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Il Transatlantic Trade and Investiment Partnership (TTIP)
Roberto Meregalli
Aprile 2015 (meregalli.roberto@gmail.com)
“Letting the international economy drift without renewed leadership is no longer an option… It is time for the United States and the European Union to exert leadership by showing a new way forward.” 1 The Atlantic Council
Se ne parla, certo, ma sicuramente l’acronimo T-TIP suona incomprensibile alla maggior parte della gente. Quindi cominciamo col chiarire che sta per Transatlantic Trade and Investiment Partnership 2 , quindi parliamo di una ipotesi di accordo commerciale che Unione Europea e Stati Uniti d’America stanno negoziando per promuovere commercio ed investimenti fra le due sponde dell’Atlantico. Ufficialmente le trattative sono state avviate nel luglio 2013, ma gli sforzi per un’area di libero scambio fra USA ed UE sono molto più datati, l’Atlantic Council (lobby euroamericana) venne fondato nel 1961 dall’ex segretario di Stato Americano Dean Acheson per sostenere l’Alleanza Atlantica. Il primo studio pubblicato nel 1967 era intitolato: “Costruire il mercato euro-americano: pianificazione per gli anni ‘70”. I lavori in corso risalgono a venti anni fa e portano la firma del Transatlantic Business Dialogue (TABD) oggi rinominato in Transatlantic Business Council (TABC), una organizzazione formata da manager di grandi imprese multinazionali. Il TABD venne istituito dal governo degli Stati Uniti e dell'Unione europea come gruppo di consulenza ufficiale per i funzionari UE e USA sulle questioni relative al commercio e agli investimenti. Furono gli allora Commissari Brittan e Bangemann, insieme al segretario
1 “Lasciare che l'economia internazionale vada alla deriva senza una rinnovata la leadership non è una valida
opzione ... E 'tempo che gli Stati Uniti e l'Unione europea tornino ad esercitare la loro leadership mostrando una nuova via d’uscita”
statunitense Ron Brown a sollecitare le imprese: Xerox Corporation e Goldman Sachs International convocarono a Siviglia alla fine del 1995 più di 100 capitani d'industria (a quei tempi andava ancora di moda questo termine). Lo scopo era quello di individuare gli ostacoli transatlantici alle attività commerciali per creare un "mercato transatlantico senza barriere". L’idea era di mettere in piedi una efficiente macchina per sostenere il progetto e la macchina cominciò subito a girare visto che il sottosegretario al Commercio Timothy Hauser, in una audizione in una commissione del Congresso nel 1997, riferì che "E 'difficile sopravvalutare l'effetto che il TABD ha avuto sulla liberalizzazione degli scambi ... praticamente ogni mossa di apertura del mercato intrapreso dagli Stati Uniti e l'Unione europea negli ultimi due anni è stato suggerito dal TABD" 3 . Questo gruppo ha lavorato costantemente sui diversi tavoli negoziali, in sede OCSE dove sosteneva il MAI 4 e in sede WTO 5 . Anche l’avvio del Doha round nel 2001 viene considerato un obiettivo raggiunto sotto la sua spinta: "Senza questo sostegno da parte delle imprese dell'Unione europea e degli Stati Uniti per un nuovo ciclo di negoziati commerciali, non sarebbe stato possibile per il rappresentante USA Bob Zoellick e il Commissario europeo per il commercio Pascal Lamy avere il sostegno dell'Unione europea e degli Stati Uniti, necessario alla riuscita della ministeriale di Doha" 6 .
"I believe the benefits [of the Transatlantic Trade and Investment Partnership]significantly outweigh [its] potential risks." Washington, 9 febbraio 2015
Nel giungo 2006 il parlamento Europeo approvò una risoluzione sulle relazioni UE-USA proponendo di creare un’area di libero scambio entro il 2015, redatta da Erika Mann, coordinatrice del gruppo socialista per le questioni commerciali e figura di spicco nella TPN. Cosa indica questa nuova sigla? Si tratta del Transatlantic Policy Network , una rete composta da parlamentari europei e membri del Congresso statunitense nata nel 1992 sempre allo scopo di rafforzare la partnership transatlantica. Il TPN aveva ed ha una visione che va aldilà della dimensione economica, nel suo rapporto del 2003 stabiliva questi obiettivi, è molto interessante rileggerli 7 : Economia 1. approfondire ed ampliare il mercato transatlantico, in vista della sua realizzazione entro il 2015, raggiungendo questi obiettivi intermedi entro il 2010: • Servizi finanziari e mercati dei capitali • Aviazione civile • Digital Economy (privacy, sicurezza e diritti di proprietà intellettuale) • politica di concorrenza • cooperazione normativa 2. Rafforzare la cooperazione economica e monetaria in modo pratico e pragmatico.
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3. Rivitalizzare i negoziati di Doha dell'OMC come una questione di massima urgenza, sulla base dei progressi compiuti. Difesa e Sicurezza 4. Promuovere mercati della difesa transatlantici più aperti e una più stretta cooperazione tra le industrie della difesa per facilitare il trasferimento di tecnologie di difesa. 5. Sviluppare ulteriormente la relazione NATO / UE, pur continuando a chiarire i rispettivi ruoli e le capacità in ambito militare, coerenti con i principi "Berlin Plus" 8 . 6. Sviluppare un quadro per un dialogo permanente sulla sicurezza UE / USA, sulla base della complementarietà della dottrina di sicurezza degli Stati Uniti e della strategia sulla sicurezza dell'UE. Politica 7. Costruire una "comunità di azione" transatlantica per la cooperazione regionale e globale, fondata su sei priorità: • Pace, democrazia e sviluppo nel Medio Oriente • guerra contro il terrorismo • riduzione della proliferazione delle armi di distruzione di massa • Lotta all'AIDS e alle malattie infettive • Integrazione a lungo termine della Cina nella comunità internazionale • Ulteriore trasformazione della Russia in uno Stato democratico, in una economia di mercato e in un partner strategico 8. Approfondire la cooperazione in materia di energia e cambiamento climatico, sulla base dell’ Accordo sulla cooperazione di ricerca e sviluppo per l'economia dell'idrogeno. 9. Stimolare la partecipazione costruttiva di importanti gruppi di interesse della società civile europea e statunitense in iniziative a favore del partenariato transatlantico. Istituzionale 10. Concordare entro dicembre 2005 sui principali elementi di un “Transatlantic Partnership Agreement” da negoziare a partire dal 2007, basato sulla “Nuova agenda transatlantica” del 1995 e che rifletta la strategia proposta in questo rapporto. Come parte di questo processo: • Focalizzarsi sul vertice annuale UE / USA per fornire una direzione strategica e impulso al partenariato transatlantico; • sviluppare le comunicazioni con il vertice NATO. • Istituire una consultazione informale UE / USA, a livello ministeriale, in preparazione dei vertici UE / USA. • Rafforzare la struttura istituzionale per il dialogo transatlantico, tra i membri del Parlamento europeo e del Congresso degli Stati Uniti.
Pertanto risulta difficile considerare il T-TIP come una risposta alla crisi economico-finanziaria, non manca certo anche questo auspicio, specie lato Europa, ma l’area di libero commercio euro atlantica è un obiettivo che viene da lontano e che certamente aveva ed ha una natura geopolitica. La globalizzazione ha allargato la mappa del potere e portato ad una nuova distribuzione della ricchezza con una progressiva riduzione di quello euro-americana. La Cina e, in minor misura, gli altri paesi del BRICS, hanno acquisito quote di economia e di commercio mondiale rilevanti. Prima della crisi finanziaria gli Stati Uniti erano il principale partner commerciale di 127 paesi nel mondo, oggi Pechino lo e diventata per 124 Stati, mentre Washington solo di 70 paesi 9 . Entro un periodo di circa dieci anni, Pechino potrebbe fare della sua moneta, lo Yuan, l’altra grande valuta del commercio internazionale. Il T-TIP che mira a rafforzare il primato commerciale con l’Europa, certamente rientra negli sforzi di Washington di “contenere” la Cina, preservando cosi il ruolo del dollaro quale moneta principale degli scambi internazionali, nel tentativo di preservare il proprio primato militare e politico.
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Qualche dato sull’interscambio USAUE Qualche numero sui rapporti USA-UE 10 ¾ L’economia “transatlantica” è la maggiore del mondo: più del 50% in termini di PIL. ¾ L’Ue ha attratto il 56% degli investimenti diretti Usa dal 2000 al 2013. ¾ Gli investimenti in Polonia sono aumentati del 103% nei primi nove mesi del 2013 rispetto allo stesso periodo del 2012. ¾ Gli UA hanno più investimenti in Olanda che in Sud, Centro America, Medio oriente ed Africa messi insieme. ¾ Dal 2000, il totale degli investimenti americani in Brasile risulta pari solo a un quinto di quelli in Irlanda. ¾ Sempre dal 2000 gli Stati Uniti hanno investito di più in Italia che in India. ¾ Oltre il 60% degli asset delle multinazionali USA sono in Europa. ¾ Le vendite delle filiali statunitensi in Europa nel 2012 erano il doppio di quelle dell’intera Asia-pacifico. ¾ Le vendite delle filiali statunitensi in Cina nel 2011 erano inferiori a quelle fatte nella sola Olanda o Irlanda o Francia. ¾ Gli investimenti europei negli USA, nonostante la crisi, nel 2012 sono stati quattro volte quelli fatti in Cina. ¾ Il totale degli asset posseduti da filiali europee in USA erano pari a 8.700 miliardi di dollari, in cima alla lista troviamo imprese inglesi (2.200 miliardi) e tedesche (1.500 miliardi). ¾ Le vendite delle filiali europee in USA sono la principale via attraverso cui l’Ue fornisce merci e servizi agli Stati Uniti (non il commercio diretto): nel 2012 hanno venduto per un valore di circa 2.200 miliardi di dollari più del triplo del valore delle esportazione Ue negli USA. ¾ Usa ed Ue sono le due maggiori economie di servizi al mondo, l’UE importa il 38% dell’export servizi USA ed esporta il 42% dei propri in America. ¾ Le filiali USA impiegano 4,2 milioni di persone in Europa (soprattutto nei servizi), quelle europee 3,8 milioni negli Stati Uniti.
