Artefatti comunicativi. Tra ricerca e didattica

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Veronica Dal Buono Laureata in Architettura presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia e Dottore di ricerca in Tecnologia dell’Architettura, attualmente è Ricercatrice in Disegno Industriale presso il Dipartimento di Architettura di Ferrara. È docente di Design di prodotto presso il Laboratorio di Metodologie per definizione di progetto, Corso di Laurea in Design del prodotto industriale, Università di Ferrara. La sua attività di ricerca indaga il rapporto tra uomo e materia, con particolare interesse verso i laterizi, i ceramici, carta e cartone, la pietra e i materiali d’artificio. Recente orizzonte d’interesse è la digital fabrication. Su tali argomenti ha pubblicato recentemente Pietre d’artificio. Materiali per l’architettura tra mimesi e invenzione (Lulu, 2011); Raffaello Galiotto. Design digitale e materialità litica (Librìa, 2012). Ulteriore campo di attività investe il progetto di graphic design e la registica comunicativa.

Davide Turrini (Argenta, 1973), laureato in Architettura all’Università degli Studi di Firenze, è Dottore di ricerca in Tecnologia dell’Architettura. Attualmente è Ricercatore Universitario in Disegno Industriale presso il Dipartimento di Architettura di Ferrara. La sua attività di ricerca riguarda i temi dell’innovazione tecnologica di processo e di prodotto nel settore dei materiali per l’architettura e il design; si occupa in particolare del rapporto tra processi produttivi, tecnologie di trasformazione e configurazione costruttiva e formale. Nello studio del design dedica un’attenzione specifica al legame tra prodotto e contesto sociale, culturale e spaziale di riferimento. Cura inoltre ricerche riguardanti i processi e i metodi progettuali del design ecosostenibile.

ARTEFATTI COMUNICATIVI

Alfonso Acocella Professore ordinario, coordinatore del Corso di laurea in Design del prodotto industriale e delle “Relazioni esterne e comunicazione” del Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara, dirige il Laboratorio di ricerca MD Material Design. Fra le sue opere principali: L’edilizia residenziale pubblica in Italia dal 1945 ad oggi (Padova, Cedam, 1980); L’architettura del mattone faccia a vista (Laterconsult, Roma, 1989); L’architettura dei Luoghi (Roma,1992); Tetti in laterizio (Roma, 1994); Involucri in cotto (Firenze, 2000); L’architettura di pietra (Firenze, 2004); Rossoitaliano (Firenze, Firenze, Alinea, 2006); Stone Architecture (Milano, 2006); Travertino di Siena (Firenze, 2010); Il Tetto. Elemento di Architettura (Milano, 2013). È fondatore e direttore dei periodici digitali architetturadipietra.it (2004) e materialdesign.it (2010).

ARTEFATTI COMUNICATIVI Tra ricerca e didattica a cura di Alfonso Acocella con un saggio di Sergio Polano

COLLANA DIDATTICA Alfonso Acocella (a cura di) Comunicare idee con carta e cartone Lulu edizioni, 2012, pp. 88. Alfonso Acocella (a cura di) Artefatti comunicativi Media MD, 2013, pp. 144. Gabriele Lelli (a cura di) La citta dello scambio Media MD, 2013. (in corso di stampa)



ARTEFATTI COMUNICATIVI Tra ricerca e didattica a cura di Alfonso Acocella

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Concept Collana Didattica Alfonso Acocella Progetto grafico Giulia Pellegrini Impaginazione Federica Capoduri Infografica Lab MD Veronica Dal Buono Lab MD www.materialdesign.it Le immagini utilizzate in Artefatti comunicativi. Tra ricerca e didattica rispondono alla pratica del fair use (Copyright Act 17 U.S.C. 107) essendo finalizzate al commento storico, critico e all’insegnamento.

2013 Š Media MD ISBN 978-88-908475-6-1


Indice

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note critiche sull’idea di artefatto Comunicazione e prestazione Sergio Polano

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artefatti comunicativi Micropress. Un progetto di self-publishing universitario Alfonso Acocella

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pagine autoprodotte L’altra faccia dell’editoria Veronica Dal Buono

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Allestimenti di cartone Metafore sostenibili per esporre e comunicare Davide Turrini

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PAPER DESIGN Corso di Metodologie per la definizione di progetto A.A. 2012-2013 / Lavori didattici a cura di Veronica Dal Buono

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English texts

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Bibliografia

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Sitografia


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note crItIche suLL’IDea DI artefatto Comunicazione e prestazione

Sergio Polano

«L’idea di comunicazione è profondamente ambigua, oscilla fra lo scambio di informazione e l’azione simbolica sull’altro, fra il dialogo e la manipolazione, fra la riconferma di valori condivisi e la seduzione […] In ogni caso la comunicazione è un fare problematico, che lascia difficilmente spazio alla parità e alla reciprocità degli uomini e si presta sempre almeno al sospetto dell’autoritarismo e della manipolazione». Ugo Volli, Introduzione a Il libro della comunicazione, 1994. Onde non ridursi nell’ambito della pura – per quanto solerte, fine e intelligente, talora – descrizione, utile principio sì d’ogni analisi storica (condizione sine qua non per intraprender poi una inderogabile critica del testo, filologica, filosofica, finalizzata) ma non bastevole per se stessa ad efficaci scavi nella materia dei corpi disciplinari, ove s’avrebbe da incidere con bisturi spesso dolorosi; soprattutto, per non costringere il lettore a sopportare quella sin troppo diffusa mala genìa di panegirici encomiastici dei “prodotti” che inchiostrano la carta e null’altro, come accade in tanta letteratura eufemistica, spacciataci da giornali, riviste, periodici e ogni specie di pubblicazioni, specializzate (parrebbero) nel dar voce a chi non sa tacere, pur non avendo nulla da dire; nell’affrontare, insomma, un ragionamento, anche provocatoriamente sommario ed appena tratteggiato, sulle attività e le vicende che sono alla base del conformarsi degli artefatti umani, cioè degli oggetti materiali e immateriali, prestazionali e comunicativi (nelle varie gradualità di correlata interazione che li individuano singolarmente, non essendo mai, né l’uno né l’altro, poli attualmente disgiunti), che definiscono e conformano l’ambiente antropico, sarebbe opportuno – a mio opinabile avviso – che la “critica” impostasse il proprio ragionamento e le conseguenti argomentazioni nella rete sia di sistemiche correlate complessità socio-culturali e economico-produttive sia di occasionali casualità individuali, sia di circostanziali trasformazioni sia di areali contingenze che tali fenomeni di disegno industriale inviluppano suggellano demarcano, suggerendone gli intrecci, le ramificazioni, le intersezioni, le connessioni, gli scambi, le pluralità di piani reciprocamente interferenti ma non perciò obbligatamente ibridantisi. Preferirei, infatti, che degli artefatti e dei loro artefici, degli artifizi e degli arti, delle singolari imprese e delle plurali industriosità che li condizionano e li consentono, si tentasse e provasse, con tutti i rischi che ciò comporta, l’ipotesi pregiudiziale di scrutarne la complicanza intrinseca e assieme la strutturale unità soggiacente, niente affatto riducibile in toto a (né risolvibile entro) compartimentati saperi specializzati e specialistici – profondi, selon moi, solo se maniacalmente specifici tanto quanto aperti al confronto sereno d’impronta olistica –, e si rinunciasse ad affidarsi esclusivamente a disgiunte ragioni estetiche o a banali poetiche individuali,

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a vieti economicismi meccanici o al comodo riparo dell’azione di un qualche misterioso genius loci e via discorrendo e separando in bricioline insipide il gusto e la forma unica di un solo, unico pane: il grado di articolazione tra comunicazione e prestazione dei singoli artefatti. È quanto, fuor di metafora, si può meglio esprimere (e anche, per chiarezza di scienza, porre all’egida di una palese dichiarazione di parte, sottoscritta in pieno da chi scrive) con una concisa citazione di Roland Barthes, ove egli ragiona a proposito di apparentemente lontani ma sostanzialmente prossimi problemi (le scritture), concludendo che: “c’è una filosofia della Storia: cioè che la Storia è una e unica”. Questo lungo, mi si perdoni se faticoso e piuttosto ansante giro di frasi, per significare che per occuparsi di storia (ossia del passato; del presente; e del futuro, in cui “entriamo a marcia indietro”, come scriveva un altro grande francese) degli artefatti c’è bisogno di un’ottica critica almeno bifocale, anzi meglio: graduatamente continua. Da una parte, a correggere il rischio di una vista ipermetrope, una lente grandangolare e anche, per taluni aspetti, un’ottica telescopica, sulle mentalità, le committenze e le circostanze (nel senso dell’etimo); dall’altra, ad alleviare la fatica di una visione ravvicinata, una protesi da presbiti, anzi quasi interna, endoscopica e non di rado microscopica, sulle materialità concrete delle innovazioni (ove e se ci sono), tanto quanto sui dispositivi e i congegni ideali, occasionati dalle esperienze di progettazione commesse dagli industriali, dalle imprese, dalle istituzioni e quant’altri. In questa ipotesi, gli “artefatti di disegno industriale”, nella loro significativa varietà (assai meno casuale di quanto possa apparire, tanto son affamiliati) andrebbero soppesati, confrontati e messi a fuoco nel panorama del trascorrere di geografie storiche e di topografie cronologiche, ogni volta del tutto peculiari. Purtroppo, ciò accade assai di rado; eppure, basterebbe soltanto un po’ più di curiosità da parte degli addetti ai lavori, nonché maggiore impegno in chi avrebbe il compito di sapere e di informare, osservando rilevando acquisendo sceverando notizie e fatti. Ergo, molto resta da fare, sul piano sia dell’analisi, documentazione e studio, sia sul versante della comunicazione e ricezione comune del disegno industriale; educazione, insomma. Se poi i suoi oggetti (evitiamo di chiamarli “prodotti”?) ossia gli artefatti siano belli o brutti, formulando la domanda in termini tradizionali, poco ci cale: non è affatto questo il problema. Almeno, non il mio e di chi ha l’ambizione di occuparsi senza pregiudizi d’arte, delle arti e degli arti: la maggior parte degli “oggetti di disegno industriale”, fors’anzi tutti gli artefatti umani, null’altro sono infatti che protesi, estrinsecazioni, protrusioni, oggettualizzazioni e oggettivazioni artefatte delle prestazioni del corpo. Il bello e il brutto restino materia e affare di chi (avendone il tempo e le capacità) si diletta di estetica e la crede una disciplina storicamente consolidata (ma non ha più o meno due secoli and a half? oserei dire pochi, a fronte dell’umana industria, “disciplina” che spazia – ad esser risparmiosi forte – per almeno 40 migliaia d’anni). Comunque sia, credo che “potrà comprendere appieno l’arte – come ben spiegava Konrad Fiedler, già nel secolo passato (affinando altrui filosofiche idee di più antica data), in uno dei suoi Aphorismen, il 36 – solo chi non le imporrà una finalità estetica né simbolica, perché essa è assai più che un oggetto di eccitazione estetica e, più che illustrazione, è linguaggio al servizio della conoscenza”.

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ARTE PREISTORICA, GUA TEWET, BORNEO (pagina a fronte)


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Esperienze di lettura e di fruizione dei contenuti della Collana EDITORIALE Micropress. Libro, computer, devices, smartphone si integrano quali supporti fisici per la diffusione dei diversi format narrativi e comunicativi utilizzando sinergicamente carta stampata, schermi elettronici, video, rappresentazioni 3d, audio, link di rinvio ad articoli di approfondimento sulla rete di internet.

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artefattI coMunIcatIvI

Micropress. un progetto di self-publishing universitario*

Alfonso Acocella

* IL PROGETTO GRAFICO DELLA FAMIGLIA DI PRODOTTI EDITORIALI MICROPRESS È DI GIULIA PELLEGRINI, MEMBRO DEL NETWORK DI LAB MD.

Le nuove sfIDe DeLL'unIversItà PuBBLIca

Il modello universitario ottocentesco di matrice tedesca – che ha coniugato, per quasi un secolo e mezzo, ricerca e didattica nel nome e negli interessi degli Stati nazionali con il compito di formare le élite – è stato travolto nell'ultimi cinquant'anni da fattori strutturali diversi ma sinergicamente erosivi, fra cui è possibile evidenziare: – la diffusione dell'Università di massa; – la moltiplicazione dei luoghi di produzione della conoscenza; – il superamento degli Stati nazionali a favore di spazi economici e culturali sovranazionali – lo sviluppo globale della Rete che ha innovato, insieme a tanti settori dell'economia, i modi tradizionali di produzione e trasmissione del sapere. A fronte di questa mutazione profonda della società sta operando nel nostro Paese, oramai da alcuni anni, la riforma degli Istituti accademici. Tutti gli Atenei italiani si sono dotati recentemente di nuovi statuti i cui rinnovati organismi di governance ridefiniscono la fisionomia delle strutture di ricerca e di formazione per molti lustri a venire. È stato proiettato sul corpo tradizionale dell'Università pubblica il modello inedito di un’Università che si vorrebbe più attiva, produttiva (addirittura "imprenditrice") in cui i vari Atenei – e gli stessi Istituti di ricerca e di formazione – sono posti a competere fra loro. All’interno di questo mutato orizzonte di riferimento è in forte evidenza la progressiva riduzione di risorse per l'Università pubblica, l'invecchiamento medio dei professori, lo scarso turnover dei docenti, la richiesta di una esternalizzazione delle competenze universitarie per il reperimento di risorse utili alla ricerca e, forse, fra qualche anno anche al sostegno dell'offerta didattica sovradimensionata, oggigiorno, rispetto agli organici dei docenti strutturati (a meno che non si sarà disposti a ridurre il numero degli ingressi nei singoli corsi di laurea o delle docenze a contratto). Se produrre ricerca, erogare formazione, diffondere sapere costituiscono a tutt'oggi per l'Università il focus centrale della sua missione è altrettanto evidente (e non a lungo procrastinabile) la necessità di formulare ipotesi di innovazione di tale asset e, contestualmente, mettere in atto strategie di reperimento di finanziamento, varare progetti innovativi facendo leva anche su strumenti più incisivi di esternalizzazione e disseminazione della conoscenza. Questa sfida lanciata all’Università richiede un ripensamento del proprio ruolo e una maggiore consapevolezza delle potenzialità interne, abbandonando l’atteggiamento inerte, lento, resistente all’innovazione e valorizzando le dotazioni di spazio, di tempo, di risorse intellettuali disponibili. A sostenere questo cambiamento può concorrere l’adozione e la valorizzazione delle tecnologie digitali, viste sia come strumenti di registrazione del sapere, sia come reti di relazione e di comunicazione;

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tecnologie digitali (sotto forma di software, piattaforme web, archivi di memoria, stampanti, prototipatori…) sempre più potenti, economiche e pervasive che solo fino a qualche lustro fa richiedevano costosi investimenti e che oggi sono nelle possibilità di investimento di ogni istituzione accademica. Oramai le strutture universitarie sono potenzialmente in condizione di promuovere in autonomia le loro attività di formazione, di disseminare i risultati della ricerca attraverso vari format e canali comunicativi (pubblicazioni in self-publishing, siti, tv, radio autogestite) indirizzati a informare, valorizzare idee, progetti, servizi, prodotti. Istituzioni universitarie, quindi, come rinnovati soggetti di ricerca e di produzione di contenuti, sostenuti dall’ampia disponibilità di tecnologie digitali che stanno progressivamente smaterializzando i prodotti culturali tradizionali facendo perdere loro – in molti casi – lo statuto di oggetti solidi e costosi, all’interno di una società che viene “plasmata” e “si forma” sempre più attraverso l’immateriale. La componente universitaria può sfruttare ampiamente questo mutamento dell’ecosistema legato alla conoscenza, al sapere, all’informazione abbandonando la prassi di “svendita” dei contenuti della ricerca ad editori privati ed intraprendendo la strada del self-publishing per la produzione, gestione, valorizzazione e distribuzione delle opere intellettuali sia mediante i tradizionali artefatti cartacei, sia attraverso i format e i canali digitali dove i costi da sostenere sono incomparabilmente minori. Un più strategico e strutturato collegamento fra mondo accademico e produzione editoriale può dar vita anche in Italia – sull’esempio delle University press, da tempo consolidate del mondo anglosassone – a collane e riviste scientifiche in versione elettronica indirizzate a promuovere e diffondere i risultati della ricerca accademica. D’altronde se buona parte della spesa universitaria è finanziata attraverso fondi pubblici si può coerentemente mettere in discussione la cessione dei risultati della ricerca ad editori privati, accollandosi spesso ulteriori costi per la diffusione dei contenuti. Se risulta, obiettivamente, difficile competere con gli editori privati nella produzione di artefatti culturali tradizionali (libri, riviste, giornali) vista la necessità di possedere rilevanti capitali e asset aziendali, altrettanto non può dirsi all’interno degli innovativi format digitali. Gli Atenei, disponendo all’interno delle varie comunità accademiche di tutte quelle competenze necessarie alla produzione intellettuale del sapere (ricercatori, autori, editor, traduttori, illustratori, grafici, programmatori, designer…), possono iniziare a liberarsi, attraverso la creazione di piattaforme digitali autogestite di editazione, dalla cessione della titolarità (proprietà) dei contenuti e dall’ulteriore assunzione dei costi di pubblicazione imposti dagli editori diventati – soprattutto nel settore scientifico del nostro paese – semplici cinghie di trasmissione fra autori e stampatori senza più assolvere alle loro funzioni tradizionali e fondamentali di selezione, filtro, revisione, editing dell’impianto redazionale delle opere. Un ecosistema culturale – quello innovato dalla rivoluzione digitale – che risulta assai diverso dalle forme tradizionali di trasmissione del sapere. Oramai i contenuti informativi, le nuove idee, le teorie e le visioni del mondo non sono più univocamente prigionieri dei supporti fisici in quanto, nella loro essenza immateriale, possono essere duplicati e diffusi senza limitazioni e con costi prossimi allo zero. Se i format legati alla carta stampata (libri, riviste, giornali) hanno rappresentato – e continueranno a rappresentare – un modo di organizzare, strutturare, diffondere contenuti e conoscenza per una fruizione lenta effettuata in profondità, le nuove infrastrutture digitali che

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trasmettono informazioni in forma di bits ha dischiuso l'orizzonte della fluidità del sapere e della sua espansione su scala globale su cui una intera generazione di intellettuali, di ricercatori, di accademici si sta interrogando. L’interesse sociale della ricerca pubblica universitaria può, conseguentemente, puntare alla massima circolazione del sapere svincolandosi progressivamente dagli interessi degli editori privati indirizzati invece ad “imbrigliarla” in supporti e canali distributivi di natura proprietaria per massimizzarne vendite e profitti. Per tutta una serie di categorie di contenuti – soprattutto di quelli collegati alla ricerca scientifica universitaria che ci interessa particolarmente – oggi diventa possibile progettare e gestire, a costi molto bassi, forme aperte di circolazione e disseminazione del sapere sull’onda di quanto promosso dal movimento Open Access, indubbiamente più vantaggiose e sostenibili per le comunità scientifiche e la stessa collettività. Istituendo e moltiplicando le iniziative universitarie in self-publishing, accessibili liberamente on line, è possibile progressivamente valorizzare la ricerca universitaria e promuovere lo sviluppo di una informazione e comunicazione istituzionale. In questo inedito orizzonte di ripensamento e rinnovamento culturale dell’Università s’inscrive l’attività del Laboratorio di ricerca Material Design (Lab MD) del Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara. Lab MD ha accettato da alcuni anni tale sfida approfondendo, attraverso un network collaborativo, i processi dell’innovazione universitaria indirizzandosi a coniugare strategicamente reperimento di finanziamenti, sviluppo di ricerca scientifica e di progetti culturali in collaborazione con il mondo istituzionale e della produzione. La sfida è basata non più solo sulla capacità, da parte del network Lab MD, di fare ricerca e creare contenuti bensì sul più ambizioso obiettivo di dar vita a processi che includano il fund raising istituzionale, la gestione di reti relazionali, l’auto-produzione e la valorizzazione degli artefatti culturali.

I FORMATI CARTACEI E DIGITALI DELLA COLLANA EDITORIALE MICROPRESS DI LAB MD. (in questa pagina e nella precedente)

IL FOUND RAISING UNIVERSITARIO FRA NECESSITÀ ED OPPORTUNITÀ ISTITUZIONALE DI INNOVAZIONE.

Prodotti culturali – quelli ideati da Lab MD – intesi sia come oggetti materiali (quali sono i format editoriali a stampa, capaci di includere – nella loro specifica natura – l’attitudine ad essere maneggiati, regalati, conservati e trasmessi alle future generazioni) sia come flussi di contenuti immateriali disgiunti rispetto ad un univoco supporto fisico di registrazione, trasmessi attraverso i canali istituzionali di Lab MD e fruibili attraverso le molteplici e diversificate interfacce a schermo.

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MEDIA MD CANALI COMUNICATIVI E PRODOTTI EDITORIALI DEL LABORATORIO MD.

Palazzo Tassoni Estense. Sede Lab md

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Si è sintetizzato, sin qui, il passato della Facoltà di

Architettura di Ferrara. Quattro lustri di vita lungo i material design

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quali si sono succedute, ma anche sovrapposte nel tempo, varie fasi: atto costitutivo e fondazione della Scuola, avvio delle attività formative e di ricerca, creazione di una comunità scientifica, sessioni di tesi con giovani laureati ferraresi che si sono progressivamente inseriti nel tessuto professionale del Paese, affermazione della Facoltà a livello nazionale (otto volte prima, negli ultimi dieci anni, nelle graduatorie di qualità CENSIS), celebrazione culturale del Decennale di fondazione, ampliamento degli spazi con il recupero di Palazzo Tassoni, varo del Corso di laurea in Disegno industriale. Con il 2011 - e qui siamo all’oggi - la Facoltà giunge al suo ventesimo anno di vita in un momento particolare per l’Università italiana con un progetto di trasformazione generale in atto e una forte riduzione delle risorse economiche statali disponibili per formazione, ricerca, progetti culturali.

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Si è sintetizzato, sin qui, il passato della Facoltà di Architettura di Ferrara. Quattro lustri di vita lungo i quali si sono succedute, ma anche sovrapposte nel tempo, varie fasi: atto costitutivo e fondazione della Scuola, avvio delle attività formative e di ricerca, creazione di una comunità scientifica, sessioni di tesi con giovani laureati ferraresi che si sono progressivamente inseriti nel tessuto professionale del Paese, affermazione della Facoltà a livello nazionale (otto volte prima, negli ultimi dieci anni, nelle graduatorie di qualità CENSIS), celebrazione culturale del Decennale di fondazione, ampliamento degli spazi con il recupero di Palazzo Tassoni, varo del Corso di laurea in Disegno industriale. Con il 2011 - e qui siamo all’oggi - la Facoltà giunge al suo ventesimo anno di vita in un momento particolare per l’Università italiana con un progetto di trasformazione generale in atto e una forte riduzione delle risorse economiche statali disponibili per formazione, ricerca, progetti culturali.

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01|2013

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NATURESCAPE


01|2013

Alfonso Acocella Professore ordinario, coordinatore del Corso di laurea in Design del prodotto industriale e delle “Relazioni esterne e comunicazione” del Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara, dirige il Laboratorio di ricerca MD Material Design. Fra le sue opere principali: L’edilizia residenziale pubblica in Italia dal 1945 ad oggi (Padova, Cedam, 1980); L’architettura del mattone faccia a vista (Laterconsult, Roma, 1989); L’architettura dei Luoghi (Roma,1992); Tetti in laterizio (Roma, 1994); Involucri in cotto (Firenze, 2000); L’architettura di pietra (Firenze, 2004); Rossoitaliano (Firenze, Firenze, Alinea, 2006); Stone Architecture (Milano, 2006); Travertino di Siena (Firenze, 2010); Il Tetto. Elemento di Architettura (Milano, 2013). È fondatore e direttore dei periodici digitali architetturadipietra.it (2004) e materialdesign.it (2010).

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Veronica Dal Buono Laureata in Architettura presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia e Dottore di ricerca in Tecnologia dell’Architettura, attualmente è Ricercatrice in Disegno Industriale presso il Dipartimento di Architettura di Ferrara. È docente di Design di prodotto presso il Laboratorio di Metodologie per definizione di progetto, Corso di Laurea in Design del prodotto industriale, Università di Ferrara. La sua attività di ricerca indaga il rapporto tra uomo e materia, con particolare interesse verso i laterizi, i ceramici, carta e cartone, la pietra e i materiali d’artificio. Recente orizzonte d’interesse è la digital fabrication. Su tali argomenti ha pubblicato recentemente Pietre d’artificio. Materiali per l’architettura tra mimesi e invenzione (Lulu, 2011); Raffaello Galiotto. Design digitale e materialità litica (Librìa, 2012). Ulteriore campo di attività investe il progetto di graphic design e la registica comunicativa.

