Davide Turrini
Laureato in Architettura, ha ottenuto la specializzazione in Storia, Analisi e Valutazione dei Beni Architettonici e Ambientali. Dottore di ricerca in Tecnologia dell’Architettura, attualmente è Assegnista al Dipartimento di Architettura di Ferrara. La sua attività di ricerca riguarda i temi dell’innovazione tecnologica di processo e di prodotto nei settori dei laterizi e dei lapidei da costruzione. Si occupa in particolare del rapporto tra materiali, tecniche di lavorazione e architettura, approdando anche allo studio del design litico contemporaneo con un’attenzione specifica al legame tra prodotto e contesto sociale, culturale e spaziale di riferimento. È curatore di volumi e autore di saggi riguardanti i temi di ricerca. Davide Turrini received the Degree in Architecture and also completed a specialization in History, Analysis and Evaluation of Architectonic and Environmental Heritage. With a PhD in the Technology of Architecture, he is currently a Research Fellow at Ferrara University’s Department of Architecture. His research activity focuses on the technological innovation of processes and products in the sector of building stones and bricks. In particular, he is interested in relationships between materials, working techniques and architecture, as well as the study of contemporary stone design, focusing on the link between a product and its reference social, cultural and spatial context. He is the editor of volumes and author of essays concerning his area of research.
ISBN 978-88-96067-48-2
9 788896 067482
euro 18,00
ALBERTO CAMPO BAEZA Pietra, Luce, Tempo
Davide Turrini (Argenta, 1973)
Alberto Campo Baeza Pietra, Luce, Tempo
Già utilizzato da Alberto Campo Baeza come titolo di una sua raccolta di saggi, La Idea Construída è il nome dello spazio espositivo Pibamarmi, concepito dall’architetto spagnolo per l’edizione Marmomacc 2009. In realtà il legame tra pensiero, parola e azione di architettura sintetizzato in questo titolo, è per Campo Baeza oggetto di elaborazione teorica da molti anni, sin dalle sue prime esperienze didattiche nel 1986 come professore di progettazione alla Escuela de Arquitectura di Madrid. La Idea Construída diviene allora una firma assertiva di un metodo che si ripete di riflessione in riflessione, di opera in opera, basandosi sulla enunciazione di un concetto relativo alla forma o alla luce, e sulla conseguente “costruzione di un’idea” per dar vita ad una struttura e ad uno spazio. Ad ogni passo della sua carriera il progettista enuclea, analizza e dichiara con un motto le visioni e i modelli, spesso archetipici, che stanno alla base del suo agire: luce e gravità, hortus conclusus, guardando il mare, impluvium di luce. Così anche il nuovo padiglione prende corpo a partire da due ispirazioni concettuali/temi progettuali fondanti: la composizione di un antiquarium archeologico e la valorizzazione della relazione pietra/luce attraverso un apporto luminoso dinamico e mutevole (“eppur si muove” per Campo Baeza). L’allestimento presenta all’esterno i pezzi di design litico delle collezioni Pibamarmi disposti in una galleria a muro, come reperti di una collezione di antichità accostati a calchi storici di sculture classiche ed ellenistiche prestati per l’occasione dall’Accademia di Belle Arti di Firenze. L’interno della struttura si offre invece ai visitatori come uno spazio vuoto, per la sosta e la meditazione, immerso nella penombra e segnato dal passaggio lento di fasci luminosi sulla superficie naturale del marmo di Carrara. La Idea Construída has already been used as the title of a Alberto Campo Baeza essays’ collection and is now the name of Pibamarmi’s exhibition space conceived by the Spanish architect for the 2009 edition of Marmomacc exhibition in Verona. The link between mind, language and action concentrated in this title has actually been Campo Baeza’s main object of theoretical elaboration for several years, since his first didactical experiences in 1986 as projecting professor at Madrid Escuela de Arquitectura. So La Idea Construída becomes the expressive sign of a method repeating in elaboration after elaboration, work after work, and based on the assertion of a concept related to shape and light, and on the consequent “construction of an idea” in order to give life to a structure and a place. Each step in his career as a projecting designer shows, analyses and declares, like in a motto, the visions and models, often archetypical, that are the bases of his activity: light and gravity, hortus conclusus, contemplation of the sea, impluvium of light. In this context as well, Pibamarmi new pavilion took shape starting from two fundamental conceptual inspirations/projecting themes: the valorisation of the relationship between stone and light through a dynamic and changeable luminous approach (“eppur si muove - yet it moves”, according to Campo Baeza) and the composition of an archaeological antiquarium. The interior space of the structure appeared to the visitors as a void space for stopping-by and meditating, completely dominated by penumbra and signed by the slow passage of luminous rays on the natural surface of the Carrara marble. The setting showed in its outside the design elements by Pibamarmi, disposed as in a wall gallery, like finds of an antiquity collection, and accompanied by historical reproductions of classic sculptures lent for the occasion by Florence Accademia delle Belle Arti.
L I T H O S Collana diretta da Alfonso Acocella
Davide Turrini
Alberto Campo Baeza Pietra, Luce, Tempo
Davide Turrini
ALBERTO CAMPO BAEZA Pietra, Luce, Tempo
Coordinamento Editoriale Editorial Coordination Antonio Carbone Progetto Grafico Graphic Design Maria Teresa Quinto Stampa Printing Centro Grafico Srl Foggia / Italia Traduzioni Translations Paolo Armelli Crediti fotografici Photo credits © Giovanni De Sandre per le fotografie de La Idea Construída e per i ritratti di Alberto Campo Baeza © Roland Halbe (pp. 10, 19 a destra, 20, 63) © Javier Callejas (pp. 12, 13, 77) © Hisao Suzuki (pp. 15, 19 a sinistra, 68) © Francisco Rojo (p. 75) Si ringrazia l’Accademia di Belle Arti di Firenze per il prestito dei calchi storici Prima Edizione Settembre 2010 First Edition September 2010 Casa Editrice Libria Melfi / Italia ed.libria@gmail.com www.librianet.it ISBN 9788896067482
Collana promossa da Production from Il Casone SpA Via Imolese 98 50033 Firenzuola Firenze / Italia www.ilcasone.it Tutti i diritti di riproduzione, anche parziale del testo e delle immagini, sono riservati.
Sommario_Contents
Idee costruite in pietra
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Piani orizzontali Solidi stereotomici Superfici tettoniche
Pietra, luce, tempo ne La Idea ConstruĂda
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GravitĂ e spazio, luce e tempo Un antiquarium per il design contemporaneo
Tre conversazioni con Alberto Campo Baeza
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Un involucro di pietra, traforato e mutevole. Verona, 1 ottobre 2005 Travertino, pietra luminosa ed eterna. Lucca, 15 gennaio 2007 Un antiquarium e un allestimento in marmo di Carrara. Verona, 30 settembre 2009
Idee in costruzione Antonio Pizza Bibliografia
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Stone-built ideas
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Horizontal surfaces Stereotomic solids Tectonic surfaces
Stone, light, time in La Idea Construida
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Gravity and Space, Light and Time An antiquarium for the contemporary design
Three conversations with Alberto Campo Baeza
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A drilled and movable stone wrapping. Verona, 1st October 2005 Travertine, luminous and eternal stone. Lucca, 15th January 2007 An antiquarium and a setting in Carrara marble. Verona, 30th September 2009
Building ideas Antonio Pizza Bibliography
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«Il futuro dell’architettura sta nelle idee. Negli architetti che pensano. In quelli che hanno idee e che sono capaci di costruirle. Dedicandovi il tempo necessario». Alberto Campo Baeza, “Il futuro dell’architettura è nel pensiero”, Domus n. 776, 1995, p. 79, (I ed. 1993).
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Casa Guerrero, Cadice, 2005
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Idee costruite in pietra
Piani orizzontali Per Alberto Campo Baeza l’architettura «è idea costruita. La storia dell’architettura, lungi dall’essere solo una storia di forme, è in fondo una storia delle idee costruite. Le forme si distruggono col tempo; le idee invece permangono e sono eterne»1. Solo la pietra poi, è destinata a resistere al tempo e diviene una scelta ineluttabile declinata con continuità nella realizzazione di masse steretomiche e superfici tettoniche, nella materializzazione insomma di quelle “idee costruite” che Baeza progetta come valori assoluti ed eterni. Ancora prima di dare corpo ai concetti di gravità o leggerezza, in solidi pieni o volumi scatolari, la materia litica rappresenta per l’architetto il mezzo con cui definire i limiti e le coordinate del contesto entro cui si esplica l’atto creativo: spesso infatti egli realizza con la pietra il livello di appoggio della composizione architettonica, o fisicizza addirittura la linea di terra del quadro prospettico di una vista studiata e calibrata, che viene selezionata nel paesaggio per essere collocata al centro della costruzione. Il piano orizzontale dell’architettura di Baeza è quindi di pietra. Ciò accade con grande frequenza negli interni, dove stesure pavimentali litiche lisce e omogenee costituiscono la superficie di appoggio e radicamento per candide pareti inondate di luce; la Scuola Drago a Cadice (1992), le case Gaspar (1992), De Blas (2000), Asencio Pascual (2001), Olnick Spanu (2003) e Guerrero (2005) testimoniano tale consuetudine progettuale. All’esterno, nella definizione di spazi pubblici per la città storica e contemporanea, le proprietà delimitanti e ordinatrici dei piani orizzontali in pietra raggiungono poi la massima intensità e possono vivere autonomamente come “architetture senza architettura”, che prescindono dall’elevazione di costruzioni tridimensionali: emblematiche in proposito sono la piazza del Duomo di Almeria (1978-2000) e la piazza Entre Catedrales a Cadice (2000-2009). Nel primo caso un’ampia stesura di tessere cubiche di marmo Macael, un litotipo spagnolo dal tenue colore grigio-biancastro, compone un neutro piano di appoggio per una rinnovata percezione della facciata rinascimentale del Duomo; ventiquattro palme punteggiano infine la pavimentazione a dettare i nuovi ritmi e le direzionalità dello spazio aperto. A Cadice invece lo stesso selciato in marmo a maglia quadrata è impiegato per realizzare un podio incastonato tra due antichi edifici di culto; il piano sopraelevato, accessibile attraverso una lunga rampa laterale, protegge alcuni scavi archeologici e allo stesso tempo si configura come un belvedere rivolto verso il mare che lambisce la città. 1 Alberto Campo Baeza, La idea construída (1996), cit. in Antonio Pizza, “La ricerca di un’architettura astratta. Alberto Campo Baeza” p. 12, in Alberto Campo Baeza. Progetti e costruzioni, Milano, Electa, 2000, pp. 173.
