DIGITAL REVIEW n°
title 04
TERRITORIO
HAVE A NICE DAY
interstizi.altervista.org
interstizi@yahoo.it
www
interstizi.altervista.org
titolo
p.
autore
:editoriale + indice: :mobilitazioni territoriali: :senza titolo: :ma (interstizio): :neuromancer: :senza dargli troppa importanza: :lebbeus woods: :territorial pissing: :cieli notturni: :sul cielo degli altri: :inseguire un sogno: :magma:
01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 13
La Redazione Enrico M. Caporossi Maximiliano Chimuris Francesco Varanini DoKCLaB L 'Enfant Sauvage Massimiliano Ercolani Emho Patrizio Ghirga Di Remigio Rossella Scarpulla Davide Lucignani Marco
Il territorio, e le sue infinite declinazioni, gli spazi interstiziali che vi si scorgono, i luoghi interiori e le innumerevoli sfaccettature. Quello vissuto quotidianamente, e quello della nostra mente, il territorio che è più vicino a noi, che sentiamo nostro pur essendo lontano da lui nello spazio e nel tempo, il territorio perfetto, il territorio immaginario. Lo spazio della nostra infanzia, l'ambito circoscritto e il territorio segnato con istinto animale. Tutti questi luoghi definiti da caratteristiche spazio-temporali sono descritti con sincerità ed attenzione dai nostri collaboratori che come sempre si sono spinti tra le pieghe più intime sviscerando le diverse posizioni senza scadere nel banale. Il nostro territorio, quello di :INTERSTIZI: per intenderci, si sta allargando, e cerca in tutti i modi di guardare lontano, ed al più presto ci sarà un nuovo sito dal quale scaricare la vostra rivista preferita. Andate e moltiplicatevi. (Come lettori, si intende…..siamo fin troppi su questa terra) I cialtroni della redazione
HAVE A NICE DAY
01
REDAZIONE Ercolani Massimiliano Lucignani Marco Scarpulla Davide COORDINAMENTO Di Remigio Rossella GRAPHIC DESIGN DoKCLaB (Ercolani Massimiliano)
author e-mail
enrico maria caporossi title enrico.caporossi@tiscalinet.it
mobilitazioni territoriali
Politiche previdenti parlano di mobilitazioni territoriali. I giochi di vertice vorrebbero essere snodi centrali. Come se fossimo una spalla un gomito o un ginocchio. Collegare, muovere e articolare le persone e la forza lavoro in poco tempo. Un salto nello spazio delle opportunità di unire le capacità. E poi di dividere creando nuovi paletti come i brevetti a creazioni comuni (anche dei nuovi spazi digitali). Creando nuovi ricchi padroni del paese, e poveri di soluzioni sopratutto. Superfici superficiali. Linee inclinate come del sole che casca all'orizzonte nel mare. Pesanti terremoti dell'anima come il cielo blu, il viola il rosso di sera. Territori comuni. Significati diversi. Come per chi non ne ha. O per chi non capisce l'importanza di ciò che egli stesso prova. Come per una natura devastante di cui non conosciamo più neanche il nome.