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05/12/12 10:42

Kengo Kuma

Kengo Kuma è nato a Kanagawa, Giappone, nel 1954. Consegue la laurea in architettura all’Università di Tokyo nel 1979. Dal 1985 al 1986 studia alla Columbia University come Visiting Scholar. Nel 1990 fonda lo studio Kengo Kuma & Associates a Aoyama, Tokyo. Dal 2001 al 2008 insegna alla Facoltà di Scienze e Tecnologia all’Università di Keio. Nel 2009 viene nominato professore all’Università di Tokyo. Le opere principali includono l’Osservatorio di Kirosan (1995), Water/ Glass House (1995, per la quale riceve AIA Benedictus Award), il progetto dello spazio Design del Padiglione Giapponese alla Biennale di Venezia (1995), Stage in Forest - Toyoma Center for Performance Arts (1997, progetto per il quale riceve Architectural Institute of Japan Annual Award), Stone Museum (2000, con cui vince l’International Stone Architecture Award 2001), Batomachi Hiroshige Museum (2001, premiato con il Murano Prize).

Kengo Kuma è nato a Kanagawa, Giappone, nel 1954. Consegue la laurea in architettura all’Università di Tokyo nel 1979. Dal 1985 al 1986 studia alla Columbia University come Visiting Scholar. Nel 1990 fonda lo studio Kengo Kuma & Associates a Aoyama, Tokyo. Dal 2001 al 2008 insegna alla Facoltà di Scienze e Tecnologia all’Università di Keio. Nel 2009 viene nominato professore all’Università di Tokyo.

Le opere più recenti comprendono Great Bamboo Wall (2002, Pechino, Cina); Nagasaki Prefectural Museum (2005, Nagasaki, Giappone); Ginzan Onsen Fujiya (2006, Obanazawa, Yamagata, Giappone); Suntory Museum of Art (2007, Tokyo, Giappone); The Opposite House (2008, Beijing, Cina); Nezu Museum (2009, Tokyo). Sono inoltre attualmente in realizzazione una serie di progetti su larga scala, tra cui, il Centro per le arti a Besançon, Francia, il Granada Performing Arts in Spagna, il Conservatorio Musicale di Aix en Provence (France) e il V&A museum a Dundee (GB).

Le opere principali includono l’Osservatorio di Kirosan (1995), Water/Glass House (1995, per la quale riceve AIA Benedictus Award), il progetto dello spazio Design del Padiglione Giapponese alla Biennale di Venezia (1995), Stage in Forest - Toyoma Center for Performance Arts (1997, progetto per il quale riceve Architectural Institute of Japan Annual Award), Stone Museum (2000, con cui vince l’International Stone Architecture Award 2001), Batomachi Hiroshige Museum (2001, premiato con il Murano Prize). Le opere più recenti comprendono Great Bamboo Wall (2002, Pechino, Cina); Nagasaki Prefectural Museum (2005, Nagasaki, Giappone); Ginzan Onsen Fujiya (2006, Obanazawa, Yamagata, Giappone); Suntory Museum of Art (2007, Tokyo, Giappone); The Opposite House (2008, Beijing, Cina); Nezu Museum (2009, Tokyo). Sono inoltre attualmente in realizzazione una serie di progetti su larga scala, tra cui, il Centro per le arti a Besançon, Francia, il Granada Performing Arts in Spagna, il Conservatorio Musicale di Aix en Provence (France) e il V&A museum a Dundee (GB).

Kengo Kuma è nato a Kanagawa, Giappone, nel 1954. Consegue la laurea in architettura all’Università di Tokyo nel 1979. Dal 1985 al 1986 studia alla Columbia University come Visiting Scholar. Nel 1990 fonda lo studio Kengo Kuma & Associates a Aoyama, Tokyo. Dal 2001 al 2008 insegna alla Facoltà di Scienze e Tecnologia all’Università di Keio. Nel 2009 viene nominato professore all’Università di Tokyo.

Davide Turrini (Argenta, 1973), laureato in Architettura all’Università degli Studi di Firenze, è Dottore di ricerca in Tecnologia dell’Architettura. Attualmente è Ricercatore Universitario in Disegno Industriale presso il Dipartimento di Architettura di Ferrara. La sua attività di ricerca riguarda i temi dell’innovazione tecnologica di processo e di prodotto nel settore dei materiali per l’architettura e il design; si occupa in particolare del rapporto tra processi produttivi, tecnologie di trasformazione e configurazione costruttiva e formale. Nello studio del design dedica un’attenzione specifica al legame tra prodotto e contesto sociale, culturale e spaziale di riferimento. Cura inoltre ricerche riguardanti i processi e i metodi progettuali del design ecosostenibile.

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Alfonso Acocella Professore ordinario, coordinatore del Corso di laurea in Design del prodotto industriale e delle “Relazioni esterne e comunicazione” del Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara, dirige il Laboratorio di ricerca MD Material Design. Fra le sue opere principali: L’edilizia residenziale pubblica in Italia dal 1945 ad oggi (Padova, Cedam, 1980); L’architettura del mattone faccia a vista (Laterconsult, Roma, 1989); L’architettura dei Luoghi (Roma,1992); Tetti in laterizio (Roma, 1994); Involucri in cotto (Firenze, 2000); L’architettura di pietra (Firenze, 2004); Rossoitaliano (Firenze, Firenze, Alinea, 2006); Stone Architecture (Milano, 2006); Travertino di Siena (Firenze, 2010). È fondatore e direttore dei periodici digitali architetturadipietra.it (2004) e materialdesign.it (2010).

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ARTEFATTI COMUNICATIVI

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Andreet ea feu fe ugiam consed magnis

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Le opere principali includono l’Osservatorio di Kirosan (1995), Water/ Glass House (1995, per la quale riceve AIA Benedictus Award), il progetto dello spazio Design del Padiglione Giapponese alla Biennale di Venezia (1995), Stage in Forest - Toyoma Center for Performance Arts (1997, progetto per il quale riceve Architectural Institute of Japan Annual Award), Stone Museum (2000, con cui vince l’International Stone Architecture Award 2001), Batomachi Hiroshige Museum (2001, premiato con il Murano Prize). Le opere più recenti comprendono Great Bamboo Wall (2002, Pechino, Cina); Nagasaki Prefectural Museum (2005, Nagasaki, Giappone); Ginzan Onsen Fujiya (2006, Obanazawa, Yamagata, Giappone); Suntory Museum of Art (2007, Tokyo, Giappone); The Opposite House (2008, Beijing, Cina); Nezu Museum (2009, Tokyo). Sono inoltre attualmente in realizzazione una serie di progetti su larga scala, tra cui, il Centro per le arti a Besançon, Francia, il Granada Performing Arts in Spagna, il Conservatorio Musicale di Aix en Provence (France) e il V&A museum a Dundee (GB).

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Tra ricerca e didattica a cura di Alfonso Acocella

Veronica Dal Buono Laureata in Architettura presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia e Dottore di ricerca in Tecnologia dell’Architettura, attualmente è Ricercatrice in Disegno Industriale presso il Dipartimento di Architettura di Ferrara. È docente di Design di prodotto presso il Laboratorio di Metodologie per definizione di progetto, Corso di Laurea in Design del prodotto industriale, Università di Ferrara. La sua attività di ricerca indaga il rapporto tra uomo e materia, con particolare interesse verso i laterizi, i ceramici, carta e cartone, la pietra e i materiali d’artificio. Recente orizzonte d’interesse è la digital fabrication. Su tali argomenti ha pubblicato recentemente Pietre d’artificio. Materiali per l’architettura tra mimesi e invenzione (Lulu, 2011); Raffaello Galiotto. Design digitale e materialità litica (Librìa, 2012). Ulteriore campo di attività investe il progetto di graphic design e la registica comunicativa.

collana editoriale didattica md

Kengo Kuma

Kengo Kuma è nato a Kanagawa, Giappone, nel 1954. Consegue la laurea in architettura all’Università di Tokyo nel 1979. Dal 1985 al 1986 studia alla Columbia University come Visiting Scholar. Nel 1990 fonda lo studio Kengo Kuma & Associates a Aoyama, Tokyo. Dal 2001 al 2008 insegna alla Facoltà di Scienze e Tecnologia all’Università di Keio. Nel 2009 viene nominato professore all’Università di Tokyo. Le opere principali includono l’Osservatorio di Kirosan (1995), Water/ Glass House (1995, per la quale riceve AIA Benedictus Award), il progetto dello spazio Design del Padiglione Giapponese alla Biennale di Venezia (1995), Stage in Forest - Toyoma Center for Performance Arts (1997, progetto per il quale riceve Architectural Institute of Japan Annual Award), Stone Museum (2000, con cui vince l’International Stone Architecture Award 2001), Batomachi Hiroshige Museum (2001, premiato con il Murano Prize).

Kengo Kuma è nato a Kanagawa, Giappone, nel 1954. Consegue la laurea in architettura all’Università di Tokyo nel 1979. Dal 1985 al 1986 studia alla Columbia University come Visiting Scholar. Nel 1990 fonda lo studio Kengo Kuma & Associates a Aoyama, Tokyo. Dal 2001 al 2008 insegna alla Facoltà di Scienze e Tecnologia all’Università di Keio. Nel 2009 viene nominato professore all’Università di Tokyo.

Le opere più recenti comprendono Great Bamboo Wall (2002, Pechino, Cina); Nagasaki Prefectural Museum (2005, Nagasaki, Giappone); Ginzan Onsen Fujiya (2006, Obanazawa, Yamagata, Giappone); Suntory Museum of Art (2007, Tokyo, Giappone); The Opposite House (2008, Beijing, Cina); Nezu Museum (2009, Tokyo). Sono inoltre attualmente in realizzazione una serie di progetti su larga scala, tra cui, il Centro per le arti a Besançon, Francia, il Granada Performing Arts in Spagna, il Conservatorio Musicale di Aix en Provence (France) e il V&A museum a Dundee (GB).

Le opere principali includono l’Osservatorio di Kirosan (1995), Water/Glass House (1995, per la quale riceve AIA Benedictus Award), il progetto dello spazio Design del Padiglione Giapponese alla Biennale di Venezia (1995), Stage in Forest - Toyoma Center for Performance Arts (1997, progetto per il quale riceve Architectural Institute of Japan Annual Award), Stone Museum (2000, con cui vince l’International Stone Architecture Award 2001), Batomachi Hiroshige Museum (2001, premiato con il Murano Prize). Le opere più recenti comprendono Great Bamboo Wall (2002, Pechino, Cina); Nagasaki Prefectural Museum (2005, Nagasaki, Giappone); Ginzan Onsen Fujiya (2006, Obanazawa, Yamagata, Giappone); Suntory Museum of Art (2007, Tokyo, Giappone); The Opposite House (2008, Beijing, Cina); Nezu Museum (2009, Tokyo). Sono inoltre attualmente in realizzazione una serie di progetti su larga scala, tra cui, il Centro per le arti a Besançon, Francia, il Granada Performing Arts in Spagna, il Conservatorio Musicale di Aix en Provence (France) e il V&A museum a Dundee (GB).

Davide Turrini (Argenta, 1973), laureato in Architettura all’Università degli Studi di Firenze, è Dottore di ricerca in Tecnologia dell’Architettura. Attualmente è Ricercatore Universitario in Disegno Industriale presso il Dipartimento di Architettura di Ferrara. La sua attività di ricerca riguarda i temi dell’innovazione tecnologica di processo e di prodotto nel settore dei materiali per l’architettura e il design; si occupa in particolare del rapporto tra processi produttivi, tecnologie di trasformazione e configurazione costruttiva e formale. Nello studio del design dedica un’attenzione specifica al legame tra prodotto e contesto sociale, culturale e spaziale di riferimento. Cura inoltre ricerche riguardanti i processi e i metodi progettuali del design ecosostenibile.

Kengo Kuma è nato a Kanagawa, Giappone, nel 1954. Consegue la laurea in architettura all’Università di Tokyo nel 1979. Dal 1985 al 1986 studia alla Columbia University come Visiting Scholar. Nel 1990 fonda lo studio Kengo Kuma & Associates a Aoyama, Tokyo. Dal 2001 al 2008 insegna alla Facoltà di Scienze e Tecnologia all’Università di Keio. Nel 2009 viene nominato professore all’Università di Tokyo.

Kengo Kuma è nato a Kanagawa, Giappone, nel 1954. Consegue la laurea in architettura all’Università di Tokyo nel 1979. Dal 1985 al 1986 studia alla Columbia University come Visiting Scholar. Nel 1990 fonda lo studio Kengo Kuma & Associates a Aoyama, Tokyo. Dal 2001 al 2008 insegna alla Facoltà di Scienze e Tecnologia all’Università di Keio. Nel 2009 viene nominato professore all’Università di Tokyo. Le opere principali includono l’Osservatorio di Kirosan (1995), Water/ Glass House (1995, per la quale riceve AIA Benedictus Award), il progetto dello spazio Design del Padiglione Giapponese alla Biennale di Venezia (1995), Stage in Forest - Toyoma Center for Performance Arts (1997, progetto per il quale riceve Architectural Institute of Japan Annual Award), Stone Museum (2000, con cui vince l’International Stone Architecture Award 2001), Batomachi Hiroshige Museum (2001, premiato con il Murano Prize).

Le opere principali includono l’Osservatorio di Kirosan (1995), Water/ Glass House (1995, per la quale riceve AIA Benedictus Award), il progetto dello spazio Design del Padiglione Giapponese alla Biennale di Venezia (1995), Stage in Forest - Toyoma Center for Performance Arts (1997, progetto per il quale riceve Architectural Institute of Japan Annual Award), Stone Museum (2000, con cui vince l’International Stone Architecture Award 2001), Batomachi Hiroshige Museum (2001, premiato con il Murano Prize). Le opere più recenti comprendono Great Bamboo Wall (2002, Pechino, Cina); Nagasaki Prefectural Museum (2005, Nagasaki, Giappone); Ginzan Onsen Fujiya (2006, Obanazawa, Yamagata, Giappone); Suntory Museum of Art (2007, Tokyo, Giappone); The Opposite House (2008, Beijing, Cina); Nezu Museum (2009, Tokyo). Sono inoltre attualmente in realizzazione una serie di progetti su larga scala, tra cui, il Centro per le arti a Besançon, Francia, il Granada Performing Arts in Spagna, il Conservatorio Musicale di Aix en Provence (France) e il V&A museum a Dundee (GB).

Le opere più recenti comprendono Great Bamboo Wall (2002, Pechino, Cina); Nagasaki Prefectural Museum (2005, Nagasaki, Giappone); Ginzan Onsen Fujiya (2006, Obanazawa, Yamagata, Giappone); Suntory Museum of Art (2007, Tokyo, Giappone); The Opposite House (2008, Beijing, Cina); Nezu Museum (2009, Tokyo). Sono inoltre attualmente in realizzazione una serie di progetti su larga scala, tra cui, il Centro per le arti a Besançon, Francia, il Granada Performing Arts in Spagna, il Conservatorio Musicale di Aix en Provence (France) e il V&A museum a Dundee (GB).

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Andreet ea feu feugiam consed magnis niam, sisisi.h exerit la feugue del eugait accum et in eummod te magniscipisl utem estin erosto odolorting eratuerostie ting ea conummo lortinit, quat, quisis acin vercipit volorpe rilisl dolent ut alit vulla augue vel dio dolore dolesto do commodiamet eu feui bla con utpatetum quam, quatem inci bla feugiam commoloreet ver acidunt dolortie molor ad tin utpat at et ing eugait niam dolorem vent prate consequis nibh ex er aliquisi. Tat. Ugait incidunt eum zzrit adiat ut velit nulla facipit ip exeriurem quat amconullam, ver sisit aut praesto delit venibh et, venim zzriurem dolore do od elenim vel in hent alit adip eugait, summodiamcon utat adionsenit acipismod exerostisl doloreet, commy nostrud magna commodo dolum zzriure dolestio od eum iusto corem veliquisisl eratuer ilit dionsequat. Ut irit ut dolortis nulla feum eugiam zzril ulputat augiat ea cor sequisc iliquat prat iriuscipsum am, cor secte venim el ex et vent wis dolesenim dolorti onullaore molore magna accum delit utem ip el ullut ero exero esto odolortio commodolenit ad doloreet am, volortion eugiamet pratum quis enisit utet wisse feu feugiam, cortie doluptat non utpat, sum iriusci llaore te tatem nulluptat. Sectet dolore delit, susto consent nullan ullaorperos nulla feum quipisci ex exero et, con ullandreros autem quation sequat, core con utet do et landreetue faci te conullaor sent exer incidunt at eu faci te volenim do odolorerosTo consectem dolent ut iniam quipis ex erciliquat velit, consequis at wis dolorer sequat laor at, cor ilit inci esequi et, veliquis adiatum modiam ing eum quam, venit, sendiamet ipis adio core vullandio odit volestrud magnit alit vent wisi. Si. Volobor ercipis nullam zzriurerit, consectet praessequat. Giatincinim nos at. Feu feugait, quat endiam nulluptat la feu feu faccum vullut lor irilit volute tat, consectet nonse deliscilis num num do conullan henisl etue conullam niat, quisi. Na adigna feum vent augait ut velesse ndiat. Peril ex el exer se tat, quismodoloreAlisi. Il iriurem delis adiam in enim voloreet lut digna auguerit la faccum irit ad mod tet wismodo od magnissisl dolor illumsa ndrero eum

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Alfonso Acocella

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dipartimento architettura ferrara

STILE LATERIZIO

Alfonso Acocella

DA

Andreet ea feu fe ugiam consed magnis

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STILE LATERIZIO II

ATURESCAPE

Kengo Kuma è nato a Kanagawa, Giappone, nel 1954. Consegue la laurea in architettura all’Università di Tokyo nel 1979. Dal 1985 al 1986 studia alla Columbia University come Visiting Scholar. Nel 1990 fonda lo studio Kengo Kuma & Associates a Aoyama, Tokyo. Dal 2001 al 2008 insegna alla Facoltà di Scienze e Tecnologia all’Università di Keio. Nel 2009 viene nominato professore all’Università di Tokyo. Le opere principali includono l’Osservatorio di Kirosan (1995), Water/ Glass House (1995, per la quale riceve AIA Benedictus Award), il progetto dello spazio Design del Padiglione Giapponese alla Biennale di Venezia (1995), Stage in Forest - Toyoma Center for Performance Arts (1997, progetto per il quale riceve Architectural Institute of Japan Annual Award), Stone Museum (2000, con cui vince l’International Stone Architecture Award 2001), Batomachi Hiroshige Museum (2001, premiato con il Murano Prize). Le opere più recenti comprendono Great Bamboo Wall (2002, Pechino, Cina); Nagasaki Prefectural Museum (2005, Nagasaki, Giappone); Ginzan Onsen Fujiya (2006, Obanazawa, Yamagata, Giappone); Suntory Museum of Art (2007, Tokyo, Giappone); The Opposite House (2008, Beijing, Cina); Nezu Museum (2009, Tokyo). Sono inoltre attualmente in realizzazione una serie di progetti su larga scala, tra cui, il Centro per le arti a Besançon, Francia, il Granada Performing Arts in Spagna, il Conservatorio Musicale di Aix en Provence (France) e il V&A museum a Dundee (GB).

collana editoriale md

01|2013

ARTEFATTI COMUNICATIVI

à di Ferrara

Università di Ferrara

Alfonso Acocella

STILE

I Origini e permanenze del mattone nell’architettura contemporanea

LATERIZIO II I laterizi cotti fra Cisalpina e Roma

AGENDA LAB MD

collana editoriale lithos

DA

collana editoriale micropress

dipartimento architettura ferrara

collana editoriale stile laterizio

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Primo format progettato (e realizzato) della famiglia di prodotti editoriali Micropress è rappresentato dalle agende. Si tratta di agende molto particolari e versatili, di natura “bifronteâ€?.

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Al ritmo serrato e condizionante del “tempo dei doveri” che scandisce perentoriamente gli avvenimenti e le cose da fare le agende Micropress introducono delle pause, delle cesure spaziali disponibili ad accogliere iscrizioni istantanee – tracce tangibili delle idee che affollano la nostra vita, il nostro immaginario, la nostra microprogettualità quotidiana – consci del valore della registrazione, dello “scripta manent” a fronte del “verba volant”.

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L'agenda Micropress propone, nel suo sviluppo conclusivo, contenuti informativi o narrativi. Là dove l’agenda-memorandum esaurisce la sua “gittata” temporale, l’artefatto cartaceo si apre a short stories restituendo un corpus di contenuti, un tema specifico nel tentativo di arricchire, di rendere in qualche modo più interessante e intrigante il prodotto-agenda. Nell'agenda Micropress 2013 è stato presentato il Laboratorio di Ricerca MD del Dipartimento di Architettura dell'Università di Ferrara.

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UniversitĂ di Ferrara

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MIcroPress. un ProGetto In seLf-PuBLIshInG DI LaB MD

CARNET MICROPRESS COME TACCUINI PREZIOSI, MANEGGEVOLI, TASCABILI, DISPONIBILI AD ACCOGLIERE APPUNTI, SCHIZZI E FISSARE – INDELEBILMENTE – DATI, IDEE, VISIONI PRIMA CHE SVANISCANO NEGLI STATI FLUIDI E VOLATILI DELLA MENTE. I CARNET DI MICROPRESS NON SONO SEMPLICI TACCUINI PROPONENDOSI, AL PARI DELLE AGENDE, COME ARTEFATTI CARTACEI "BIFRONTI". OLTRE AD OFFRIRE SPAZIO PER ANNOTARE, DISEGNARE, REGISTRARE IDEE, INTRODUCONO A REALTÀ ISTITUZIONALI, ASSOCIATIVE, AZIENDALI ATTRAVERSO DELLE MICRO PRESENTAZIONI O NARRAZIONI.

Nell'intersezione tra astrattezza dei prodotti della mente e fisicità della materia, tra dimensione virtuale del tempo – sospeso fra passato, presente e futuro – e segni tangibili dell’uomo quali tracce di memoria, s’inscrive il progetto in self-publishing Micropress concepito dai membri del network di Lab MD nel ruolo di makers, di “nuovi artigiani” della conoscenza che coniugano idee, progetti, passione per la sperimentazione e apertura verso le filiere dell’autoproduzione materiale e immateriale in avvio del terzo millennio Micropress identifica all’interno dell’orizzonte materiale una famiglia di piccoli artefatti cartacei "nomadi" – agende, carnets in forma di taccuini, volumi – finalizzati a organizzare e dare senso al tempo, a fissare i resoconti di incontri, a raccogliere le riflessioni e l'immaginazione degli individui, a comunicare profili o short stories dei soggetti coinvolti, di volta in volta, nelle ricerche e nelle collaborazioni istituzionali di Lab MD. Pur invasi e circondati da dispositivi e format comunicativi di natura elettronica, gli artefatti di carta – finalizzati alla trasmissione della conoscenza o alla semplice registrazione di segni, di idee, di abbozzi di progetti – rimangono ancora fondamentali, duttili ed irrinunciabili, integrandosi efficacemente a quelli del mondo digitale. Per gli individui della società fluida contemporanea – spinti alla veloce programmazione e alla gestione di un tempo "accelerato", all'organizzazione di spostamenti e viaggi sempre più frequenti, alla registrazione di decisioni emerse in incontri di lavoro, alla lettura breve e discontinua effettuata spesso in mobilità – è pensata la famiglia dei prodotti Micropress ideata per comunicare i progetti svolti per l'Università e per i Sostenitori di Lab MD. Gli artefatti Micropress sono sviluppati nell’officina creativa di Lab MD quali occasioni di sperimentazione, di design di prodotti editoriali in self-publishing. La fase a monte dei prodotti Micropress è legata alla messa a fuoco dei contenuti, dei temi, degli obiettivi da perseguire; tale fase offre a Lab MD un'utile occasione di avvicinamento e di dialogo con le realtà istituzionali, associative, aziendali che – di volta in volta – li promuovono e li finanziano. Dopo questo prioritario lavoro di definizione – che dura qualche settimana o, a volte, qualche mese – viene sviluppata la progettazione vera e propria degli artefatti Micropress che sono, pertanto, da intendersi come prodotti su misura, realizzati attraverso caratteri di unicità, personalizzati per ogni iniziativa ed interlocutore. Tali artefatti possono essere riguardati come dispositivi caratterizzati da una valenza funzionale d'uso, dalla ricerca estetica di un raffinato graphic design, dalla diffusione e valorizzazione di contenuti informativi o – nei casi più particolari – dalla narrazione di short stories legate a istituzioni, brand, iniziative e progetti specifici. È evidente come ogni artefatto a stampa è fatto di materia, anzi di materie al plurale: carta, cartone, supporti materici speciali, inchiostri, pigmenti colorici, colle, packaging. I ricercatori, gli editor, i designer visuali, i makers di Lab MD – interessati all’innovazione – sono aperti al dialogo rispetto agli interlocutori dei diversi progetti editoriali condividendone l’intero iter ideativo e realizzativo: selezionando i materiali, curando i contenuti, mixando e integrando le diverse parti di cui è composto ogni prodotto al fine di ottenere soluzioni ad hoc, personalizzate. Lab MD attraverso il progetto Micropress è interessato a sperimentare – insieme a prodotti di medie o grandi serie – modelli "limited edition", fortemente caratterizzati grazie all'uso di materiali speciali.