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Piazza Entre Catedrales, Cadice, 2000-2009
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Solidi stereotomici Dopo essersi stratificata sul piano orizzontale, la materia litica cresce nella costruzione di masse plastiche e inerti, di cubi e prismi elementari capaci di sostanziare con immediatezza l’idea di gravità tanto cara a Campo Baeza. Così nelle opere dell’architetto si materializzano solidi stereotomici dove il corpo della pietra, opaco, pesante e geometrizzato viene affermato e presentato in tutta la sua interezza per essere successivamente intagliato attraverso cavità profonde, create non per indebolire la massa, erodendola e svuotandola, ma per rafforzarne l’immagine di stabilità, rendendone immediatamente percepibili le sezioni piene e gli spessori generosi. I solidi si arricchiscono quindi di corti e patii, spazi introversi individuati di frequente da muri di cinta spessi e continui e definiti da ampie stesure pavimentali e parietali ancora una volta litiche. Come il processo di scavo, anche la collocazione di reticoli o scatole tettoniche leggere e trasparenti accanto ai volumi di pietra intende valorizzare per Baeza la solidità della costruzione. Se il complesso scolastico di Loeches (1989), con i suoi muri rustici realizzati con pezzi lapidei sommariamente sbozzati, rappresenta una prima ermetica affermazione dell’architettura stereotomica baeziana, è con la Biblioteca civica a Orihuela (1992) che il progettista sviluppa e articola compiutamente il tema di una composizione fatta di solidi litici puri e compatti. L’edificio è costituito da due volumi ad L ruotati e accostati ad individuare una corte centrale: il primo corpo comprende due facciate storiche esistenti i cui elementi vengono totalmente rielaborati in pietra; il secondo è ricoperto da un rivestimento litico omogeneo, e si staglia nitido con i suoi spigoli vivi e le sue facciate perfettamente rettificate e complanari. Anche la corte è interamente foderata di una placcatura lapidea che si stratifica in continuità sul pavimento, sulle alte pareti, sulle spalle dei profondi tagli finestrati e sui setti murari liberi che ne invadono obliquamente lo spazio a sostegno delle rampe delle scale. La biblioteca, costruita unicamente attraverso la composizione di solidi e cavità di pietra, afferma con chiarezza una sostanziale gravità stereotomica enfatizzata per contrasto dall’aerea presenza di una trasparente pensilina tettonica, che ricopre la corte ed è sostenuta da esili colonne metalliche. Anche il Centro Balear de Innovación Tecnológica di Inca (1995) è un’opera esemplare della nozione baeziana di solidità stereotomica. L’edificio è costituito da un largo basamento di impianto triangolare; una forma unitaria, pura e compatta. Il podio è di pietra e comprende un muro spesso e chiuso che si innalza sulla sua sommità ribadendone l’intero perimetro. Sul basamento si crea così un’ampia corte-agorà murata, un hortus conclusus aperto verso il cielo e definito da una stesura omogenea di grandi lastre di travertino romano, nella pavimentazione come anche nel rivestimento del muro. All’interno della corte si trova la parte tettonica dell’edificio, una scatola di cristallo completamente trasparente che appoggia con levità sul piano orizzontale in travertino. La sintassi dell’architettura di Alberto Campo Baeza è ancora una volta semplice e chiara: la costruzione è fatta di pietra e parla il linguaggio della gravità; il centro o la sommità della composizione ospitano un cuore tettonico pensato per enfatizzare la percezione della solidità stereotomica dell’insieme; gli spazi sono definiti da superfici litiche continue e sono totalmente introversi o traguardano su prospettive distanti o all’infinito.
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Centro di Innovazione Tecnologica, Inca, 1995
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Sede del Consiglio di Castiglia e Le贸n, Zamora, in corso di realizzazione
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La grande capacità di Baeza di calibrare i rapporti dimensionali e di orientamento tra masse piene, spazi cavi e traguardi visivi è ribadita in una nuova architettura in corso di realizzazione a Zamora, dove il tema dell’hortus conclusus - già declinato nel Centro di innovazione tecnologica di Inca come anche in numerose residenze private - trova un’ulteriore icastica espressione, resa più che mai vibrante dalla collocazione dell’intervento all’interno di un tessuto urbano denso e fortemente storicizzato. L’edificio ospita la sede del Consiglio di Castiglia e León e sta sorgendo nel centro cittadino, nelle immediate vicinanze della cattedrale e della chiesa romanica di Santa Maria La Nueva. Un alto muro, costruito con la stessa pietra locale con cui sono state edificate le architetture storiche, segue l’andamento del lotto a formare un giardino segreto; al centro dello spazio verde, popolato di alberi e piante aromatiche, sorge un corpo di fabbrica trasparente dove trovano posto le sale riunioni e gli uffici per le attività istituzionali. Il setto murario spesso e possente costituisce un segno forte e decisivo eppure perfettamente commisurato in altezza alla dimensione del tessuto insediativo circostante e delle essenze del giardino; nella cortina continua la pietra si stratifica in placche serrate di grande formato, che solo in pochi punti lasciano spazio ai varchi di accesso e a studiate aperture tagliate per consentire dall’interno la vista sui monumenti. Il corpo trasparente delle sale e degli uffici è circoscritto da un involucro di vetro a doppia pelle, dotato di parasoli tessili estensibili e capace di una regolazione attiva dei flussi di calore in base ai cicli stagionali; così sia in inverno che in estate il sottile e leggero volume cristallino consente di percepire nella sua totalità l’amichevole vicinanza del verde, e di interagire con esso in un rapporto osmotico che diventa massimo nella fruizione del giardino all’aperto e di una terrazza belvedere collocata in copertura. Superfici tettoniche Nell’architettura di Campo Baeza l’inerzia stereotomica che si esprime attraverso masse, muri e piani orizzontali in pietra continui e compatti, viene rafforzata per contrasto dalla levitazione tettonica di superfici leggere, caratterizzate da gradi diversi di permeabilità visiva. Mutuando i termini “stereotomico” e “tettonico” dal lessico semperiano, con le accezioni attentamente analizzate da Kenneth Frampton nella raccolta di saggi Studies in Tectonic Culture (1995)2, l’architetto accosta alle sue costruzioni solide e opache geometrie bidimensionali intessute di aria e luce, a tratti mobili e cangianti, nate per individuare e separare gli spazi e per consentire allo stesso tempo interazioni visive di varia natura. Le superfici tettoniche, semplici o poste in sequenza a formare triedri e volumi chiusi, possono essere sovrapposte ai solidi stereotomici, o incastonate in essi come vere e proprie camere luminose. Per realizzare questi piani leggeri ed eterei, Campo Baeza utilizza ancora una volta la materia litica (oltre che il vetro e il metallo): essa viene frazionata e ricomposta in schermi pensati per captare la luce, intrappolandola per trattenerla in superficie o per condurla a permeare gli spazi interni, tagliandoli drammaticamente con fasci luminosi netti e diagonali o avvolgendoli con flussi diffusi, amniotici ed immersivi. 2
Si veda in proposito Antonio Pizza, op. cit., pp. 20-21.
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Nell’opera di Baeza la prima importante declinazione litica del concetto di superficie tettonica è rappresentata dalla Sede della Caja General de Ahorros a Granada (1992-2001), dove l’alabastro tagliato in piccoli formati con spessore di 20 mm è impiegato per comporre schermi traslucidi. L’edifico è configurato come un cubo stereotomico in pietra e cemento, all’interno del quale si espande il volume a più piani di un atrio definito dal progettista come un “impluvium di luce”. Tale cavità vestibolare riceve un’illuminazione principale di tipo direzionale attraverso ampi lucernai ed è arricchita da un’ulteriore fonte di luce: tre pareti del grande vano sono costituite infatti dagli schermi in cui l’alabastro, montato su strutture in acciaio e alluminio, esprime la propria qualità di traslucenza lasciandosi attraversare in parte dalla luce esterna per restituire all’interno un flusso luminoso diffuso e omogeneo. Alberto Campo Beaza sfrutta in questo caso la proprietà di certi litotipi come gli alabastri, gli onici e i marmi cristallini che tagliati in sezione sottile catturano la luce, le consentono di irradiarsi al loro interno “accendendo” nella loro struttura minerale colori e disegni prima nascosti ed, infine, la diffondono in parte all’intorno attivando un’atmosfera luminosa densa e tangibile. Valorizzandone la peculiarità di traslucenza l’architetto esalta ancora una volta la pietra nel suo rapporto inscindibile con la luce, conferendole di fatto una doppia esistenza: l’alabastro di questi veli solidi, iridescenti e sensuali, mostra il suo aspetto usuale quando è colpito dalla luce incidente e vive inoltre una seconda presenza, certo latente nel suo codice genetico, ma rivelata unicamente grazie all’apporto dell’energia luminosa filtrante. Così la scatola tettonica semipermeabile, contenuta all’interno del solido stereotomico, diviene una sorgente di luce attiva, che esprime qualità luministiche e cromatiche unicamente sul confine tattile e visivo della sua superficie.
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Sede della Caja General de Ahorros, Granada, 1992-2001
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Con l’ampliamento della Sede del Servizio Sanitario Nazionale di Almeria (1999-2002) lo studio di Campo Baeza sul tema della superficie tettonica si spinge ad esplorare le potenzialità degli schermi litici mobili. L’edificio si configura come un volume elementare totalmente ricoperto di lastre di pietra lumachella, sia sulle facciate che sulla copertura. In quest’opera, la materia litica compone una scatola funzionale sottile e proteiforme, costituita da parti fisse e da teorie di lastre mobili accostate tra loro per dar vita ad un sistema di oscuramento. Baeza ha infatti disegnato coppie di imposte lapidee quadrate di 90 cm di lato che in corrispondenza di ogni finestra possono scorrere e ruotare su perni metallici assumendo molteplici giaciture; come palpebre possono essere spalancate, socchiuse, o accostate ermeticamente per regolare l’ingresso del flusso luminoso naturale e per guidare lo sguardo di chi vive gli spazi interni.
Sede del Servizio Sanitario Nazionale, Almeria, 1999-2002
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In questo caso la superficie tettonica assume un carattere cinetico: dall’interno la pietra in movimento, dislocata secondo gradi diversi di rarefazione, modula l’intensità luminosa degli ambienti; dall’esterno «le posizioni assunte dalle controfinestre (aperte, chiuse, ruotate parzialmente) determinano il tratto formale dell’opera architettonica in funzione dell’intensità della “forometria d’ombra” esibita […]. La superficie litica si incarica, così, di esprimere il sistema della relazione chiuso-aperto, mentre la luce - mediante l’ombra - disegna il suo progetto sulla pietra»3. Nell’assetto di totale chiusura la scatola tettonica assume il volto di un solido stereotomico; nelle configurazioni traforate di intermedia o massima apertura essa nega, sommessamente o con maggiore forza, l’inerzia archetipica della pietra.
3 Alfonso Acocella, “Costruire con la pietra, progettare con la luce” p. 64, in Vincenzo Pavan (a cura di), Nuova estetica delle superfici, Faenza, Gruppo Editoriale Faenza, 2005, pp. 157.
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La manifestazione della natura ambivalente della superficie tettonica caratterizzata dal punto di vista cinetico è evidentemente uno snodo centrale nello sviluppo della poetica architettonica di Alberto Campo Baeza; i nuovi uffici e spazi commerciali del gruppo Benetton a Samara ripropongono questo tema spingendolo ad esiti di particolare raffinatezza. L’edificio, in corso di realizzazione, sorge nel centro della città russa e occupa un lotto lasciato libero da un vecchio fabbricato demolito. Il reticolo strutturale in cemento armato della costruzione rimane a vista, con la sua semplice e nitida ortogonalità materializzata dal tenue colore grigio del getto concretizio; i primi due piani commerciali sono protetti da superfici vetrate continue, completamente trasparenti, mentre gli ultimi tre piani che ospitano gli uffici sono schermati da grandi lastre di marmo di Carrara, di formato verticale, accostate a tamponare le maglie della struttura. Nell’edificio di Samara Campo Baeza capovolge la “classica” progressione dei registri architettonici, da quelli basamentali chiusi e opachi a quelli sommitali aperti e trasparenti; infatti sopra ad una base completamente permeabile allo sguardo intesse la tettonica di un palinsesto mobile di ante lapidee, increspato e vibrante di chiaroscuri quando gli elementi sono aperti con diverse inclinazioni; compatto, liscio e monocromatico del biancore del marmo se le lastre vengono posizionate nell’assetto di totale chiusura.
