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di Debora Ciampolini

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di Sara Carretta

di Sara Carretta

65 AUTRICE: Debora Ciampolini – Psicologa e Psicoterapeuta in formazione presso l’Istituto ANEB. Supervisione a cura di Antonella Remotti – Psicologa, Psicoterapeuta ANEB, membro del comitato scientifico ANEB, docente del Master in Medicina psicosomatica.

morbo di crohn e visione ecobiopsicologica

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Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Malattia_di_Crohn

La malattia di Crohn o morbo di Crohn, nota anche come enterite regionale, è una malattia infiammatoria cronica dell’intestino che può colpire qualsiasi parte del tratto gastrointestinale, dalla bocca all’ano, provocando una vasta gamma di sintomi. Causa principalmente: dolori addominali, diarrea (anche ematica), vomito, perdita di peso; flatulenza gonfiore ed incontinenza fecale possono aggiungersi al disagio intestinale; ostruzioni, fistole e ascessi sono tra le complicanze; può causare complicazioni in altri organi e apparati, come eruzioni cutanee, artriti, infiammazione degli occhi, stanchezza, mancanza di concentrazione. La bocca può essere colpita da piaghe che non guariscono (ulcere aftose). Raramente l’esofago e lo stomaco sono coinvolti, se colpiti possono causare disfagia, dolore addominale superiore e vomito. Questa malattia è considerata autoimmune; tende a presentarsi negli adolescenti e nei ventenni con un alto picco di incidenza tra i cinquanta e i settant’anni, può comunque manifestarsi a qualsiasi età. Non esiste una terapia farmacologica risolutiva, né una chirurgica eradicante. L’eziologia è ancora sconosciuta, ma una combinazione di fattori ambientali e predisposizione genetica sembra essere la causa più probabile. Il rapporto tra femmine e maschi è intorno a 1,35:1. I fumatori presentano due volte di più la probabilità di sviluppare la malattia rispetto ai non fumatori. Per la sua prevalenza nelle zone industrializzate, si crede che la dieta debba essere controllata. Una correlazione positiva è stata trovata tra l’incidenza della malattia ed un apporto maggiore di proteine animali, proteine del latte, così come un’alta connessione tra omega-6 e acidi grassi polinsaturi omega-3. Molte persone presentano i sintomi anni prima che venga formulata una diagnosi. Per la natura “irregolare” della malattia e la profondità del coinvolgimento dei tessuti, i sintomi iniziali possono essere più labili di quelli tipici della colite ulcerosa; gli ammalati accusano periodi di acutizzazione dei sintomi e periodi di remissione. La descrizione della fisiopatologia è importante perché nell’approccio ecobiopsicologico la mente ed il corpo non vengono più visti come due entità separate, ma espressione simbolica di un unico significato e spesso frammenti specifici all’interno di un continuum. «Nel panorama delle scienze della complessità l’Ecobiopsicologia si pone come nuova disciplina con il compito di porre in relazione i codici semeiologici delle infinite forme del mondo vivente e i loro particolari linguaggi (aspetto ecologico), con gli analoghi linguaggi del corpo umano, che nelle sua ontogenesi ricapitola la filogenesi del mondo cosiddetto biologico, per poi ritrovare la relazione tra “mondo” e bios umano, negli aspetti psicologici e culturali dello stesso, grazie ai miti, alla storia delle religioni e alle immagini collettive dell’umanità (aspetto psicologico)» (Frigoli, 2007, pp. 59-60). Dal punto di vista ecobiopsicologico quello