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AGENDA

Primo format progettato (e realizzato) della famiglia di prodotti editoriali Micropress è rappresentato dalle agende. Si tratta di agende molto particolari, versatili e di natura “bifronte”. Il progetto restituisce, nello sviluppo della pagina di sinistra, il significato più tradizionale dell’agenda intesa quale memorandum (in cui sono registrati sequenzialmente i giorni, le settimane, i mesi dell’anno per potere annotare gli incontri, i luoghi, le cose da fare) mentre lascia libera la pagina di destra per personali annotazioni, appunti, iscrizioni, disegni. Inoltre il concept delle agende Micropress propone, nello sviluppo conclusivo dell’artefatto cartaceo, un tema con contenuti informativi o narrativi in forma di short stories. Al ritmo serrato e condizionante del “tempo dei doveri” che scandisce perentoriamente gli avvenimenti e le cose da fare (incontri di lavoro, pagamento di tasse, rinnovo di documenti, visite mediche…) le agende Micropress introducono delle pause, delle cesure spaziali disponibili ad accogliere iscrizioni istantanee – intese quali tracce tangibili delle idee che affollano la nostra vita, il nostro immaginario, la nostra microprogettualità quotidiana – consci del valore della registrazione, dello “scripta manent” a fronte del “verba volant”. Nella parte conclusiva, là dove l’agenda-memorandum esaurisce la sua “gittata” temporale, l’artefatto cartaceo si apre a short stories in forma variata, di volta in volta o di anno in anno; la proposta, in altri termini, di un corpus di contenuti informativi, di un tema specifico, nel tentativo di arricchire, di rendere in qualche modo più interessante e intrigante il prodotto-agenda. Lo sviluppo tematico delle agende – posto ad organizzare informazioni, ad evocare progetti, visioni – è incentrato sulla stesura di scritture sintetiche, arricchite da apparati iconografici di qualche interesse e suggestività. L’inserto contenutistico finale mira al puntuale, al circoscritto, attraverso esperimenti tenuti insieme, a volte da narrazioni continue, altre da griglie concettuali con collegamenti e rimandi tra pagina e pagina secondo un modello reticolare. Affinché le agende-memorandum di Micropress potessero essere proposte attraverso forme non ripetitive il progetto si è preoccupato di caratterizzarle attraverso numerose alternative e varianti legate sia ai materiali con cui sono realizzate, sia alle soluzioni di design grafico, sia ai contenuti tematici in funzione di possibili, diverse personalizzazioni. Le varianti materiche delle agende attengono ai tipi di carta di stampa e ai supporti “spessorati” e resistenti delle copertine soggette ad uso più intenso. Le varianti dei lay-out grafici, indirizzati all’organizzazione e caratterizzazione delle pagine dell’agenda, sono frutto di una accurata e attenta ricerca di design editoriale utilizzando sottili grafie, invenzioni testuali, font editoriali leggibili, griglie coloriche e reticoli geometrici, segni di un minimalismo stilistico indirizzato alla definizione di una buona fruibilità.

AFFINCHÉ LE AGENDE-MEMORANDUM DI MICROPRESS POTESSERO ESSERE PROPOSTE ATTRAVERSO FORME NON RIPETITIVE IL PROGETTO SI È PREOCCUPATO DI CARATTERIZZARLE ATTRAVERSO NUMEROSE VARIANTI LEGATE SIA AL DESIGN GRAFICO, SIA AI MATERIALI CON CUI SONO REALIZZATE, SIA AI CONTENUTI TEMATICI AL FINE DI OTTENERE DIVERSE PERSONALIZZAZIONI.

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Le varianti dei lay-out grafici, funzionali all’organizzazione e caratterizzazione delle pagine dell’agenda, sono frutto di una accurata e attenta ricerca di design visuale utilizzando sottili grafie, invenzioni testuali, font editoriali leggibili, griglie e reticoli indirizzati sempre verso la buona fruibilità dell'artefatto.

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ipotesi progettuali di Griglie e tracciati geometrico-colorici per l'organizzazione e la caratterizzazione interna della agende Micropress.

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Le agende Micropress possono essere personalizzate grazie alla scelta di diverse tipologie di font. Caratteri graziati o bastone, con la possibilitĂ di varianti policrome.

Le varianti materiche delle agende attengono ai supporti “spessorati� e resistenti delle copertine e ai tipi di carta di stampa. (nella pagina seguente)

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Cartoncino accoppiato a tessuto, effetto opaco

Cartoncino patinato perlescente e cangiante

Cartoncino bi-patinato effetto gommato antiimpronta

Carta speciale a rilievo

Cartoncino ecologico derivato da scarti di lavorazioni

Cartoncino ondulato colorato in massa

Carta ecologica con alghe

Carta opalina avoriata e vellutata

Carta uso mano

Carta bianca ideale per la lettura

Carta a rilievo

Cartoncino con scarti di lavorazioni

Carta ecologica

Carta riciclata

Carta naturale di alta qualitĂ

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LIBrI MIcroPress Il libro stampato ha rappresentato il “monumento culturale” della società moderna; strumento di elevazione della civiltà contemporanea in funzione dei suoi contenuti informativi (e formativi) trasmessi progressivamente a sempre più ampie fasce sociali di individui. I libri si amano per le idee che esprimono ma anche per il loro valore intrinseco di oggetti materici e per le loro qualità d’uso. «Che bello – afferma Umberto Eco, autore di fama, ma anche appassionato bibliofilo – un libro che è stato pensato per essere preso in mano, anche a letto, anche in barca, anche là dove non ci sono spine elettriche, anche là dove e quando qualsiasi batteria si è scaricata, e sopporta segnacci e orecchie, può essere lasciato cadere per terra o abbandonato aperto sul petto o sulle ginocchia quando ci prende il sonno, sta in tasca, si sciupa, registra l’intensità, l’assiduità o la regolarità delle nostre letture, ci ricorda (se appare troppo fresco o intonso) che non l’abbiamo ancora letto (…) La forma-libro è determinata dalla nostra anatomia. Ce ne possono essere di grandissimi ma per lo più hanno funzione di documento o di decorazione; il libro standard non può essere più piccolo di un pacchetto di sigarette o più grande di un tabloid. Dipende dalle dimensioni della nostra mano, e quelle – almeno per ora – non sono cambiate, con buona pace di Bill Gates.»1 Si può affermare che il fascino del libro è legato a piaceri molteplici inscrivibili in una serie di cerchi concentrici. Al centro poniamo la “seduzione intellettuale”, il fascino delle idee trasmesse attraverso il libro. Intorno tracciamo vari cerchi entro i quali è possibile collocare le altre forme di “piacere”: il piacere visivo, connesso al guardare e al contemplare la composizione interna con lo strutturarsi delle righe di testo e la nitidezza dei caratteri, il ritmo delle pagine nell’equilibrio di spazi bianchi e aree inchiostrate; il piacere tattile, legato alla sensibilità delle mani che lo “soppesano”, lo “accarezzano” per apprezzarne le peculiarità e le qualità dei materiali impiegati; il piacere olfattivo, che spesso si produce nell’aprire la confezione di un libro, riguardabile come “scrigno” capace di immagazzinare e restituire – anche a distanza di molto tempo – l’odore della carta, dell’inchiostro di stampa o delle altre sostanze impiegate nella rilegatura del volume stesso. In un cerchio ancora più esterno possiamo rintracciare il piacere di collezionare libri; in questo caso il piacere del possesso prevale su ogni altro.

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KENGO KUMA

KENGO KUMA

KENGO KUMA

KENGO KUMA

KENGO KUMA

KENGO KUMA

L’ORIZZONTE TEMATICO DEI LIBRI DELLA COLLANA EDITORIALE MICROPRESS S’INSCRIVE ALL'INTERNO DEL PROGETTO “DESIGN FACTORY” INDIRIZZATO A COMUNICARE RICERCHE, CASI STUDIO, PROGETTI PROMOSSI DA AZIENDE ITALIANE E SVOLTI DA LAB MD IN COLLABORAZIONE CON ARCHITETTI E DESIGNER VISIONARI ED INNOVATORI.

Alla rete dei piaceri connessi al libro di carta contribuiscono vari attori: l’autore – con le idee, le visioni, la trama del racconto, la qualità della scrittura – responsabile della ricezione dell’opera connessa alla lettura; l’editore che interviene sulle caratteristiche del “prodotto libro” grazie all’apporto di editor, graphic designer, stampatori; il mercato che, attraverso l'offerta e il diverso valore economico assegnato ai volumi in circolazione, regola le vendite e la “pulsione” degli individui al possesso dei libri in quanto beni-merce. A tutti questi valori non si è voluto rinunciare all’interno del progetto Micropress, pur volendo – al contempo – sperimentare le nuove frontiere che si sono aperte nell'era digitale. Di qui l'idea di una collana editoriale crossmediale che intende declinare sinergicamente – e non antagonisticamente – il libro a stampa con i nuovi format culturali digitali. L’orizzonte tematico d’interesse della collana s’inscrive all’interno del progetto Design factory teso a narrare o ad interpretare criticamente specifici “casi studio” rappresentati dalle ricerche e dalle produzioni di aziende innovative connesse all’opera di architetti e designer visionari.

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I forMat DIGItaLI MIcroPress Dalla fine del XX secolo, ovvero da quando si è diffusa in forma globale la rete di internet, il modello gutenberghiano di documentalità del sapere a mezzo di supporti di carta – libri, giornali, riviste ecc. – ha registrato una progressiva e crescente erosione del suo primato ad opera dei media digitali che hanno introdotto nuovi format di comunicazione. Dopo poco più di un ventennio la tecnologia utilizzata per la creazione, la riproduzione e il trasferimento della conoscenza è cambiata significativamente facendo registrare una definitiva transizione al digitale sostenuta da dispositivi di rete (l’infrastruttura connettiva, l’ecosistema dei personal computer, dei lap top, degli smartphone, dei device mobili) alimentati da flussi immateriali di dati e immagini. Si tratta di una transizione – quella dal cartaceo al digitale – quasi del tutto ultimata, anche se molti stentano ancora ad ammetterlo. Riguardato da questa particolare prospettiva lo stesso “prodotto-libro” (se si esclude il suo stadio ultimo in cui assume la consistenza fisicocartacea) è, oramai, completamente inscritto nella catena digitale. «Oggi – come precisa Paolo Ferri in Nativi digitali – questo “oggetto” culturale, che è stato la macchina di autoapprendimento sulla quale da quattrocento anni si fonda la civiltà occidentale, è composto di atomi materiali solo nella sua forma finale: il libro di carta che, se non possediamo ancora un ebook reader connesso a internet, acquistiamo in libreria. Infatti, tutte le fasi della sua creazione e produzione sono avvenute in un altro codice, quello digitale, appunto. È stato scritto, salvo oramai rarissime eccezioni, con un word processor e un computer, e il “manoscritto” è stato inviato via e-mail all’editore. È stato rivisto da un editor, che lo ha fatto impaginare a un grafico attraverso un software di videoimpaginazione, le correzioni di bozze sono state inserite in un file, e sempre un file è stato mandato “in stampa” attraverso una macchina digitale che ha prodotto solo nell’ultima fase del suo processo produttivo la sua impressione in carta e inchiostro: il “simulacro” di libro gutenberghiano che leggiamo e teniamo fra le mani. Noi immigrati digitali a volte non ci rendiamo conto della rilevanza di questa trasformazione, i nativi digitali considerano tale tradizione come già compiuta.»2 Il diffondersi e l’affermarsi con intensità crescente dei media digitali portatori di nuovi stili comunicativi, rappresenta uno dei fenomeni più significativi e rilevanti della società globalizzata e della stessa industria culturale contemporanea. Per le giovani generazioni i supporti tecnologici del sapere e i format di apprendimento sono diventati – e lo saranno sempre di più – digitali. I libri per queste generazioni – se pur non saranno mai soppiantati del tutto – sono destinati sempre più a soddisfare tipi di lettura e momenti di riflessione e di formazione particolari. Oramai sono numerosi e diffusi i software capaci di restituire a schermo l’esperienza della fruizione dei volumi cartacei attraverso il dispositivo delle pagine a sfoglio che – oltre a consentire una chiara e comoda lettura – valorizzano il graphic design e la composizione del libro, così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi, grazie alla visualizzazione delle “pagine a fronte”. Tale format elettronico si lega alla strategia di digitalizzazione delle opere tradizionali a stampa (quali i libri e gli altri documenti nati in formato cartaceo nell’accezione gutenberghiana) al fine di renderle disponibili, consultabili e leggibili sulla rete del web. Il libro digitale a sfogliare, comunque, è cosa diversa dagli e-book multimediali ed interattivi di cui si parla da oltre un decennio, con alternanza di entusiasmo o di delusione, e che – solo recentemente – sembrano ritrovare possibilità di sviluppo e successo grazie alla vasta diffusione dei device mobili.

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LE DIMENSIONI DEI VOLUMI DI MICROPRESS (13X21 CM) – UNITAMENTE ALLE CARATTERISTICHE INFOGRAFICHE DEL PROGETTO EDITORIALE – SONO STATE PREFIGURATE PER ESSERE TRASFERIBILI IN BUONA FRUIBILITÀ DI LETTURA SULLO SCHERMO DEL DEVICE MOBILE IPAD AL FINE DI SPERIMENTARE LA PARALLELA VERSIONE E-BOOK MICROPRESS.


Negli e-book di nuova concezione l’architettura logica non è più necessariamente, o unicamente, quella lineare del libro o delle riviste tradizionali ma si presenta come integrazione e fusione di generi e format comunicativi diversi: qualcosa dei libri con testi da leggere e immagini fisse da guardare, un poco della televisione e del cinema con immagini in movimento, un poco dello spettacolo con suoni, un poco della radio con commenti parlati o con musica da ascoltare. La scelta di indirizzare il progetto editoriale di Micropress, verso la realizzazione di una serie di artefatti comunicativi digitali – parallela e simmetrica a quella dei volumi cartacei – è legata alla volontà di confrontarsi con format narrativi non convenzionali e con i dispositivi elettronici di lettura disponibili nell’era digitale in cui siamo immersi.

NOTE

Umberto Eco, “Perché si amano, si desiderano, si collezionano i libri?”, Repubblica 16.9.2006. 2 Paolo Ferri, “Oltre il libro” p.35, in Nativi digitali, Milano, Bruno Mondadori, 2011, pp. 211. 1

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PAGINE AUTOPRODOTTE L’altra faccia dell’editoria

veronica Dal Buono

LE COEUR A BARBE, A CURA DI TRISTAN TZARA, EDIZIONI “AU SANS PAREIL”, PARIGI 1922. ILLUSTRAZIONI TRATTE DA EPHEMERA & MISCELLANEA DI STUDIO FLUDD, VENEZIA 2013. (pagina a fianco)

Pubblicare un libro è un processo che può svolgersi seguendo prassi ideative e produttive non univoche. “Libro”, in termini generali, è considerato un prodotto editoriale esito di scelte condivise dall’équipe di una casa editrice; artefatto rilegato in carta e cartoncino tale da presentarsi con una veste grafica coerente con l’insieme delle pubblicazioni dell’editore, sia come opera singola che quando volume inserito in una collana, immesso sul mercato con una determinata tiratura e prezzo e quindi sostenuto con risultati di critica e vendita da servizi di ufficio stampa e promozione. Molto spesso gli autori di libri – di qualsivoglia genere o settore – sono identificabili con la casa editrice che li divulga proprio per una condivisione reciproca di valori e tale convergenza va a consolidarsi in una riconoscibile “identità editorial-letteraria”. Tale carattere, spesso, viene sottolineato e rafforzato dalle scelte di grafica editoriale adottate dallo stesso editore. Così il concetto di “libro” si è stabilizzato in più secoli di editoria non solo letteraria, dall’evento della tipografia in piombo sino a quella “elettronica”; per quanto l’universo multimediale contemporaneo stia avviando molte riflessioni a riguardo, l’idea di “libro”1 come insieme di pagine in carta stampata e rilegata riportante un contenuto grafico di scrittura o immagini, ancora può dirsi non scalfitta. Ciò nonostante in tutte le culture esiste un controcanto, una narrazione secondaria che si muove parallela (o sottostante) alla corrente principale e che va talora a contrapporsi agli stili consolidati, alle definizioni istituzionali, alle rappresentazioni ufficiali. Contestualmente all’editoria di grande scala illuminata dai riflettori del mercato della cultura dominante, coesistono altre ricerche ed esplorazioni sul tema del libro che si orientano verso direzioni d’eccezione. Mentre sfilano i grandi nomi dell’editoria ai festival culturali specializzati – tra i quali spicca quello di Mantova, nato nel 1996 da una iniziativa autonoma di un gruppo di amici ed esploso, poi, con crescente successo in un evento di fama internazionale – anche l’altro volto dell’editoria, quello nascosto ma non perciò meno prezioso, cerca affermazione: trattasi dell’editoria minore e di ricerca, detta “micro”, ma anche editoria “creativa”, “indipendente” e “autoprodotta”. La cerchia dei piccoli editori contemporanei rivela e svela se stessa attraverso appuntamenti collettivi, iniziative di condivisione, momenti di officina laboratoriale, di minor dimensione rispetto ai Festival e molto spesso di ambito locale-territoriale, a riprova dell’esistenza di un sottobosco di autori e lettori sempre pronti a coinvolgere nuovi adepti2. I canali di divulgazione di tali eventi non sono quelli ufficiali. Per lo più la rete internet e l’impalpabile mezzo di promozione che è il “passaparola”, costituiscono gli strumenti più efficaci – nonché low-cost – alla trasmissione delle informazioni per il coinvolgimento di autori indipendenti e di pubblico.

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Alle radici dell’“esoeditoria”, le riviste d’artista del Novecento. Der Dada, rivista edita da Raoul Hausmann, John Heartfield, George Grosz, Berlino, 1919. Copertine e pagine interne.

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PIANETA FRESCO, “UNA RIVISTA DI CULTURA AUTOGESTITA”, A CURA DI ETTORE SOTTSASS, FERNANDA PIVANO, ALLEN GINSBERG, MILANO, 1967-1968.

Inquadrando nello specifico un certo settore di editoria minore, autoprodotta e indipendente (dedicata in particolare ad arti visive – grafica, illustrazione, fotografia – e architettura), è significativo rilevare che la tangenza con i processi digitali e i supporti elettronici si limita alla comunicazione, alla diffusione pre e post happening, senza approdare (volutamente) all’aspetto – anch’esso estremamente attuale – di riflessione sulla materialità del libro rispetto all’immaterialità dell’ipertesto. Non si discutono le forme di scrittura e lettura tradizionale, l’azione di produzione del libro come artefatto materiale, la fisicità del supporto, anzi proprio da tali premesse l’editoria creativa parte come spunto di riflessione critica o per esplorare nuove espressività. Molteplici sono le definizioni che identificano il fenomeno, del resto non classificabile entro un’unica delimitazione proprio per la sua non univoca codificazione. “Micro-editoria”, “editoria indipendente”, “creativa”, “autogestita”, “autoprodotta”, “esoeditoria”. Anche in lingua anglosassone, seppur con minime differenze tra l’uno e l’altro, esistono diversi termini che possono identificare il fenomeno: micro-press, small-press, selfpublishing, indipendent publishing (indie-pub), underground press.

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In generale possono dirsi “autoproduzioni” editoriali tutte quelle pubblicazioni dirette e finanziate dagli stessi autori. Autori e curatori avocano a sé il ruolo di editori non facendo riferimento ad alcun’altra figura, affermando dunque quale tratto distintivo l’indipendenza, l’autodeterminazione produttiva. Il fenomeno che qui si delinea per libri, riviste e formati narrativi cartacei in genere, trova corrispondenza diretta, anche storicamente, con il settore musicale. È il caso dei dischi e brani musicali pubblicati attraverso “etichette indipendenti”, in antitesi alle grandi case discografiche. Il mondo letterario, delle arti visive e quello musicale presentano analogie e trovano diversi punti di contatto che si potranno riconoscere in forme specifiche di utilizzo di immagini e scrittura3. La tensione verso la “riduzione” sembra essere il tratto dominante di tali esperienze. Piccolo, micro, small, sono gli aggettivi ricorrenti affiancati con frequenza al termine “editore”. Dimensioni ridotte, se non minime, della struttura produttiva che può coincidere anche con il solo autore-editore ed il suo spazio (privato) di lavoro4. Produzione selezionata di titoli annuali – più di due, meno di dieci – e tiratura limitata a poche copie, comunque sempre rieditabili (e ciò distingue il settore da quello del “libro d’artista”). La rigidità del copyright viene interpretata con “libertà di spirito” e la distribuzione, se non proprio assente, è limitata ai canali digitali o agli incontri collettivi dove si organizzano “banchetti di scambio” e piccole vendite. La “micro-editoria” è distinguibile, dunque, attraverso il confronto continuo, sotto tutti gli aspetti, con le caratteristiche del mercato mainstream – la corrente dominante dell’editoria ufficiale –, rimarcando rispetto ad essa distanza e autonomia. Tessendo la storia dell’evoluzione editoriale in Italia dai primi del 1900 all’era multimediale attraverso i percorsi delle grandi case editrici, anche il critico Gian Carlo Ferretti – nell’affrontare il tema del “piccolo”, autogestito e autoprodotto – incorre in quella che definisce la “nebulosa delle microstrutture”. “La proliferazione di piccole e piccolissime case editrici” è interpretata da Ferretti come risvolto della “concentrazione”, ovvero “tanto più si sviluppano e consolidano i grandi gruppi tanto più si moltiplicano le microstrutture”. Per quanto vi siano sottili differenze tra le “piccole case editrici”, citate da Ferretti, e l’“editoria autoprodotta” (il cui profilo questo saggio vorrebbe tratteggiare), quest’ultima può comunque ricondursi alla sua essenziale analisi: «Si ripete così un fenomeno ben noto e vistosamente esemplificato nella distribuzione di altri settori: il grande magazzino o supermercato favorisce la nascita della boutique, sia essa di abiti o di alimentari. L’eccezionalità del fenomeno rispetto al passato lontano, semmai, è ancora una volta nella qualità di moltissime microstrutture, oltre a un’estesa disseminazione regionale che riguarda anche le iniziative più interessanti. (…) Si precisano ulteriormente, altresì, le ragioni che sono all’origine del fenomeno: ragioni oggettive e soggettive, di mercato e di opposizione al mercato stesso, anche interagenti tra loro. Innanzitutto la strategia dei grandi gruppi con i suoi interessi extra-librari e la sua produzione libraria generalista o di massa consente o richiede la nascita di segmenti editoriali sperimentali o specialistici, sofisticati o locali, rigorosi o stravaganti.»5 Ferretti nel corso della sua trattazione si rifarà alla sintesi proposta da Giovanni Ragone:

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MCSWEENEY’S È IL NOME DI UNA CASA EDITRICE AMERICANA, FONDATA DA DAVE EGGERS ALLA FINE DEGLI ANNI ’90. EGGERS È DIVENUTO UNO DEI SIMBOLI DELLA NUOVA LETTERATURA AMERICANA. IL TIMOTHY MCSWEENEY'S QUARTERLY CONCERN È IL TRIMESTRALE DI NARRATIVA FONDATO NEL 1998 PER PUBBLICARE RACCONTI RIFIUTATI DAGLI ALTRI EDITORI. DAI FORMATI CARTACEI ETEROGENEI E LE CONFEZIONI DA COLLEZIONE DEI PRIMI NUMERI, OGGI IL GRUPPO MCSWEENEY’S È ANCHE AUTORE DI UN SOFTWARE DI ABBONAMENTO PER DEVICE PER LA FRUIZIONE DEI CONTENUTI DIGITALI. (in queste pagine)

«È l’esplosione dell’editoria da computer, del fatto in casa, o dietro casa, in piccoli studi, vicino a centri di iniziativa culturale, spesso come espressione diretta di quelle iniziative: punti che raggiungono (e si collegano dentro) reti “telematiche”, di “competenze specifiche”, di “cult”.»6 Entrambi gli autori nell’indagare i processi dell’editoria libraria, le strutture e i linguaggi della carta stampata, tracciano un percorso principale, sistematico, restituendone il profilo identitario quanto appassionante per il Paese (la storia dei grandi nomi della cultura nazionale associati alle case editrici, la stessa geografia della produzione libraria italiana), e lungo il tragitto si imbattono nel “sommerso” delle case minori e indipendenti, con storie talora di ridotta dimensione e durata temporale ma non irrilevanti rispetto all’argomentazione principale.

tra Le carte aLLa rIcerca DeL Movente

Quale impulso, quale motivazione, può dirsi incoraggi questa endemica e costante necessità all’“autoproduzione”? “Farsi un libro”, in taluni casi, diparte per restrizioni culturali o “politiche”, talora per la necessità di trattare temi in controtendenza rispetto alla cultura ufficiale, infine (soprattutto) per il desiderio di sperimentare nuovi linguaggi espressivi. L’autoproduzione è la strada per raggiungere la massima libertà di espressione sia nei contenuti che nelle forme, senza sottostare, in principal luogo, ai condizionamenti della committenza esterna (o per mancanza di interesse da parte di finanziatori o per operare con programmazione autogestita nei tempi e nei contenuti). L’autoproduzione, dunque, rappresenta la modalità “alternativa”. Tuttavia non solo fattori di “protesta” muovono il fenomeno. In uno dei volumetti de “I prelibri” di Bruno Munari (pre-libri, ovvero “prima di essere libri”: dodici volumetti pensati per bambini così piccoli da non distinguerne il senso rispetto ad altri oggetti), una voce esterna chiede a cosa serva un libro. La risposta è «un libro serve per comunicare il sapere, o il piacere». A quest’ultimo, il “piacere” crediamo possa ricondursi il movente dell’autoproduzione di un libro.

