Villa Necchi Campiglio a Milano
Villa Necchi Campiglio a Milano
a cura di: Marta Cambiaghi Irene Casano Federico Motta Alessandro Scavino Agnese Viola
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Villa Necchi-Campiglio
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1. Villa 2. Piscina
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3. Tennis 4. Caffetteria 5. Giardino 6. Abitazione custode
e portineria
7. Biglietteria e bookshop 8. Ingresso Ingegnoli 4
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e cortile biglietteria
9. Orto
Ingresso
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INDICE
Il contesto
I Necchi-Campiglio Un’oasi in città Pietro Portaluppi, l’anima razionalista della Villa Opera d’arte totale Tomaso Buzzi, la svolta decorativista
Le stanze
Hall e piano rialzato Sala da pranzo Biblioteca Salotto Veranda Camere da letto
L’intervento
La trasformazione in casa-museo
FAI
La collezione
Fonti
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PENSATA ANCHE PER I PIÙ PICCOLI! Per i giovani visitatori di Villa Necchi Campiglio sono state riservate delle guide speciali: si tratta dei sei protagonisti di questa casa-museo, che li aiuteranno a scoprire questo luogo pieno di storia e a imparare in modo divertente. In alcune pagine della guida, troverete questi simpatici personaggi che hanno il compito di rendere più coinvolgente la visita e la lettura, aiutandovi a scovare particolari nascosti e svelandovi curiosità sulla villa, in modo che tutti abbiano la possibilità di conoscere questa piccola gemma nel centro di Milano.
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Non si nasce milanesi, si decide di diventarlo. Voi l’avevate capito, definitivamente, quella sera d’inverno, immersi nella nebbia cittadina, quando ancora la caligine era parte facente, irrinunciabile, del paesaggio urbano. Superati i Bastioni Milano era una selva continua, un tappeto di orti. Un vivaio, come suggeriva il nome della via - Strada del Vivaio - dove si coltivavano e vendevano le piante dei milanesi. La cinta dei Bastioni ormai s’era fatta stretta per i sestieri della città storica. La modernità premeva, cercava spazio. Gli assi di Corso Venezia e Corso Monforte, un secolo prima, avevano iniziato ad arricchirsi di palazzi nobiliari: Serbelloni, Cicogna, Diotti, Isimbardi. Sui corsi la cortina edilizia si mostrava urbana, alle spalle invece bucolica, persino agreste. Era la Milano “plongée dans le vert” come ebbe a scrivere Stendhal, francese per caso, milanese per scelta, fino a dichiararlo nell’epitaffio – in italiano – inciso sulla sua tomba a Montmartre: “Arrigo Beyle / Milanese / Scrisse / Amò / Visse”.
Gianni Biondillo
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Angelo, Gigina e Nedda
I NECCHI-CAMPIGLIO I Necchi-Campiglio, segnatamente le sorelle Gigina (1901-2001) e Nedda Necchi (1900-1993) e Angelo Campiglio (1891-1984), marito di Gigina, proprietari della Villa erano esponenti dell’alta borghesia industriale lombarda colta. Nedda era elegantissima. Cappellini, guanti, sciarpe, tutto attentamente coordinato. Poi amava i gatti, il pianoforte, la pittura. Condivideva la passione per la moda con l'amata sorella Gigina. Solo un anno di differenza fra le due, che vissero sempre insieme, come legate da un filo, quasi in simbiosi; unico motivo di disaccordo, Nedda amava l’arte contemporanea, la collezionava gelosamente nel seminterrato di casa, per non interferire col gusto di Gigina, cosĂŹ invece disperatamente all'inseguimento di una eleganza aristocratica, e vera padrona della villa in cui si erano trasferite insieme al marito di Gigina, Angelo Campiglio, nel 1935. Residenti a Pavia ma rampolle di quella borghesia colta e illuminata milanese dei primi decenni del 1900, le due sorelle erano di carattere molto diverso: Gigina aperta e portata per le relazioni sociali, Nedda riservata e ombrosa, venivano per questo soprannominate ‘le 6
Gigina e Nedda Necchi
gigine ’ dalla sempre irridente Milano (che pur ne apprezzò sempre lo spirito). Nedda e Gigina Necchi avevano anche un fratello, di nome Vittorio; le sue macchine da cucire finirono nelle case di tutti gli italiani. Il padre era infatti proprietario di una grande fonderia, accanto alla quale fu poi avviata anche la fabbrica di macchine per cucire. L’amministrazione della fabbrica venne lasciata nella mani di Angelo Campiglio subito dopo il matrimonio con Gigina; figlio di italiani, ma cresciuto a Rosario, in Argentina, Angelo si era laureato in medicina, ma non esercitatò un solo giorno la professione, entrando invece negli affari di famiglia della famiglia Necchi. Nedda e i due giovani sposi fecero edificare la loro dimora milanese, dopo averne scelto il luogo una sera che, usciti da uno spettacolo alla Scala, nel nebbione meneghino più fitto, avevano perso le tracce dell’autista e, girovagando a piedi nei dintorni, si imbatterono in un’area ricca di vegetazione intricata e selvaggia. Un luogo fantastico che
conquistò subito la giovane Nedda e i suoi congiunti. Durante la guerra, i tre furono costretti ad abbandonare l’amata villa, che divenne prima sede del governo fascista poi, in seguito alla caduta della repubblica di Salò, andò in mano agli inglesi e successivamente divenne la residenza del console dei Paesi Bassi. La casa però, forse per la speciale signorilità delle sue proprietarie che si respirava in essa, dovette incutere rispetto anche agli uomini del Regime, perché non fu vandalizzata. Passata la guerra, i Necchi-Campiglio ripresero la villa e la loro vita di sempre, che la guerrà gli aveva così bruscamente portato via. Intanto, Milano si ingrandiva, si trasformava, mentre Villa Necchi Campiglio si manteneva fedele a sé stessa: porto sicuro e tranquillo, identitica al sogno di gioventù, ma non per questo estraneo all’evoluzione della città in cui era inserita. Nedda ebbe un solo grande amore, di quelli unici, insostituibili. Poi si ammalò, e morì prima di Gigina, nel 1993. Angelo era già morto nel 1984.
AMICIZIE ILLUSTRI La vita sociale dei Necchi Campiglio era molto intensa: nella propria villa amavano circondarsi dei propri amici, appartenenti ovviamente all’alta borghesia milanese. Tra gli ospiti abituali c’erano anche la giovane Maria Gabriella di Savoia, terza figlia di Umberto II, e il principe Enrico d’Assia, scenografo per il Teatro alla Scala, cui erano riservate due stanze con sale da bagno in marmo, rispettivamente conosciute come “la camera della principessa” e “ la camera del principe”. L’amicizia con Gabriella, che condivideva con i Necchi-Campiglio l’amore per la cultura, era particolarmente stretta e la principessa era in ottimi rapporti con le due sorelle. La sua stanza si trova al secondo piano e oggi ospita la collezione de’ Micheli”.
