaca, Bologna, Editografica, 1976. AA.VV., Rapporto Economico Massa Carrara, Carrara, Sea, 1996. AA.VV., World Stone Industry. Report 1997, Carrara, Sea, 1997. AA.VV., Tra fiumi, mare e terraferma, Sarzana, 1981. Batini Giorgio, Album delle Apuane, Firenze, 1991. Bernieri Antonio, Il porto di Carrara, storia e attualità, Genova, Sagep, 1983. Bernieri Antonio, Storia di Carrara moderna (1815-1935), Pisa, Pacini, 1983. Bernieri Marcello, William Walton e il suo tempo, Carrara, Sea, 1993. Bernieri Marcello, L’arrivo della strada ferrata nella provincia apuana, Carrara, Aldus, 1995. Bernieri Antonio e Gestri Lorenzo, Il movimento operaio apuano dalla fondazione della Camera del Lavoro agli anni ‘70, Carrara, Aldus, 1995. Betti Carboncini Adriano, I treni del marmo, Etr, Salò, 1984. Bizzarri Alfredo e Giampaoli Giorgio, Guida di Carrara, Carrara, Bassani, 1932. Caizzi Bruno, Il commercio, Torino, Utet, 1975. Campolonghi Luigi, Pontremoli, una cittadina italiana tra l’800 e il ‘900, Padova, Marsilio, 1988. Canali Daniele, La Ferrovia Marmifera di Carrara, Carrara, Sea, 1995. Canali Daniele, Borghesie apuane dell’800, Carrara, Aldus, 1993. Canali Daniele, Cartoline di Carrara, Aldus, Carrara, 1994. Canali Daniele, Novecento, Aldus, Carrara, 2000. Comune di Carrara - Confcommercio Carrara (a cura di), Guida alle botteghe storiche di Carrara, Carrara, s.d. Della Pina Marco, La famiglia Del Medico, cavatori e mercanti a Carrara nell’età moderna, Carrara, Aldus, 1996. Dickens Charles, Impressioni italiane, Roma, Biblioteca del Vascello, 1989. Di Pierro Pietro, La Marina di Avenza tra vele e bandiere, Carrara, Aldus, 1997. Gadda Emilio, Le meraviglie d’Italia, Garzanti, Milano, 1993. Gemignani Beniamino e altri, Il commercio a Carrara, Pisa, 1997. Gemignani Beniamino, I carraresi, Carrara, Sea, 2003. Gestri Lorenzo, Capitalismo e classe operaia in provincia di Massa-Carrara, Firenze, Olschki, 1976.

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Fondi archivistici consultati Fondo Comune di Carrara presso Archivio di Stato di Massa. Sono state inoltre consultate tutte le pubblicazione edite dalla Camera di Commercio di Massa e Carrara e sono stati esaminati documenti e carte dell’imponente archivio conservato presso l’Istituto di Studi e Ricerche della stessa istituzione camerale.

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