HAVE A NICE DAY
02
author e-mail
maximiliano chimuris
title
mchimuris@yahoo.com.ar
senza titolo
HAVE A NICE DAY
03
author
www
francesco varanini title www.francescovaranini.com
Come 'funziona' una organizzazione? Se ci limiteremo ai documenti e alle opinioni ufficiali capiremo ben poco. Per capire di più dovremmo andare a parlare con le persone con cui nessuno parla, e aprire i cassetti che di solito restano chiusi. Dovremmo, cioè, guardare dove di solito non si guarda, negli interstizi. (Interstizio, 'intervallo', 'distanza', 'spazio minimo che separa due corpi', è voce dotta del tardo latino, da interstare: 'porsi', stare, 'in mezzo', inter). Però non siamo abituati a farlo. Gli interstizi, come quel minimo vuoto che c'è tra pietra e pietra in un muro a secco, ci appaiono spazi sprecati, dove è inutile andare a guardare. Ben diverso l'atteggiamento delle culture orientali. In giapponese la traduzione di interstizio è ma, che sta per 'cancello che fa filtrare il sole'. Ma deriva da mon, 'cancello', ma anche 'eminenza'. L'imperatore è l''onorevole cancello' (mikado), il superiore di un tempio è 'capo del cancello', la famiglia è detta 'unico cancello'. La soglia è un luogo fondamentale per la cultura giapponese. L'idea di 'cancello' è nobile ed alta proprio perché rimanda ad uno spazio vuoto. I due battenti non limitano, permettono di guardare. Ciò che lo sguardo coglierà resterà sempre in parte misterioso, ma anche ricco, nuovo. Così da 'cancello' il significato si allarga allo spazio che separa ospite ed ospitante, allo spazio vuoto in un quadro alla pausa di una musica, al concetto di 'distanza', 'pausa', 'intervallo', 'tempo libero', 'fortuna', 'occasione', 'ritmo'. E chi non coglie l'attimo giusto per chinare la testa congedandosi dopo una visita è goffo, 'senza ma' (manuke). Da noi, la parola italiana cancello esprime tutt'altro senso. Il latino cancelli, solo plurale, è diminutivo di cancri, 'graticci': quindi 'grata', 'inferriata'. E il verbo cancellare rimanda al gesto di copre la parola scritta con una graticola di segni, in modo da renderla
ma (interstizio) www.bloom.it illeggibile. Così, proprio dove potrebbe essere visto l'interstizio lo spazio non ancora occupato, la nuova forma di conoscenza, la ricchezza non ancora scoperta, la verità non ancora svelata noi non vediamo altro che cancellate porte invalicabili e cancellature azioni tese a rendere invisibile ciò che accade. Dove il giapponese vede filtrare la luce del sole, noi scegliamo di non guardare.
HAVE A NICE DAY
04
author e-mail
DoKCLaB
title
dokc.design@virgilio.it
www
neuromancer (worlds) dokc.altervista.org
HAVE A NICE DAY
05
author e-mail
L'Enfant Sauvage trilly_tt@libero.it
title
Il proprio territorio è quello in cui ci si abbandona come nel sonno: gambe leggermente divaricate, supini, senza l'intralcio del pudore o la vergogna per una nudità di troppo, tra lenzuola bianche di lino, in un pomeriggio di siesta. Quello in cui si respira a pieni polmoni, nel mio territorio c'è sempre vento. E a me quando c'è vento sembra di respirare veramente per la prima volta. Quello in cui la mano che ti è vicina ti stringe la spalla, ti accompagna, il passo che ti segue ti sostiene, non è pauroso, infatti nel mio territorio c'è sempre qualcuno, un altro da me. Nel mio territorio, la lingua va veloce e la grafite corre sul palmo della mano che scivola sul foglio, nel mio territorio la tastiera del computer non ha pace, infatti si scrive sempre. Il mio territorio è imbiancato dal libeccio, profumato, capace di ogni incantesimo, rumoroso, famigliare, racconta sempre la stessa storia, infatti nel mio territorio c'è il mare. E' strano a volte, perché è come un lembo di pelle che rimane scoperto tra due armature, che so?…dove il collo si appoggia alla spalla, tra elmo e corazza: c'è un Ettore fermo nel momento di lasciare Andromaca, c'è Achille che bacia Briseide, c'è Priamo che elemosina il corpo del figlio, infatti nel mio territorio c'è la guerra Essere nel proprio territorio è essere a casa: si riconoscono i profumi e i corpi, il braccio che siede a tavola con te e una declinazione maschile del tuo braccio, le labbra che si aprono e si chiudono davanti a te, sembrano le tue quando sei concentrata, i capelli che dormono su un altro cuscino sembra staccati dalla mia nuca da una Mab dispettosa, le dita che, bacchette, picchiano forte su una batteria t'hanno accarezzata tante volte, infatti nel mio territorio c'è una famiglia. Nel mio territorio c'è la Galizia, ci sono le colonne del Partenone, c'è l'Andalusia, c'è il Marocco e Gibilterra e c'è la spalla dell'amico di
Senza dargli troppa importanza…
sempre: nel mio territorio infatti si viaggia. E poi c'è un treno, piedi scalzi, musica e libri. Nel mio territorio, poi, c'è un “Tu”, c'è un “tu ed io”. Perché un “Tu” ci vuole sempre per fare un territorio. E' un “tu ed io” piccolo piccolo sulla pancia. Il fatto che per fare stare nel proprio territorio ci vuole coraggio, il coraggio di rimanere. Di rimanere ben piantati nelle proprie radici: quelle di guerra, di mare, di famiglia, di scrittura e vento…. Perchè “forse tutto sta a sapere quali parole pronunciare, quali gesti compiere, e in quale ordine e ritmo, oppure basto lo sguardo, il cenno di qualcuno, basta che qualcuno faccia qualcosa per il solo piacere di farla (…) ma bisogna che tutto capiti come per caso, senza dargli troppa importanza”. Quindi, così, senza dargli troppa importanza mi ritrovo a respirare, a scrivere e a bighellonare nel mio territorio…che si chiami Diomira, Dorotea, Zaira, Anastasia, Tamara, Aglaura o Marozia ….