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Uffici e spazi commerciali Benetton, Samara, in corso di realizzazione
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La idea ConstruĂŹda
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Pietra, luce, tempo ne La Idea Construída
Già utilizzato da Alberto Campo Baeza come titolo della sua principale raccolta di saggi, La Idea Construída è il nome che identifica lo spazio espositivo Pibamarmi, concepito dall’architetto spagnolo per l’edizione 2009 della fiera scaligera Marmomacc. In realtà il legame tra pensiero, parola e azione di architettura sintetizzato in questo titolo, è per Campo Baeza oggetto di elaborazione teorica da molti anni, sin dalle sue prime esperienze didattiche nel 1986 come professore di progettazione alla Escuela de Arquitectura di Madrid. La Idea Construída è divenuta allora una firma assertiva di un metodo che si è ripetuto di riflessione in riflessione, di opera in opera, basandosi sull’enunciazione di un concetto relativo alla forma o alla luce, e sulla conseguente “costruzione di un’idea” per dar vita ad una struttura e ad uno spazio. Ad ogni passo della sua carriera il progettista ha enucleato, analizzato e dichiarato con un motto le visioni e i modelli, spesso archetipici, che ha posto alla base del suo agire: luce e gravità, hortus conclusus, guardando il mare, impluvium di luce. Così anche il nuovo padiglione ha preso corpo a partire da due ispirazioni concettuali fondanti: la valorizzazione della relazione pietra-luce attraverso un apporto luminoso dinamico e mutevole (“eppur si muove” per Campo Baeza) e la composizione di un antiquarium archeologico. L’interno della struttura si è offerto al visitatore come uno spazio introverso immerso nella penombra, una camera litica vuota destinata alla sosta e alla meditazione, foderata di marmo di Carrara e segnata dal passaggio lento di fasci luminosi sulla superficie naturale della pietra. All’esterno invece i pezzi di design delle collezioni Pibamarmi sono stati disposti in una galleria a muro, come reperti di una collezione di antichità accostati a calchi storici di sculture classiche ed ellenistiche prestati per l’occasione dall’Accademia di Belle Arti di Firenze. Lo spazio interno, cubico e minimale, ha espresso una summa delle lunghe elaborazioni operate da Campo Baeza sulla relazione tra gravità della pietra, geometrie pure, energia luminosa statica o dinamica, percezione dello scorrere del tempo; la galleria di “memorie” antiquarie e contemporanee ha aggiunto un ulteriore grado di lettura del rapporto tra l’opera dell’uomo e la dimensione temporale, in un mosaico di forme e proporzioni raffinato e poetico. Pur affrontando un tema progettuale di natura effimera come un padiglione fieristico, con La Idea Construída Alberto Campo Baeza ci ha consegnato ancora una volta una riflessione profonda sui valori atemporali del pensare e del fare architettura. A fronte del pervasivo diffondersi di
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immagini architettoniche seducenti e fugaci, la rigorosa proposta dell’architetto spagnolo per l’allestimento Pibamarmi, ha preso corpo infatti a partire da due temi ineluttabilmente legati alle categorie archetipiche della gravità, dello spazio e del tempo, in cui l’architettura pone da sempre le sue più autentiche basi. Gravità e Spazio, Luce e Tempo «La Gravità costruisce lo Spazio, la Luce costruisce il Tempo, dà ragione del Tempo. Ecco le questioni centrali dell’Architettura: il controllo della Gravità e il dialogo con la Luce. Il futuro dell’Architettura dipenderà da una nuova possibile comprensione di questi due fenomeni»1. Il richiamo di Alberto Campo Baeza al valore atemporale della Gravità e della Luce nella costruzione dell’architettura è forte e ripetuto, nelle sue opere come anche nei numerosi contributi teorici che egli ha pubblicato dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso fino ad oggi. Forza di gravità ed energia luminosa sono considerati come fattori decisivi e fondanti dell’architettura; tali elementi vengono trasferiti alla contemporaneità grazie ad una profonda consapevolezza della Storia che per Baeza è una presenza viva e imprescindibile, da valorizzare attraverso un processo di incessante smontaggio, analisi e reinterpretazione dei suoi archetipi e dei suoi linguaggi. Tra i tanti modelli dell’antichità che l’architetto richiama, il Pantheon di Roma è più volte citato (anche nel caso del padiglione) come riferimento assoluto, apprezzato per la peculiarità del suo oculo in copertura che consente il passaggio del flusso luminoso solare; la luce naturale, mutevole e dinamica, filtra dalla grande apertura a costituire una gigantesca meridiana che rende comprensibile le dimensioni dello Spazio e la progressione del Tempo. Per Campo Baeza poi all’idea di Gravità si lega la presenza della Pietra, e anche quando egli non impiega la materia litica la sua architettura rimane concettualmente stereotomica; essa è originata nella massa e dalla massa, e di volta in volta viene scavata, tagliata, certo frazionata ma comunque in grandi formati, per configurarsi in ogni caso come architettura della gravità e della delimitazione; in ultima analisi l’assertiva purezza delle sue costruzioni – anche se elaborate per alleggerimenti, incastri e perforazioni – è sempre chiaramente leggibile nel netto stagliarsi di solidi pieni o prismi scatolari. Anche la camera litica de La Idea Construída è portatrice di tutti i caratteri sin qui descritti; opera temporanea, di contenute dimensioni ma non meno complessa delle architettura permanenti del maestro spagnolo, è pensata anzi come una densa sintesi della sua poetica compositiva; in essa il bianco totale e accecante degli edifici di Campo Baeza lascia il posto alle tinte e alle tessiture materiche del marmo e la luce nelle sue variegate manifestazioni, orizzontale, zenitale, obliqua, è più che mai “principio supremo di strutturazione architettonica e qualificazione spaziale”.
1 Alberto Campo Baeza, La idea construída (1996), cit. in Antonio Pizza, “La ricerca di un’architettura astratta. Alberto Campo Baeza” p. 12, in Alberto Campo Baeza. Progetti e costruzioni, Milano, Electa, 2000, pp. 173.
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Un antiquarium per il design contemporaneo Se il museo ha una dimensione fisica chiusa e controllata, scandita in modo ragionato e in genere sequenziale, l’antiquarium – all’aperto o al chiuso che sia – può avere una struttura aperta e si configura più come un evento estetico che come una narrazione sintattica2. Nell’antiquarium, in genere disposto a parete, si depositano frammenti sparsi provenienti da epoche anche molto diverse; membra di sculture, lastre a rilievo, elementi architettonici asportati da rovine o raccolti in scavi archeologici, trovano così un luogo di conservazione, di fronte al quale il visitatore gode di un rapporto privilegiato con reperti che abitualmente non vede, e che non riuscirebbe altrimenti a raggiungere a portata di mano. Accumulazione e ridondanza, sono quindi parole chiave per comprendere il concetto di antiquarium come dispositivo ostensivo della memoria, come ripostiglio dove collocare stratificazioni di testimonianze, repertori molteplici di oggetti accostati in serie variate, incrociate, invertite. Più che per il progetto museografico insomma, l’antiquarium desta il nostro interesse per la sua forte valenza di esperienza percettiva focalizzata sulla sola visione di dettaglio di un palinsesto di pezzi, attraverso i quali si tenta di attivare, anche in modo fortuito, relazioni figurali, tipologiche e simboliche basate sull’analogia o sul contrasto. Come modo espositivo legato al collezionismo più colto ma anche alle finalità mercantili del commercio d’arte, l’antiquarium nasce nel corso del XVII secolo e raggiunge la sua massima diffusione tra la seconda metà del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento, con l’affermarsi della cultura classicista storicista in Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e, successivamente, negli Stati Uniti. Esempio emblematico di tale momento di apogeo è l’antiquarium della casa-museo di John Soane a Londra, realizzato dall’architetto e archeologo inglese tra il 1808 e il 1837. La consistente collezione di antichità di Soane, che comprende reperti originali ma anche numerose riproduzioni in gesso, ricopre le pareti di diversi ambienti della casa concentrandosi nel grande vano a doppia altezza del Dome, appositamente progettato per accogliere scenograficamente la parte centrale dell’antiquarium3. Nella serrata e apparentemente confusa mescolanza di pezzi, tutto è in realtà calibrato in base a criteri di assonanza dimensionale e proporzionale: se gli elementi architettonici non stanno nelle posizioni e alle quote che avrebbero realmente occupato negli edifici è perché la loro collocazione risponde ad esigenze di composizione e simmetria; se le sculture non sono disposte in sequenza cronologica è per la volontà di dar vita ad uno stupefacente horror vacui, in un allestimento emozionale che deve essere apprezzato non tanto per la preziosità dei singoli reperti quanto per l’intensità visionaria e poetica dell’insieme.
2 Si vedano in proposito le considerazioni contenute in Pier Federico Caliari, Museografia. Teoria estetica e metodologia didattica, Firenze, Alinea, 2003, pp. 231. Allo stesso volume si rimanda anche per un saggio critico sulla casa-museo di John Soane richiamata più oltre in questo contributo. 3 Per un approccio all’opera di John Soane si rimanda a John Summerson, David Watkin, Tilman Mellinghoff, John Soane, Londra, Academy Editions, 1983, pp. 123; Margaret Richardson, Mary Anne Stevens (a cura di), John Soane architetto 1753-1837, catalogo della mostra, Milano, Skira, 2000, pp. 317.
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L’opera magistrale di Soane consente di cogliere appieno la valenza dell’antiquarium come potente strumento di comunicazione visiva suscettibile di molteplici chiavi di lettura, compositive, geometriche, materiche; Alberto Campo Baeza nel padiglione La Idea Construída, distilla i caratteri tradizionali di tale impianto espositivo e crea un mosaico di pezzi antichi e contemporanei perfettamente equilibrato per forme, proporzioni e cromatismi. Egli valorizza appieno i calchi storici e gli elementi di design contemporanei selezionandoli e disponendoli in un palinsesto armonico, realizzato secondo una sapiente dialettica di contrasti e assonanze che contamina arte scultorea, artigianato e design; per Baeza le incursioni dell’Antico nel Contemporaneo, e viceversa, materializzano con immediatezza ed evidenza la dimensione del Tempo, principio basilare – come si è visto – della sua poetica architettonica. I pezzi di design litico trasmettono ancora una volta un’idea di sostanziale massività; i loro solidi elementari sono delicatamente animati da minime asimmetrie, da inattese assialità oblique; le loro superfici sono accuratamente texturizzate e accostano per contrasto stesure lisce e setose a piani ruvidi increspati da serrate scanalature ripetute. Un’antefissa etrusca, una metopa del Partenone, un torso d’Ercole vigoroso e sensuale, presentano dal canto loro masse piene e profonde cavità, rilievi più o meno pronunciati di membra, panneggi, racemi vegetali. Grazie a questo mondo figurale inconsueto e suggestivo, l’architetto conduce la scelta espositiva a sublimare la performance estetica per approdare ad un sottile gioco sintattico puramente visivo, non fatto di legami cronologici, né tantomeno di richiami simbolici, bensì intessuto unicamente di rimandi tra forme piane e lineari e volumi a tutto tondo, tra addensamenti chiaroscurali e rarefazioni coloriche e luministiche: così, con la sobrietà e la raffinatezza che lo contraddistinguono da sempre, Campo Baeza dimostra che, per questo progetto di allestimento contemporaneo, l’antiquarium era veramente l’unica scelta possibile.
