Manuel Aires Mateus. Un tempio per gli Dei di Pietra

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L I T H O S Collana diretta da Alfonso Acocella



Davide Turrini

MANUEL AIRES MATEUS Un tempio per gli Dei di pietra


Davide Turrini

MANUEL AIRES MATEUS Un tempio per gli Dei di pietra

Coordinamento Editoriale Editorial Coordination Antonio Carbone Progetto Grafico Graphic Design Maria Teresa Quinto Stampa Printing Centro Grafico Foggia / Italia Traduzioni Translations Paolo Armelli Crediti fotografici Photo credits © Peppe Maisto per le fotografie di Un tempio per gli Dei di Pietra e per i ritratti di Manuel Aires Mateus © Daniel Malhão (pp. 10, 12, 14, 16, 21, 61, 62, 70, 85) © Fernando e Sergio Guerra (pp. 19, 66, 73) © João Morgado (pp. 87) Disegni (pp. 48, 49, 55 a destra, 56, 57) Drawings (pp. 48, 49, 55 on the right, 56, 57) Emmanuele Visieri Prima Edizione Maggio 2011 First Edition May 2011 Casa Editrice Librìa Melfi / Italia ed.libria@gmail.com www.librianet.it ISBN 978 88 96067 62 8

Produzione Production from Pibamarmi Chiampo/Italia www.pibamarmi.it Tutti i diritti di riproduzione, anche parziale del testo e delle immagini, sono riservati.


Sommario_Contents

Astrarre la materia, concretizzare lo spazio

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Un tempio per gli Dei di pietra

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Il tempio Gli Dei Gli eroi

Cavità litiche

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Un progetto di total design per l’ambiente bagno

Nient’altro che materia e spazio

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Intervista a Manuel Aires Mateus

Lo Spazio è il tema Alfonso Acocella Bibliografia

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Making materials abstract, and space concrete

Un tempio per gli Dei di pietra

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The temple The Gods The heroes

Stone cavities

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A total design project for the bathroom furnishing

Nothing but materials and space

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Interview to Manuel Aires Mateus

Space is the theme Alfonso Acocella Bibliography

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«Quando una rovina ha pareti con una materialità tale da catturare aria e luce, quando in essa la gravità costituisce ancora lo spazio, allora l’architettura si mostra a noi apertamente, spogliata di ogni elemento, nella sua forma più radicale. La nudità pura della struttura ha di per sé la potente intensità delle costruzioni più essenziali. Le mura di molti resti romani, che ci commuovono, agiscono in questo modo». Alberto Campo Baeza, [sulla Casa ad Alenquer di Manuel e Francisco Aires Mateus], “A handful of air”, 2G n. 28, 2004, p. 46.

«When a ruin has walls with a materiality so capable of trapping air and light, when in it gravity still constructs the space, the architecture openly exhibits itself to us, divested of everything, in its more radical form. The pure nakedness of the structure is wont to have the forceful intensity of the most essential architecture. The walls of many Roman ruins, that move us, work this way». Alberto Campo Baeza, [about the House in Alenquer by Manuel and Francisco Aires Mateus], “A handful of air”, 2G n. 28, 2004, p. 46.

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10 Centro culturale di Sines, 2001-2005


