Studio per un intervento di riqualificazione del magazzino ex Montecatini a Porto Recanati

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STUDIO PER UN INTERVENTO CONSAPEVOLE DI RIQUALIFICAZIONE DEL MAGAZZINO EX MONTECATINI A PORTO RECANATI Giulia Lo Presti, Marta Paolucci



Dipartimento di Architettura - Università degli Studi Roma Tre Corso di Laurea Magistrale in Progettazione Architettonica a.a. 2015 - 2016

STUDIO PER UN INTERVENTO CONSAPEVOLE DI RIQUALIFICAZIONE DEL MAGAZZINO EX MONTECATINI A PORTO RECANATI

Presentata da: Giulia Lo Presti, Marta Paolucci Relatore: Prof. Arch. Francesco Cellini Correlatori: Prof. Ing. Sergio Poretti, Prof.ssa Paola Magrone

Sessione di Laurea: Luglio 2016


Immagini di copertina: Fronte: Esterno del Magazzino ex Montecatini, Porto Recanati; Foto delle autrici Retro: Interno del Magazzino ex Montecatini, Porto Recanati; Foto delle autrici 4


INDICE

INTRODUZIONE ALLA STORIA E ALLO SVILUPPO DELL’INGEGNERIA ITALIANA PROLOGO 1830 - 1900: IL PASSAGGIO DAGLI STATI PREUNITARI ALL’ITALIA UNITA; L’AVVENTO DEL CEMENTO ARMATO E LA NASCITA DELL’INGEGNERIA MODERNA 1890 - 1935: IL PERIODO PIONERISTICO 1936 - 1945: GLI ANNI DELL’AUTARCHIA 1946 - 1954: GLI ANNI DELLA RICOSTRUZIONE DEL DOPOGUERRA 1955 - 1963: GLI ANNI DEL BOOM ECONOMICO 1964 - 2000: GLI ANNI DELL’AUSTERITY; LA DIFFUSIONE DELLA PREFABBRICAZIONE INDUSTRIALE BIBLIOGRAFIA E ICONOGRAFIA

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1. STRUTTURE RESISTENTI PER FORMA: LE PARABOLE 1.1. RESISTENZA PER FORMA 1.2. STUDIO MATEMATICO 1.2.1 LA RICERCA DELL’ARCO OTTIMALE 1.2.2 CURVE CONICHE 2.2.1 IPERBOLE 2.2.2 PARABOLA

1.2.3 CATENARIA

1.3. ARCHI PARABOLICI 1.4. SILOS PARABOLICI

1.4.1 1.4.2 1.4.3 1.4.4

INQUADRAMENTO DEL FENOMENO HANGAR PER AEREI E DIRIGIBILI I SILOS PARABOLICI EVOLUZIONE DEI PARABOLOIDI

BIBLIOGRAFIA E ICONOGRAFIA

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2. IL PARABOLOIDE DI PORTO RECANATI 2.1. PORTO RECANATI

2.1.1 LA STORIA DI PORTO RECANATI 2.1.2 LA STORIA DELLA MONTECATINI 2.2. ANALISI DEL CONTESTO 2.3. PARABOLOIDE DI PORTO RECANATI 2.3.1 IPOTESI COSTRUTTIVA 2.3.2 STUDIO MATEMATICO 2.3.3 STATO ATTUALE E IPOTESI DI RESTAURO 2.3.4 IPOTESI PROGETTUALE 2.4. ARCHIVIO FOTOGRAFICO BIBLIOGRAFIA E ICONOGRAFIA

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Introduzione alla storia e allo sviluppo dell’ingegneria italiana 9


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PROLOGO: La Scuola d’Ingegneria italiana, da quando nasce nel Novecento, produce uno straordinario patrimonio di grandi strutture, tra cui ponti, viadotti, stadi, stazioni, palazzi dello sport e grattacieli. Per tutto il Novecento, l’Italia rimane un Paese prettamente agricolo e artigianale; i cantieri sono a bassa meccanizzazione e numerosa manodopera. Questo anacronismo nel progresso del settore edilizio non avrà, però, solo un’accezione negativa. L’arretratezza farà emergere il grande valore e l’alta qualità dell’artigianato italiano, che con pochi mezzi a disposizione è riuscito a creare opere di incredibile bellezza. Alla metà degli anni ’60 la Scuola è riconosciuta come una delle più prestigiose al mondo. Purtroppo, subito dopo il miracolo economico, inizia un lento declino, causato da una combinazione di fattori politici, economici e sociali, che hanno portato ad un’eclissi quasi totale della Scuola e delle sue opere.

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1830 - 1900: Il passaggio dagli Stati preunitari all’Italia unita; l’avvento del cemento armato e la nascita dell’ingegneria italiana. In Europa, tra il 1850 e il 1900, nasce una nuova tecnica costruttiva, che cambierà il modo di pensare la struttura edilizia e l’immagine delle città: il cemento armato. La nuova invenzione parte dalla necessità di creare un materiale che potesse lavorare al contempo a trazione (l’acciaio) e a compressione (il cemento). In breve tempo la tecnica si diffonde anche in Italia, dove diventa, di fatto, il materiale di elezione di tutto il Novecento, contribuendo alla nascita e allo sviluppo dell’ingegneria italiana e, in un certo senso, di tutto il sistema economico del Paese pre e post conflitti mondiali. La diffusione nel territorio italiano è favorita, in primo luogo, dall’abbondante disponibilità delle materie prime; il paese è ricco di marne naturali di cemento, così come di componenti primari, quali l’argilla e il calcare. Già nella prima metà dell’Ottocento, a Bergamo e a Casale Monferrato, sorgono le prime officine per la produzione di cemento naturale. In secondo luogo, il nuovo composto, rispetto all’acciaio, materiale privilegiato dell’Ottocento europeo, appare più idoneo a soddisfare ed enfatizzare la tecnica artigiana di costruzione di altissimo livello che caratterizza il cantiere italiano, popolato dagli stessi capimastri dell’opera muraria tradizionale. Il nuovo materiale, essendo per natura modellabile e capace di grandi adattamenti, non ha bisogno di manodopera specializzata, a differenza della costruzione metallica. I costi di utilizzo sono quindi di gran lunga inferiori rispetto alla costruzione in acciaio, motivo per cui in Italia il 12

suo uso si prolungò di decenni rispetto al resto d’Europa più industrializzata. L’ingegneria moderna italiana nasce negli Stati preunitari. Nel periodo napoleonico e durante la Restaurazione s’istituiscono i primi corpi d’ingegneri dello Stato e nascono le Scuole d’Ingegneria per la preparazione della nuova figura professionale. Il ruolo dell’ingegnere, come progettista strutturale, si forma in Italia con l’avvento del cemento armato. Durante l’Ottocento era un tecnico burocrate con numerose e diversificate competenze: dall’idraulico, all’agrimensore, all’architetto civile; lavora per la modernizzazione delle grandi sistemazioni catastali, per lo sviluppo della rete stradale e per la bonifica delle zone paludose. Nello stesso periodo, in Europa, la struttura metallica diventa la protagonista dei nuovi scenari urbani. I ponti sospesi, le tettoie delle stazioni e le gallerie urbane diventano i simboli, da ammirare, del progresso e del miracolo ingegneristico. Per questo i progettisti e le imprese di costruzione delle strutture metalliche erano generalmente stranieri e i pochi casi italiani di ponti sospesi e ferroviari, derivavano dal progetto d’ingegneri che avevano studiato all’estero. L’ingegnere italiano, pur avendo una solida preparazione scientifica, non è preparato per la progettazione strutturale. Nell’Ottocento non emerge ancora un’identità dell’ingegneria italiana, ma si innesca una tradizione scientifica che, tra il 1850 e il 1880 porta alla sistematizzazione della “teoria elastica classica”, con la messa a punto di strumenti semplici per il calcolo delle strutture in acciaio. Dopo l’unificazione del Paese, con lo sviluppo della rete ferroviaria e con l’avvento del cemento armato, lo scenario comincia lentamente a cam-

biare. Tra gli ingegneri italiani, protagonisti di questa nuova fase, si contraddistinguono Alfredo Cottrau e i due illustri fautori del nuovo materiale: Camillo Guidi (1853-1941), che nel 1906 ne parlava nel testo “Lezioni sulla scienza delle costruzioni”, e Silvio Canevazzi (1852-1918), autore nel 1904 del testo “Ferrocemento (cemento armato, smalto cementizio armato). Formule di elasticità e di resistenza”. Tra gli allievi di Guidi vi sono Giovanni A. Porcheddu (1860-1937) e Arturo Danusso (1880-1968). Tra gli allievi di Canevazzi a Bologna vi è invece Pier Luigi Nervi. Nel 1873 viene depositato in Italia il brevetto di Joseph Monier del 1870 (considerato dai tecnici come fondamentale per lo sviluppo del cemento armato), sostituito nel 1892 dal brevetto di François Hennebique (riconosciuto come l’inventore del cemento armato). Primi concessionari di Hennebique saranno Porcheddu e Muggia; le opere di Porcheddu sono molteplici, ponti e strutture di ogni genere, molte delle quali realizzate con intenti promozionali del brevetto. Di fatto, quest’ultimo porta alla sostituzione della struttura in acciaio. In Italia e in Spagna il cemento armato diventa egemone; i due Paesi si distinguono da quelli mitteleuropei e anglosassoni, soprattutto per la compatibilità del nuovo materiale con il piccolo e medio cantiere.


1890 - 1935: Il periodo pioneristico. Negli anni delle più alte sperimentazioni in campo ingegneristico, coincidenti con il periodo del boom economico, si formano due distinte linee di pensiero teorico sull’approccio progettistico delle strutture. Le due teorie nascono una nella Scuola di Arturo Danusso (1880 - 1968) e l’altra in quella di Gustavo Colonnetti (1886 - 1968) e segnano lo sviluppo italiano delle grandi strutture, prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale. Entrambi si laureano al Politecnico di Torino con Camillo Guidi, che nel 1900 introdusse il cemento armato in Italia da studente universitario. Danusso dopo la laurea inizia a lavorare presso lo studio di Porcheddu, il concessionario di Hennebique per l’Alta Italia; si fa conoscere come protagonista soprattutto nel concorso per la ricostruzione di Messina e Reggio Calabria, indetto dopo il terremoto del 1908, dove primeggia. Dal 1915 sarà professore al Politecnico di Milano. Colonnetti, invece, prosegue gli studi teorici, avviando la carriera universitaria come docente, in diverse facoltà italiane. I due personaggi sono profondamente diversi, ma partono entrambi dalla stessa consapevolezza che la “teoria elastica classica”, nata per il ferro, non è adattabile, in maniera precisa, al comportamento del cemento armato, come si era supposto nella prima fase pioneristica della sperimentazione. Gli scienziati cercano di adattare la teoria alla natura eterogenea del nuovo materiale. Per sfruttare al meglio le potenzialità è necessario studiare anche le deformazioni plastiche, successive a quelle elastiche, e considerare, nel calcolo statico delle costruzioni, non solo i carichi permanenti o accidentali, ma anche gli stati di tensione che avvengono nel

corpo in assenza di forze esterne. Questi stati di tensione sono chiamati “auto-tensioni” da Danusso e “coazioni” da Colonnetti. In particolare, il limite del cemento armato, fino agli anni Trenta, emergeva nel momento di coprire grandi luci, soprattutto per il problema delle fessurazioni. Danusso, che guida la prima linea, basata su una filosofia naturalistica della “teoria della resistenza per forma”, tenta di risolverlo per via geometrica. Svincolandosi dal calcolo delle strutture, invita i progettisti, avvalendosi dell’intuito e della creatività, a scegliere una forma che sia “perfetta”, ossia tale da non avere trazione del c.a., ma solo compressione, il regime in cui il materiale si comporta meglio. Le forme derivanti, benché siano realizzabili in cemento armato, sono spesso geometrie complesse, caratterizzate da doppie curvature e quindi incalcolabili matematicamente e molto iperstatiche. Per superare tale problematica, Danusso inventa il “calcolo attraverso il modello”, che diventa la base dello sviluppo ingegneristico italiano. La sua teoria, fondata su questa sperimentazione empirica, sarà applicata soprattutto nei progetti di Nervi, con cui spesso collabora. Attraverso un modello a scala ridotta sottoposto a prove di carico, utilizzando in laboratorio una “macchina calcolatrice degli sforzi”, è possibile misurare le deformazioni sotto i carichi stabiliti, che si potrebbero verificare nella realtà, usando materiali che, non sono quelli dell’oggetto edilizio finito, ma che hanno comportamenti paragonabili. Già nel 1931 fonda il laboratorio “Prove, modelli e costruzioni”, presso il Politecnico di Milano, dove insegna, grazie al contributo economico delle società Italcementi e Montandon; nel ‘33 istituisce la “sezione fotoelastica”, capace di rappresentare la distribuzione delle tensioni, e nel ’35 la “sezione grandi modelli”, in

grado di indagare sullo stato delle sollecitazioni. I primi modelli fotoelastici furono utilizzati per il progetto di concorso del Palazzo del Littorio e per la trave metallica a doppio gomito della Stazione di Firenze. Per i ponti iperstatici (come il Ponte Duca d’Aosta a Roma) o per strutture complicate (come le prime aviorimesse di Nervi a Orvieto o l’arco dell’Impero per l’E42 a Roma) si costruiscono modelli in scala in cemento o in celluloide. L’approccio nei confronti del caso del Ponte Risorgimento a Roma, un ardito arco ribassato che ha suscitato, dal 1911, numerosi dibattiti e perplessità, chiarisce la diversa posizione scientifica sul tema sopra espresso. Costruito da Hennebique, il ponte è il simbolo del periodo pioneristico della linea di approccio ingegneristico “per forma”, sopra descritto, in cui “la pratica precede la teoria” (cit. Tullia Iori, Sergio Poretti; Rassegna di architettura e urbanistica. La scuola italiana di ingegneria. N°148). Danusso si opponeva agli scienziati che promuovevano la demolizione del ponte per pericolo di crollo, risultato dai calcoli matematici utilizzando la teoria classica dell’elasticità. Secondo il professore, il problema non era in un’errata costruzione del

Fig. a. Ponte Risorgimento, Roma, F. Hennebique, 1911

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ponte, che aveva superato un severissimo collaudo, nonché la severa prova tempo, ma proprio nell’inadeguatezza della teoria applicata al cemento armato. Lo stesso autore del ponte sosteneva la necessità di procedere “per tentativi, alla ricerca della curva funicolare dei carichi che coincidesse con la stabilità”, anche contro la teoria. Colonnetti, in opposizione, spesso citava lo stesso Danusso sul tema del ponte, ma considerava il procedimento progettuale troppo ardito. Continuava ad essere fautore della ricerca di una teoria valida e applicabile, di cui si potessero servire anche i progettisti con meno intuito. Da queste premesse, conduce una sua ricerca subordinata sul precompresso, promuovendone la diffusione soprattutto dal ’39, di ritorno da un viaggio di lavoro a Parigi, dove rimane affascinato dalle opere di Freyssinet. La ricostruzione dopo la Prima Guerra Mondiale segna il passaggio del cemento armato da tecnica speciale, protetta da brevetto, a tecnica corrente. Completata la ricostruzione, il cemento armato raggiunge il suo apice, forte dell’adesione iniziale all’economia corporativa del nascente regime fascista. Gli industriali del cemento promuovono la tecnica pubblicizzando le opere sulla loro nuova rivista “L’industria italiana del cemento”, fondata nel 1929, con obiettivo di pubblicizzare il materiale attraverso le opere, di valorizzare i risultati, di esaltare le imprese costruttive e i successi dei progettisti e del calcolo, allo scopo di promuovere l’uso del prodotto. Diventa la rivista sull’ingegneria strutturale, attraverso la quale è possibile tracciare la storia della costruzione italiana del Novecento. La naturale affinità che si stabilisce tra ingegneria e futurismo produce alcune interessanti proposte progettuali, riconducendosi alla sto14

rica propensione dell’architettura italiana per il monumentalismo scenografico. L’iconografia futurista usa tutti i caratteri dell’ingegneria strutturale: positivismo, scientismo, tecnologia e artigianalità. Reciprocamente, l’ingegneria italiana assorbe dal futurismo il carattere figurativo, il lirismo, il gusto visionario. In questo scenario volto al progresso e alla tecnologia, si fanno sempre più accesi il dibattito e la sperimentazione sulle forme delle grandi strutture industriali. Dai primi anni del Novecento la tipologia della volta appare tra le più idonee da utilizzare per le coperture di edifici di grandi dimensioni, che hanno la necessità in pianta di usufruire di spazi liberi da elementi strutturali. L’arco e la volta in cemento armato, in particolare le volte sottili e i gusci, membrane in cemento armato che con la loro doppia curvatura per natura lavorano a compressione, garantiscono, solo con la loro forma, l’equilibrio statico della struttura. La curva delle pressioni coincide con la curva baricentrica, producendo equi-compressione su tutte le sezioni dell’arco, con il vantaggio di poter diminuire la sezione e quindi il peso complessivo e i costi del materiale utilizzato. In questo gruppo, e quindi nella linea più seguita nel territorio italiano dei manufatti resistenti per forma, s’inseriscono i primi magazzini a copertura parabolica in cemento armato; degli ibridi tra le grandi strutture, in quanto a dimensioni, e i telai, in quanto a tipologia strutturale. Risale al 1922 il primo “paraboloide”, costruito a Casal Monferrato dall’ingegner Radici per l’Italcementi. Gli archi parabolici, sfruttando, appunto, la sola compressione, risolvono anche il problema della fessurazione del cemento armato. Inoltre, la loro forma è adattabile all’artigianalità che, come abbiamo visto, caratterizza la manodopera e i can-

tieri italiani, anche per scelta, poco industrializzati. E’ questo il motivo per cui questa tipologia di magazzini ha una grande diffusione in Italia, mentre è quasi nulla nel resto dell’Europa, più meccanizzata. I pochi casi all’estero risultano infatti assistiti nella progettazione da tecnici della Montecatini, la società che maggiormente ha sfruttato tale tipologia per i suoi magazzini. In Italia si innesca una sorta di tradizione nell’uso di tale forma, che proseguirà fino agli anni ‘70. In tale lasso temporale, gli oggetti rimarranno strutturalmente e staticamente invariati, mentre cambieranno costruttivamente, adattandosi ai tempi e alle nuove tecnologie. Come vedremo in seguito, dagli anni ‘50/’60 l’artigianalità del cantiere lascerà sempre più spazio alla prefabbricazione.