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I libri sono oggetti; pensarli e progettarli diletta quanto sceglierli, leggerli, possederli, tenerli fra le mani. E ciò è ancor più vero quando sono opera di scrittori, illustratori, grafici e fotografi, oppure di noi stessi divenuti autori-produttori. Le esperienze di autoproduzione contemporanea indirizzano la propria tensione creativa facendo appello alla forza e potenza culturale del libro non solo come veicolo di contenuti ma anche come oggetto. Nel processo di autoproduzione editoriale (affine, per esempio, a quello del design di elementi d’arredo7), dall’inizio alla fine del percorso, l’autore, o il gruppo minimo di produttori, non ricorrono a figure esterne; le azioni generative dell’artefatto – pensare, distendere, strutturare e redigere i contenuti, progettare, stampare, diffondere – avvengono all’unisono e gli autori-designer, occupandosi anche di editing e in qualche modo di marketing, coinvolgono simultaneamente grafica, illustrazione, fotografia, capacità narrativa. L’approccio è interdisciplinare; il prodotto che ne risulta è “poligrafico”, rifiuta lo stereotipo, è ricco di contaminazioni tra linguaggi, utilizza i più vari metodi di impressione e stampa: più che “libri”, i risultati possono dirsi “artefatti editoriali”. La soddisfazione che si riceve dalla prassi creativa quand’essa vede finalizzate in breve tempo e senza compromessi le proprie idee, è immediata. Può dirsi, inoltre, che la proliferazione attuale di autori indipendenti non solo sia prova di ricchezza culturale mai sopita nel nostro Paese, ma anche di una certa iniziativa imprenditoriale innata nei vari territori. I libri-oggetto realizzati in self-publishing sono caratterizzati molto frequentemente da una forte componente artigianale e offrono una varietà di formati non riconducibile alla sola forma del “libro” come insieme di più pagine rilegate in forme e modalità standardizzate. Rilegati o cuciti a mano, realizzati con carta e cartoncini di scarto o con altri frammenti provenienti da altri utilizzi, quali cartoline, biglietti, stampe ritrovate, retri di fogli usati, nel complesso promuovono un comportamento ecologico di riuso dei materiali assieme all’autogestione responsabile dello stesso processo creativo. Sono molteplici le tecniche applicate, spesso dettate dalla contingenza e dall’artigianalità dei mezzi a disposizione. L’utilizzo del computer non è indispensabile, anzi, frequentemente non è ammesso nel gioco. Fotocopia o xerografia sono i mezzi tra i più diffusi, oppure si assiste al recupero di tecniche altrimenti dimenticate quali xilografia, ciclostile, linoleumgrafia, fino al ritorno alla scrittura, al gesto manuale, usato in contrasto con le stampe automatizzate. La creazione e invenzione di timbri, con matrici di legno che rimandano alle prime forme di tipografia8. La valorizzazione delle potenzialità creative del fotoduplicatore a colori risograph con il suo sapore così volutamente imperfetto ma frutto, in realtà, di attente e prolungate programmazioni. Infine il collage, la tecnica del taglia-cuci-incolla, mette insieme tutti questi elementi.

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ILLUSTRAZIONI TRATTE DA “PROTOTIPI. FARSI UNA STAMPERIA” DI NICOLE Marzotto (op. cit.). tipi realizzati IN GOMMA, RITAGLIATI E MONTATI SU TASSELLI DI LEGNO.


Con un processo di rovesciamento, proprio il desktop publishing, strumento informatico nato negli anni Ottanta affinché piccoli autori e gruppi potessero produrre autonomamente da terminali (quindi da format digitali) materiale stampato su piccola scala, è evoluto sino a divenire oggi lo standard ufficiale di progettazione editoriale, sostituendo le tecniche di impaginazione e stampa tradizionali. L’editoria dei piccoli autori indipendenti – molto spesso essi stessi designer che nella loro professione ufficiale maneggiano perfettamente gli strumenti informatici del desktop publishing – torna, così, a guardare al passato e recupera le tecniche di stampa “artigianali”.

AUTOPRODUZIONI SERIGRAFICHE REALIZZATE IN OCCASIONE DELLA TERZA EDIZIONE DI FAHRENHEIT 39, FESTIVAL DELLA RICERCA E DEL DESIGN NELL'EDITORIA IN ITALIA, 2013. IN DETTAGLIO A SFOGLIARE “OFFSET” DI EMILIO MACCHIA. (courtesy Mirko pezzi, in questa pagina e a fianco)

L’autoproduzione creativa non è solo un “accadimento privato” ma avviene spesso attraverso happening, talks, esposizioni, momenti collegiali di condivisione, laboratori guidati da autori riconosciuti nel settore; momenti divertenti, veloci, d’improvvisazione, ove il poco tempo a disposizione diventa valore aggiunto e trasmette la capacità di ottenere risultati tangibili, qualità e ordine partendo dalla condizione di non poter avere il controllo assoluto su tutte le variabili del processo. Un elemento di circuitazione “live” che si aggiunge agli ambiti di produzione-promozione tradizionali. Quale fenomeno emblematico del presente, l’autoproduzione metabolizza e ricompone – in programmato disordine – elementi che possono ricondursi a generi e stili precedenti. Quando la riappropriazione avviene secondo una tensione unitaria, secondo una “visione”, i risultati possono dirsi d’eccezione. Ogni “oggetto” che nasce è un pezzo unico e la rarità – suffragata anche dalla limitata distribuzione e dall’eco che ne fanno i canali digitali attraverso i social network – ne aumenta esponenzialmente il valore.

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cuLtura vIsIva, LInGuaGGIo e sPerIMentazIone

Il contenuto delle produzioni editoriali indipendenti impegnate nell’ambito dei temi di grafica, fotografia, illustrazione e architettura, non è mai libero dalla forma con la quale è presentato. Il graficoillustratore, assegnando un forte contributo configurativo ai contenuti, assurge alla dignità di autore e imprime significativamente e visibilmente il segno identitario al prodotto. I ruoli nell’équipe produttiva sono meno marcati e caratteri tipografici, illustrazioni, editing, vanno a integrarsi univocamente. Ciò nonostante, benché puntino al fattore “rarità” per tramettere appetibilità e desiderio ai prodotti, l’editoria indipendente si contraddistingue dalla produzione di libri d’arte o d’artista in quanto esemplari unici, di grande valore anche economico, rivolti a un pubblico elitario. La micro-editoria è espressione piuttosto di cultura “giovanile”9 che invita al contagio, alla collaborazione, all’emancipazione creativa, allo scambio d’idee e contaminazioni stilistiche. Sono ormai un paio di decenni che, grazie alla pubblicistica specializzata nelle arti visive e grazie alla rete internet, una certa cultura visuale di qualità si è sviluppata anche tra non specializzati ed è divenuta realtà a livello internazionale. Così come giovani designer contemporanei, nel porsi quali autorieditori in self publishing, assorbono le culture visive precedenti e si rifanno – più o meno consciamente – alle forme “underground” che hanno mosso prima di loro la cultura editoriale, allo stesso modo la cultura “egemone” spesso assorbe l’innovazione proprio osservando i fenomeni spontanei. Relativamente al settore dell’editoria per l’architettura, Robin Kinross e Linda Eerme nel saggio “L’architettura e i libri”10, ricostruiscono criticamente e con rigorosa documentazione il fenomeno di particolare attenzione e cura grafico-progettuale assegnate a volumi di tema architettonico, avviato in particolare negli anni Novanta attraverso il lavoro di alcuni tra i maggiori gruppi editoriali internazionali (o editori indipendenti, non minori). In quegli anni la cultura grafica, la rivoluzione degli schemi impaginativi, l’innovazione di caratteri, colori, fotografia, è stata colta e acquisita dalle grandi case editrici proprio osservando il lavoro di autori minori, proveniente “dal basso”, interpreti delle correnti architettoniche successive al postmodernismo.11 L’editoria contemporanea di ricerca, specializzata in grafica, illustrazione e fotografia, può dirsi far implicito riferimento a due forme di cultura espressiva ove l’aspetto visivo è il carattere dominante. Da un lato il libro illustrato, detto “picture-book”, non rivolto solo all’infanzia; dall’altro il mondo delle avanguardie e di ciò che può dirsi “controcorrente”. Nel primo caso gli esempi di riferimento sono molteplici. Emblematici i piccoli opuscoli stampati in poche copie di minime pagine, spesso illustrati con xilografie manuali e di argomento narrativo “effimero”, venduti in Inghilterra nel XIX secolo dagli ambulanti. È frequente che attuali classici della letteratura d’autore non siano che riedizioni al pubblico di tali opere, dette chapbook (“libri strani, informali”) dai bibliofili dell’epoca, redatte in formati particolari e al tempo illustrate manualmente. Come il noto caso di alcune opere di Lewis Carroll.

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MANIFESTO DELLA COLLEZIONE ABOVE PRESS, ITALY SURVIVES, BELOW italy, press dies (2010), di officina TIPOGRAFICA NOVEPUNTI, OT9PT.


PHILIP GIORDANO, MICRO-PRESS, PER PRINT ABOUT ME DI ARTECO, BEATRICE ZANELLI E PAOLO BERRA, 2012.

SOPHIE LECUYER, A MON SEUL DESIRE, PER IL PROGETTO DI PRINT ABOUT ME “MENAGE A' TROIS”, 2013. (foto di Moisi Guga)

D’altro canto l’“esoeditoria”12 contemporanea, pur non essendo mossa da profonde e coercitive necessità di ordine “politico-economico”, occhieggia a espressioni culturali-artistiche nate in contesti oppressi da culture egemoni, spesso “clandestine”, portatrici di soluzioni configurative d’eccezione, come nel caso emblematico dei sovietici Samiszdat13. Metabolizzando gli universi di queste culture visive – tra le quali non può mancare il multiforme e prolifico mondo latino-americano – i designer-autori indipendenti contemporanei creano artefatti che possono dirsi “picture book” allo stadio evolutivo antecedente la divulgazione ufficiale. Per capire cosa succede tra testo e illustrazione in un “picture book” – propriamente definito tale in ambito anglosassone dove ne è più diffusa la cultura – si tratta di libri ove la narrazione perde senso se è esclusa dall’illustrazione. Nel “picture book” immagini e testo sono in reciproca correlazione e, spesso, sono le stesse illustrazioni a nascere prima dei testi. Sono opere di respiro poliedrico ove segno grafico, scrittura e rappresentazione tendono all’identificazione. Le origini di queste forme narrative le illustra con chiarezza Giovanna Zoboli di Topipittori nella “dichiarazione poetica” alle finalità e attività della propria casa editrice indipendente14. L’editrice di Topipittori prende come esempio emblematico Le Petit Prince di Antoine de Saint-Exupéry (prima edizione 1943) e al contempo cita opere quali La famosa invasione degli orsi in Sicilia (prima edizione 1945) di Dino Buzzati, Nella notte buia (prima edizione 1956) e Nella nebbia di Milano (prima edizione 1968) di Bruno Munari. Attraverso di esse attesta come la tradizione dei libri illustrati abbia origini anche italiane e come sia sufficiente riportare alla memoria la strutturazione interna di queste note opere e riviverne con la mente l’esperienza di lettura, per capire cosa si intende per “picture book”. Topipittori, pur partecipando ancor oggi ai meeting di micro-editori indipendenti, può dirsi una “piccola” casa editrice “cresciuta”, evoluta. La collaborazione con grafici e illustratori l’ha condotta a qualcosa di più del “micro”, pur senza perdere lo slancio e la freschezza iniziali. Questo il destino talora di autori-editori indipendenti che riescono a evolversi conservando autonomia di produzione e di pensiero. Viceversa può succedere che i designer-autori, stimolando le corde sensibili dell’editoria maggiore, siano da essa in qualche modo “assorbiti”. Quando uno stile, nato dalla ristrettezza dei mezzi, dall’hic et nunc delle esperienze condivise, comincia a piacere alle “correnti ufficiali” (quelle in prima linea sugli scaffali delle librerie), può divenire oggetto di fusione e assorbimento da parte dell’editoria che intende rinnovarsi e aprirsi a nuove platee. Accettare il rischio di pubblicare acquisendo il modus di giovani grafici emergenti, talora assorbendone gli elementi stilistici di rottura, può presentarsi per gli editori come la strada per rinnovare l’identità e agganciare nuovi ambiti di mercato, nonché nuovi spazi di vendita. L’artefatto di carta può essere venduto anche fuori dalle librerie, in punti vendita di altri beni di consumo, come arredamento, abbigliamento, alimentazione. Una costante tensione si dispiega dialetticamente tra “esclusione” e “integrazione”, tra disciplina e slancio d’evasione; autori-editori entrano ed escono dal giro dell’autoproduzione, sospinti dalle personali storie, scelte, fortune, mentre l’autoproduzione, in qualsivoglia modo e con continuità nel tempo, persiste.

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Note

Libro, dal latino Librum, a sua volta da Líber, scorza interna dell’albero, a rappresentare il supporto sul quale solevano scrivere gli antichi e dal quale è venuta in uso la voce Libro nel significato di materia contenente uno scritto, quindi quantità di fogli stampati e uniti in un volume. 2 Nel panorama italiano contemporaneo diversi sono gli eventi “minori” dedicati alla piccola e media editoria di letteratura e poesia. Spiccano dal 2002 tra le vetrine più significative per gli editori che si collocano a lato dei tradizionali circuiti commerciali del libro, i festival “Più libri più liberi” di Roma (Gruppo Piccoli editori di Varia dell’Associazione Italiana Editori), “Pisa Book Festival”, “Libri in Cantina” di Susegana (Treviso); dal 2003 la “Rassegna di Microeditoria di Chiari” (Brescia), l’evento più noto della Lombardia. Frequentemente le manifestazioni dedicate ai piccoli editori nascono proprio in aree geografiche ove la tradizione alla stampa e produzione del libro è consolidata fin dalle origini della tipografia e sono risultato, per diffusione e partecipazione di pubblico, di un’incessante opera di coinvolgimento del territorio e delle persone. Diversificati sono gli appuntamenti dell’editoria indipendente creativa e autoprodotta, non specificatamente letteraria, ove la “forma” del libro acquisisce un valore fondamentale. La ricognizione di questo panorama richiederebbe una indagine più approfondita. Si evidenziano sicuramente: “Fahrenheit39”, giunto alla terza edizione nel 2013 e organizzato a Ravenna dall’associazione culturale Strativari, art director Emilio Macchia; “Liber. Salone editoria creativa autoprodotta”, organizzato da Casa editrice Libera e Senza Impegni ed Edizioni Pratiche dello Yajè, presso l’Associazione culturale Van-Ghé di Milano e giunto nel 2012 alla sua seconda edizione. Sempre a Milano “Microfestival” la cui prima edizione si è svolta nell’autunno 2012, progetto ideato e curato dal “contenitore creativo” La Caffettiera, fondato da Marco Nicotra già creatore dell’editrice indipendente Bolo Paper e Giuliana Tammaro di Branchie. Si svolge a Bologna “Fruit self-publishing exhibition”, evento ideato nel 2012 dall’agenzia di comunicazione/associazione culturale Crudo affinché si svolga parallelamente e contestualmente al Children Book Fair, per valorizzare la microproduzione editoriale e la cartotecnica artigianale. Questi, come con probabilità altri eventi al di fuori della cultura “ufficiale”, si muovono con analogia e similitudine a quanto già succede nelle metropoli quali New York con Art Book Fair e Parigi con Off Print. 3 L’esperienza della stampa alternativa italiana è iniziata sul finire degli anni Sessanta e per circa un decennio ha avuto un grande sviluppo. Lo stile, le scelte grafiche di tale editoria, possono dirsi essere ispirate alle avanguardie dei primi del XX secolo e al contempo dalla fucina di esperienze underground britanniche e statunitensi della seconda metà del secolo (come i movimenti D.I.Y. do it yourself). Nelle Fanzine, per esempio, abbreviazione di fans magazine ossia “rivista per appassionati”, potevano rientrare temi cui l’editoria ufficiale non offriva spazio. Realizzate ancor oggi, esse esprimono al meglio il desiderio di uscire dagli schemi culturali “stretti” e sono ancora interamente autoprodotte con mezzi poveri e veloci – forbici, fotocopiatrice e colla –, e divulgate con diffusione ristretta. 4 Esemplare il caso di Alberto Casiraghy che dal 1982 ha adibito la sua casaatelier di Osnago, nel cuore della Brianza, a “sede” delle edizioni Pulcinoelefante di cui è fondatore. Proprio nel suo atelier-abitazione Casiraghy stampa le opere di scrittori, poeti e artisti su carta pregiata, con torchio o con macchina da stampa Nebiolo e caratteri al piombo. La lavorazione di ciascun libro si svolge come un rituale cui spesso partecipano gli stessi autori, amici e ospiti del suo affascinante laboratorio. 5 Gian Carlo Ferretti, “La nebulosa delle microstrutture”, pp. 331-336, in Storia dell'editoria letteraria in Italia, 1945-2003, Torino, Einaudi, 2007, pp. 517. 6 Giovanni Ragone, “Il testo diffuso”, pp. 234-235, in Un secolo di libri: storia dell'editoria in Italia dall'unità al post-moderno, Torino, Einaudi, 1999, pp. 277. 7 Relativamente al tema dell’auto-progettazione nel design di componenti per l’arredo e strutture abitative si vedano i seguenti autori: Ken Isaacs, How to Build Your Own Living Structures, Nevada, Harmony Books, 1974. Enzo Mari, Proposta per un'autoprogettazione, Milano, Centro Duchamp, 1974 (Seconda ed. Autoprogettazione?, Mantova, Edizioni Corraini, 2002, pp. 62) Victor Papanek, Jim Hennessey, Nomadic Furniture 2, New York, Pantheon Books, 1974, pp. 146. 8 L’esperienza della designer e illustratrice Nicole Marzotto è emblematica rispetto al recupero delle tecniche di stampa attraverso caratteri tipografici in legno oppure creando artigianalmente matrici alfabetiche con i materiali più impensati. L’originale e unico nel suo genere, volume “Prototipi. Farsi una stamperia”, illustra il modo per realizzare timbri lignei e guida alla produzione creativa “fai da te”. L’attività dell’autrice si svolge attraverso didattica, scrittura ma anche interessanti esperienze collettive di autoproduzione presso eventi, happenings, associazioni culturali. 9 Federico Zenoni di Casa Editrice Libera e Senza Impegni e Paolo Cabrini di Edizioni Pratichè dello Yajè, ideatori della rassegna Liber, hanno redatto un documento ironico e “spensierato” che sintetizza metodi e idee per l’autoproduzione: “Decalogo dell’editoria casalinga ovvero Perché diventar editore casalingo migliora la qualità della vita”. 1

Boîte, di Federica Boràgina e Giulia Brivio, è associazione dedita all’editoria che realizza l’omonimo periodico realizzato in scatola di cartone a fogli sciolti. Dedicato alle discipline artistiche a pensieri ad esse affini. Studio Fludd – Matteo Baratto, Caterina Gabelli, Clara Giaquinto, Sara Maragotto, Valeria Sanguin – rielabora e interpreta materiali e tecniche di produzione inconsueti con un linguaggio unico nel genere, richiamando volutamente il tema dell’invenzione alchemica riferendosi al medico inglese Robert Fludd. Still life della fase progettuale della collezione di accessori Opuscula Miscellanea - Cultivated Variety, ispirata all’estetica del Settecento veneziano (2013). (pagina a fianco)

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Il documento è gratuito e scaricabile dal sito web della “casa editrice”. http://praticheyaje.altervista.org/ 10 Robin Kinross, Linda Eerme, “L’architettura e i libri”, in Domus, n. 847, 2002, pp. 50-79. 11 Diverse riviste di architettura, design e arti autoprodotte nascono oggi dall’urgenza avvertita di trasmettere tematiche e metodologie critiche differenti rispetto a quelle consolidate dall’editoria tradizionale. Trovano una corrispondenza forte con formati al digitale e tra esse possono annoverarsi: Cityvision Mag, progetto di Francesco Lipari con Vanessa Todaro, nata nel 2010; San Rocco Magazine progetto di Matteo Ghidoni del 2010; Studio©, fondata nel 2011 da Romolo Calabrese. 12 Il termine esoeditoria indica tutto ciò che sta al di fuori dell’industria editoriale, per scelta o per necessità. Patrizio Peterlini chiarisce il senso dell’espressione nel saggio introduttivo al volume Riviste d'arte d'avanguardia. Esoeditoria negli anni sessanta e settanta di Giorgio Maffei e Patrizio Peterlini (op. cit.). «Le riviste d’arte d’avanguardia riconducibili al fenomeno dell’esoeditoria si presentano come fogli malamente stampati in un bianco e nero sbiadito e ciclostilati su carta povera, con un raro uso del colore, di imbarazzante inconsistenza fisica, di dubbia o inesistente distribuzione. Quasi tutte hanno avuto una vita effimera che in molti casi non superava il primo numero. Eppure queste caratteristiche, che ne potrebbero decretare l’assoluta marginalità, ne determinano al contrario l’importanza (…). Il termine esoeditoria compare nel catalogo della storica esposizione internazionale di Trento del 1971, e se serve a indicare tutto ciò che sta fuori l’industria editoriale, per scelta o per necessità. “Eso” è infatti una particella utilizzata nelle parole composte, derivate dal greco o formate modernamente come in questo caso, che significa “esterno, fuori”. Il neologismo utilizzato è quindi estremamente specifico ed identifica chiaramente un fenomeno legato alla controcultura o, come si usava dire in quegli anni, alla “alternativa culturale”. In pratica, con il termine esoeditoria si indicano tutte quelle esperienze editoriali autogestite, autofinanziate, autonome che hanno prodotto essenzialmente libri, riviste, plaquettes, piccoli cataloghi, manifesti, volantini, … » Patrizio Peterlini, Esoeditoria negli anni Sesssanta e Settanta in Italia, p. 7-8, in Giorgio Maffei, Patrizio Peterlini, Riviste d'arte d'avanguardia. Esoeditoria negli anni sessanta e settanta, Milano, Sylvestre Bonnard, 2005, pp. 173. 13 Espressioni analoghe all’esoeditoria degli anni Sessanta possono ritrovarsi nella stampa clandestina di periodo bellico nel panorama italiano, spagnolo, francese e tedesco. Di notevole importanza per gli usi non convenzionali della tecnica tipografica, la sperimentazione visiva e contenutistica, il fenomeno dei “samiszdat” sovietici e dei paesi d’influenza russa. Il termine che letteralmente significa “auto-edizione”, è stato coniato nel post-stalinismo per indicare testi autoprodotti che la cultura statale non avrebbe mai approvato. In tali documenti confluivano opere di ogni genere quali racconti letterati, versi poetici, proteste e appelli, saggi filosofici, poesia visiva; circoleranno infatti attraverso i canali dell’editoria autoprodotta le maggiori opere della letteratura russa dell’epoca. Alle opere divulgate in forma di Samiszdat è stata dedicata una importante sezione della rivista Progetto Grafico n. 11, 2007, a cura di Emanuela Bonacorsi, Daniela Di Sora e Alberto Lecaldano. 14 Creata a Milano nel 2004 da Paolo Canton e Giovanna Zoboli, Topipittori è una casa editrice specializzata in libri illustrati non solo per ragazzi. In “La vera storia di Topipittori”, saggio di Giovanna Zoboli scaricabile dal sito web della casa editrice, l’autrice narra con maestria come testo e immagini nella narrativa illustrata, si compenetrino e valorizzino reciprocamente. www.topipittori.it/it/chi-siamo

Bibliografia

Angiolo Bandinelli, Giovanni Lussu, Roberto Iacobelli, Farsi un libro. Propedeutica dell'auto produzione, Roma, Stampa alternativa, 1990, pp. 146. Giovanni Ragone, Un secolo di libri: storia dell'editoria in Italia dall'unità al postmoderno, Torino, Einaudi, 1999, pp. 277. Claudia Salaris (a cura di), La rivoluzione tipografica, Milano, Sylvestre Bonnard, 2001, pp. 133. Robin Kinross, Linda Eerme, “L’architettura e i libri”, in Domus, n. 847, 2002, pp. 50-79. Giorgio Maffei, Il libro d’artista, Milano, Sylvestre Bonnard, 2003, pp. 212. Giorgio Maffei, Patrizio Peterlini, Riviste d'arte d'avanguardia. Esoeditoria negli anni sesssanta e settanta, Milano, Sylvestre Bonnard, 2005, pp. 173. Giorgio Maffei, Maura Picciau (a cura di), Il libro come opera d'arte: avanguardie italiane del Novecento nel panorama internazionale, Roma, Corraini, 2006, pp. 157. Francesco Ciaponi, Underground. Ascesa e declino di un’altra editoria, Milano, Costa & Nolan, 2007, pp. 237. Gian Carlo Ferretti, Storia dell'editoria letteraria in Italia, 1945-2003, Torino, Einaudi, 2007, pp. 517. Nicole Marzotto, Prototipi. Farsi una stamperia, Roma, Stampa Alternativa & Graffiti, 2007, pp. 128. Ellen Lupton, Indie publishing. How to design and produce your own book, New York, Princeton Architectural Press, 2008, pp. 176. Stefano Salis, “Alberto Casiraghy”, pp. 140-149, in Inventario, n. 6, 2012.