Astrarre la materia, concretizzare lo spazio

Nell’opera dei fratelli Mateus si legge «il desiderio di trasformare lo spazio in cosa concreta; il vuoto diviene materia prima dell’architettura»1. Con queste parole Gonçalo Byrne, descrive un dato primario della poetica costruttiva di Manuel e Francisco Aires Mateus, suoi allievi che dal 1988 lavorano autonomamente, riuniti in uno studio associato. La formazione nell’ambiente della cultura architettonica portoghese contemporanea, contrassegnata da importanti personalità come quella dello stesso Byrne, di Tavora, Siza e Souto de Moura, non ha impedito ai due architetti di Lisbona di elaborare uno stile caratterizzato fin dagli esordi da un’evidente riconoscibilità, frutto di un’incessante e rigorosa ricerca condotta appunto sullo spazio e sulla materia2. Le opere dei Mateus sono così caratterizzate da forme scultoree che si stagliano pure e conchiuse in se stesse, accessibili soltanto attraverso rari tagli netti o sottili fessure. Il principio generatore di tali architetture è quello della continuità di superficie, di una piena omogeneità di tessiture materiche che si estendono piatte, o si ripiegano, a creare corpi solidi, chiaramente leggibili come volumi di accentuata tridimensionalità o come semplici setti murari, sempre costruiti per comunicare un carattere di permanenza. Con grande frequenza le stesure parietali sono lapidee e sono realizzate in forma di rivestimenti pseudoisodomi, reiteratamente stratificati in senso orizzontale, a tratti interrotti da vuoti sensibilmente ombreggiati che accentuano il carattere geometrico del dispositivo litico, che per gli architetti è pura stilizzazione contemporanea di una stereotomia muraria archetipica, salda ed essenziale. «Il muro di pietra è una delle più alte declinazioni architettoniche della materia, è ideale per definire e conchiudere lo spazio delle mie opere, che vedo come “contenitori di vita” destinati a durare. Voglio rapportarmi con la continuità della Storia e la pietra mi permette di farlo poiché resiste al trascorrere del tempo; stratificata nel dispositivo murario essa esprime un’idea di permanenza che mi sembra fondamentale per la realizzazione di edifici significativi per dimensioni e destinazioni funzionali in riferimento alla città»3. Gonçalo Sousa Byrne, “Un rudere ricostruito”, p. 30, in Manuel e Francisco Aires Mateus. Casa isolata ad Alenquer, Casabella n. 700, 2002, pp. 30-37. Sulla formazione dei Mateus e sul rapporto tra la loro poetica architettonica e le esperienze progettuali di Tavora, Siza e Byrne si veda Alberto Ferlenga, “Lievi masse”, pp. 82-83, in Alice Perugini, Aires Mateus. 3 progetti, Casabella n. 743, 2006, pp. 82-97. 3 Manuel Aires Mateus in Davide Turrini, “Nient’altro che materia e spazio. Intervista a Manuel Aires Mateus”, in questo volume a p. 59. 1 2

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Rettorato dell’Università di Lisbona, 1998-1999

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Rettorato dell’Università di Lisbona, 1998-1999

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È Manuel Aires Mateus, in una recente intervista, ad assegnare con queste parole un primato alla muralità litica, tema che con il fratello egli ha più volte rielaborato in realizzazioni complesse, pensate per trovare un rapporto di commisurazione con il contesto, affermando sì la loro presenza ma in una relazione dialogica con un intorno materiale precostituito o, piuttosto, con una certa “idea materica” di città. È il caso del Rettorato dell’Università di Lisbona (1998-99), calato nell’ampio tessuto della capitale illuminista e del Centro Culturale di Sines (2001-05), vicino ad un castello medievale. Entrambi gli edifici dimostrano che per i Mateus la materia è un elemento fondamentale di lavoro e, declinata dal punto di vista costruttivo, essa risulta imprescindibile per poter distinguere l’opera dall’intorno urbano o dal territorio aperto e, allo stesso tempo, per far sì che l’architettura instauri un rapporto stretto con il contesto. Il Rettorato è un edificio dall’alto valore istituzionale, calato in un delicato equilibrio di riferimenti storici e simbolici che si materializzano nella presenza del limitrofo Collegio dei Gesuiti e del Parco di Monsanto. In tale scenario i Mateus risolvono la composizione con due soli volumi incastrati tra loro ad angolo retto: un corpo parallelepipedo verticale, alto quanto il Collegio, accoglie uffici e servizi; una piattaforma orizzontale, configurata come una scalinata-piazza praticabile, ospita sale per riunioni e conferenze. L’opera, completamente rivestita di pietra, è chiara e ambivalente ad un tempo; a seconda delle angolazioni di osservazione i suoi volumi si presentano come nitide masse marcatamente tridimensionali, o come piani sottili sui quali la densa corposità litica si distende per tradursi in pura astrazione cromatica e geometrica. Nelle architetture di Manuel e Francisco la predominante continuità della materia è resa maggiormente leggibile da rari episodi di lieve sospensione, cesura parziale, o interruzione decisiva; uno iato, una trama chiaroscurale o una netta fenditura possono discretizzare la stesura materica, esplicitandone la qualità e l’estensione. Ciò è riconfermato nel Rettorato dove l’omogeneità della pietra che ricopre il corpo verticale è interrotta, sul prospetto laterale verso la piazza, da una serie di aperture ricavate sostituendo tratti dei ricorsi del rivestimento pseudoisodomo con lastre di vetro a filo; un taglio continuo basamentale si aggiunge poi alle finestre conferendo all’impaginato parietale la connotazione grafica di una tessitura sospesa che si stratifica, salendo, sulla piazzastilobate plastica e compatta. Il palinsesto traforato conserva bordi pieni e continui, il debito nei confronti delle incisioni scure non soverchia il prevalente biancore della pietra, le proporzioni del prospetto rimangono marcatamente orizzontali; così, lo spesso muro litico non viene negato ma - colto nella sua essenza materica, geometrica e proporzionale - è tramutato in rinnovata icona archetipica bidimensionale, capace di dettare un codice figurale originale per la città storica e contemporanea. Nell’edificio universitario la spazialità interna è fatta di vuoti concreti, quasi matericamente palpabili poiché ricchi di riferimenti visivi e di punti di articolazione in cui le morfologie e le misure delle cavità sono scenograficamente presentate in un raffinato bilanciamento tra rivelazione e occultamento: camere di luce zenitali si innestano nei soffitti degli spazi distributivi; frequenti doppie altezze interrompono la scansione dei piani; lo sviluppo orizzontale del foyer d’ingresso muta direzione all’improvviso per farsi ascensionale, in connessione ad uno spazio-cerniera fortemente verticalizzato.