HAVE A NICE DAY
06 0.00
1.00
2.00
3.00
4.00
5.00
6.00
author e-mail
massimiliano ercolani title dokc.design@virgilio.it
www
lebbeus woods dokc.altervista.org
Alcuni architetti credono che il loro sia un mestiere antico ed in quanto tale, ormai definito. L'eletta schiera di architetti numerati e timbrificatori pensa di avere l'esclusiva sulla qualità del territorio, ma poi costruisce le periferie delle nostre città. He si! Tutte le nostre periferie sono costruite da architetti legali, quelli con numero e timbro. In realtà l'architettura è un'entità autonoma, quella con la A maiuscola non necessità degli architetti per esistere, a meno che questi si possano definire tali non per il timbro, ne per numero di appartenenza ad un ordine.
immagini tratte da: _RADICAL RECONSTRUCTION, by Lebbeus Woods Princeton Architectural Press, New York 1997 _ANARCHITECTURE: ARCHITECTURE IS A POLITICAL ACT by Lebbeus Woods Academy Edictions / St. Martins Press, 1992
L'architettura rappresenta la chiave di lettura delle dinamiche del territorio. L'architetto Lebbeus Woods interpreta la realtà indipendentemente dalla professione, intende l’architettura come disciplina che permette la conoscenza del mondo fisico, e però lo fa attraverso la sperimentazione, sempre oltre le righe, sempre portando alle estreme conseguenze la progettazione, così che i luoghi da lui rappresentati non sono ne immaginari, ne tanto meno fantastici.
HAVE A NICE DAY
07
Non inventa edifici, e non è neanche un creatore di mondi, parte dall’essere umano e costruisce attorno ad esso una comunità nuova che necessita inevitabilmente di nuove forme, di una nuova sede per gli eventi sociali, a volte questa sede è fisica, altre volte è una proiezione astrale, a volte lo fa sulle macerie della realtà più idiota dell’uomo (la guerra), altre si confronta con non luoghi, altre ancora con intimi relitti. Edificio, città, territorio. La connessione tra le varie scale del vivere umano è sviscerata in tutta la crudezza da questo “strano” architetto che non cambia le regole del gioco, cambia il gioco stesso e lo rende multidimensionale. E' il gioco che viene messo in discussione. Da inviato in Bosnia ha redatto pagine e pagine di “visioni” sulla guerra in atto in quegli anni, da anarchitetto (anarchia+architettura) qual è, non nasconde la realtà, ma come un chirurgo sutura le ferite aperte cauterizzandole, le cicatrici, atto di testimonianza, saranno un monito. Crede nella tecnologia, ma non la imita, costruisce forme di coabitazione atipiche, nella terra, al suo interno ricava spazi per nuove realtà di convivenza, nel cielo, in sospensione umani non umani si confrontano in leggere evoluzioni. La sua architettura è politica, la sua architettura è anarchica, la sua architettura è edificio, città, territorio.