Il modello del continuum psiche-materia

che colpisce nell’analisi del morbo di Crohn sono la sua caratteristica di patologia autoimmune, la componente infiammatoria, la localizzazione prevalentemente intestinale e tipicamente segmentaria e infine la componente genetica. Quando abbiamo a che fare con una malattia autoimmune siamo di fronte ad una situazione particolare, dove il corpo non riconosce più elementi propri e li attacca, per cui risulta un disconoscimento tra il self, cioè quello che appartiene al nostro organismo e il non self, ossia tutto ciò che non appartiene ad esso, come anche il cibo nutriente oppure tossico. In altre parole non c’è un riconoscimento fra dentro e fuori, tra mondo interno ed esterno; è come non distinguere la propria identità dato che le cellule si devono conoscere e riconoscere, e quindi devono avere una memoria per garantire la sopravvivenza, come i segmenti intestinali del Crohn che possono essere identificati con fuoco e infiammazione per i forti dolori e bruciori che esso provoca. Fa riflettere il fatto che il timo sia l’organo principale deputato alla formazione dei linfociti e come sia un maestro nell’insegnare loro ciò che è simile e ciò che non lo è, dunque, istruisca su una funzione speculare di riconoscimento, proprio come da un punto di vista psichico avviene tra bambino e caregiver. Possiamo dire che il sistema immunitario guidi nell’apprendimento di una sana aggressività che risulta tale in conseguenza degli equilibri dinamici tra le sue componenti, equilibri che però nelle malattie autoimmuni con esordio adolescenziale o tardivo, vengono rotti successivamente alla nascita di un sistema sano; si evince il presentarsi di un fenomeno che interrompe ciò che funzionava correttamente. Il sistema immunitario dal punto di vista filogenetico ha un’origine molto antica quindi, una patologia a carico di questo, ha una connotazione arcaica. Il morbo può colpire tutto l’apparato digerente, la funzione chiamata in causa è quella nutritiva la quale, da un punto di vista simbolico rimanda ad una comunicazione tra individuo e mondo esterno necessaria per il proseguimento della vita. Andando ancora più in profondità notiamo come il nutrimento non sia solo biologico e quindi relativo all’assimilazione di cibo/ energia, trasformazione della stessa per la sopravvivenza, ed eliminazione dei prodotti di rifiuto, ma anche e soprattutto affettivo. La funzione nutrimento si sviluppa dal rapporto madre-bambino, come dice Winnicott la madre con l’allattamento porta il mondo al bambino. In questi primi momenti di scambio il bisogno di cibo e affetto sono fusi e inizialmente non distinguibili per il piccolo. La relazione madre- bambino è fondamentale per lo sviluppo emotivo dello stesso ed a conferma di ciò ci vengono in soccorso le ricerche e gli studi dell’Infant Research e dell’attaccamento. Possiamo quindi definire la funzione alimentare un archetipo, cioè un processo grazie al quale si introiettano parti del mondo esterno, si fanno proprie, si trasformano creando le strutture interne per poter vivere. Facendo un parallelismo con lo psichico, il bambino nell’allattamento