Gabriella di Savoia con Angelo Campiglio nella veranda della villa. 7
Riesci a indovinare a cosa serviva l’orecchio di bronzo che si trova su una delle facciate del Palazzo Sola-Busca, accanto a Villa Necchi Campiglio? Leggi il testo per sapere se hai indovinato!
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UN’OASI IN CITTÀ
VIA MOZART La via venne aperta con Regio Decreto nel 1908 all’interno dell’ex giardino Sola-Busca, già Serbelloni, compreso tra l’omonimo palazzo in corso Venezia e un mosaico di ampi spazi verdi di pertinenza dei palazzi nobiliari sorti tra Sette e Ottocento lungo corso Venezia e corso Monforte. L’area è connotata dall’originalità, per certi versi eversiva rispetto al gusto dominante, degli interventi architettonici che dagli anni Dieci la qualificano. Basti citare il palazzo Berri Meregalli, in via dei Cappuccini, sorto nel 1913 ad opera di Giulio Ulisse Arata, il palazzo Fidia in via Mozart e gli interventi in via Serbelloni opera di Aldo Andreani, della seconda metà degli anni Venti, ovvero i palazzi della Società Buonarroti-Carpaccio-Giotto in via Salvini e la villa Zanoletti in via Mozart 9, entrambi completati nel 1930 dallo stesso Portaluppi. Entro questi termini l’attribuzione dell’incarico all’architetto appare una scelta elitaria, ma anche profondamente coerente rispetto alle peculiarità del sito.
Quartiere dei giardini tra le vie Serbelloni, Mozart e San Damiano dopo l’intervento dell’architetto Aldo Andreani del 1924, 1928
Dettaglio del Palazzo Sola-Busca
La villa sorge nel cuore di via Mozart, una via centrale di Milano che presenta i tipici scorci delle vecchie strade milanesi, con aree di verde che custodiscono le storie di un tempo. Progettata dal famoso architetto Piero Portaluppi, era esempio di avanguardia e modernità, ma con un grande giardino che ricordava la campagna. Un angolo di verde protetto, un giardino delle delizie nel cuore di Milano, dove il tempo sembrava sospeso, immobile. Non c’è cronaca o articolo di rivista milanese degli anni Trenta, infatti, che, parlando dell’area compresa tra Via San Damiano (fiancheggiata dal Naviglio interno fino al 1929), Corso Venezia e Corso Manfrote, trascuri di sottolineare l’eccezionale carattere di un sito “centralissimo” e pur tuttavia “sereno e tranquillo”, plongé dans le vert, come aveva scritto Stendhal estasiato dai bei giardini milanesi. Una straordinaria oasi di vegetazione nello scenario della Milano ottocentesca. Una delle prime occupazioni degli spazi verdi fu segnata dalla costruzione, tra il 1890 e il 1892 dell’Istituto dei Ciechi, di Giuseppe Pirovano; si trattò di un intervento che, pur agendo principalmente nella fascia esterna ai Bastioni, ebbe conseguenze sull’intero tessuto urbano e sulla stessa cultura della città. Tra gli interventi successivi, troviamo il Palazzo Sola-Busca, realizzato tra il 1925 e il 1927 dall’architetto Aldo Andreani in via Serbelloni, all’angolo con via Maffei. Un edificio monumentale, caratterizzato da una profusione di elementi di coronamento alle finestre (dalle cornici ai timpani) e dall’impiego di travertino e bugnato. A dispetto del “tono” di tutta l’opera, però, i milanesi l’hanno prosaicamente ribattezzata Ca’ dell’oreggia, per uno stravagante dettaglio che appare sulla facciata del secondo ingresso dell’edificio: un orecchio di bronzo che in origine fungeva da citofono. Villa Necchi Campiglio si inserisce in questo singolare contesto tra il 1932 e il 1935, anni in cui avviene la realizzazione del progetto. L’accesso alla Villa, avviene attraverso la palazzina della portineria e dei garages: un piccolo corpo che nella composizione dei prospetti e nell’uso dei materiali di rivestimento – granito, ceppo, marmo – riecheggia la costruzione principale, e che col muro di cinta e la cancellata costituisce una barriera tra la dimora e la città. 9
PIERO PORTALUPPI l’anima razionalista della villa Piero Portaluppi nasce a Milano il 19 marzo 1888 da Luisa Gadda e Oreste, ingegnere edile. Nel 1905 si diploma all’Istituto tecnico Carlo Cattaneo e si iscrive al Politecnico, dove nel 1910 si laurea in architettura. L’anno seguente, con la nomina ad “assistente straordinario di Architettura superiore” aggregato al corso di Gaetano Moretti, inizia la sua carriera accademica a cui parallelamente avvia l’attività professionale. Dopo i primi piccoli lavori – decorazioni di facciate e alcune tombe – nel 1912 comincia la lunga collaborazione con Ettore Conti, figura di primo piano dell’imprenditoria elettrica italiana, grazie al quale stringerà legami duratori con importanti committenti della borghesia milanese, tra cui i Borletti, i Fossati e dalla metà degli anni Venti i Crespi, Angelo Campiglio e Mino Brughera. Per le Imprese elettriche Conti, Portaluppi progetta tra il 1912 e il 1930, numerose centrali idroelettriche, localizzate soprattutto nella val Formazza. Nel giugno del 1913 Portaluppi sposa Lia Baglia, nipote di Conti. Dall’unione nasceranno Luisa e Oreste, detto Tuccio. Durante la Grande Guerra, Portaluppi presta servizio militare come ufficiale nel Genio, nel Veneto e in Friuli. Dal 1916 è distaccato in Val Formazza per la ricostruzione delle centrali distrutte dai bombardamenti e dopo Caporetto chiede di rientrare tra le truppe combattenti.
Contemporaneamente consegue la libera docenza in architettura. Alla fine della guerra riprende l’attività professionale: nel 1919 ottiene importanti lavori, tra cui la sede del Linificio e Canapificio Nazionale, la riforma della Pinacoteca di Brera, villa Fossati e, soprattutto, la Casa degli Atellani in Corso Magenta, residenza di Ettore Conti. Negli anni Venti, ottiene prestigiosi incarichi per il Palazzo della Banca Commerciale Italiana e per il Planetario Hoepli e per progetti residenziali a Milano e riceve commissioni per stabilimenti industriali. Nel 1926 con Marco Semenza vince il concorso per il Piano
L’architetto Portaluppi, che progettò la villa, aveva una vera e propria passione per l’astronomia, tanto da inserire nella casa diversi dettagli con la forma di stelle e un soffitto che riporta le figure dello zodiaco! Realizzò anche il planetario di Milano, che si trova non lontano da Villa Necchi Campiglio. Se stai attento, in una delle stanze che visiterai vedrai un’apetura nel muro che ha la mia stessa forma...