author e-mail
emho
title
senza titolo
HAVE A NICE DAY
08
author e-mail
patrizio ghirga ghipaolo@libero.it
title
cieli notturni
HAVE A NICE DAY
09
di remigio rossella title Sul cielo degli altri e sul Teatro de Los Andes. dirossella@hotmail.com Note di recensione. metafisiche. E' poco tempo che l'arte ha smesso Ci sono spettacoli pochi- che incantano e si la sua opulenza. I suoi materiali sono imprimono nella memoria. Gli spettatori se li essenziali, elementari. Fra tutti il più povero e raccontano anche a distanza di anni. Capita sacro: l'uomo, l'attore sapientemente inserito raramente sulla scena italiana, spesso afasica nello spazio.” o autoreferenziale soprattutto nel cosiddetto Dieci attori in scena, abiti appesi e dall'alto “teatro di ricerca”, di imbattersi in uno sacchi pieni di granaglie che gli attori bucano spettacolo come questo. via via con ombrelli ed altro lasciando cadere “Il cielo degli altri” della Compagnia Il Setaccio lentamente il loro contenuto. E' una clessidra di e per la regia di Cèsar Brie parla di povertà, appunto, una pioggia rumorosa cha immigrazione e lo fa senza buonismi o accompagna voci e azioni. Da lontano echi di propagande: storie di personaggi che scappano mazurke romagnole, quasi odori di piadine e dalla guerra o dalla persecuzione, che hanno stabilimenti balneari, un'umanità vociante in sogni di ricchezza o fuggono dalla miseria. Si costume da bagno. Sono le stesse spiagge dove troveranno in un gommone, ricorderanno un di notte un'altra umanità fa naufragio. E i viaggio che non finiranno mai, parleranno di un naufragi in scena per Brie possono essere destino che altri vivranno al posto loro. risolti molto vividamente da un attore a terra e Lo spettacolo inizia. La scena è altri due che gli tirano secchiate d'acqua. sostanzialmente nuda, senza scenografie. C'è Le singole storie dei personaggi si svolgono in questa scelta la lezione di Grotowskij, la per quadri, gli attori si muovono e agiscono povertà necessaria per ritrovare il linguaggio lungo linee direttrici in relazione allo spazio e essenziale del teatro, c'è l'esperienza ai pochi elementi scenici. Il margine lasciato dell'Odin, ci sono diversi esempi dei maestri: all'immaginazione dello spettatore è ampio: un Peter Brook, Gordon Craig, Kantor. E giro di pellicola di alluminio attorno al corpo ed certamente c'è anche la povertà materiale di un ecco raccontato il destino di molte clandestine teatro sempre in situazioni estreme o nel nostro paese: fasciate nel finto abbaglio di necessitato ad allestire spettacoli anche nei un finto benessere, in realtà 'confezionate' da posti più impervi della Cordigliera. La gente senza scrupoli e pronte per il scenografia deve servire, essere funzionale marciapiede. Sequenze brutali o commoventi in all'attore, “un attore”dice Cèsar Brie “che cui si raccontano stupri, prevaricazioni, amori sappia parlare, cantare, usare il proprio corpo, perduti. E' come se lo spazio scenico fosse che sia musicista e acrobata. Capace con la sua continuamente interrogato cercando metafore, sola presenza di supplire alla gran parte di allegorie. Perché fuggiamo, verso dove, alla quegli elementi scenici che la nostra povertà ci ricerca di cosa? “Nel cielo degli altri non impedisce di utilizzare. (…) La povertà di cui riconosci le stelle che vedevi da bambino, parlo non è soltanto la povertà materiale in cui quando avevi curiosità e tempo per guardarle. svolgiamo il nostro lavoro. E' una teoria della E' il cielo della nostalgia, della perdita e povertà. Credo che, nascoste nella povertà, dell'assenza”. sulla scena, esistano forze evocative, verità Da solo al tredicesimo piano di un grattacielo
author e-mail
HAVE A NICE DAY
10
un ragazzo di 16 anni apre un libro e vi impara strani esercizi da compiere con il corpo. Fuori c'è Buenos Aires, la violenza crescente di una stagione che finirà con l'immagine di altri corpi, quelli martoriati e spesso ancora vivi, scaricati in volo dagli aerei militari nel Mar del Plata. Inizia così non lo spettacolo “il cielo degli altri” ma la formazione artistica del suo regista. Perché le vicende umane e artistiche di Cèsar Brie sono state, per attitudine e necessità, una continua ricerca di uno spazio dove far convivere tradizione, memoria e ricerca. E' il teatro di uno che ha passato, per scelta e necessità, tutta la vita in esilio: via dall'Argentina a 18 anni durante la dittatura, in Italia e successivamente in Danimarca, per poi ritornare nei primi anni Novanta in America Latina. Ma stavolta non a Buenos Aires ma a Yotala, in Bolivia. Qui in una terra ricchissima di tradizione ma quasi estranea al teatro ha fondato il Teatro de Los Andes, uno spazio e un'esperienza che per peculiarità, rigore e umanità non somigliano a nient' altro. Vale la pena di soffermarsi per riflettere su come il teatro debba essere considerato il prodotto di un autore collettivo, cioè di un organismo capace di espletare la propria singolarità in un ambiente dato e scelto, mai però adattandosi ad esso e costituendo invece la testimonianza di un vivere differente. Come se ogni artista fosse al tempo stesso originario di un luogo lontano e divenuto per scelta un altro, uno straniero ovunque si trovi. Il Teatro de Los Andes è un teatro dei luoghi, che aspira a creare un modo e un luogo di meditazione comunitaria. E' un movimento che, iniziato in una piccola fattoria delle Ande, ha assunto un respiro universale e oggi parla e commuove gli spettatori di tutte le latitudini.