introietta la relazione con la madre e questa sarà una base fondamentale per quando, durante lo svezzamento, si nutrirà di cibi più complessi, quindi di parti di mondo più complesse e questo sarà possibile solo se la relazione con la stessa sarà stata sana e sicura; è come se, proprio come il cibo a livello biologico, nello psichico le idee ed i pensieri complessi venissero scissi in parti più piccole, cioè rappresentazioni e sensazioni che poi formeranno i processi di pensiero. Questo è quello che accade all’Io attraverso il quale si introietta l’affetto, ma l’Ecobiopsicologia va verso il Sé psicosomatico, che è vicina alla concezione del Sé Junghiano, e citando le parole del Dott. Frigoli riferite nell’ambito del quadriennale Master di Psicosomatica: «in termini ecobiopsicologici, la digestione è quel processo metapsichico che apre la psiche alla comprensione dei simboli assimilandone il loro significato, consentendo alla psiche di orientarsi nella direzione del Sé; facendo un parallelismo potremmo dire che come l’Io si nutre di relazioni, il Sé si nutre simboli; la digestione per l’Ecobiopsicologia è l’assimilazione del significato dei simboli che nutre il Sé psicosomatico e lo indirizza verso il suo sviluppo, verso l’individuazione». Nutrirsi distingue il vivente dal non vivente, quando ci nutriamo c’è la tematica della trasformazione perché assumiamo delle sostanze organiche esterne a noi, le smontiamo e rimontiamo rendendole compatibili con il nostro codice genetico al fine di assimilarle. Nell’apparato digerente vi sono zone adibite alla trasformazione come lo stomaco e l’intestino, zone che non hanno funzione trasformativa, come l’esofago deputato al solo passaggio, e zone adibite alla funzione di eliminazione degli scarti. In tutta la digestione c’è una tematica di attività e passività. Il duodeno e l’intestino tenue, che sono la prima parte dell’intestino, sono adibiti all’assimilazione, il crasso con colon ascendente, discendente e trasverso riguardano il riassorbimento dell’acqua e la preparazione allo scarto. Nell’intestino la tematica è quella dell’assimilazione ed è per questo che è necessario un ampliamento della superficie ad opera dei villi e microvilli che rendono tale struttura visibilmente più piccola, 7/8 m, ma che in realtà è molto estesa, raggiungendo una dimensione di circa 200 mq. Questa particolare ed efficientissima capacità la si ritrova anche in un altro apparato quale quello respiratorio e nel cervello con le sue pieghe della neocorteccia. I villi hanno anche la caratteristica di rendere immediato il passaggio dei nutrienti nel circolo sanguigno. È interessante notare come l’esofago sia collegato allo stomaco grazie ad una valvola chiamata cardias e che lo stomaco sia collegato all’intestino tramite il piloro, questo perché lo stomaco è un ambiente molto acido. Nel duodeno si completa la disgregazione delle sostanze alimentari iniziata a livello della bocca, ma la digestione a carico dello stomaco e dell’intestino avviene in maniera opposta. La digestione nello stomaco avviene in un ambiente molto acido (acido cloridrico), ma qui il muco protegge le sue pareti ed è l’unico organo ad avere una tale difesa, nel duodeno invece la digestione avviene in un ambiente basico; è vero che una forte basicità è corrosiva tanto quanto una forte acidità se pensiamo ad esempio alla calce viva, ma nel duodeno questa funzione è già attiva ad una bassa basicità, quasi neutra, per cui non raggiunge una forte corrosività. Simbolicamente c’è una grossa differenza tra acidità e basicità, la prima riflette aggressività, la seconda passività. Da considerare per l’interpretazione delle patologie è che l’apparato digerente è per la maggior parte involontario, inconscio, è volontario nella parte alta della bocca e torna ad esserlo nella parte bassa, pertanto torna la consapevolezza. Altra considerazione dell’intestino riguarda le onde peristaltiche che sono, a differenza dello stomaco, unidirezionali verso lo sbocco anale; esiste solo una condizione molto grave di vomito fecale che non è dato da onde peristaltiche al contrario, ma da blocco intestinale e da aumento pressorio che impone l’uscita di feci da l’unico orifizio libero. Le funzioni dell’intestino variano man mano che si passa dal duodeno al tenue e via scorrendo; il chilo che esce dallo stomaco è liquido, proseguendo nel suo cammino diventa sempre più solido a causa del maggior assorbimento di acqua e la muscolatura diventa più forte, infatti tramite la valvola ileo ciecale si ha il