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DE FLUCTIBUS, COMPENDIUM, DI STUDIO FLUDD 2013. BOOKLET REALIZZATO CON TECNICA RISOGRAPH. (in alto) LEAPING FORWARD. MARIO TRONTI AND THE HISTORY OF POLITICAL WORKERISM, DI MICHELE FILIPPINI E EMILIO MACCHIA, JVE ACADEMIE, 2013. PAGINE TRATTE DA BOLO MAGAZINE, N. 1, DI BOLO PAPER, CASA EDITRICE INDIPENDENTE MILANESE DI MARCO NICOTRA E GIULIANA TAMMARO. (pagina a fianco)

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aLLestIMentI DI cartone

Metafore sostenibili per esporre e comunicare

Davide turrini

A4A DESIGN, INSTALLAZIONE NO SPRAWL, MILANO, 2006.

«All’arte del mostrare contemporaneo è indispensabile tanto la sapienza dell’architettura dell’informazione (si potrebbe meglio di così tradurre l’anglosassone information design?), quanto l’esperienza diretta sia delle qualità sia delle proprietà dei materiali che conformano fisicamente le (provvisorie) costruzioni dell’allestimento. Solo in tale quadro, nel contesto cioè di una cultura equilibrata di pensiero visuale e di speculazione progettuale ovvero in una dialettica viva tra inventio dell’idea (in senso letterale) e ratio delle prestazioni, si può immaginare di trovare degnamente scritto nella carta d’identità del nostro artefice di mostre, dell’attuale apparecchiatore di esposizioni che auspichiamo riconoscere negli allestimenti nostrani, ciò che si leggeva in quella di Charles-Edouard Jeanneret: “homme de lettres”»1. Il richiamo di Sergio Polano alla necessità di un progetto che sia espressione equilibrata di un’alta cultura visuale e di una profonda esperienza materica e costruttiva, identifica con immediatezza i termini della questione allestitiva, che questo contributo vuole brevemente analizzare in relazione alle applicazioni contemporanee dei materiali a base di cellulosa. Da circa un decennio la carta e, soprattutto, il cartone si sono ampiamente diffusi nella realizzazione di allestimenti temporanei o permanenti per spazi espositivi, culturali, ricettivi e commerciali. In questo contesto, tali materiali sono apprezzati per le doti di versatilità, economicità, riciclabilità e per la loro estetica naturale. Sulla scorta di queste prime generali considerazioni è possibile affermare che il cartone materializza una vera e propria “metafora sostenibile”, che diviene strumento visuale e costruttivo con cui qualificare spazi, esporre oggetti e comunicare concetti. Un precorritore assoluto degli allestimenti in cartone è stato Enzo Mari, protagonista del design italiano che tra gli anni ’60 e gli anni ’70 del secolo scorso progetta svariati sistemi espositivi per le mostre e i negozi del marchio Danese. Tali allestimenti si basano sulla composizione di moduli dalle geometrie primarie, a creare forme articolate per la strutturazione dello spazio e l’esposizione dei prodotti; tutti gli elementi di base sono in cartone canettato; le disposizioni di montaggio seguono schemi lineari, retti o sinuosi; i sistemi di giunzione utilizzano diffusamente la graffettatura metallica. Il designer realizza un primo allestimento nel 1964, si tratta di una struttura ad alveare con celle scatolari in cartone di 50x50x30 cm. Tra il 1965 e il 1969 elabora un sistema più complesso e flessibile, basato su profili ripiegati ad U che danno vita a forme trapezoidali di 18x70x100 cm; tali moduli, collocati e uniti in sequenza, compongono lunghi piani di appoggio, su cui gli oggetti da esporre sono disposti liberamente.

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Del 1966 è un allestimento con elementi tubolari in cartone di diversa altezza a base quadrata e del 1973 sono i moduli dalla caratteristica forma “a sedia” con cui si allestisce la mostra Danese al Musée des Art Décoratifs di Losanna. In particolare quest’ultimo progetto coniuga il ripiano espositivo orizzontale, collocabile a diverse altezze in base alle dimensioni dei pezzi da mostrare, con una superficie verticale retrostante, da utilizzare per la presentazione di oggetti appesi o per la comunicazione2. In tutte le realizzazioni Enzo Mari affronta un insieme di problematiche integrate: codificando tipologie come il piano-bancone, l’alveare-scaffale, il prisma-piedistallo o il basamento-leggio, che ancora oggi sono gli elementi di riferimento basilari del progetto espositivo in cartone, egli ottiene molteplici risultati. Risolve innanzitutto il tema della stabilità strutturale dei moduli e delle aggregazioni; sviluppa una chiara riconoscibilità formale dei sistemi espositivi; raggiunge notevoli esiti di semplificazione morfologica e compattezza dimensionale, finalizzati a non compromettere la circolazione dei visitatori e a facilitare le operazioni di montaggio e disallestimento. Il progetto contemporaneo dell’allestimento in cartone è per molti aspetti debitore nei confronti delle tipologie e dei modelli individuati da Mari tra gli anni ’60 e gli anni ’70 e percorre strade di elaborazione e sviluppo attingendo ad un campionario di prodotti ampliato rispetto al recente passato. Accanto ai tradizionali cartoni ondulati, abitualmente ripiegati o stratificati per ottenere forme e strutture resistenti e tridimensionali , il design attuale dei sistemi espositivi in materiali cellulosici può selezionare una serie di semilavorati rigidi, resistenti e dotati di un volume proprio: si tratta dei tubi di cartone, dei cartoni alveolari, dei cartoni Re-Board e X-Board. I tubi sono costituiti quasi esclusivamente da carta di recupero; vengono prodotti in lunghezze consistenti (fino a dieci metri e oltre) e con elevati spessori; la gamma dei loro diametri è estremamente ampia. Grazie a particolari cariche possono avere buone prestazioni di resistenza al fuoco e possono essere colorati e impermeabilizzati con apposite finiture della superficie esterna. I cartoni alveolari, ottenibili perlopiù da materiali riciclati, sono leggeri, resistenti a compressione e presentano alti spessori; hanno struttura a nido d’ape racchiusa tra due copertine. Re-Board è un prodotto innovativo realizzato combinando carta riciclata e colle a base di acqua. Possiede anch’esso una struttura interna alveolare e resiste a compressione. È leggero, ignifugo ed è stampabile su entrambe le facce dei pannelli; grazie ad una particolare compattezza e alla sua rigidezza, presenta ottime caratteristiche di planarità anche in formati di rilevanti dimensioni e può essere tagliato in maniera precisa a 45°. Anche X-Board appartiene alla tipologia della struttura alveolare che può essere stratificata a formare pacchetti di notevole spessore; è interamente composto da fibre di carta riciclata e le colle con cui è realizzato sono totalmente eco-compatibili; può essere piegato e curvato3. Questo mondo materiale si presta all’applicazione espositiva e comunicativa, rappresentando un’alternativa valida e pienamente praticabile sia per le configurazioni site-specific del “su misura”, sia per i sistemi modulari e i componenti pre-montati4; esso soddisfa tutti i requisiti di base dei prodotti per l’allestimento. Basso costo; leggerezza; robustezza per creare strutture autoportanti e per reggere pesi; facilità di trasporto, stoccaggio e montaggio; resistenza al fuoco; facilità di smaltimento o di reimpiego5.

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ENZO MARI, ALLESTIMENTI IN CARTONE PER DANESE, 1964-73. PAOLO SEGOTA, FULL SYSTEM: ALLESTIMENTO IN CARTONE PER IVECO, 1980 (DA ABITARE, N. 189, 1980). (sotto)


ARCHEA, MURO IN CARTONE PER L’ESPOSIZIONE DI BOTTIGLIE, LUCCA, CITTÀ SOTTILI, 2005. PIETRO CARLO PELLEGRINI E CITTÀ SOTTILI, NEGOZIO MANAS LEA FOSCATI, RICCIONE, 2007. (in basso a destra)

Competitivo da ogni punto di vista rispetto agli altri materiali a spiccata vocazione allestitiva, il cartone non è sostenibile soltanto perché riciclato o riciclabile ma poiché induce economie integrate in tutta la filiera della realizzazione: il costo iniziale della materia prima è inferiore rispetto a numerosi altri materiali; grazie alla sua leggerezza i trasporti, i montaggi e i disallestimenti sono agevoli e veloci; la sua estrema lavorabilità, la flessibilità d’uso e la sovrascrivibilità creano molte possibilità di riutilizzo, adattamento e cambiamento di immagine per sistemi o componenti già impiegati in opere dismesse. Dal quadro che si è cercato di delineare emerge chiara la sostenibilità e la versatilità del materiale nel poter veicolare un alto contenuto di design, seguendo con agilità le esigenze ostensive e di comunicazione di molti contesti, da quelle finalizzate ad obiettivi conoscitivi, divulgativi e didattici, a quelle in cui l’esposizione ha scopi persuasivi di natura commerciale. L’allestimento in cartone può comprendere supporti espositivi, scenografie, superfici scritte, oggetti ed arredi di varia natura; con tali elementi si possono risolvere mostre, eventi culturali come festival e convegni, aree ludicodidattiche per bambini, spazi per l’intrattenimento e la ristorazione, stand fieristici, negozi, showroom e vetrine. Le proprietà cromatiche e tattili del materiale, unitamente alle variegate configurazioni formali e compositive che con esso si possono creare, rappresentano una riserva cospicua di potenzialità per un progetto aumentato, che può incorporare anche il valore di un’originale identità visiva e comunicativa. Utilizzato nella sua tavolozza cromatica naturale, o colorato per ottenere le tinte più disparate, o ancora stampato come una grande pagina scritta, disegnata o texturizzata, il cartone può dar vita infatti a contenitori allestitivi permeabili, capaci di identificare uno spazio e di accogliere grazie a perimetri attraversabili, di sviluppare un forte impatto espressivo e di scambiare messaggi per mezzo di interfacce relazionali. Tra i rappresentanti italiani dell’exhibition design contemporaneo che sanno pienamente interpretare le proprietà del cartone si distinguono A4A Design e Salamanca Design & Co. A4A riconosce da sempre l’essenza estetica dei materiali a base di cellulosa e la valorizza in allestimenti dal linguaggio multiforme e colorato, ideati grazie ad un fertile processo creativo, che porta a

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numerose declinazioni, estensioni e personalizzazioni. I progetti di questo team di designer prediligono il cartone alveolare, lasciato in evidenza nella sua anima materica e strutturale e utilizzato in tutti gli spessori caratteristici: da quelli minimi, di pochi centimetri, impiegati per creare elementi tridimensionali grazie all’incastro di piani con diverse giaciture; a quelli massimi, dell’ordine delle decine di centimetri, adottati per modellare volumi pieni e stratificati. La progettazione in cartone di A4A Design spazia così dagli allestimenti complessi con notevoli valenze di configurazione spaziale, ai più semplici elementi qualificanti di spazi comuni come mobili, sculture astratte, o modelli figurativi evocativi di presenze viventi o inanimate. Il ripercorrere alcune delle realizzazioni più significative dello studio, aiuta a comprendere la versatilità di questa concezione dell’allestimento “total cardboard”. L’installazione No Sprawl (Milano, Vecchi magazzini della Stazione di Porta Genova, 2006) è servita per lanciare un messaggio di critica al cosiddetto fenomeno dello sprawling, cioè dell'espansione urbana contemporanea, agerarchica e priva di pianificazione. L’allestimento ha materializzato questa occupazione indifferenziata del territorio invadendo lo spazio con la ripetizione seriale di decine di casette schematiche in cartone, complete del loro piccolo giardino di pertinenza. Sempre sul fronte della costruzione e della collocazione di elementi qualificanti, utilizzati per comunicare un’idea o per suggerire e incentivare un comportamento, il progetto Nati per Leggere (Torino, Salone Internazionale del Libro, 2010) ha prodotto una serie di arredi ecologici e giocosi, per supportare e ambientare le attività di lettura ad alta voce dei bambini in età prescolare. Il design ha rispettato l'esigenza primaria ludica e formativa con mobili dai profili semplici e sagome stilizzate di alberi e animali dai colori vivaci; in tutta la collezione di sedute, scaffali, piani di appoggio e forme free standing si è ricercata la massima riduzione dei volumi in fase di spedizione, la facilità e la velocità del montaggio. Infatti, tutti gli elementi sono stati forniti stesi e compattati in un apposito packaging e sono stati montati rapidamente in un gioco di manualità e incastri che gli stessi bambini hanno eseguito in autonomia o con una minima assistenza.

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A4A DESIGN, PACKAGING E ARREDI DEL PROGETTO NATI PER LEGGERE, TORINO, 2010. A4A DESIGN, ALLESTIMENTO DELLA MOSTRA UGO RIVOLTA, MILANO, 2008. (in basso a sinistra)


A4A DESIGN, BIBLIOTECA CIVICA MOVIMENTE, CHIVASSO, 2012. (foto di Valentina Esposito)

Gli allestimenti di maggiore articolazione spaziale dimostrano appieno le prestazioni strutturali, le possibilità espressive e le qualità sostenibili e del cartone in termini di riduzione dei tempi e dei costi di realizzazione; A4A Design declina questi temi con un notevole eclettismo di forme e di approcci, dimostrando che l’estetica dell’allestimento in cartone, e la relativa “metafora sostenibile”, trovano la massima realizzazione applicando costantemente i concetti di flessibilità e versatilità, e non nella ricerca di un repertorio prefissato di soluzioni passepartout. Due allestimenti di eventi espositivi itineranti sono emblematici in proposito: si tratta della mostra sull'opera dell'architetto Ugo Rivolta (Milano, Politecnico Bovisa, 2008) e della mostra dei prodotti Emme Edizioni (Bologna, Biblioteca Sala Borsa, 2013). Nel primo caso i designer hanno realizzato un sistema semplificato e aperto, costituito da due sole tipologie di elementi in cartone con intagli per la collocazione dei disegni da mostrare: pannelli rettangolari appesi e un grande tavolo lungo 20 metri scandiscono lo spazio creando il percorso e l’orientamento di una fruizione

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A4A DESIGN, MOSTRA EMME EDIZIONI, BOLOGNA, 2013.

continua. Nel secondo caso pareti componibili in cartone, montate su di un’esile struttura metallica, isolano gli oggetti creando un campo visivo privilegiato per la loro percezione. In questo modo si creano alcune piccole case che identificano gli ambiti espositivi all’interno di uno spazio maggiore; questi perimetri riconoscibili ma permeabili, danno vita ad una configurazione più complessa, aperta a molteplici modalità di circolazione e di visita; i prodotti editoriali e la comunicazione del brand sono poi allestiti in verticale o su grandi leggii realizzati col cartone alveolare di forte spessore. Con la Biblioteca Civica Movimente (Chivasso, 2012) A4A Design trasferisce il tema dell’allestimento in cartone dalla dimensione temporanea e quella permanete. Librerie, tavoli e sedute in cartone sono infatti i mobili essenziali e caratterizzanti che arredano gli spazi-lettura, le postazioni informatiche e l’area espositiva di un nuovo modello di biblioteca a scaffale aperto, che può conservare fino a 30.000 volumi ed è situata in un hub di transito dove si intersecano linee ferroviarie, autolinee e parcheggi scambiatori. Salamanca Design & Co. presenta e comunica contenuti e valori legati alla sostenibilità ancora una volta attraverso la metafora materica congruente del cartone. Ciò accade in progetti circoscritti finalizzati ad operazioni di branding bio come dimostrano gli allestimenti temporanei per Alce Nero, o in azioni integrate più ampie e complesse: lo studio di design cura infatti progetti dove l’allestimento fieristico in cartone, per le qualità materiche e per le relative peculiarità comunicative, si configura come esito di un articolato programma strategico e sistemico. In questo caso Salamanca Design & Co., operando come nodo centrale di una rete di partner e interlocutori appositamente selezionati, sviluppa piattaforme multisettore di riferimento per committenti pubblici e privati, professionisti e aziende, con lo scopo di valorizzare la cultura e le pratiche della sostenibilità ambientale e sociale in diverse declinazioni tematiche. Di particolare rilievo in tal senso sono le edizioni del progetto Sana Kids (fiera Sana di Bologna, 2008-12), finalizzato a promuovere nell’infanzia percorsi di consapevolezza sulle problematiche ambientali attraverso interventi specifici di ecodesign nel settore dell’alimentazione e delle attività ludico-didattiche. Sana Kids si sviluppa a partire da un’attenta analisi dei valori concettuali legati alla vita quotidiana dei bambini; focus di interesse come il cibo e la mensa, i prodotti per l’igiene, l’energia, sono poi oggetto di concept

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SALAMANCA DESIGN & CO., ALCE NERO TEMPORARY RESTAURANT, MILANO, 2012. SALAMANCA DESIGN & CO., DETTAGLIO DI UN ALLESTIMENTO SANA KIDS, BOLOGNA, 2012. (in basso)

e proposte progettuali organizzate in contenitori espositivi allestiti grazie ad un sistema di logistica a chilometraggio minimo. In tali spazi trovano posto elementi comunicativi, partizioni e piani d’appoggio in cartone; complementi in legno da coltivazioni a ridotto impatto ambientale; essenze vegetali; luci a basso consumo. Un ulteriore esempio della ricerca di Salamanca Design & Co. è rappresentato dalla piattaforma Welcome Green, (fiera Expo Riva Hotel di Riva del Garda, 2013) che affronta il tema delle pratiche e dei prodotti sostenibili per il contract. Il progetto propone soluzioni per gli spazi outdoor e indoor di alberghi e ristoranti; servizi, materiali, arredi e sistemi impiantistici mirano ad introdurre criteri di sostenibilità nel settore ricettivo grazie alla riciclabilità, al ridotto consumo energetico e al basso impatto di inserimento nell’ambiente, in una visione di turismo compatibile con i caratteri naturali dei luoghi e con il benessere globale dei clienti e delle comunità residenti. In tutti questi casi, nel risultato finale dell’allestimento, il cartone perlopiù alveolare viene impiegato per realizzare artefatti espositivi e comunicativi piani o tridimensionali, piegati o ad incastro, dal linguaggio stilizzato ed evocativo; tali supporti presentano principalmente la palette naturale dei prodotti a base cellulosica, a cui si aggiungono le tonalità del bianco e dei verdi. Si tratta di una scelta di massima semplicità cromatica e asciuttezza formale, appropriata nel contesto di progetti sistemici pregnanti, che lanciano messaggi di impegno e intendono attivare nuove consapevolezze e nuovi comportamenti.

NOTE

1 Sergio Polano, “Malcelate esibizioni”, in Mario Mastropietro (a cura di), Nuovo allestimento italiano, Milano, Lybra Immagine, 1997, p. 9. 2 Sugli allestimenti in cartone di Enzo Mari si rimanda ai seguenti contributi: Stefano Casciani, Arte industriale: gioco, oggetto, pensiero. Danese e la sua produzione, Milano, Arcadia, 1988, pp. 193; François Burkhardt, Juli Capella, Francesca Picchi, Perché un libro su Enzo Mari, Milano, Motta, 1997, pp. 239. 3 Per un approfondimento tecnico sulle tipologie dei materiali sinteticamente descritti in questo contributo si veda Costruire con il cartone. Guida all’utilizzo del cartone negli allestimenti e nel design, Lucca, Lucense, 2012, pp. 48. 4 Una serie di soluzioni modulari per allestimenti temporanei in cartone con l’utilizzo di fogli, tubi o pannelli alveolari è presentata in Marco Capellini (a cura di), Idee, proposte e soluzioni per allestimenti in carta e cartone, Milano, Comieco, 2008, pp. 56. Per un repertorio delle prime sperimentazioni degli anni Duemila relative ai sistemi per gli allestimenti e gli arredi in cartone si rimanda a Città sottili. Luoghi e progetti di cartone, Melfi, Librìa, 2008, pp. 133. 5 Sui requisiti tecnici di base del progetto allestitivo si veda Massimo Malagugini, Allestire per comunicare. Spazi divulgativi e spazi persuasivi, Milano, Franco Angeli, 1997, pp. 92 e sgg.

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PAPER DESIGN

corso di metodologie per la definizione di progetto a.a. 2012-2013

a cura di veronica Dal Buono

aGenDa DeL DesIGn, IstruzIonI Per IL ProGetto DIDattIco Il piano delle attività che si prevede di svolgere, degli impegni e delle scadenze, l’ordine del giorno degli incontri organizzativi, sono, in termini figurati, “agenda”. Il termine, in uso puntualmente anche in lingua inglese, conserva e fissa il significato antico delle “cose da farsi”1. Eppure una vera e propria “agenda” è tale solo se legata a un supporto materiale. Affinché una raccolta di “cose da farsi” sia veicolabile è essenziale che in qualche modo si prenda nota di esse, attraverso l’espressione grafica della scrittura manuale su carta oppure, per analogia di funzione, anche mediante la registrazione “immateriale” sui dispositivi digitali di più recente codificazione. “Agenda”, dunque, è divenuta nel tempo l’espressione per indicare il supporto stesso dedicato alle “cose da fare”, il piccolo artefatto cartaceo delle annotazioni quotidiane di appuntamenti e idee, sintesi di attività nello scorrere del tempo: giorni, settimane, mesi; intreccio d’impegni e doveri entro cui si svolge l’esistenza, traccia del percorso di vita, supporto al ricordo e alla documentazione. Ancor oggi un’agenda la si immagina di carta, con le pagine rilegate, cronologicamente progressive, utile strumento per accompagnare il possessore nello svolgersi sequenziale di tratti della sua esistenza. Questi “spazi di memoria” diventano così “collettori” di luoghi, incontri, sensazioni, immagini e soprattutto “mutano” fra le mani dell’utilizzatore, trasformandosi dalla netta e ricettiva “spazialità” iniziale delle pagine e dei suoi contorni, in un palinsesto sempre diverso e personalizzato dove ogni segno di utilizzo e “occupazione” diviene “carattere”. E mentre il tempo li modella, questi artefatti “anonimi” diventano intimamente personalizzati e “autobiografici”.