Fig. b. Stadio Berta, Firenze, Pier Luigi Nervi, 1930


1936 - 1944: Gli anni dell’Autarchia L’11 ottobre del 1935 l’Italia viene sanzionata dalla Società delle Nazioni, per aver violato gli accordi internazionali a seguito dell’invasione dell’Etiopia. Il 18 novembre dello stesso anno le sanzioni entrano in vigore e il regime fascista proclama l’autarchia, proibendo l’importazione di ferro. La poca quantità ancora disponibile è utilizzata per l’industria bellica, così il suo impiego nel cemento viene limitato, per poi essere definitivamente proibito nel 1939. Gli anni della guerra, con la conseguente inattività edilizia, a dispetto di quanto si possa pensare, furono in realtà proficui per la sperimentazione nel campo dell’ingegneria italiana. La risposta a queste restrizioni è duplice e coincide con le due linee di pensiero descritte in precedenza: la prima, legata alla teoria della resistenza per forma, guarda alla tradizione muraria, portando avanti lo studio sui ponti ad arco e la ricerca della forma perfetta delle strutture; la seconda, di minor seguito, sperimenta nuove tecniche per risparmiare metallo, sfruttando meglio le risorse strutturali del materiale e sviluppando la tecnica della precompressione. Si avvia dunque un periodo in cui si costruisce poco, ma si studia e si sperimenta molto. Parallelamente al collega Danusso, anche Nervi s’impegna in una serie di esperimenti sulla forma, che di conseguenza lo portano a rivedere le procedure fondamentali del cantiere e della costruzione. Nel 1936 l’Aeronautica Militare gli affida la costruzione di due aviorimesse, per dimensionare le quali utilizza proprio i modelli di Danusso; nonostante gli ottimi risultati ottenuti, la costruzione si rivela costosissima, principalmente per l’uso delle casseforme. Il costo elevato delle centine e casseforme lignee, ne-

cessarie per il getto in opera, rischia di vanificare il risparmio di materiale dovuto all’efficienza statica per forma della struttura. «La cassaforma in legname costituisce un passaggio obbligato attraverso forme proprie del legno, che limita la libertà della struttura cementizia» scrive Nervi in “Scienza o arte del costruire?” (1945). È necessario dunque inventare un procedimento per costruire la struttura in modo più semplice ed economico. Quando l’Aeronautica gli commissiona altre sei aviorimesse (Orbetello, Orvieto e Torre del Lago), Nervi cambia strategia e inventa la “prefabbricazione strutturale”, per costruire edifici di grandi luci e liberare il cantiere dalle costose casseforme di legno; la struttura è scomposta in piccoli pezzi preparati a terra e poi ricomposti e saldati con getti in opera, ripristinando la monoliticità e la continuità strutturale. Tale sistema non solo minimizza i costi, ma anche i tempi di costruzione, poiché, mentre si gettano le fondazioni e i pilastri, s’iniziano a preparare i pezzi della copertura, che poi andranno solo montati. Lo stesso complicato intreccio degli archi della prima serie di aviorimesse è eseguito, questa volta con il solo ausilio di un leggerissimo ponteggio mobile. L’ingegnere, inoltre, sempre affiancato da Danusso, sperimenta variazioni nelle percentuali di armatura e calcestruzzo, arrivando a brevettare nell’aprile del 1943 una delle sue invenzioni più sensazionali, il “ferrocemento”. Il nuovo materiale è un inedito composto messo a punto nella costruzione di barche. Si realizza spalmando a mano un composto di cemento e sabbia direttamente su delle reti sagomate, presentandosi, in questo modo, omogeneo, elastico e molto resistente. E’ adatto alla realizzazione di solette sottili, che sfruttano la resistenza per forma, con il vantaggio di non richiedere la cassaforma. Durante la guerra Nervi chiude l’impresa Nervi

e Bartoli per non collaborare con i nazisti, ma quando può ricominciare a costruire liberamente mette insieme i due espedienti escogitati durante l’autarchia: la prefabbricazione strutturale e il ferrocemento, facendo nascere il cosiddetto “Sistema Nervi”, una vera rivoluzione nel modo di costruire. Finita la guerra, verificherà con Danusso, nel suo laboratorio, il comportamento del nuovo materiale nelle coperture di grandi strutture. Un’altra invenzione per risolvere il problema delle costose centine di legno è il sistema Tubo-giunto di Fernando Innocenti. La prima centina in elementi tubolari in acciaio, progettata e costruita dalla ditta Innocenti di Milano è realizzata nell’agosto 1935, per la costruzione dell’arco in cemento armato, di 50 metri di luce, del ponte sul torrente Orba. La centina sorprende per la resa statica, per la notevole rapidità di allestimento e per la convenienza dal punto di vista economico, rispetto alla tradizionale carpenteria lignea. Nel 1934 è brevettato il giunto Innocenti che ricalca il modello dei morsetti inglesi e americani, permettendo anche il bloccaggio per attrito di due tubi ortogonali. Alla fine degli anni Trenta

Fig. c. Aviorimessa Orbetello, Pier Luigi Nervi, 1940

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il tubo-giunto è di normale impiego in Italia nei cantieri edili, dilagando negli anni Cinquanta e sarà complice della realizzazione “artigianale” delle opere dell’Autostrada del Sole e di molti capolavori dell’ingegneria italiana degli anni Sessanta. La seconda linea sperimentale, nata nel periodo autarchico, fa leva sulla tecnica della precompressione, come strumento per risparmiare ferro aumentando l’efficienza statica della struttura. Il ruolo del ferro cambia: non è più impiegato per resistere a trazione, ma per precomprimere il calcestruzzo, in modo tale che questo possa resistere da solo, o quasi, agli sforzi flessionali. La coazione tra i due materiali permette di aggirare il problema delle grandi luci. L’approccio di Colonnetti, Zorzi e Morandi si basa sulla fiducia assoluta nella scienza: la struttura è generata sulla carta attraverso procedimenti scientifici di tipo analitico. La scienza, dunque, può migliorare le qualità naturali del materiale. Nel 1944 anche Morandi brevetta il suo sistema di precompressione che, basandosi sulla teoria delle coazioni di Colonnetti, sfrutta la pretensione delle armature per dilatazione termica, con l’utilizzo di corrente elettrica a basso voltaggio. Il sistema non verrà mai utilizzato, ma è indice della volontà di crescere e sperimentare dell’ingegneria italiana. Dopo la liberazione di Roma, nel dicembre del 1944, per ordine del Governo provvisorio, Colonnetti rientra in patria per assumere il ruolo di presidente del CNR e riorganizzare la ricostruzione. Le due urgenze sono la ricostruzione abitativa, che avrà una fiorente attività tra il 1949 e il 1963 con il Piano Fanfani e quella infrastrutturale, soprattutto dell’Italia centrale, che diventerà una fucina di sperimentazione ingegneristica. 16

Le due strade dell’ingegneria italiana sono le stesse che, anche nel resto del mondo, segnano il rilancio delle strutture in cemento armato nel dopoguerra; l’ingegneria italiana, quindi, mantiene ancora un ruolo rilevante a livello internazionale. Tutte le ingegnerie moderne hanno le radici nel positivismo ottocentesco, secondo il quale la razionalità si basa sull’applicazione scientifica; le grandi strutture, quindi, sono il simbolo del progresso, poiché lo rappresentano non come un’aspirazione ma come piena realizzazione.

1946-1954: Gli anni della ricostruzione del dopoguerra Siamo ormai lontani dall’autocelebrazione della propaganda fascista; l’apprezzamento per il made in Italy entra nei cataloghi di quattro grandi mostre internazionali, dedicate alle grandi strutture, che hanno scandito la seconda metà del Novecento con intervalli regolari di circa quindici anni. Nel Novembre 1949, all’esposizione di Parigi per il centenario del cemento armato, sono ancora poche le opere italiane presentate. Compare solo il Salone B di Torino di Pier Luigi Nervi che, inaugurato circa un anno prima, già era considerato un classico da affiancare ai ponti di Maillart, Freyssinet e Hennebique. E’ caratterizzato da una volta a botte di oltre 90 m di luce, costruita saldando in sito piccoli “conci d’onda” in ferrocemento dello spessore di soli tre centimetri, prefabbricati manualmente a piè d’opera, con rapidità ed economicità straordinarie.

punto di riferimento europeo per la sperimentazione di dighe. Danusso condurrà ricerche sperimentali anche su altre strutture complesse, come i due grattacieli milanesi: il Pirelli, che progetta con Nervi, e la Torre Velasca, con il gruppo BBPR (acronimo che indica il gruppo di architetti italiani costituito nel 1932 da Banfi, Barbiano di Belgiojoso, Peressutti, Rogers). L’arco in cemento armato ordinario è il protagonista indiscusso della ricostruzione post bellica. Dal 1949 a Roma si apre un centro studi sui Ponti, capeggiato da Aristide Giannelli, che prima della guerra aveva tentato di competere con Danusso con un suo laboratorio sperimentale. Nello studio romano lavora anche Giulio Ceradini, soprattutto sulla tipologia di ponte in cemento armato ordinario ad arco, di “tipo Maillart”, a volta sottile e impalcato irrigidente, che sarà diffusamente utilizzato nell’Italia centrale. Soprattutto nel tratto appenninico dell’Autostrada del Sole sono stati progettati e costruiti alcuni degli esempi di ponti di maggior rilievo dell’ingegneria italiana del periodo: il viadotto sull’Aglio di Oberti, il Poggettone e Pecora Vecchia di Carè e Giannelli, i ponti sul Merizzano e sul Gambellato di Krall, quello sul Sambro di Morandi.

E’ questo il periodo più fiorente dell’ingegneria italiana, grazie alla collaborazione di due intere generazioni di teorici e progettisti, capitanate dai maestri Danusso e Colonnetti e affiancate dagli allievi Levi, Giulio Pizzetti (1915-1990), Guido Oberti (1907-2003), Ceradini; i progettisti, Giulio Krall (1901-1971), Nervi, Morandi, Carlo Cestelli Guidi (1906-1995) inseguiti da vicino dai più giovani Zorzi, Musmeci, Carè e Giannelli, Nel 1951, Danusso fonda l’”Istituto sperimen- Galli e Franciosi. tale modelli e strutture” (ISMES), il laboratorio Gli esperimenti sulle strutture resistenti per


forma e sulla precompressione sfociano nei cantieri della ricostruzione postbellica, in particolare dei ponti distrutti dai bombardamenti. I costi iniziali della ricostruzione sono finanziati in maniera consistente dalle Nazioni Unite e dagli Stati Uniti. Per aiutare la riparazione dei danni di guerra italiani nel 1948 interviene il Piano Marshall; le operazioni più urgenti sono, infatti, realizzate dalle truppe anglo-americane con la collaborazione delle maestranze italiane, usando spesso delle soluzioni inusuali. Negli anni successivi si procede con la definitiva ricostruzione dei ponti ferroviari, stradali e urbani. Nel frattempo si accende un vivo dibattito sulla ricostruzione dei ponti urbani: per ognuno di essi ci si domanda se ricostruire il precedente o se farne uno nuovo; quando si sceglie quest’ultima ipotesi, il tema è ancora quello dell’arco, molto ribassato, con comportamento ibrido fra trave e arco. Superata l’emergenza iniziale, gli investi-

menti per lo sviluppo stradale danno la priorità 1955 - 1963: ad alcuni tratti paesaggistici per riavviare il tu- Gli anni del boom economico rismo. Completata la fase di ricostruzione delle urgenNella ricostruzione la strategia delle strut- ze, dalla metà degli anni Cinquanta e in partiture resistenti per forma trova pieno sviluppo. colare con Giovanni Gronchi alla presidenza I magazzini industriali a copertura parabolica della Repubblica (1955-62), s’inizia a investire trovano il loro terreno fertile. Soprattutto la So- nelle opere edilizie e infrastrutturali. Tra le magcietà Montecatini adotta una potente politica giori opere costruite in tale periodo, troviamo economica espansionistica delle sue fabbriche l’Autostrada del Sole, gli impianti sportivi per e dei suoi depositi, nei luoghi più strategici le Olimpiadi invernali di Cortina d’Ampezzo del territorio italiano. La tipologia strutturale è del 1956 e per quelle estive di Roma del 1960, pressoché uguale per tutti i manufatti. Emerge l’Aeroporto Internazionale di Roma a Fiumicino, l’artigianalità della costruzione, ancora esclusi- i padiglioni per le celebrazioni del Centenario vamente forgiata a mano direttamente in can- dell’Unità d’Italia a Torino nel 1961. tiere. Il 21 Maggio del 1955 Gronchi firma la legge 463, che descrive le norme per la realizzazione dell’ambizioso piano di collegamenti autostradali per potenziare il trasporto automobilistico privato, firmato da Romita, al tempo ministro dei Lavori Pubblici. L’opera è realizzata dalla Società Concessioni e Costruzioni Autostrade, istituita dall’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale); la progettazione esecutiva è affidata all’Italstrade; per l’appalto dell’esecuzione di ciascun lotto, di pochi chilometri ciascuno, si bandiscono concorsi, che spesso ridisegnano completamente il progetto dell’opera, rendendo caratteristici e non standardizzati i ponti e i viadotti, che hanno come unica nota comune, richiesta dalla commitenza, l’uso del cemento armato. La scelta politica del piano per contrastare la disoccupazione invita a diminuire, o spesso addirittura vieta, la meccanizzazione, a favore dell’assunzione del maggior numero di manodopera, anche non specializzata, presa dal settore industriale o agricolo. Queste strutture descrivono la creatività ingegneristica; rappresentano il risultato della ricerca, condotta in Ita-

Fig. d. Fabbricato di testa della stazione Termini, Roma, Montuori, 1950

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lia dagli anni della guerra, sul cemento armato sia ordinario che precompresso (su 400 ponti solo due furono realizzati in acciaio, per obblighi ambientali). I ponti in cemento armato ordinario, di maggiore luce ed eleganza, furono utilizzati per integrarsi nella natura delle grandi valli appenniniche; quelli con sistema precompresso per gli attraversamenti dei fiumi più prestigiosi (il Po, l’Arno e il Tevere) e progettati, fra gli altri, da Zorzi, Morandi, Cestelli Guidi e Levi. L’autostrada, terminata nel 1964, è subito riconosciuta come la “più bella del mondo”, contribuendo all’inserimento dell’ingegneria italiana nel panorama mondiale.

viene tra il 1957 e il 1962, proprio con la costruzione dei suoi quattro capolavori per le Olimpiadi. Le superfici delle opere per le Olimpiadi, nonostante siano ricche e articolate, hanno la caratteristica comune di riprodurre fedelmente il flusso delle tensioni all’interno della struttura. Sfruttando la natura del cemento armato di nascere come pietra liquida, la forma segue l’andamento delle sollecitazioni, rimarcando la sincerità strutturale, tipica della tradizione ingegneristica moderna. Nonostante la dimensione, la costruzione delle articolate strutture si svolge manualmente da operai artigiani.

Contemporaneamente alla costruzione della rete autostradale, tra il 1955 e il 1960, Roma si prepara ad accogliere le XVII Olimpiadi estive. Nei cinque anni a diposizione, si rinnovano strutture esistenti e se ne costruiscono di nuove: il Velodromo, lo stadio del Nuoto (Musmeci e Morandi), lo stadio Flaminio, il Palazzo e il Palazzetto dello Sport (Nervi), il viadotto di Corso Francia (Nervi), la circonvallazione che porta allo Stadio Olimpico (Morandi), il tratto della via Olimpica che attraversa il Tevere nei pressi di Tor di Quinto (Cestelli Guidi). Gran parte degli ingegneri italiani è occupata nella realizzazione dei viadotti dell’Autostrada del Sole. Così quasi tutte le opere sono affidate a Nervi, soprattutto per la velocità di realizzazione e per i bassi costi di costruzione, perseguibili grazie al suo Sistema. Per Nervi è un periodo di grande fama nazionale e internazionale, soprattutto dopo la realizzazione del Salone dell’automobile di Torino. Si pubblicano numerose e autorevoli monografie sulle sue opere e gli conferiscono lauree honoris causa nelle più prestigiose università. Tuttavia, la consacrazione tra i maestri dell’ingegneria del Novecento av-

L’alloggio per gli atleti è previsto a Flaminio, zona ancora inedificata e vicina alle strutture del Foro Italico. Lo stadio Olimpico è ampliato e dotato di piscine. Si realizzano il Palazzetto dello Sport e lo stadio Flaminio. Il Palazzetto dello Sport, di Nervi, è la prima struttura per le Olimpiadi ad essere completata. Celebrato su tutte le riviste tecniche e architettoniche del mondo, nasce come un prototipo da realizzare in varie città d’Italia. Si tratta di una cupola ribassata, a pianta circolare di 60 m di diametro; il campo è circondato da gradonate crescenti; la calotta di copertura, liscia all’esterno, all’interno è un ricamo di nervature incrociate. La realizzazione della copertura prevede l’utilizzo di elementi prefabbricati secondo il Sistema Nervi: sono “tavelloni” romboidali di tredici tipi diversi, di ferrocemento, di 2,5 cm di spessore, realizzati a piè d’opera e poi montati su ponteggi di tubi Innocenti. In soli due anni, dal 1957 al 1959, è realizzato lo Stadio Flaminio, prendendo come esempio l’ingombro dello stadio di Torino (demolito perché fatiscente). E’ scandito all’esterno dalla ripetizione dei telai delle gradonate, sulle quali

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spicca la snella pensilina dal profilo corrugato. Il Palazzo dello Sport all’EUR è l’edificio più grande realizzato per le Olimpiadi. I prospetti lasciano trasparire gli spazi interni. L’interno della cupola è increspato da 144 onde di ferrocemento; la spinta è convogliata sui pilastri inclinati. Anche in questo caso l’esecuzione dei lavori è affidata alla Nervi e Bartoli; le altre imprese non erano in grado di realizzare i lavori rispettando i costi preventivati e i tempi. L’opera si realizza in poco più di un anno. Il viadotto di Corso Francia è affidato a Nervi nel maggio del 1959, contando sulla sua capacità di costruttore e sulla rapidità della sua impresa costruttiva. Progettato insieme agli autori del Villaggio Olimpico, diviene una sorta di passeggiata coperta integrata con il quartiere. Tra le opere realizzate per le Olimpiadi vi sono anche il ponte della via Olimpica che supera Corso Francia e il Terminal dell’aeroporto di Fiumicino, entrambi di Morandi. Fin dagli anni Trenta emerge la propensione del progettista a ridisegnare le strutture convenzionali in cemento armato con una maggiore leggerezza ed essenzialità, grazie anche all’impiego della precompressione; negli anni Cinquanta arriva all’invenzione del cavalletto strallato omogeneizzato. Anche Morandi utilizza la prefabbricazione, ma in un modo completamente diverso: gli elementi prefabbricati si combinano grazie a cavi e sistemi di ancoraggio, entrando in coazione; la scomposizione si deve vedere e gli elementi devono essere riconoscibili. Nel frattempo, cominciano i preparativi per la celebrazione, nell’anno successivo, 1961, del centenario dell’Unità d’Italia a Torino; sarà l’evento che celebrerà l’ingegneria italiana, svolgendosi in una serie di opere caratterizzate più dalla soluzione strutturale che da quella ar-


chitettonica. Sembra evidente che gli ingegneri siano ormai chiamati a progettare strutture capaci di attirare l’attenzione internazionale. Molti di questi edifici risultano purtroppo abbandonati dalla fine delle celebrazioni e ad oggi sono ancora dei problemi da risolvere. Il 4 luglio 1959 Nervi vince il concorso per la costruzione del palazzo dell’Esposizione Internazionale del Lavoro di Torino, in occasione del Centenario dell’Unità d’Italia. L’edificio fu realizzato in meno di un anno. L’ingegnere scelse per la copertura gli ombrelli d’acciaio di Covre, costruiti dalla ditta Antonio Badoni di Lecco. Vicino a questo si erge il Palazzo delle Mostre, con una copertura in cemento armato precompresso, a vela appoggiata su tre punti, opera di Levi. Morandi invece realizzerà le travi precompresse della monorotaia sopraelevata che collega gli impianti sportivi.

Fig. e. Viadotto sull’Aglio (Piacenza), 1960

1964 - 2000: scelta dello Stato di prendersene completaGli anni dell’austerity; la diffusione della pre- mente carico, senza concessioni esterne, affifabbricazione industriale. dando la gestione all’ANAS. Salvatore Ruiz, il principale progettista, impiega circa quattro Nel 1964, alla mostra “Twentieth Century En- anni per sceglierne il percorso; mentre i prezzi gineering” al Moma (Museum of Modern Art) aumentano, rallentano i finanziamenti e si acdi New York le opere italiane esposte preval- cumula ritardo nell’esecuzione dell’opera, nogono nettamente su quelle degli altri paesi eu- nostante l’introduzione della meccanizzazione. ropei presenti, sia per quantità che per qualità; L’investimento in nuove attrezzature da cantiere questo nonostante l’Italia fosse ancora legata riduce la quantità di manodopera, non più dialle costruzioni in cemento armato ordinario o sposta a lavorare a basso costo, e con essa si precompresso, rispetto all’estero già caratteriz- va perdendo l’identità italiana del costruire “arzato da uno scenario pioneristico di sperimen- tigianale”, che aveva caratterizzato gli anni del tazioni tecniche sulle coperture pneumatiche e dopoguerra. Solo poche opere rimangono imsulle tensostrutture. Furono esposti i capolavori muni da questo declino qualitativo, tra cui il vidi Nervi dei periodi pre e post bellici, conosciuti adotto Italia sul fiume Lao, il più alto del Paese grazie alla traduzione delle sue monografie in e in cemento armato precompresso (nel ’64 afaltre lingue, e le opere di Morandi: le strutture fidato al gruppo di Cestelli Guidi e de Miranda progettate per le Olimpiadi di Roma nel 1960 e nel ’69 costruito dalla ditta Lodigiani e dalla e per le celebrazioni del Centenario dell’Unità Badoni) e alcuni ponti di Zorzi. d’Italia a Torino nel 1961; i ponti di Arrigo Carè, L’episodio scatenante, che presagiva l’inizio di Giorgio Giannelli, Carlo Cestelli Guidi, Giacinto un’involuzione del successo dell’ingegneria Turazza per l’Autostrada del Sole, inaugurata italiana, fu la frana del monte Toc nel 1963. La un mese dopo la fine della mostra; le opere di tragedia si ripercuote sulla diga del Vajont, della Zorzi. E’ il periodo di massimo splendore delle lunghezza record di 265 metri, terminata solo opere ingegneristiche italiane, dopo il quale due anni prima. La struttura, che era stata testata purtroppo iniziò un lento declino. sia prima, attraverso tre modelli a scala diversa, Il 1964 sancisce, al contempo, l’inizio di una sia in corso d’opera, ha resistito al collasso, ma lenta inversione in campo economico, dovuto probabilmente ne è stata la causa. all’affacciarsi di dissidi politici e sociali, che inevitabilmente si ripercuotono sull’edilizia. Ne L’Italia cerca di adeguarsi all’avanzamento del sono testimonianza i ritardi e i cambi di pro- progresso, già in atto negli altri paesi europei, getto di alcune importanti opere pubbliche. introducendo gli elaboratori elettronici per il I lavori della Metro A di Roma e del ponte sul calcolo delle strutture e istituendo corsi di stuTevere di Zorzi e Morandi dall’appalto del 1960 dio mirati. Purtroppo la tecnologia porta alla sono terminati solo nel 1977. La costruzione perdita di prestigio di quell’ingegneria italiana dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, ini- cara al lavoro artigiano manifatturiero. ziata nel 1962 sotto il Ministro Fanfani, ad oggi L’abbassamento della qualità, dovuta appunto è ancora in fase di completamento. Una delle alla diminuzione dell’artigianalità della manocause principali dell’incompiutezza è forse la dopera, si evince anche nella costruzione delle 19


strutture industriali, sempre meno numerose e sempre più caratterizzate da elementi precompressi. Gli stessi paraboloidi perdono la bellezza dell’oggetto fatto a mano, per seguire la strada dell’omologazione e della standardizzazione. Musmeci segnerà la fine della fase aulica dell’ingegneria italiana con il ponte sul Basento a Potenza, la cui progettazione si avvia nel ’67, e che diventerà il simbolo della ricerca sulla forma perfetta della linea della “resistenza per forma”. L’ingegnere, partendo dalle ricerche che si stavano conducendo in Europa, tenta di ricavare matematicamente la forma ottimale del ponte, partendo dalla posizione dei vincoli e delle sollecitazioni desiderate. Dal tentativo di ricavare la forma minima resistente, ne deriverà la forma più originale e affascinante dell’ingegneria nazionale, una vera e propria scultura plastica, forgiata artigianalmente dalla manodopera, dimensionata con il modello all’ISMES e realizzata ancora in cemento armato, solo in parte

precompresso, lasciato a vista. La difficoltà di realizzazione in cantiere di forme molto articolate, comporta un ritardo nei tempi di costruzione e un notevole aumento dei costi. Le cause del declino sono ancora poco chiare. Sicuramente ha fortemente influito la perdita di quell’identità tipicamente italiana del costruire “a mano”, che Sergio Poretti ha definito, citando P.P. Pasolini, “la scomparsa delle lucciole”. (cit. Poretti S., Iori T., Sixxi. Storia dell’ingegneria strutturale in Italia, n. 3). Il cantiere tradizionale lascia il posto ad officine di prefabbricazione e l’operaio/artigiano alla macchina; l’impiego della manodopera viene ridotto, a causa del costo sempre maggiore e dell’obiettivo di migliorare la produttività e la rapidità costruttiva. Di conseguenza le tipologie costruttive ardite, come il ponte ad arco, scompaiono e si diffonde il viadotto standardizzato a pile alte e travate. L’università diventa di massa; i percorsi didattici sono riformulati per soddisfare le esigen-