passaggio dall’intestino tenue al crasso con tutt’altra morfologia e funzione. L’acqua e le componenti liquide sono importantissime; acqua, succhi gastrici e quant’altro sono diversi e con diverse capacità dissolventi, ma la base è comunque la liquidità che riporta all’acqua, specificatamente a quella del mare la cui composizione si ritrova nel plasma sanguigno; é possibile quindi fare un traslato sulle emozioni, da cui l’epistemologia emoagere, agire sul sangue, e di conseguenza capire che ogni organo produce qualcosa di diverso anche simbolicamente, ecco perché una malattia e non un’altra. L’intestino è il nostro secondo cervello, emotivo, il 95% della serotonina, essenziale per quel che riguarda l’umore, la sessualità, l’appetito è prodotta dalle cellule nervose intestinali, come anche il 50% della dopamina; esso è considerato il luogo delle emozioni più inconsce; la maggior parte del sistema immunitario si trova a livello intestinale ed è come se quest’ultimo fosse il luogo dove l’esterno viene a contatto con la parte nostra più intima e quindi fosse un ausilio per la costruzione della nostra identità. La componente infiammatoria del Crohn rimanda a tematiche emotive di rabbia e aggressività analoghe al calore del fuoco e al rossore delle parti infiammate. Facendo un’analogia con l’alambicco dell’alchimista, l’intestino potrebbe essere visto come la sua serpentina, ciò che non viene sublimato sono le ceneri, lo scarto rimanda alle feci ma a differenza delle ceneri contengono liquidi, connessi perciò all’acqua ed alle emozioni; è importante capire come tali emozioni sono state vissute perché ci permette di comprendere alcune manifestazioni patologiche come la diarrea; l’acqua non solo non è più riassorbita, ma addirittura espulsa violentemente e con coliche dolorose. Da un punto di vista simbolico potremmo dire che la diarrea/acqua rappresenta l’elemento affettivo non elaborato attraverso il calore materno; una quota affettiva non è stata integrata e viene eliminata, c’è una tematica aggressiva esplicita. Il calore e il dolore dell’infiammazione si costellano come immagine somatica della rabbia e dell’aggressività. Il Crohn ha molte complicanze, l’autoimmunità può rivolgersi non solo a quello specifico organo, ma può avere anche reazioni crociate con altre parti del corpo, come ad esempio l’uveite, l’artrite e questo simbolicamente rende il messaggio della somatizzazione ancora più forte; l’aggressività è totale, distruttiva ed estremamente violenta tanto da far sanguinare come se fosse un pianto disperato. Tutte le complicazioni crociate si rifanno alla stessa emozione di creare vere e proprie lesioni, l’uveite sembra voler dire “non vedo”, l’artrite “non mi muovo”. Il tema dominante è un’aggressività primaria così forte da poter coinvolgere altri apparati. Nell’Ecobiopsicologia l’estensione della patologia ci fa intuirne la gravità dell’area psichica; una malattia localizzata ha meno implicazioni fisiche e psichiche rispetto alla stessa malattia estesa in più parti; il dolore è talmente forte da non fermarsi all’organo in questione, con un significato fisico e psichico ben preciso. Altra peculiarità della malattia è il suo esito; queste continue ulcerazioni provocano un ispessimento della parete intestinale fino ad una fibrosi estesa ed a un cronico malassorbimento con le conseguenze del caso. Fibrosi, indurimento, cicatrizzazioni sembrano voler dire che il dolore è stato talmente potente da aver creato delle cicatrici indelebili. I segmenti di intestino malato sono