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Regolatore di Milano, col progetto “Ciò per amor”, dall’anagramma dei loro nomi. Nel 1929 è chiamato a realizzare il padiglione italiano per l’Esposizione universale di Barcellona. Gli anni Trenta vedono il consolidarsi e stabilizzarsi della sua attività professionale, privata del settore elettrico – per la definitiva uscita di Conti dalla Edison – ma solidamente assestata su una serie di progetti pubblici e privati di grande importanza e in cui la cifra stilistica si sposta verso una declinazione moderatamente modernista evidente nella Villa del sabato per gli sposi realizzata con i BBPR per la V Triennale del 1933. Sono questi gli anni in cui realizza Villa Necchi Campiglio. La guerra segna la sua vita con la drammatica esperienza famigliare della morte del figlio Oreste. Dopo essere prosciolto dall’incarico accademico tra la fine del 1945 e il 1946, viene poi reintegrato come preside della Facoltà di architettura, carica che manterrà fino al ritiro dall’attività accademica nel 1963. Nel dopoguerra, aumenta la sua presenza istituzionale, con le nomine a presidente dell’Ordine degli architetti, membro del Consiglio Superiore per le Belle Arti e Antichità, del Consiglio Nazionale per le Ricerche, della Pontificia commissione d’arte sacra, presidente del Comitato tecnico del Teatro alla Scala, ma rallenta l’attività professionale. Portaluppi interviene comunque su alcuni dei più importanti edifici storici milanesi – Brera, il convento di San Vittore a sede del Museo della Scienza e della Tecnica, l’Ospedale Maggiore a Università Statale, la Piccola Scala, il disegno del sagrato di Piazza Duomo – e progetta nuovi edifici, tra questi la sede milanese della Ras in collaborazione con Gio Ponti e la casa dello studente alla Cité Universitaire di Parigi. Si spegne il 6 luglio 1967, nella sua casa in Corso Magenta.
Piero Portaluppi, illustrazione della darsena di Milano
UN ESTRO VISIONARIO Quella di Piero Portaluppi è una figura eclettica, venata da una particolare vis comica e provocatoria. La sua propensione verso il disegno, grazie alla quale appena adolescente documentava a matita e acquarelli le vacanze al mare di Varazze, lo porta ad affiancare alla carriera da architetto quella da caricaturista: nel periodo universitario, collabora con alcuni giornali satirici milanesi come “Il Babau”, “A quel paese” e il “Guerin Meschino”. I disegni erano firmati con lo pseudonimo di “Don Pedro Porta Lopez”. Il suo ardito umorismo si esprime anche nel lavoro da architetto, con surreali soluzioni grafiche per snellire il traffico già allora caotico di Milano o progetti di architetture fantasiose per committenze immaginarie o ancora nel continuo apparire, anche dentro austere vedute prospettiche, di figurine caricaturali, clown, curiosi passanti in cilindro e marsina, come un rigetto al rigore della modernità, fino alla realizzazione del surreale “Wagristoratore” in Val Formazza, un ristorante alloggiato in due carrozze ferroviarie trasportate e sospese su piloni al passo di San Giacomo, a oltre 2.300 metri d’altitudine.
Piero Portaluppi, Wagristoratore, 1930 11
OPERA D’ARTE TOTALE Concepita e progettata come villa unifamiliare circondata dal verde, in un periodo storico in cui le grandi famiglie costruivano, come dimora, quasi esclusivamente palazzi, la casa ci appare come un concentrato di eleganza e comfort. L’esterno della villa, severo e compatto, segnato orizzontalmente dalla partizione tra piano terreno, primo piano e un terzo livello arretrato, gioca sulla compresenza di aperture arcuate e architravate, oculi, cornici, fasce marcapiano, piccoli aggetti, variazioni materiche e sobri inserti decorativi. La stereometria e la sobrietà decorativa delle fronti rivela l’adesione alle più aggiornate tendenze architettoniche, che nel corso degli anni Trenta sarebbe diventata sempre più marcata nell’architettura portaluppiana. Una scala con gradini a forma semicircolare, di cui vi è eco nella sovrastante pensilina, introduce direttamente dal giardino nell’atrio del piano terreno, dominato da un grande scalone che conduce al primo piano, dove sono collocati gli appartamenti padronali e le camere per gli ospiti. La hall funge da snodo per le due ali del piano di rappresentanza: quella di sinistra composta da sale di soggiorno e conversazione, quella di destra dedicata alle occasioni conviviali, con la sala da pranzo e i due uffici. Una secon12
da scala in posizione defilata collega il piano terreno con un seminterrato, nel quale originariamente si trovavano gli spazi di servizio, compresa la cucina, e sale per lo sport e per il cinema e raggiunge un ultimo piano destinato alle stanze per i domestici. Lo studio dei dettagli e delle soluzioni tecniche fa sì che ancora oggi, a distanza di quasi 80 anni, la casa funzioni perfettamente in tutte le sue componenti. L’impianto è semplice e razionale: al piano terra la zona giorno con la sala da pranzo, il giardino d’inverno, il salotto, la biblioteca, lo studio e l’ingresso con la grande scala che porta al piano superiore dove sono destinate le camere da letto per la famiglia e l’addetta al guardaroba. Al piano interrato, le cucine e le stanze per la servitù che ai quei tempi era piuttosto numerosa. All’esterno, vicino alla scala di ingresso, una piscina con acqua riscaldata, la prima piscina privata realizzata in Italia. Una volta dentro non si può non notare la cura dei dettagli e la preziosità dei materiali, che esemplificano l’idea di “opera d’arte totale” sottesa al progetto portaluppiano: pavimenti in legno di noce con intarsi in palissandro, porte scorrevoli in peltro, il camino in pietra della Valtellina. Le finestre sono tutte scorrevoli, a scomparsa all’interno dei muri e sono tutte composte da
tre parti: la prima vetrata, verso l’interno, la persiana e una seconda vetrata verso l’esterno a regolare la temperatura. Salendo la grande scala dell’ingresso, ci si appoggia al corrimano in legno massiccio di noce, anche questo a disegni geometrici che richiamano la losanga, una specie di firma dell’architetto. Le camere da letto erano cinque in tutto: le due camere padronali destinate ai coniugi Campiglio e a Nedda, le due camere per gli ospiti e infine la camera della guardarobiera. Ogni camera era provvista di bagno. All’interno della casa si trovano anche un ascensore e diversi montacarichi e montavivande in modo da facilitare i lavori della servitù senza che fossero mai d’intralcio. La piscina e il campo da tennis ne hanno fatto per decenni la meta di visite da parte di tutta la borghesia e la nobiltà europea.
CURA DEL DETTAGLIO Portaluppi non si limita al progetto architettonico e alla scelta dei materiali, ma disegna personalmente anche parte dell’arredo. I caloriferi sono sempre nascosti dietro maglie di ottone a motivi geometrici. Gli scrittoi nella biblioteca con i cassettini che ruotano attorno a un perno per uscire, il mobile libreria con la parte centrale vetrata a creare un contatto visivo con il salone, nel giardino d’inverno progetta e realizza un tavolino completamente in lapislazzulo. Nella sala da pranzo con le finestre che si affacciano sull’azzurro della piscina, sceglie di rivestire l’ambiente con una carta pergamena. Quando non disegna i mobili, sceglie oggetti pregiati come la scrivania da campo in legno completamente ripiegabile che si dice sia appartenuta a Napoleone. La passione di Portaluppi per l’astronomia, che trova la propria realizzazione nel progetto del Planetario Hoepli, si esplica, all’interno di Villa Necchi Campiglio, in piccoli dettagli: il soffitto della sala da pranzo è costellato da disegni in stucco che rappresentano lo zodiaco, mentre all’esterno troviamo una meridiana dipinta su uno dei fronti larterali. Fino ad arrivare all’iconica apertura a forma di stella, in uno dei bagni. Questi dettagli conferiscono a ciascun prospetto una propria individualità.