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Casa a Melides, 2000-2002

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A Sines l’impianto dell’edificio destinato ad attività artistiche e culturali è modellato sul passo e sulla giacitura degli isolati storici cittadini, mentre la volumetria nitida e verticale dei corpi di fabbrica rivestiti di pietra si relaziona, ad una scala per certi versi monumentale, con la fortezza che domina l’abitato. All’esterno l’architettura si presenta come una composizione di blocchi litici, chiusi e compatti, sospesi a ponte su muri perimetrali che consentono di liberare da appoggi il piano terreno e di renderlo così ampiamente permeabile alla vista. Alla compattezza dell’involucro si contrappone una spazialità interna aperta e flessibile, dove un’articolata sequenza di ambienti viene riunificata dal biancore smaterializzante delle pareti e da una stesura pavimentale marmorea levigata e ininterrotta. La volontà dei Mateus di dare forma ad inediti costrutti archetipici per la contemporaneità si esplica nella realizzazione di nuovi edifici ma anche in importanti interventi di riqualificazione: infatti, con volumi addossati che creano ritmi di pieni e vuoti, con trame geometriche e scacchiere di luci e ombre, essi procedono a volte alla ricomposizione/riconfigurazione di brani architettonici preesistenti, come accade nella Casa ad Alenquer (1998) o nel Museo del Faro di Santa Marta (2007), altre volte alla ricucitura/ritessitura di palinsesti urbani storici, come nel caso dell’edificio residenziale nel centro storico di Moura (2005) o del progetto per un polo culturale a Benevento (2006). Il Rettorato di Lisbona, il Centro Culturale di Sines, a cui si aggiungono i recentissimi edifici Laguna Furnas nelle Azzorre, rappresentano gli esiti più alti di quella ricerca focalizzata sul valore plastico, volumetrico, e in ultima analisi geometrico della materia, nonché sullo spazio interno visto come entità autonoma capace di condensare qualità ambivalenti ma non necessariamente contraddittorie: nel cuore delle architetture degli Aires Mateus si aprono infatti, come si è visto, vani articolati e complessi, orizzontali o verticali, unidirezionali o animati da più assialità di sviluppo centrifugo o centripeto. Oltre il limite, dietro alle pareti che definiscono all’esterno l’edificio, viene disvelata quindi una spazialità ricca e seducente, delimitata da piani pavimentali e da soffitti su quote diverse, rischiarata da molteplici fonti di luce. «Si tratta di una ricerca “diretta, ossessiva, regolata”, che concentra la propria attenzione sul disegno del vuoto e sulla possibilità di rendere monumentale lo spazio interno lavorando sull’invenzione di luoghi inattesi e sulla difficoltà di percepirne le dimensioni reali» 4. Ecco allora che mentre la materia si fa viepiù astratta, lo spazio si concretizza divenendo quasi entità tangibile, modellata e costruita con sapiente disegno; i due elementi risultano legati in un binomio primario e complementare, bastante da solo ad alimentare il lavorio progettuale degli architetti.