ben visibili, delineati e distinguibili dalle parti sane adiacenti, richiamando il tema del contesto e della localizzazione; si evince come la chiave di lettura sia relazionale in riferimento all’assimilazione. Questa aggressività prima enunciata non è una emozione di rabbia relazionale, ma un vissuto alterato di sopravvivenza primario che sembra rimandare ad un mancato accudimento; più la rabbia è primaria, quindi i traumi sono relativi alle primissime fasi della nostra formazione psicologica, ad un periodo della vita dove i nuclei frontali non sono sviluppati in modo da poter garantire il passaggio dal sistema limbico alla corteccia e portarli così alla coscienza, più la dimensione risulta essere quella d’organo. Ultimi aspetti, non per importanza, sono quelli genetico ed epigenetico. I fattori ambientali influenzano in modo preponderante l’espressione allelica dei geni, ne consegue l’assoluta importanza della soggettività sottolineata dagli studi dell’Infant Research che enfatizza la rilevanza delle relazioni nello sviluppo psicoaffettivo del neonato e del bambino con la convalida della relazione primaria fondamentale per lo sviluppo del Sé; gli studi sull’attaccamento mettono in risalto l’aspetto biologico e le neuroscienze, con gli studi sui neuroni specchio, definiscono la base neurofisiologica nella relazione. I neuroni specchio permettono l’osservazione e comprensione non solo delle azioni altrui, ma anche del dominio delle emozioni e delle sensazioni, fondamentale nella terapia perché connesso all’empatia ed ai processi interpersonali non verbali. «L’uomo è un fenomeno complesso legato a una propria universalità di biologia e cultura, principi tra loro complementari, il cui riconoscimento, così come le loro interazioni non possono prescindere dalla Natura. Nel sottolineare che la mente, come considerano le neuroscienze, emerge dalle attività del cervello, le cui strutture e funzioni sono direttamente influenzate dalle esperienze interpersonali primarie, si trascura che la coscienza si è sviluppata nel cervello di recente nella storia evolutiva, posizionandosi al vertice di tutti gli altri processi che già esistevano. Questi processi sono ciò che noi chiamiamo inconscio e che nella scala evolutiva rappresentano la regola piuttosto che l’eccezione. Oggi, l’epistemologia della complessità, attraverso la scienza dell’Ecobiopsicologia considera l’essere vivente non più un’entità isolata, ma semmai un sistema dotato di organizzazione dove il singolo è in uno stretto rapporto di interdipendenza con i suoi simili e tutto il sistema. La somma di queste relazioni che legano gli universi della psiche, della biologia, dell’ambiente naturale, della società e della cultura è una rete: la rete della vita». (Frigoli, 2007, pp. 33-34). L’Ecobiopsicologia, nell’ottica di superare la rigidità e i concetti dicotomici che per troppo tempo hanno dominato la cultura e la scientificità occidentale, integra approcci dinamici diversi come la psicologia dell’Io di Freud, la psicologia delle relazioni oggettuali della Klein, la psicologia del Sé di Kohut, la psicologia analitica junghiana con i concetti di archetipo, inconscio collettivo, complesso dell’Io, individuazione e sincronicità. Integra inoltre i lavori dei principali autori della storia della medicina psicosomatica come Deutsch, ampliandone il campo con l’utilizzo dell’analogia, dell’omologia e del simbolo, si avvale degli studi sulla biologia evoluzionistica, la fisica quantistica, fondamentali tra le altre cose, per spiegare la sincronicità in un’ottica più complessa rispetto a quella di Jung; l’epigenetica, le neuroscienze, la filosofia, il simbolismo e il pensiero orientale. Per leggere l’uomo in una prospettiva olistica è necessaria una visione aperta, complessa, sistemica ed eclettica che integri più aspetti all’interno di una rete di relazioni. È evidente l’enorme portata conoscitiva e terapeutica che l’Ecobiopsicologia svolge connettendo i suddetti modelli tramite sistemi di relazioni che sono sia chiusi, in quanto strutture, che aperti ai flussi informativi tra gli stessi e lo fa avvalendosi dell’analogia. L’analogia è il linguaggio dell’inconscio e permette un’amplificazione della visione del paziente e del suo disagio; l’analogia vitale è legata all’inconscio collettivo e consente di individuare gli archetipi che collegano gli aspetti filogenetici con quelli della psiche collettiva. Analogia ed omologia (analogia vitale) comunicano attraverso il simbolo, dal greco SYN-BALLEIN, legare assieme, che permette di accedere alla conoscenza della dimensione archetipica

Conflitti

Meccanismi di difesa

Letteratura Arte PSICOLOGIA E PSICOTERAPIA

Istinti e pulsioni Biologia dellíArchetipo Simboli Archetipi

Nascita del SÈ e Biologia

Psicologia di Jung

Psicologia dellíIo Psicologia del SÈ

Coscienza del SÈ

Varie concezioni del SÈ

Genetica

Religione

Mito

Filosofie differenti

Concezioni spirituali Simbolismo nel pensiero, filosofia

Pensiero orientale

Medicine Non Convenzionali

Corpo e mistica

Scienza Neuroscienze Biologia Fisica

Biologia

Riti Psicosomatica e corporeit‡ Relazioni Oggettuali

Aspetti antropologici del corpo

Bioenergetica

Nascita del pensiero Aspetti della Scienza

Il Corpo nelle R.O.