Alcuni dettagli iconici dalle stanze della Villa 13
TOMASO BUZZI
la svolta decorativista Dopo la guerra, quando i Necchi Campiglio ritornarono nella villa, non si ritrovarono più nell’atmosfera troppo austera della loro casa, e si resero conto che era troppo lontana dal gusto del tempo, e troppo diversa da quella delle altre famiglie ricche e nobili di Milano. L’estrema modernità e purezza delle forme, il rigore degli interni, li avevano stancati, facendo desiderare loro un po’ più di lusso e di sfarzo, forse risentendo del generale clima di ricostruzione del Paese. Dal punto di vista della decorazione di interni si registrava, in quell’epoca, una diffusa volontà di tagliare i ponti con il passato recente, per collegarsi idealmente ai valori e ai dettami artistici dei secoli precedenti. Nel 1938 a tre anni dall’inaugurazione della villa, i Necchi Campiglio si rivolgono all’architetto Tomaso Buzzi per una consulenza riguardo la loro dimora. A partire da questa data e per più di un ventennio, Buzzi si farà carico del disegno di nuove strutture esterne, di un parziale rinnovamento di alcuni interni, nonché di una generica supervisione della manutenzione dell’edificio. Nell’arco di pochi anni, i committenti compiono una robusta virata in senso decorativo antiquariale, rimuovendo gli arredi espressamente anni Trenta per privilegiare pezzi di gusto Luigi XV e Luigi XVI. Buzzi modificò molte delle stanze arricchendole di marmi, camini, mobili elaborati, che ancora oggi si possono ammirare nella villa. In particolare, il nuovo allestimento ideato dal Buzzi segna profondamente l’immagine del Salone, che vede console dalle mosse forme neo-rococò sostituirsi alle precedenti, giocate su superfici piane e spigoli vivi e assiste alla scomparsa della rigida geometria che aveva contraddistinto i sofà e le poltrone imbottite dei primi anni Trenta, per far posto a divani e altre sedute di gusto tipicamente settecentesco. Dal percorso stilistico di Portaluppi che segna un passaggio graduale dalle linee decò alle tendenze del razionalismo si passa alla profusione di drappi e tendaggi e all’ammorbidimento delle superfici voluto da Buzzi. Il mix finale scaturito dall’operato dei due architetti che ancora oggi si può ammirare è unico e assai gradevole.
SINFONIA ARCHITETTONICA Tomaso Buzzi (1900-1981) oggi è un nome al margine, artista colto e attivissimo del quale si auspica una riscoperta. Di stampo abbastanza diverso rispetto al Portaluppi, si laurea in architettura presso l’allora Regio Istituto Tecnico Superiore, oggi Politecnico di Milano; collaboratore di Gio Ponti, contribuisce nell’organizzare diverse manifestazioni nazionali ed internazionali come la Triennale di Milano e la Mostra nazionale dello Sport e lavorò per la rivista Domus. È anche designer, arredatore, restauratore. Animato dal motto “l’architetto è soprattutto un direttore d’orchestra”, i suoi interessi prendono da subito una piega più colta e originale rispetto agli altri personaggi della scena milanese e questo se forse lo rende meno conosciuto al grande pubblico, gli vale tuttavia l’ascesa ad architetto ufficiale della nobiltà ed alta borghesia italiana. Tra i numerosi progetti vanno segnalati Palazzo Marcoli e il Teatro della Cometa a Roma, la Villa Nasi Agnelli a Cap-Ferrat e la Villa Putti a Bologna. Tra le sue ultime attività, vi è l’acquisto di un complesso nei pressi di Terni, dove edificò la sua città ideale, “La Scarzuola”, un delirio architettonico che rimane un unicum nella storia dell’architettura, italiana e non. Muore a Rapallo nel 1981. Tomaso Buzzi, “La Scarzuola”, Montegabbione (TR), 1978
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“La casa acquisisce due ritratti: quello del progettista e quello dell’ambiente; ed è quest’ultimo che conclude il lavoro del primo. La trama viene imbastita dall’architetto, ma l’ordito viene tessuto dall’ambiente.”
Marco Romanelli 15
HALL E PIANO RIALZATO
La pianta del piano rialzato, dove si trovano gli spazi per il ricevimento degli ospiti e i luoghi conviviali. Sottolineata la mancata simmetria, caratteristica dello stile originale e sempre meno legato alla tradizione dell’architetto Portaluppi.
A fianco: la Hall della villa. Ai piedi della scala che riporta l’iconica doppia greca intrecciata portaluppiana, spicca la statua “L’amante morta” di Arturo Martini del 1921.
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La grande Hall, fulcro ideale dell'intero piano, quasi interamente dedicato al ricevere. La sala funge infatti da sontuoso snodo per le due principali ali della dimora: quella di sinistra, composta esclusivamente da sale per la conversazione e quella di destra, variamente articolata, ma per lo più dedicata alle occasioni conviviali. Questi gli ambienti di rappresentanza per i tre membii della famiglia Necchi Campiglio. La distribuzione dei locali concepita dal Portaluppi appare dunque libera da vincoli di allineamento e da legami ad assi prospettici, conformandosi così alla più recente tendenza a superare le tradizionali norme di simmetria, che avevano regolato gli edifici fino alla fine del XIX secolo. Come appare chiaramente sin dall'ingresso, l'esigenza di lusso e sontuosità dei committenti trova adeguata risposta soprattutto in due aspetti cardine della Villa: la vastità degli spazi e l'alta qualità dei materiali. La stessa Hall infatti, con l'elevata altezza dei soffitti e la generosa estensione delle aperture dà prova di una dimensione architettonica più monumentale che intima. La ricercatezza dei materiali impiegati è un'altra indicazione della larghezza dei mezzi a disposizione del pro-gettista. Bellissimi sono infatti i lastroni in noce del parquet, modernamente posati ‘a correre’ e impreziositi da sottili inserti in palissandro; altrettanto importanti le porte, in radica come la boiserie e la balaustra dello Scalone. All’interno del rigoroso contesto architettonico della sala, proprio la balaustra, con il motivo a doppia greca di sapore déco, rivela l’apertura del Portaluppi a stili e tendenze di natura diversa. Legato al gusto stoticista e dotato di briosa inventiva, l'architetto milanese non rinuncia infatti a impiegare oggetti e particolari decorativi di epoche precedeinti, ai quali accosta spesso elemeni inediti, frutto della propria fantasia creativa. Dal punto di vista dell'arredo, tale criterio di dotta contaminazione è confermato dalla convivenza, attestata sin dagli esordi della casa, di un preczioso cassone toscano in pastiglia del XV secolo con un'imortante coppia di seicenteschi putti reggitorcia in legno dorato, probabile opera del famoso intagliatore genovese Filippo Parodi. Tra i pezzi aggiunti dai proprietari negli anni successivi, particolarmente interessante appare il grande tamburo in bronzo vicino alla porta d'entrata realizzato in Cina o in Birmania nel XVII secolo. Per quel che riguarda l'illuminazione, la sala risponde alla tenden- za, emersa a partire dagli anni Venti, di distribuire le fonti luminosc lungo le pareti dell’ambiente, delineando o comunque potenziando il lampadario centrale con applique e lampade da terra, che nel caso di via Mozart sono realizzate utilizzando due elementi antichi e non le comuni lampade a stelo di recente invenzione.