4 Carlo Palazzolo, “Monumentalità a sorpresa”, p. 15, in Manuel e Francisco Aires Mateus. Rettorato della Universidade Nova a Lisbona, Casabella n. 710, 2003, pp. 14-21.

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Se le opere di Manuel e Francisco non dimostrano la predilezione per una tipologia spaziale precisa, evidenziano invece una cura insistita per la chiarezza degli spazi, che vengono disegnati compiutamente dall’inizio alla fine; da quelli di maggiore rilievo a quelli più piccoli e di supporto, essi sono studiati nelle dimensioni e nella morfologia in totale libertà creativa rispetto alle condizioni esterne e alla necessità di denunciare in facciata l’assetto della scansione interna dell’opera. Emblematici in proposito sono gli edifici Laguna Furnas; si tratta di una serie di costruzioni funzionali e di percorsi attrezzati per la fruizione turistica di una laguna termale incastonata in un habitat naturale di alto valore, dove l’orografia rocciosa insulare e la vegetazione hanno una forza formidabile. La pietra vulcanica locale, impiegata dai Mateus per comporre tessiture rettificate e omogenee con cui rivestire i muri e le coperture, ha conferito alle architetture l’aspetto di monoliti primigeni che ben presto, con la patina di alcune stagioni, sembreranno perdersi nella continuità del paesaggio. Ricercare una costruzione essenziale e sommessa, non ha significato per gli architetti imboccare scorciatoie nel processo progettuale tecnologico: tutta la materia lapidea è stata disegnata, ogni elemento costruttivo è stato studiato fin nei dettagli più minuti, come le parti angolari o di bordo dei rivestimenti, o i cambi di quota e di pendenza delle stesure pavimentali esterne5. Anche in questo caso gli spazi interni assumono una sostanziale autonomia, sono interamente foderati di legno naturale e, al contrario del volto esteriore dell’opera, sono autoriali, tonali, perfettamente distinguibili. Una volta di più un’intensa “volontà di forma” governa l’azione progettuale di Manuel e Francisco nella definizione di una spazialità densa e suggestiva, scavata nell’intimo di volumi architettonici elementari, impassibili e monocromatici.

5 Per un approfondimento su alcuni aspetti tecnologici dell’opera degli Aires Mateus si rimanda ai seguenti contributi: “Studentenwohnheim in Coimbra”, Detail nn. 7-8, 2003, pp. 774-777; “Rektoratsgebäude der neuen Universität in Lissabon”, Detail n. 11, 2003, pp. 1284-1287; “Wohnhaus in Azeitão”, Detail n. 4, 2006, pp. 346-349.

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Edifici Laguna Furnas, Isole Azzorre, 2010-2011

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Con evidenza il linguaggio degli Aires Mateus si esprime coerentemente ad ogni realizzazione, attraverso poche affermazioni che declinano i concetti fondamentali di astrazione della materia e concretizzazione dello spazio; il lessico e la sintassi degli architetti sono chiari e potenti poiché sono il frutto di un rigoroso processo di perfezionamento, prolungato nel tempo e condotto a tutte le scale di intervento. Le residenze monofamiliari, realizzate a partire dal 1998, sono state un fertile laboratorio sperimentale di riduzione formale e articolazione spaziale, che ben presto è divenuto simbolo di una poetica del tutto originale. Gli spazi in bianco e nero delle Librerie Almedina, progettati tra il 1999 e il 2007, sono puri esercizi di astrazione geometrica, condotti questa volta a prescindere dalla materialità dell’architettura; in essi la costruzione è completamente decontestualizzata e coincide con l’estrusione di forme primarie, riguardabili come nuovi archetipi in nuce. I grandi edifici istituzionali sono stati progettati in parallelo alle realizzazioni di minore dimensione, sono caratterizzati da notevoli valenze di rapporto con il contesto e rappresentano i capisaldi della stilizzazione archetipica dei Mateus, in cui la materia raggiunge la massima affermazione attraverso la forza della sua astrazione. Le costruzioni collocate nel territorio aperto, privo di qualsiasi coordinata architettonica o urbana precostituita, sono infine oggetto di studi più recenti; per risolvere tali opere la materia e lo spazio si uniscono in composizioni essenziali, che ancora una volta diventano riconoscibili come segni di uno stile governato dall’astrazione e dalla geometria: così le specifiche di un complesso scolastico, di un grande struttura ricettiva o di una torre multifunzionale, assumono quasi una fisionomia algebrica, il programma diviene schema progettuale in un processo assimilabile ad un’equazione, dove “l’astrazione della regola diventa astrazione della sostanza”6 finalizzata a creare archetipi contemporanei più che mai assoluti per forma e dimensione.