Nonostante gli anni recenti di crisi, in particolare per l’Europa, Usa ed Ue rimangono i rispettivi principali mercati d’esportazione. Le due aree costituiscono circa il 50% del PIL mondiale e quasi 1/3 dei flussi commerciali globali. Lo stock di investimenti bilaterali è pari a 2.394 trilioni di euro ed ogni giorno vengono scambiati merci e servizi per un valore medio di quasi 2 miliardi di euro. Nel 2012 l’interscambio commerciale è stato pari a 497,5 miliardi di euro, con un attivo per parte UE di 85,9 miliardi 11 . Nello stesso anno le esportazioni comunitarie sono state pari a 291,7 mld euro (+10,6% rispetto a 2011), mentre le importazioni UE dagli US erano pari a 205,8 mld euro (+7,5% rispetto a 2011). Nel 2011 lo stock di investimenti diretti esteri (IDE) comunitari negli US era pari a 1.421 mld euro, con un flusso annuale
di 110,7 mld euro. Viceversa, nello stesso anno, gli IDE americani nella UE avevano uno stock di 1.344 mld euro ed un flusso di 114,8 mld euro. L’Ue dal 2000 ha attratto il 56% degli investimenti esteri a stelle e strisce, anche se va sottolineato che il 79% si è indirizzato in soli tre paesi: Gran Bretagna, Olanda e Irlanda. Quest’ultimo, in particolare, costituisce la prima piattaforma d’esportazione per le multinazionali USA, le filiali americane vi esportano cinque volte quello che esportano dalla Cina e 3,5 volte quello dal Messico (unito agli USA dal famoso Nafta). Per quanto attiene alle relazioni con l’Italia, nel 2012 l’interscambio è stato pari a 39,3 mld euro, con un attivo per parte italiana di 13,9 miliardi. Le esportazioni nazionali verso gli US sono state di 26,6 mld euro (+16,8% rispetto al 2011), mentre l’import dell’Italia dagli USA è stato pari a 12,6 mld euro (‐2,63% rispetto al 2011).
Interscambio Italia – USA (2001 – 2012) Mld euro
Fonte: elaborazioni Confindustria su dati Eurostat.
Nel 2012 la quota USA sul totale dell’export Italiano era pari a 6,9% 12 . I principali prodotti esportati sono: prodotti derivanti da raffinazione petrolio (4,7%); vini (3,8%); parti di veicoli aerei e spaziali (3,6%); navi e imbarcazioni (3,6%); automobili (2,8%); componenti automotive (2,6%); medicinali (2,4%). Lato import, i principali prodotti sono: medicinali e preparati farmaceutici (11,3%); carbone e combustibili solidi (7,9%); prodotti derivanti da raffinazione petrolio (5,7%); turboreattori e turbine a gas (5,1%); rifiuti da metalli preziosi (4,2%); componenti di velivoli e shuttle (3,1%). Nel 2012 l’Italia è stata il 13° fornitore ed il 23° cliente degli USA, che a sua volta è stato l’8° fornitore dell’Italia ed il 3° cliente. Per quanto riguarda gli investimenti, nel 2011, lo stock di Investimenti diretti esteri (IDE) americani in Italia era pari a 25,3 mld di dollari, con un flusso annuale di 450 milioni, mentre gli investimenti italiani in USA ammontavano a 23 miliardi 13 . IDE totali in Italia e quota USA – IDE totali in USA e quota Italia (anno 2011, miliardi di dollari)
Fonte: elaborazioni Confindustria su dati US Department of Commerce ‐ BEA (Bureau of Economic Analysis).
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Gli obiettivi ufficiali La storia recente del T-TIP data anno 2007, quando nel semestre europeo a presidenza tedesca, Angela Merkel e George W.Bush firmarono un accordo per far avanzare l’integrazione creando una nuova istituzione, il Transatlantic Economic Council (vedi notizia della BBC). Nel novembre 2011 si giunse ad insediare l’High Level Working Group for Jobs and Growth con l’incarico di valutare i possibili ambiti di collaborazione tra le due sponde dell’Atlantico. A dicembre 2012 il Gruppo presentò un interim report che anticipava le conclusioni del rapporto finale, reso noto nel febbraio 2013 e preceduto di poche ore dal Presidente degli Stati Uniti, che nel suo discorso annuale sullo stato dell’Unione, “battezzò” l’avvio di negoziati per un accordo di libero scambio tra Stati Uniti ed Europa, denominato “Transatlantic Trade and Investment Partnership - T-TIP”. Gli obiettivi proclamati non sono nuovi: rimuovere le barriere commerciali fra i due partner per facilitare la vendita di merci e servizi; in questi termini la cosa appare positiva per tutti, in particolare per una Europa che cerca disperatamente di ritrovare crescita economica. Ma è qualcosa di più poiché sono tre gli elementi perseguiti: oltre al tradizionale accesso al mercato, vi è la cosiddetta “coerenza nei regolamenti” e una più stretta cooperazione sempre sul piano dei regolamenti. Quindi l’obiettivo è ambizioso perché si focalizza sui termini “regolazione tecnica” che si traducono in: “regole, linee guida, caratteristiche per prodotti o processi correlati e metodi di produzione, requisiti di terminologia, simboli, imballaggi, marcature o etichettature” 14 , quindi qualsiasi legge/regolamento che norma caratteristiche finali e di produzione delle merci industriali e agricole (quindi il cibo) e la fornitura dei servizi (quindi il terziario). Ma perché tanti timori? Perché alcune analisi paventano effetti disastrosi su tutti i fronti, mentre altre ne lodano i benefici effetti? Perché si sta valutando un accordo che ancora non esiste e pertanto, si fa riferimento a scenari ipotetici. Il grado di incertezza è enorme perché impatti e conseguenze del T-TIP risultano difficilmente valutabili non avendo a disposizione “il dettaglio” dove si concretizzano gli obiettivi dichiarati.
Accesso al mercato Partiamo dal tema dell’accesso al mercato che primariamente si occupa dei dazi doganali, cioè di quelle Il termine Accesso al mercato esprime il tasse che vengono applicate alle merci in entrata in un grado di apertura di un paese alle paese e che sono il frutto di politiche nate per proteggere le importazioni. L'apertura di un mercato imprese nazionali, specie nelle prime fasi del loro sviluppo, all'accesso di merce straniera è determinata dalla concorrenza estera. Vista la situazione: la tariffa sia dalle tariffe (i dazi) applicate sui media applicata negli USA e nell’UE è, rispettivamente, del prodotti importati sia da misure non 3,5% e del 5,2% 15 , non è questo l’obiettivo primario dei tariffarie quali quote prelievi variabili negoziati, anche se un azzeramento del dazi sarebbe visto regolamenti sanitari e fitosanitari . con molto interesse da parte delle imprese multinazionali poiché circa un terzo del totale del commercio transatlantico (beni e servizi) e oltre il 40% del commercio dei soli beni avviene al loro interno (intra-company) per cui anche un dazio di ridotte dimensioni rende meno competitive le imprese transatlantiche rispetto alle concorrenti globali. I picchi tariffari (dazi del 350% - 131,8%) e la fascia di tariffe molto alte che segue (79,1% – 37,5%) interessano solo 11 linee di prodotti e colpiscono quasi esclusivamente le importazioni di tabacco e arachidi, mentre una sola linea riguarda il settore calzaturiero; dazi medio alti (29,8% -
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20%) si riferiscono a 32 linee tra cui: frutta secca, giacche uomo e donna, abbigliamento bambino, calzature con suola in cuoio, veicoli per trasporto merci. Al di sotto, tra il 19,9% e 10,2% troviamo prodotti del settore tessile – abbigliamento, alimentare (tra cui prodotti a base di latte e carni), calzaturiero e vetreria da tavola. In totale su 5.225 codici doganali statunitensi, 2007 sono duty free e 2.470 hanno dazi al di sotto del 10%. Per quanto riguarda l’Italia, le nostre esportazioni ricadono in 350 linee tariffarie, tolte 133 duty free, 192 sono colpite da dazio di fascia bassa (10% - 0,1%) e solo le rimanenti 25 soffrono dazi più elevati e riguardano calzature, prodotti del settore tessile e dell’ abbigliamento e le bevande non alcoliche. Quindi per il nostro paese è di interesse tagliare o eliminare questi dazi per aumentare le esportazioni negli USA.
Dazi medi USA applicati per settore
Fonte: elaborazioni Confindustria su dati WTO (2012).
Barriere non tariffarie Maggiori benefici sono stimati dall’eliminazione delle cosiddette barriere non tariffarie, cioè tutte quelle misure costituite da regolamenti, standard e leggi interne ad ogni singolo paese. I principali ostacoli che limitano l’accesso al mercato americano delle produzioni europee (e viceversa), consistono infatti nei costi e negli oneri per le imprese legati alla difformità delle misure regolamentari, degli standard, dei requisiti tecnici di conformità di sicurezza, salute e tutela dell’ambiente ed è su questo tema che si gioca il negoziato in corso. Va ricordato che stiamo parlando non solo di quanto interessa merci e servizi che varcano la frontiera, ma di tutte le merci e di tutti i servizi commercializzati in uno stato perché le regole del commercio si basano sul concetto di non discriminazione che si traduce nel dover evitare che Col termine di Barriere non tariffarie si qualsiasi prodotto nazionale abbia un trattamento più intendono tutte le misure di protezione che non siano dazi. Possono consistere in favorevole di un prodotto estero. Ad esempio il fatto che restrizioni quantitative o in regole, nell’Ue un alimento che abbia lo 0,9% dei suoi ingredienti applicate in modo tale da rendere OGM debba essere etichettato è considerato una barriera impossibile, difficile o costoso il loro tecnica agli scambi perché ostacola gli alimenti americani recepimento da parte dei produttori che non hanno questo vincolo nel loro paese. Quindi stranieri. Lo sono gli embarghi, le quote negoziare su questo terreno significa negoziare sulle regole all'import, qualsiasi restrizione quantitative, sanitarie dei cibi e su quelle fitosanitarie che si applicano licenze, regolamenti e standard. Questi negli allevamenti e nei campi. Questo spiega perché la ultimi sono materia di politica interna e per questione T-TIP non riguarda le frontiere, riguarda i questo molto sensibili. mercati da una parte e dall’altra della frontiera.
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Nelle dichiarazioni dei negoziatori euro-americani ovviamente non si mettono in gioco leggi e regolamenti esistenti (il che è corretto perché nessun accordo può manomettere direttamente atti legislativi), si mira piuttosto ad adottare sistemi di mutuo riconoscimento e/o di altri meccanismi di allineamento degli standard. Si guarda al futuro. Questo non deve però sembrare riduttivo poiché si tratterebbe di una rivoluzione sia nel caso si punti a considerare come equivalenti normative diverse, sia se l’obiettivo fosse quello di uniformare certificazioni e controlli. Su questi argomenti USA ed UE hanno in verità da tempo avviato un dialogo approfondito, istituzionalizzato dal 2007 con la creazione del Transatlantic Economic Council (TEC), ma gli avanzamenti non sono stati fino ad ora sostanziali e permangono moltissime differenze. Ad esempio in America Il concetto di “non discriminazione” si è d’obbligo l’indicazione di origine (“made in country X”), basa su due clausole WTO: il Trattamento per la UE non è ancora così (anche se l’Italia spinga da nazionale implica il dovere di non trattare sempre in questa direzione). Ma la differenza più rilevante merci nazionali meglio delle merci è in materia di sicurezza alimentare perché straniere. La clausola di nazione più concettualmente USA ed UE, pur perseguendo gli stessi favorita obbliga a trattare i fornitori obiettivi, hanno adottato due approcci diversi: mentre stranieri senza discriminazioni fra loro. l’Europa controlla e ha normato i processi con cui, ad esempio, si allevano gli animali, si coltivano i campi e si confezionano i prodotti alimentari, puntando sulla tracciabilità; negli USA il focus è stato posto sul prodotto finito. Inoltre l’Europa ha adottato il principio di precauzione ("l’assenza della prova di un rischio non è prova dell'assenza dello stesso"1) che in parole povere significa che anche in assenza di dimostrazioni scientifiche, è possibile vietare l’uso di una sostanza o di una tecnica produttiva se sussistono dubbi al riguardo. Del resto la storia insegna che l’evidenza scientifica dei danni derivanti da una sostanza quasi sempre arriva dopo il suo utilizzo. Negli USA non si condivide questa scelta e nel passato si è scelto un approccio market-oriented in cui la gestione del rischio alimentare ricade esclusivamente sui privati: sono le imprese e i consumatori a dover dimostrare se una sostanza è dannosa. Diversità di approccio sono figli anche di diversità strutturali. Una legge negli USA può essere proposta da qualsiasi membro di uno dei due rami del parlamento e se incontra sufficiente consenso può essere approvata in tempi brevissimi rispetto a quelli necessari per l’approvazione di una direttiva europea che richiede anni e coinvolge un dibattito molto ampio prima dell’approvazione da parte del parlamento Europeo, a cui seguono i tempi di recepimento nei diversi Stati membri. Diametralmente opposto è anche il dopo, nel senso che modificare una direttiva è impresa improba mentre modificare una legge USA è più facile e rapido, le procedure giudiziarie più snelle.
Alcune delle imprese che fanno parte del TABC
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I due capi-negoziatori del T-TIP
Le differenze negli standard e nei regolamenti si possono risolvere promuovendo il riconoscimento di equivalenza fra leggi diverse, ossia se il risultato finale è lo stesso anche se le regole non lo sono si possono considerare equivalenti. E’ quanto già fatto sul biologico: USA ed UE hanno regolamenti e sistemi di controllo diversi, ma è stato firmato un accordo per cui un alimento certificato come bio in Italia, può essere venduto come bio anche oltreoceano e viceversa 16 . Ma al di fuori del bio le cose si complicano: stabilire se un ingrediente, un antibiotico o un ormone o una nano-particella facciano bene o male e in quale quantità siano tollerabili non è per nulla univocamente dimostrabile, gli studi scientifici si possono contraddire, decidere a quale fare affidamento è opinabile ed infatti sono molte le differenze fra USA ed UE. L’equivalenza fra ogm e non ogm è l’esempio più comprensibile del diverso approccio. Di recente il Dipartimento per la sicurezza alimentare (USDA) ha approvato una mela geneticamente modificata dalla società Okanagan Specialty Fruits, che non diventa marrone quando viene affettata, né quando cade per terra e si ammacca 17 . Sarà venduta come una normale mela senza alcuna etichettatura obbligatoria, per ora nella varietà Granny Smith e Golden Delicious. Ma una mela affettata diventa marrone proprio per indicare che un frutto affettato ha un aumento del rischio di esposizione ad agenti patogeni, mascherare questo segnale naturale non è salutare. In Europa la scelta dell’Usda risulterebbe inaccettabile. Questo discorso merita una riflessione. Si pretende dalla scienza una valutazione del rischio, fatta in tempi rapidi, che è utopica. La complessità di analisi che le scienze attuali affrontano danno sempre più spesso origine a una molteplicità di risultati e di visioni alternative che pretendono di spiegare l’oggetto di studio. La scienza non ha certezze da offrire, quindi la gestione del rischio è ambito della politica, questo è il vero problema e la soluzione di affidare questa valutazione a un qualsiasi organismo scientifico è illusoria. “In presenza di esternalità negative difficilmente quantificabili e di rischi futuri ignoti, sarebbero necessarie nuove regole” 18 che tengano in considerazione quei valori comuni, anche se privi di valore economico, che fondano la convivenza umana. Nei negoziati T-TIP si sta ignorando tutto questo.
Armonizzare presenta le stesse difficoltà, occorre mediare, quindi recepire alcune norme o tolleranze altrui facendo accettare parte delle nostre. Su questa battaglia è ovvio ci siano molte paure e si concentrino molte critiche ai negoziati, vista la loro opacità. Mai dire mai però, perché la promulgazione dell’ultima legge statunitense ha segnato un inizio di avvicinamento delle regole USA a quelle europee sui requisiti di sicurezza degli alimenti e sulla possibilità della amministrazione di intervenire per tutelare la salute pubblica. Il sistema della sicurezza alimentare negli Stati Uniti era disciplinato dal Federal Food, Drug and Cosmetic Act del 1938 (Fdca), nel 2011 è stato modificato dal Food Safety Modernization Act (Fsma) 19 . La nuova legge propone un approccio alla sicurezza alimentare, in particolare in riferimento alle importazioni, di tipo “preventivo” che, in maniera embrionale, pare ispirarsi all’approccio precauzionale. Per la prima volta infatti per sospendere l’import o effettuare il ritiro dei prodotti dal mercato, si parla di “reasonable probability” (ragionevole probabilità). Certamente sinora si è trattato più di una difesa commerciale che altro, perché ha avuto come conseguenza fondamentale di complicare sotto il profilo operativo-procedurale le attività degli importatori, creando ulteriori costi. Tuttavia, si tratta di un primo spiraglio entro cui i negoziatori europei potrebbero e dovrebbero lavorare.
I negoziatori Le trattative per la conclusione di un Partenariato Transatlantico su Commercio ed Investimenti, nonostante gli otto 20 Round bilaterali effettuati dal giugno 2013, hanno condotto finora a pochi risultati, anche perché lo scorso anno vi sono state elezioni d’ambo i lati dell’oceano. Questo 2015 costituisce un anno decisivo, secondo gli obiettivi dovrebbe anzi essere l’anno dell’accordo. Ma, come espresso anche dal Presidente della Commissione Europea Juncker, il successo del T-Tip sarà in gran parte legato alla capacità dei negoziatori di tener conto dei punti di vista espressi dal Parlamento Europeo e dal Congresso Usa che non ha sinora concesso la Fast Track 21 . La maggioranza parlamentare assegnata al Partito Repubblicano, tradizionalmente su posizioni liberiste, perseguirà obiettivi ambiziosi; al contrario, l'azione del nuovo Commissario al Commercio europeo Cecilia Malmstrom sarà condizionata dall'attenzione del Parlamento europeo alle priorità difensive di tutela degli standard di salute, sicurezza alimentare e ambientali europei. La commissaria europea ha dovuto avviare un’opera di trasparenza pubblicando alcuni testi negoziali. Va ricordato che il negoziato viene portato avanti da una task force guidata da Ignacio Garcia Bercero per l’Unione europea e da Dan Mullaney per gli Usa, al momento sono in programma due nuovi round in Aprile e in luglio. Sopra di loro vi sono i responsabili Ue ed Usa in materia di commercio. L’eventuale accordo richiederà l’approvazione del Consiglio Europeo, del Parlamento europeo e di tutti i paesi membri poiché contempla investimenti e diritti di proprietà intellettuale.