Nella villa ci sono moltissimi orologi antichi, che sono stati puliti e rimessi in funzione dopo che la casa è stata aperta al pubblico. Puoi divertiti a contarli mentre visiti le stanze e osservarne i preziosi dettagli!
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SALA DA PRANZO Il ricco rivestimento in pergamena è l'unica testimoniamza, insieme al soffitto, dell'allestimento originale della stanza, che nel 1935 si presentava con un arredo coordinato, attribuito all'architetto monzese Michele Marelli. Realizzato in radica con profilature in ottone, esso era composto da tavolo, sedie, vetrina, buffet e controbuffet, quest’ultimo ornato da pannelli raffiguranti le Tre caravelle di Cristoforo Colombo. La successiva opera di trasformazione in senso antiquariale dell'ambiente è evidente sia nel lampadario e nei mobili di richiamo settecentesco, sia soprattutto nell'esposizione di un gruppo di pregevoli arazzi realizzati a Bruxelles tra la fine del XVI secolo e l'inizio del secolo successivo, manufatti che se da un lato contribuiscono a rendere la sala più calda e accogliente, dall'altro fanno passare in secondo piano la splendida pannellatura di pergamena della metà degli anni Trenta. La mano del Buzzi, riconoscibile nei nuovi arredi, comprese le due mensole in alabastro fiorito con sinuosi sostegni in ferro, non riesce tuttavia a nascondere l'impianto strutturale dell'ambiente, che restituisce ancora il fastoso disegno originario portaluppiano. Alla Sala da pranzo, infatti, il primo architetto della casa riserva le scelte più prestigiose e innovative del contemporaneo repertorio architettonico e decorativo: dalle porte in radica di olmo alle finestre a tutta altezza, il soffitto a stucco con motivi naturalistici (alberi, fiori, serpenti e aironi) e astrologici (segni del toro e del cancro) all'incasso dei termoconvettori all'interno delle cornici delle finestre. Tra i numerosi prodotti dell'argenteria e dell'oreficeria di cui è ricca la Villa, spicca per bellezza e importanza il centrotavola in corallo eseguito nella prima metà degli anni Trenta da Alfredo Ravasco, uno dei più rinomati orafi attivi a Milano, opera già visibile nella prima versione espositiva della stanza. Le grandi finestre offrono un'ampia vista sul giardino della Villa e in particolare sulla piscina.
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Alfredo Ravasco, Centrotavola con pesci, 1930-35, lapislazzuli, agata e corallo.
BIBLIOTECA Tra le sale della casa, la Biblioteca è quella che forse più fedelmente testimonia il gusto e lo stile del progettista. Un confronto tra l'ambiente attuale e le foto pubblicate nel 1935 permette infatti di far risalire alla mano del Portaluppi tutti i particolari architettonici e decorativi della stanza. Si veda ad esempio lo sviluppo delle librerie in palissandro, che rivestono interamente le pareti lunghe e che, con la loro estensione a tutta altezza, segnano uno scarto del Portaluppi rispetto a molti suoi colleghi del tempo, che iniziano, proprio in questi anni, a proporre per la prima volta piccoli armadi pensili, sia per volumi che per altri oggetti. Al contrario, nella sala di Villa Necchi, le librerie arrivano ad assumere una valenza strutturale, fungendo, grazie anche all'impiego di massicce lastre in cristallo, da divisori per un'appartata saletta di conversazione. Sempre al progetto originale va ascritto anche il camino, che cessa di essere un elemento isolato nell'ambiente per integrarsi nel disegno geometrico delle scaffalature lignee. Purissimo nelle linee, esso rinuncia ad ogni sovrapposizione ornamentale per giocare unicamente sulla bicromia dei marmi: granito nero di Anzola per l'esterno e granito chiaro per la fascia interna. Ma la vera firma dell'architetto va cercata nello
stucco del soffitto, dove l'intreccio delle costolature introduce nella casa il motivo della losanga, figura ricorrente nell'arte applicata dell'epoca e particolarmente cara al Portaluppi, che la propone tanto nei sottarchi dei suoi edifici, quanto nei più minuri dettagli decorativi dei suoi mobili. Si noti come in questo caso, grazie all'inserimento di una seconda griglia sottile, egli ne crei una versione particolarmente agile. I numerosi volumi sugli scaffali restituiscono l'immagine di una famiglia di lettori abbastanza tipica e in linea con la tradizione educativa dell'epoca. Gli interessi letterari sono infatti in gran parte generici e spaziano dal romanzo, spesso in lingua originale, ai volumi d’arte, per lo più italiana e moderna, ai libri di viaggio e a quelli di argomento naturalistico.
SPAZIO LUDICO Più ancora che alla lettura, la stanza era dedicata alla vita sociale, in particolare all’intrattenimento di natura ludica, come dimostra la presenza di due tavoli da gioco, opera di Guglielmo Ulrich degli anni Trenta. Realizzati in legno di mogano in tre esemplari, essi presentano un piccolo cassetto per lato per le fiche e un ricco rivestimento interno delle gambe in lamina di ottone. 19
SALOTTO Già nel 1938 infatti, a tre anni dall’inaugurazione della Villa, i Necchi Campiglio si rivolgono all’architetto Tomaso Buzzi per una consulenza riguardo la loro dimora. Il salotto è stato così una degli spazi più modificati dall’intervento del secondo architetto. Un tradizionale lampadario Luigi XV prende il posto di tre fantasiose lampade a ombrello disegnate dal Portaluppi, soprattutto, la modifica che più trasforma il progetto del 1935, è l’inserimento in porte e finestre di ampi tendaggi riccamente drappeggiati, realizzati con ricami antichi riportati e corredati di importanti frange e mantovane. Sono questi panneggi che maggiormente conferiscono morbidezza e rotondità alle severe linee architettoniche della sala e contribuiscono a tramutare la stanza in un più ospitale salotto di conversazione. Se a prima vista questo procedimento può apparire riduttivo e standardizzante rispetto al disegno originario, bisogna considerare come esso abbia in realtà già superato il vaglio degli anni e si presenti oggi come compiuto e pienamente storicizzato: una testimonianza imprescindibile delle evoluzioni dei principi estetici e dei mutamenti del gusto dell’abitare che da sempre hanno segnato gli interni domestici. Tra gli interventi del Buzzi va segnalata infine l’ampia cornice a specchio e legno dorato della vetrinaverso la Biblioteca. Disegnata da Portaluppi per creare un re la fluidità degli spazi della casa, tale vetrina prevedeva in origine unicamente un basso fregio rettangolare. 20
Sopra: il salotto progettato da Portaluppi. A fianco: il salotto dopo le modifiche apportate da Buzzi.