Fig. f. Viadotto Italia, Fiume Lao, Cestelli Guidi, de Miranda, 1964

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ze di specializzazione dell’industria. Anche l’introduzione del computer influisce, stravolgendo l’attività quotidiana del progettista e la sua formazione accademica. L’aggiornamento della normativa nazionale sugli appalti e le deroghe all’applicazione delle leggi sono terreno fertile per corruzione e criminalità, a discapito della trasparenza della competitività tra imprese; aumenta così la quantità di opere incompiute di cui è difficile dimostrare l’utilità. Nonostante lo scenario in declino dell’ingegneria italiana degli ultimi decenni, che abbiamo descritto, vi sono stati degli episodi isolati di ingegneri che cercarono di recuperare il prestigio della Scuola. Tra questi emerge la figura di Silvano Zorzi, per il quale, entrando nell’ottica dei cambiamenti in atto, bisogna accettare la scomparsa dell’arco, senza rassegnarsi alla spersonalizzazione dell’opera strutturale. Nei suoi progetti si concentra sul disegno dei singoli elementi strutturali, realizzando strutture minimali dai profili eleganti. La sua opera più bella


e quasi sconosciuta è il ponte di Pinzano sul Tagliamento, un portale a tre cerniere di 163 metri di luce, gettato senza centine. Nell’immagine dei viadotti anonimi e standardizzati della Salerno-Reggio Calabria si legge chiaramente il declino della scuola italiana, ma con due eccezioni: il viadotto Italia sul fiume Lao (CS) e il viadotto sulla fiumara dello Sfalassà (noto anche come Ponte di Bagnara), nei pressi di Bagnara Calabra, che trovano, entrambi, una nuova identità nel felice inserimento di gigantesche travi di acciaio tra le campate in precompresso. Anche in questo scenario, continuano a coesistere le due strade che hanno sancito lo sviluppo dell’ingegneria italiana del Novecento: alcuni ingegneri continuano a cercare soluzioni di resistenza per forma; altri usano il cemento armato precompresso, che resiste molto meglio a trazione. La ricerca del minimo strutturale è tornata, negli ultimi due decenni, al centro dell’attenzione dei progettisti, grazie allo sviluppo del digitale. Per fare ciò non è bastato solo lo sviluppo dei processori, ma anche delle teorie complesse. Per ottimizzare la sezione, infatti, si ricorre ad algoritmi evolutivi, derivati dalla biologia e dalla tecnica darwiniana, imitando i passaggi genetici che hanno condotto all’evoluzione delle strutture presenti in natura. Uno dei protagonisti di questo rilancio è Mutsuro Sasaki. Tuttavia spesso il risultato di queste ricerche conduce a forme libere che si scontrano con le difficoltà costruttive e con gli alti costi. Su un altro fronte il principio di minimo è reinterpretato come ottimizzazione della forma invece che della struttura. È la strada in cui l’ingegneria rientra a stretto contatto con l’architettura; l’aspetto strutturale è messo in secondo piano, mentre in primo piano c’è il rapporto tra la forma e la sua costruibilità. 21


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BIBLIOGRAFIA E ICONOGRAFIA

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BIBLIOGRAFIA Poretti S., Iori T., Sixxi. Storia dell’ingegneria strutturale in Italia, n. 1, Roma, Gangemi Editore, 2014 Poretti S., Iori T., Sixxi. Storia dell’ingegneria strutturale in Italia, n. 2, Roma, Gangemi Editore, 2015 Poretti S., Iori T., Sixxi. Storia dell’ingegneria strutturale in Italia, n. 3, Roma, Gangemi Editore, 2015 Poretti S., Iori T., Rassegna di architettura e urbanistica. Ingegneria italiana, Anno XLI, n. 121-122, Edizioni Kappa, 2007 Poretti S., Iori T., Rassegna di architettura e urbanistica. Ingegneria oggi, Anno XLVI, n. 137-138, Edizioni Kappa, 2012 Poretti S., Iori T., Rassegna di architettura e urbanistica. La scuola italiana di ingegneria, Anno LI, n. 148, Editore Quodlibet, Gennaio-Aprile 2016 Modica M. , Santarella F., Paraboloidi. Un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna, Firenze, EDIFIR, 2014 Gizzi S., Editoriale. Il restauro del moderno. Intervista a Giorgio Ciucci, Confronti. Il restauro del moderno, in Quaderni di restauro architettonico n. 1, Artem, Napoli, 2012

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ICONOGRAFIA Immagine presentazione introduzione: http://costruirecorrettamente.org/site/chi-e-pier-luigi-nervi/index.php?doc_id=76 Fig. a. https://structurae.info/ouvrages/pont-du-risorgimento Fig. b. http://www.epdlp.com/edificio.php?id=564 Fig. c. http://areeweb.polito.it/didattica/01CMD/catalog/026/1/html/ind.htm Fig. d. http://www.wordPress.com Fig. e. Poretti S., Iori T., Sixxi. Storia dell’ingegneria strutturale in Italian, n° 3, Roma, Gangemi Editore, 2015, pag. X Fig. f. http://www.famedisud.it/racconta-il-tuo-sud-il-coraggio-di-una-donna-dietro-la-storia-di-laino-castello-testo-di-roberta-de-luca/

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1 . S T R U T T U R E R E S I S T E N T I P E R F O R M A : L E PA R A B O L E 27


1.RESISTENZA PER FORMA

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La visione dell’elemento architettonico come fusione di forma e struttura è un concetto molto presente in epoca moderna. I progettisti moderni indagano la statica, studiano le strutture e, allo stesso tempo, prestano attenzione al risultano formale. Tuttavia, anche in altre epoche storiche si trovano degli edifici che riassumono la coincidenza tra forma e struttura; nel periodo gotico, ad esempio, questa corrispondenza è dovuta al contempo a motivazioni sprituali e scientifiche. Uno dei primi architetti- ingegneri che affrontò lo studio della resistenza per forma fu Brunelleschi, durante il progetto della cupola di Santa Maria del Fiore. Brunelleschi, infatti, intraprese il cammino verso un metodo di progettazione più rigoroso, in cui si cerca di unificare la figura dell’ideatore, del tecnico e del costruttore. Brunelleschi cominciò una riflessione matematica su ciò che veniva chiamato “metrica” romanica e gotica, andando alla ricerca di un ordine, una logica e una legge che potessero diventare le basi di un metodo del progetto di architettura. Costruendo la cupola di Santa Maria del Fiore, Brunelleschi affrontò il problema di tutte le cupole: fino al posizionamento della pietra finale, la tendenza della costruzione è di crollare verso l’interno. Invece di utilizzare centine, decise di usare la tecnica detta “di giro in giro”, che consiste nell’attesa dell’asciugatura della malta di un corso di muratura prima di iniziare il successivo; raggiunta una certa quota fece disporre i mattoni a spina di pesce, facendoli fuoriuscire dai corsi orizzontali, e, interrompendoli, li suddivise in piccole sezioni rendendoli analoghi a piccoli archi orizzontali capaci di resistere alla

gravità. La realizzazione di uno scheletro circolare, posto tra le due calotte della cupola, su cui si conforma la struttura ottagonale della stessa, permette di ottenere una struttura autoportante evitando l’utilizzo delle centine [1]. Gli ingegneri dell’Ottocento, invece, non prestano attenzione al risultato estetico del progetto, ma si preoccupano principalmente di ottenere la massima prestazione dei nuovi materiali, agendo nel cosiddetto “razionalismo costruttivo”. Costruendo strutture a luce sempre più ampia, edifici sempre più alti, elementi sempre più esili, si è venuto a creare un nuovo linguaggio attraverso un progressivo affinamento delle soluzioni, in cui il ruolo dell’intuizione ingegneristica è stato in primo piano. Tale ruolo si è imposto per mezzo di una serie di costruzioni (ponti, ferrovie, fabbriche) la cui valenza principale non era tanto l’aspetto esteriore, quanto la funzionalità dell’insieme, il corretto impiego dei materiali, l’economicità statica e costruttiva e l’uso di tecniche realizzative di tipo industriale. Gaudì (1852-1926), invece, elimina il dualismo tra elementi portanti ed elementi portati e supera i sistemi intelaiati e quelli delle volte, raggiungendo una continuità organica attraverso l’uso della pietra, dei mattoni e dell’arco parabolico. Anche in epoca moderna e contemporanea vi sono figure di architetti e ingegneri che progettano cercando l’unione tra forma e struttura, tra estetica e tecnica.

[1] Lenci S. , Consolini L., Percorsi per un metodo progettuale tra forma e struttura

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Le motivazioni che hanno spinto gli architetti moderni in queste ricerche, dipendono dal pe riodo di attività, dalle tecnologie a disposizione e dalle commissioni. I progettisti degli anni Cinquanta e Sessanta erano spinti dall’avvento del cemento armato e dalla tecnica della precompressione. Pier Luigi Nervi (1891-1979) Nervi concepisce la tecnica costruttiva come linguaggio per esprimere l’idea di architettura, riuscendo a trovare armonia tra statica, funzionalità, economia e forma estetica. Occorre pertanto riunire le tre mentalità: quella pratica (il costruttore), quella analitica (l’ingegnere) e quella creativa ed estetica (l’architetto). Nell’opera di Nervi le forme sono una conseguenza della sostanza determinata dalle leggi statiche e permettono di capire le forze nello spazio; egli crea delle strutture in cui si percepisce un equilibrio rassicurante, simmetrico e statico. Riccardo Morandi (1902-1989)

Felix Candela (1910-1997) La sua opera è strettamente unita alla ricerca strutturale e ad una tendenza, tipica del dopoguerra, che si propone di arricchire l’architettura grazie all’adozione di forme complesse derivate da considerazioni strutturali. Le coperture leggere in calcestruzzo armato a forma di ombrelli spigolosi o di superfici sinuose resero Candela il simbolo dell’architettura messicana del 20º secolo. Sergio Musmeci (1926-1981) La sua operazione progettuale fondamentale è l’introduzione di un ragionamento che cerchi la forma migliore per veicolare le forze, da cui discende tutta la sua ricerca sulle forme minimali, cioè quelle forme che assolvono al loro compito strutturale impiegando la minima quantità di materia, rivelando i flussi delle forze che le attraversano. “La forma è l’incognita, non le tensioni”, così Musmeci indica la strada che deve percorrere il progettista [2].

Ha sempre avuto una convinta ostilità nei riguardi del superfluo derivante da concezioni progettuali strettamente formali, ma anche un convinto rifiuto di correnti troppo tecniche completamente disinteressate al ruolo della forma nel progetto. Morandi punta sullo squilibrio e sul rischio, realizzando strutture piene di drammaticità, vale a dire con conformazioni che potrebbero assume poco prima di un meccanismo di rottura. [2] Musmeci S., Le tensioni non sono incognite

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Fig. 1.1. Salone B, Pier Luigi Nervi, Torino 1957

Fig. 1.2. Ponte General Rafael Urdaneta, Riccardo Morandi, Maracaibo 1957

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Fig. 1.3. Fabbrica Rum Bacardi, Felix Candela, Cuautitlan, Messico 1960

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Fig. 1.4. Ponte sul Basento, Sergio Musmeci, Potenza, Italia 1974

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2 . S T U D I O M AT E M AT I C O

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2.1 LA RICERCA DELL’ ARCO OTTIMALE

Nel caso degli archi, la funicolare dei carichi, con concavità rivolta verso il basso, diventa la risultante delle successive forze di compressione (invece che di trazione) e viene solitamente indicata come “curva delle pressioni”. Il primo ad intuire che l’equilibrio degli archi in muratura (compressi) poteva essere studiato analizzando sistemi rovesciati di catene (tesi), sottoposti ad analoghi carichi, fu R. Hooke nel 1675. Seguirono molti studi su questo concetto di verifica degli archi spingenti.

In fase progettuale si pone il problema della ricerca della configurazione ottimale: una volta definiti gli obiettivi che si vogliono perseguire, le quantità e le limitazioni alle possibili soluzioni, si procede con la creazione di un modello della struttura e delle condizioni di carico e si controllano le soluzioni in base ai criteri precedentemente fissati. Si è dibattuto a lungo sulla forma ottimale che possa assumere un arco, riducendo le spinte della struttura e ottimizzando le prestazioni del Si chiamano strutture funicolari quelle strutture materiale. che sono interamente tese o compresse e che si I romani utilizzavano l’arco a tutto sesto che, comportano come funi sospese e caricate. essendo molto spingente, necessita imponenti dimensioni delle colonne di sostegno; gli archi inflessi, utilizzati dalle popolazioni arabe, furono un primo sviluppo, seguito dall’arco a sesto acuto gotico, in cui le ridotte spinte orizzontali permettevano il raggiungimento di altezze superiori. L’arco parabolico è detto anche arco “equilibrato” in quanto la sua forma consente un’omogenea distribuzione dei carichi e non necessita di contrafforti o di altri elementi di supporto.

Fig. 1.5. Ribaltamento delle catenarie e distribuzione del carico

La funicolare dei carichi è il luogo dei punti delle successive risultanti di un sistema di carichi complanari. Curva funicolare: configurazione assunta da una fune di lunghezza L e diametro ø, per un dato carico applicato, vincolata agli estremi. Le forze sviluppate nella fune cambiano in relazione alla sua altezza e lunghezza e all’entità e posizione dei carichi applicati. La forma della funicolare cambia in funzione della distribuzione del carico agente sulla struttura.

Fig. 1.6. Alcuni schemi di archi: a tutto sesto, ad arco inflesso, a sesto acuto, ellittico e parabolico

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2.2 CURVE CONICHE Sezionando un cono con un piano si ottengono delle curve definite coniche. A seconda del piano d’intersezione si possono ottenere tre curve: l’ellisse, l’iperbole e la parabola. In questo studio si parlerà dell’iperbole e della parabola, due curve che sono state utilizzate spesso per particolari soluzioni architettoniche, tra cui l’oggetto di studio di questo lavoro. 2.2.1 IPERBOLE L’iperbole è una curva conica ed è il luogo dei punti del piano per i quali è costante la differenza delle distanze da due punti fissi, F1 e F2, definiti fuochi. L’equazione dell’iperbole con i fuochi sull’asse delle ascisse è:

x2 - y2 = 1 a2 b2

Negli anni Venti le opere come i ponti, i viadotti e i capannoni industriali erano considerate “neutrali” da un punto di vista architettonico, prive quindi di personalità architettonica; divennero, quindi, le opere pioneristiche attraverso le quali si sperimentò il nuovo materiale: il cemento armato. Con questo conglomerato si potevano realiz- Fig. 1.7. Cooling Tower (1974), Atelier Frei Otto Warmbronn zare paraboloidi e iperboloidi, come gli hangar di Orly di Freyssinet (1916), il Silos della Società Solvay a San Carlo di Nervi (1927), le torri di refrigerazione iperboliche a Chivaux (1930), e il padiglione dell’industria del cemento all’esposizione di Zurigo di Maillart (1934). 36


Si tratta di soluzioni di incredibile intuizione matematica: la forma è generata da una parabola (generatrice) che trasla lungo una retta (direttrice), nel caso dei capannoni a copertura parabolica, o di un’iperbole che ruotata attorno ad un asse, nel caso delle torri di di refrigerazione.

d’incontro con l’asse delle ordinate, ha pendenza b. Se b = 0 il vertice della parabola appartiene all’asse y, quindi l’asse di simmetria della parabola coincide con l’asse delle ordinate. Il coefficiente b è legato alla posizione dell’asse.

2.3 PARABOLA

Il coefficiente c determina il punto di intersezione della parabola con l’asse delle ordinate. Anche la parabola fa parte della famiglia di Se c = 0 la parabola passa per l’origine degli curve dette coniche, ovvero curve ottenute assi. come sezione tra un cono e un piano che non passa per il vertice del cono stesso. La parabola è il luogo dei punti del piano equidistanti da un punto fisso F, detto fuoco, e da una retta fissa d, detta direttrice. Quindi il punto P appartiene alla parabola se, e solo se, PF = PH. La parabola è una curva aperta simmetrica rispetto ad un asse, i cui rami si estendono all’infinito. La sua equazione è:

y = ax2 + bx + c

Il segno del coefficiente a determina la concavità della parabola: a > 0 concavità verso l’alto; a < 0 concavità verso il basso; a = 0 la parabola degenera in una retta. Il modulo del coefficiente a determina l’ampiezza della parabola (curvatura). Più il modulo è piccolo, più la parabola è ampia. Il coefficiente b determina la pendenza con cui la parabola interseca l’asse delle ordinate; quindi la retta tangente alla parabola nel punto

Fig. 1.8. I punti della parabola sono equidistanti dal fuoco e dalla direttrice

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2.3 CATENARIA [3] La catenaria, o curva funicolare, è la curva secondo cui si dispone una fune, ipotizzata omogenea, flessibile e non estendibile, appesa a due estremi e lasciata pendere, soggetta solo al peso proprio. Con questo sistema, il suo peso totale è distribuito omogeneamente. Il primo ad analizzare la catenaria fu Galileo nel 1638, il quale la scambiò per una parabola, non tanto in considerazione delle loro analogie (entrambe hanno un vertice, un asse di simmetria, sono continue e differenziabili ovunque), quanto in considerazione del moto di un proiettile. Il proiettile, in ogni istante del suo moto è sottoposto a due azioni: quella naturale che lo spinge verso il basso e l’altra “equabile” che ha la direzione del movimento; anche nella catenaria, secondo Galileo, ogni anello della catena è sottoposto alle medesime azioni. Nel caso della catena ogni anello è sottoposto alla forza peso e alla tensione che, diversamente da quanto succede nel moto del proiettile, è tangente la curva.

che l’altezza y deve essere media proporzionale tra le proiezioni x e p dei due cateti. Ne segue che, se Q è un nuovo punto, costruito il triangolo rettangolo OQT, il punto Q si trova sulla parabola se e solo se la proiezione di QT è uguale alla proiezione di PS (figura10 e 11, pagina seguente). Un altro modo per verificare se una curva è una parabola, è quello di trovare i punti medi di corde parallele: se essi sono allineati su una retta parallela all’asse di simmetria, allora ci si trova davanti ad una parabola (figura 12, pagina seguente). Nel 1690 Jacques Bernoulli, attraverso una rivista scientifica, sfidò i più grandi matematici del tempo a trovare l’equazione della curva-catena. La risposta fu data nell’anno successivo da Huygens, Leibniz e Bernoulli (Jean), i quali dimostrarono che la “catenaria”, così battezzata da Huygens, è una curva non algebrica. Nel 1699 Jungius dimostrò che la curva di una catena appesa, sotto la sola azione del peso proprio, non è una parabola.

