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Bando agli estremismi e concentrarsi tutti su razionale concretezza
L’orso è da sempre stato il simbolo del Parco Naturale Adamello Brenta. In questo ultimo mese, dopo la morte di Andrea Papi, sembra essere cambiato tutto?
La morte di Andrea è stata un incredibile tragedia che ha lasciati tutti sgomenti e ha reso, anche solo i più piccoli gesti quotidiani, difficili per un’intera Provincia. E’ stato un momento di spartiacque anche per il Parco che ha innescato in ciascuno di noi un ampia varietà di vissuti emotivi: rabbia, sensi di colpa, incredulità e su tutti profonda tristezza. Questi sentimenti avranno bisogno di tempo per essere elaborati e ignorarli non farà altro che ingigantire queste emozioni. E’ quindi senza dubbio giusto e maturo sentirsi tristi, confusi e finanche spaventati ma riterrei irrispettoso della memoria di Andrea riempire il nostro prossimo futuro di “se solo avessimo…” ed invece ci corre l’obbligo di accettare quegli insegnamenti che questa tragedia è in grado di fornirci. Dobbiamo stringerci come comunità e, senza dimenticare, concorrere a risolvere quei conflitti che ci hanno condotto fino a qui: lasciare da parte ogni estremismo e insieme fare la cosa giusta. Analizzare, anche se è doloroso e complicato, farci carico ciascuno dei disagi degli altri, anche se ci smbra di avere già la nostra soluzione. In questo modo sono certo troveremo una strada utile a che questa sciagura non abbia a che ripetersi onorando, in questo modo, il ricordo di Andrea. La risposta ad ogni dolore non può essere la rabbia o l’annientamento.
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Col senno di poi come valuta il progetto “Life Ursus” e quali sono stati i principali errori nella gestione del progetto?
Provando a recuperare un po’ di quella serenità che troviamo quando ci si rifugia nel conosciuto o nella scienza posso dire che il progetto Life Ursus mirava a reintrodurre l’orso bruno nelle Alpi Centrali e, per quelli che erano gli obbiettivi di ripopolamento di allora, è stata una sfida vinta o, se preferite, un grande successo naturalistico evitando all’orso di scomparire da questa parte delle Alpi. Il popolo trentino si è caricato da solo la responsabilità di questo
Walter Ferrazza, presidente del parco Naturale Adamello Brenta, sulla morte di Andrea Papi nello scontro con un’orsa.
salvataggio: è bene che tutti lo ricordino. Appaiono tuttavia, a distanza di 20 anni, molte questioni ancora irrisolte che in realtà non sono legate propriamente al progetto, perché lo ricordo è finito nel 2004, ma piuttosto alla gestione successiva in carico alla Provincia. Non diciamo tuttavia che il progetto è “sfuggito di mano” perché non è così: i documenti alla base del progetto avevano previsto sia i numeri che i possibili rischi. Vero è che in quegli stessi documenti si riportavano anche i possibili correttivi. In questi anni non è stato possibile rispettare fino in fondo le “regole di ingaggio”, per i conflitti tra chi poteva e chi non voleva, contenute nei Piani, e non si è investito abbastanza nella comunicazione e nell’educazione: la situazione va, e andava, infatti gestita con sforzi ultra-straordinari e non ordinari come si è tentato di fare. Non dobbiamo comunque allontanarci in nessun modo dai fissati criteri oggettivi: continuare a credere alla scienza e affidarci alla tecnica. Bisogna agire in maniera ferma e unanime ammettendo anche di arrivare ad abbattere un esemplare, come e secondo le previsioni contenute nel PACOBACE (Piano d’azione interregionale per la conservazione dell’orso bruno nelle Alpi centro-orientali).
Dobbiamo agire lontano dai fondamentalismi e dalle ipocrisie evitando di rompere un necessario rapporto di coesistenza basato sulle regole che abbiamo scritto e che sono necessarie per salvare un progetto a cui il mondo guarda con interesse. Ora la priorità è garantire alle popolazioni trentine la possibilità non solo di vivere in sicurezza ma di salvaguardare anche il reddito di quelle comunità che dipendono dal raccolto e dal bestiame e che, molto spesso, vivono già al limite della soglia di povertà.
Se in meno di 20 anni gli orsi sono passati da meno di 10 a 150, qualcuno dice anche 200, che previsioni possiamo fare per i prossimi 20 anni?
L’evoluzione della specie è perfettamente in linea con le previsioni contenute nello “Studio di fattibilità per la reintroduzione dell’Orso bruno (Ursus arctos) sulle Alpi Centrali” realizzato all’inizio del progetto dall’allora Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica e siamo quindi ad un centinaio di esemplari. L’evoluzione è ovviamente impossibile da prevedere precisamente perché molte sono le variabili che possono intervenire ma gli stessi documenti stimano accrescimenti annui da un 5 al 10% della popolazione.
In che modo sarà possibile gestire in sicurezza la convivenza tra le attività umane e la presenza dell’orso?
Innanzitutto dobbiamo riportare la discussione a criteri tecnici veri che, senza demagogia, reindirizzi la gestione passando per l’ascolto e la partecipazione delle comunità. E’ importante che si agisca con assoluta decisione e corag- gio nel rispetto di quelle che sono le regole che se non onorate ingenerano un insanabile conflitto uomonatura: cattura e contenimento sono principi scritti nei Piani fin dal principio del progetto e che devono essere rispettati. Sono principi di sicurezza che sostenevo con forza fin dal 2014 e che oggi trovano ancora più senso. Dobbiamo infatti fare in modo che ciascuno consideri i disagi degli altri incontrando una posizione di equilibrio e mettendo alla base di questa convivenza rispetto e conoscenza.
La presenza di grandi carnivori, oltre all’orso ci mettiamo anche il lupo, non rischia di costringere gli allevatori all’abbandono delle moltissime malghe che rappresentano un tassello importante della nostra storia?
La morte di Andrea Papi, aggredito dall’orsa JJ4, ha causato in tutta la comunità trentina un dolore profondissimo, nel diffuso sentimento di immedesimazione che ciascuno di noi ha provato. Le nostre abitazioni confinano con il bosco, gran parte delle nostre attività tradizionali si svolgono nei boschi, nei boschi stanno anche le nostre amate e frequentate “cà da mont”. Oltre allo strazio che abbiamo vissuto di fronte al dolore della famiglia, degli amici, dell’intera val di Sole, tutti siamo rimasti indignati per la disumanità delle affermazioni che coloro che si definiscono animalisti hanno pronunciato e scritto. Nessuna pietà umana, nessuna conoscenza delle nostre abitudini di vita, delle caratteristiche del nostro territorio, di quello che siamo. Sproloqui deliranti di individui che si stupivano perché Andrea fosse a correre in un bosco e non “al parco”. Mail bombing di gente che, per l’ennesima volta, ci minaccia di non venire più in Trentino in vacanza. Nonostante sia almeno la decima volta che le stesse persone scrivono le stesse cose, stiamo chiudendo stagioni turistiche da record. Molto di più ci preoccupano invece tutti coloro che in questo momento stanno pensando di non venire più per paura. E questa paura è anche la nostra, in un momento emotivamente molto teso. Ai molti italiani che si sono espressi a casaccio su questa vicenda vorrei dire che il nostro Trentino non prende vita quando loro vengono in vacanza, come fosse la scenografia di un palcoscenico. Abitiamo queste valli, con tutta la loro bellezza ma anche con tutta la loro asprezza, da secoli, giorno dopo giorno. E non è possibile che un progetto Life Ursus con numeri non più compatibili con la declamata “convivenza”, ci obblighi a rinchiuderci in casa, a cambiare le nostre abitudini di vita e il nostro rapporto con la nostra montagna. Una montagna che noi vogliamo continuare a vivere in sicurezza, per noi, per i nostri figli, per coloro che ospitiamo e per i nostri allevatori.
Vanessa Masè – Consigliere provinciale
Il conflitto uomo-fauna selvatica non è più solo una questione di conservazione delle specie, l’eventuale scontro tra uomo e fauna selvatica dovrebbe essere letto anche alla luce della sua importanza per la stessa salute umana e per lo sviluppo più in generale. Entrare in conflitto con un’altra specie e non lavorare o ricevere supporto per ristabilire una forma di coesistenza, incide infatti sul reddito di quelle popolazioni che, come ho detto, dipendono direttamente dall’agricoltura o dell’allevamento di montagna e che, molto spesso, vivono già con difficoltà. E’ essenziale la partecipazione di tutti i membri della comunità alla gestione del territorio e dell’ambiente ed è quindi necessario che il processo, con il quale si afferma la consapevolezza di quanto uomo e natura siano inscindibili e connessi l’uno all’altra, sia gestito anche e soprattutto attraverso gli allevatori. Dobbiamo ancora una volta per tramite della scienza comprendere la natura dei conflitti per identificare le giuste azioni di risposta, di mitigazione, di prevenzione o risoluzione. Dobbiamo quindi concordare, ora più che mai, soluzioni tecniche dettate dalla ricerca attraverso nuovi sistemi di monitoraggio e operazioni di gestione, soluzioni politiche nel pieno rispetto dei documenti di Piano senza abbandonarci a populismi e soluzioni culturali sviluppando una piena e profonda conoscenza degli animali e dei loro comportamenti. E’ il momento di proporre quindi soluzioni condivise che permettano agli allevatori di vivere con dignità evitando lo spopolamento delle montagne e permettendo loro di continuare ad essere i custodi del nostro paesaggio.
Presidente Fugatti, a venti giorni dalla morte del giovane Andrea Papi ucciso dall’orsa JJ4 nei boschi di Caldes che riflessioni di sente di fare?
La tragedia di Andrea Papi ha sconvolto tutto il Trentino e interrogato il Paese intero sul futuro della presenza dell’orso - e più in generale dei grandi carnivori - in Trentino. Una presenza che ormai da troppi anni condiziona la vita quotidiana delle genti di montagna.
La morte di questo giovane di 26 anni, che lascia una famiglia, una fidanzata e tanti progetti, rappresenta uno spartiacque per la nostra terra di Autonomia.
Dopo anni di incontri e sollecitazioni (da parte mia e dell’assessore alle foreste Giulia Zanotelli) ora - solo ora - qualcosa si è mosso a livello romano. Il ministro dell’ambiente Pichetto Fratin ha dimostrato grande sensibilità istituendo un Tavolo tecnico-istituzionale che sta lavorando per individuare le soluzioni che ci consentiranno di ridurre il numero di plantigradi presente sul nostro territorio. Perché solo una presenza più contenuta, pari a circa 50 unità, potrà essere compatibile con le attività delle persone che vivono e lavorano nel bosco. Il bosco è la casa dei trentini e certo non possiamo rinunciarci.
Si sente impotente di fronte a quel che è accaduto o corresponsabile?
Sono in pace con la coscienza, ma non riesco a darmi pace.
Questa Giunta con il Dipartimento protezione civile, foreste e fauna ha fatto il possibile per scongiurare questa tragedia.
Ma l’efficacia delle decisioni adottate negli scorsi anni - sulla base dei criteri di effettiva pericolosità dell’esemplare JJ4 e per il principio di garantire la sicurezza delle persone - è stata bloccata dal Tar e dal Consiglio di Stato in un complesso iter giudiziario innescato dai ricorsi
Da tanti anni ormai, si parla di convivenza con gli orsi e negli ultimi anche con lupi.
Purtroppo, nell’ultimo periodo con quello che è successo sul monte Peller si è scatenato un finimondo e una contrapposizione, tra animalisti ambientalisti e tutte le altre persone che vogliono vivere in montagna.
Torniamo indietro qualche anno fa quando avevamo a che fare con M49, quanta confusione aveva creato nei confronti di tutti gli orsi. Poi finalmente è stato rimosso e si risolse il problema e si calmò la rabbia nei confronti di quegli esemplari che permangono in alta montagna senza dare nessun fastidio.
Ma quello che è successo al povero ragazzo di Caldes è un fatto gravissimo che ha scatenato una forte divisione tra chi vuole l’orso e chi no. Innanzitutto parto dal fatto che tutti i contadini, allevatori, tutte le persone che presidiano la montagna, se pensiamo a tutte le “ca da mont” presenti sul nostro territorio, perciò tutti quelli che praticano sfalcio, manutenzione, pascoli e al-