Il linguaggio primario

Fantasia e simbolizzazione

©ANEB 2005

evitandone un’inflazione. Il modello sistemico complesso dell’Ecobiopsicologia è straordinariamente innovativo rispetto alle altre metodiche terapeutiche in quanto oltre ad avere una visione prospettica, non concentrandosi quindi solo sul passato per leggere il presente, ne supera i dogmatismi ideologici e orienta il paziente nella direzione del Sé rendendolo artefice delle proprie scelte di libertà e autonomia. L’Ecobiopsicologia nasce nel 1980 come disciplina innovativa a indirizzo psicoanalitico psicosomatico, la storia della medicina psicosomatica è fondamentale per conoscerne uno dei pilastri. Felix Deutsch (1884-1964) fu il primo a parlare di vulnerabilità d’organo, di corpo come simbolo e a trattare il meccanismo della conversione. Nella pratica terapeutica l’individuazione e l’analisi dei meccanismi di difesa sono uno dei primi aspetti da indagare essendo il modo migliore che il paziente ha adottato per salvaguardare l’equilibrio psichico, ben più importante di quello fisico a garanzia della sopravvivenza. Una delle grandi intuizioni di Deutsch è l’aver preso in considerazione il fatto che l’Io corporeo può essere alterato in qualsiasi momento dello sviluppo evolutivo, compreso quello prenatale che da un punto di vista ecobiopsicologico ci ricorda i MOI ed i MOI-D. Recupera da Freud il concetto di conversione considerandola come un meccanismo di difesa utilizzato costantemente per garantire l’omeostasi. La conversione è diversa dalla somatizzazione; con la prima facciamo capo all’apparato sensomotorio volontario, con la seconda a tutto ciò che è viscerale, involontario, sottolineando il concetto di SNA. Nella conversione fisiologica e patologica di Deutsch ha rilevanza la simbolizzazione del corpo che viene visto nei suoi sintomi attraverso il simbolo; l’Ecobiopsicologia recupera il simbolo come dimensione di realtà alla quale apparteniamo, è un aspetto da tenere presente nel lavoro terapeutico soprattutto se consideriamo che oggi viviamo in un mondo di segni dove il simbolo sembra dimenticato, ma ci appartiene e perderlo significa allontanarci dal legame di senso con l’archetipo. Si è parlato di difese, di rimozione, oggi parliamo di dissociazione; la diversità consiste nel fatto che la rimozione ha natura psichica, mentre la dissociazione orienta verso la disconnessione, cioè sinapsi che non sono più collegate. Sappiamo come la genetica sia la responsabile della dislocazione delle macroaree, quali ponte bulbo e cervelletto,

non ancora il limbico, ma come sia poi la relazione con la mamma a far in modo che si creino i MOI, cioè il prodotto psicologico di un passaggio di sensazioni che diventano percezioni ed a loro volta rappresentazioni; questo avviene nei primi anni di vita fino a quando il bambino accederà al linguaggio, si parla di MOI-D quando tali modelli operativi interni sono dissociati, non adeguati, mancanti di sintonizzazione. Un trauma della madre provocherà un’alterazione delle connessioni sinaptiche a livello fetale, ovviamente questo potrà essere riparabile se dopo la nascita si verificherà un modello di attaccamento sicuro grazie alla plasticità neurale, ma in caso contrario, cioè se il trauma proseguirà e se le risposte alle cure del bambino saranno inadeguate, si creeranno stili di attaccamento evitanti ambivalenti o disorganizzati e si verificheranno gravi conseguenze a livello corticale; in questo caso si può parlare di “attaccamento fallito da un punto di vista materno”. La corteccia dell’emisfero sinistro si attiva intorno ai 2,5-3 anni di età sulla base dell’interpretazione del destro, sede delle emozioni e della memoria implicita che non potrà mai essere ricordata, ma che è incarnata nelle cellule dell’organismo. Per cui se le disconnessioni suddette non verranno riparate, l’emisfero sinistro si modellerà in base alle connessioni operanti. Da adulto determinati eventi, similari ai traumi primari vissuti, slatentizzeranno situazioni simili che attiveranno i MOI-D. La conseguenza del trauma è dunque la dissociazione, cioè parti slegate non integrate di emozioni, pensieri e ricordi; in questo caso la difesa è la scissione e non ad esempio la rimozione perché, per rimuovere, l’area cognitiva deve essere attiva, cosa che invece per quanto concerne i traumi primari non è così. Parlare di trauma e dissociazione vuol dire parlare di memoria implicita, non verbalizzabile, non accessibile al ricordo, ed esplicita, responsabile della propria storia, dei propri ricordi e identità. È evidente il grande salto nella pratica analitica dalla concezione pulsionale freudiana a quella relazionale. Mitchell sostiene che la mente sia bipersonale, cioè si costruisca insieme, nelle relazioni. La relazione diventa centrale come dimostrato dagli studi dell’Infant Resource, delle teorie dell’attaccamento, delle neuroscienze, l’importanza dei neuroni specchio nella capacità di comprendere le emozioni proprie e altrui, l’importanza della sintonizzazione tra bambino e caregiver soprattutto nella comunicazione non verbale. Inconscio e coscienza non possono più essere visti separati, ma parti di un continuum mentale. Wilma Bucci integra la psicoanalisi, le scienze cognitive e le neuroscienze, attraverso la teoria del codice multiplo dell’inconscio; l’autrice parla di un sistema inconscio connesso alla memoria implicita che non può essere ricordato, è l’inconscio simbolico legato al corpo ed al cervello emotivo ed un inconscio non simbolico che può essere rappresentabile in termini verbali e non verbali, coinvolge quindi la coscienza e le sue rappresentazioni; chiama processo referenziale quel processo che connette i due sistemi permettendo che qualcosa di non rappresentabile si nasconda in qualche forma rappresentabile. In questi casi il soggetto non avrà una psiche integrata e flessibile per modulare la sua esistenza con l’ambiente esterno. L’approccio più completo e innovativo allo studio dell’inconscio ci viene ovviamente dal grande maestro Carl Gustav Jung e dal suo