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Diogo Seixas Lopes, “Form, program, city. Public architecture by Aires Mateus”, Darco Magazine n. 7 (Aires Mateus Monografia), 2009, p. 36.

Centro culturale di Sines, 2001-2005


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Un tempio per gli Dei di pietra

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Un tempio per gli Dei di pietra

Il tempio La ricerca di una muralità litica continua, che si erge a delimitare un sistema complesso di spazi, è ribadita e rielaborata da Manuel Aires Mateus nel recente progetto per “Un Tempio per gli Dei di Pietra”, padiglione espositivo Pibamarmi realizzato a Verona in occasione della 45° edizione di Marmomacc e rimontato attualmente nello showroom aziendale. L’allestimento circoscritto da pareti compatte, si configura come un blocco di pietra rettificato, interrotto da quattro fenditure che danno accesso ad un insieme articolato di vani organizzati in ordini concentrici, separati da ulteriori setti murari. Prende corpo in questo modo una concatenazione di spazi riservati e gerarchici, pensati per ospitare le collezioni bagno firmate per il brand di Chiampo da Hikaru Mori, Philippe Nigro, VISTO aw. Nelle pareti la materia litica si stratifica in dispositivi che distillano le geometrie di remote opere murarie; negli elementi di design, scavati nello stesso litotipo, essa si condensa in forme scultoree essenziali, incluse in spazi intimi e inusuali, serrati e profondi, spesso accessibili soltanto alla vista. Nonostante la qualità di temporaneità insita nel tema progettuale, il padiglione appare come un’ulteriore conferma della forte tensione del progettista verso una disciplina architettonica contrassegnata dal valore della permanenza, poiché accanto ai dati materiali tangibili, anche le idee costruttive e spaziali - se espresse compiutamente e con forza - sono destinate a durare, almeno nella memoria. A confortare tale giudizio sono ancora una volta le parole recenti di Manuel Aires Mateus: «Un padiglione espositivo non è un tema da rifiutare in quanto effimero, anzi, più di un edificio completo, dotato di fondazioni e coperture, può rappresentare un’occasione per esprimere idee architettoniche importanti, che si possono imprimere con forza nella memoria del visitatore. Questo è stato il mio pensiero quando ho ricevuto l’incarico per realizzare il padiglione Pibamarmi; mi sono detto che il “tempo del padiglione” era in effetti circoscritto a pochi giorni ma il “tempo dell’idea del padiglione” poteva essere lunghissimo. Ecco allora che ho disegnato un’opera sì temporanea ma fortemente architettonica; nella dimensione minima di questo allestimento la materia e lo spazio, i miei unici elementi di lavoro, si esprimono in modo estremamente intenso»1.

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Manuel Aires Mateus in Davide Turrini, “Nient’altro che materia e spazio. Intervista a Manuel Aires Mateus”, in questo volume a p. 63.