Le curve della parabola e della catenaria sono molto simili vicino al vertice, ma diventano molto diverse se verificate attraverso esperimenti con materiali pesanti. Infatti nella catenaria la distribuzione del peso è uniforme per ogni lunghezza di arco; nei ponti sospesi, invece, dove i tiranti che sostengono il piano stradale sono Nella parabola i punti P = (x,y), con vertice appesi alla catena, la distribuzione del peso è nell’origine degli assi cartesiani e asse di sim- uniforme per unità orizzontale di lunghezza e la metria coincidente con l’asse delle ascisse, sono forma assunta dalla catena è una parabola. caratterizzati dalla relazione: y2= px. Quindi, se x è l’ascissa di un punto P della pa- L’equazione della catenaria è: rabola, allora, costruito il triangolo rettangolo OPS rettangolo in P, la proiezione del cateto PS y = a (ex/a + e-x/a) = a cosh x sull’ipotenusa è costantemente uguale a p, dato 2 2 a In un confronto tra parabola e catenaria si trovano delle analogie: entrambe hanno un asse di simmetria e un vertice; ma se si assegna un punto nel piano, vi sarà una sola parabola passante per quel punto, avente quel vertice e quell’asse.

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Fig. 1.9. Rapporto tra fune e arco funicolar


Fig. 1.10. Q si trova sulla parabola perché la proiezione di QT è uguale alla proiezione di PS.

Fig. 1.11. M non si trova sulla parabola perché la proiezione di ML è più piccola di p; per U invece la proiezione è più grande di p.

Fig. 1.13. Catenaria (curva continua) e parabola (curva tratteggiata). Immagine tratta da “Shell structures for architecture. Form Finding and Optimization”, Sigrid Adriaenssens, PhilippeBlock, Diederik Veenendaal, Chris Williams, ed. Routledge, Oxon 2014

Fig. 1.12. Se i punti medi delle corde sono allineati lungo una retta parallela all’asse di simmetria, allora la curva analizzata è una parabola. Disegni adattati, tratti da “Una non parabola: la catenaria con qualche cenno al calcolo della sua equazione”, di Franco Ghione

[3] Ghione F., Una non parabola: la catenaria, con qualche cenno al calcolo della sua equazione

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3 . A R C H I PA R A B O L I C I

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Tra le figure di rilievo, che hanno visto esaltare le potenzialità offerte dall’uso innovativo del cemento armato, vanno annoverati gli ingegneri Robert Maillart (1872-1940) ed Eugène Freyssinet (1879-1962). L’origine del cemento armato trova nelle applicazioni del brevetto Hennebique una rapida diffusione; esso viene utilizzato in particolare nelle opere di Robert Maillart che fu allievo di François Hennebique stesso. L’esecuzione nel 1939 della Cement Hall per l’Esposizione Nazionale Svizzera a Zurigo rappresenta uno dei primi tentativi di realizzazione di strutture a sezione estremamente ridotta. La struttura presenta una volta sottile con profilo parabolico realizzata con una sezione media di soli 6 cm, rinforzata da due costole poste all’estradosso, sempre in cemento armato, appoggiata a quattro esili pilastri. Con una luce libera di 16 m e un’altezza di 12, la struttura rappresentava per l’epoca una grande affermazione delle potenzialità espressa da un materiale relativamente nuovo come il cemento Portland. Al termine dell’Esposizione la Cement Hall fu deliberatamente distrutta per incrementare la conoscenza tecnica del comportamente a compressione del cemento armato [4].

[4] Solomita P. , Pier Luigi Nervi architetture voltate. Verso nuove strutture

Fig. 1.15. Cantiere Cement Hall, R. Maillart, Zurigo,1939

Fig. 1.14. Centina lignea Cement Hall, R. Maillart, Zurigo

Fig. 1.16. Cantiere Cement Hall, R. Maillart, Zurigo

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In Italia, dopo l’inizio dell’autarchia nel 1939, le opere d’ingegneria seguirono due strade diverse: da una parte la strada della resistenza per forma, seguita da personaggi come Nervi e Danusso, caratterizzata da un approccio empirico e naturalista; dall’altra quella della precompressione, seguita, per esempio, da Morandi e Zorzi, caratterizzata da un approccio più analitico basato sul concetto della resistenza per coazione tra calcestruzzo e acciaio. Si tratta di due approcci molto diversi, ma che convivono nello stesso periodo. La strada della resistenza per forma ebbe molto seguito in Italia dal momento che si traduceva in una facile evoluzione del cantiere tradizionale italiano dell’opera muraria, caratterizzato da grandi ponteggi e da una forte artigianalità, data da un gran numero di operai dovuto al basso costo della manodopera. Negli anni della guerra ed in quelli successivi, Nervi integrò le sue ricerche sulla resistenza per forma con quelle relative al “ferrocemento”, stimolate dalla politica di autarchia perseguita dal regime fascista dopo le sanzioni economiche decise dalla Società delle Nazioni nel 1935, a seguito dell’invasione dell’Etiopia da parte dell’Italia; grazie a quel sistema, che prevedeva la realizzazione di solette di piccolo spessore con all’interno alcuni strati di rete metallica, era possibile costruire strutture di grande luce senza l’utilizzo di casseforme lignee. Grazie ad una serie di sperimentazioni, Nervi mise a punto la tecnica della prefabbricazione strutturale, seguendo come principio lo sfruttamento di un elevato momento d’inerzia e un minimo impiego di materiale, scomponendo la struttura in piccoli pezzi da realizzare a piè d’opera, da rendere poi solidali tra loro con getti di calcestruzzo in opera. 42

Nervi cercò, soprattutto attraverso le prime opere, come le aviorimesse, un modo di esistere come progettista contemporaneo, che lo potesse far diventare interprete della stagione più ricca del Movimento Moderno italiano; egli era l’unico non-architetto della sua generazione che si occupava di questo e che si impose progettando e costruendo una serie di capannoni industriali, che rientrano in un tema abbastanza anti-architettonico. Risulta difficile comprendere sino in fondo i progetti di Nervi facendo riferimento all’attuale condizione economico-finanziaria del mercato dell’architettura; all’epoca vi era una necessità di risparmio dei materiali, dei costi tecnologici e di cantierizzazione, nonchè della manodopera, completamente diversi da quelli attuali, senza contare i limiti della nuova normativa delle costruzioni, che portano a lavorare sempre in sicurezza. La serie di capannoni industriali realizzata dall’Impresa Nervi sono un esempio di questo contenimento dei costi atteso dagli imprenditori. Anche per la costruzione della aviorimesse vi sono aspetti costruttivi che si trovano alla base del progetto di Nervi, come realizzare e scaricare la volta raddrizzandone la spinta prima che arrivi in fondazione, assicurandone il contenimento della spinta orizzontale. La parabola, infatti, assume spesso il connotato di forma assoluta attraverso cui convogliare le forze a terra nel modo più “naturale” possibile; la ricerca continua della massima efficienza conduce a definire la “soluzione-tipo” architettonica: purezza delle linee, assenza delle decorazioni e chiarezza strutturale. Il lavoro sul progetto dell’arco monumentale per l’esposizione Universale del 1942, consentirà a


Nervi di definire le basi di quelli che saranno gli elementi costituivi del proprio, esclusivo, processo realizzativo: la composizione per parti e la prefabbricazione. La nuda struttura rappresenta per Nervi l’occasione di connotare le sue costruzioni attraverso il ritmo dell’impianto strutturale, definendo così geometricamente ed armonicamente lo spazio. In Pier Luigi Nervi va prendendo forza la convinzione di elaborare un “organismo” architettonico dove la struttura coincide con l’involucro. Curvature e corrugamenti delle superfici, nonostante il loro esiguo spessore, grazie all’intrinseca qualità di resistenza per forma, gli offrono l’occasione di sperimentare la realizzazione di grandi strutture. La spiccata conoscenza delle leggi costitutive dei materiali da costruzione ha permesso a Nervi una loro corretta applicazione in relazione alle caratteristiche intrinseche. Ne deriva una morfologia della forma, dove la struttura consente sempre di rivelare l’andamento delle forze. Forze che sono convogliate a terra generalmente attraverso elementi compressi, sempre per la via più breve e con una predilezione per le linee semplici.

Fig. 1.17. Palazzo dello sport, Nervi, 1960

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4 . S I L O S PA R A B O L I C I

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4.1 INQUADRAMENTO DEL FENOMENO A partire dagli anni Venti del Novecento, grazie alla diffusione del cemento armato, è possibile realizzare edifici industriali di luci considerevoli, che siano funzionali e che sperimentino, allo stesso tempo, soluzioni ambiziose. Un perfetto esempio di queste sperimentazioni sono i magazzini con copertura a volta parabolica, chiamati all’epoca “hangar parabolici in cemento armato” o, attualmente, “silos parabolici”. Queste grandi coperture senza appoggi intermedi, sono realizzabili grazie allo sfruttamento delle caratteristiche proprie del cemento armato e all’applicazione della corretta geometria strutturale; si sfrutta, infatti, la cosiddetta resistenza per forma. Tra il 1930 ed il 1970, durante il boom economico italiano, si realizzano decine di magazzini a copertura parabolica. Attualmente i silos parabolici presenti in Italia sono 85, gli ultimi sopravvissuti alla dismissione industriale che rappresentano un patrimonio culturale di straordinaria importanza. Nei paraboloidi italiani vi è un forte equilibrio tra estetica e funzionalismo, caratteristica che ne ha motivato il loro successo e la loro “esportazione” in numerosi paesi europei. La scelta della forma che meglio si adatta alle caratteristiche meccaniche di un determinato materiale conduce alla realizzazione di manufatti in cui vi è un perfetto equilibrio tra le forze fisiche in gioco e le esigenze produttive. La forma più adatta per le strutture in cemento armato è l’arco, in quanto più adeguato al comportamento del materiale. L’arco è un antico elemento architettonico che fonda il proprio comportamento statico essen-

zialmente sulla forma geometrica dell’asse curvilineo; nel caso in cui la “curva funicolare” dei carichi principali corra in prossimità, o coincida, con l’asse geometrico dell’arco, quest’ultimo risulta soggetto principalmente ad un’azione interna di compressione, circostanza che ben si adatta alle caratteristiche del conglomerato cementizio. Gli studi sulle funicolari vengoni iniziati da Galilei e continuati da Leibniz, Huygens, Bernoulli e da Gaudì. Quando ad agire sulla fune appesa ai suoi estremi è solo il peso proprio, essa prende la forma della “catenaria”, risultando così sottoposta ai soli sforzi di trazione. Capovolgendo il verso della concavità, l’arco pseudoparabolico caricato del proprio peso risulta sottoposto ai soli sforzi di compressione. Le strutture esistenti con copertura parabolica non sono solo create attraverso la ripetizione di archi, ma sono anche realizzabili sotto forma di volte sottili, vale a dire gusci resistenti per forma ottenuti dalla traslazione di un arco lungo una direttrice. Costruzioni con queste caratteristiche furono realizzate, per la loro economicità e funzionalità, fino a quando l’aumento dei costi della mano-dopera per la realizzazione delle centine ne sconsigliò l’utilizzo. La sperimentazione di queste volte di cemento risale agli inizi del Novecento; si ricorda, in campo internazionale, l’interno delle Halles du Bou-lingrin a Reims, di Maigrot e Freyssinet del 1929; il Centro Espositivo di Brno di Kalous e Valenta del 1928; i cosidetti “hypars” (hyperbolic paraboloids) realizzati da moltissimi progettisti, tra cui Gaudì, Torroja, Candela, Nervi, Ove Arup Fig. 1.18. Halles du Bouligrin a Reims, Maigrot e Freyssinet, e altri. 1929

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Vi sono esempi di strutture a sezione parabolica anche tra edifici più antichi, tra cui la sala nel Palazzo di Cosroe a Ctesifonte (VI sec. d. C.) e i sistemi costruttivi in canne della Mesopotamia (i mudhif). Il silos a copertura parabolica, chiamato “paraboloide” in alcuni contesti, risulta geometricamente definito come un “cilindro parabolico”, ovvero una superficie rigata ottenuta da una generatrice (retta) e da una direttrice (parabola o pseudoparabola) e permette di sviluppare un edificio particolarmente efficace dal punto di vista statico e funzionale. Nei primi magazzini parabolici gli archi si possono considerare come nervature di irrigidimento della volta cilindrica sottile; per i silos con copertura in laerocemento o composta da pannelli, gli archi sono la struttura portante.

furono realizzati con archi parabolici composti da travature reticolari. L’uso dell’arco come struttura portante viene invece applicata, ad esempio, nella costruzione delle tettoie nelle stazioni e per la costruzione di hangar per aeromobili. Si potrebbe supporre che i primi hangar parabolici fossero quelli destinati a dirigibili ed aerei, seguiti, dopo poco, da quelli destinati all’industria.

Da un punto di vista meccanico, in alcuni casi gli archi parabolici di queste strutture si comportano come archi a tre cerniere, con un’azione flettente pressocchè nulla alle imposte e in chiave; nei casi più antichi, dove gli archi risultano completamente gettati in opera, le cerniere presenti sono due, alle imposte dell’arco, o una, in chiave, oppure si tratta di vincoli di semincastro [5]. La versatilità del cemento armato, che si può gettare in opera o si può usare per realizzare elementi prefabbricati, si presta alla realizzazione di strutture di questo tipo, snelle, resistenti e funzionali, che si diffusero rapidamente in Italia. Occorre rammentare anche le strutture che utilizzano l’arco parabolico per superare grandi luci sui corsi d’acqua o sulle gole: i ponti. Numerosi ponti ferroviari ottocenteschi europei 46

[5] Modica M. , Santarella F., Paraboloidi. Un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna


4.2 HANGAR PER AEREI E DIRIGIBILI La realizzazione degli hangar si diffuse principalmente a partire dai primi anni del 1900 e dei numerosi manufatti realizzati sopravvivono attualmente diversi esemplari, ancora presenti in discreto numero negli Stati Uniti d’America. Gli hangar per dirigibili di Freyssinet a Orly (1916) avevano sezione parabolica formata da elementi compressi; la scelta del profilo fu presa per ovviare ai notevoli momenti flettenti che sarebbero stati generati dall’azione del vento. Inoltre, quel tipo di sezione si adattava bene ad accogliere i dirigibili. Per la realizzazione dei due hangar gemelli per dirigibili dell’aeroporto di Orly, Freyssinet necessitava di un volume enorme, le dimensioni finali, infatti, erano di 300 m di lunghezza, 86 m di larghezza e 60 m di altezza. La struttura era composta da una serie di archi parabolici di 9 cm di spessore, connessi tra loro a formare una copertura ondulata che garantiva un’alta resistenza all’azione orizzontale del vento, che risultava essere la sollecitazione principale. Ogni arco era largo 7,5 m e l’altezza variava dai 5,4 m alla base ai 3 m in chiave. Il calcestruzzo usato era abbastanza fluido e a presa rapida, di modo tale che riempisse bene le casseforme lignee e si asciugasse in tempi brevi. Le fondazioni erano realizzate con una trave di cemento armato di 1 m di spessore, studiata in modo tale che il carico arrivasse perpendicolarmente al terreno.

Fig. 1.19. Copertura hangar per dirigibili, E. Freyssinet, Orly 1916

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Il processo di realizzazione degli archi consisteva di 4 fasi: 1. fondazione; 2. imposte di 2 m di altezza; 3. due aggetti di 17 m; 4. volta di 75 m di luce e 144 m di sviluppo. La centina era composta da correnti e tavole d’abete inchiodati tra loro a formare una struttura reticolare, montabile in tre pezzi: i due laterali tenuti in posizione da due argani idraulici, che sollevavano poi il tratto centrale. Una volta realizzato il primo arco, la centina si spostava per formare gli archi successivi, attraverso un sistema di carrelli piani rampanti. Questi due hangar rappresentano un salto di qualità per le coperture di edifici, non solo per le notevoli dimensioni, ma anche per il minimo rapporto tra la quantità di materiale impiegato e il volume utile della costruzione [6].

[6] Solomita P. , Pier Luigi Nervi architetture voltate. Verso nuove strutture,

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Fig. 1.20. Centina lignea, E. Freyssinet, Orly 1916


Fig. 1.21. Disegno della centina lignea, E. Freyssinet, Orly 1916

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Anche Pier Luigi Nervi si cimentò nella progettazione di aviorimesse che, nel suo caso, erano a struttura geodetica; furono realizzate tra il 1935 e il 1942 per conto della Regia Aeronautica: realizzò le prime due presso Orvieto e le successive sei presso Orbetello, Orvieto e Torre del Lago. La struttura di quelle di Orvieto era formata da un doppio ordine di archi disposti a 45° rispetto ai lati dell’aviorimessa stessa, per ridurre le lunghezze libere degli elementi e aumentare la stabilità complessiva. La volta, spessa solo 9 cm, poggiava su speroni inclinati. Le successive sei aviorimesse, realizzate tra il 1939 e il 1942 risultavano più semplici, in quanto costituite dall’assemblaggio di elementi realizzati a piè d’opera e con un numero di pilastri inferiore.

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Fig. 1.22. Hangar di Orbetello, P. Nervi, 1942


4.3 I SILOS PARABOLICI [7] ll magazzino, o silos, a copertura parabolica, nasce per lo stoccaggio di materiali sfusi in polvere, come soluzione funzionale per la conservazione di grandi quantità di materie prime o di prodotti. La sezione parabolica risulta più adeguata rispetto ai magazzini tradizionali per lo stoccaggio di queste polveri, che, accumulandosi, provocano notevoli spinte lungo le pareti longitudinali. La struttura parabolica, quindi, costituisce un sistema particolarmente funzionale, in quanto è in grado di adattarsi in modo ottimale alla disposizione naturale dei cumuli di prodotto immagazzinato e permette una facile movimentazione delle polveri all’interno del silos. Solitamente in chiave è presente una struttura in cemento armato o acciaio (galleria o boltresca se esterna) a supporto di un nastro trasportatore che scorre su rulli, permettendo al prodotto di raggiungere il magazzino partendo dagli impianti di produzione. Il deposito del prodotto avviene per caduta da questo nastro, disponendosi secondo una forma conica definita dall’”angolo di riposo” del materiale stoccato (30/35°), il cui profilo viene assecondato dall’andamento parabolico della sezione trasversale della volta, riducendo al minimo o annullando il contatto e la relativa spinta del prodotto sulla struttura portante. Le operazioni di raccolta del materiale depositato avvengono a terra dove operano le “grattatrici”, macchine che recuperano il prodotto grattando i cumuli, per poi inviarlo a speciali nastri convogliatori diretti al reparto insacca- Fig. 1. 23. Schema funzionamento dei paraboloidi mento. [7] Modica M. , Santarella F., Paraboloidi. Un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna

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Questi magazzini sono realizzati con volte cilindriche sostenute da archi, o nervature, parabolici; mediamente la luce è di 25 m e la freccia di 15 m, fino ad un massimo riscontrato di 50 m di luce per 35 di altezza. Spesso gli archi parabolici rispettano lo schema isostatico dell’arco a tre cerniere, con due cerniere alle imposte dell’arco e una in chiave. Tale soluzione rende la struttura poco sensibile ai cedimenti differenziali delle fondazioni che sono realizzate generalmente su travi continue o su plinti. In alcuni casi la spinta dell’arco viene assorbita da un tirante in acciaio posto sotto il piano di calpestio; possono essere presenti altri tiranti posti in direzione longitudinale a livello delle fondazioni, a legare archi contigui.

canati; nella volta, nella baltresca o all’imposta degli archi si possono trovare altre aperture vetrate per l’illuminazione e l’aerazione. All’estradosso delle volte in cemento o in laterizio viene disposta una guaina impremebailizzante di rifinitura. In alcuni casi, l’interno dei padiglioni era intonacato con prodotti specifici per proteggere il calcestruzzo dalle sostanze chimiche stoccate. Molti silos parabolici si trovano in prossimità delle stazioni o sono serviti da vie d’acqua, utilizzati per la spedizione dei materiali prodotti e stoccati.