LAVORI DEGLI STUDENTI DEL I°ANNO DEL CORSO DI METODOLOGIE PER LA DEFINIZIONE DI PROGETTO, A.A. 2012-2013 (PROFF. ALFONSO acocella e veronica dal buono) ESPOSTI SUI TAVOLI DI PALAZZO TASSONI ESTENSE, SEDE DEL DIPARTIMENTO DI ARCHITETTURA. (foto di enrico Geminiani pagine 50 e 52)

In un’era in cui tutto si registra e si comunica attraverso il digitale dei personali device, può sembrare singolare e anacronistico riflettere sul progetto di una tradizionale agenda di carta. Proprio a questa operazione di riscoperta e valorizzazione di format cartacei ha puntato Lab MD nel corso del 2013, scegliendo di dedicarsi ad un “micro” progetto2 di autoproduzione editoriale e, poi, di proseguirlo ed evolverlo con gli studenti del primo anno del “Laboratorio di metodologie per la definizione di progetto”, presso il Corso di laurea in Design del prodotto industriale del Dipartimento di Architettura di Ferrara, condotto da Alfonso Acocella e dalla scrivente. Il progetto dell’Agenda – dedicata per il 2013 alla presentazione istituzionale di Lab MD stesso3 – è stato sviluppato a partire dalla scelta del formato. Dall’analisi dei diversi prodotti presenti sul mercato e dalla verifica della loro effettiva funzionalità, si è optato per un formato maneggiabile e quasi “tascabile” (13x21 cm), facilmente trasportabile in borsa senza che possa confondersi, né perdere identità fra libri e opuscoli. Un formato leggermente più ampio del taccuino, adatto alla prensibilità del palmo della mano e alla comoda annotazione o cancellazione di testi o segni grafici.

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L’impostazione prescelta per la struttura dell’Agenda 2013 è quella “settimanale” con sviluppo consequenziale di 52 doppie pagine (corrispondenti alle settimane dell’anno), ove sulla pagina di sinistra si susseguono regolarmente le scansioni dei giorni delle settimane e sulla pagina di destra rimane ampio spazio per la scrittura, le annotazioni, il disegno. Il corpo centrale dell’agenda è anticipato da tre doppie pagine che sintetizzano in una visione unitaria facilmente consultabile il calendario annuale con impostazione a colonne, nelle quali tutti i giorni dell’anno sono facilmente individuabili e il quadro complessivo delle annotazioni sintetiche mensili si manifesta con chiarezza. La componente grafico-creativa del progetto trova spazio, in particolare, nelle pagine di apertura mensile e, specificatamente per l’Agenda istituzionale Lab MD, nel ventiquattresimo finale. Nelle doppie pagine che distinguono le mensilità si è scelto di sviluppare il tema delle lettere “capitali”, le iniziali dei dodici mesi, che si muovono e si espandono a occupare e caratterizzare creativamente le pagine di avvio e l’incipit di ogni mese. Con chiarezza, leggerezza e dinamica fruibilità ne diventano il tema ricorrente; “tagliate” orizzontalmente in mezzeria e quindi posizionate ai piedi e in testa delle aperture mensili, stemperano il loro significato univoco di segno alfabetico per ritornare ad essere in parte solo grafemi o quantomeno esercizio di “riduzione” alfabetica. Sono tali iniziali stampate in oro (il colore identitario di Lab MD), a condurre il fruitore alla fine del 2013 dove una sezione informativa – un intero ventiquattresimo – è posta a presentare e far conoscere il profilo e le attività progettuali del Laboratorio stesso. Partendo da questa impostazione generale del format di Agenda, si è demandato agli studenti di sviluppare percorsi di approfondimento sul design, da finalizzare al progetto tematizzato e alla produzione di un prototipo di “Agenda del design”. La definizione della copertina, le pagine introduttive, lo sviluppo del calendario annuale, le doppie pagine di apertura mensile, le settimane e i temi narrativi delle pagine per le annotazioni, sono stati gli ambiti di attività laboratoriale a cui sono stati chiamati gli studenti del Corso di “Metodologie per la definizione di progetto”. Tra l’astrattezza dei prodotti della mente, dei concetti di tempo, memoria, scrittura e la materialità degli oggetti afferenti al settore del Paper Design – nella sua accezione bidimensionale e tridimensionale – s’inscrive il progetto dell’Agenda del design 2013 e dei suoi prodotti correlati (packaging da spedizione, manifesto promozionale ed espositore da tavolo per spazi di vendita) su cui si sono incentrate le attività didattiche di natura teorica, progettuale e produttiva. I risultati progettuali di tale esperienza sono illustrati nelle pagine che seguono.

NOTE

1 Agènda (sottinteso negotia), “le cose da farsi”, dal gerundivo latino del verbo àgere, “fare”, declinato in agenda. 2 Agenda Lab MD 2013. Concept e contenuti Alfonso Acocella, graphic design Giulia Pellegrini, Veronica Dal Buono infografica. 3 Vedi pp. 12-15 del presente volume.

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BE. 12 Parole sull’autoproduzione Mariangela Beccoi Lucia Fontanelli

Gennaio CREATIVITà Febbraio SEMPLICITà Marzo CONSAPEVOLEZZA Aprile INCONTRO Maggio ETICA Giugno METODO Luglio ESPRESSIONE Agosto bENESSERE Settembre EMANCIPAZIONE Ottobre CARATTERE Novembre CAMbIAMENTO Dicembre UNICITà

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“Mi sembra che questi oggetti non sono falsi, non sono mistificati. Ma perché non lo sono? (...) Questo tavolo sta in piedi, tutti i particolari denunciano la loro funzione. Questa gamba è una gamba, questo traliccio sottostante è una trave di irrigidimento, il traversino sotto le tavole del piano serve a non farle vibrare, il chiodo serve ad unire le tavolette. Cioè, l’aver semplificato la tecnica alle sue ragioni, ai suoi momenti più semplici è ciò che rende questo oggetto autonomo.” Enzo Mari, Autoprogettazione?, Mantova, Corraini, 2010, p.64. [febbraio] “Dopo aver utilizzato gli strumenti essenziali ed aver approfondito le caratteristiche e capacità di ogni utensile, comincerai ad acquisire risultati più precisi. Concentrandoti su un attrezzo scoprirai cos’è in grado di fare e in che modo, ma soprattutto, come le tue azioni aumentino, modulino o neghino le sue potenzialità. Se lo userai abbastanza e la tua capacità di osservazione-sensibilità sarà attiva, finirai per esser capace di fare cose sorprendenti e meravigliose con quello strumento. Non è necessario essere un maestro zen per riconoscere che ciò cambierà il tuo rapporto con te stesso e di conseguenza con il resto dell’universo.” Ken Isaacs, How to build your living structures, Harmony books, 1974, pp. 137. [marzo]

APERTURA

“Il rapporto qualità-quantità è centrale in tutta la produzione industriale: la qualità si determina quando la forma di un prodotto non “sembra” ma, semplicemente, “è”. Questa affermazione, tutt’altro che paradossale, non è però sentita dalla maggior parte della gente. E questo rende particolarmente problematica la realizzazione di progetti di una qualche dignità. Per tale motivo, tutte le volte che mi è possibile, cerco di coinvolgere la gente non solo con parole, ma con operazioni “altre”. Nel 1974 pensai che se le persone si fossero esercitate a costruire con le proprie mani un tavolo, per esempio, avrebbero potuto capirne meglio le ragioni fondanti. Per questo pubblicai la “Proposta per un’autoprogettazione.” Enzo Mari, Autoprogettazione?, 2010, p.64. [marzo]

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Insight Wood Manuel Giovanni Bernardini Nadal Loic

Gennaio SUgHERO Febbraio fRASSINO Marzo NOCE Aprile ACERO Maggio RATTAN Giugno wENgè Luglio ULIVO Agosto ROVERE Settembre fLESSIbILITà Ottobre PADDOUK Novembre bETULLA Dicembre fAggIO

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Il legno è come il pane, da millenni accompagna l’uomo durante l’intera sua vita; ne percepiamo il suo gradevole profumo quando viene lavorato, ci nutre di piacevoli sensazioni quando a piedi nudi lo calpestiamo, quando lo tocchiamo come un giocattolo, quando lo adoperiamo per progettare e costruire nella realtà i nostri sogni. Ogni mese una essenza lignea e per essa, di settimana in settimana, alla scoperta di oggetti di design contemporaneo che ne fanno uso in modo creativo. Il sughero è un materiale naturale che si ricava dalla corteccia di particolari querce del bacino Mediterraneo. Molto usato in edilizia per le sue qualità isolanti in virtù del suo basso peso specifico, è un materiale elastico e impermeabile; non attaccabile da alcun tipo di insetto, resiste bene all’usura e presenta anche una elegante superficie che può essere lasciata “a vista”. [gennaio]

APERTURA

Il legno di frassino ha un’ottima resistenza agli urti e tra le sue principali caratteristiche annovera l’elasticità, la flessibilità e la facile lavorabilità, tanto da renderlo il più robusto e resistente fra i legni prodotti in Europa. Si presenta di colore bianco dorato, di lucentezza sericea e leggermente untuoso al tatto. [febbraio] Il noce è certamente uno dei legni più conosciuti e maggiormente impiegati nel mondo. La diversità dei climi e la natura dei terreni dove cresce ne favoriscono lo sviluppo di tipi diversi per colore e struttura fisica. Sufficientemente duro, anche se poco adatto alla piegatura, per la facilità di lavorazione e per la bellezza della sua superficie, è un legno assai ricercato nel settore dell’arredamento in genere. [marzo] L’acero è un legno di media durezza ed ha un buon comportamento all’urto. Viene usato nella costruzione di mobili, scale, pavimenti, pannelli, infissi, strumenti musicali e parquet. Questo legno è uno dei preferiti per i lavori di falegnameria fine (oggetti di artigianato) e per la decorazione. Si presta inoltre in modo ottimale a lavorazioni come segagione, piallatura o levigazioni. [aprile]

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365° Sustainable Design Francesco Maria Bosi Alessandro Presti

Gennaio LIfE CyCLE DESIgN Febbraio DESIgN PER RIDUZIONE Marzo MATERIALI A bASSO IMPATTO Aprile EffICIENZA ENERgETICA Maggio UN PACKAgINg ADEgUATO Giugno L’INTERVENTO DEL CLIENTE Luglio DESIgN PER IL RIUSO E IL RICICLO Agosto QUALITà E DURATA Settembre fLESSIbILITà Ottobre INNOVAZIONE Novembre bIOMIMESI Dicembre POLIfUNZIONALITà

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Un viaggio nel design attraverso immagini e testi. Lasciati accompagnare ogni settimana da un oggetto diverso; prodotti storici o recenti, famosi o underground ma sempre legati da un filo conduttore: la sostenibilità. Lo scopo dell’agenda è di informare il possessore relativamente a quelli che sono i metodi corretti per produrre oggetti che possano essere definiti sostenibili. gli argomenti trattati, corredati da immagini, sono svolti mantenendo alto il livello di sintesi, richiedendo quindi al lettore un eventuale approfondimento esterno. Sono molti i modi per produrre design sostenibile e questa agenda ne presenta alcuni, ma non ha la pretesa di essere onnicomprensiva. è altresì consigliato al lettore di espandere gli orizzonti e di cercare altre fonti per approfondire l’argomento. Saranno esplorati, mese per mese, vari percorsi per produrre oggetti eco-friendly; immagini che ben rappresentano il tema del mese accompagneranno le settimane, per favorire la comprensione. “Design sostenibile è eliminare l’impatto ambientale negativo attraverso una progettazione attenta e responsabile. Il designer non deve solamente disegnare prodotti che rispettino la natura, ma deve anche stimolare la nostra concezione di “oggetto funzionale”, mutando l’idea di prodotto e fornendo una riflessione sul concetto di estetica.” Questa è la definizione che viene data da Jason McLennan1. Proprio per questa centralità della progettazione abbiamo deciso di muoverci intorno e internamente ad essa. Attraverso le dodici argomentazioni mensili si intendono offrire spunti su come realizzare un prodotto che sia allo stesso tempo funzionale e sostenibile. Le immagini scelte sono dettate da una logica volta alla facilità di comprensione, per questo motivo sono stati inseriti prodotti che potrebbero non essere definiti sostenibili al 100% ma dal punto di vista dell’argomento preso in esame sono esempi significativi.

APERTURA

Jason McLennan, The Philosophy of Sustainable Design, London, Ecotone Publishing 2004, pp. 324.

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Green Design Ilaria Rizzi Sara Vecchi

Gennaio MATERIALI Febbraio ARREDO D'INTERNI I Marzo ARREDO D'INTERNI II Aprile ILLUMINAZIONE Maggio PACKAgINg Giugno gRAfICA Luglio ARCHITETTURA Agosto gIARDINI VERTICALI Settembre ALLESTIMENTI Ottobre fASHION DESIgN Novembre TECNOLOgIA Dicembre gIOCHI PER bAMbINI

La narrazione proposta per l’agenda green Design, attraverso immagini rappresentative e brevi testi, vuole ripercorrere la ricerca effettuata da numerosi designer, architetti e artisti contemporanei, svolta per ricongiungersi con quell’idea di Natura che per millenni è stata venerata ed amata dall’uomo, ma che, nell’ultimo secolo è stata dimenticata, messa da parte e anche sfruttata in favore dello sviluppo industriale e delle nuove tecnologie che si sono affermate. I designer scelti attraverso la nostra selezione, si sono posti l’obbiettivo di reintrodurre nella vita domestica e quotidiana quegli elementi che abbiamo dimenticato. Per questo motivo il nostro percorso all’interno nel green Design si focalizza su oggetti realizzati a partire da materiali naturali, o che facciano della Natura il loro punto di forza. Legno, pietra, erba, ma non solo. Il green Design ha, infatti, anche un altro obiettivo: quello dell’ecosostenibilità, del riciclo, l’utilizzo di materiali biodegradabili, che non provochino danni all’ambiente, ma che, anzi, lo possano salvaguardare. Per ogni mese un settore del design, per ogni settimana un oggetto o un progetto che sia esemplare della ricerca dei progettisti che si sono impegnati al fine di reintrodurre la Natura nel mondo artificiale contemporaneo. Perché le nuove tecnologie, nate negli ultimi cent’anni, non possono cancellare un legame millenario dell’uomo con la sua Madre Terra.

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Un_known Design Roberto Emanuele Romoli Eli Brandoli Gennaio UTENSILI PER L’ALIMENTAZIONE Febbraio IL PORTAFRUTTA Marzo SALIERA E PEPIERA Aprile LA GRATTUGIA Maggio IL POSACENERE Giugno IL TAVOLO Luglio LA PANCA Agosto LA POLTRONA Settembre IL PORTAGIORNALI Ottobre IL PORTA SCARPE Novembre IL PARALUME Dicembre IL TAVOLINO CON RUOTE L’agenda “un_KNOWN design” presenta un confronto tra la produzione di design anonimo low-cost e la produzione industriale autoriale. La disposizione mensile presenta in apertura un primo oggetto di low-cost design anonimo e per ogni settimana successiva uno di design industriale d’autore riferito allo stesso tema progettuale. La tradizione ormai centenaria nell’ambito del design, mediata dall’esperienza dei grandi maestri, ci ha abituati a ricercare la bellezza e l’intelligenza ovunque, fornendoci gli strumenti per non trovarci impreparati di fronte a produzioni lontane dalle consuetudini, dalla “buona regola”, dalle logiche progettuali classiche, dalle oscillazioni del gusto. In tal senso risulta particolarmente significativa la corrispondenza forma/funzione, propria di quegli oggetti anonimi, celebrati nelle collezioni dello stesso Achille Castiglioni. In essi è evidente il suggerimento a ricercare ingegno e buon senso non solo nei musei, nelle accademie, ma anche tra la gente comune, armati sempre di occhi curiosi. Proprio da tale spirito trae ispirazione il nostro percorso: saper sognare, immaginare nuovi universi, tanto da poter fornire nuovi scopi esistenziali ad oggetti ormai morti, enfatizzandone e stravolgendone le caratteristiche funzionali, tenendo a mente che la necessità è sempre madre dell’invenzione. Grande importanza nel re-design è riveste dal ruolo del possessore dell’oggetto: non trattandosi di “objet-trouvè” per i quali l’importanza primaria è la ricontestualizzazione, risultano preponderanti le qualità d’inclusione, partecipazione e trasparenza, differentemente dal carattere elitario ed enigmatico del ready-made. Il possessore dell’oggetto è utilizzatore ma anche soggetto in grado di riattivare una dinamica metamorfica, intelligentemente ludica, partendo dall’esperienza del quotidiano in una giornaliera palestra di consapevolezza.

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Colori Arte & Design Diana Zerbetto Marco Manfra Gennaio MARK ROTHKO Febbraio YVES KLEIN Marzo CLAUDE MONET Aprile GEORGES SEURAT Maggio GIOVANNI BOLDINI Giugno LUCIO FONTANA Luglio JOSEF ALBERS Agosto GAETANO PREVIATI Settembre JEAN DUBUFFET Ottobre GIORGIO MORANDI Novembre ALBERTO BURRI Dicembre WILLIAM TURNER Il tema dei colori è stato scelto per complessità e fascino. Ma cosa sono i colori? Dare una definizione esatta è difficile. Si può fare una prima distinzione tra il colore inteso come sostanza e il colore inteso come percezione. Nella Teoria dei colori, Goethe differenziò i colori in base alle loro manifestazioni, ossia fisiologicamente, fisicamente e chimicamente. Nei contenuti dell’agenda, non si è voluta ripercorrere la storia delle scoperte scientifiche in questo campo, bensì si è posta l’attenzione sull’aspetto emotivo, e quindi fisiologico, che i colori sono in grado di suscitare. Per ogni mese è stato scelto un colore riconoscibile nelle opere artistiche, nelle immagini di prodotto e nei quadrati materici presentati. I colori caldi e freddi, nelle loro sfumature, richiamano la percezione sensoriale delle stagioni. Come motivi grafici ricorrenti, nella copertina e nelle pagine settimanali, sono state scelte delle forme quadrate, riempite con pigmenti materici colorati. Come afferma Plotemy Mann (mostra Significant Colour, Londra, 2009): “Chi lavora con il colore ama lavorare con cerchi e griglie”. La presenza delle immagini di colori in polvere lega con coerenza e continuità la natura originaria del colore come sostanza materica con l’elemento predominante della percezione emotiva. Per le aperture dei mesi si è scelto di far emergere opere d’autore, selezionati nel repertorio dell’arte moderna e contemporanea, ove il colore fosse l’elemento preponderante e maggiormente elaborato dall’artista, accompagnate da spiegazioni citazioni degli stessi autori, inerenti al tema. Per le pagine settimanali si è scelta alternanza simmetrica di citazioni d’autore sul tema del colore e immagini di prodotto provenienti dal mondo del design contemporaneo. Le immagini di design sono raggruppate mensilmente per ordine tematico implicito: musica, cucina, arredamento, moda… Nei prodotti ciò che predomina è il colore e il suo legame con le forme e i volumi degli oggetti.

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Radical Design Daniele Babini Paolo Ragazzi Gennaio ETTORE SOTTSASS Febbraio ALESSANDRO MENDINI Marzo MICHELE DE LUCCHI Aprile GAETANO PESCE Maggio CRISTIANO TORALDO Giugno ANDREA BRANZI Luglio PAOLO DEGANELLO Agosto GIANNI PETTENA Settembre ALESSANDRO GUERRIERO Ottobre FRANCO RAGGI Novembre MASSIMO IOSA GHINI Dicembre UGO LA PIETRA L’agenda dedicata al Radical Design italiano. La radicalità della nuova architettura e design italiani presentava quale fondamentale elemento di novità una forte e articolata carica ideologica che si proponeva di rifondare la disciplina culturalmente oltre che negli aspetti metodologici, così che le nuove figurazioni linguistiche, come per esempio la Pop art, venissero usate, al di là della sola componente ironica, al fine di denunciare proprio i meccanismi di mercato della società di massa. Le formulazioni sperimentali, come reazione alla ritenuta arretratezza concettuale delle idee d’architettura che si trasmettevano in ambito accademico, si esprimono e si concretizzano nelle risposte dell’anti-design. In chiave di metafora l’utopia è strumento sia critico che didattico: ogni nuova proposta dei radicali italiani di quegli anni più che forme nuove ricercava nuovi usi, nuove maniere di intendere e di vivere la casa e la città, attraverso strumenti e linguaggi progettuali che non ponessero alcun limite alla propria possibilità di espressione ma anzi ricercassero un continuo sconfinamento in altri ambiti artistici. Il movimento Radicale italiano dimostra nei confronti del design del mobile un’attenzione particolare, anzi scopre il mobile come “luogo” ove praticare progetto, dall’ideazione alla realizzazione, in tempi brevissimi, poiché progetto e prototipo possono essere creati contemporaneamente. Il 1966 è l’anno di nascita ufficiale del design radicale e coincide con la mostra Superarchitettura dei gruppi fiorentini Archizoom e Superstudio. Fondamentale il rapporto tra il giovane Ettore Sottsass e Poltronova, momento di contatto con i principali esponenti del Radicale italiano. Tra i protagonisti emerge Archizoom fondato a Firenze nel 1966 da Andrea Branzi, Gilberto Corretti, Paolo Deganello e Massimo Morozzi. Sempre a Firenze nel 1967 nasce Superstudio con Adolfo Natalini, Cristiano Toraldo di Francia, Roberto Magris, Piero Frassinelli, e Alessandro Magris.

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Fluid Design Laura Camelin Simona Giacchi Gennaio CHAIRS Febbraio SHELVES Marzo LIGHTS Aprile TABLES Maggio SOFAS Giugno BENCHES Luglio SCULPTURES Agosto ARCHITECTURE Settembre JEWELLERY Ottobre FASHION Novembre PERFUMES Dicembre HOUSE Chairs [gennaio] @ Chair Anno di produzione: 2008 Progetto del designer australiano Brodie Neill. Realizzata in fibra di carbonio e cromo. Seduta che attira l’attenzione per l’indubbia originalità della sua forma senza soluzione di continuità.

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Intro Anno di produzione: 2008 Progetto del designer Brodie Neill. Realizzata in fibra di vetro laccato. Nera e lucida, con superfici lisce ondulate, la seduta plasma tre aperture che si fondono tra loro con fluente continuità di linee. Callita chair Anno di produzione: 2012 Azienda: Infiniti Progetto del designer Jean-Marie Massaud. Realizzata in poliuretano rigido nero. È composta da una struttura resistente. La base a quattro razze segue l'andamento della sedia acquisendo una forma del tutto inusuale, a tratti zoomorfa, come fossero degli arti che si protendono verso lo spazio, conquistandolo in tutte le direzioni e comunicando un senso di disequilibrio armonico di ineguagliabile bellezza. Aluminum Petal chair Anno di produzione: 2008 Progetto del designer Damian Barton. Realizzata in alluminio. La seduta, modellata ispirandosi alla forma di un petalo, è realizzata replicando parallelamente anelli di materiale metallico modellato in forma di petalo. Batoidea Anno di produzione: 2011 Progetto del designer Peter Donders. Realizzata in acciaio. Seduta che respinge la morbidezza attraverso la lucentezza del suo metallo, formata da linee fluide che si equilibrano di pieni e vuoti, dando forma ad una seduta originale e inusuale.

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Boom Design Sara Peccenini Leonardo Longhi Gennaio VIAGGIARE Febbraio VIAGGIARE Marzo VIAGGIARE Aprile PRODURRE Maggio PRODURRE Giugno PRODURRE Luglio ARREDARE Agosto ARREDARE Settembre ARREDARE Ottobre SCOPRIRE Novembre SCOPRIRE Dicembre SCOPRIRE

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Viaggiare [gennaio, febbraio, marzo] Tra gli anni 50 e gli anni 60 del ‘900, in Italia, l’alleanza tra intellettuali e piccoli-medi produttori fu un fattore determinante per lo sviluppo del design. Questa relazione nasceva dalla fiducia che nel Paese esistesse una domanda inevasa di modernità a cui si poteva rispondere con buoni risultati anche economici. Il settore dei trasporti si sviluppò in maniera esponenziale e contribuì al rinnovamento delle tipologie di veicoli a corto raggio. Produrre [aprile, maggio, giugno] La struttura sociale dell’Italia del secondo dopoguerra vede, fino alla fine degli anni 60, una positiva evoluzione ugualitaria e d’inclusione sociale. Nascevano in quegli anni i primi poli industriali, in particolare il triangolo Torino-Milano-Genova, che offrivano un forte sviluppo a nuovi settori del mercato industriale, come quello metallurgico e tessile.