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Tre conversazioni con Alberto Campo Baeza *
Un involucro di pietra, traforato e mutevole Verona, 1 ottobre 2005 Davide Turrini: La sede del servizio sanitario spagnolo di Almerìa si configura come un volume compatto totalmente ricoperto di pietra, sia sulle facciate che sulla copertura. In quest’opera la materia litica è impiegata in forma di lastre mobili anche perla realizzazione di un sistema di oscuramento che modula la presenza della luce negli spazi interni. Perché utilizzare la pietra per costruire uno schermo sottile traforato e mutevole, allorquando l’architettura contemporanea è sempre più caratterizzata dalla presenza di involucri vitrei, plastici, ceramici o metallici? Alberto Campo Baeza: L’edificio nasce come ampliamento di un vecchio corpo di fabbrica di modesta qualità architettonica e fa da sfondo ad una parte marginale della città. Ho subito pensato di dover creare questa sorta di fondale teatrale, che in un qualche modo vuole innalzare con la sua presenza il “tono” generale dell’intorno urbano, con una pietra della tradizione costruttiva locale. Si tratta della lumachella, un litotipo sedimentario ricco di fossili marini, a cui ho affidato la veicolazione di una serie di valori per me molto importanti legati al genius loci, alla costruzione e alla durata dell’architettura. Avevo bisogno di un materiale vero, solido, opaco, con intonazione cromatica e grana materica di particolare morbidezza. La materia litica era l’unica a poter garantire tutte queste qualità e allora ho scommesso sulla pietra anche per realizzare le parti mobili dell’involucro architettonico. Così l’edificio è sobrio, a tratti radicale, è tutto di pietra e le sue caratteristiche non sono altro che quelle della pietra, non ho aggiunto nulla di più. Il vetro e il metallo non sarebbero stati materiali così sinceri e così generosi. DT: Parliamo ora del processo che ha portato a progettare e a costruire questi schermi mobili in pietra. ACB: L’opera, che occupa completamente un lotto stretto e lungo, si configura come una scatola di pietra aperta verso nord soltanto grazie a sottili incisioni che danno aria e luce a piccoli vani di servizio; verso sud si aprono invece finestre più ampie, per le quali ho studiato un sistema di *
Il contributo costituisce una nuova edizione ampliata e rielaborata di tre interviste già apparse tra il 2005 e il 2009 nel website www.architetturadipietra.it.
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schermatura fatto di lastre litiche che scorrono grazie ad un giunto metallico di fissaggio e movimentazione, modulando l’illuminazione interna degli uffici. Ho studiato autonomamente questo sistema di schermatura, elaborando gli esecutivi in stretto contatto con il validissimo fabbro di Cordoba che lo ha poi realizzato. Dopo alcuni primi disegni fatti nel mio studio, l’artigiano ha avanzato una proposta migliorativa e in seguito abbiamo proceduto per correzioni successive. I due problemi più delicati da risolvere riguardavano l’integrazione tra pietra e sistemi di fissaggio, nonché il dimensionamento degli agganci metallici affinché essi potessero reggere il peso delle lastre litiche. Alla fine abbiamo raggiunto un ottimo risultato, un meccanismo efficace ed essenziale che permette alla pietra di muoversi rapidamente ed in modo estremamente preciso. La facciata è così caratterizzata dal paramento litico esterno continuo e da un piano più interno dove sono collocati gli infissi trasparenti. Si tratta di una “facciata spessa”, tra i due paramenti si trova lo spazio che accoglie le lastre litiche quando sono completamente aperte e che ospita anche armadi ed altri arredi fissi fruibili dall’interno degli uffici. DT: Ritorniamo alla pietra lumachella. Che caratteristiche ha? Dove si trovano le cave? ACB: La lumachella viene estratta nei pressi di Alicante. È una bellissima pietra mediterranea, un calcare marino ricco di inclusioni fossili, di conchiglie ben visibili nella tessitura della materia litica ... e Almerìa, come Alicante, è una città di mare. Sono molto affezionato a questa pietra, tanto presente nelle architetture di Cadice, la città da cui provengo, situata tra l’Atlantico e il Mediterraneo.
Alberto Campo Baeza, Schizzi per il sistema costruttivo di facciata delle Sede del Servizio Sanitario di Almeria, 1997-1998
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DT: Nei tuoi progetti assegni sempre un valore importante allo studio delle qualità materiche e di illuminazione degli spazi interni. Tra i numerosi edifici voglio ricordare la Banca de Ahorros di Granada, in cui la luce proveniente dall’alto o da fonti laterali gioca un ruolo fondamentale. Che significato hanno per Campo Baeza i concetti di massa, luce, spazio introverso? ACB: è vero, la massa, la luce e lo spazio introverso hanno un significato di grande pregnanza nella definizione della mia architettura e sono costantemente al centro della mia attenzione. Cerco sempre di realizzare spazi centrali fortemente caratterizzati dalla presenza di colonne, pilastri, muri, luci ed ombre: penso alla Banca di Granada ma anche alla Biblioteca di Alicante. Certo non è sempre possibile realizzare opere che per dimensioni e funzione possano esplicare una così grande ed evocativa forza spaziale. Gli uffici di Almerìa sono un piccolo edificio di servizio, una vera e propria “scatola funzionale”, tuttavia non ho rinunciato ad uno studio attento della luce in rapporto alle qualità spaziali degli interni e ai traguardi visivi esterni. Ho progettato un belvedere trasparente sul tetto, l’unico punto da cui si può vedere il mare e l’orizzonte. Ho pensato al sistema di lastre litiche mobili che come palpebre si spalancano, si socchiudono o si possono serrare completamente, in innumerevoli gradazioni per regolare l’ingresso della luce e per guidare lo “sguardo” di chi vive gli spazi interni. Certo sarà una luce meno spettacolare, meno drammaticamente scenografica, ma rimane comunque uno dei temi fondanti del progetto. Non dobbiamo mai dimenticare l’importanza dello stretto legame che esiste tra luce, spazio e architettura, la Storia ce lo ha insegnato e sta a noi continuare a rinsaldarlo giorno dopo giorno nel progetto contemporaneo.
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Alberto Campo Baeza, Schizzi per il sistema costruttivo di facciata delle Sede del Servizio Sanitario di Almeria, 1997-1998
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Travertino, pietra luminosa ed eterna Lucca, 15 gennaio 2007 Davide Turrini: Nell’opera di Campo Baeza ricorre l’uso del travertino, pietra delle permanenze archeologiche antiche ma anche delle architetture di grandi maestri del Moderno come Mies van der Rohe e Louis Kahn. Perché impieghi così di frequente questo materiale? Alberto Campo Beaza: Da architetto del terzo millennio difendo il ruolo della pietra come materiale della contemporaneità. Prima di me si sono impegnati in questa difesa maestri come Le Corbusier, Mies e Kahn, che rappresentano i miei riferimenti e che hanno visitato le rovine dell’antichità greca e romana, circondandosi di pietra, toccandola, soppesandola, disegnandola e riproponendola nelle loro opere. Architetture come Il Padiglione di Barcellona, Casa Farnsworth o come il Kimbell Museum dimostrano che la pietra non ha età e che il travertino in particolare unisce Antico e Moderno, divenendo sinonimo di gravità destinata a resistere al trascorrere del tempo. Utilizzo spesso il travertino perché più di ogni altro materiale lapideo può dare una lunga durata al mio atto creativo, lo impiego soprattutto nei pavimenti, in grandi formati e spessori importanti, poiché credo che l’uomo viva da sempre e vivrà per sempre su di un piano orizzontale fatto di pietra solida e resistente. A Inca, nel Centro di Innovazione Tecnologica, oltre alla estesa pavimentazione ho realizzato in travertino romano anche i muri dell’edificio che ho immaginato come un “hortus conclusus”, aperto verso il cielo ed eterno. Il travertino inoltre dialoga in modo straordinario con la luce: nella Banca di Granada ho pavimentato il grande vestibolo con il travertino e i raggi solari zenitali che entrano nell’edificio e colpiscono il piano orizzontale attivano in questa pietra una vera e propria “sinfonia” cromatica e materica. Il travertino è insomma pietra luminosa ed eterna, è di ieri, di oggi e, soprattutto, di domani. DT: C’è ancora pietra nelle architetture più recenti di Alberto Campo Baeza? ACB: Sto realizzando una casa vicino a New York per due clienti molto colti e intelligenti, si tratta dei coniugi Olnick Spanu che hanno voluto una residenza affacciata sull’orizzonte aperto del fiume Hudson. Per loro ho pensato ad un podio solido e compatto di cemento con un volume trasparente in copertura per guardare il paesaggio e il cielo; il piano orizzontale su cui appoggia tutta l’architettura e su cui converge la luce è ancora una volta in travertino. Anche un asilo, che sto progettando a Treviso per Benetton, avrà un vestibolo con una pavimentazione in pietra pensata per accogliere la luce. A Zamora invece sono impegnato nel progetto di un edificio incastonato nel centro storico della città e sto elaborando una nuova declinazione del tema dell’”hortus conclusus”; immagino infatti un giardino circoscritto da un muro in pietra, alto e spesso, costruito con lo stesso litotipo locale con cui è stata realizzata la vicina cattedrale medievale.
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DT: Ti sei confrontato con il travertino romano, con i marmi italiani, ma lavori ampiamente anche con le pietre del tuo Paese per radicare i tuoi edifici al genius loci; in proposito ci hai appena parlato del progetto per Zamora, ma penso anche alla biblioteca di Alicante e agli uffici per il Servizio Sanitario di Almerìa. ACB: La Spagna ha molti materiali lapidei di ottima qualità: ardesie e graniti dalla Galizia, calcari andalusi, marmi bianchi e neri. Io ho utilizzato più volte nei miei lavori il marmo di Macael, molto diffuso in Spagna, economico e resistente, o la pietra lumachella così calda e dorata. Non penso a primati di qualità o di bellezza tra le pietre dei vari luoghi, penso che ogni progetto voglia la sua pietra. Se un progetto spagnolo ha bisogno di un travertino romano non mi faccio remore e impiego una pietra italiana in terra iberica, o viceversa. Ogni architettura richiede precisamente le caratteristiche e i significati di una pietra soltanto, o al massimo di un paio di materiali lapidei che si possono adattare al caso specifico. Tutte le pietre hanno pari dignità e vanno rispettate e valorizzate nella loro natura.
Alberto Campo Baeza, schizzi per la Sede del Consiglio di Castiglia e Leon a Zamora e per l’Asilo Benetton a Treviso, 2006 e 2009
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Alberto Campo Baeza, Sede del Servizio Sanitario Nazionale, Almeria, 1999 - 2002
Un antiquarium e un allestimento in marmo di Carrara Verona, 30 settembre 2009 Davide Turrini: Il progetto per il padiglione La Idea Construída, firmato da Campo Baeza per Pibamarmi alla 44° edizione della fiera Marmomacc è caratterizzato dal tema espositivo dell’antiquarium. Perché esporre pezzi di design contemporanei come fossero reperti in una galleria di testimonianze archeologiche? Alberto Campo Beaza: Ho fatto questa scelta perché credo che il dispositivo dell’antiquarium sia estremamente affascinante e potente; avevo in mente l’antiquarium dei Musei Capitolini a Roma che mi ha sempre colpito per la composizione dei grandi frammenti di marmo, della testa e delle membra colossali della statua di Costantino raggruppati davanti al visitatore in un piccolo spazio così denso di memorie e suggestioni visive. Ecco allora che ho pensato di dare vita a un inedito antiquarium che intende valorizzare pezzi di design litico contemporaneo accanto a raffinatissimi calchi di sculture antiche prestati dall’Accademia di Belle Arti di Firenze. Il risultato di questo palinsesto di pezzi consente di osservare da vicino la pietra e di percepire chiaramente la dimensione del tempo. Pietra e tempo, due elementi fondanti della mia architettura. DT: In questo allestimento l’apporto luminoso del sole è stato riprodotto per illuminare in modo dinamico una camera interamente foderata di marmo di Carrara. ACB: Sì, ho pensato ancora una volta ad un’immagine italiana, quella cioè del Pantheon con l’oculo in copertura da cui entrano i raggi solari a segnare il passaggio del tempo sul pavimento e sulle pareti. Così ho voluto realizzare una camera scavata nella pietra, predisposta per ricevere la carezza del sole ricreando il rapporto universale tra luce e materia litica. Il marmo di Carrara era l’unico materiale con cui poter compiere al meglio questo “esercizio di pietra e luce”; si tratta di un materiale storico, di una qualità sublime, un materiale caldo, con un colore ricco e luminoso, capace di accogliere la luce solare per restituire tinte e riflessi meravigliosi. L’immagine del biancore dei marmi carraresi, fissata con più frequenza nella tradizione, cela in realtà una straordinaria ricchezza di varianti di colore e tessitura: tali materiali possono infatti essere bianchi, con sfumature più o meno intense color crema o grigio-azzurre, per raggiungere in alcuni casi le tinte più forti del grigio cupo; le tessiture possono essere lievemente o più decisamente venate. Per il padiglione ho impiegato il Bianco Lavagnina, estratto a Carrara nell’omonima cava del bacino di Colonnata sulle pendici della Cima di Gioia. Questo marmo è caratterizzato da un tono omogeneo grigio chiarissimo e presenta sottili striature più scure; l’ho messo in opera in grandi formati quadrati, composti a rivestire in continuità le pareti e il pavimento della camera; per la superficie ho scelto una finitura setosa, “morbida” al tatto e alla luce radente, levigata ma non lucida. Un marmo bianco greco, al confronto, sarebbe stato troppo omogeneo, troppo artificiosamente perfetto, non sarebbe stato così vibrante nel lasciarsi accarezzare dal passaggio dei fasci luminosi.