Sono quasi sempre presenti una o più pensiline laterali ai magazzini, a sbalzo o su pilastri, costiLa sezione trasversale dell’arco è generalmente tuite da nervature in cemento e solai in laterocecompresa tra 25 e 35 cm, e l’altezza della se- mento o cemento. zione varia da 60 a 80 cm; l’interasse tra gli archi parabolici è all’incirca di 5 metri. In molti Si può ottenere una classificazione tipologica casi, dopo un certo numero di archi (circa 10), considerando: risulta necessario scindere l’edificio in porzioni • la forma della sezione parabolica; indipendenti, attraverso l’affiancamento di due • la conformazione della copertura; archi separati da giunti di dilatazione. Analoga- • il posizionamento del sistema di traspor- mente, la volta si interrompe trasversalmente in to e scarico del prodotto stoccato. corrispondenza del raddoppio dell’arco, oppure a metà dell’interasse tra un arco e l’altro. Le volte di copertura sono generalmente realizzate in cemento armato gettato in opera oppure in pannelli prefabbricati in laterocemento; lo spessore varia dagli 8 cm ai 15 cm. Le testate non sono sempre uguali, in alcuni casi presentano appositi controventamenti costituiti da travi e pilastri in cemento, tamponati da laterizio o da aperture vetrate, in altri sono lasciate aperte, come avviene nel magazzino di Porto Re52


• 1a - Comune: rappresenta il modello più diffuso. La volta è sostenuta da una serie di archi parabolici e la chiave di volta è sormontata da una struttura che supporta il nastro trasportatore. • 1b - Comune con chiave rinforzata: è presente un’ulteriore copertura che corre esternamente lungo la chiave di volta. • 1c - Comune con chiave ribassata: la struttura di scarico è completamente al di sotto della volta. • 1d - Comune tipo “Montecatini”: l’arco parabolico è molto ampio alla base e ristretto in chiave. • 2 - A copertura continua: non sono presenti sovrastrutture e la dimensione dell’arco parabolico è maggiore; la copertura è costituita da pannelli ondulati adagiati su esili listelli in cemento armato perpendicolari agli archi. Il trasporto dei materiali avviene su una passerella appesa agli archi, totalmente al di sotto della chiave di volta. • 3 - A copertura discontinua: è una variante del paraboloide a chiave rinforzata, di cui ha le stesse dimensioni e la stessa conformazione dell’arco. La copertura è composta da falde sovrapposte e, nel punto in cui si incontrano, vi sono aperture a nastro per il ricambio d’aria e per l’illuminazione. Si tratta di paraboloidi costruiti nella prime metà degli anni Cinquanta nella zona della pianura padana centro-orien- Fig. 1. 24. Schema della tipologia di paraboloidi tale. • 4 - Pseudo-paraboloide a sesto acuto: l’arco parabolico è spezzato e di dimensioni ridotte e mancano le strutture di scarico del materiale (esempio di Prato). • 5 - Pseudo-paraboloide a sesto ribassato: (Taranto) compressione a terra dell’arco, forma quasi una volta a botte. 53


Dei circa 85 paraboloidi presenti attualmente in Italia, 65 sono stati impiegati nel settore dei fertilizzanti sintetici. Alla produzione di fertilizzanti semplici sono legati, in genere, i paraboloidi del primo e del terzo tipo, più piccoli ed esteticamente eterogenei; a quella dei fertilizIn Italia l’industria di fertilizzanti sintetici assume zanti complessi, invece, sono legati quelli del un ruolo centrale dal 1880, specialmente in Lom- secondo tipo, di dimensioni maggiori e costruttivamente standardizzati. bardia, Veneto e Piemonte.

La diffusione dei magazzini a copertura parabolica si deve all’industria chimica, in particolare a quella dei fertilizzanti sintetici, e all’industria dedita all’estrazione e alla lavorazione del cloruro di sodio.

Verso la metà del Novecento iniziano ad apparire sul mercato internazionale i fertilizzanti complessi; in Italia questa produzione diventa significativa sulla scia di un’esperienza pilota condotta dalla principale azienda chimica italiana dell’epoca, la Montecatini.

Il numero dei paraboloidi “del sale” è più esiguo, sono solo 8, e sono riconducibili al contributo di Pier Luigi Nervi. Il settore dell’estrazione e della lavorazione del sale si sviluppa e si modernizza a partire dal 1927, quando viene istituita l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS); tra gli anni Trenta e Sessanta l’AAMS realizza una serie di paraboloidi di tipo comune, su disegno di Nervi. Questi magazzini “nerviani” costituirono un modello teorico-costruttivo per la realizzazione dei numerosi magazzini a copertura parabolica che furono progettati in seguito; per questo motivo, molti magazzini sono stati erroneamente attribuiti a Pierluigi Nervi.

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, grazie al perfezionamento della tecnica e alla scoperta di nuove materie prime, come i giacimenti di metano nella pianura padana, l’industria italiana dei fertilizzanti sintetici si sviluppò notevolmente. Nei centri petrolchimici italiani (Porto Marghera, Ferrara, Ravenna, Gela, Manfredonia) nacquero grandi impianti industriali chimici. Le società Montecatini e Edison investirono in ricerche minerarie che portarono alla costru- Un numero ristretto di paraboloidi, invece, sono stati utilizzati per il comune stoccaggio di matezione di una serie di stabilimenti chimico-mineriali, quali zucchero e mineriali. rari. Mentre il settore dei fertilizzanti semplici era caratterizzato da una grande frammentazione di società, il settore dei fertilizzanti complessi era essenzialmente nelle mani della Montecatini (Montedison dopo la fusione con l’Edison) e dell’ANIC. 54

1880

L’industria di fertilizzanti sintetici assume un ruolo centrale in Italia

1888

Nasce la Montecatini, Società Generale per l’industria Minerale e Chimica

1927

Viene istituita l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS)

1950 ca.

Sul mercato internazionale appaiono i fertilizzanti sintetici

1950-60

Vengono scoperti giacimenti di metano nella pianura padana. Nascono grandi impianti chimici in Italia

1959

Crisi della Montecatini

1966

Dalla fusione di Montecatini e Edison nasce la Montedison

fine anni ‘70

Molti impianti chimici vengono abbandonati e dismessi


4.4 EVOLUZIONE DEI PARABOLOIDI Il concetto di magazzino industriale a copertura parabolica si deve, probabilmente, all’ingegnere Luigi Radici. Negli anni Venti lavorava presso la sua società di costruzioni e presso la fabbrica di cementi naturali, che gestiva insieme a Guido Previtali presso Villa d’Almè. Nel 1911 la loro fabbrica di cementi fu rilevata dall’Italcementi, ed è proprio in quel frangente che l’ing. Radici sperimentò un magazzino per lo stoccaggio semi-automatico del clinker, il componente base per la produzione del cemento. Si trattava di un magazzino a pianta rettangolare coperto da due falde e una baltresca centrale, ovvero una galleria esterna alla copertura, sorretta da pilastri. Il clinker, raccolto in vagoncini a bilico, raggiungeva la baltresca grazie ad un montacarichi, e da lì veniva fatto cadere per ribaltamento nel magazzino, dove veniva stoccato.

Fig. 1. 25. Magazzino per clinker progettato dall’ing. Radici a Villa d’Almè (1911)

Negli anni Venti, il magazzino semi-automatizzato “a capanna” divenne il paraboloide della fabbrica Italcementi a Casale Monferrato, che risulta essere il primo magazzino a copertura parabolica realizzato in Italia, anche se negli stessi anni fu realizzato un simil-paraboloide anche a Vittorio Veneto. A questo primo esperimento seguirono realizzazioni simili, che ben presto si diffusero in tutta Italia negli impianti dei settori industriali più sviluppati. Le realizzazioni più compiute si riscontrano nel settore dell’industria chimica.

Fig. 1. 26. Paraboloide di Casal Monferrato (1922-23)

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Negli anni Trenta la sperimentazione dei magazzini industriali a copertura parabolica viene portata avanti da Pier Luigi Nervi. Questo tipo di costruzione, infatti, rientra pienamente nella sua concezione progettuale secondo la quale vi è una perfetta simbiosi tra la soluzione estetica e quella statico-costruttiva.

minore sarà la spinta orizzontale all’imposta.

I magazzini a copertura parabolica realizzati da Nervi diventano una vera e propria soluzione tipologica che verrà ripresa in molte delle realizzazione successive italiane, grazie alla loro essenzialità e eleganza delle linee. Anche se i paraboloidi di Nervi verranno presi Il primo magazzino progettato da Nervi è quello come riferimento per altri magazzini, nessuno di Margherita di Savoia (1933-35), in Puglia, a cui riuscirà ad eguagliare le trame dell’interno delle seguirono, nella seconda metà degli anni Trenta, volte, caratterizzate da archi inclinati e intrecle due serie di hangar per uso militare di Orvieto ciati che alleggeriscono la struttura seguendo le e Orbetello (1935-42). linee di andamento delle forze. Negli anni Cinquanta riprese a lavorare sui capannoni a copertura parabolica, con la commit- Dal 1939 inizia il periodo dell’autarchia, con la tenza pubblica dei Monopoli di Stato; realizzò conseguente sparizione del ferro nelle nuove i magazzini del sale di Tortona (1950-51), il ma- costruzioni; per sopperire a questa mancanza gazzino di Bologna dell’ex manifattura Tabac- si aprono due strade dell’ingegneria italiana: chi (1954), il magazzino delle saline di Volterra quella che sperimenta la resistenza per forma (1953-56), il magazzino delle saline di Cagliari e quella che studia la precompressione. (1956-58) e il magazzino dell’ex Deposito Sale a Il fenomeno dei magazzini a copertura paraboPorto Marghera (1960-61). lica rientra nel campo della resistenza per forma, nella ricerca del migliore impiego delle caratteNervi era solito studiare i progetti soprattutto ristiche del cemento armato e nel tentativo di attraverso la sezione, ovvero il piano attra- utilizzare la minor quantità possibile di mateverso il quale è maggiormente controllabile riale. l’andamento delle forze e, di conseguenza, l’equilibrio. Dagli anni Cinquanta la costruzione dei cosiddetIl primo segno è solitamente un profilo ad arco ti “paraboloidi” è incentivata dallo sviluppo del che consenta di superare grandi luci con uno perfosfato minerale, un fertilizzante che è risulspessore ridotto; questa curva fa spesso riferi- tato fondamentale per la ripresa dell’agricoltura mento ad una parabola. italiana del dopoguerra. L’attacco a terra più idoneo dipende dalle condizioni di vincolo; appare chiara la lettura del si- L’industria del perfosfato si serve dei magazzini stema portante e di quello portato. parabolici soprattutto tra il 1947 e il 1961; inizialL’inclinazione dei pilastri dipende dalla risul- mente la società predominante nel settore è la tante delle forze, orientata secondo la tangente Montecatini, che inizia ad occuparsi della ricodella parabola. struzione post-bellica. Lo spessore dipende dalla geometria della co- Nella seconda metà degli anni Cinquanta ci si pertura, infatti maggiore è la freccia dell’arco, occupa del rinnovamento degli impianti datati. 56

Fig. 1. 27. Magazzino del sale di Tortona, P. Nervi, 1942


Intorno agli anni Sessanta, invece, la Montecatini amplia alcuni dei magazzini per ospitare la nuova produzione di superfosfato ammonizzato. La grande capacità di questi magazzini rispecchia le imponenti capacità produttive degli stabilimenti della Montecatini. Le società indipendenti che producono fertilizzanti, operano in fabbriche di antica costruzione dislocate nelle regioni agricole della pianura padana. Negli anni Cinquanta i principali stabilimenti trasformano sensibilmente i propri impianti, cercando di colmare il divario tra loro e la Montecatini. Durante il processo di rinnovamento si costruiscono particolari magazzini che vanno a costituire una sorta di élite nel panorama italiano dei magazzini a copertura parabolica, quasi a voler sottolineare la differenza con quelli contemporanei e maggiormente standardizzati della Montecatini. La maggior parte di questi paraboloidi sono riconducibili all’ingegnere Alberto Minghetti. I magazzini costruiti fino agli anni Sessanta sono prevalentemente realizzati a piè d’opera, con l’uso di centine di legno per contenere i getti di cemento armato. Solo in alcuni casi isolati si sperimenta la prefabbricazione degli elementi strutturali. Dalla seconda metà degli anni Cinquanta il fenomeno dei silos parabolici si estende alla totalità dell’industria dei fertilizzanti chimici. In questo periodo, infatti, si scoprono importanti giacimenti di materie prime che permetteno di incrementare la produzione di fertilizzanti semplici.

Fig. 1. 28. Paraboloide di Mantova, 1952

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Si assiste anche alla nascita dell’industria petrolchimica, che favorisce l’inserimento della produzione di fertilizzanti azotati e complessi in grandi centri produttivi, caratterizzati da importanti economie di scala e impianti in grado di raggiungere capacità produttive considerevoli.

ll porto industriale nasce negli anni Venti e vi crescono gli stabilimenti della Montecatini, della Fiat, dell’AGIPe dell’Ilva.

Nel dopoguerra la società Edison avvia la costruzione del più grande petrolchimico nazionale con produzioni organiche e inorganiche Ma i magazzini a copertura parabolica non inte- che successivamente vengono assorbite dalla ressano solo le industrie chimiche; se ne trovano Montedison, la società che unisce la Montecatinumerosi esempi sia nel settore saccarifero sia ni e l’Edison.
 negli impianti di stoccaggio del sale. La grande concentrazione di impianti favorisce In entrambi i casi, infatti, il prodotto esce dal la costruzione di numerosi silos parabolici, molti circuito sotto forma di piccoli sali, quindi il pro- dei quali rientrano nella categoria a copertura cesso di stocaggio si può associare a quello dei continua, molto diffusa dopo il 1960. fosfati. È nel polo di Marghera che si sperimenta la toIn generale, i magazzini per lo zucchero sono ri- tale costruzione dei paraboloidi in moduli preconducibili a tre categorie: fabbricati, raggiungendo dimensioni dell’arco 1. edifici in muratura tradizionali; di gran lunga maggiori dei paraboloidi realizzati 2. magazzini a cumulo; negli anni precedenti. 3. silos in cemento armato. Da queste sperimentazioni nascono paraboloidi Il magazzino a cumulo per lo zucchero, pur con archi interamente prefabbricati che se da basandosi sullo stesso funzionamento del ma- una parte velocizzano il processo costruttivo e gazzino a copertura parabolica, presenta carat- riducono i costi, dall’altra riducono l’unicità del teristiche differenti per conformazione (a tronco manufatto a favore della standardizzazione. di cono), struttura portante (di solito in acciaio) Intorno agli anni Sessanta e Settanta, infatti, e dimensioni. l’industrializzazione si diffonde in Italia anche nei cantieri edili, in gran ritardo rispetto agli altri Tuttavia vi sono due esempi, non più esistenti, paesi europei. di paraboloidi in cemento armato utilizzati come magazzini a cumulo per lo zucchero: quello di La seconda metà del Novecento è il periodo di Russi (Ravenna) e quello di Villasor (Cagliari). massima diffusione del paraboloide; la scoperta di giacimenti di minerari potassici in Sicilia conI settori industriali che hanno sempre sfrutatto la duce alla costruzione di questi magazzini anche capienza di questi magazzini sono quello chimi- al meridione. co e quello petrolchimico, i quali hanno trovato Per convertire i minerali in solfato potassico si il loro massimo sviluppo nel polo di Marghera. sviluppa un polo industriale tra i più avanzati del mondo. Il minerale viene estratto dalla Montecatini nelle 58

Fig. 1. 29. Paraboloide di Russi, ex Eridania.


Fig. 1. 30. Paraboloide di Venezia-Mestre, ex Montecatini, 1967

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miniere di San Cataldo e Palo, da cui viene mandato, tramite teleferica, allo stabilimento di raffinazione di Campofranco, dove viene trasfomato in solfato potassico. Da qui, tramite ferrovia, raggiunge lo stabilimento di Porto Empedocle, dove si producono fertilizzanti fosfatici e complessi. Il minerale estratto dall’Edison a Pasquasia viene convertito in solfato nel polo SINCAT di Priolo. L’avventura siciliana del Potassio termina alla fine degli anni Novanta, a causa dell’esaurimento dei depositi e delle ingerenze politico-mafiose. Ma in Sicilia si realizzano anche altri paraboloidi, collegati però all’ANIC (Azienda Nazionale Idrogenazione Combustibili). L’ANIC si presenta come il “braccio chimico” dell’ENI, realizzando importanti centri chimici e petrolchimici in tutta Italia, in cui sono presenti numerosi magazzini a copertura parabolica. L’ANIC realizza con l’aiuto di note società d’ingegneria e di costruzioni, come la CMC (Cooperativa Muratori e Cementisti), una serie di paraboloidi di dimensioni notevoli che, raggruppati in “isole”, massimizzano l’automazione del processo di stoccaggio del prodotto. Molti di questi paraboloidi sono stati abbandonati a seguito della trasformazione dell’ANIC in EniChem Agricoltura nel 1983. L’epoca dei magazzini italiani a copertura parabolica si chiude negli anni Settanta e le ultime realizzazioni sono opera della Montedison. La Montedison si trova a dover razionalizzare una moltitudine di impianti; le linee produttive vengono concentrate in pochi grandi stabilimenti in cui vengono introdotte innovazioni significative. 60

Fig. 1. 31. Paraboloide di Gela, 1963


Fig. 1.32. Ex ANIC, Manfredonia, 1969

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Fig. 1.33. Ex Consorsio Agrario, Bagnolo Mella, Brescia, ing. Minghetti, 1953-56

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Gli ultimi paraboloidi italiani hanno in comune le dimensioni considerevoli e la totale prefabbricazione degli elementi strutturali. Tra tutti i paraboloidi realizzati vi è un caso veramente unico: quello di Prato. A Prato sono presenti degli edifici a copertura pseudo-parabolica, risalenti ai primi anni Cinquanta, utilizzati come tintorie negli stabilimenti tessili. Il prototipo di questi edifici è probabilmente la tintoria dello stabilimento tessile Marzotto di Valdagno, i cui edifici furono realizzati dall’impresa dell’ingegner Henry Bollinger di Milano. Nella terza edizione del 1932 de “Monografie di costruzioni italiane civili ed industriali” di L. Santarella, si legge: “La notevole umidità e la quantità rilevante che si solleva dalle vasche per effetto delle operazioni che devono svolgersi nel salone hanno obbligato il progettista a studiare, per questa costruzione, una copertura di forma affatto particolare e tale da evitare assolutamente lo stillicidio dal soffitto delle acque di condensazione dell’umidità ambiente. La forma adottata è quella di volte a sesto acuto; nella parte centrale più alta le volte si interrompono per dare posto a sfiatatoi-lucernari con tetto rialzato.” La curvatura della copertura favorisce la fuoriuscita dei vapori e il ricambio d’aria delle tintorie, ambienti altamente nocivi per l’uomo, a causa dei vapori sprigionati dalle numerose sostanze chimiche utilizzate.

Fig. 1. 34. Ex Cimatoria Campolmi, Prato, 1971

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BIBLIOGRAFIA E ICONOGRAFIA

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BIBLIOGRAFIA RESISTENZA PER FORMA Adriaenssens S. , Block P. , Veenendaal D. , Williams C. , Shell structures for architecture. Form Finding and Optimization, Routledge, Oxon 2014. Barbera L. V. , Desideri P. , Muratore G. , Rossi P. O. , Pier Luigi Nervi e l’architettura strutturale, in Collana Print Teoria e critica 5, Edilstampa srl, 2011. Giovannardi F., Con Eugène Freyssinet oltre i limiti del cemento armato, http://lnx.costruzioni.net/wp-content/uploads/2009/01/Eugène-Freyssinet. pdf Lenci S. , Consolini L., Percorsi per un metodo progettuale tra forma e struttura, Aracne editrice s.r.l., 2007. Musmeci S. , Le tensioni non sono incognite, in “Parametro” n. 80, 1979. Solomita P. , Pier Luigi Nervi architetture voltate. Verso nuove strutture, tesi di Dottorato di Ricerca in Composizione Architettonica, Università di Bologna, 2012. Sammarone S., La parabola nelle costruzioni, Bologna, Zanichelli Editore SpA,2010 BIBLIOGRAFIA STUDIO MATEMATICO Cresci L., Le curve celebri: Invito alla storia della matematica attraverso le curve piane più affascinanti, Franco Muzzio Editore, 1998. Ghione F., Una non parabola: la catenaria, con qualche cenno al calcolo della sua equazione, in Quaderni di laboratorio 2009. http://crf.uniroma2.it/quaderni/catenaria/Catenaria.pdf Laterza M., Principi di Statica e Dinamica delle strutture, Strutture funicolari: Funi e Archi, Università degli Studi della Basilicata, Facoltà di Architettura http://oldwww.unibas.it/utenti/laterza/Sito_1/Academic_Courses_files/6-Funi%20ed%20archi.pdf http://www.wikitecnica.com/funicolare-dei-carichi-curva-funicolare/ IBLIOGRAFIA SILOS PARABOLICI Cippitelli A. , Parabola ascendente. Ex magazzino Montecatini: da brownfield a centro urbano di formazione, tesi di laurea Università degli Studi di Ferrara, Facoltà di Architettura “Biagio Rossetti”, A.A. 2011/2012. Modica M. , Santarella F., Paraboloidi. Un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna, Firenze, EDIFIR, 2014. 66


ICONOGRAFIA Immagine presentazione sezione 2: Fig. 1.1. http://www.domusweb.it/it/dall-archivio/2011/04/28/il-palazzo-delle-esposizioni.html Fig. 1. 2. https://it.wikipedia.org/wiki/Riccardo_Morandi Fig. 1. 3. http://www.deutsches-museum.de/presse/presse-2011/felix-candela/ Fig. 1. 4. http://www.panoramio.com/photo/22364724, foto di Paolo La Farina Fig. 1. 5,6. Schemi delle autrici Fig. 2. 7. http://www.archdaily.com.br/br/763770/pritzker-2015-frei-otto-e-a-importancia-da-experimentacao-na-arquitetura Fig. 1. 8,9. Schemi delle autrici Fig. 1. 10, 11, 12. Immagini adattate, tratte da “Una non parabola: la catenaria con qualche cenno al calcolo della sua equazione”, di Franco Ghione Fig. 1. 13. Immagine tratta da “Shell structures for architecture. Form Finding and Optimization”, Sigrid Adriaenssens, PhilippeBlock, Diederik Veenendaal, Chris Williams, ed. Routledge, Oxon 2014 Fig. 1. 14, 15, 16. Foto di H. Wolf-Benders Erben, 1939 Fig. 1. 17. Archivio Pier Luigi Nervi, Fondazione MAXXI Fig. 1. 18. http://www.sergiograzia.fr/it/les-halles-du-boulingrin/ , Foto di Sergio Grazia Fig. 1. 19. http://arquiscopio.com/archivo/2013/02/02/hangares-para-dirigibles-de-orly/?lang=it Fig. 1. 20. http://efreyssinet-association.com/loeuvre/eugene-freyssinet-en-quelques-ouvrages/ Fig. 1. 21. www.pinterest.com Fig. 1. 22. https://pensieriarchitettoqualunque.wordpress.com/tag/testa-e-croce/ Fig. 1. 23,24,25,26,27,28. Modica M. , Santarella F., Paraboloidi. Un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna, Firenze, EDIFIR, 2014 67


Fig. 1. 29. www.flickr.com, foto di Selina Zampedri Fig. 1. 30. www.flickr.com Fig. 1. 31. Archivio Eni di Roma Fig. 1. 32. http://www.saveindustrialheritage.org/paraboloidi/ Fig. 1. 33. http://www.st-al.com/archive/cons_ag_bagnolo/scheda.html Fig. 1. 34. Comune di Prato, Š Copyright Studio Marco Mattei Architetto

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2 : I L PA R A B O L O I D E D I P O R T O R E C A N AT I 71


1 . P O R T O R E C A N AT I

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Ancona Porto Recanati

EMILIA ROMAGNA SAN MARINO Pesaro Urbino

Ancona

uro Meta

MARCHE

TOSCANA

Fabriano

Loreto Recanati

Porto Recanati

Macerata nza Pote

nti Chie

UMBRIA

Ascoli Piceno

San Benedetto del Tronto

o Tront

ABBRUZZO LAZIO

Fig. 2.1. Inquadramento geografico

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1.1 LA STORIA DI PORTO RECANATI [1] Le origini di Porto Recanati risalgono alla colonia romana di Potentia. Fu fondata nel 184 a.C. a presidio della costa adriatica sulla riva sinistra del fiume Flosis (Potenza), in conformità con il programma di espansione colonizzatrice avviato nell’Italia centro settentrionale e nel Mediterraneo orientale nei decenni seguenti la guerra annibalica. Probabilmente, prima ancora della colonizzazione romana, Potentia era abitata da popolazioni indigene migrate dall’abitato protostorico collinare.

lasciando alle inondazioni e all’impaludamento le terre abbandonate.