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Arredare [luglio, agosto, settembre] Tra il 1946 e il 1947, le prime mostre per la produzione del mobile organizzate a Milano, posero le basi del futuro design italiano del decennio successivo. Con il boom economico la voglia d’innovazione e di libertà d’espressiva introducono nel panorama industriale italiano nuovi materiali come la gomma piuma, il metallo, e l’acciaio; forme bombate, sinuose, accoglienti e colorate. Inoltre la produzione in serie e la particolare attenzione alla funzionalità rendono più economici e personalizzati i prodotti. Comunicare [ottobre, novembre, dicembre] Tra gli anni 50 e 60 vengono realizzati strumenti di utilità sino a quel momento impensabili: elettrodomestici e artefatti per la comunicazione che iniziano a divenire prodotti di massa. La radio, la televisione e il telefono modificarono il linguaggio e il modo di vivere degli italiani, introducendoli a nuove culture di consumo. Questi nuovi prodotti divennero veri e propri elementi d’arredo tali da acquisire, oltre che spiccata utilità anche una certa valenza estetica.

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E-stream Filippo Petrocchi Veronica Raffellini Gennaio LO STREAMLINE Febbraio NORMAN BEL GEDDES Marzo FILIPPO TOMMASO MARINETTI Aprile OTTO KUHLER Maggio HENRY DREYFUSS Giugno IL DESIGN DOPO LA CRISI Luglio IL NUOVO DESIGN Agosto RAYMOND LOEWY Settembre IL DESIGNER Ottobre WALTER DORWIN TEAGUE Novembre LO STYLING Dicembre IL BOLIDISMO

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“La magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo... un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.” Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto del Futurismo, 1909. “Una ragione per cui noi diamo un profilo aerodinamico a tanti oggetti (...) sta proprio nella qualità dinamica della linea che appare nelle forme aerodinamiche, e questa qualità dinamica è caratteristica del nostro tempo. Noi siamo in un’età primitiva e siamo un popolo dinamico, siamo sensibili solo alle manifestazioni di tensione, di vigore di energia, e questa linea si ritrova costantemente dovunque nei nostri corpi, il corpo di un uomo muscoloso o il corpo di una donna bella”. Walter Darwin Teague

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Le fonti dello Streamline [gennaio] La corrente stilistica dello Streamline nasce negli Stati Uniti d’America come conseguenza alle varie esperienze europee del XX secolo. Le grandi scuole del Bauhaus e l’esperienza di Le Corbusier avevano portato ormai l’“arte applicata” ad un livello di considerazione superiore. L’Art Decò, in America, aveva sensibilizzato a livello estetico la popolazione, sviluppando nell’opinione pubblica un senso del bello anche per gli oggetti di uso comune. Le idee sulla forma e sulla “decorazione” stavano trasformando il modo di percepire quegli oggetti che inizialmente erano pensati solo per la loro funzione. Dopo la grande crisi del ‘29 che sconvolgerà la società americana, le industrie si metteranno in discussione puntando non solo sulla qualità e funzionalità del prodotto, ma anche sulla valorizzazione della forma esteriore. I cittadini americani non devono più solo “aver bisogno” di un determinato prodotto, ma “desiderare di possederlo” come simbolo di lusso e attenzione all’estetica, come fiore all’occhiello della propria casa. Un ideale di bello, nuovo e lucente che rimanda al pensiero futurista di vent’anni prima.

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Il concetto di semplicità è stato da guida per il progetto dell’espositore. Semplicità, facilità di montaggio, design intuitivo che guida il fruitore ad un rapido e facile utilizzo. Facile da montare, economico da spedire, un prodotto che riduce al minimo il volume di spedizione e offre un ottima capienza espositiva. Un pezzo unico ottimo per ogni tipo di libreria. 94


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Un anno con Helvetica Luca Squarzoni Gennaio LE ORIGINI DI HELVETICA Febbraio LE CARATTERISTICHE STILISTICHE Marzo BRAND DI SUCCESSO Aprile HELVETICA E L'IMMAGINE AZIENDALE Maggio HELVETICA NELLA PUBBLICITÀ Giugno HELVETICA NEI TRASPORTI Luglio HELVETICA NELL'ARTE, LETTERATURA E MUSICA Agosto HELVETICA E LA FILATELIA Settembre HELVETICA NEI MANIFESTI Ottobre HELVETICA MATRICE DI DESIGN SPONTANEO Novembre HELVETICA, IL FILM Dicembre DICONO DI HELVETICA... La storia di Helvetica. Nel 1956 Eduard Hoffman direttore della fonderia Haas in Svizzera pensò di creare un nuovo carattere Sans Serif per poter salvare dal fallimento la fonderia per il dirompente successo del carattere Akzidenz Grotesk creato dalla concorrente stamperia H. Berthold. Di conseguenza incaricò Max Miedinger, disegnatore freelance ed ex impiegato della Haas, di disegnare un set di caratteri Sans Serif in aggiunta alla loro linea. Il primo nome di tale carattere fu Neue Haas Grotesk, ma venne presto sostituito con Helvetica (dal termine Latino “Helvetia” letteralmente Svizzera), diventando così una icona del design svizzero e trovando ampia diffusione a livello mondiale e rappresentando per molte agenzie pubblicitarie espressione formale di eleganza e funzionalità. Venne adottato in larga scala da molti marchi corporativi, dai trasporti, nelle stampe artistiche e nei sistemi di comunicazione stessi. Nel 1984 venne incluso tra i font di default del sistema operativo Macintosh, confermando la sua diffusione nella grafica digitale. Arial è il font di Helvetica clone adottato dalla rivale Microsoft presente nei computer di tutto il mondo. Nel 1989 Massimo Vignelli fece diventare Helvetica il carattere tipografico ufficiale per tutta la segnaletica di New York facendo la sua comparsa nei cartelli stradali, nelle mappe delle città, sui treni e nelle metropolitane; vincendo così il confronto con l’Akzidenz Grotesk considerato da molti conoscitori come lo Standard. Nel corso degli anni, l’Helvetica ha ricevuto apprezzamenti ma anche critiche. In particolare i designer di fama internazionale Erik Spiekermann, Stefan Sagmeister e David Carson, accusano il carattere di essere noioso, freddo, impersonale ed esageratamente utilizzato nel campo del design. Tuttavia il carattere ha ricevuto apprezzamenti dalla maggior parte degli addetti ai lavori, tra cui Wim Crouwel, tra i suoi più grandi estimatori. Dedicato ad Helvetica esiste anche un film (Gary Hustwit, 2007), il primo film-documentario dedicato alla tipografia, il disegno grafico e la cultura visiva globale. La pellicola mostra la proliferazione del set dei caratteri come componente di una più grande conversione di stili comunicativi e presenta al grande pubblico, non solo dei designer, la storia e il valore culturale, psicologico ed estetico di un carattere che milioni di persone si trovano di fronte, in tutto il mondo, diverse volte al giorno.

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Materia Medea Alderuccio Paola Gallerani Guidetti Gennaio SMARTNESS Febbraio RESISTANCE Marzo TRANSPARENCY Aprile LIGHTNESS Maggio SOFTNESS Giugno BRIGHTNESS Luglio FLEXIBILITY Agosto HEAT Settembre RESILIENCE Ottobre PERMEABILITY Novembre COARSENESS Dicembre COLDNESS

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PAGINE DI APERTURA MENSILI

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Relax Emanuele Bellizzi Gennaio MASANORI UMEDA Febbraio ROBERTO SEMPRINI Marzo FRANCESCO BINFARÈ Aprile KAMIL KURKA Maggio EERO ARNIO Giugno THINK STUDIO Luglio MIES VAN DER ROHE Agosto PIERO GATTI Settembre LEONARDO DAINELLI Ottobre FRANCESCO BINFARÈ Novembre FRATELLI CAMPANA Dicembre CLAUDIO D'AMORE

COPERTINA

“Di tanto in tanto bisogna dar riposo all’animo, affinchè sia più sveglio nel pensare”. Fedro

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Plast Design Alex Bonaveri Valentina Parmeggiani Gennaio POLIMERI TERMOPLASTICI Febbraio POLIETILENE Marzo POLISTIRENE Aprile POLIPROPILENE Maggio POLIVINILCLORURO Giugno POLIETILENE TEREFTALATO Luglio POLIMETILMETACRILATO Agosto POLIMERI TERMOINDURENTI Settembre RESINE POLIESTERE Ottobre RESINE FENOLICHE Novembre ELASTOMERI E GOMME Dicembre BIOPLASTICHE

COPERTINA E APERTURA

Negli ultimi cinquant’anni, l’industria delle materie plastiche ha avuto un notevole sviluppo. L’introduzione delle plastiche si è svolta come un fenomeno di sostituzione progressiva dei materiali tradizionali con le nuove sostanze sintetiche e al contempo un ripensamento formale della configurazione e dell’ergonomia degli attrezzi, delle suppellettili e degli oggetti di cui l’uomo quotidianamente si circonda e si serve. La scoperta della plastica risale alla metà del XIX secolo. Inizialmente si producevano materie plastiche di origine naturale (resine vegetali), in seguito, la ricerca scientifica si propose di creare dei polimeri sintetici e i primi tentativi furono le resine fenolo-formaldeide messe a punto dal chimico belga Leo Hendrik Baekerland nei primi del ‘900. Questo materiale largamente diffuso nella vita quotidiana viene definito “intelligente” grazie alle sue qualità di leggerezza, resistenza e adattabilità. Le prime produzioni su scala industriale di plastiche come Polistirolo e PVC, risalgono a dopo la prima guerra mondiale. Dopo gli anni ‘40, Polietilene, Resine Epossidiche, Poliesteri, Siliconi e altri svariati tipi di plastiche sono entrati nelle case di tutti, trovando impiego anche nell’arredamento e nell’uso domestico, indipendentemente dalla condizione sociali, nei paesi industrializzati come nelle economie agricole. Le materie plastiche sono costituite essenzialmente dalle molecole del polimero di base e spesso sono presenti additivi che migliorano le caratteristiche del prodotto e ne abbassano il costo. I riempitivi o cariche (tipo farina di legno, silice e fibra di vetro), ad esempio, impartiscono una migliore resistenza meccanica; i plastificanti, rendono il materiale più flessibile; gli stabilizzanti proteggono dal degrado e i pigmenti conferiscono molteplici tinte. Nella narrazione dell’agenda Plast Design, pagina dopo pagina, mese dopo mese, cercheremo di conoscere questo mondo e delinearne lo scenario all’avvio del XXI secolo.

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Up-cycling Benedetta Burroni Daniele Fregona Gennaio PLASTICA Febbraio VETRO Marzo CARTA Aprile METALLO Maggio LEGNO Giugno CERAMICA Luglio PIETRA Agosto GOMMA Settembre STOFFA Ottobre ORGANICO Novembre MATERIALE ELETTRICO Dicembre MATERIALE DA COSTRUZIONE

COPERTINA E APERTURA

Il processo di conversione di materiali di scarto o prodotti inservibili in nuovi materiali o prodotti di migliore qualità, finalizzati ad ottenere un miglior valore ambientale, è detto Upcycling. Chiunque può prendere spunto dalle idee dei designers che si battono in questo campo, per reimpiegare la montagna di rifiuti che si producono ogni giorno nelle nostre case. Questo “riciclo creativo” oltre che salvaguardare il pianeta da rifiuti difficili da smaltire offre la possibilità di risparmiare denaro per l’acquisto di nuovi oggetti. Il neologismo Upcycle è da farsi risalire alla metà degli anni ’90. Nel 2002, grazie ai due testi “manifesto” di questo nuovo modo di creare oggetti – “Dalla culla alla culla” di William McDonough e “Rifare il nostro modo di fare le cose” di Michael Braungart – l’up-cycling è stato portato all’attenzione del pubblico e si è consolidato il suo uso nella cultura pop del tempo. McDonough e Braungart sono stati i due pionieri del riciclo creativo; essi affermano che l’obiettivo di questa tendenza è quello di prevenire lo spreco di materiali potenzialmente utili, facendo uso di quelli a nostra disposizione. Questo riduce il consumo di materie prime e propone una produzione alternativa a quella industriale. Ad ogni mese dell’agenda corrisponde un materiale che va ad assumere maggiore importanza rispetto all’uso tradizionale in quanto investe oggetti che hanno già svolto la loro funzione. La filosofia dell’up-cycling è infatti quella di dar nuova vita e recuperare materiali e prodotti. La ripartizione dei mesi è dunque concepita come una serie di possibili idee, proposte di noti designers che si sono applicati in questo ambito, che l’utente può cogliere e applicare settimana per settimana, replicando i suggerimenti con le proprie mani, innovando il modo di vedere le vecchie cose.

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Level Up - Game Design Gianluca Diceglie Jacopo Martinello Gennaio PACMAN Febbraio SUPER MARIO Marzo THE LEGEND OF ZELDA Aprile FINAL FANTASY Maggio RAYMAN Giugno POKEMON Luglio CRASH Agosto SPYRO Settembre APE ESCAPE Ottobre THE SIMS Novembre IL PROFESSOR LAYTON Dicembre JUST DANCE

COPERTINA E APERTURA

Dodici mesi per ripercorrere la storia dei videogiochi attraverso alcuni passaggi fondamentali. Ogni mese un videogioco che ha fatto la storia, ogni settimana la descrizione dei suoi personaggi. L’agenda contiene anche alcuni focus tematici di approfondimento. Il percorso di sviluppo dei videogiochi, per quanto prodotti di design della modernità, è molto lungo e complesso poiché strettamente legato alle scoperte tecnologiche e informatiche. Lo scopo dei videogame è sempre stato cercare di coinvolgere il più possibile l’utente all’interno di un’avventura simulata, eppur, prima dell’avvio del XXI secolo, ciò significava solamente poter controllare un personaggio presente in uno schermo tramite l’uso di un controller. Ciò ha sempre limitato la libertà di movimento e le azioni disponibili. Alcune innovazioni molto recenti hanno permesso al giocatore di controllare in modo sempre maggiore l’azione virtuale. Sony ha prodotto nel 2003 “Eye Toy” ovvero una videocamera a colori, compatibile per la consolle Play Station 2. Questa periferica è stata il primo strumento in grado di far interagire l’utente tramite movimenti del corpo e suoni (la videocamera è dotata di microfono). Nintendo invece nel 2004 lancia la consolle portatile Nintendo DS (acronimo di Dual Screen), la prima in grado di leggere i “comandi” del giocatore, eseguiti su una superficie sensibile al contatto. Dopo questi primi tentativi ben riusciti di ampliare gli orizzonti possibili per l’intrattenimento virtuale, grazie ad ulteriori scoperte tecnologiche, l’interazione diretta con la realtà simulata è diventata sempre più realistica e coinvolgente. Nel 2005 di nuovo la Nintendo ha messo in vendita la consolle Wii che permette di simulare i movimenti dell’utente e riprodurli con fedeltà maggiore, all’interno del videogioco. Soluzioni simili sono state adottate da Play Station 3, mentre Xbox ha puntato sulle periferiche video con “kinect”. Si sono raggiunti traguardi che alle origini, ovvero quarant’anni fa (con gli Arcade di Douglas nel 1952), erano impensabili e tutt’ora il mondo dei videogiochi ed il suo pubblico è in costante accrescimento.

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Teapot diary Pier Francesco Fabbri Valentina Rosi Gennaio TERRACOTTA Febbraio GHISA Marzo CERAMICA Aprile ORO E ARGENTO Maggio VETRO Giugno LEGNO Luglio ACCIAIO Agosto RAKU Settembre CARTA Ottobre INNOVAZIONI I Novembre INNOVAZIONI II Dicembre INFUSORI

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I testi presentati nelle pagine interne all’agenda TeaPot sono stati tratti da: Kazuko Okakura, Lo zen e la cerimonia del tè, Milano, Feltrinelli, 2006 (quarta ed.), pp. 99. [gennaio] “Da noi il tè, più che l’idealizzazione di una forma del bere è diventato una religione dell’arte del vivere. La bevanda è diventata un pretesto per praticare il culto della purezza e della raffinatezza, una sacra funzione durante la quale ospite e invitato si uniscono per vivere un momento di massima beatitudine terrena.” [aprile] “Un preparato di foglie ha una propria individualità, una particolare affinità con l’acqua e il calore, Oriente e Occidente, come due draghi scagliati in un mare agitato, lottano invano per riconquistare il gioiello della vita… Beviamo nel frattempo un sorso di tè. Abbandoniamoci al sogno dell’effimero, lasciandoci trasportare dalla meravigliosa insensatezza delle cose.”

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[maggio] “La filosofica rassegnazione dell’ospite al destino che l’attende nel decotto dall’esito incerto testimonia che in quest’unico caso lo spirito dell’Oriente regna sovrano.” [luglio] “Esiste un tè buono e uno cattivo, così come esistono dipinti belli e altri brutti – questi ultimi più frequenti. Non esiste ricetta per preparare il tè ideale, così come non ci sono regole che consentano di creare un Tiziano o un Sesson.” [settembre] “Nel linguaggio comune diciamo che un uomo è “senza tè” quando appare insensibile agli aspetti tragicomici del dramma individuale. Per contro l’esteta indomito che, incurante della tragedia terrena, si abbandona senza ritegno alla marea delle libere emozioni, lo stigmatizziamo dicendo che ha “troppo tè”.” [novembre] “Il teismo è l’arte di celare la bellezza così che la si possa scoprire, di accennare quello che non osiamo rivelare apertamente. È il nobile segreto di saper ridere di se stessi, pacatamente ma senza reticenze, ed è quindi lo humor stesso, il sorriso della filosofia.” 110

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Light designers Andrea Faccini Nicola Mantovani Gennaio ACHILLE CASTIGLIONI Febbraio INGO MAURER Marzo PHILIPPE STARCK Aprile POUL HENNINGSEN Maggio HOPF & WORTMANN Giugno ROSS LOVERGROVE Luglio ISAMU NOGUCHI Agosto KARIM RASHID Settembre PAOLO RIZZATTO Ottobre RON GILAD Novembre MARCEL WANDERS Dicembre GUGLIELMO BERCHICCI

COPERTINA

Ingo Maurer [febbraio] “Seduttore della luce” così si definisce il light designer tedesco il cui amore per l’illuminazione risale ai tempi in cui, da bambino, osservava i riflessi luminosi sui muri e sugli alberi. Nei primi anni ‘60 fonda a Monaco “Design M” dando il via ai primi progetti di lampade all’insegna dell’ironia e della provocazione. Di quegli anni è “Bulb”, semplice lampadina a incandescenza rinchiusa in una lampadina gigante di vetro soffiato e base cromata lucida. Cardini della sua opera sono la mobilità dell’oggetto e l’emozionalità del manufatto che diventano protagoniste dell’arredo d’interni. Poul Henningsen [aprile] Progettista danese, nel 1925 per l’Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes di Parigi, disegnò le lampade della serie “PH” estranee alla linea estetica ispirata al classicismo presente negli altri oggetti esposti nel padiglione danese. Con spirito di provocazione l’architetto tentò di riformare l’immagine della città moderna. Poul Henningsen, osservando dal tram gli interni delle abitazioni, osservò: “L’arredo, i tappeti, lo stile di una abitazione sono nulla a confronto con l’importanza del posizionamento della luce. L’illuminazione non costa molto, ma richiede cultura”.

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Guglielmo Berchicci [dicembre] Architetto, vive e lavora a Milano. Fin dall’avvio della sua attività ha rivolto attenzione al tema della luce. I primi lavori sono trasformazioni di materiali riciclabili in oggetti luminosi. “Glu” per Lumi del 1991, può annoverarsi tra i primi esempi di design “organico”, esposta poi alla mostra “La fabbrica estetica, la dernier generation du design italien” al Gran Palais di Parigi nel 1993, curata da Alessandro Mendini. I suoi lavori sono connotati a volte da una forte espressività formale vicina ad arte e design, a volte invece da una ricerca più sottile e concettuale legando il rapporto forma/funzione a riferimenti intellettuali alla storia passata e contemporanea.

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Wood Ideas Alessio Fidanzi Gianluca Gandolfi Gennaio EBANO Febbraio NOCE Marzo CEDRO Aprile CILIEGIO Maggio OLMO Giugno QUERCIA Luglio FRASSINO Agosto SALICE Settembre PINO Ottobre TIGLIO Novembre PIOPPO Dicembre BETULLA

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La terra, il cielo, l’aria, l’acqua, gli alberi e le foreste sono la nostra casa, il nostro rifugio, le nostre custodie. L’ambiente può favorire la riconciliazione con la vita e perciò la riscoperta della bellezza. Oltre alla funzione di ben accogliere e proteggere le persone e le cose, un’architettura ha anche la funzione di definire lo spazio dell’uomo. La riscoperta del materiale legno, nella sua fisicità materica, è già un passo verso questo spirito del progettare. Utilizzare con misura questo prezioso materiale, nel rispetto della sua natura, è un fatto di rispetto e poesia. Rispettare quindi la materia utilizzata, considerando le sue qualità specifiche, può essere un buon metodo per trovare un nuovo rapporto tra forma, struttura e funzione. La qualità delle strutture nasce dalla capacità di dare, con la loro presenza e il loro servizio, un senso alto allo spazio nel quale viviamo e ci riconosciamo. Il rispetto della materia è il rispetto del prossimo.

PAGINE INTERNE

Dall’albero al prodotto. L’agenda Wood Ideas dedica ogni mensilità ad un albero e la sua essenza lignea. Nelle pagine di apertura descrive le proprietà della pianta, del suo legname e delle sue foglie; lo colloca nella tradizione produttiva e sinteticamente descrive quali siano i migliori strumenti per la trasformazione e quali i migliori utilizzi. Ogni doppia pagina mostra il colore del legno e ne illustra l’albero di provenienza. Ogni settimana invece è dedicata ad un prodotto contemporaneo di design modellato con la stessa essenza lignea.

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Maschere Edoardo Fiorentini Chiara Luppi Gennaio IL MONDO GRECO ROMANO Febbraio IL CARNEVALE DI VENEZIA Marzo AFRICA: LA CULLA DELLA CIVILTÀ Aprile L'ORIENTE: CINA E COREA Maggio L'ESTREMO ORIENTE: IL GIAPPONE Giugno LE MASCHERE DELL'INDIA Luglio L'AMERICA DEL NORD Agosto L'AMERICA DEL SUD Settembre IL CENTRO AMERICA Ottobre MASCHERE RITUALI Novembre MASCHERE MODERNE Dicembre MASCHERE NELLA LETTERATURA

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Ogni mese un contesto differente per geografia, epoca storica, tradizioni e cultura. Immagini e descrizioni, pagina per pagina, focalizzano sul tema comune della maschera. La maschera è un mezzo ambiguo, dietro il quale da un lato si ama nascondere la propria identità per salvaguardarla, dall'altro è strumento per non vedere, per sfuggire alla stessa realtà proiettandosi in modo diverso rispetto al mondo esterno. Contenuti esemplificativi della prima mensilità dedicata alle maschere veneziane della tradizione. A Venezia la Bauta, la Moreta, la Gnaga e il Medico [gennaio] La Bauta è la maschera più tipica della Venezia del Settecento, sintesi dell'idea di maschera italiana. La Bauta permetteva, grazie alla particolare forma, di alterare la voce accentuando l'irriconoscibilità e allo stesso tempo consentiva di bere e mangiare. La maschera ideale per intrattenersi alle feste del Carnevale.

PAGINE INTERNE

La Moreta è ovale in velluto nero e veniva usata dalle donne. La sua invenzione ebbe origine in Francia, dove le dame erano solite usarla per andare in visita alle monache, ma si diffuse rapidamente a Venezia, poiché abbelliva particolarmente i lineamenti femminili completa di veli, velette e cappellini a larghe falde. La Gnaga era una forma di travestimento molto semplice: vestirsi da donna, imitandone anche il tono della voce e gli atteggiamenti. L'uso di rudimentali protezioni del viso da parte dei medici durante le epidemie, è attestato sin dal XIV secolo. In particolare erano maschere dalla forma allungata come una sorta di respiratore, con due aperture per gli occhi coperte da lenti di vetro e un grande becco ricurvo all'interno del quale erano contenute diverse sostanze profumate.