author e-mail
scarpulla davide title davidescarpulla@virgilio.it
inseguire un sogno claudia de fazi
foto
HAVE A NICE DAY
11
Non credo a ciò che sto vedendo Perché un sogno sia tale, è necessario che sia impossibile portarlo a compimento. In tale elemento sta il dramma di chi basa la sua esistenza su aspettative mirabolanti. Emblematica è l'espressione “inseguire un sogno”. Coloro i quali usano questa frase retorica parlando di se stessi, me li immagino vivi ed entusiasti, ma diverso sarebbe immaginare gli stessi mentre affermano di aver raggiunto un sogno. I sogni non si raggiungono, perché quando ciò accade perdono la loro natura e muoiono. Quindi tra la dimensione reale e quella legata alle nostre aspettative più alte, ci deve e c'è di fatto, una distanza incolmabile. In questo senso il sogno è quanto di più lontano dalla parola territorio. Un termine creato per indicare una porzione di terreno, un luogo fisico, misurabile e quantificabile in denaro, che da a seconda della sua vastità, un metro di ricchezza di chi lo possiede. Nulla a che fare con il sogno quindi. Eppure è esistita su questa terra, chi tali regole le ha trasgredite, confuse e mescolate. Chi mi ha disorientato e fatto vacillare di fronte ai dati di fatto. Questa persona si chiamava Niki de Saint Phalle. Non l'ho mai conosciuta e se lo avessi fatto, non ci sarei certamente andato d'accordo, ma lei è riuscita a confondermi. Si trattava di una donna minuta, chiara e dura di stampo nord europeo. Questa donna non è mai stata con i piedi per terra ma sempre a mezz'aria, ha sempre immaginato donne grasse in pose da ballerine, rinoceronti sfreccianti nei cieli e architetture d'acqua solide come cemento. Le è sempre piaciuto ribaltare le regole della gravità, ma non per prendersene gioco in maniera ironica, perché tale operazione presuppone cinismo, ma anzi con il rispetto di chi le conosce tali regole, con lo stesso atteggiamento di una bambina che per abbellire una bambola dallo sguardo fisso, le mette addosso fiocchi e le pettina i capelli. Questa donna nel 1979 ha preso un sogno che le volava accanto, ma non lo ha schiacciato a terra, anzi lo ha fatto volare con lei.
author e-mail
scarpulla davide title davidescarpulla@virgilio.it
Per realizzarlo serviva un terreno, si, proprio un terreno di quelli di cui si parlava prima in termini prosaici. Ma se il terreno non si possiede, è necessario che qualcuno ce lo regali, ed allora lei e il suo compagno Jean Tinguely se lo sono fatto regalare. Si trova vicino a Chiarone, nella campagna maremmana, su una collina che si vede anche dall'Aurelia. Su questo terreno lei voleva abitare, ma voleva anche realizzare un'opera d'arte. Voleva costruire col cemento armato in un pezzo di macchia mediterranea incontaminato, opere enormi. “Contiamoci” disse: “io, tu” (Jean) ed un loro amico tedesco. “Ci serve aiuto” esclamò, ma c'era da costruire molto e su più di un ettaro di superficie, l'aiuto poi, doveva essere gratuito e per molti anni. Ed allora ecco apparire dai cespugli i folletti sotto forma di postino, lattaio, edicolante e di tutta la gente del luogo che li volle aiutare. Serviva una bella entrata al parco, un'entrata che lo proteggesse, perché i sogni hanno bisogno. “Chiamiamo un bravo architetto”, ed ecco Mario Botta, un grande architetto. “Ed ora via al parco”. La realtà spiegata e piegata, prevista e rubata ma anche rifuggita, in una parola i Tarocchi. Il “Giardino dei Tarocchi”. Dal nulla, come piante ben curate che si ergono rapidamente, ecco il Papa e la