La nascita di piccoli centri collinari portò con il tempo allo sviluppo di vari castelli e castellari e all’istituzione dei relativi signori feudali; in particolare, l’attuale territorio comunale, comprese le acque antistanti, divenne feudo dei Conti della Marina. Quando i tre castelli che formarono il primitivo nucleo di Recanati si fusero ed, espandendosi, iniziarono a minacciare le colline presso il mare, i Conti della Marina rifiutarono l’assimilazione e, anzi, intrapresero guerra contro Recanati, alLa fondazione di Potentia è attribuita ai triumviri leandosi con Osimo, città nemica di Recanati Marco Fulvio Flacco, Quinto Fulvio Nobiliore e già dal 1174. Le sorti arrisero ai Recanatesi, che Quinto Fabio Labeone. Essa fu creata nell’ottica con la pace firmata nel 1199, annessero di fatto il di assicurare terra ai veterani delle guerre pu- territorio dei Conti delle Marina aprendosi così niche e per proteggere il litorale dall’assalto dei lo sbocco al mare. pirati illirici, presso un’area vantaggiosa, in cui la presenza del fiume Potenza e della sua foce, Il primo nucleo intorno al quale si è sviluppata assicurava la facilità dei traffici e costituiva un Porto Recanati è, quindi, il Castello Svevo, la naturale ostacolo contro i nemici. cui data di fondazione risale al XIII secolo, periodo in cui Federico II dona al comune di Recanati La colonia crebbe fra il I e il II secolo a.C., perio- le terre su cui sorge l’antico ‘’Castrum Maris’’. do in cui è documentata una notevole attività Il castello viene completato solo durante il XV edilizia pubblica, finanziata da un ceto mercan- secolo, mentre il porto tanto agognato è detile attivo e probabilmente florido; raggiunse la stinato a restare un sogno. L’attività principale al sua massima espansione in età augustea. tempo consisteva nel carico e scarico delle imbarcazioni che, in assenza di un vero e proprio Nel V secolo Potentia fu cristianizzata e divenne porto, erano obbligate ad approdare e ripartire sede vescovile; il vescovo Faustino, degli anni dal castello. 418-422, è il primo vescovo documentato delle Marche. Per tutto il XIV secolo, che vide Recanati sconvolta dalla guerra tra guelfi e ghibellini, scoA causa delle invasioni barbariche e della guer- municata ed incendiata, solo il perimetro del ra gotica della prima metà del VI secolo, gli abi- castello fu abitato. tanti di Potentia o cercarono scampo nelle alture Agli inizi del XVI secolo sembra potersi avverare ai lati del fiume, dove erano sorti castelli, oppure il desiderio di costruire lo scalo marittimo; un inrisalirono la vallata distribuendosi sulle colline e gegnere di Venezia, il Maestro Giorgio Spaven74

Fig. 2.2. Rappresentazione del primo nucleo di Porto Recanati, XIII secolo

Fig.2.3. Rappresentazione del litorale adriatico: Porto Recanati, Porto Civitanova, Santuario di Loreto, fiume Musone


ta, propone infatti due progetti, lasciati però cadere. Nel 1510 Papa Giulio II della Rovere decide di elargire un importante contributo per l’inizio della costruzione del porto (Porto Giulio) che viene affidata al Maestro Michele di Pasquale, architetto della Repubblica Ragusea. I lavori verranno interrotti e ripresi più volte, ma sempre senza esito. Negli stessi anni la zona subisce una pesante incursione da parte dei turchi, che nel 1518 riescono a penetrare nel forte, compiendo una terribile strage. Proprio per proteggersi da ulteriori attacchi, Roma vuole che sia costruita una “Torre Nuova” presso la foce del Potenza, che viene edificata nel 1575 a delimitare il confine meridionale del territorio portorecanatese e successivamente distrutta durante l’ultima guerra.

Fig. 2.4. Carta della marca di Ancona, 1803

Il secolo che vede l’importante crescita delle comunità locali è il Settecento, periodo in cui vengono attuate le fondamentali opere di bonifica che salvano la zona dall’impaludamento, limitando i casi di malaria. Superati gli scontri per l’unità d’Italia che hanno interessato in maniera cruenta anche questa zona, la popolazione di Porto Recanati cresce senza sosta e le mire indipendentiste portano alla richiesta sempre più pressante di autonomia da Recanati, che viene concessa il 15 gennaio 1893, con decreto firmato dal re Umberto I.

[1] Comune di Porto Recanati, sezione storica

Fig. 2.5. Arrowsmith A, Map of South Italy and Adjacent Coasts,1807

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1.2 ANALISI DELLO SVILUPPO URBANO Analizzando le foto aeree storiche, che vanno dal 1956 ad oggi, non si riscontrano grandi cambiamenti nel tessuto edilizio di Porto Recanati. Nella foto del 1956 è presente il centro storico della città e a nord si intravede l’impianto industriale della Montecatini. Tutt’intorno vi è una distesa di campi agricoli e nell’entroterra, poco distante da Porto Recanati, la città di Loreto. Il cambiamento più vistoso nella foto del 1985 è il nucleo di Scossicci, a nord della zona industriale di Porto Recanati; il centro città si è ampliato. Dalla foto del 1988 si notano ulteriori estensioni del centro storico verso l’entroterra e nuovi piccoli nuclei abitativi leggermente distanziati da Porto Recanati. L’impianto industriale della Montedison non esiste più, ne rimane come te- Fig. 2.6. Foto aerea del 1956 stimonianza solo il magazzino a copertura parabolica, ormai dismesso.

Fig. 2.7. Foto aerea del 1985

Nel 1991 il tessuto edilizio della città è ormai abbastanza compatto, non vi sono grandi cambiamenti, continuano tuttavia a nascere nei terreni limitrofi nuovi nuclei edilizi, sostanzialmente residenziali. Questo processo è continuato fino ai giorni nostri, infatti si notano nuovi nuclei sostanzialmente diversi dal centro storico, da un punto di vista edilizio: mentre il centro storico è caratterizzato da palazzine di due o tre piani, le nuove costruzioni sono spesso alte più di sette piani, a volte disposte attorno a cortili comuni.

Fig. 2.8. Foto aerea del 1988

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Fig. 2.9. Foto aerea del 1991


Porto Recanati continua ad essere una cittadina protesa verso il mare, con uno sviluppo parallelo alla costa, sottolineato da tre linee direttrici: la costa, il Corso Matteotti e la linea ferroviaria. L’espansione della città, inoltre, è avvenuta attorno a dei poli di interesse per la cittadinanza, che hanno comportato una sorta di zonizzazione; uno degli obiettivi di questo progetto è di creare un sistema di collegamento tra questi spazi e le zone verdi della città, attraverso un percorso ciclopedonale. In aggiunta, si potrebbe prevedere un sistema di collegamento tra Porto Recanati e le città limitrofe, per favorire un reciproco rapporto di scambio di servizi ed attività pubbliche. A nord di Porto Recanati vi è la zona dell’ex Montecatini, dove sono presenti il magazzino industriale superstite e il complesso residenziale Zeus Immobiliare, vicino all’Hotel Life. Il polo più antico di Porto Recanati è il centro storico, sviluppato attorno al Castello Svevo, con la piazza antistante, dove si trovano l’arena estiva B. Gigli, la pinacoteca comunale e il Cinema Kursaal. Si può poi identificare la zona del Municipio, vicino a cui si trovano il mercato coperto e il Borgo Marinaro, con edifici caratterizzati da uno Stile Liberty. La zona più lontana dal mare è quella dove si trovano il centro commerciale Le Grotte, costruito nel 2011, e la Stazione ferroviaria, importante per il flusso di pendolari lungo la linea costiera. A sud vi è la foce del Potenza, con edifici di più recente realizzazione.

Fig. 2.10. Foto aerea del 2016

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VISTA AEREA

Fig. 2.11 Vista aerea di Porto Recanati, 1917

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Fig. 2.12. Vista aerea della Montecatini, anni ‘20

Fig. 2.13. Vista aerea di Porto Recanati, anni ‘30


LUNGOMARE

Fig. 2.14. Lungomare di Porto Recanati, anni ‘30

Fig. 2.15. Lungomare di Porto Recanati, anni ‘40

Fig. 2.16. Lungomare di Porto Recanati, anni ‘50

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CASTELLO SVEVO

Fig. 2.17. Castello Svevo, anni ‘20

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Fig. 2.18. Castello Svevo, anni ‘20

Fig. 2.19. Castello Svevo, anni ‘30


CINEMA KURSAAL

Fig. 2.20. Cinema Kursaal, anni ‘30

Fig. 2.21. Cinema Kursaal, anni ‘40

Fig. 2.22. Cinema Kursaal, anni ‘50

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tore tecnico. a far parte della Montecatini, dove restò fino al La costruzione, eseguita dall’Impresa Marconi di 1966, quando passò nel gruppo Montedison. La storia dell’impianto industriale della Monte- Pedaso, iniziò nel 1905 e terminò l’anno succescatini di Porto Recanati purtroppo non è suf- sivo. Con l’avvento del fascismo venne istituita la ficientemente documentata, motivo per cui Magistratura del Lavoro e fu abolito il diritto di alcune informazioni si basano sulla memoria de- Gli stabilimenti testimoniavano lo sviluppo mor- sciopero; l’economia italiana fu abbandonata al gli operai della fabbrica e di alcuni familiari degli fologico della fabbrica, in funzione degli sviluppi gioco delle forze di mercato guidato dagli intedei processi produttivi. Si trattava di edifici di ressi dellle industrie. ex dipendenti. luci notevoli, con spazi flessibili e grandi altezze; Negli anni Venti il costo della vita aumentava L’avventura industriale di Porto Recanati inizia erano strutture dai costi contenuti, ma affatto esponenzialmente mentre i salari diminuivano. nel 1907, con l’avvio della fabbrica dei concimi semplici da un punto di vista architettonico. Nel 1922 si ipotizzò la costruzione di un pontile chimici e del cementificio Scarfiotti. Entrambi gli stabilimenti sono progettati dall’ingegnere Lo stabilimento di Colle e Concimi iniziò la di scarico che potesse servire sia la Montecatini produzione nel 1907, ma poco tempo dopo fu sia il cementificio Scarfiotti. Tuttavia, nel 1924 il livornese Giuseppe Moro. Dopo la crisi protratta dal 1873 al 1896, il mer- necessaria un’espansione dell’impianto, dal mo- pontile non era ancora stato realizzato; uno dei cato mondiale aveva ricominciato ad acquistare mento che il perfosfato era un prodotto sempre motivi fu che la Montecatini abbandonò il progetto, preferendo un sistema di scarico dei maprodotti agricoli industriali. L’agricoltura stava più richiesto. diventando capitalistica e le tecniche agrarie Le materie prime trattate erano la pirite, teriali dal mare attraverso una filovia. si stavano modernizzando, riducendo i costi di proveniente dalla Spagna, il fosfato, dalla Tuni- Questa “teleferica” fu installata nel 1924 e produzione e incentivando l’uso dei fertilizzanti. sia, e il Land Pebble15, dall’America. veniva usata per scaricare la pirite e i fosfati. Quindi allo sviluppo del settore agrario si deve quello del settore industriale, in particolare Normalmente nello stabilimento lavoravano cir- Porto Recanati, quindi, si stava sviluppando ca 100 operai, che nel periodo della spedizione notevolmente: vi era la ferrovia, il tessuto edilizio chimico. del perfosfato, in autunno, arrivavano anche a si era ampliato; vi erano numerosi capolinea di Nel 1904 la Società Colla e Concimi di Roma 200. autobus pubblici per il collegamento con le città limitrofe; si erano sviluppati i settori industriale, propone l’impianto di una grande fabbrica di perfosfati nelle Marche. L’impianto viene co- Porto Recanati si stava rapidamente trasforman- agrario, commerciale, peschereccio e turistico. struito a Porto Recanati, sulla proprietà del Pio do in un polo industriale. Nel 1911 si lavora ancora per erigere nuovi ca- Negli anni Trenta la Montecatini si era definitiIstituto della Santa Casa di Loreto. Non si conosce con certezza la motivazione per pannoni e impianti. vamente affermata, consolidando il proprio monopolio nel settore dei fertilizzanti chimici. cui venne scelta proprio Porto Recanati; forse per la posizione centrale nella regione e la vici- Durante la prima guerra mondiale vi fu un’alta nanza al mare; forse per la strada costiera che richiesta di acido solforico, necessario per la Durante la Seconda Guerra Mondiale l’impianto offre un ottimo collegamento; forse per la pre- produzione di esplosivi. In questo stesso pe- della Montecatini fu utilizzato come asilo per le senza della ferrovia; forse per le vantaggiose riodo nacque l’ombra di quella che diventererà mitragliatrici dell’antiaerea. Nella fabbrica era la Montecatini. anche attiva la resistenza: due partigiani furono condizioni d’acquisto del terreno. assunti come operai con lo scopo di evitare che Come già detto, l’impianto dello stabilimento fu La Montecatini assunse nel 1917 una grande i tedeschi razziassero macchinari e impianti. progettato dall’ing. Giuseppe Moro, con l’aiuto partecipazione nell’Unione Concimi; nel 1920 dell’ing. Enrico Bettinoni, che poi divenne diret- ebbe luogo la fusione e la Colla e Concimi entrò La gestione della fabbrica era piramidale: sotto 1.2 LA STORIA DELLA MONTECATINI [2]

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al direttore vi era il capotecnico, che doveva occuparsi dell’andamento generale della produzione e della gestione dei vari reparti; poi vi erano i fiduciari dei tre settori principali: il reparto solforico/impasto, la manutenzione e il carico e scarico dei prodotti. Vi erano poi il portiere e gli impiegati dell’ufficio amministrativo. Negli anni Cinquanta cambiò la provenienza delle materie prime, che iniziarono ad arrivare prevalentemente da miniere di proprietà della Montecatini. La sicurezza degli operai non era particolarmente tenuta in considerazione, lo dimostrano le testimonianze di numerosi incidenti, uno dei quali avvenne nel 1955, durante la costruzione del magazzino oggetto di questo studio: un operaio, privo di protezioni, cadde dall’impalcatura. All’epoca gli scarti della produzione venivano trasportati a nord da un trenino che passava su un binario che attraversava l’impianto, per poi scaricare tutto in mare. Fig. 2.23. Fabbrica Montecatini, 1910 Vi era poi un binario di collegamento con la ferrovia nazionale che permetteva il carico e lo scarico delle merci e dei prodotti della fabbrica. La fabbrica della Montecatini non rappresentò solo un posto di lavoro e un luogo di produzione; fu il simbolo dello sviluppo tecnologico della città e un luogo di aggregazione, grazie al dopolavoro e alle colonie estive. Porto Recanati, inoltre, è sempre stata una cittadina di pescaFig. 2.24. Fabbrica Montecatini vista dal mare, anni ‘60 tori, i quali, tornando a riva dopo una giornata in mare aperto, non appena vedevano i fumi della fabbrica capivano di essere arrivati a casa. Divenne, quindi, un vero e proprio simbolo. L’attività della fabbrica cessò nel 1971, dopo un lungo periodo di crisi. [2] Palanca L., Cuncimaru du pogu guadagnu

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2.ANALISI DEL CONTESTO

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Porto Recanati è sviluppata lungo la costa adriatica ed ha una posizione strategica, dal momento che si trova vicino ad Ancona, Loreto e Civitanova Marche. La vicinanza a questi centri è molto vantaggiosa, perchè permette scambi di vario genere, dal campo lavorativo a quello culturale ed economico. La rete di connessioni è agevolata da un servizio di autobus pubblici e dall’efficiente linea ferroviaria, che non solo collega questi piccoli centri tra loro, ma li mette in comunicazione anche con Bari e Bologna. La città è costeggiata dall’Autostrada Adriatica, che collega Taranto e Bologna, ed dalla Strada Statale 16, che connette Taranto e Padova. Dall’entroterra è facilmente raggiungibile da tre strade pronvinciali. Sono presenti anche dei percorsi ciclabili di connessione tra i centri, che potrebbero essere valorizzati connettendoli tra loro per creare una vera e propria rete ciclabile. Lo sviluppo della città, dunque, è longitudinale ed è scandito da tre assi principali: la ferrovia ad ovest, corso G. Matteotti al centro e il lungomare pedonale. Le connessioni trasversali avvengono tramite strade secondarie che potrebbero essere valorizzate in corrispondenza di punti di interesse pubblico, quali piazze, monumenti e giardini pubblici. Il tessuto edilizio è caratterizzato da villini, unifamiliari e plurifamiliari, e palazzine; vi sono un paio di casi di edifici a torre, moderni, ma in generale l’altezza è contenuta entro i cinque piani.

Fig. 2.25. Infrastrutture extraurbane

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Fig. 2.26. Mezzi pubblici e percorsi ciclabili

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Fig. 2.27. Infrastrutture urbane


Fig. 2.28. Tessuto edilizio

Fig. 2.29. CentralitĂ e servizi

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Fig. 2.30. Tratto del lungomare vicino al magazzino a copertura parabolica

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Fig. 2.31. Zona antistante il paraboloide vista dalla spiaggia

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Fig. 2.32. Zona antistante il paraboloide vista dal percorso ciclppedonale che costeggia la ferrovia

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3 . PA R A B O L O I D E D I P O R T O R E C A N AT I

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Il capannone a copertura parabolica di Porto Recanati fu costruito tra il 1955 e il 1956, all’interno dell’impianto industriale della fabbrica di perfosfati chimici della Montecatini. Questo edificio era usato come magazzino: come già spiegato nella sezione 2 di questo studio, le polveri venivano trasportate sul nastro trasportatore presente sulla galleria, dal quale venivano depositate per caduta; cadendo il materiale si disponeva naturalmente secondo l’angolo di riposo, di circa 35°, formando dei cumuli. Attorno al magazzino oggetto di studio, si sono aperte alcune discussioni: ci si chiede se sia stato progettato da Pier Luigi Nervi e, soprattutto, che destino abbia. Dalle ricerche condotte si presume che non sia stato progettato direttamente da Nervi, dal momento che non è stato trovato alcun collegamento diretto tra il manufatto e l’ingegnere (nessun disegno, nessun documento), ma probabilmente fu progettato prendendo come spunto i magazzini a copertura parabolica costruiti, negli anni precedenti, dallo stesso Nervi. Per quanto riguarda il suo destino, crediamo fermamente che debba essere restaurato con rispetto, riqualificato e riutilizzato. Il magazzino è in una posizione strategica sotto un punto di vista urbano: si trova in asse con il Corso Matteotti (l’asse centrale della città), costituendone il fuoco prospettico, o almeno fino a quando non furono costruiti i nuovi edifici residenziali. La sua posizione, dunque, esaltava la valenza monumentale dell’architettura industriale novecentesca. Fig. 2.33. Le nuove costruzioni interrompono l’asse visivo tra il padiglione con il centro storico

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3.1 IPOTESI COSTRUTTIVA Il magazzino è un edificio industriale realizzato interamente in cemento armato, disposto lungo l’asse nord-sud, posizionato a ridosso della spiaggia. Le dimensioni, 67 m di lunghezza, 49 m di larghezza e 18,50 m di altezza, rientrano negli standard dei paraboloidi di tipo comune.