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NaturElements Elena Luigia Fusto Anna Mastellari Gennaio EARTH Febbraio AIR Marzo WATER Aprile FIRE Maggio EARTH Giugno AIR Luglio WATER Agosto FIRE Settembre EARTH Ottobre AIR Novembre WATER Dicembre FIRE

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La terra è la sorgente ultima di qualsiasi alimento dell’uomo. John Dewey Sono aria i sospiri E se ne vanno nell’aria. Gustavo Adolfo Becquer Non potrai mai apprezzare il beneficio dell’acqua se non hai mai sofferto la sete. Sergio Ferrara Il fuoco è l’anima di ogni luce, e nella luce si avvolge il fuoco. György Lukàcs Il percorso che presentiamo all’interno dell’agenda Naturelements è una riflessione volta a indagare come il design contemporaneo abbia ancora oggi un forte legame e rapporto con i quattro elementi naturali: terra, aria, acqua e fuoco. Gli elementi, nell’ordine sopra citato, si ripresentano per tre volte così da coprire l’intera durata dei dodici mesi annuali. Naturelements racchiude al suo interno l’intimo legame che da sempre intercorre tra la natura ed il design. L’uomo è Natura, da essa è stato creato ed in essa vive, allo stesso modo le sue idee, i suoi progetti e qualsiasi elaborato è in relazione con il mondo naturale in maniera più o meno evidente. “Ogni cosa che puoi immaginare, la natura l’ha già creata”, disse Albert Einstein. Sta a noi cercare e riscoprire questo punto di unione che da sempre esiste in maniera inscindibile. Naturelements accompagna in un viaggio lungo un anno tra moderni artefatti di design che sottolineano il rapporto ricorrente con i quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco. Come in un continuo ciclo, con un ritmo di quattro mesi in quattro mesi, ritroviamo gli elementi e scopriamo nuovi artefatti di design che si interfacciano con la loro energia originaria.

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Design Story Marco Salomoni Gennaio ART NOVEAU Febbraio BAUHAUS Marzo STREAMLINE Aprile RAZIONALISMO Maggio SURREALISMO Giugno ITALIAN STYLE Luglio LA SCUOLA DI ULM Agosto POST MODERNISMO Settembre HIGH-TECH Ottobre MINIMALISMO Novembre ECO DESIGN Dicembre FUTURE DESIGN

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Art Noveau, il principio [gennaio] L’Art Nouveau può definirsi uno stile artistico ma anche una filosofia del progetto e si espanse, unilateralmente negli stati europei, in molti settori realizzativi. Formatasi nel periodo rigoglioso della Belle Epoque, il suo inizio venne dichiarato con l’Esposizione Universale, svoltasi a Parigi nel 1900. Forme floreali e vegetali, linee curve e stampe completamente piatte, furono i tratti caratterizzanti di questo eccezionale stile. Italian Style, il bel design [giugno] L’Italia, uscita dal periodo di crisi post guerra, si risollevò facendo partire una specifica e unica forma di economia. Iniziò a produrre mezzi di trasporto – la Vespa Piaggio ne è un esempio lampante –, ma anche elettrodomestici e oggetti d’uso quotidiano. Arrivò inoltre l’innovazione della televisione ed iniziarono quindi ad emergere aziende come Olivetti che offrivano alle case degli italiani oggetti esteticamente ricercati, funzionali e innovativi.

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Minimalismo, una linea [ottobre] Nato negli anni ‘60 in ambito architettonico, il Minimalismo ha echeggiato nel tempo fino ad influenzare il design di fine XX ed inizio XXI secolo. Riconoscibile per le sue forme essenziali, “minimali”, la tendenza è quella di annullare qualsiasi tipo di decorazione, riducendo qualsiasi oggetto e forma alla sua origine. Uno stile solenne, quasi austero, valorizzato in particolare in “open space” ove comunque, all’interno, può rivelare forme eleganti e morbide. Eco design, green world [novembre] “Green” è la parola d’ordine del nuovo Millennio. Lo sforzo è diretto ad essere meno pressanti verso la Natura che ci ospita cercando di inquinare il meno possibile. Per alcuni Eco è una moda, ma per altri è un vero e proprio stile di vita. L’Eco Design, come si intuisce dal nome, è volto alla creazione di oggetti prevalentemente riciclati, o che comunque non inquinano, in modo da continuare la catena naturale da cui l’essere umano si è distaccati.

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Concept Design Francesco Visentin Giacomo Zanetti Gennaio AMPHIBIUOS VEHICLES Febbraio CONCEPT CARS Marzo CONCEPT MOTORCYCLES Aprile CONCEPT BUS Maggio CONCEPT TRAIN Giugno CONCEPT CYCLE Luglio CONCEPT HELICOPTER Agosto CONCEPT PLANE Settembre JETPACK Ottobre CONCEPT YACHT Novembre CONCEPT SKY JET Dicembre WHEELCHAIR

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Future Cars Now. Ruote, turbo, elettricità, idrogeno, nucleare, ali, cabina di pilotaggio, rotazione 360°, sistema di evasione incidenti, comunicazione intelligente con segnali stradali. [gennaio] Mercedes Biome. Quest’auto che porta la firma di Hubert Lee, ha un telaio costituito da un composto organico che si suppone sia più forte dell’acciaio. [febbraio] Honda V4. La moto ha motore V4 e ruote senza perno fissate in modo da ridurre al minimo l’attrito. È stata esposta all’Intermot Bike Show, Berlino, 2008. [marzo] Double Decker Bus. Prodotto da Wrightbus mantiene il fascino dell’autobus londinese; dispone di una piattaforma aperta nella parte posteriore come nella tradizionale hop-onhop-off. [aprile] Il treno EOL maglev, firmato Vanja Valencak, grazie alla linea aerodinamica e alla tecnologia a levitazione magnetica può raggiungere l’incredibile velocità di 480 km/h. [maggio]

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Hubless Bicycle. Il progetto di John Villarreal dimostra il progresso cui si è giunti nella tecnologia dei materiali: ruote senza perno e telaio leggerissimo. [giugno] Hovercopter è un elicottero hovercraft progettato con un’interfaccia d’integrazione tra uomo e macchina: il pilota è collegato al mainframe di navigazione tramite un casco high tech. [luglio] Concept Plane. Prototipo per i voli del 2050: pareti autopulenti, trasparenti, in grado di controllare la temperatura interna. Tecnologie alimentate da energia pulita, derivante dal calore corporeo dei passeggeri. [agosto] Martin Jetpack, progetto di Glenn Martin, è alimentato da benzina, ha un’autonomia di 30 minuti ed è equipaggiato con un paracadute balistico d’emergenza. [settembre] Lo yacht Adastra, disegnato da John Shuttle, ha lo scafo è in vetro/kevlar a sandwich e il sistema di ancoraggio composto da tre ancore azionate da argani in fibra di carbonio. [ottobre] Exo concept ski jet è un veicolo elettrico e quindi silenzioso e rispettoso dell’ambiente. [novembre] Concept Wheelchair. Progettata da Caspar Schmitz la sedia a rotelle è realizzata interamente in poliuretano, le ruote sono in grado di assumere una forma ellissoidale in modo da consentire la salita e discesa dalle scale. [dicembre]

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Geometric Aurora Iacono Riccardo Mengoli Gennaio L'ARANCIA Febbraio IL BROCCOLO ROMANESCO Marzo IL CARCIOFO Aprile LA CIPOLLA Maggio IL KIWI Giugno LA FRAGOLA Luglio IL MELONE Agosto L'ANGURIA Settembre LA MELAGRANA Ottobre LA NOCE Novembre IL CAVOLO ROSSO Dicembre IL LIMONE

APERTURA

Vi è mai capitato di tagliare un cavolo rosso e rimanere affascinati dai disegni che la sezione lascia vedere? O di rimanere ipnotizzati dalle miriadi di roselline che, seguendo diverse spirali, formano il broccolo romanesco? Ecco, l’Agenda Geometric vuole portare l’attenzione su queste piccole, fantastiche cose, anche per le persone che, normalmente, non si commuoverebbero nel tagliare un’arancia scoprendo che al suo interno è composta da tanti triangoli affiancati perfettamente tra loro. Geometric non mostra la tipica accezione del design, quindi. L’ottica che caratterizza l’agenda è quella di porre a confronto due “falsi” opposti, geometria e natura, in particolare per i prodotti offerti spontaneamente dalla terra, i vegetali. Essi posseggono intrinsicamente geometrie e disegni diversificati nelle forme, nei colori e nella struttura. Spesso questi creano dei giochi modulari perfetti che l’uomo ha studiato per capirne il significato matematico e cui può ispirarsi nel progetto. Un terzo elemento la caratterizza: il colore. Ogni frutto o verdura sono caratterizzati da una specifica cromia, accesa e sgargiante, che viene valorizzata lasciandolo spiccare sullo sfondo bianco delle pagine. Per ogni mese è stato scelto un prodotto “di stagione”; le aperture mensili si sviluppano ricongiungendo sulla piegatura delle pagine, a sinistra la metà intatta, non ancora tagliata, e a destra l’altra metà, sezionata, quella che realmente ne svela la complessità dei disegni interni. Due metà ricomposte di un unico elemento, bello, naturale e complesso. Al suo interno, nelle pagine settimanali, si trovano brevi informazioni sull’etimo, le sue origini, le caratteristiche e altre curiosità, sul frutto o ortaggio protagonista del mese.

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Wabi-Sabi Francesco Babbi

Gennaio WABI-SABI AL PRESENTE Febbraio COM’È FATTO L’UNIVERSO Marzo LA CERIMONIA DEL TÈ Aprile VISIONE DELL’IMPERFETTO Maggio WABI-SABI COME ENTITÀ DISTINTE Giugno LE ORIGINI Luglio LA NATURA Agosto IL DETTAGLIO Settembre IDEE WABI-SABI Ottobre IDEE WABI-SABI Novembre LA POESIA Dicembre L’INESORABILE L’agenda è dedicata a un particolare concetto della cultura nipponica, il “wabi-sabi”, una forma di conoscenza non troppo diffusa che racchiude moltissimi degli aspetti della tradizione e cultura giapponese. Si pensa che l’origine risalga agli antichi monaci taoisti e alla cerimonia del tè, durante la quale venivano usati strumenti poveri e poco lavorati, spesso realizzati con legno e materie grezze proprio per non dare importanza all’aspetto estetico e formale dell’oggetto stesso. La difficoltà principale nel parlare di “wabi-sabi” consiste nell’impossibilità di darne una definizione precisa. Può essere compreso solo attraverso emozioni e stati d’animo scaturiti dalla visione di oggetti che suscitino sensazioni di serena malinconia e ardore spirituale. Gli oggetti “wabi-sabi” esprimono il tempo che si è fermato, sono fatti di materiali vulnerabili agli agenti atmosferici e alla manipolazione umana, appaiono incompleti e portano caratteristiche difficili da produrre in serie. Sono oggetti piccoli e compatti, sobri e raccolti (come la stanza del tè), che possono essere apprezzati soltanto durante il contatto diretto e l’utilizzo. La semplicità è una qualità essenziale e nelle sua forma più estrema va a identificarsi con il “nulla”, che secondo la tradizione giapponese non è visto come vuoto ma in quanto gravido di possibilità, punto di fine e di inizio. Il concetto di “wabi-sabi”, considerato un sistema estetico completo poiché la visione del mondo che propone affronta in maniera coerente questioni come la natura ultima dell’esistenza, ha ispirato questo progetto utile per suggerire un punto di vista diverso, antico e nuovo insieme, per uscire dagli schemi Occidentali.

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enGLIsh TEXTS

coMMunIcatIonaL artefacts university self-publishing Alfonso Acocella h p. 8 THE NEW CHALLENGES FOR STATE UNIVERSITIES The nineteenth-century university model in the German mould – which for a century and a half combined research and teaching in the name and the interests of national states, with the task of training the élite – has been overtaken in the last fifty years by organizational factors which are diverse but collectively erosive, among which the following may be identified: – the spread of mass university education; – the increase in numbers of higher education facilities; – the dominance of supranational economic and cultural spaces over national country states – the global growth of the Internet, which has brought new developments in many economic sectors as well as in the production and transmission of knowledge. This challenge facing the University sector demands a rethinking of its own role and a greater awareness of its inherent potential, an abandonment of its inertia and resistance to change, and a re-evaluation of its available resources in terms of space, time and intellectual capacities. This change is supported by the adoption and enhanced use of digital technologies both as tools for recording knowledge and as networks of liaison and communication; digital technologies (in the form of software, web platforms, memory archives, printers, prototypers...) which are increasingly powerful, economical and pervasive, and within the investment capabilities of every academic institute. Universities today are potentially capable of promoting their educational activities autonomously, disseminating the results of their research via various formats and communication channels (self-publishing, websites, TV, self-owned radio) whose objective is to inform

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and publicise ideas, projects, services and products. The university sector can draw huge benefit from this evolution in the ecosystem of knowledge, ideas and information by abandoning the approach of “selling off” research results to private sector publishers, and opting for self-publishing for the production, management, promotion and distribution of intellectual property, in both traditional paper formats and digital channels, where costs to be met are incomparably lower. This unprecedented landscape of renewal and fresh thinking by the universities is the background for the research activities of Laboratory Material Design (Lab MD) in the Department of Architecture at the University of Ferrara. Lab MD accepted the challenge several years ago, scrutinising the evolution of university innovation via a collaborative network, focusing on the strategic combination of sourcing finance, scientific research and cultural projects in collaboration with the public sector and industry. The challenge rests on the ambitious objective of stimulating processes which include institutional fund raising, management of communication networks, self-production and the promotion of cultural artefacts. MICROPRESS. A SELF-PUBLISHING PROJECT BY LAB MD Within the panorama of materials, Micropress identifies a group of small “nomadic” paper artefacts – diaries, notebooks, small volumes – whose purpose is to organise and make sense of time, to set down accounts of meetings, to gather the reflections and imaginings of individuals, to communicate the profiles or short stories of people involved from time to time in Lab MD's research and collaboration activities. Micropress artefacts are developed in Lab MD's creative workshop, which gives the opportunity for experimentation in the design of products for self-publishing. MICROPRESS DIARY The first format designed (and produced) in the Micropress family of publishing products is the

agenda, or appointment diary. This is a particular kind of diary, extremely versatile and “double-faced”. On the left-hand page, the traditional diary layout is maintained, as a space for memoranda (with the days, weeks and months of the year laid out sequentially, so as to note appointments, places, things to do), while the right-hand page is left blank for personal notes, annotations, comments or drawings. Moreover, the Micropress concept of the diary suggests, in this decisive development of the paper product, an informative or narrative theme such as short stories. MICROPRESS NOTEBOOK A second Micropress product is the Carnet format, in the form of an elegant yet handy pocket-size notebook, for recording notes and sketches and capturing – indelibly – facts, ideas and views before they vanish in the ever-changing flow of the mind. Micropress notebooks are more than just notebooks; like the diaries they are “double-faced” products. As well as space to make notes, draw and set down views and ideas, they also introduce institutions, associations and companies with micro presentations or narrations. MICROPRESS BOOKS AND DIGITAL FORMATS The printed book can be seen as the “cultural monument” of modern society; a tool for the raising up of contemporary civilization with its informative (and formative) content, gradually reaching out to ever-increasing segments of society and individuals. Books are loved for the ideas they express, but also for their intrinsic value as concrete objects and the function they serve. Hence the idea of a cross-media publishing house which aims to inflect synergically – rather than antagonistically – the printed book with the new digital formats. Micropress' decision to focus on the production of a series of digital communications products – parallel and symmetrical to the paper products – is linked to a determination to move into unconventional narrative formats and the electronic reading devices available in our digital age.

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seLf-ProDuceD PaGes the other face of publishing veronica Dal Buono h p. 30

Publishing a book is a mechanism involving procedures which may be ambiguous. In general terms, a “book” is considered to be the outcome of choices made by a publishing house; an artefact made of paper and bound in cardboard, presented in a particular graphic style consistent with the publisher's house style, launched with a fixed print run and price, and subsequently backed by a press and publicity department with reviews and sales figures. Thus the concept of “book” has been consolidated over several centuries, from the advent of lead printing right up to the “electronic” format. Nevertheless, in every culture there is a counter melody, a secondary storyline which runs in parallel to (or underneath) the main current and at times in opposition to accepted styles and conventional definitions. The present investigation aims to examine a recently arisen phenomenon in the landscape of Italian editorial design, which has marked international parallels and echoes historical phenomena. More specifically it looks at the question of “creative self-production” of artefacts in the form of books, produced by authors independently of large-scale publishing. The self-publishing movement finds its expression and activity at conventions, happenings, festivals, workshops... wherever these “products” can find exposure. Collective exhibitions, accompanying talks by experts, creative workshops, in short, the “art direction” work which coordinates all these collective events, are identifying features of the phenomenon, which is otherwise difficult to classify and ambiguous in its terminology. The theme which conceptually – and in part stylistically – may be a return to the “exo-publishing” and groundbreaking methods of the twentieth century, can be identified today by expressions such as “micro-publishing”, “independent publishing”, “self-managed publishing”, “creative”, “self-produced”, “research”. In English, as in Italian, definitions are numerous and varied. The central issues examined by this research may be summarized as follows. Self-produced publishing is the “counter melody”, the secondary storyline, which asserts self-determination in the context of current tendencies in writing. 130

The specific field under focus is that of micro self-produced publications undertaken in the language of graphic design, illustration, photography, visual arts and design in general, with paper materials as the chosen medium. Micro self-publication of this kind emerges from experimental creative projects or as autonomous offshoots of specialized educational institutes. Traditional forms of writing and reading, and the concrete nature of the physical media, are not under discussion, and the concept of the “book” maintains its true primary meaning of a material artefact, catalyst for research and content. Contemporary self-publishing uses the digital world of the internet as a tool for education and collectivization, while still focusing on the concrete physical product of the book for the pleasure of the multi-sensory interaction with the object. In self-publishing, the individuals involved in the process – designer, author, editor, publicist – overlap and the distinctions between roles are lost. Methods of artistic production, of graphic and iconographic expression, are actualized through experimentation, through the reconstruction of obsolete manual techniques; close attention is paid to the paper materials, rare or otherwise, which are the integral medium for design. The finished artefact contains an inextricable relationship between text and illustration which, very often in fiction, become an inseparable whole. Moreover, it is evident that the mainstream publishing sector observes these phenomena at a distance, choosing when to subsume and absorb innovative features which can be used to access new markets. In this way certain visual-representational codes are divulged to the general public, which learns to digest them and change them back into language comprehensible to the majority. But the publishing sector is independently self-generating. Indeed it may be stated that the underlying motive behind the phenomenon of “making one’s own book” without bias or external influence, is in any case always “pleasure”, the gratifying fulfilment to be found in preparing one’s own personal content and laying it out on paper, giving a value to originality and individuality.


THE DESIGNER AGENDA

Instructions for an educational project a cura di veronica Dal Buono h p. 52

What is an “agenda”? An agenda is a plan of activities to be carried out, tasks and deadlines, the order of business for one’s appointments. The term, also used in English, preserves and fixes the Latin meaning of “things to be done”. Today we still imagine an agenda, or diary, to be a concrete object: an artefact made of paper, with pages bound and ordered chronologically, which accompanies its owner in the sequential events of his or her life. And yet, in an age where everything is recorded and communicated digitally on personal devices, the concept of a traditional paper and card diary may seem eccentric and anachronistic. It is precisely this process of rediscovery and appreciation of the paper format which Lab MD addresses in 2013 with the decision to commit to a “micro” self-publishing project and subsequently develop it with the students of the “Laboratory of methodologies for project definition” within the degree course in industrial product design in the Department of Architecture at the University of Ferrara, led by Alfonso Acocella and the author of this paper. The 2013 Agenda project started with the choice of format. A “pocket-size” format was chosen, slightly larger than the typical notebook, ideal to be held in the palm of the hand for writing or erasing notes. The pre-selected layout is the “weekly” style, with 52 consecutive double pages (for the weeks of the year); the days are shown on the left-hand page, while the right-hand page remains blank for writing, notes and sketches. From this starting point the students were asked to develop their research on the design, concluding with the production of various prototypes of the “Designer agenda”. This intersection between the abstract of products in the mind, concepts of time, memory and writing, and the concrete nature of objects pertinent to the field of Paper Design is the focus of the 2013 project of designing an agenda and its correlated products (packaging for distribution, promotional literature and counter-top display for sales points), which were at the centre of theoretical, planning and productive educational activities . 131


carDBoarD DIsPLaYs sustainable metaphors for display and communication Davide turrini h p. 40

For some years cardboard has been used in the outfitting of temporary or permanent displays for exhibitions, installations, cultural events, trade fairs, receptions and commercial spaces. In this context, cellulose-based material is valued for its lightness, ease of transport, storage, handling and re-use; for its low cost and natural aesthetics. Al these reasons mean that cardboard can be considered a true manifestation of a “sustainable metaphor" with which to display products and communicate concepts. A clear forerunner in cardboard installation was leading Italian designer Enzo Mari, who during the 1960s and 70s designed many and varied display systems for the stores and exhibitions of the Danese brand. All these installations consist of basic geometric modules which are assembled to form complex shapes for organizing space and displaying products; the base elements are made of canetté cardboard; designs follow linear, straight or curved patterns; metal staples are commonly used for joining elements. The designer's first installation was in 1964; this was a honeycomb structure with box-like cardboard cells. Between 1965 and 1969 he developed a more complex and versatile system, based on U-shaped contours which formed trapezoidal forms. In 1966 Mari designed a piece made of square-based tubular cardboard elements of different heights; in 1973 he made the distinctive "chair" modules which furnish the Danese show at the Lausanne Musée des Arts Décoratifs. In all his works Enzo Mari was dealing with an inherent set of problems, and devising solutions like the counter-top surface, cellular shelving, the prism-pedestal and the stand-lectern, which today are still the basic landmark elements in cardboard display techniques. Among Italy’s most important contemporary practitioners of cardboard exhibition design are A4A Design and Salamanca Design & Co. A4A has always recognised the aesthetic nature of cellulose-based materials, and showcases them in installations full of colours and shapes, fruit of a fertile creative process

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which expresses itself in numerous variations, extensions and customizations. These designers favour honeycomb cardboard for their projects, with its material soul visibly evident and used in every possible thickness: from a minimum of a few centimetres, used to create three-dimensional elements which slot together at various angles; to a maximum in the order of tens of centimetres, used for full and layered shapes. The cardboard projects of A4A Design thus range from complex installations with remarkable combinations of spatial configurations, to simpler defining elements of shared spaces such as furniture, abstract sculpture or figurative models depicting living or inanimate beings. The most elaborate installations demonstrate fully the structural and expressive potential and the sustainable properties of cardboard in terms of decreased time and costs of execution; A4A Design examines these themes with considerable eclecticism of form and approach, showing that aesthetic cardboard display, and its associated “sustainable metaphor�, finds its true expression through an ongoing concept of flexibility and versatility, rather than in the search for a pre-established repertoire of one-size-fits-all solutions. Salamanca Design & Co. handles integrated projects, in which exhibition display made of cardboard, chosen for its material properties and associated communicative individuality, becomes a fundamental element in an elaborate strategic and systemic programme. The designers function as the central hub of a network of carefully selected partners and interlocutors to create multi-sector referential platforms for public and private sector clients, professionals and companies, with the aim of promoting the culture and practice of environmental and social sustainability in various thematic manifestations. Particularly relevant in this sense are the Sana Kids projects (Sana, Bologna, 2008-12), aimed at promoting awareness of environmental issues from childhood onward, through specific applications of eco design in food and

educational play. Sana Kids develops from a careful analysis of conceptual values linked to children's everyday lives; relevant aspects such as food and school dinners, hygiene products and energy become the subject of concepts and proposals presented in display cabinets installed using a minimum-kilometre logistics system. These spaces are occupied by communicative elements, cardboard partitions and display surfaces; wooden accessories made from low-impact plantations; essential plant oils; low-energy lights. A further example of Salamanca Design & Co.'s work is the Welcome Green installation (Expo Riva Hotel, Riva del Garda, 2013), which addresses the topic of sustainable practices and products for contractors. In all cases, the final outcome of the installation uses cardboard, mostly honeycomb, to create display and communications products - two- or three-dimensional, folded or slotted together, in a strikingly stylised language; displays which mostly employ the natural palette of cellulose-based materials, with the addition of white and green tones. A choice of maximum chromatic simplicity and a formal leanness, absolutely appropriate in the context of meaningful systemic projects seeking to transmit a message of commitment and to activate renewed awareness.

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Questo volume è stato stampato per conto di Laboratorio MD Material Design presso la Tipografia Vanzi di Colle Val d'Elsa (SI) nell'anno 2013.


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