Papessa, l'Imperatore, la Torre, la Giustizia, il Diavolo, l'Appeso e tutti gli altri… Ma ecco anche la loro casa dentro l'Imperatrice, il loro studio dentro la Torre, la loro cappella privata e i loro luoghi di vita. Tutto insieme. Sarebbero serviti tanti materiali ed allora eccoli arrivare, tondini di ferro per il cemento armato, ci pensò Jean a piegarli, mattonelle realizzate una ad una e cotte al forno da questa corte dei miracoli, vetro di murano e plastica, mosaico e pezzi di lavatrice. Tutto insieme. Una dopo l'altra le opere, uno dopo gli altri gli anni, ecco un sogno prendere forma. Ecco il territorio del sogno. Ma perché il sogno resti tale ha bisogno di non essere tangibile si
inseguire un sogno claudia de fazi
foto
era detto. “Ed allora facciamo in modo che non si realizzi mai completamente” mi sta rispondendo lei nella mia testa. E cosi è, perché i disegni e progetti sono ancora tanti e difficili da realizzare, il parco è ancora in costruzione e quello che è costruito richiede grande manutenzione, non si finirà mai! Riepiloghiamo: il terreno, il cemento, il ferro, la casa, il lavoro, la natura, il colore, la magia, l'arte. Il tangibile e l'intangibile fusi ed indinstinguibili. Sono confuso lo ammetto. Niki è morta, Jean è morto, il loro amico tedesco non lo so, ma il postino, il lattaio, l'edicolante ed i loro figli sono ancora vivi e gestiscono il parco. Voi andate a visitarlo (http://www.provincia.grosseto.it/tarocchi/tar occhi_hm.hm). Questo è il territorio del sogno, anche lui è ancora vivo…
HAVE A NICE DAY
12
author e-mail
lucignani "kraif" marco lucignani@libero.it
title
magma
HAVE A NICE DAY
13
Lei- nel villaggio vent'anni sono tanti- aveva respirato solo l'aria del suo paese, mangiato i frutti della terra dei suoi avi, scoperto l'amore -malgrado la sua volontà- con il figlio del vicino, da sempre promesso sposo poi fresco marito ed in fine... giovane vedova, pochi mesi dopo aver indossato il bianco. Era necessario,aveva replicato alle sue suppliche, doveva partire per proteggerla e per onorare il villaggio. Lei non non lo capì.Pensò che il marito fosse stanco della sua sposa. Lui- straniero per sopravvivere- aveva deciso di partire, imparare ad uccidere. Si era arruolato appena sul suo viso era spuntata la virilità, non aveva lasciato niente ma s'era accorto di non aver trovato niente. Eseguiva gli ordini e riscuoteva un salario che non spendeva.Tre anni prima aveva lasciato il suo paese e d'allora non si era mai fermato, inseguito dal terrore di quello che ogni volta lasciava dietro di sè. Si vedono e dicendosi lo stretto necessario per capirsi si amano. Lui deve farlo, lei è stata abituata così. Ora giacciona terra, sulla terra sfaldata, come frutti ormai maturi lasciati cadere per il troppo peso. Lui piange, lei gli tiene una mano sul capo stringendolo al seno. Per un istante tutto. Le loro paure, il dolore la vita tra quattro fossati chiusi perde le dimensioni divenendo tutt'uno con la terra. La terra sfaldata che sta sotto i loro corpi.
Rif. Bibl. _film Barry Lindon - Stanley Kubrick, 1975 Il settimo Sigillo - Ingmar Bergman 1956 _romanzi Il tempo di uccidere - Ennio Flaiano
interstizi@yahoo.it
Potete trovare i numeri arretrati di :INTERSTIZI: in formato pdf sul web all'indirizzo:
www
interstizi.altervista.org
HAVE A NICE DAY
14
interstizi@yahoo.it interstizi@yahoo.it
RIVISTA
DIGITALE
RIVISTA
DIGITALE
http://interstizi.altervista.org
n°00-spazi interstiziali
n°01-liquido
n°02-carne
n°03-segreto
MOVIMENTO
n° bonus-multi
IL PROSSIMO NUMERO: