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Un lascito per il Museo della Guerra di Bersone

di Mariachiara Rizzonelli

Due tonnellate di cimeli in arrivo da Parma andranno a Bersone e al museo di Spiazzo.

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posizionando i mobili offerti dal magazzino PAT di Trento. La sala sarà utilizzata per la formazione storica didattica per le scuole e per accogliere gli studiosi. Qui prenderà posto anche il fondo Cartocci Mario di Bresso, composto da trecento libri, fotografie e documenti vari sulla Grande Guerra. Queste le informazioni per la parte strettamente organizzativa. Ma, chiediamo al responsabile della comunicazione del museo di Bersone Francesco Bologni, a livello culturale cosa significa fare informazione sulla Grande Guerra? “Vuol dire emozionarsi guardando i cimeli esposti, pensando ai “diavoli” che combattevano sull’Adamello, sulle nostre montagne giudicariesi. Per capire le dinamiche geopolitiche di allora ed accoppiarle a quelle che in questi mesi stanno creando un trambusto di proporzioni sempre più allarmanti. Quindi capire e conoscere la memoria di allora per evitare altre tragedie oggi”, risponde convinto.

Ricordare i giovani uomini che si trincerarono nelle nostre montagne e la popolazione locale che venne esodata, spiega infatti, fa capire quali passi in avanti si sono fatti in cento anni in termini di pace, distensione e dialettica tra i popoli.

“Conduciamo da anni questo piccolo, ma suggestivo museo. Il suo target primario sono i giovani, le scolaresche, le famiglie con figli che vengono a visitarlo” - ribadisce Bologni – “Con le nostre spiegazioni vogliamo farli addentrare in quel tribolato periodo della Prima Guerra Mondiale, dove tutto andò distrutto, incendiato e demolito fino ai 1500 metri di altitudine, dove ci sono le malghe. I paesi erano quasi rasi al suolo, la gente fu evacuata tre anni e mezzo, avendo poco di cui cibarsi, anche se dietro le linee del fronte”. Chi volle quella guerra stava seduto comodamente a Vienna e a Roma, mobilitando masse di milioni di uomini, molti dei quali persero la vita sui campi di battaglia lasciando mogli e figli soli a casa (“Tra i cippi al cimitero monumentale austroungarico di Bondo ci sono nomi di ragazzi di diverse nazionalità. Oggi rispecchiano l’Europa unita!”). Quei fatti insegnano che “chi andava al fronte era da entrambe le parti giovani operai, contadini, gente della classe media, “catechizzati” dicendo loro che il nemico dall’altra parte va eradicato perché ci toglie il pane e la terra”.

Sorge spontanea la domanda: “Che impressione vi fa avere quindi la guerra, la guerra d’Ucraina, così vicina?”. Questa la risposta di chi conosce la guerra da vicino ma pur nella tragicità della situazione vuole comunque intravvedere una minima fonte di luce: “Una diaspora di queste proporzioni bibliche non si vedeva in Europa da quasi 80 anni: si parla di 7 milioni di rifugiati. Negli interventi a scuola però voglio portare speranza: chissà quan- te amicizie e amori nasceranno in tutta Europa, con gli ospiti ucraini nelle migliaia di case. Lo dicevano anche qui un tempo: “dopo el brùt ve el bèl”.

Bologni conclude quindi con l’invito: “Vi aspettiamo al museo a visitare uno scrigno ricco di cimeli bellici e racconto di aneddoti in un’atmosfera emozionante. Non c’è ricordo se non si coltiva memoria”.

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