La copertura è costituita da tre falde rivestite da pannelli ondulati di fibrocemento, che attualmente sono in via di rimozione a causa dell’alta presenza di eternit.

Successivamente sono stati realizzati i solai di copertura dei portici, realizzati in cemento armato con elementi di alleggerimento di laterizi (fig. 3.34 e).

Sui lati lunghi del magazzino sono presenti dei Infine sono stati collocati i pannelli di copertuportici coperti con solette di cemento armato; la ra, posizionati tra un arco e l’altro e poggiati sui fascia centrale del portico ad est è rialzata di 30 travetti di collegamento (fig. 3.34 f). Studiando i documenti tecnici di edifici si- cm, creando ulteriori fasce di luce. mili, come i paraboloidi di Ravenna e Manfredonia, si è ipotizzato che le fondazioni siano Sono state ipotizzate le fasi costruttive del mastate realizzate con travi continue perimetrali di nufatto, partendo da documenti tecnici relativi 300 x 150 cm di sezione, in corrispondenza delle ad altri paraboloidi. imposte degli archi, e di 150 x 150 cm sotto i pilastri del portico est. Le travi di fondazione Per prima cosa è stato realizzato lo scavo dove dovrebbero essere collegate da catene poste sono state gettate in opera le travi continue di in corrispondenza degli archi, quindi con un fondazione, collegate dalle catene. Si ipotizza interasse di 6 m. che le fondazioni siano state realizzate in due momenti diversi, come è avvenuto per gli archi Il capannone è costituito da 12 archi parabolici (fig. 3.34 a). La pavimentazione base è realizzata in cemento armato, disposti in serie con un in- con una soletta di calcestruzzo di 15 cm e 2 cm terasse di 6 m; gli archi sono spessi 30 cm e la di pavimento antiacido. sezione è rastremata in chiave. Gli archi seguono lo schema statico dell’arco a due cerniere. Per la realizzazione degli archi si ipotizza che Probabilmente in origine furono costruiti 9 archi, siano state utilizzate delle centine lignee per a cui ne furono aggiunti altri 3 sul fronte setten- contenere il getto di calcestruzzo. Probabiltrionale; quest’ipotesi si basa sull’osservazione mente il disegno del profilo parabolico è stato del raddoppiamento del nono arco. fatto a terra attraverso la connessione di un sistema cartesiano di punti (fig. 3.34 b). Gli archi sono collegati in chiave dalla galleria appesa a dei tiranti, sempre in cemento arma- I dodici archi sono ripetuti in serie. È probabile to; oltre alle travi secondarie di collegamento che per la realizzazione dell’opera siano state degli archi, sono presenti degli elementi di ir- utilizzate solo due o tre centine (fig. 3.34 c). rigidimento. Questi listelli di cemento armato hanno la sezione di 5 x 25 cm, disposti perpen- Si ipotizza che i travetti siano stati poggiati tra dicolarmente all’estradosso degli archi, con un gli archi e bloccati con un getto di completainterasse di 40 cm; oltre alla funzione di contro- mento di calcestruzzo sull’estradosso degli archi ventamento, sono gli elementi di appoggio dei (fig. 3.34 d). pannelli di copertura. 96


Fig. 2.34 a. Fondazioni

Fig. 2.34 b. Modulo base degli archi

Fig. 2.34 c. Archi in serie

Fig. 2.34 d. Travetti di collegamento

Fig. 2.34 e. Solai di copertura dei portici

Fig. 2.34 f. Pannelli di copertura degli archi

97


3.2 STUDIO MATEMATICO

La curva in chiave all’intradosso, invece, è descritta dalla circonferenza, centrata in C, di Per comprendere il processo costruttivo e sta- equazione: tico della struttura del magazzino, è stato condotto uno studio matematico, mirato alla ricerca x ² + y ² - 16,13 y = 0 della curva descritta dall’intradosso degli archi. Per verificare che la curva dell’arco sia una paSono state portate avanti tre ipotesi per capire rabola sono state prese delle corde parallele tra se la curva fosse una parabola, una catenaria o loro [3]. un’iperbole. Dal momento che i punti medi delle corde sono L’ipotesi della catenaria è stata scartata; la curva allineati su una retta parallela all’asse di simmecatenaria, infatti, è caratterizzata da un’altezza tria, la curva analizzata è effettivamente una pamaggiore e una larghezza minore rispetto a rabola (fig. 3.35.). quelli del magazzino di Porto Recanati. L’iperbole, invece, è stata scartata perchè risultava troppo aperta rispetto a quella effettiva degli archi. Si è dunque proceduto ipotizzando che gli archi fossero parabolici; è stata analizzata sono una metà dell’arco, sfruttando la simmetria della struttura. Sono stati presi tre punti dell’intradosso dell’arco, prendendo arbitrariamente come riferimento degli assi cartesiani coincidenti con la linea di terra e l’asse di simmetria della struttura: - punto A (4; 14,76) - punto B (8; 11) - punto D (12; 5,15) Una volta calcolata l’equazione della parabola passante per questi punti, prendendo dei valori arbitrari delle ascisse, si è verificato che altri punti dell’intradosso dell’arco appartenessero a questa stessa curva. L’equazione della parabola degli archi è: 98

y = - 0,07 x ² - 0,1 x + 16,28

Fig. 2.35. Verifica attraverso una serie di curve parallele tra loro [3] Ghione F., Una non parabola: la catenaria, con qualche cenno al calcolo della sua equazione


F

G

H C I

D

E

Fig. 2.36a. Studio matematico paraboloide di Porto Recanati

99


Fig. 2.36b. Studio matematico condotto dalle autrici sul paraboloide di Ravenna

100


Fig. 2.36c. Studio matematico condotto dalle autrici sul paraboloide di Manfredonia

101


3.3 STATO ATTUALE E IPOTESI DI RESTAURO

tramite martellinatura o scalpellinatura, e pulirla Sarebbe inoltre opportuno un consolidamento ricorrendo a sabbiatura a secco. della passerella della galleria, per permetterne Il magazzino industriale di Porto Recanati verte in In secondo luogo è necessario pulire i ferri di l’uso pedonale in sicurezza. stato di abbandono dalla chiusura dell’impianto armatura per asportare polvere e eventuale rugproduttivo nel 1971. gine. In presenza di salsedine marina, l’armatura È stato lasciato alle intemperie, alle mareggiate, resistente deve distare dalle facce esterne del all’incuria e al vandalismo, motivo per cui pre- copriferro 40 mm per travi e pilastri. senta degli evidenti segni di degrado su cui occorrerebbe intervenire. Per ricostruire il copriferro si procede bagnando il supporto per ottenere un sottofondo saturo Attualmente sono in corso le operazioni di ri- di acqua a superficie asciutta. mozione dell’eternit dalla copertura. Questi Si possono poi proteggere i ferri di armatura appannelli potrebbero essere sostituiti da pan- plicando a pennello una mano di boiacca pasnelli in ferrocemento, un materiale brevettato da sivante anticarbonatante, fino ad ottenere uno Nervi e utilizzato quasi sempre nei suoi progetti. strato continuo di 1 mm. Il vantaggio dell’utilizzo di questa soluzione con- Dopo 24 ore dalla seconda mano di boiacca sentirebbe di mantenere un ridotto spessore antiruggine, si applica una malta di leganti idraudei pannelli, riprendendo la scansione pannel- lici ad alta adesione. lare del manufatto originario. Per regolarizzare la superficie si procede alla raRisulta evidente la necessità di sostituire le so- satura con idoneo rasante, applicabile con una lette di copertura dei portici laterali, che in al- cazzuola o mediante spruzzo. cuni punti risultano mancanti o notevolemente degradati. La protezione finale avviene attraverso l’applicazione di una pittura protettiva anticarIn vari punti della struttura, inoltre, sarebbe ne- bonatazione del calcestruzzo. cessario sostituire il copriferro per evitare che le armature degli elementi strutturali siano esposti Nel caso in cui vada ricostruita la sezione di alle intemperie, aumentandone ulteriormente il elementi con funzione portante, come travi, degrado. pilastri e architravi, si segue il procedimento deNelle opere di recupero si dovrà attenersi alle scritto sopra, ma con alcune precisazioni. norme contenute nella legge 1086/71 e alle relative norme tecniche del DM LLPP 9 gennaio Si rimuove il calcestruzzo lesionato; si ricucisco1996. no eventuali lesioni; se necessario si posiziona la nuova armatura, per poi procedere al ripriPer ripristinare il calcestruzzo occorre seguire stino della sezione. delle operazioni necessarie per garantire Fig. 2.37. Ricostruzione copriferro in cemento armato l’affidabilità e la durata dell’intervento. Eventuali fessurazioni sono ricucibili attraverso In primo luogo occorre asportare il calcestruzzo iniezioni a bassa pressione di resine [4]. [4] Franceschi S., Germani L., Manuale operativo per il degradato, irruvidire la superficie d’intervento restauro architettonico

102


Consolidamento galleria

Sostituzione dei pannelli di copertura

Risanamento solaio di copertura dei portici

Ripristino del copriferro e ricucitura delle fessurazioni

Fig. 2.38. Indicazione dei punti con maggiore necessitĂ di un intervento di restauro

103


3.4 IPOTESI PROGETTUALE: LA LEGA NAVALE

sate tramite un apposito montacarichi; una scala elicoidale, all’ingresso sud del paraboloide, e una rampa, adiacente alla Lega Navale, conIl magazzino a copertura parabolica di Porto sentiranno l’accesso pedonale. Recanati è sottoposto alla tutela dei Beni Culturali, quindi qualsiasi tipo di intervento dovrà Inoltre, la scala elicoidale permette anche essere approvato dalla Soprintendenza. l’accesso alla galleria, per riportare in vita l’antico uso della struttura; da questa passerella, infatti, sarà possibile ammirare non solo il panorama, Il progetto verte alla riqualificazione rispettosa ma anche lo spazio parabolico del magazzino e del manufatto per portarlo a nuova vita. immaginarne l’uso che ne veniva fatto ai tempi dell’attività della fabbrica. Il primo obiettivo, a scala urbana, è quello di riconnettere l’area del paraboloide al centro cittadino, prolungando il lungomare pedonale in prossimità dell’edificio, per permettere anche il collegamento con la località di Scossicci, attualmente in posizione marginale. Per unificare questo percorso si è pensato di trovare degli snodi chiave dove posizionare dei totem che raccontino la storia della città e della sua avventura industriale, creando un “fil rouge” di punti di cultura del luogo e aggregazione. Attualmente è presente a nord del paraboloide un piccolo prefabbricato che ospita la Lega Navale, che si è pensato di spostare in un nuovo edificio basso in prossimità del magazzino. Il capannone, dunque, sarà attraversato, lungo l’asse nord-sud, da un piano che, come una lingua, esce dal paraboloide e ospita sotto di sè la nuova Lega Navale. Nel paraboloide, quindi, si avranno due piani: al piano terra è previsto un rimessaggio barche e un percorso pubblico con i totem del “fil rouge” del lungomare; al di sopra del piano, invece, troveranno posto le barche armate con la vela, pronte per l’uso quotidiano. Queste verrano is104


Fig. 2.39. Connessioni urbane

105


Fig. 2.40. Planivolumetrico di progetto

106


Fig. 2.41. Fotoinserimento del progetto

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4.ARCHIVIO FOTOGRAFICO

108


Fig. 2.42. Prospetto sud

109


Fig. 2.43. Prospetto nord

110


Fig. 2.44. Portico est

111


Fig. 2.45. Vista dell’interno

112


Fig. 2.46. Vista dell’interno della copertura e del solaio della galleria

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114


BIBLIOGRAFIA E ICONOGRAFIA

115


STORIA Palanca L., Cuncimaru du pogu guadagnu. La fabbrica di concimi chimici a Porto Recanati, 1907-1971, in Potentia. Archivi di Porto Recanati e dintorni, anno VI, n. 19, speciale 2005, Centro Studi Portorecanatesi, Fondazione Mengoni http://turismo.comune.porto-recanati.mc.it/alla-scoperta-del-comune/la-storia/ http://www.centrostudiportorecanati.it http://www.marche.beniculturali.it/index.php?it/165/porto-recanati-potentia STUDIO MATEMATICO Ghione F., Una non parabola: la catenaria, con qualche cenno al calcolo della sua equazione, in Quaderni di laboratorio 2009. RESTAURO Franceschi S., Germani L., Manuale operativo per il restauro architettonico: metodologie di intervento per il restauro e la conservazione del patrimonio storico, DEI, Roma 2010

116


ICONOGRAFIA Immagine presentazione sezione 2: Fig. 2.1. Foto scattate dalle autrici Fig. 2.2. http://www.centrostudiportorecanati.it/lastoria/lastoria.htm Fig. 2.3. Libro della Marina di Piri Re’is, ammiraglio e cartografo del sultano Solimano, 1526 Fig. 2.4. http://www.davidrumsey.com/luna/servlet/view/search/where/Italy?q=mediaCollectionId%3D%22RUMSEY%7E8%7E1%22&os=100 Fig. 2.5. https://www.raremaps.com/gallery/archivedetail/35461/Map_of_South_Italy_and_Adjacent_Coasts_1807/Arrowsmith.html Fig. 2.6,7,8,9. http://www.igmi.org/voli/ Fig. 2.10. https://www.google.it/maps/place/Porto+Recanati+MC/@43.4260406,13.6440016,5815m/data=!3m2!1e3!4b1!4m5!3m4!1s0x13327a73 054e6521:0x665da12dee4b845a!8m2!3d43.4320959!4d13.6641282 Fig. 2.11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24. Archivio storico di Porto Recanati https://www.facebook.com/portorecanatiturismo/photos/?tab=album&album_id=459414577514530 Fig. 2.25, 26, 27, 28, 29. Schemi delle autrici Fig. 2.30, 31, 32. Foto scattate dalle autrici Fig. 2.33. Archivio storico di Porto Recanati Fig. 2.34 a,b,c,d,e,f. Schemi delle autrici Fig. 2.35,36 a,b,c. Schemi delle autrici Fig. 2.37. Franceschi S., Germani L., Manuale operativo per il restauro architettonico, parte seconda, pag. 347 Fig. 2.38,39,40,41. Disegni delle autrici Fig. 2.42,43,44,45,46 Foto scattate dalle autrici

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1830-1890 LA NASCITA DELL’INGEGNERIA MODERNA

1890-1935 L’AVVENTO DEL CEMENTO ARMATO. IL PERIODO PIONERISTICO

Viadotto di Castellaneta, 1868

Ponte sull’Adda, 1889

Ponte sulla Bormida a Millesimo,1902

Viadotto di Castellaneta sulla ferrovia Bari-Taranto di Alfredo Cottrau

Durante il periodo napoleonico nascono i corpi di ingegneri dello Stato e le scuole di preparazione della nuova figura professionale

1796-1815

Unità d’Italia. Si sviluppa la rete ferroviaria e ai numerosi ponti importati si affiancano i primi ponti metallici realizzati da imprese italiane.

1861

1868

Ponte di Ronciglione, 1928

Ponte Risorgimento a Roma di G. A. Porcheddu, unico concessionario in Italia del brevetto Hennebique. Il ponte è realizzato in occasione del cinquantenario dell’Unità d’Italia

Ponte sull’Adda a Paderno, officine Savigliano.

Si deposita in Italia il brevetto Hennebique sul cemento armato

Si perfeziona il dimensionamento dei ponti ad arco reticolare Si deposita in Italia il brevetto Monier sul cemento armato

1873

Ponte Risorgimento, 1911

1936-1945 GLI ANNI DELL’ AUTARCHIA

1889

Termina la Prima Guerra Mondiale. Durante la ricostruzione post bellica continua la sperimentazione sui ponti ad arco in cemento armato

Viene brevettato il sistema tubo-giunto di F. Innocenti La centina sarà un elemento fondamentale nei cantieri italiani delle grandi strutture in cemento armato

Stadio Berta a Firenze di P. L. Nervi, in cui il progettista sperimenta le potenzialità formali del cemento armato

1911 1918

1931

1922

1925-1926

Casal Monferrato, ing. Radici, ex Italcementi, tipo comune, per lo stoccaggio del clinker; attualmente non utilizzato. Fuori terra speroni alti 4 m che sostengono la volta. Copertura parabolica spessa 9 cm; galleria aperta esterna alla copertura; testate piene

1930

Romano di Lombardia (Bergamo), ex Montecatini, tipo comune con chiave ribassata, per fertilizzanti fosfatici; attualmente usato per altri scopi. Tamponature di testata con mattoni a vista; pensiline su entrambi i lati

Merano - Sinigo (Bolzano), ex Montecatini, tipo comune, per fertilizzanti azotati, demolito. Copertura in laterocemento; base degli archi lasciata a vista; abbaini circolari aperti nella copertura; galleria in chiave decorata con aperture; testate chiuse

Casal Monferrato

Aviorimessa Orvieto, 1936 Aviorimessa Orvieto, 1936

Merano-Sinigo

1934

Si aprono due strade dell’ingegneria italiana: quella della resistenza per forma e quella della precompressione

Finisce la Seconda Guerra Mondiale

Il fascismo proclama il regime di autarchia. Il poco ferro disponibile viene utilizzato per l’industria bellica, così l’impiego del cemento armato viene inizialmente limitato, poi, nel 1939, proibito

Nervi sperimenta il “Sistema Nervi” unendo la prefabbricazione e il ferrocemento e progetta la seconda serie di aviorimesse

Viene importato in Italia, da Ceradini e Galli, il ponte “tipo Maillart”

1936

1930-1935

Nera Montoro (Terni), ex Terni Industrie Chimiche, tipo comune, per fertilizzanti azotati, uso attuale nessuno. Testate chiuse, galleria esterna

Ascoli Piceno, ex Carburo, tipo comune, per fertilizzanti azotati, attuale rimessa. Dimensioni in pianta molto ridotte, sviluppo in altezza con effetto a torre; montacarichi a tazze sulla testata nord; testate chiuse

G. Colonnetti brevetta la precompressione

Nervi brevetta il ferrocemento

1943

1939

1945

1940 Vado Ligure (Savona), ex APE, tipo comune, per fertilizzanti azotati, uso attuale nessuno. Copertura originaria sostituita da pannelli in fibrocemento; testate chiuse e galleria esterna alla volta

Taranto, ex Oleificio Costa GOI, tipo a sesto ribassato, per semi oleari, uso attuale nessuno. Copertura pseudo-parabolica a sesto ribassato interrotta da due abbaini perpendicolari agli archi; due nastri trasportatori, uno per l’entrata del materiale e uno per l’uscita

Con l’avvento del cemento armato nasce la Scuola italiana d’ingegneria. Il cemento armato trova ampia diffusione in Italia, in quanto si presenta come un materiale moderno ma, allo stesso tempo, compatibile con la tradizione artigianale del cantiere dell’opera muraria. Inizia un periodo in cui spesso la pratica precede la teoria. Negli stabilimenti chimici prendono piede le prime sperimentazioni sui silos per lo stoccaggio delle polveri; inizialmente questi magazzini sono realizzati interamente in opera.

Vado Ligure

Taranto

Durante il periodo dell’autarchia si aprono due strade dell’ingegneria: quella della resistenza per forma, guidata da Nervi e Danusso, e quella della precompressione, guidata da Colonnetti, Morandi e Zorzi. I magazzini industriali rientrano nel filone della ricerca della resistenza per forma.

Salone B Torino,1948

Ponte S. Niccolò a Firenze, R. Morandi 1948

Viene fabb della Term prog archi Leo C Euge

Ricostruzione del Ponte S. Niccolò a Firenze, di R. Morandi. Sulla linea della resistenza per forma si determina il rilancio del ponte ad arco

Gli Stati Uniti attuano un piano di aiuti economicofinanziari per la ricostruzione dell'Europa, denominato “Piano Marshall” o European Recovery Program (ERP)

Inizia la ricostruzione dei ponti distrutti durante la guerra

Margherita di Savoia (Marghera), Atisale, tipo comune, magazzino del sale, uso attuale nessuno. Progetto di Nervi; inserito in un edificio tradizionale a falde sovrapposte e sviluppo pseudo piramidale; gli archi parabolici si percepiscono solo dall’interno. Posto sotto tutela come bene culturale

Margherita di Savoia

Manifesto del Piano Marshall

Aviorimessa Orbetello, 1940

Nervi progetta e costruisce la prima serie di aviorimesse di Orvieto

La prova con i modelli diventerà un importante supporto per la progettazione di strutture complesse e iperstatiche

Ponte sulla Bormida a Millesimo di G. A. Porcheddu

1892 1902

Stadio Berta, 1930

Arturo Danusso fonda il laboratorio “Prove modelli e costruzione” presso il Politecnico di Milano.

1946-1955 GLI ANNI DELLA RICOSTRUZIONE

Salone B a Torino Esposizioni, di P. L. Nervi. Il sistema Nervi viene applicato alle grandi coperture

1947 1946-1957

Ricos Pont Pisa, C. Pa sfrutt volta form

Con il Piano Fanfani inizia l’attività di ricostruzione abitativa pubblica (Piano INA-Casa) e infrastrutturale, che proseguirà fino al 1963

Danu Berg (Istitu Sper e Str

1949 1948-1955

Crotone, ex Montecatini, tipo comune con chiave ribassata, per fertilizzanti fosfatici, uso attuale nessuno. Estradossi a vista; tamponamenti forati nella parte superiore delle testate e nei lati lunghi. Il secondo paraboloide ha testate tamponate con mattoni a vista e copertura con pannelli ondulati

Castelfiorentino

Viene fondata l’Associazione Italiana del Cemento Armato Precompresso (AICAP), presieduta da Cestelli Guidi

1950 19

1948-1956

Castelfiorentino, ex Montecatini, tipo con copertura continua, per fertilizzanti fosfatici, uso attuale nessuno. Primo prototipo a copertura continua; le particolari aperture lungo la copertura ne fanno il precursore del tipo lamellare

Catania, ex Montecatini, tipo comune con chiave ribassata, per fertilizzanti fosfatici, attualmente usato per altri scopi

Assisi, ex Montecatini, tipo comune con chiave ribassata (1) e rinforzata (2), per fertilizzanti fosfatici, attualmente ospita funzioni culturali. Corpo pluripiano posizionato al centro per lo smistamento del prodotto. Estradosso degli archi a vista; aperture a lunette sui lati lunghi; pensiline laterali con volte a sesto ribassato; tamponamenti in forati e cemento che nascondono gli archi. Il secondo paraboloide ha tamponamenti in laterizio per le testate. Sottoposti entrambi a tutela come beni culturali; restaurati

Assisi

Portogruaro (Venezia), ex Fabbrica Perfosfati, tipo a copertura lamellare, per fertilizzanti fosfatici, uso attuale nessuno; progetto dell’ing. Guido Ceruti. Strutture prefabbricate; due paraboloidi contigui e sovrapposti; gli archi non sono strutture piene ma sono costituiti da archi accoppiati a parete alleggerita. La copertura è una sorta di capriata parabolica, rivestita da tegole; ampie vetrate a nastro

Portogruaro

Lo sfruttamento della resistenza per forma, grazie alla plasmabilità del cemento armato, resta centra Nervi applica le sue sperimentazioni anche ai magazzini industriali, cercando di far coincidere la ris Nell’immediato dopoguerra, inoltre, l’industria dei fertilizzanti fosfatici si sviluppa notevolmente e m stoccaggio.


1956-64 GLI ANNI DEL BOOM ECONOMICO

Ponte di Mezzo a Pisa, 1950

Fabbricato di testa della stazione Termini, 1950

Palazzetto dello sport, 1957

Palazzo dello sport, 1960

Palazzetto dello Sport di Nervi. La grande volta ribassata è costituita interamente da elementi prefabbricati in ferrocemento, realizzati a piè d’opera

Il Presidente della Repubblica Gronchi approva la legge 463, che descrive le modalità di realizzazione del piano di collegamenti autostradali per potenziare il trasporto automobilistico privato, firmato dal ministro dei Lavori Pubblici Romita

struzione del te di Mezzo a , di G. Krall e ascoletti. Si ta ancora una a la resistenza per ma

usso istituisce, a gamo, l’ISMES uto rimentale Modelli rutture)

Costruzione di nuovi impianti e rinnovamento delle strutture esistenti per accogliere le Olimpiadi di Roma: Velodromo, stadio del Nuoto (Musmeci e Morandi), stadio Flaminio, Palazzo e Palazzetto dello Sport, viadotto di Corso Francia (Nervi)

Viadotto sull’Aglio, 1960

1952 Tortona (Alessandria), ex Deposito Sali e Tabacchi, tipo comune, magazzino del sale, uso attuale nessuno; progetto di Nervi. Due magazzini gemelli; passerella di scarico in mattoni posta al di sopra della volta; superficie interna della copertura costituita da una trama intrecciata di archi parabolici inclinati a 45° rispetto all’asse dell’edificio; il primo metro in alzato delle strutture portanti era rivestito di legno per evitarne la corrosione a contatto con il sale

1953-1956

1953-1956

Mantova, ex Fabbrica Mantovana Concimi Chimici, tipo a copertura lamellare, per fertilizzanti fosfatici, uso attuale nessuno; progetto dell’ing. Minghetti. Testate a vetro e copertura lamellare con quattro lucernari su tutta la lunghezza. Tutelato dalla Soprintendenza come opera architettonica di

Porto Empedocle, ex Montecatini-Akgras, tipo comune con chiave rinforzata, per fertilizzanti fosfatici, in fase di ristrutturazione per diventare un centro polifunzionale. Lunghezza record di 215 m; introduzione di torrette mupltipiano per l’automatizzazione dell’insacco e della distribuzione

Napoli, ex IMAD, tipo comune, per fertilizzanti azotati, restaurato e e adibito a magazzino di prodotti agricoli. Un’estremità è integrata da un edificio in cemento armato, l’altra è priva di tamponamento

Cerea (Verona), ex Fabbrica Cooperativa Perfosfati, tipo a copertura lamellare (1) e comune (2), per fertilizzanti fosfatici, restaurato e trasformato in centro culturale e espositivo. Progetto dell’ing. Minghetti.Il primo è tutelato come bene culturale

Mantova

Cerea

Bagnolo Mella (Brescia), ex Consorzio Agrario, tipo a copertura lamellare, per fertilizzanti fosfatici, uso attuale nessuno; progetto dell’ing. Minghetti. Testata vetrata e copertura lamellare a tre falde

1954

1954-1955

Bologna, ex Manifattura Tabacchi, tipo comune, magazzino del sale, uso attuale nessuno; progetto di Nervi. Copertura realizzata tamponando all’intradosso degli archi; cerniere degli archi sfalsate rispetto all’asse centrale. Tutelato come bene culturale Piacenza, ex Consorzio Agrario, tipo a copertura lamellare, per fertilizzanti fosfatici, uso attuale nessuno. Volta a tre falde distribuite lungo tutta la copertura; testate tamponate con mattoni a vista, paraste in cemento armato e ampie finestre a nastro

Bagnolo Mella

ale nella ricostruzione e determina il rilancio del ponte ad arco e le originali volte sottili di Nervi. soluzione statico-costruttiva con quella estetica e funzionale. molti impianti chimici vengono rinnovati, con la conseguente realizzazione di numerosi magazzini di

Piacenza

1955

Molti dei ponti e viadotti sono realizzati seguendo lo schema del ponte ad arco e della resistenza per forma. L’artigianalità caratterizza il cantiere. La centina Innocenti richiede mano d’opera numerosa ma il materiale viene recuperato (a differenza dalla tradizionale centina in legno)

Legnago (Verona), ex Montecatini, tipo comune “Montecatini”, per fertilizzanti fosfatici, uso attuale nessuno. L’arco è composto da una sequenza di segmenti inclinati; copertura in calcestruzzo; testate in mattoni a vista. Costituisce un vero e proprio modello

Saline di Volterra (Pisa), Atisale, tipo comune, magazzino del sale, uso attuale come in origine; progetto di Nervi. A differenza degli altri magazzini di Nervi, la copertura non è innervata.

Porto Recanati, ex Montecatini, tipo comune con chiave rinforzata, per fertilizzanti fosfatici, uso attuale nessuno. Unico caso che presenta le testate prive di tamponamenti. Copertura con pannelli ondulati in fibrocemento. Tutelato come bene culturale

Cagliari-Santa Gilla, ex Montecatini, tipo comune “Montecatini”, per fertilizzanti fosfatici, restaurato e trasformato in centro commerciale e terziario

Legnago

Vercelli, ex Montecatini, tipo comune “Montecatini”, per fertilizzanti fosfatici, uso attuale nessuno. Due magazzini collegati in chiave per il collegamento dei nastri trasportatori. Progettati dalla Direzione Tecnica Montecatini, con il contributo dell’ing. Giuseppe Borio

Volterra

Porto Recanati

Priolo

Disastro della diga del Vajont

Iniziano i lavori per la Salerno-Reggio Calabria

Approvazione del progetto definitivo, di Morandi e Zavitteri per la costruzione dell'aeroporto di Roma-Fiumicino

1960 1957

Priolo (Parma), ex SINCAT, tipo a copertura continua, per fertilizzanti azotati e complessi, uso attuale nessuno. Sette silos parabolici automatizzati, organizzati in tre coppie più uno; archi poggiati su speroni interni; copertura continua in laterocemento con una serie di lucernari

Grattacielo Pirelli, 1960

1958-1959

1958-1962

1963-1967 1962

Castelguelfo (Parma), ex Montecatini, tipo comune, per fertilizzanti fosfatici, attualmente utilizzato come magazzino

Campofranco (Caltanissetta), ex Montecatini, tipo comune con chiave ribassata, per kainite e fertilizzanti, uso attuale nessuno. Il primo ha gli estradossi a vista e i tamponamenti in mattoni. Il secondo ha la copertura e i tamponamenti in laterocemento

Cagliari, ex Saline di Stato, tipo comune, magazzino del sale, uso attuale nessuno; progetto di Nervi. Copertura costituita da un’esile soletta in laterizio sovrapposta esternamente agli archi

Barletta, ex Montecatini, tipo comune “Montecatini”, per fertilizzanti fosfatici, uso attuale come in origine. Unico magazzino a svolgere ancora la sua funzione originaria

Vasto (Chieti), Industrie Chimiche Puccioni, tipo comune, per fertilizzanti fosfatici, uso attuale come in origine. Testate tamponate in mattoni e copertura continua in pannelli ondulati

Russi (Ravenna), ex zuccherificio Eridania, tipo comune con chiave ribassata, per lo zucchero, demolito. Una testata è occupata da un corpo di fabbrica, l’altra ha una griglia di cemento armato tamponata sempre in cemento, con alcune aperture

Ravenna, ex SIR, tipo comune con chiave ribassata, per fertilizzanti azotati, uso attuale nessuno; progetto dell’ing. Elio Segala. Tre interassi vetrati lungo la copertura e finestre a nastro. Torrette inserite nella volta parabolica. Testate tamponate in laterizio, senza aperture. Tutelato come bene culturale

Ravenna, ex ANIC, tipo a copertura continua (1) e comune (2,3), per fertilizzanti azotati e complessi, uso attuale come in origine; progettati da Piero Pozzati e Ivanoe Balatroni. Un paraboloide a copertura continua e due paraboloidi gemelli con archi prefabbricati a tre cerniere

Porto Marghera (Mestre), ex Deposito Sale, tipo comune, magazzino del sale, attualmente usato per altri scopi; progetto preliminare di Nervi. Integrato da una serie di gru per il caricamento delle navi; torre con elevatore a cestelli. Restaurato

Venezia-Mestre, ex Vetrocoke, tipo comune con chiave ribassata (1°-1959) e copertura continua (2°-1966), per fertilizzanti azotati, attualmente usato per altri scopi; progetto dell’ing. Carlo Pradella. Volte poggiate su muri alti 6,5 m rinforzati da contrafforti triangolari.

Torviscosa (Udine), ex SNIA Viscosa, tipo comune, per fertilizzanti azotati, uso attuale nessuno. Copertura continua scandita dagli estradossi degli archi; testate e struttura sommitale tamponate con laterizi. Gli estradossi a vista e la forma della galleria ricordano il modello nerviano

Venezia-Mestre, ex Montecatini, tipo a copertura continua, per fertilizzanti complessi, uso attuale nessuno. Il primo (1962) ha tamponamenti in pannelli ondulati di fibrocemento; prefabbricazione dei moduli che formano l’arco parabolico. Anche il secondo è realizzato con strutture prefabbricate

Ravenna, ex SIR

Ravenna, ex ANIC

Porto Marghera

Venezia-Mestre

Torviscosa

Venezia-Mestre

Viadotto I

Viadott fiume L progett Cestelli Miranda

Morandi inventa il cavalletto strallato in cemento armato in precompresso (e non in acciaio). Lo realizza prima nel viadotto sul Polcevera, poi nel viadotto alla Magliana e nelle aviorimesse dell’Alitalia nell’aeroporto di Fiumicino

Torre della Borsa (Stock Exchange Tower) di Montréal, Canada, su progetto architettonico di Moretti e progetto strutturale di Nervi

1961

1959

Viadotto sul Polcevera, 1967

Viadotto nel tratto di Autostrada Roma-Aeroporto di Fiumicino presso la Magliana, Roma, architetto R. Morandi.

Grattacielo Pirelli a Milano, progettato da Ponti, Nervi e altri

Olimpiadi invernali di Cortina d’Ampezzo

1955-1960

Viadotto Poggettone e Pecora Vecchia, anni Sessanta

Celebrazioni per il Centenario dell’Unità d’Italia a Torino. Per l’occasione vengono costruiti la monorotaia ALWEG, il Palazzo del Lavoro (P. L. Nervi) e il Palazzo delle Mostre (F. Levi, A. e G. Rigotti)

Iniziano i lavori per la costruzione dell’Autostrada del Sole.

1956

951

Tortona

Viadotto sul Gambellato, 1959

Viadotto sul Merizzano, 1959

e inaugurato il bricato di testa a Stazione mini a Roma, gettato dagli itetti Calini e enio Montuori

1964-2000 GLI ANNI DEL

Nella mostra Twenty Century Engineering al Moma di New York l’ingegneria italiana è presente con il maggior numero di opere dopo gli Stati Uniti

Il 4 Otto inaugur l’Autos Sole; m prosegu per la S Reggio

1964

1963 Gela, ex ANIC, tipo comune, per fertilizzanti azotati, uso attuale nessuno. Tre magazzini gemelli; archi prefabbricati su speroni; copertura in pannelli di fibrocemento

1964-1970

Pasqua ex mini Pasqua tipo a c continu kainite potassic attuale Tre silos tampon lateroce grandi r ponte c la curva volta

Porto E ex Mon tipo a c continu fertilizza comple attuale Copert pannell fibrocem parabo prefabb

Gela

Negli anni del boom la Scuola italiana di ingegneria arriva al culmine del suo sviluppo e successo. Nei grandi eventi: la linea della resistenza per forma trova il suo compimento nel ponte ad arco dell’autostrada e nelle cupole di Nervi; la tecnologia del precompresso giunge alla sua maturazione e suggerisce le invenzioni di Morandi e di Zorzi. Nel dopoguerra la società Edison avvia la costruzione del più grande petrolchimico nazionale a Marghera, che poi verrà assorbito dalla Montedison; l’imponente concentrazione di impianti chimici favorisce la costruzione di numerosi silos parabolici. A Marghera si sperimentano i primi paraboloidi costituiti da moduli prefabbricati. La prefabbricazione permette di raggiungere dimensioni che non erano mai state realizzabili fino a quel momento e velocizza notevolmente i processi costruttivi .

Pasquasia

La Scuola di ingegne e in Italia; i viadotti di Il fenomeno dei maga I paraboloidi più recen Sebbene il sistema co essenzialmente invaria


LL’ AUSTERITY

BIBLIOGRAFIA STORIA E SVILUPPO DELL’INGEGNERIA ITALIANA Poretti S., Iori T., Sixxi. Storia dell’ingegneria strutturale in Italia, n. 1, Roma, Gangemi Editore, 2014 Poretti S., Iori T., Sixxi. Storia dell’ingegneria strutturale in Italia, n. 2, Roma, Gangemi Editore, 2015 Poretti S., Iori T., Sixxi. Storia dell’ingegneria strutturale in Italian, n. 3, Roma, Gangemi Editore, 2015 Poretti S., Iori T., Rassegna di architettura e urbanistica. Ingegneria italiana, Anno XLI, n. 121-122, Edizioni Kappa, 2007 Aula delle Udienze Pontificie, 1971

Italia, 1964

Ponte sul Basento, Potenza, di Sergio Musmeci

to Italia sul Lao, tato da i Guidi e de a

La forma è calcolata scientificamente in base all’andamento delle sollecitazioni

obre viene rata strada del mentre uono i lavori Salernoo Calabria

Poretti S., Iori T., Rassegna di architettura e urbanistica. La scuola italiana di ingegneria, Anno LI, n. 148, Editore Quodlibet, Gennaio-Aprile 2016

L’Italia è ormai scomparsa dallo scenario delle nuove opere d’ingegneria

Nervi realizza opere in tutto il mondo. L’aula delle udienze pontificie in Vaticano è una versione speciale - più sofisticata e pregiata - del sistema Nervi

Viene indetto un concorso internazionale di idee per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina

Vengono terminati i lavori, approvati nel ’60, della Metro A di Roma e del ponte sul Tevere di Zorzi e Morandi

1967 1966-1968

1969

1970

1971

asia (Enna), iera di asia, copertura ua, per e fertilizzanti ci, uso nessuno. s parabolici; namenti in emento; raschiatrici a che seguono atura della

Crotone, ex Montecatini, tipo a copertura continua, per fertilizzanti complessi, demolito. Archi prefabbricati collegati da numerosi arcarecci; copertura in pannelli ondulati di fibrocemento

Venezia-Mestre, ex Nuova Sirma, tipo a copertura continua, per la chamotte, uso attuale nessuno. Tamponamenti in pannelli ondulati; archi prefabbricati in c.a. ma in struttura reticolare. Archi collegati longitudinalmente da una struttura prefabbricata in c.a. a forma di croce di

Venezia-Mestre, ex Montedison, tipo a copertura continua, per il cloruro di sodio, uso attuale nessuno. Costruito con elementi prefabbricati, tamponamenti in pannelli ondulati trasparenti e opachi alternati. Il nastro trasportatore è sostenuto da una serie di pilastri

Empedocle, ntecatini, copertura ua, per anti essi, uso nessuno. tura in li di mento; archi olici bricati

Cairo Montenotte, ex Montecatini, tipo a copertura continua, per fertilizzanti azotati, attualmente ospita un parco industriale. Interamente prefabbricato; tamponamenti in pannelli ondulati; i primi 5 m degli archi sono lasciati scoperti

Manfredonia, ex ANIC, tipo comune, per fertilizzanti azotati, attualmente restaurato. Costruito dalla CMC; archi prefabbricati; quattro paraboloidi. Si realizza la piastra di fondazione con gli speroni, poi si montano gli archi e le travi di collegamento

Cirò Marina (Crotone), ex Montedison, tipo a copertura continua, per il cloruro di sodio iperpuro, attualmente usato come in origine. Testate in mattoni scandite da nove pilastri e quattro travi, con una serie di aperture vetrate. Copertura in laterocemento rivestito

a

Si svolge la grande mostra “L’art de l’ingénieur”, sui successi dell’ingegneria civile, nel Centre Pompidou di Parigi.

La copertura segue un profilo parabolico ed è costituita da elementi prefabbricati ondulati.

In questi anni Silvano Zorzi realizza una serie di viadotti a travata dal disegno originale, tra cui il viadotto Garsexio in Liguria, impiegando nuove macchine di cantiere

Poretti S., Iori T., Rassegna di architettura e urbanistica. Ingegneria oggi, Anno XLVI, n. 137-138, Edizioni Kappa, 2012

Viadotto Gorsexio, 1977

Aula delle Udienze Pontificie, Città del Vaticano, Pier Luigi Nervi.

Crotone

Manfredonia

1973

Scarlino (Grosseto), ex Montedison, tipo a copertura continua, per l’ilmenite, attualmente usato come in origine. Tamponamenti di testata in mattoni

Petrolchimico-CS Venezia Scarlino

1977

Villasor (Cagliari), ex zuccherificio Eridania, tipo a copertura continua, per lo zucchero, demolito. Copertura continua con estradossi degli archi a vista

Villasor

Ferrara, ex Montedison, tipo a copertura continua, per fertilizzanti azotati, attualmente usato come in origine. Ultimo paraboloide realizzato in Italia; totale prefabbricazione degli elementi in cemento armato e dei tamponamenti in pannelli ondulati

Ferrara

eria strutturale scompare dalla scena. Da alcuni tentativi di tenerla in vita nascono ancora opere di grande rilevanza: le ultime realizzazioni di Nervi all’estero Zorzi; il ponte sul Basento di Musmeci. azzini a copertura parabolica termina tra gli anni Sessanta e la fine degli anni Settanta, coincidendo all’incirca con queste ultime grandi opere d’ingegneria. nti sono opera della Montedison; sono caratterizzati da dimensioni notevoli e dall’ormai totale prefabbricazione. ostruttivo sia passato dalla realizzazione dei singoli elementi a piè d’opera, alla completa prefabbricazione, la struttura di questi magazzini rimane ata.

BIBLIOGRAFIA MAGAZZINI A COPERTURA PARABOLICA Barbera L. V., Desideri P., Muratore G., Rossi P. O., Pier Luigi Nervi e l’architettura strutturale, in Collana Print Teoria e critica 5, Edilstampa srl, 2011. Modica M. , Santarella F., Paraboloidi. Un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna, Firenze, EDIFIR, 2014. Bertolini Cestari C., Il Paraboloide. Un’architettura resistente per forma: la volta sottile di Casale, in Atti e rassegna tecnica della società degli ingegneri e degli architetti in Torino, Anno LXV, n. 2, Aprile 2011

CRONOLOGIA



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