studio di quello che lui chiamerà inconscio collettivo. Jung scoprì l’esistenza nei sogni dei suoi pazienti di immagini archetipiche, simboli trasversali a tutte le culture del mondo, immagini comuni e tipiche nella storia delle religioni e dei miti. La presenza di tali immagini era del tutto indipendente dalla cultura e dalle origini del paziente, per questo doveva esserci un luogo di matrice collettiva nel quale siamo tutti interconnessi, un luogo inconscio trasversale e immanente, l’inconscio collettivo. Il rapporto con i genitori costruisce la relazione tra noi ed il nostro inconscio, ma al di là di questo c’è qualcosa che va oltre, qualcosa di autentico che ci rappresenta e che è quel che Jung chiama il Sé archetipico, altrimenti non potremmo spiegarci come mai le persone, al di là dei loro traumi, hanno percorsi di vita diversi. L’asse del Sé è spesso nascosto, ma in noi alberga la richiesta di rispettare l’autenticità che ci rappresenta. Con l’Ecobiopsicologia si accede all’archetipo nel corpo. L’anello di congiunzione tra mente e corpo deriva dagli studi di Humberto Maturana e Francisco Varela con la Teoria di Santiago e con il loro concetto di autopoiesi, cioè la capacità di un sistema più o meno complesso per lo più vivente di mantenere la propria unità ed organizzazione attraverso le reciproche interazioni dei suoi componenti. Un sistema autopoietico è un sistema che ridefinisce continuamente se stesso, si sostiene e riproduce al proprio interno. Anche un batterio privo di SNC riesce molto bene ad organizzarsi, adattarsi ed autoripararsi; pensiamo ai batteri nocivi che possiamo contrarre nel nostro corpo e come essi si adattino perfettamente all’organismo ospite mettendolo a volte seriamente in difficoltà; una mente può esistere anche senza cervello e la coscienza, che è l’esperienza vissuta consapevolmente, è ben più recente da un punto di vista filogenetico rispetto alla cognizione, più arcaica e più ampia; si può quindi affermare che la cognizione sia l’archetipo della coscienza. L’Ecobiopsicologia considera il mondo, il corpo dell’uomo e la sua psiche legati tra loro da informazioni coerenti ed istantanee, sincroniche, dove l’ontogenesi ricapitola la filogenesi, in un’ottica di consilienza cioè una convergenza di campi del sapere diversi per non avere una visione riduttiva dell’essere umano e di tutta la realtà che lo circonda. Il termine coerente è ripreso dalla fisica quantistica che parla di entanglement, intreccio tra uomo e materia vivente; Laszlo ci parla di ologramma e di campo psi sottolineando come tutte le cose dell’Universo si trovano in un mare energetico comune, Bohm relativamente alla costituzione dell’Universo ci parla di ordine implicato, Jung di archetipi e di inconscio collettivo. L’epigenetica ci dice come l’ambiente influenzi la genetica; la biologia evoluzionistica si occupa di reti informative all’interno di altre reti. Sono linguaggi scientifici diversi, per citarne solo alcuni, che mostrano il desiderio di ricercare un paradigma dell’unità che superi la scotomizzazione uomo-natura. L’approccio ecobiopsicologico contempla tutti questi aspetti e in modo specifico nella psicosomatica vede il disturbo corporeo come espressione di un immaginario in cui l’emozione si è congelata nel corpo; la somatizzazione si ha quando il trauma o i traumi cumulativi sono avvenuti in un’età così precoce da non aver avuto la possibilità di accedere né alla coscienza né alla parola; ecco che gli effetti del trauma prendono la strada del corpo. I pazienti psicosomatici, tendenzialmente alexitimici, non riescono ad esprimere a parole le loro emozioni venendo meno la capacità di scaricare l’energia accumulata nell’organo colpito in maniera catartica attraverso la parola, liberandola. L’Ecobiopsicologia studia il legame tra i disturbi somatici ed i disagi psichici attraverso l’utilizzo delle analogie tra l’infrarosso e l’ultravioletto, che devono essere fondate scientificamente e fondamentale è lo studio delle funzioni degli organi. «Nell’Ecobiopsicologia lo studio del Sé in relazione al corpo umano, condotto secondo un’ottica simbolica, apre non soltanto una prospettiva illuminante per molte malattie, ma lega fra loro eventi psichici in una visione nuova che può essere rappresentata dal continuum infrarossoultravioletto. Il Sé è un archetipo ordinatore del corpo e della psiche, della materia e dello spirito, che va al di là della singola esistenza individuale, ma come realtà collettiva riassu-