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VERANDA
La grande statua bronzea, che funge quasi da perno dell’intera stanza, è un’opera del 1930 dell’artista milanese Adolfo Wildt. L’opera, proveniente dalla Collezione Gian Ferrari, raffigura “il puro folle”, il giovane eroe consacrato alla ricerca del Santo Graal.
Prezioso è il pavimento in travertino, marmo verde Roja e marmo verde Patrizia, giocato su un disegno a fasce intrecciate che contribuisce all’aspetto geometrico della stanza, il cui razionale rigore è armoniosamente bilanciato dal rigoglioso verde presente all’esterno.
La geometria è una caratteristica importante della villa: questo stile si chiama “razionalismo”. Le linee sul pavimento di marmo Le linee sul pavimento di si incontrano in modo marmo si incontrano in modo perpendicolare, cioè formando perpendicolare, formando una specie di cioè croce. unaNella specie dicicroce. foto sono altre linee Nella ci sono altre linee che chefoto si incrociano in questo modo. si incrociano in questo modo. Sai dirmi dove si trovano? Sai dirmi dove si trovano?
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Quasi interamente proiettata verso l’esterno, la Veranda si apre sul giardino attraverso le due pareti vetrate, proponendo il motivo della lunga e ampia finestra allungata. L’impiego della doppia vetrata per creare una serra lungo le pareti della stanza conferma la predilezione di Piero Portaluppi per le più recenti soluzioni architettoniche.
Il divano as “S” attualmente esposto, è stato disegnato da Piero Portaluppi. Sostituito per un periodo da un esemplare più tradizionale, è stato ritrovato nella soffitta e reinserito nella sua collocazione originaria dall’ente FAI.
La veranda vista dalla porta della biblioteca.
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CAMERE DA LETTO Simmetrici e speculari gli ambienti riservati alle due sorelle, ognuno formato da camera da letto, spogliatoio e bagno. Nella stanza matrimoniale, particolarmente evidente appare l'intervento del Buzzi, che concepisce una parete avvolgente corredata da nicchie illuminate per incorniciare il letto. Quest'ultimo si presenta con un vistoso rivestimento in raso con ricami antichi riportati, secondo la maniera tipica dell'architetto milanese, che prevede un analogo decoro tessile anche per la porta scorrevole della camera. L'arredo è ancora una volta composto da ese plari di provenienza antiquaria, a conferma della totale rimozione dei pezzi moderni, avvenuta probabilmente dopo gli anni Quaranta. Tra i mobili della stanza, citiamo l'importante coppia di cassettoni del XVIII secolo di manifattura romana, mentre una piccola raccolta di oggetti d'arte in porcellana a forma di gatto ricorda al visitatore la passione delle due sorelle per questo animale, ospite fisso della Villa e dei cui pasti si occupava personalmente Gigina Necchi. Spicca, tra i dipinti esposti, una seicentesca Madonna col Bambino del lombardo Antonio Maria Crespi Castoldi, 24
I BAGNI I bagni delle due sorelle sono identitici e speculari interamente rivestiti di marmo arabescato. Tutto negli ambienti è segno di lusso: dai doppi lavandini alla grande vasca da bagno al centro della parete, alle due cabine destinate a toilette e doccia. Ma anche i piccoli dettagli parlano dell’estrema attenzione della padrona di casa per i particolari preziosi: si veda il set anni Trenta di spazzole in tartaruga, con le iniziale delle sorelle, le preziose boccette di profumo e gli specchi. Nella stanza da bagno di Nedda addirittura si può trovare un’incisione di Chagall e un acquerello di De Pisis le quali ci ricordano che, della famiglia, Nedda è quella che si dimostra più al passo coi tempi, l’unica che apprezzi l’arte contemporanea. Per il resto, il sontuoso bagno rispecchia misure e materiali di quello della sorella e anche qui troviamo sugli accessori in tartaruga, oltre a spazzole e pettini, bottiglie e portaprofumi ci riportano a un’epoca passata.
detto il Bustino, giunta alla Villa grazie a una donazione. ll marchio di Portaluppi trionfa in modo evidente nella stanza da bagno, dalle proporzioni grandiose e interamente rivestita di marmo arabescato. Tutto nell’ambiente è un segno del lusso: dai doppi lavan- dini alla grande vasca da bagno al centro della parete, alle due cabine destinate a toilette e doccia. Ma anche i piccoli dettagli parlano dell’estrema attenzione della padrona di casa per i particolari preziosi: si veda il set anni Trenta di spazzole in tartaruga, siglato dalla “G” dorata di Gigina. C’ un alone di romantico Ottocento nella camera di Nedda, la sorella nubile che divide la sua esistenza con la coppia, condividendone armoniosamente abitudini, amicizie e spazi. Per sé Nedda ha voluto un grazioso letto a baldacchino, un tempo ornato di pizzo, accompagnato da eleganti mobili inglesi e toscani del XVIII-XIX secolo. Una raccolta di miniature alle pareti, vetrine con porcellane di Doccia Cozzi e altre manifatture italiane ed europee documentano la vita di una donna dolce e dai gusti raffinati.
Tutte le camere da letto della villa sono dotate di un bagno personale, per garantire il massimo comfort ai loro ricchi ospiti. Un dettaglio originale che accomuna l e diverse stanze da bagno è la presenza di un’apertura circolare nel muro. Che strano!
Particolari dalle sale da bagno. Alla pagina precedente: camera da letto di Angelo e Gigina. 25
“Guardami negli occhi e promettimi che terrai questa casa e la difenderai come casa tua”. Ogni volta che salgo la scalinata ed entro in quell’ampia, silenziosa anticamenra foderata di radica lucidissima riascolto le parole di Gigina il giorno che mi annunciò la sua intenzione di donare la sua casa al FAI. Giulia Maria Mozzoni Crespi, Presidente FAI
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LA TRASFORMAZIONE IN CASA-MUSEO
Per tutta la vita Angelo Campiglio e Gigina Necchi vissero nella grande casa, sempre assieme all’inseparabile soella di Gigina, Nedda, ricevendo e ospitando spesso gli amici. Angelo Campiglio morì nel 1984, e le due sorelle, non avendo figli o altri eredi, si premurarono di pensare a ciò che sarebbe stato della loro casa dopo la morte: decisero quindi di lasciarla al FAI, cosa che avvenne alla morte di Gigina, nel 2001. Alla Fondazione del loro grande amico Alberto Veronesi lasciarono in eredità una cospicua donazione in denaro. L’obiettivo del FAI è custodire la villa con la stessa cura che Nedda e Gigina dedicavano alla scelta del cappellino perfetto, abbinato a quei guanti su misura che è ancora possibile ammirare nell’elegante guardaroba della villa, al primo piano. La villa è stata sottoposta a restauro sotto la direzione dell’architetto Piero Castellini, attraverso lavori che sono durati fino al 2008, anno in cui la villa è stata aperta al pubblico. Tra le opere ingegneristiche, spicca la realizzazione della nuova centrale termica, a sostituzione di quella esistente alimentata a petrolio: quasi 300 metri quadrati scavati al disotto del livello del campo da tennis, con due pozzi profondi 60 metri. La destinazione a casa-museo ha imposto inoltre l’adeguamento della Villa e delle sue dotazioni impiantistiche ai requisiti previsti dalle normative vigenti per gli edifici aperti al pubblico, in particolare nel campo della sicurezza antincendio. La campagna
di lavori ha interessato anche i diversi aspetti dell’arredo e degli apparati decorativi, a partire da un gruppo di mobili della casa, formato sia da pezzi settecenteschi, con problemi di marqueterie e dorature, sia da clementi databili agli anni Trenta, con evidenti danneggiamenti delle superfici dovuti a macchie e usura. Insieme a questi sono stati restaurati e puliti anche oggetti di piccole dimensioni, tra cui i lampadari settecenteschi, le lampade anni Trenta, puliti i rivestimenti di letti e divani, le torciere dorate e lucidati gli ottoni di maniglie, arredi e copricaloriferi. Sono stati puliti e rimessi in forma i cappelli del XX secolo delle sorelle Necchi, insieme ai loro abiti e accessori. Nel corso dei lavori stato possibile inoltre riportare alla luce alcuni aspetti della storia architettonica dell’edificio, occultati dalle stratificazioni e dalle modifiche volute dai proprietari nel corso del XX secolo. Sono così emersi sia il soffitto originale portaluppiano dello Studio, nascosto da un controsoffitto ligneo, sia la ricca plasticità e il colore autentico degli stucchi della Sala da pranzo. Anche gli esterni hanno subito importanti interventi atti a ristabilire l’immagine originale di Villa urbana con parco. Il giardino è stato perciò ordinato e risistemato, mantenendo magnolie, tassi e faggi preesistenti e offrendo così al pubblico un’oasi verde nel cuore della città; parallelamente e stato ripristinato l’orto-vivaio lungo l’ingresso di servizio della Villa, trasformato in epoca successiva in roseto e pulita e impermeabilizzata la piscina. Il tennis ridotto nelle sue dimensioni per esigenze di cantiere, è stato ripristinato e la recinzione metallica a rete con motivi portaluppiani restaurata. Infine la casa-museo è stata dotata di tutti quei servizi aggiuntivi che immancabilmente devono corredare una struttura ricettiva moderna aggiornata. Sono stati pertanto ricavati: il book-shop nella ex serra, la biglietteria nella vecchia rimessa e la Caffetteria nel patio del tennis.
IO SONO L’AMORE Nel 2009 a Villa Necchi Campiglio è stato girato il film “Io sono l’amore”, di Luca Guadagnino. Nel film, che racconta una vicenda fittizia, ad abitare la dimora è la ricca famiglia milanese dei Recchi, il cui nome è evidentemente stato ispirato da quello dei proprietari originari.
Tilda Swinton nel salotto della villa in una scena del film “Io sono l’amore”, di Luca Guadagnino. 27
LE COLLEZIONI
Villa Necchi Campiglio è uno scrigno che contiene meraviglie. Oltre ad arredi e opere presenti nell’impianto originale, nel tempo villa Necchi Campiglio si è arricchita di altri tesori d’arte, grazie al lascito di alcune collezioni d’arte, ottenute per merito del FAI. Due sono in particolare le collezioni che meritano attenzione: quella di Alighiero ed Emilietta de’ Micheli e quella di Claudia Gian Ferrari, entrambe donate al FAI. Esposta al primo piano della villa, la collezione de’ Micheli si compone di 130 capolavori datati XVIII secolo: ci sono mobili di manifattura francese, ceramiche lombarde, porcellane cinesi e miniature dell’incisore Jean Baptiste Isabey. Senza dimenticare i dipinti firmati dal Canaletto e dal Tiepolo. Con la collezione di Claudia Gian Ferrari, invece, facciamo un salto temporale e approdiamo nel primo Novecento. Fra sculture, disegni e dipinti, le opere raccolte offrono una panoramica su una stagione dell’arte italiana segnata da grandi nomi: Balla, Boccioni, De Chirico, Carrà, Sironi e Morandi. Ma anche Martini, con la scultura “L’amante morta” ai piedi della scalinata che sale al primo piano, e Adolfo Wildt con il bronzo Il puro folle davanti all’ingresso della biblioteca. La villa è abbellita anche da generose donazioni come il Vaso di Fausto Melotti o il grande dipinto Monumento ai caduti in corsa di Felice Casorati. Non vi sono invece in casa le opere d’arte del ‘900 collezionate dalla famiglia, pitture e sculture di elevato valore, perché l’intera collezione fu venduta dalle Necchi per sostenere la ricerca sul cancro di Umberto Veronesi, del quale furono molto amiche e ferree sostenitrici. Della collezione familiare, rimane solo un piccolo olio di Giuseppe Amisani, dal quale Nedda non si volle separare e forse nessuno ne conosce la ragione. Canaletto, Ingresso al Canal Grande con la chiesa della Salute 28
Felice Casorati, Monumento ai caduti in corsa
Rosalba Carriera, Ritratto di George, primo marchese di Townshend 29
La stanza destinata un tempo a camera da letto per la principessa Maria Gabriella di Savoia, cara amica di famiglia, è stata recentemente riservata dal FAI come sede della Collezione di Alighiero ed Emilietta de’ Micheli. Nel 1995 infatti il noto imprenditore milanese, con il consenso della moglie, aveva destinato alla Fondazione un generoso legato testamentario riguardante gli arredi e le opere d’arte esposti nel suo salotto di casa. In un primo tempo l’intera stanza del donatore venne quindi fedelmente ricostruita nel seminterrato della residenza dei Necchi Campiglio, dove un accesso indipendente dal resto della dimora, al tempo ancora abitata, ne garantiva l’apertura ai visitatori. Ora, grazie alla nuova esposizione, la collezione entra a far parte del percorso museale della Villa, e, pur mantenendo storia e identità proprie, arricchisce con i suoi capolavori l’offerta artistica della casa-museo. Esponente di spicco della borghesia lombarda, de’ Micheli fu un noto imprenditore del settore tessile, ma la sua grande passione era sempre stata l’arte, in tutte le sue espressioni: dalla migliore pittura dei grandi maestri ai più minuti e raffinati prodotti dell’alto artigia- nato artistico. Tra gli oggetti esposti, spicca innanzitutto un significativo nucleo di tele di scuola veneziana: da un bozzetto di Giambattista Tiepolo a una coppia di vedute della città lagunare di Michele Marieschi; dall’affascinante Ritratto del marchese di Townshend, a opera di Rosalba Carriera, alla straordinaria veduta dell’Ingresso al Arturo Martini, Busto di Fanciulla in gesso, 1921
Questa statua, che raffigura il busto di una donna, si trova in un punto un po’ nascosto della villa: sei in grado di trovarla? Un indizio: si trova nei pressi del quadro con la maschera e lo strumento musciale, che puoi vedere nella pagina a fianco!
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Canal Grande per ma no di Canaletto. Il Settecento, dunque, con tutta la sua originale e scientifica creatività, è il secolo principe della collezione, ampiamen- te illustrato anche da importanti mobili e oggetti d’arte. Ai dipinti dei maestri veneti fanno eco le raffinate miniature del francese Jean-Baptiste Isabey, artista e scenografo tra i più ambiti della Parigi napoleonica e qui ampiamente rappresentato da un co- spicuo nucleo di tredici opere, a cui si affiancano altri piccoli ritrat- ti attribuiti all’altrettanto celebre Augustin. La Francia costituisce decisamente l’impronta dominante della collezione; sia in maniera diretta, con il gruppo di pezzi della migliore ebanisteria Luigi XV e Luigi XVI, sia la mediazione piemontese (si veda, ad esempio, il mobile a due corpi dell ebanista della Real Casa Luigi Prinotto); sia, infine, attraverso l’interpretazione genovese, evidente ad esempio in una bella coppia di , console settecentesche. Una predilezione per la rinomata produzione milanese del XVIII secolo caratterizza invece le raccolte ceramiche, comprendenti, oltre alla bella serie di zuppiere a decori in stile Imari della manifat tura Pasquale Rubati, il gruppo di piatti della fabbrica di Felice Clerici, decorati con smalti a figure e paesaggi Dall’Oriente provengono infine le porcellane, spesso montate in secondo l’uso settecentesco, mentre la collezione di tabacchie- re è frutto di manifatture francesi, tedesche e inglesi.
La collezione di Claudia Gian Ferrari, donata a Villa Necchi Campiglio, racconta il periodo del Novecento italiano con alcuni esponenti del Futurismo come Umberto Boccioni e Giacomo Balla, e con artisti come Mario Sironi e Achille Funi, Giorgio De Chirico e Alberto Savinio, affiancati da figure che hanno avuto una propria carriera indipendente e particolare come Giorgio Morandi e le sue inconfondibili nature morte, Filippo de Pisis o Arturo Tosi e le sue vedute. La collezione di Villa Necchi Campiglio presenta inoltre i capolavori di alcuni importantissimi scultori che hanno caratterizzato l’arte di quel periodo e influenzato quella successiva, come Adolfo Wildt, Marino Marini e Arturo Martini, nelle cui opere si possono leggere i cambiamenti fra gli anni Venti e Trenta e le anticipazioni del dopoguerra. La Collezione Guido Sforni è costituita da una serie di 21 opere su carta di alcuni dei più rappresentativi artisti italiani e stranieri attivi nella prima metà del secolo scorso, tra cui Henri Matisse, Pietro Marussig, Pablo Picasso, Amedeo Modigliani, Mario Sironi e Lucio Fontana. Donata al FAI da Clara Lavagetti Sforni, moglie del collezionista precocemente mancato, e dalle figlie Bianca e Maria Chiara Sforni, la collezione, esposta al pubblico per la prima volta, trova la sua naturale collocazione a Villa Necchi Campiglio a partire dal 15 novembre 2017. In armonico dialogo con la Collezione Claudia Gian Ferrari, il nuovo nucleo di opere è stato allestito nella stanza che un tempo ospitò, durante i suoi soggiorni milanesi, il principe Enrico D’Assia all’epoca scenografo presso il Teatro alla Scala, la “Stanza del Principe”. Gli ambienti, che meglio conservano l’impronta progettuale originaria di Piero Portaluppi con arredi, decori e dettagli architettonici tipici dello stile lineare e geometrico degli inizi del ‘900, sono stati riadattati per ospitare la Collezione Guido Sforni: l’allestimento, curato da Bianca Sforni, si presenta con un nuovo progetto illuminotecnico e consono alle esigenze conservative. Per questo motivo infatti le opere saranno esposte ciclicamente per garantirne la tutela e consentire al pubblico la visione di tutta la collezione.
La collezione esprime la naturale passione che Guido Sforni coltivò fin dagli anni dell’adolescenza per le arti figurative e che portò avanti attraverso lo studio di libri d’arte e visite ai musei nei numerosi viaggi in Italia e all’estero. Laureatosi in legge all’Università di Pisa, Guido Sforni mantenne sempre uno sguardo vivo sul mondo dell’arte; l’amicizia con il poeta e critico d’arte Raffaele Carrieri e i continui confronti con lo zio collezionista Lando Sforni influenzarono la creazione della collezione che andò via via formandosi fino a diventare un insieme assai omogeneo. La collezione donata al FAI comprende un grande carboncino metafisico di Mario Sironi, un’interessante Testa di donna del triestino Pietro Marussig, sette disegni di Pablo Picasso provenienti dalla ricchissima produzione legata al tema Les Déjeuners sur l’herbe, tre importanti ritratti di Henri Matisse; otto disegni di Amedeo Modigliani, e un’opera grafica di Lucio Fontana.
Gino Severini, Nature morte e masque, 1929. Sopra: Amedeo Modigliani, Cariatide. 31
FONTI Testi Archivio Fondazione Portaluppi - www.portaluppi.org Touring Club italiano - www.touringmagazine.it Archivio Tomaso Buzzi, La Scarzuola, Montegabbione (TR) Lucia Borromeo Dina. FAI. Villa Necchi Campiglio a Milano. Skira. Milano. 2016. FAI Fondo Ambiente Italiano - www.fondoambiente.it Ordine architetti della Provincia di Milano - www.ordinearchitetti.mi.it
Immagini Antonio Paoletti, Archivio Fondazione Portaluppi. Milano. Archivio FAI, Milano. Archivio civico comune di Milano. Civica raccolta delle stampe “Achille Bertarelli�, Milano.
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Laboratorio del progetto della comunicazione visiva Docenti: Chiara Bersanelli Fulvia Bleu Mario Piazza A.A. 2018 - 19 Design della Comunicazione C2
Appartata nel cuore di un signorile e tranquillo quartiere del centro milanese, Villa Necchi Campiglio venne progettata nei primi anni Trenta dall’architetto Piero Portaluppi su incarico delle sorelle Nedda e Gigina Necchi e di Angelo Campiglio, marito di Gigina, esponenti di una borghesia industriale lombarda colta e al passo coi tempi. L’edificio, inserito in un incantevole giardino, è scandito da ampi volumi lineari, con spazi concepiti per padroni di casa operosi, ma capaci comunque di godersi il proprio tempo libero in compagnia di ospiti e amici e ambienti dove l’innovazione si traduceva nel comfort e efficienza. Tutte caratteristiche che, per lusso e modernità, fecero della Villa una delle residenze simbolo dell’epoca. La villa ebbe poi una sua evoluzione in termini di stile, legata all’intervento nel secondo dopoguerra dell’architetto Tomaso Buzzi, cui vengono commissionati la sistemazione dell’esterno e il rifacimento dell’arredo di alcuni locali, in uno stile ispirato all’arte settecentesca, più morbido ed elaborato rispetto all’essenzialità degli ambienti originari di Portaluppi. Lo splendore degli arredi déco, degli oggetti d’uso e di importanti pezzi d’arte è stato impreziosito in tempi recenti dal lascito delle collezioni de’ Micheli e Gian Ferrari e successivamente anche della collezione Guido Sforni.
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