Cecilia Malmstrom e Michael Froman
Ignacio Garcia Bercero e Dan Mullaney
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Cooperazione regolatoria Il terzo obiettivo guarda al futuro perché mira, in sostanza, a coordinare l’attività regolatoria dell’Unione europea e degli Stati Uniti. L’articolo 2 (della bozza relativa a questo capitolo), specifica che parliamo di regolamenti e direttive Ue e di Statuti federali Usa. Coinvolge quindi la Commissione Europea e le istituzioni federali americane (ma nell’articolo tre si ipotizzano anche le autorità centrali degli stati membri), impegnandole ogniqualvolta trattino di argomenti con possibili effetti su investimenti e commercio. In astratto anche questo capitolo potrebbe sembrare innocuo (che male c’è nel cooperare?), ma solo in un mondo ideale dove la democrazia è perfetta, non in quello reale dove i cittadini non trovano neppure partiti che siano in grado di rappresentarli e dove i leader sono in competizione per guadagnare consenso lavorando sui media e utilizzando dialettica, col sostegno di interessi forti, che sono in grado di finanziare le loro attività. In questo contesto quando si scrive che la Commissione Europea allorché si appresterà ad affrontare la redazione di un nuovo regolamento o di una nuova direttiva attraverso un assessment dovrà “offrire una ragionevole opportunità a qualsiasi persona legale o naturale di presentare la propria posizione” si traduce in una ulteriore possibilità – oltre a quelle già esistenti – data ad aziende e gruppi di pressione (statunitensi) di presentare la loro posizione alla Commissione. Si fornisce insomma uno strumento in più a chi ha il potere di utilizzarlo, chi di noi riesce oggi a presentare la propria posizione non dico alla commissione europea, ma ad una commissione del nostro parlamento nazionale? Il Regulatory Cooperation Council, organismo ipotizzato per gestire la futura cooperazione euro atlantica dovrebbe preparare annualmente degli elenchi di temi considerati prioritari da affrontare e analizzare i position paper forniti dalle imprese. Significa che qualsiasi direttiva europea in materia di salute pubblica o di ambiente dovrà essere discussa non solo dal Parlamento Europeo e dai vari governi comunitari ma anche con “gli stakeolder” d’oltreoceano, (ovviamente varrà anche il discorso diametralmente opposto Usa, imprese europee). Si tratta di un impegno estremamente rilevante, contratto dai poteri esecutivi che stanno negoziando l’accordo, che limiterà il futuro di chi esercita i poteri legislativi e che oggi non siede ai tavoli negoziali.
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La possibile struttura del TTIP Bene, dopo tante parole, ecco nel concreto i temi oggetto di negoziato. Nei propositi della Commissione, l’Accordo sarà diviso in tre parti per 24 capitoli complessivi: Cooperazione regolatoria Coerenza nei regolamenti
Accesso al mercato Dazi Servizi Appalti pubblici Regole di origine
Barriere tecniche agli scambi Regole sanitarie e fitosanitarie Prodotti chimici Cosmetici
Regole ambiente Materie prime/energia
Dispositivi medicali
Facilitazione al commercio
Pesticidi
Piccole e medie imprese
ICT
Sistema di gestione delle dispute stato-impresa concorrenza Diritti di proprietà intellettuale e indicazioni geografiche
Ingegneria
Prodotti farmaceutici Tessile Settore automobilistico
Sistema di gestione delle dispute stato-stato
Di alcune parti la Commissione ha pubblicato le bozze. In quella relativa alle norme sanitarie e fitosanitarie (in sigla questo capitolo si indica con SPS) si stabiliscono gli organi considerati competenti in materia: Codex Alimentarius (alimenti), l’Organizzazione Mondiale per la salute animale (alimentazione animale), la convenzione internazionale per la protezione delle specie vegetali (aspetti fitosanitari) 22 . La definizione di cosa si intenda col termine di norme sanitarie fitosanitarie è rimandata a quella WTO: Le misure sanitarie o fitosanitarie comprendono tutte le leggi, i decreti, i regolamenti, gli obblighi e le procedure pertinenti, ivi compresi, tra l’altro, criteri in materia di prodotti finiti, processi e metodi di produzione, procedure di prova, ispezione, certificazione e autorizzazione, quarantena e obblighi pertinenti associati al trasporto degli animali o dei vegetali, o ai materiali necessari per la loro
13 sopravvivenza durante il trasporto, disposizioni relative ai pertinenti metodi statistici, sistemi di campionamento e metodi di valutazione dei rischi, nonché requisiti in materia di imballaggio ed etichettatura direttamente connessi alla sicurezza alimentare 23 Relativamente all’alimentazione umana troviamo scritto che: “tolleranza e livelli massimi dei residui adottati dal Codex Alimentarius, dopo l’entrata in vigore di questo Accordo [il T-TIP ndr] saranno applicati da ciascuna parte contraente senza ingiustificato ritardo”, per la precisione entro 12 mesi dall’approvazione del Codex. Ecco questo è il punto in cui si concretizza il rischio di abbandonare il principio di precauzione adottando l’approccio per cui le decisioni in materia devono adeguarsi agli standard internazionali. In passato in sede Wto è accaduto più volte, il caso della carne trattata con l’ormone della crescita è quello più noto perché ha portato gli Stati Uniti a chiedere l’abolizione dei provvedimenti attuati dall’UE che aveva messo al bando le importazioni di carne americana, giustificando il provvedimento con ragioni di tutela della salute. Tali affermazioni di fonte europea venivano smentite da studi americani che al contrario dimostravano come infondati i timori a riguardo. Dopo anni di battaglie legali il WTO ha dato ragione agli Stati Uniti; tuttavia l’Ue non ha voluto recedere dalla propria decisione ed ha mantenuto il vincolo imposto. Il WTO è quindi ricorso a sanzioni per punire la scelta. La bozza dell’SPS stabilisce poi che la responsabilità dei controlli sulla merce importata in Europa sia attribuita agli USA e viceversa. Ciò mira ad eliminare quelle che il testo considera come “misure di controllo ridondanti”, di conseguenza il paese importatore “deve accettare stabilimenti o strutture [di produzione/allevamento ndr] autorizzate dal paese esportatore senza attuare nuovi controlli, ispezioni e senza richiedere nuove certificazioni da terze parti o qualsiasi altra garanzia ulteriore”. (articolo 8). “Il paese importatore dovrà accettare le misure sanitarie e fitosanitari dell’esportatore come equivalenti alle proprie se questo dimostrerà che ottengono lo stesso livello di protezione”. Sembra condivisibile ma prendiamo come esempio la clorinatura dei polli. Negli USA per essere sicuri che la carne di pollo non porti con sé patogeni usano un metodo drastico ed efficace: alla fine lavano la carne macellata in acqua e cloro per disinfettarla. Il risultato finale è lo stesso europeo: niente batteri, però a noi europei non piace il metodo e abbiamo preferito scrivere pagine e pagine di norme su quanto spazio deve avere un pollo, sulla sua alimentazione, sulle sostanze vietate eccetera, eccetera. Sono equivalenti le due procedure? Considerare illegittima una scelta precauzionale e sovrana perché di ostacolo al libero scambio presuppone porre tale attività economica prima della sicurezza sanitaria e della sovranità.
Agricoltura
L’agricoltura conta per il 12,8% del commercio euroLe procedure di sicurezza alimentare americano; per l’America, l’Europa costituisce la quinta dell’UE riguardano tutta la catena di destinazione delle proprie esportazioni agricole, dopo Cina, produzione degli alimenti destinati al Canada, Messico e Giappone. consumo animale e umano. Nel 2002 è USA ed UE hanno procedure diverse relativamente alla stata creata l’EFSA, European Food Safety sicurezza alimentare (nei box le abbiamo sintetizzate). Authority (Agenzia Europea per la Certamente per le esportazioni agroalimentari europee Sicurezza Alimentare), organismo esistono una serie di norme e di enti di controllo indipendente che lavora in stretta oltreoceano che impongono un onere non indifferente. collaborazione con vari enti e istituti Questo motiva il fatto che in questo settore ci sia interesse scientifici degli stati Membri, offrendo una verso il T-TIP e che lo si veda come uno strumento per consulenza scientifica indipendente su tutte superare parte di queste difficoltà e per difendere le tante le questioni che influiscono direttamente o indicazioni geografiche europee. indirettamente sulla sicurezza alimentare. Gli ostacoli normativi sono numerosi, ad esempio L’organismo supervisiona tutte le fasi di relativamente all’uso della ractopamina, uno steroide produzione e di fornitura degli alimenti, utilizzato negli allevamenti per stimolare la crescita del dal settore primario fino alla distribuzione bestiame; si calcola che permetta agli allevatori di maiali di ai consumatori. L’EFSA si occupa anche ottenere un aumento del 10% degli utili. In Europa ne è dei rischi legati alla catena alimentare ed vietato l’uso perché può provocare una serie di malattie effettua una valutazione scientifica su cardiovascolari. Negli Stati Uniti no. qualsiasi tema che abbia effetti diretti o indiretti sulla sicurezza della fornitura Al contrario, la normativa USA ritiene Listeria alimentare, compresi i problemi correlati monocytogenes un pericolo “grave” e pertanto prevede, per alla salute e al benessere degli animali e i prodotti a base di carne, un livello di tolleranza uguale a delle piante. zero mentre nell’UE è ammessa la presenza di 100 batteri per grammo di prodotto finito pronto per il consumo. Quindi per la legislazione USA Negli Usa esistono diversi enti federali a cui un alimento nel occorre fare riferimento per quanto riguarda cui processo di produzione non intervenga un la salute di cibi e animali. Innanzitutto trattamento listericida non si può considerare come l’USDA (Department of Agriculture alimento (ready to eat), ma solo come una derrata 24 . www.usda.gov) Dipartimento responsabile Gli Stati Uniti sono particolarmente attenti anche alla per lo sviluppo e l’attuazione delle politiche malattia vescicolare dei suini, a scopo preventivo relative all’allevamento, all’agricoltura e al possiamo esportare solo carne suina processata prodotta cibo. Le sue agenzie sono: in stabilimenti autorizzati dal Ministero della Salute - FSIS (Food Safety and Inspection Service) italiana, registrati e controllati dal Animal and Plant - APHIS (Animal and Plant Health Health Inspection Service. Inspection Service). La sua competenza è Anche riguardo alla BSE, gli Stati Uniti adottano misure relative all’import di prodotti di origine sanitarie più restrittive rispetto a quelle previste animale. dall’Organizzazione Mondiale per la Salute Animale, che Poi abbiamo l’HHS (Department of Health nelle bozze dell’SPS è prevista come organo di riferimento and Human Services) a cui fa capo la (in effetti noi europei non possiamo sempre vantarci di protezione della salute dei cittadini. avere i migliori controlli). Fra le sue agenzie troviamo la FDA (Food Esiste poi il tema degli Ogm. Ma onestamente il T-TIP and Drug Administration) responsabile per la non ha chance di modificare la legislazione europea regolamentazione e supervisione della relativa alla coltivazione di ogm in Europa. L’unico effetto sicurezza di cibo, supplementi dietetici, possibile riguarda l’etichettatura su cui sono forti da farmaci, vaccini e prodotti medico-biologici. sempre le pressioni per evitarne l’obbligo. E’ di sua competenza il controlli Riguardo agli imballaggi alimentari vi sono differenze sull’importazione di tutti gli alimenti (eccetto carne). riguardo al bisfenolo A, la sostanza rilasciata da alcuni materiali di contatto in plastica agli alimenti contenuti. E’ praticamente presente ovunque (bottiglie di plastica, vernici interne ai barattoli di metallo), da tempo vietato nei biberon, incriminato per i suoi effetti sull’apparato
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riproduttivo (riduce la fertilità e causa cancro alla prostata negli uomini e al seno nelle donne). L’Efta scrive che “il BPA non rappresenta un rischio per la salute della popolazione di alcuna fascia di età” 25 mentre molti Stari americani lo hanno vietato 26 . Altro problema è quello del trattamento con acido lattico delle carni macellate. Molti considerano questa pratica vietata in Europa, in verità non è così, ma proprio questa storia mostra quanto siano forti ed efficaci le pressioni d’oltre atlantico e come potrebbero andare a finire i cosiddetti tentativi di armonizzazione dei regolamenti. Per limitare o per escludere la presenza di germi patogeni nelle carni macellate, negli USA si è soliti decontaminare le carcasse bovine e di pollame con antimicrobici come l’acido lattico, il sodio clorito acido, il bromo, e molte altre sostanze. Viceversa, in Europa, la refrigerazione è sempre stato il metodo principale per il controllo dei germi patogeni e dei deterioranti. Nel 2011 dietro impulso del Dipartimento di Agricoltura statunitense, la Commissione europea richiese all’EFSA un parere scientifico 27 per autorizzare l’utilizzo di acido lattico come decontaminante di carcasse, mezzene e quarti bovini. La richiesta nasceva da ragioni commerciali, per favorire l’importazione in Europa di carne bovina dagli Stati Uniti. Il parere fu positivo e la Commissione sottopose al Comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali (SCoFCAH) una bozza di regolamento, ma in tale comitato non si riuscì a raggiungere la maggioranza qualificata necessaria per l’espressione del parere tecnico a favore o contro il provvedimento. Esito identico si verificò all’interno del Consiglio Europeo, e nessuna opposizione venne espressa dal Parlamento entro i tempi stabiliti. Alla fine la Commissione portò a termine la procedura autorizzando l'uso di acido lattico nel febbraio 2013, con il Regolamento (UE) n. 101/2013. Prima della sua adozione la Federazione dei veterinari europei si era espressa sottolineando che la decontaminazione non doveva essere considerata sostitutiva delle procedure operative presso gli stabilimenti di macellazione e che la decontaminazione delle carcasse doveva essere usata solo in circostanze eccezionali e, se praticata, indicata in etichetta 28 . Quindi esiste anche in Europa questa possibilità, ma non viene praticata, quantomeno in Italia, perché “le modalità di distribuzione della soluzione sanificante e la serie di controlli batteriologici e chimici la rendono economicamente improponibile. Il Regolamento è un espediente per permettere l’importazione delle carni dagli USA in Europa e a nient’altro” 29 . Nel corso del dibattito, Coldiretti e Copa Cogeca, avevano sostenuto come “la decontaminazione alla fine del processo produttivo non aggiunge valore aggiunto, mentre lascia irrisolti molti dubbi circa il suo impatto, in particolare circa la possibilità di creare patogeni resistenti agli antibiotici”. La decisione concise con la fine del blocco all’importazione dei carne di manzo statunitense, necessaria a soddisfare la quota di importazioni assegnata agli USA per risolvere la vecchia vertenza sul blocco della carne agli ormoni 30 .
Riguardo all’Italia, ci sono problematiche che ci toccano da vicino, ad esempio il mancato riconoscimento da parte USA delle Indicazioni di Origine (IIGG) ed il fenomeno dell’ “Italian sounding”, cioè nell’evocare l’origine italiana di un prodotto utilizzando termini, simboli, immagini, o altri riferimenti all’Italia. Si calcola che a fronte di un fatturato dell’agroalimentare italiano in USA (per origine o richiamo) pari a 24 miliardi di euro, l’export di prodotti alimentari autentici risulta di circa 3,3 mld euro: pertanto solo un prodotto su otto è veramente italiano ai sensi della legislazione vigente in Europa in materia di regole di origine 2 In campo alimentare, da oltre quindici anni, il Governo federale ha imposto dazi antidumping e antisovvenzione sulle paste alimentari italiane 3 (con l’eccezione delle paste all’uovo). Le aziende che esportano per la prima volta negli US, sono soggette ad un dazio antidumping del 15,45%, al quale viene aggiunto un dazio compensativo50 del 3,85%. L’importazione dei formaggi di latte vaccino è contingentata e soggetta a quote e licenze imposte dall’U.S. Department of Agriculture (USDA) per proteggere la produzione nazionale.
2 Fonte: Federalimentare.
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La US International Trade Commission (USITC), con voto del 19 agosto 2013 ha stabilito di non revocare queste misure.
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16 I prodotti ortofrutticoli freschi (frutta, verdura) possono essere importati solo da importatori con licenza speciale rilasciata dall’USDA e sono in uso procedure di fumigazione e trattamento a freddo per l’eliminazione degli insetti nocivi; per mele e pere made in UE è vietato l’import. Nell’olio d’oliva l’UE consente la presenza di residui di pesticidi (regolamento UE n. 149/2008) mentre negli USA la presenza dei residui di pesticida chlorpyrifos ethyl riscontrata nell’olio di oliva italiano ha fatto scattare il blocco del prodotto giudicato “non idoneo al consumo umano”.
Chimica In questo settore l’attenzione, lato Europa, si concentra sul REACH – il Regolamento europeo delle sostanze chimiche. Sono forti le pressioni dei gruppi industriali che vorrebbero la sua rottamazione. La lobby del gruppo USA Croplife, pesticidi e biotech, per esempio, nella sua presentazione all’Ufficio del Commissario USA per il Commercio in occasione della consultazione sul T-TIP, ha aspramente criticato il REACH: “La mancanza nella UE di un approccio basato sul rischio è in contrasto con l’Accordo Sanitario e Fitosanitario (SPS) dell’OMC Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) di cui sono firmatari sia gli USA sia la UE. Ma è in contrasto anche con la prassi normativa USA, con le linee direttrici internazionali accettate, e con lo stesso Principio di Precauzione della UE che fa riferimento ad un approccio basato sul rischio. La valutazione scientifica dei rischi, come base per decisioni di regolamentazione, non deve essere annullata da una non corretta (e politicamente orientata) applicazione del Principio di Precauzione così come avviene oggi nell’Unione Europea” 4 . In base al “principio di precauzione”, il REACH permette alla European Chemical Agency di imporre restrizioni sulle modalità con cui i prodotti chimici vengono prodotti, venduti e utilizzati, al fine di proteggere la salute pubblica e l’ambiente. Le norme USA sui prodotti chimici sono invece molto più labili, con l’US Toxic Substances Control Act (TSCA) che attribuisce poteri molto limitati alla Environment Protection Agency (EPA). Attualmente circa 30.000 prodotti chimici associati all’aumento dei casi di cancro alla mammella e ai testicoli, di infertilità maschile, diabete e obesità, sono ancora in commercio negli USA, ma prima di poter essere venduti in Europa devono essere sottoposti a sperimentazione 5 . Ecco perché con l’eventuale svuotamento delle normative UE sui prodotti chimici si correrebbe il grave rischio di vedere affluire dagli USA all’Unione Europea prodotti chimici non sperimentati e potenzialmente pericolosi.
Settore energiaambiente I grandi gruppi europei lamentano da tempo che, rispetto ad altri Paesi come la Cina e gli USA dove le normative ambientali sono meno rigide, le politiche della UE sul clima hanno provocato l’arresto della crescita economica delle aziende. Al vertice economico europeo del 2013 a Bruxelles, Business Europe - la più grande federazione di datori di lavoro europei, che rappresenta le maggiori multinazionali d’Europa - ha accusato la normativa ambientale europea di aver posto le imprese europee in una situazione di svantaggio rispetto ai loro concorrenti globali, ed ha evidenziato la “necessità di ridurre il differenziale UE-USA” 6 . Regolamenti ambientali più permissivi di quelli europei, hanno consentito in USA un grande sviluppo del fracking, con 11 000 nuovi pozzi di gas naturale scavati ogni anno. Per contro, in Europa i siti di prospezione sperimentale non sono più di dodici, per effetto di divieti e moratorie in attesa di verifica dei rischi connessi alla tecnologia estrattiva. Diverse imprese energetiche USA hanno comunque posato gli occhi sui giacimenti europei di gas di scisto (specialmente in Polonia, Danimarca e Francia) e potrebbero avvalersi del T-TIP per smantellare i divieti e 4 CropLife America. Response to USTR request for comments on T‐TIP. 5 October 2013.
http://www.regulations.gov/contentStreamer?objectId=09000064812ff3c9&disposition=attachment&co ntentType=pdf 5 91. The Financial Times. ‘European parliament approves chemicals law.’ 13 December 2006. http://www.ft.com/intl/cms/s/0/db8363ae‐8aa4‐11db‐8940‐0000779e2340.html#axzz2UhzoPVuA 6 Euroactive.,Hedegaard: Forget US‐style shale gas revolution. May 2013.
moratorie nazionali sul fracking, adottate per proteggere i cittadini europei da tali pratiche. 7 Come? Ponendo le basi perché in futuro non si facciano più “discriminazioni” fra le diverse fonti fossili in base a “classificazioni arbitrarie”, per utilizzare il termine utilizzato dalla lobby TABC nelle sue raccomandazioni. Molto critica è la discussione sul meccanismo di attuazione dell’art. 7 della Direttiva (2009/30/CE) sulla Qualità dei Carburanti che impone ai fornitori di assicurare una riduzione delle emissioni dei gas serra nell’intero ciclo di vita dei carburanti impiegati nel settore dei trasporti. Fin dalla sua adozione Shell, BP, ExxonMobil, Chevron e gli altri big del petrolio hanno fatto pressioni per annacquare i suoi effetti. In sintesi il punto di scontro è la valutazione della quantità di CO2 emessa dai singoli combustibili fossili. L’UE sinora ha sostenuto che il petrolio non convenzione (ad esempio quello estratto dalle sabbie bituminose in Canada) per il processo di estrazione emette più anidride carbonica di quello convenzionale, pertanto vorrebbe applicare la direttiva attribuendo un “peso CO2” diverso per ciascun carburante in base all’origine/metodo di estrazione della materia prima. James Hansen (climatologo di fama mondiale) ed i ricercatori della Queen's University di Kingston (Ontario, Canada) concordano nel sostenere che la produzione di idrocarburi dalle sabbie bituminose è dannosa per l'ambiente. Gli studi più recenti hanno dimostrato come tale petrolio abbia un ciclo di vita che emette il doppio di anidride carbonica rispetto al petrolio convenzionale, oltre a produrre da tre a quattro volte scorie di lavorazione in più. Hansen si è soffermato sulle conseguenze che l'utilizzo del petrolio ricavato dalle "tar sand" avrà sul clima: l'elevato livello di gas serra accelererà in modo incontrollato lo scioglimento dei ghiacciai e la temperatura del pianeta diventerà intollerabile per la maggior parte degli esseri viventi. Le imprese non accettano questa soluzione e vorrebbero un bel valore medio attribuito a tutte le materie prime, senza distinguere luogo, metodo di estrazione e consumi di energia/acqua connessi. Nei negoziati T-TIP le imprese statunitensi stanno facendo la loro parte unendosi alle pressioni europee 31 , fra cui quelle italiane dell’Unione petrolifera, per un obiettivo contrario all’interesse non solo degli europei e degli americani, ma del mondo intero. In nome della competitività si calpestano le capacità fisiche del pianeta, si ignorano le disastrose conseguenze sul clima, si ipoteca il futuro per un immediato piatto di lenticchie. BusinessEurope, una delle principali lobby europee sollecita un capitolo energia che renda libero il flusso di petrolio e di shale gas dagli USA all’Europa. Ad oggi infatti non esiste export petrolifero dagli USA e per il gas si attende il 2016 ma esistono molte restrizioni legislative oltreoceano al riguardo. L’eliminazione di qualsiasi restrizione all’import di materie prime fossili in Europa è la richiesta di una industria europea che, consapevole dell’esaurimento delle risorse del vecchio continente (la produzione domestica di petrolio è stimata in calo del 57% al 2035 e quella del gas del 46%), ignora la possibilità della rivoluzione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza e rimane ancorata alle fonti fossili.
Appalti pubblici Le commesse pubbliche sono un altro capitolo che vede, questa volta, prevalere l’interesse europeo che spera di ridurre il protezionismo americano. Il settore in sede WTO, è oggetto solo di un accordo plurilaterale noto come Government Procurement Ageement (GPA). Si tratta di un settore in costante espansione, che durante la crisi economica è cresciuto (il peso delle commesse pubbliche sul PIL totale è arrivato a toccare il 20% del PIL dell’UE), ma che ha anche visto crescere le misure protezionistiche adottate da molti paesi, inclusi in particolare gli Stati Uniti. In questo ambito la differenza tra UE ed Usa è evidente: l’UE ha aperto alla concorrenza circa l’85% dei propri mercati, raggiungendo il ragguardevole obiettivo di far aprire alla concorrenza extraeuropea i mercati nazionali ma anche quelli regionali e locali, che rappresentano una porzione maggioritaria del totale delle decine di migliaia di autorità che fanno procurement nell’Europa a 28. Negli Stati Uniti, al contrario, la liberalizzazione è avvenuta in 7 ExxonMobil ha già firmato un accordo con la compagnia energetica statale ucraina Naftogaz in base al quale la sua filiale texana Conoco Philips sta valutando le riserve di 1.1 milione di acri nella Polonia del nord – v. The Financial Times “Ukraine to sign landmark shale gas deal. “ 23 gennaio 2013. http://www.ft.com/cms/s/0/f2e095d4‐6578‐11e2‐a3db‐00144feab49a.html
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modo parziale e solo a livello federale, per cui solo il 32% dell’enorme mercato americano appare aperto alla concorrenza di imprese straniere. Va ricordato, però, che il grado effettivo di apertura dei mercati delle commesse pubbliche è assai meno sproporzionato di quanto tutto ciò lascerebbe pensare. A ben guardare, la probabilità effettiva che un’impresa non europea vinca una commessa nel territorio dell’Unione è più o meno la stessa che una società non americana vinca un appalto negli Stati Uniti. Business Europe è stata molto chiara nel suo position paper 32 , nell’indicare gli obiettivi: •
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Diversi ostacoli derivano dal "Buy America" Act. L'accordo dovrebbe garantire la partecipazione delle imprese europee, senza discriminazione, a qualsiasi programma di acquisto i e dovrebbe chiarire l'attuazione della legge Buy America al federale, sub-federale e livello comunitario, in quanto questa politica crea incertezza legale per le imprese europee - in particolare delle PMI. Ai sensi della legge Jones, le imprese europee non sono ammesse a partecipare agli appalti pubblici di servizi marittimi. Ciò significa che le operazioni di dragaggio nelle acque territoriali degli Stati Uniti sono per legge riservate esclusivamente agli Stati Uniti (navi di proprietà almeno il 75% americana e fornite di equipaggi americani). Per la stessa legge gli appaltatori europei non posso accedere a lavori di costruzione di parchi eolici in mare che utilizzano attrezzature marine galleggianti e di mezzi di trasporto per l'installazione di infrastrutture in mare aperto. La Jones Act richiede anche che tutto il trasporto marittimo tra i porti degli Stati Uniti sia fatto con navi costruite negli Stati Uniti, di proprietà americana. L'industria cantieristica europea è stata quindi effettivamente esclusa da tutto questo. L'emendamento Berry regola le forniture nel campo militare e para-militare. Questa legislazione è molto restrittiva in quanto impone l'utilizzo solo di materiali fatti in USA. I requisiti per gli appalti delle amministrazioni dei vari stati sono simili al “Buy America”, con preferenze per forniture locali.
Investimenti Per comprendere la vastità della definizione di 'Investimento' è utile leggerla all’interno del nuovo accordo di libero scambio negoziato (ma non ancora approvato) col Canada:
Ogni tipo di attività che un investitore possiede o controlla, direttamente o indirettamente, che ha le caratteristiche di un investimento, che comprende una certa durata e altre caratteristiche, come l'impegno di capitali o di altre risorse, l'aspettativa di guadagno o di profitto, o assunzione di rischio. Forme che un investimento può assumere: • un'impresa; • azioni, titoli e altre forme di partecipazione azionaria in un'impresa; • obbligazioni e altri titoli di debito di un'impresa; • prestiti; • qualsiasi altro tipo di interesse in un'impresa; • un interesse derivante da: una concessione conferita ai sensi della legislazione nazionale o nell'ambito di un contratto, inclusi diritti di ricerca, coltivazione, estrazione o sfruttamento di risorse naturali, contratti di costruzione chiavi in mano, contratti di costruzione, produzione, vendita o contratti di tipo revenue-sharing, o altri contratti simili; • diritti di proprietà intellettuale; • qualsiasi altro bene mobile, materiale o immateriale, o beni immobili e diritti connessi; • richieste di denaro o diritti a prestazioni, nell'ambito di un contratto. L’obiettivo è la loro protezione dai cosiddetti “espropri”, ossia da decisioni governative che modifichino regole o blocchino progetti. Non è una novità, ricordiamo che il negoziato per un accordo multilaterale sugli investimenti era in trattativa presso l’OCSE a fine anni ’90 e venne cancellato dalla scelta francese di abbandonare il progetto nel dicembre 1998. Dopo di allora gli accordi bilaterali per la protezione degli investimenti sono spuntati come funghi, se ne calcolano almeno tremila perlopiù si tratta di accordi firmati fra un paese sviluppato e paesi meno ricchi con lo scopo, da parte del paese più economicamente avanzato, di proteggere le proprie imprese. Tutti questi accordi sono la base delle numerose vertenze legali succedutesi negli anni. Sono 127 i casi che hanno riguardato 20 paesi membri dell’Unione Europea dal 1994 al 2013. Solo per 62 di questi (il 48%), sono pubblici i dati delle compensazioni economiche richieste dalle imprese: circa 30 miliardi di euro.
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Di 14 di questi 27 casi sono conosciuti gli importi ottenuti a titolo di risarcimento dagli investitori stranieri - comprensivo di interessi, commissioni arbitrali, e le altre spese e commissioni, si tratta di 3,5 miliardi. Il conto più salato fra quelli conosciuti (pagato da un paese UE in seguito a una sentenza, non a un patteggiamento) risulta quello che ha dovuto pagare la Repubblica Slovacca ad una banca, Ceskoslovenska Obchodni Banka (una delle principali della Repubblica Ceca), pari a più di mezzo miliardo di euro (553 € milioni). Interessante notare come il 76% dei casi noti (97 su 127) siano stati sollevati e verso i nuovi Stati membri che hanno aderito all'UE tra 2004 e 2007, quasi ad indicare che le variazioni legislative conseguenti abbiano scatenato la reazione delle imprese straniere influenzate. La più colpita è stata la Repubblica ceca, che ha dovuto difendersi 26 volte. Altro dato interessante è che circa il 60% dei casi (75 di 127) riguardano settori rilevanti per l'ambiente. Altri casi sono stati risolti con una sorta di patteggiamento, ossia col pagamento da parte del governo di una determinata somma in cambio della rinuncia da parte dell’impresa a qualsiasi ulteriore azione. Questo non significa che la cifra pattuita sia bassa, ad esempio la Polonia ha pagato 2 miliardi per chiudere una vertenza con la società di assicurazioni olandese Eureko (arbitrato avviato nel 2005). Ma anche paesi “forti” hanno subito azioni legali, ad esempio la Vattenfall ha citato in giudizio due volte la Germania; la prima volta nel 2009, in relazione alla costruzione di una centrale elettrica a carbone sul fiume Elba, lavoro stimato per un costo di 2,6 miliardi di euro. La Vattenfall, impresa energetica svedese, aveva ottenuto nel 2007 dalla città di Amburgo il nullaosta provvisorio per la costruzione dell'impianto; l’anno successivo i vincoli ambientali relativi alla protezione delle acque del fiume vennero integrati da nuove norme derivanti dalla direttiva quadro sulle acque dell'UE. Vattenfall sostenne che i nuovi vincoli minavano la convenienza economica del progetto rendendolo 'impraticabile'. Chiese quindi un risarcimento di € 1,4 miliardi. L’arbitrato venne gestito dal World Bank’s International Centre for the Settlement of Investment Disputes (ICSID) in relazione al Trattato sulla Carta dell’energia 33 . Il caso si risolse nel 2011 con un compromesso che ha evitato ogni esborso economico pubblico ma abbassando gli standard ambientali delle acque scaricate dall’impianto. E’ interessante notare che la Vattenfall è al 100% detenuta dal governo svedese, è quindi una azienda totalmente statale ma ciò non le impesce di operare come una qualsiasi multinazionale privata. Nel 2012 la Vattenfal ha citato nuovamente in giudizio il governo tedesco. Questa volta per la decisione di chiudere gli impianti nucleari di Kummel e Brunsbuttel 34 . La decisione tedesca seguì l’incidente di Fukushima e si concretizzò nell’estate del 2011. La Vattenfal che gestiva due delle centrali considerate dalla nuova legge tedesca, il 31 maggio 2012 ha presentato una richiesta di risarcimento di 3,7 miliardi di euro. La causa è tuttora in corso.
Dispute statoimprese estere Quanto trattato poco sopra ci porta al punto probabilmente più contestato del T-TIP: il previsto Isds (Investor-State Dispute Settlement), ovvero la soluzione delle controversie tra Investitori e Stato tramite arbitrato internazionale, cui si oppone non solo la totalità dei movimenti civili, ma anche molti politici europei, persino la Germania ha avuto espressioni negative al riguardo. Questo contestato elemento è però già stato inserito nell'accordo consolidato tra Canada e UE (il Ceta, Comprehensive Trade and Economic Agreement), recentemente siglato e ora in attesa della ratifica da parte di Parlamento e Consiglio Europeo. L’ex Commissario al commercio De Gucht aveva in passato sostenuto che senza una soluzione alla questione delle dispute internazionali sugli investimenti, sarebbe stato difficile proseguire il processo negoziale con gli Usa. La nuova commissaria, Cecilia Malmstrom, nel corso dell'Audizione al Parlamento Europeo del 29 Settembre 2014, aveva affermato la sua intenzione di congelare il capitolo Isds, ma al momento figura ancora in agenda.
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Quali pro?
Come avviene normalmente quando si discutono trattati commerciali, anche nel caso del T-TIP sono stati prodotti studi econometrici per mostrarne gli effetti. Nulla di nuovo, a seconda di chi commissiona lo studio, variano i risultati. Ue ed industriali ne citano sempre quattro che prevedono vantaggi netti, anche se l’immagine non risulta particolarmente brillante poiché l’aumento di ricchezza non è quantitativamente molto grande e l’aumento del commercio transatlantico avrebbe conseguenze negative su quello intra-europeo (un po paradossale per la Commissione europea). Il testo principe presentato dall’Ue è quello redatto da Centre for Economic Policy Research Centre for Economic Policy Research 35 (CEPR) che sostiene che un accordo “ambizioso e completo” porterebbe benefici economici annuali quantificabili in 119 miliardi di euro (più 95 miliardi per gli Usa). Ossia un beneficio medio dell’accordo di 545 euro per famiglia europea ed un incremento del PIL della Ue dello 0,5%, mentre per le imprese europee ci si attende un incremento delle vendite negli USA di beni e servizi per 187 miliardi di euro. Uno studio precedente (commissionato e finanziato) all’olandese Ecorys 36 , stimava un aumento del PIL Ue dello 0,7% nel 2018 con un beneficio annuale per l’Ue di 122 miliardi di euro. La Fondazione Bertelsmann 37 , d’altro canto, ha stimato un incremento dei posti di lavoro fino a circa un milione negli Stati Uniti, 400.000 nel Regno Unito e 141.000 in Italia; nonché incrementi del PIL pro capite del 13,4% negli Usa e di quasi il 5% in Italia (nello scenario di maggiore liberalizzazione). Ma i modelli economici sono modelli molto parziali e semplificati della realtà e l’esperienza ha mostrato che la loro capacità previsionale è altamente opinabile. Uno studio alternativo 38 , basato su un diverso modello, il Global Policy Model delle Nazioni Unite (GPM) che incorpora ipotesi decisamente più realistiche rispetto ai modelli degli studi ufficiali, scritto da Jeronim Capaldo mostra risultati diversi da quelli appena citati. In primo luogo il TTIP appare causare, nel giro di dieci anni, una perdita in termini di esportazioni nette. Le economie nordeuropee registrerebbero le perdite più grosse (2,1% del PIL) seguite da Francia (1,9%), Germania (1,14%) e Regno Unito (0,95%). Conseguentemente il T-TIP causerebbe una perdita netta in termini di PIL, anche in questo caso più alta per i paesi nordeuropei (-0,5%) che per la Francia (-0,48%) e la Germania (-0,29%). L’Italia sarebbe uno dei paesi meno colpiti perché il taglio del Pil sarebbe pari ad un esiguo -0,03%. I risultati più importanti però riguardano gli effetti sul lavoro perché l’Ue perderebbe circa 600.000 posti di lavoro. Anche in questo caso i paesi nordeuropei sarebbero i più colpiti con una perdita di 223.000 posti di lavoro, seguiti da Germania (-134.000), Francia (-130.000) ed Europa meridionale (-90.000). Per l’Italia si tratterebbe di perdere 3.000 posti. Al di là di tutte queste previsioni che rimangono tali, sarebbe scorretto omettere che oggi oltre alle grandi multinazionali, anche nella piccola e media impresa italiana c’è aspettativa verso il TTIP, come ha mostrato una recente analisi della Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccolo e media impresa. Il mercato americano risulta attraente ma pieno di ostacoli, sono convinti, perciò, che per rafforzare la propria posizione sul mercato nordamericano, o entrarci ex novo, il T-TIP possa essere un efficace viatico.
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Conclusione Quale conclusione trarre da questa nota incompleta? Il T-TIP non rappresenta nulla di nuovo, ripropone la convinzione che da più di vent’anni viene sostenuta per cui eliminare le barriere tariffarie, deregolamentare i mercati dei capitali, privatizzare, sia la ricetta migliore per la crescita. E’ dagli anni ’80 che ripetiamo il mantra dei benefici della liberalizzazione del commercio, in un volume edito nel 2002 riportai una citazione del New York Times: “ripetete cinquanta volte che free trade significa crescita e tutti i vostri dubbi spariranno” 39 . Ma gli anni sono passati e le promesse non si sono realizzate: chi ha visto ad esempio gli aumenti di salari che secondo la teoria economica standard deriverebbero dalla creazione di un’area di libero scambio? Nessuno nega che si possa continuare a credere che avere sempre più merci che vanno da un angolo all’altro del pianeta sia positivo, che difendere il diritto di non discriminazione di un prodotto (e molto meno quello degli esseri umani) sia molto importante, che considerare come “discorsivi” i diritti di popoli diversi a stabilire regole diverse per coltivare, allevare e produrre energia, sia l’unica strada per “star bene”. Ma è lecito dubitarne. L’analisi delle bozze pubblicate solleva dubbi e timori giustificati. Usa ed Ue hanno standard distinti, conseguenza di approcci diversi ai problemi, scegliere la strada del “mutuo riconoscimento” non è possibile ovunque, sui prodotti chimici e sugli alimenti occorre mantenere prudenza e la sovranità di poter continuare ad avere un approccio cautelativo. Scelte drastiche di convergenza fra sistemi diversi potrebbero avvenire solo nell’ambito di un processo politico di avvicinamento, ma è totalmente fuori luogo visto che al suo interno, l’Ue non è riuscita ad andar oltre l’unione monetaria. Relativamente all’Isds, l’opposizione è così ampia che sarebbe miope perseguirla. L’obiettivo di una maggiore integrazione fra le due sponde dell’oceano non è negativo, ma finalizzato a creare più benessere non solo per le elite, ma per ridurre le diseguaglianze, “per innalzare il tenore di vita, garantire la piena occupazione” 40 . Quindi non l’incremento di Pil va utilizzato come indicatore, ma la riduzione della disoccupazione e delle diseguaglianze. Se il T-tip imboccasse la strada per fissare standard elevati in materia sociale ed ambientale, ponendoli pure come vincoli di accesso ai mercati euro atlantici, potrebbe mostrare un importante segno di inversione di rotta, utile per inaugurare una nuova epoca nei negoziati commerciali (che attualmente languono su vecchi logori binari).
Questo testo è disponibile su www.martinbuber.eu E’ liberamente utilizzabile a condizione che sia citata la fonte per rispetto al lavoro svolto. Roberto Meregalli è coautore/autore dei seguenti libri: • • • • • • •
“Non è vero, il neoliberismo alla prova dei fatti”, MC Editrice 2002. “Questo mondo non è in vendita – Come opporsi alle strategie del supermercato mondiale”, Editrice Berti, 2003 “Cercare il sole dopo Fukushima”, Diesse Edizioni 2011. “Energia, un nuovo inizio”, MC Editrice, 2012. “Acqua, terra, Energia”, MC Editrice 2013. “Via il carbone dall’Europa, Rapporto sull’Europa decarbonizzata”, MC Editrice 2014. “CIBO non CIBO La fragilità alimentare”, MC Editrice novembre 2014.
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1 Fonte
immagine: "Transatlantic Free Trade Area" by Monsieur Fou - Own work. Licensed under CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons. In questo testo sarà considerato l’acronimo T-TIP ma il negoziato viene anche indicato come Transatlantic Free Trade Area (TAFTA). 3 CEO (2001) TABD Back on Track?, Corporate Europe Observer - Issue 10, December 2001,Amsterdam. 4 Si tratta di un Accordo Multilaterale sugli investimenti. Quando i negoziati fallirono i rappresentanti europei convinsero i colleghi americani ad abbandonare l’OCSE e proseguire gli sforzi per un accordo sugli investimenti in sede WTO. Accadde al vertice di Charlotte, North Carolina, nel novembre 1998. Il portavoce europeo Stephen Johnston confermò in una intervista la ritrovata unità TABD: "We have decided to work in the WTO. The TABD has regrouped." (documentazione in possesso dell’autore). 5 Per conoscere com’è nato, come funziona e quali accordi gestisce l’OMC/WTO vedi “Non è vero, i dogmi del neoliberismo alla prova dei fatti”, MC editrice Milano 2002. 6 Nella stessa opera citata nella nota 3. 7 “A Strategy to strengthen transatlantic partnership”, TPN, WASHINGTON / BRUSSELS – DECEMBER 4, 2003, http://www.tpnonline.org/WP/wpcontent/uploads/2013/09/Strategy_to_Strengthen_TA_Partnership.pdf 8 Col termine “Berlin Plus” si intende un accordo fra NATO ed Ue in vigore dal 2003. “http://www.europarl.europa.eu/meetdocs/2004_2009/documents/dv/berlinplus_/berlinplus_en.pdf 9 Clingendael Policy Brief No. 23; October 2013 Clingendael Institute The Geopolitics of T-TIP. 10 Dati tratti da: “The Transatlantic Economy 2014 - Annual Survey of Jobs, Trade and Investment between the United States and Europe”, di Daniel S. Hamilton and Joseph P. Quinlan - Center for Transatlantic Relations Johns Hopkins University | Paul H. Nitze Sc hool of Advanced International Studi. Prodotto per American Council, American Chamber of Commerce to European Union e Transatlantic Business Council. 11 Le cifre di questa sezione sono tratte da: “ ACCORDO di LIBERO SCAMBIO UE-USA “Transatlantic Trade and Investment Partnership - T-TIP” ANALISI E OSSERVAZIONI, edito da Confindustria, maggio 2013. 12 Fonte: Osservatorio Economico Mise 13 Fonte: elaborazioni Agenzia-ICE New York su dati US Department of Commerce - BEA (Bureau of Economic Analysis) 14 La definizione è quella prevista dall’accordo TBT dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. 15 Dati WTO 16 https://www.certbios.it/body/biosinforma/2012%20Luglio/Approfondimenti%20su%20equivalenza%20USA.pdf 17 http://www.aphis.usda.gov/stakeholders/downloads/2015/SA_arctic_apples.pdf 2
18 Vedi Corrado Finardi, Lorenzo Bazzana “Valutazione del rischio alimentare, organism scientifici indipendenti e battaglie commerciali”, Agriregioneeuropa anno 6, n.23
http://agriregionieuropa.univpm.it/content/article/31/39/la-commercializzazione-dei-prodotti-alimentari-ue-negli-usa-tra-qualita-e http://agronotizie.imagelinenetwork.com/agricoltura-economia-politica/2015/02/06/T-Tip-a-che-punto-siamo/41750 21 La Fast track è una autorizzazione concessa dal Congresso al Presidente Usa a negoziare accordi commerciali non più modificabili dal Congresso, il quale potrà solo accettare o respingere in toto l’accordo. 22 L’International Plant Protection Convention (IPPC), promossa dalla FAO, ha il compito di prevenire contaminazioni ed epidemie su piante e prodotti agroalimentari, esercitando il controllo sugli standard. La World Organisation for Animal Health (OIE), dal 1924 ha assunto il compito di emanare standard e regolare il commercio di animali e prodotti derivati. Il Codex Alimentation Commission (Food Code), ha lo scopo di emanare codici standard per facilitare la provenienza e la tracciabilità dei prodotti. 19 20
http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1249_allegato.pdf http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/wp-content/uploads/2014/05/Circolare-Ministero-n.-2731-03_02_2014.pdf 25 http://www.efsa.europa.eu/it/topics/topic/bisphenol.htm 26 http://www.ncsl.org/research/environment-and-natural-resources/policy-update-on-state-restrictions-on-bisphenol-a.aspx 23 24
http://www.efsa.europa.eu/en/efsajournal/doc/2317.pdf FVE Position paper on decontamination carcases. FVE/11/doc/050/rev19_Nov. (http://www.fve.org/uploads/publications/docs/fve_11_050%20decontamination%20of%20carcasses_19_nov_2011.pdf) 29 http://profcarlocantoni.blogspot.it/2014/05/considerazioni-sul-trattamento-delle.html 30 La quota di import è concessa per carni prodotte senza l’uso di ormoni per favorire la crescita. 31 Su questo vedi il Report “Dirty Deal: How trade talks threaten to undermine EU climate policies and bring tar sands to Europe”, Friends of the Earth Europe, luglio 2014. 32 http://www.businesseurope.eu/Content/Default.asp?PageID=568&DocID=32446 33 http://www.encharter.org/index.php?id=7 34 http://www.tni.org/sites/www.tni.org/files/download/vattenfall-icsid-case_oct2013.pdf 35 http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2013/march/tradoc_150737.pdf 36 http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2009/december/tradoc_145613.pdf 27 28
37
http://www.bfna.org/sites/default/files/T-TIP-GED%20study%2017June%202013.pdf
Il Trattato di partenariato transatlantico su commercio e investimenti. Disintegrazione europea, disoccupazione e instabilità, Jeronim Capaldo, Ottobre 2014. 39 Vedi: Non è vero, i dogmi del neoliberismo alla prova dei fatti, MC editrice 2002. 40 Citazione tratta dall’introduzione dell’Accordo di Marrakesh, istitutivo dell’OMC/WTO. 38
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