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Questo marmo di Carrara possiede una variatio che io trovo bellissima e stimolante, con le sue sottilissime venature, con la sua lieve sfumatura grigia, con la sua grana così naturale, è assolutamente ineguagliabile. DT: Qual è il ruolo della pietra nell’architettura del terzo millennio? ACB: Parlando di architettura contemporanea molte volte la gente si sbaglia: pensa che per costruire edifici contemporanei sia sufficiente utilizzare materiali nuovi, mai visti prima, strani, o coloratissimi. Ma la vera architettura ha un tempo lunghissimo, o forse non ha tempo, e la pietra è l’unico materiale a vivere un’esistenza altra, parallela rispetto alla dimensione strettamente temporale; la pietra registra e riflette il trascorrere dei decenni ma sopravvive al tempo stesso, divenendo ogni giorno più forte e più sublime. La pietra non è vecchia, o classica, è invece del tutto contemporanea. Io sono un architetto contemporaneo, proiettato verso il futuro, e uso la pietra. Ogni architettura che è sul mio tavolo da disegno o in un mio cantiere in questo momento è in pietra: sto progettando un involucro in marmo di Carrara per un edificio a Samara; ho da poco completato un grande piano orizzontale in marmo per una piazza a Cadice che guarda il mare. Continuo a credere che la pietra sia capace di materializzare tutte le idee architettoniche, da quelle più semplici e archetipiche a quelle più complesse e avanzate. Quindi, come potrei essere un architetto del terzo millennio se non utilizzassi la pietra?
Alberto Campo Baeza, Studio sul tema espositivo dell’antiquarium per il padiglione La Idea Construída - Pibamarmi, 2009
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Alberto Campo Baeza, Modelli e schizzi per il padiglione La Idea ConstruĂda - Pibamarmi, 2009
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Scuola Drago, Cadice, 1992
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Idee in costruzione Antonio Pizza
Se la figura di Campo Baeza spicca senza ombra di dubbi nel panorama contemporaneo dell’architettura spagnola (e internazionale), lo si deve principalmente a quanto questo autore non rappresenta: in un contesto in cui imperano da un lato un disinibito eclettismo e, dall’altro, gli allettamenti delle mode mediatiche, le opere di Campo Baeza si mostrano - a suo beneficio - del tutto estranee a tali dinamiche. In netta alternativa a quanto corrisponde, nel mondo della professione attuale, a un’indeterminazione operativa e, quindi, linguistica, i lavori di questo architetto esibiscono, al contrario di tanti suoi colleghi spagnoli, un’evidente chiave di identificazione e riconoscibilità a partire da un requisito fondamentale, distintivo e niente affatto accessorio: siamo qui, infatti, al cospetto di un’architettura generata da un tenace compromesso con le idee, e non di fronte a una risposta semplicemente funzionale o professionale alle istanze sollevate dall’urgenza del reale. Sembra quasi un paradosso - perché contraddice la nobile storia della nostra disciplina -, ma purtroppo oggigiorno è forse la maggior parte della produzione corrente ad essere del tutto svincolata da un legame genetico con solidi e ponderati principi progettuali, rimanendo vittima o degli eccessi formali o dei banali adattamenti alle leggi del mercato. Riuscire a cogliere tale nesso formativo (idea-progetto-esecuzione), saper decifrare quella matrice concettuale che, in maniere mediate, crea un edificio, ci porterà in un terreno d’esperienze che non potrà non esaltare la qualitá delle proposte di Campo Baeza, al di qua delle sue oggettivabili risoluzioni stilistiche e delle precisazioni su di una loro appartenenza a uno specifico linguaggio dell’astrazione. Uno dei primi aspetti da considerare, quanto si staglia alfine visivamente grazie all’opera infissa nella sua realtà, riguarda il carattere rigorosamente prismatico delle sue ideazioni tridimensionali: un’icasticità volumetrica che delinea solidi spesso conchiusi, solitari, separati, a compimento di una posizione che rinuncia a una dialettica ispirativa con l’altro da sé, ma piuttosto si riserva di esprimere tutte le proprietà di un processo di elaborazione autogeno, originatosi dall’interno del campo disciplinare: “La massa, la luce e lo spazio introverso hanno un significato di grande pregnanza nella definizione della mia architettura. (...) Cerco sempre di realizzare spazi centrali fortemente caratterizzati dalla presenza di colonne, pilastri, muri, luci ed ombre.” Puó servire qui un paragone con quanto succede nell’universo della produzione artistica; se, stori-
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camente, la principale rivendicazione della cosiddetta astrazione, alle soglie del XX secolo, é stata proprio quella di ribadire la volontà di lavorare con i materiali specifici della pittura (colori, forme, spazio, composizione, etc.), rifuggendo da un’interazione coercitiva con il mondo della figurazione naturale, in siffatta architettura echeggia un richiamo similare: ripresa delle componenti disciplinari del progettare, rifiuto di qualsivoglia eterodirezione, affermazione di un’autonomia propositiva. Ecco, perciò, un progettare che si colloca agli antipodi di qualsiasi pittoricismo, fosse anche quello delle iconografie accattivanti dell’ipertecnologia. Le scaturigini dell’architettura, i suoi archetipi fondativi verranno in tal modo evocati come materia da elaborare e da tradurre in formalizzazioni conseguenti. Si comincia dalla “stereotomia”, dalla massa compatta, dal blocco litico, primigenio; e, comunque, lavorato, eroso, scavato, modellato -ma mai rinnegato-, per una opportuna contestualizzazione alle generali condizioni di senso del progetto e per il necessario adattamento agli imperativi della committenza. E fra i presupposti di questa attività, dai rimandi ancestrali, ci imbattiamo inoltre in una vera e propria “mistica della luce”; una luminescenza che taglia, vitalizza, sagoma, significa i volumi in cui penetra, o semplicemente lambisce, e che si rapprende in superfici dal biancore abbagliante. Non a caso, ci ricorda Campo Baeza: “Il bravo pittore sa usare alla perfezione le qualità della superficie bianca per tradurre direttamente la Luce che, provenendo dal Sole, penetra nello spazio; e il colore bianco in Architettura é ben più di una pura astrazione. È una base sicura ed efficace per lavorare con la Luce: per catturarla, rifletterla, per farla incidere, per farla scivolare. E lo spazio viene controllato controllando la Luce, illuminando le bianche superfici che lo formano.” Emerge una grande fiducia in tali risorse forgiatrici, una nostalgia di purezza e di originarietà che caricano di valori catartici l’operazione progettuale; l’architetto, in un certo senso, recupera le sue capacità demiurgiche, nel momento in cui riesce ad emozionare e a farsi emozionare, a redimere se stesso e gli abitanti dei suoi spazi, grazie a ritrovati poteri di sintesi. I flussi luminosi, allora, verranno posti in primo piano a plasmare una ontologia basilare: quella che si dibatte fra i due ambiti concettuali della “stereotomia” e della “tettonica”, della grotta oscura e materica, opaca e pesante, e di una superiore e liberatoria leggerezza vitrea. E sarà proprio la luce a guidare siffatto processo di smaterializzazione, riuscendo a sublimare la cavernosità tellurica, esaltando invece la trasparenza, la cristallinità, l’etereo. La luce poi, come sappiamo, introduce nello spazio il Tempo; ma si tratterà di una temporalità che, come ricorda l’autore, “fa sparire lentamente e con pazienza quegli elementi superficiali con cui molte volte si adorna in maniera civettuola l’Architettura”. Ovverosia, un Tempo sgombro del tempo delle megalopoli globalizzzate, degli sfruttamenti feroci dell’umanità, degli squilibri di ogni ordine e grado (dai problemi sociali a quelli ambientali); una sorta di metatemporalità classica, quindi, che traguarda i confini dell’esperibile materiale per addivenire a una dimensione prettamente spirituale e a-temporale. Anelito che, peraltro, non viene affatto contraddetto dall’uso oculato, a volte, di sostanze ben più terragne quali i marmi o, nello specifico, il travertino. Nonostante tutto é ancora perfettamente percepibile l’ansia consustanziale di una permanenza imperitura: “...la pietra non ha età; il tra-
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vertino in particolare unisce Antico e Moderno, divenendo sinonimo di gravità destinata a resistere al trascorrere del tempo.” Ma ecco perché, di nuovo, l’insistenza nel reiterato candore delle sue fabbriche, quel rapprendersi istantaneo dell’universo trascendentale della luce, entra a far parte di una dichiarazione di intenzioni che contempla anche ulteriori conformazioni; non, quindi, la ricerca di uno sterile acromatismo manieristico, magari più delicato e astratto rispetto alle esplosioni coloristiche, ma la configurazione di una valenza simbolica con possibili e diverse concretizzazioni,. “Il colore bianco è simbolo del perenne, dell’universale nello spazio e nell’eterno nel tempo. E il tempo finisce sempre col far venire i capelli bianchi, come succede anche all’Architettura”.
Alberto Campo Baeza, schizzi per la Casa Guerrero a Cadice, 2003
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Alberto Campo Baeza, sezione costruttiva della Sede del Consiglio di Castiglia e Leon a Zamora, 2009
Stone-built ideas Horizontal surfaces According to Alberto Campo Baeza architecture is “built idea. The history of architecture, not only a history of shapes, is basically the history of the ideas transformed in buildings. Shapes disappear with the passage of time; ideas, instead, are permanent and eternal”1. Only stone, then, is destined to resist the flowing of time and becomes an unavoidable choice to be developed with continuity in the manufacturing of stereotomic masses and tectonic surfaces, that is to say in the materialization of those “built ideas” that Baeza interprets as absolute and eternal values. Even before giving shape to the concepts of gravity and lightness in full solids or box volumes, the stone material represents for the architect the medium through which he defines the limits and the coordinates of the creative act: he often creates with stone, in fact, the base surface of the architectural composition, or even gives physical presence to the ground line in the perspective of a studied and proportioned view; this line is chosen within the landscape in order to be positioned at the centre of the building. The horizontal surfaces of Baeza’s architecture are hence made of stone. This happens very frequently in interior spaces, where smooth and homogenous stone floors constitute the rooting base surfaces for candid walls immersed in the light; evidences of this projecting habit are the Drago School in Cadiz (1992), and the houses of Gaspar (1992), De Blas (2000), Asencio Pascual (2001), Olnick Spanu (2003), and Guerrero (2005). Outside, in the definition of public spaces for historical or contemporary cities, the qualities that delimitate and define the horizontal stone surfaces reach extreme intensity and can autonomously live as “architectures without architecture”, leaving aside the edification of three-dimensional constructions: illustrative in this case are the square of the Almeria cathedral (1978-2000) and the Entre Catedrales square in Cadiz (2000-2009). In the first case a large texture of cubic components made of Macael marble, a Spanish stone of a light grey-whitish tone, composes a neuter support base for a renewed perception of the Renaissance façade of the cathedral; twenty four palms, in addiction, punctuate the flooring in order to create new rhythms and directions in the open space. In Cadiz, instead, the same stone-flagged pavement made of marble and characterized by a squared texture is employed to create a podium set between two ancient religious buildings; the elevated surface, accessible by a long lateral ramp, protects some archaeological excavations and at the same time is configured as a belvedere oriented to the sea.
Stereotomic solids In After being stratified horizontally, the stone material elevates in the creation of plastic and still masses, of elementary cubes and prisms able to give substance with immediacy to the idea of gravity very important to Campo Baeza. In this way, the architect’s works materialise stereotomic solids in which the opaque, heavy and geometrical weight of the stone is confirmed and presented in all its integrity to be successively cut up by deep cavities, created not to weaken the mass, eroding and voiding it, but to enforce its image of stability, making the solid sections and the deep thicknesses immediately sensible. The solids get enriched with courtyards and patios, introverted spaces often indicated by thick and continuous delimitation walls, defined by the large texture of floors and walls once again made of stone. As the process of excavation, the collocation of grids and of light and transparent tectonic boxes next to the stone volumes valorises for Baeza the solidity of the building. If the school complex in Loeches (1989), with its rustic walls manufactured with roughly sketched-out stone pieces, represents the first hermetical example of Baeza’s stereotomic architecture, it’s with the Orihuela Public Library (1992) that the architect fully develops and articulates the theme of a composition made of compact and pure stone solids. The building is made of two L-shaped volumes, rotated and juxtaposed in order to define a central courtyard: the first building has two existent historical facades in which the elements are completely elaborated in stone; the second one is homogenously covered in stone and stands clear with its vivid corners and its perfectly straight facades. The courtyard as well is entirely covered with stone, continuously stratified on the floor, on the high walls, on the props of the wide windows, on the free walls that obliquely invade the spaces sustaining the stairs. The library, built exclusively through the composition of stone solids and cavities, asserts with perspicuity the substantial stereotomic gravity emphasised by the contrast with the airy presence of a transparent tectonic platform that covers the courtyard and is sustained by thin metallic columns. The Balearic Innovation Technology Centre in Inca (1995) as well is a work that illustrates Baeza’s notion of stereotomic solidity. The building is composed of a large triangular footing, a pure, unitary and compact shape. The stone podium comprehends a thick and closed wall that stands on its peak underlining the entire perimeter. On the footing a large wall-delimited agora is created, a hortus conclusus open to the sky and defined by a homogenous covering of big plates in Roman travertine on the flooring and on the wall coverings. Inside the courtyard, the tectonic part of the building is a completely transparent crystal box
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that is lightly based on the travertine surface. The syntax of Alberto Campo Baeza’s architecture is once again simple and clear: the building is made of stone and speaks the language of gravity; the centre and the top of the composition contain a tectonic core thought to emphasise the perception of the stereotomic solidity of the ensemble; the spaces, defined by continuous stone surfaces, are totally introverted and direct the view to distant and infinite perspectives. The great skill of Baeza in calibrating the dimensions and orientations of solid masses, void spaces and visual limits is reasserted in the new architecture he’s realizing in Zamora, where the theme of the hortus conclusus - already developed at the Innovation Technology Centre in Incas as well as in other private residences - finds another vivid expression, made even more vibrant by the location into a dense and highly historical urban context. The building is the seat of the Castilla and Leon Assembly and is being built in the centre of the city, very near the cathedral and the Romanic church of Santa Maria La Nueva. A high wall, built with the same local stone the historical buildings were made of,
Sede del Consiglio di Castiglia e León, Zamora, in corso di realizzazione
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follows the line of the construction delimitating a secret garden; in the centre of the green space, rich in trees and aromatic herbs, there is a transparent block where the meeting rooms and the offices for institutional activities are located. The thick and massive partition wall constitutes a strong and definitive sign, and yet is commeasured to the highness of the surrounding urban context and to the dimension of the garden essences; in the continuous curtain the stone is stratified in close plates of big format, in which only few passages and studied openings are cut to allow the interior view on the monuments. The transparent building of the meeting rooms and the offices is surrounded by a double glass covering, equipped with extensible textile screens and able to actively regulate the heat flux according to the seasonal time; in this way, both in winter and in summer, the subtle and light crystal volume allows to percept in its integrity the friendly presence of the green space, and to interact with it in an osmotic relationship that becomes total in the fruition of the exterior garden and of the belvedere terrace collocated on the covering.
Tectonic surfaces In Campo Baeza’s architecture, stereotomic inertia, expressed by masses, walls and horizontal surfaces made of continuous and compact stone, is enforced by the contrast with the tectonic lightness of surfaces characterized by different levels of visual permeability. Using the terms from the Semper lexicon “stereotomic” and “tectonic” in the meanings accurately analysed by Kenneth Frampton in his essays Studies in Tectonic Culture (1995)2, the architect puts together his solid and opaque buildings with two-dimensional geometries imbued with light and air, in some tracts movable and changing, born to define and separate the spaces and, at the same time, to allow various visual interactions. The tectonic surfaces single or in a sequence of trihedrons or closed volumes, can be superimposed to the stereotomic solids or set into them as veritable luminous chamber. In order to create this light and airy surfaces, Campo Baeza once again employs the stone material (together with glass and metal): the stone is fractioned and re-united in schemes thought to catch the light, retain and convey it on the surfaces, and let it pervade the interior rooms, cutting them with net diagonal luminous rays or wrapping them with pervasive, amniotic and surrounding fluxes. In Baeza’s works the first important stone declension of the concept of tectonic surface is represented by the seat of the General Savings Bank in Granada (1992-2001), where the alabaster cut in small 20mm-wide formats is employed to create translucent screens. The building is configured as a stereotomic cube in stone and cement, into which the volume develops on different levels in a hall defined by the architect as a “light impluvium”. The hall space receives its main directional light from large louvers and is enriched with another luminous source: three of the walls of the big room are constituted by alabaster screens set on structures in steel and aluminium; the alabaster expresses its translucent qualities being passed through the external light and giving back to the interior room a widespread and homogenous luminous flux. Alberto Campo Baeza exploits in this case the properties of some stone materials as alabaster, onyx or crystalline marbles that, cut in subtle sections, catch the light and let it irradiate into their inner mineral structure, revealing previously hidden colours and images and activating a dense and tangible luminous atmosphere. Valorising this translucent quality, the architect exalts once again the stone in its inseparable relationship with light, giving it a double existence: the alabaster of those solid, iridescent and sensual screens shows its usual aspect when it is hit by the incident light but can also live a second nature, latent in its structural
code but revealed only through the filtering luminous energy. In this way the half-permeable tectonic box, contained in the stereotomic solid, becomes an active luminous source expressing colours and illumination qualities uniquely in the visual and tactile limit of its surface. With the enlargement of the seat of the National Medical Service in Almeria (1999-2002) the study of Campo Baeza on the theme of tectonic surfaces explores the potentialities of movable stone screens. The building is configured as an elementary volume totally covered with lumachella stone plates, both on the facades and the covering. In this work, the stone material compounds a subtle and changing functional box, constituted by fixed parts and schemes of movable plates put together to give life to a shadowing system. Baeza, in fact, designed pairs of 90x90m squared stone screens that, in correspondence of each window, can slide or rotate on metal props getting different orientations; as eyelids, they can be totally opened, half-closed or hermetically juxtaposed to regulate the natural luminous rays and to guide the look of the people in the rooms inside.
Biblioteca, Orihuela, 1992
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In this case the tectonic surface gets a kinetic characteristic: from the inside the movable stone, graduated in different levels of rarefaction, modulates the intensity of light in the spaces; from the outside “the positions of the storms-windows (opened, closed, semi-rotated) determine the formal tract of the architectural work in function of the exhibited shadow intensity. […] The stone surface gets the role, in this way, to express the relationship open/close, while the light – through the shadow – designs its project on the stone”3. In the asset of total closure the tectonic box get the aspect of a stereotomic solid; in the configuration of intermediate or total openness it denies, more or less decidedly, the archetypical inertia of the stone. The manifestation of the ambivalent nature of the tectonic surface characterized by the kinetic point of view is evidently a central point in the development of Alberto Campo Baeza’s architectural poetics; the new offices and commercial spaces of the Benetton group in Samara re-propose this theme pushing it to results of particular refinement. The building, being realised at the moment, is located in the centre of the Russian city and occupies the space of an old building now pulled down. The structural grid of the building in reinforced concrete remains exposed with its net and simple perpendicularity materialised by the light grey tone of the cement; the first two commercial floors are protected by continuous and totally transparent glass surfaces, while the last three floors destined to the offices are screened by large plates in Carrara marble of vertical format, put together to fill in the structural grid. In the Samara building Campo Baeza upturns the “traditional” progression of architectural languages, from the opaque and closed ones of base levels to the open and transparent ones of the top; in fact on a base totally permeable to the sight he creates the tectonic movable palimpsest of stone plates, completely wrinkled and vibrant of chiaroscuro effects when the elements are open with different graduations; or compact, smooth and monochromatic in the whiteness of the marble if the plates are positioned in a fully closed asset.
1 Alberto Campo Baeza, La idea construída (1996), cited in Antonio Pizza, “La ricerca di un’architettura astratta. Alberto Campo Baeza” p. 12, in Alberto Campo Baeza. Progetti e costruzioni, Milano, Electa, 2000, pp. 173. 2 About this see Pizza, op. cit., pp. 20-21. 3 Alfonso Acocella, “Costruire con la pietra, progettare con la luce” p. 64, in Vincenzo Pavan (ed), Nuova estetica delle superfici, Faenza, Gruppo Editoriale Faenza, 2005, pp. 157.
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Claudio Silvestrin. La veritĂ ne La cava
Piazza Entre Catedrales, Cadice, 2000-2009
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Stone, light, time in La Idea Construida “La Idea Construída” has already been used as the title of a recent Alberto Campo Baeza essays’ collection and is now the name of PIBA Marmi’s exhibition space conceived by the Spanish architect for the 2009 edition of Marmomacc exhibition in Verona. The link between mind, language and action concentrated in this title has actually been Campo Baeza’s main object of theoretical elaboration for several years, since his first didactical experiences in 1986 as projecting professor at Madrid Escuela de Arquitectura. So “La Idea Construída” becomes the expressive sign of a method repeating in elaboration after elaboration, work after work, and based on the assertion of a concept related to shape and light, and on the consequent “construction of an idea” in order to give life to a structure and a place. Each step in his career as a projecting designer shows, analyses and declares, like in a motto, the visions and models, often archetypical, that are the bases of his activity: light and gravity, hortus conclusus, contemplation of the sea, impluvium of light. In this context as well, PIBA Marmi new pavilion took shape starting from two fundamental conceptual inspirations/projecting themes: the valorisation of the relationship between stone and light through a dynamic and changeable luminous approach (“eppur si muove – yet it moves”, according to Campo Baeza) and the composition of an archaeological antiquarium. The interior space of the structure appeared to the visitors as a void space for stopping-by and meditating, completely dominated by penumbra and signed by the slow passage of luminous rays on the natural surface of the stone. The setting showed in its outside the design elements by PIBA Marmi, disposed as in a wall gallery, like finds of an antiquity collection, and accompanied by historical reproductions of classic sculptures lent for the occasion by Florence Accademia delle Belle Arti. The interior space, cubic and minimal, expressed a sum of long elaborations operated by Campo Baeza on the relationship among the gravity force of the stone, pure geometries, luminous static or dynamic energy, and the perception of time flowing; the collection of antique and contemporary “memories” added a further degree of interpretation of the relationship between the work of men and the temporal dimension, in a mosaic of refined poetic shapes and proportions. Yet facing a project characterized by a transient nature as an exhibition pavilion, with La Idea Construida Alberto Campo Baeza once again gave us a deep reflection about the timeless values of thinking and realizing architecture. In contrast to the
pervasive spreading of seductive but fugacious architectural images, the rigorous proposal of the Spanish architect for PIBA Marmi pavilion got corporeality starting from two themes inextricably linked to the archetypical themes of gravity, space and time, on which architecture has always grounded its bases.
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Gravity and Space, Light and Time Gravity builds Space, Light builds Time, gives reason to Time. Here are the central topics of Architecture: the control of Gravity and the relationship with Light. The future of Architecture will depend on the new possible comprehension of these two phenomena.”1 Alberto Campo Baeza’s relay on the timeless value of Gravity and Light in architectural construction is strongly and repeatedly stressed in his works as well as in the numerous theoretical contributions published since the end of the ‘70s till nowadays. Gravity force and luminous energy are considered decisive and fondant factors of architecture; these elements are transferred to contemporaneity thanks to the deep awareness of History, that, according to Baeza, is a vivid and inextricable presence to be valorised in a process of continuous deconstruction, analysis and re-interpretation of its archetypical elements and languages. Among the various models which the architect recalls, the Pantheon in Rome is cited several times as an absolute reference (also in the case of this pavilion), appreciated for the peculiarity of its oculus that allows the continuous passage of the solar luminous flow; a natural, changeable, dynamic light filters through the big opening constructing a huge sundial that makes the dimension of Space and the progression of Time comprehensible. For Campo Baeza, then, the idea of Gravity is linked to the presence of Stone, and even when he doesn’t employ stone materials, his architecture remains conceptually stereotomic; it is originated in the mass and from the mass, and it’s time after time dug, cut, fractioned in big formats, being conceived anyhow as architecture of gravity and delimitation; the assertive purity of his constructions – even if elaborated for lightenings, entailments or perforations – has always been clearly readable in the net standing of filled solids or empty prisms. Also the stone chamber of “La Idea Construida” brought all the characters described above; temporary work of little dimensions but not less complex than the Spanish architect’s other permanent works, it was instead thought as a dense synthesis of its compositional poetics; the tints and the material textures of the marble took the place of the blinding total white of Campo Baeza’s buildings, and light in its various manifestations – horizontal, vertical, oblique – was more than ever “supreme principle of architectural structure and space qualification.”
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An antiquarium for the contemporary design If museums have a closed and controlled physical dimension, punctuated in a rational and sequential way, the antiquarium – indoor or outdoor – can have an open structure configured more as an aesthetical event than as a syntactical narration. 2 Sparse fragments from different ages are disposed in the antiquarium, generally as a wall setting; parts of sculptures, plates in relief, architectonical elements removed from ruins or collected in archaeological expeditions, find their own place of conservation, in front of which the visitors can taste a privileged relationship with unusual findings that they otherwise couldn’t have the occasion to see. Accumulation and redundancy are indeed the keywords in order to comprehend the concept of antiquarium as a dispositive depositary of memory, as storage of the stratifications of recalling, multiple relays of objects that are disposed in varied, crossed or inverted series. More than for its museographical project, the antiquarium is interesting for us for its strong significance of perceptive experience focused on the vision of details in a palimpsest of elements, through which the activation, even occasional, of figural, typological and symbolic relationships based on analogy or contrast can be realised. As a style linked to cultivated collectionism but also to merchants’ interest in the commerce of art pieces, the antiquarium started to spread during the 17th century and reached the peak of its diffusion between the second half of the 18th century and the first decades of the 19 th, with the affirmation of classicist and historicist culture in the United Kingdom, France, Germany, Italy, and successively in the United States. Emblematic example of this apogeal moment is the antiquarium at John Soane’s house museum in London, realised by the English architect and archaeologist between 1808 and 1837. Soane’s consistent antique collection, that contains original finds but also numerous reproductions in chalk, covers the walls of different rooms of the house concentrating in the double-heighted big space of the Dome, projected exclusively to spectacularly accept the core of the antiquarium collection. 3 In the dense and apparently confused commixture of pieces, everything is calculated according to criteria of dimensional and proportional assonances: the architectonical elements don’t follow the dispositions they had had in the original buildings because of exigency of composition and symmetry; sculptures aren’t disposed in chronological order because of the will of creating an astonishing horror vacui, in an emotional setting that must be appreciated not only for the preciousness of the single
elements composing it but also for the visionary and poetical intensity of the ensemble. Soane’s masterpiece allows us to fully reach the value of the antiquarium as a powerful instrument of visible communication susceptible of multiple compositional, geometrical or material interpretations; Alberto Campo Baeza distils the traditional characters of this expositive implant in ‘La Idea Construida’ pavilion, creating a mosaic of antique and contemporary pieces perfectly equilibrate in shapes, proportions and chromatics. He fully valorises the historical casts and the contemporary design elements, selecting and disposing them in a harmonic palimpsests according to a sapient dialectics of contrasts and assonances contaminating sculptural arts, craftwork and design; for Baeza, the incursions of the Antique in the Contemporary, and vice versa, materialise with immediacy and evidence the dimension of Time, basic principle – as seen before – of his architectonic poetry. The pieces of marble design transmit once again the idea of substantial massive presence; their elementary solids are deliberately animated by minimal asymmetries and by incorrect oblique axes; their surfaces are accurately textured and put together smooth and silk-like drafts with rough and veined developments. An Etrurian antefix, a metope from the Parthenon or Hercules’ vigorous and sensual torso present full masses and deep cavities, more or less profound reliefs of limbs, drapes, vegetal ramifications. Thanks to this unusual and suggestive figural world, and sublimating the aesthetical performance, the architect leads the exhibition choice to a subtle and merely visual syntactical game, made not of chronological succession or symbolical recalls, but uniquely imbued with links between plain or linear shapes and full-relief volumes, with chiaroscuro gatherings and rarefactions of lights and colours: in this way, with the sobriety and the refinement that have always characterized him, Campo Baeza demonstrates that, for such a project of contemporary setting, the antiquarium is the only possible choice.
Alberto Campo Baeza, La idea construída (1996), cit. in Antonio Pizza, “La ricerca di un’architettura astratta. Alberto Campo Baeza” p. 12, in Alberto Campo Baeza. Progetti e costruzioni, Milano, Electa, 2000, pp. 173. 2 See the considerations in Pier Federico Caliari, Museografia. Teoria estetica e metodologia didattica, Firenze, Alinea, 2003, pp. 231. A critical essay about Joan Soane’s house-museum (see below in this article) can be found in the same volume. 3 For a first approach to John Soane’s work see John Summerson, David Watkin, Tilman Mellinghoff, John Soane, Londra, Academy Editions, 1983, pp. 123; Margaret Richardson, Mary Anne Stevens (a cura di), John Soane architetto 1753-1837, exhibition catalogue, Milano, Skira, 2000, pp. 317. 1
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Three conversations with Alberto Campo Baeza A drilled and movable stone wrapping Verona, 1st October 2005 Davide Turrini: The Spanish Medical Service building in Almeria is shaped as a compact volume totally covered with stone, both on the facades and the covering. In this work the stone materials shape movable plates for the creation of a shadowing system that modulates the presence of light in the rooms inside the building. Why have you chosen stone to create these subtle, drilled and changing screens, when contemporary architecture is more and more characterized by the presence of involucres made of glass, plastic, ceramics or metal? Alberto Campo Baeza: The building was conceived as the enlargement of the old original structure of modest architectural quality, in a part of the city of marginal importance. I’ve immediately thought of creating a sort of theatrical landscape, which somehow valorises with its presence the “tone” of the urban surroundings, with the stone of the local constructive tradition. It’s the lumachella, a sedimentary lithotype rich in marine fossils that I used to transmit a series of values very important to me and linked to the genius loci, and to the construction and duration of architecture. I needed an authentic, solid, opaque material, with a chromatic nuance and a material grain of particular softness. The stone material was the only one to guarantee all these qualities; hence I chose stone also to create the movable parts of the architectural wrapping. In this way the building appears sober, radical in some aspects, it is all-stone and its characteristics are those of stone, I added nothing to that. Glass and metal wouldn’t have been so sincere and generous. DT: Let’s talk about the process that led to projecting and building these movable stone screens. ACB: The work, which occupies completely a long and narrow space, is configured as a stone box open on the north side thanks to subtle engravings that give light and air to little service rooms, and on the south side thanks to larger windows for which I studied a system of screening made of stone plates; these plates move thanks to a metal connection that fixes them and change their positions, modulating the illumination inside the offices. I’ve studied myself this system, elaborating the executives in strict collaboration with the very skilful blacksmith from Cordo-
ba that subsequently manufactured it. After some first drawings made in my studio, the artisan proposed a way to improve the project and then we made further corrections. The most delicate problems to be solved concerned the integration between the stone and the fixing system and the dimensioning of the metal connections in order to let them sustain the weight of the stone plates. In the end we’ve reached an optimal result, an efficient and essential mechanism that allows stone to move rapidly and very precisely. So the façade is characterized by an external continuous stone covering and by an inner surface where the transparent shutters are collocated. It is a “thick façade”, between the two surfaces there is the space where the stone plates are located when they’re completely open, together with the cupboards and the other furnishing objects that can be used from the inside in the offices. DT: Let’s get back to the lumachella stone. What are its characteristics? Where are its quarries? ACB: The lumachella is quarried near Alicante. It is a splendid Mediterranean stone, a marine limestone rich in fossil inclusions, in seashells evident in the texture of the stone… and Almeria, as well as Alicante, is a sea city. I’m very affectionate to that stone, very widespread in the architectures of Cadiz, my hometown, located between the Atlantic and the Mediterranean. DT: In your projects you always assign a very important value to the material and light qualities of the interior spaces. Among the numerous buildings I recall the Savings Bank in Granada, in which the light proceeding from above or from lateral sources plays a fundamental role. What’s the meaning of the concepts of mass, light and introverted space according to you? ACB: Effectively mass, light and introverted space have a significant meaning in the definition of my architecture and I constantly focus on them. I always try to create central spaces strongly characterized by the presence of columns, pillars, walls, lights and shadows: I think to the Bank in Granada but also to the Library of Alicante. Nevertheless it’s not always possible to create works that, for their dimensions and their functions, can express such a highly evocative spatial meaning. The offices in Almeria are a little service building, a “functional building”, yet I’ve not renounced to a careful study of the light in relationship with the spatial qualities of the interior spaces and to the visual limits of the outside. I projected a transparent “belvedere” on the roof, the only point from which one can see the
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sea and the horizon. I thought to a system of movable stone plates that open, half-close or completely shut down as eyelids, in several graduations that regulate the illumination and guide the look of the people living the rooms inside. Surely there will be a less spectacular, less theatrical light, but it still remains one of the fundamental themes of the project. It’s not to be forgotten the importance of the strict relationship among light, space and architecture, History tells us so and it’s our duty to consolidate it time after time in the contemporary projecting. Travertine, luminous and eternal stone Lucca, 15th January 2007 Davide Turrini: In Campo Baeza’s work the use of travertine, stone of ancient archaeological remains but also of the architectures by great contemporary masters as Mies van der Rohe and Louis Kahn, is very recurrent. Why do you employ this material so frequently? Alberto Campo Beaza: As a 3rd millennium architect, I defend the role of stone as material of the contemporary age. Before me masters as Le Corbusier, Mies and Kahn, my points of reference, engaged in this defence, visiting the ruins of the Greek and Roman antiquity, surrounding themselves of stone, touching, evaluating, shaping and re-proposing it in their works. Architectures as the Barcelona Pavilion, Farnsworth House or Kimbell Museum demonstrate that stone is ageless and that the travertine in particular reunites the Ancient and the Modern, becoming synonym of gravity destined to resist the flowing of time. I often employ the travertine because, more than any other stone materials, it can give a long duration to my creative act, I use it I particular for the floors, in big formats with important thickness, for I believe men live forever and will live forever on a horizontal floor made of solid and resistant stone. In Inca, at the Innovation Technology Centre, besides a large floor, I realized in Roman travertine the walls of the building that I’ve imagined as a “hortus conclusus”, open to the sky and to the exterior space. The travertine, in addiction, extraordinarily interacts with light: in the Bank in Granada I’ve made a travertine flooring in the big hall, so the zenith rays entering the building and hitting the horizontal surface activate in this stone an authentic chromatic and material “symphony”. The travertine is therefore a luminous eternal stone, it belongs to the past, the present and, above all, the future.
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DT: And is there still some stone in the most recent Campo Baeza’s architectures? ACB: I’m realizing a house near New York for two very cultivated and intelligent clients, they’re the Olnick Spanus that wanted a residence facing the wide horizon of the Hudson river. For them I elaborated a solid and compact podium in cement with a transparent covering volume in order to look at the landscape and the sky; the horizontal surface on which all the architecture is based and on which all the light converges is once again made of travertine. A kindergarten as well, that I’m projecting in Treviso for Benetton, will have a hall with a stone floor conceived to collect light. In Zamora, instead, I’m involved in the project of a building set in the historical centre of the city and I’m elaborating a new declination of the “hortus conclusus” theme; I imagine, in fact, a garden limited by a high and thick stone wall, built with the same local stone the nearby medieval cathedral is made of. DT: You faced Roman travertine, Italian marbles, but you also work with the stones of your country in order to connect your buildings with the genius loci; about this, you’ve just talked of the project for Zamora, but I also think of the Alicante library or to the Medical Service offices in Almeria. ACB: Spain has several high-quality stone materials: slates and granites from Galicia, Andalusian limestone, black and white marbles. I’ve employed several times in my works the Macael marble, very common in Spain, cheap and resistant, or the golden and warm lumachella stone. I don’t think about quality or beauty primacies among the stones of the different places, I think every project needs its stone. If a Spanish project needs a Roman travertine I don’t hesitate and I employ an Italian stone in an Iberian country, or vice versa. Each architecture precisely needs the characteristics and the meanings of one single stone, or of maximum two stone materials that can adapt to the specific case. All the stones have the same dignity and they must be respected and valorised in their own nature.
An antiquarium and a setting in Carrara marble Verona, 30th September 2009 Davide Turrini: the project for La Idea Construida pavilion, signed by Campo Baeza for Pibamarmi at the 44th edition of Marmomacc exhibition, is characterized by the theme of the antiquarium. Why did you choose to exhibit contemporary design pieces as they were archaeological findings in a gallery? Alberto Campo Beaza: I’ve made this choice because I believe the antiquarium dispositive is extremely fascinating and powerful; I had in my mind the antiquarium at Capitolini Museums in Rome that had always hit my attention for its composition of big marble fragments, of colossal head and limbs of the Constantine’s statue collected in front of the visitors in a little space very dense in visual memories and suggestions. So I decided to give life to a previously unseen antiquarium that wants to valorise contemporary stone design pieces together with refined reproductions of ancient statues lent by Accademia di Belle Arti of Florence. The result of this palimpsest of pieces allows to watch the stone very closely and to clearly perceive the dimension of time. Stone and time, two fundamental elements of my architecture. DT: In this setting there is the reproduction of the light brought by the sun in order to dynamically illuminate a chamber completely covered with Carrara marble. ACB: Yes, I thought once again to an Italian image, that is to say the Pantheon with its oculus in the covering from which the solar rays enter and mark the passage of time on the floor and on the walls. So I wanted to create a chamber caved in the stone, disposed to receive the caresses of the sun reproducing the universal relationship between light and stone materials. The Carrara marble was the only material able to fully create this “exercise of stone and light”; it’s an historical material, of sublime quality, a warm, rich-coloured and luminous one, able to accept solar light and give back marvellous tints and reflections. The image of the whiteness of the Carrara marbles, fixed with high frequency in the tradition, actually hides an extraordinary richness in variants of colours and textures: these materials can be white, with more or less intense cream or blue-grey nuances, reaching in some cases the stronger tints of the dark grey; the textures can be lightly or decidedly veined. For the pavilion I employed the Lavagnina White, quarried in Carrara in the homonymous cave of the Colonnata area on the slopes of Cima di Gioia. This marble is characterized by a homo-
genous light grey tone with darker veins; I used it in big square formats, composed to continuously cover the walls and the floor of the chamber; for the surface I chose a silk-like finishing, soft to the touch and to the straight light, smoothed but not lucid. A Greek white marble, compared to this, would have been too homogenous, too artificially perfect, it wouldn’t have been so brilliant in being caressed by the flowing of luminous rays. This Carrara marble owns a splendid and stimulating variatio, with its subtle veins, with its soft and elegant grey nuance, with its natural grain, I think it’s incomparable. DT: What’s the role of stone in the 3rd millennium architecture? ACB: Talking about contemporary architecture, people often get wrong: they think that creating contemporary buildings simply means employing new, breakthrough, strange or bright-coloured materials. But the true architecture has a very long time, or maybe it is timeless, and stone is the only material that lives an outer existence, parallel to the strictly temporal dimension; stone registers and reflects the flowing of decades but survives at the same time, becoming every time stronger and more sublime. Stone is not old, or classic, or completely contemporary. I’m a contemporary architect, projected to the future, and I employ stone. Each architecture on my design desk or in my construction sites at the moment is made of stone: I’m projecting a box in Carrara marble for a building in Samara; I’ve recently completed a big marble horizontal surface that looks to the sea for a square in Cadiz. I keep believing that stone is able to materialize all the architectural ideas, from the simplest and most archetypical to the most elaborate and advanced. So, how could I be a contemporary architect if I didn’t use stone?
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Alberto Campo Baeza, sezione costruttiva del Centro di Innovazione Tecnologica a Inca, 1999
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Building ideas If the figure of Campo Baeza undoubtedly stands out in the contemporary scenario of the Spanish (and international) architecture, it is because of what this author’s choices don’t represent: in a context dominated by a desperate eclecticism on one hand, and by the enticements of the media trends on the other, Campo Baeza’s works positively demonstrate to be completely out of these tendencies. In direct opposition to the operational, and then linguistic, imprecision of the present professional world, the works of this architect show, contrary to many of his Spanish colleagues, a central key of identification and distinction starting from this fundamental requisite, distinctive and not subsidiary at all: we are, in fact, in front of an architecture generated by a strong compromise with the ideas, and not in front of a plainly functional or professional answer to the requests made by the urgencies of reality. It seems like a paradox – because it contradicts the noble history of our discipline, but, nowadays, it’s rather the majority of the current production to be genetically disconnected from solid and meditated projects, remaining victim of formal excesses or of trivial accommodations to market laws. Getting to understand this formative connection (idea-projectmanufacture) and knowing how to decode the conception that, acting as intermediary, creates a building, will lead us into the experiences that can’t do anything but exalt the qualities of Campo Baeza’s propositions, independently from his objective stylistic resolutions and from their pertinence to a specific abstract language. One of the first aspects to consider, being highly visible thanks to the work framed in its reality, is related to the rigorous and prismatic character of his three-dimensional ideations: a volumetric incisiveness that delineates closed, solitary and separate solids, not looking for inspiration in the comparison with “stranger” elements, but aiming to express all its properties in a process of autonomous elaboration that finds origin into the disciplinary domain itself: “mass, light and introverted space have a significant meaning in the definition of my architecture (…). I always try to create central spaces strongly characterized by the presence of columns, pillars, walls, lights and shadows”. Here a comparison with what’s happening in the world of artistic production can be useful: if, historically, at the thresholds of the 20th century, the principal claim of the so-called abstraction was to stress the intention of working with specifically pictorial materials (colours, shapes, space, composition etc.), refusing the
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obliged interaction with the world of the natural figuration, this particular kind of architecture echoes a similar assertion: reprise of the disciplinary components of the project, refusal of any heterodox directions, affirmation of a proposal autonomy. This is a way of conceiving projects that is completely opposite to any picturesque effect, even the one of the captivating hypertechnological iconographies. In this way the origins of architecture and its foundational archetypes will be evoked as materials to elaborate and translate in subsequent formalizations. It starts from the “stereotomy”, from the compact mass, the primeval stone block that is however processed, fretted, excavated, modelled – but never denied –, for a proper contextualization in the general conditions of the sense of the project and for the necessary adjustment to the will of the commissioners. Among the preconditions of this activity characterized by ancestral connections, we finds ourselves in front of a veritable “mysticism of light”: a luminescence that cuts, gives life, shape and meaning to the volumes in which it penetrates, or simply and softly touch them, setting on the surfaces in a dazzling whitening. In fact Campo Baeza recalls: “The skilled painter knows how to perfectly use the quality of the white surface in order to directly translate the Light that, coming from the Sun, penetrates in the space; and the white colour in Architecture is more than pure abstraction. It’s a safe and efficient base to working with Light: to catch, reflect, engrave, and slide it. And the space is ruled with the ruling of Light, illuminating the white surfaces that compose it. A great confidence in this forging resources and the nostalgia for a pure and original condition emerge, filling the projecting operation with cathartic values; the architect somehow recuperates his demiurgical abilities in the moment he manages to move and let himself move, to redeem himself and the users of his spaces, thanks to renewed synthetic skills. The luminous fluxes, then, will be highlighted in order to form a basic ontology that is dominated by the debate between the two conceptual issues of “stereotomy” and “tectonics”, between the material, obscure, opaque and heavy cave and the superior liberating lightness of the glass. The light itself will guide this path of dematerialization, getting to sublimate the telluric cave-like quality and exalting transparency, crystallinity, and ethereality. Light, then, as we know, introduces in the space the concept of Time; but it’s a temporal dimension that, as the author recalls, “make slowly disappear the superficial elements sometimes Architecture is coquettishly decorated with”. That is to say a
temporal conception that is freed from the Time of globalized megalopolises, of the terrible exploitations of humanity, of any inequalities (from social to environmental problems); hence it is a sort of classic meta-temporality that overpasses the limits of the material experience in order to reach a purely spiritual and a-temporal dimension. This is a yearn that, moreover, isn’t contradicted at all by the accurate use, sometimes, of more ground-based substances as marbles and, in particular, the travertine. Nevertheless the consubstantial concern for a never-ending permanence is still perfectly perceptible: “...stone is ageless; the travertine in particular reunites the Ancient and the Modern, becoming synonym of gravity destined to resist the flowing of time”. Again, that’s why his insistence in the reiterated whiteness of his buildings and the instantaneous coagulating of the transcendental universe of light become parts of a manifesto that consider further conformations: not only, then, the search for a sterile manneristic a-chromaticism, maybe more delicate and abstract than colours explosions, but the configuration of a symbolic value with several possible concretizations: “the white colour is symbol of the endless, of the universal in Space and of the eternal in Time. And, eventually, Time inevitably makes our hair become white, as happens to Architecture.
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Bibliografia_Bibliography
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