me in sé il passato e il futuro di ogni percorso di individuazione. Conoscerlo va oltre il concetto di individuazione junghiana, che riguarda essenzialmente la vita psichica, ma si apre al mistero del corpo e di una fisicità che può essere non solo trascesa ma addirittura trasformata dall’esigenza di assoluto dentro di noi» (Frigoli, 2007, pp. 117-119). Ecco l’importanza nella pratica Ecobiopsicologica dell’anamnesi e del colloquio; partecipante, empatico, non intrusivo, attraverso l’uso delle analogie e dei simboli fa sentire il paziente compreso ed accolto. L’anamnesi individua l’influenza archetipica ed analogia, simboli e sincronicità garantiscono una risignificazione della storia del paziente che diventerà un romanzo e definirà il percorso di individuazione; transfert e controtransfert hanno acconsentito ad un viraggio circa la obsoleta metodologia riguardante la neutralità, essendo considerato l’asse portante per una co-costruzione dell’autenticità del paziente ponendo in vista l’aspetto relazionale. Una terapia con al centro la persona ripara l’Io con un linguaggio simile al Sé, attivando così forze inconsce che accelereranno il processo di guarigione.

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MYSTERIUM CONIUNCTIONIS

LA BASE ECOBIOPSICOLOGICA DELLE IMMAGINI ARCHETIPICHE

Quaderni Asolani a cura di ANEB - Associazione Nazionale di Ecobiopsicologia

Gli studi sull’immaginario hanno sempre oscillato fra due posizioni estreme: quella di considerarlo come un “luogo” psichico dominato da una logica riduttiva dove il linguaggio specifico risponde a criteri deterministici, e la posizione opposta, secondo la quale le immagini simboliche fanno riferimento al rapporto con gli archetipi. L’ermeneutica ecobiopsicologica si situa in uno spazio nuovo, intermedio, che cerca di conciliare gli aspetti degli istinti corporei e le immagini corrispondenti di tipo psichico. L’immaginario che ne emerge è assai simile a quello degli alchimisti, dove non c’è separazione fra la dimensione corporea della “materia prima” e gli aspetti più “sottili” delle immagini psicologiche. La rivisitazione del grande lavoro di Gaston Bachelard e del suo metodo di studio dei quattro elementi – Terra, Acqua, Aria, Fuoco – condotta secondo il metodo ecobiopsicologico ci permette di esplorare più a fondo la totipotenzialità della funzione archetipica, con il vantaggio di integrare nella psiche anche gli aspetti della materia, come necessità indispensabile all’equilibrio psicosomatico della nostra soggettività.

Autori: Alessandra Bracci, Mara Breno, Giorgio Cavallari, Diego Frigoli, Alda Marini, Silvana Nicolosi, Raffaele Toson, Maria Pusceddu, Anna Villa

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