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Come è consuetudine dei Mateus anche l’architettura del padiglione esprime un’elaborazione formale precisa e coerente: in essa riduzioni e sottrazioni sostanziali mirano ad alleggerire la massa costruita poiché della muralità litica in questo caso non si vogliono trattenere tanto i caratteri di gravità e corposa tridimensionalità, quanto piuttosto le peculiarità di rigore geometrico e continuità planare2; aggregazioni e articolazioni compositive sono poi finalizzate ancora una volta ad ottenere una decisa densificazione spaziale, creando varchi, spazi interesterni, camere passanti, cavità ampie o interstizi minimi, altamente congeniali - nell’insieme - allo scopo espositivo. L’idea di un “recinto sacro”, colto nei suoi caratteri essenziali di spazio conchiuso e gerarchizzato, ispira certamente questo progetto di exhibit design ed è richiamata alla mente del visitatore quasi nella forma di un’evocazione archeologica; varcata la soglia d’ingresso, il padiglione con i suoi setti murari liberi e minimali, che si stagliano privi di una connessione in coronamento, sembra materializzare di fatto l’immagine delle vestigia parzialmente disgregate di un tempio, poiché «come le rovine spesso si offrono alla vista in forme astratte, difficilmente riconducibili alle ragioni originarie, alleggerite, dunque, dal peso del proprio passato, così la massa nell’opera degli Aires Mateus perde pesantezza attraverso l’uso di semplici espedienti, […]. La conquista della leggerezza avviene circondando ogni pieno con un vuoto, frammentando gli edifici, confondendo costantemente spazi aperti e spazi chiusi»3. Gli Dei I muri del padiglione racchiudono una cella centrale e spazi laterali pensati per proteggere e rivelare al contempo pezzi di design litico per l’ambiente bagno. Questi elementi sono gli oggetti di culto del rituale legato alla cura del corpo e prendono forma dalla pietra per essere contemplati e, soprattutto, toccati; per infondere suggestioni e sensazioni di armonia e benessere con la loro semplice presenza visiva, e più ancora attraverso un’interazione completa, aperta e prolungata. Nello scenario della stanza da bagno contemporanea, basato su di una stimolazione polisensoriale immediata o sul piacere derivante dal ricordo duraturo di una percezione oggettuale e d’ambiente, tali elementi celebrano sommessamente una bellezza materica semplice e nuda, segnata da impercettibili inclusioni e venature, sfumata da lievi e irregolari porosità, che non svanisce col passare del tempo ma che trova nelle mutazioni date dall’invecchiamento una inesauribile fonte di ricchezza e rigenerazione. Ecco allora che questi nuovi Dei si spogliano di ogni abito di intangibile sacralità per trasformarsi in entità empatiche, che invitano in ultima analisi alla pratica di un benessere globale fatto di cure igieniche, estetiche e meditative.

2 Per un’esauriente analisi del tema murario nell’opera dei Mateus si rimanda all’imprescindibile Francesco Cacciatore, Abitare il limite: dodici case di Aires Mateus & Associados, Siracusa, Lettera Ventidue, 2009, pp. 141. Focalizzando la sua attenzione sulle residenze progettate dagli architetti, l’autore affronta le diverse declinazioni del limite, da semplice frontiera in cui la materia si addensa per marcare la distinzione tra interno ed esterno, ad entità spaziale spessa e concreta, riguardabile come un vero e proprio “muro abitato”. 3 Alberto Ferlenga, “Lievi masse”, p. 83, in Alice Perugini, Aires Mateus. 3 progetti, Casabella n. 743, 2006, pp. 82-97.

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Le vasche scultoree, i lavabi plastici, i piatti doccia espansi sono simulacri amichevoli che rinnovano nello spazio domestico il legame primigenio tra l’uomo e il mistero delle forze naturali espresse dalla pietra e dall’acqua; i sanitari sono pensati e realizzati infatti in funzione di un rapporto elettivo con l’elemento liquido: esso scorre sulla loro superficie diventando parte integrante del loro design. L’acqua si distende sulla materia litica, si rivela a volte libera, forte e transitoria, altre volte imbrigliata, discreta e immobile; muta da entità eminentemente funzionale a presenza emozionale che amplifica la percezione della pietra esaltandone la facies cromatica e tessiturale. Gli elementi per l’ambiente bagno sono frutto di una concezione tutta contemporanea del prodotto di design, ormai distante dalla civiltà della standardizzazione industriale e totalmente calata nell’ambito di una rinnovata produzione artigianale di terzo millennio, in cui le più avanzate tecnologie di lavorazione automatizzata convivono con la sapienza tradizionale del fatto a mano, del pezzo unico fuori serie o della serie limitata e diversificata. I sanitari, infatti, sono perlopiù ottenuti per scavo di interi monoliti attraverso asportazioni progressive di materia effettuate con macchine programmate a controllo numerico. La perfezione, la continuità e la fluidità dei tagli permettono di ottenere forme plastiche dai profili puri, caratterizzati da contrapposizioni volumetriche di vuoti e di pieni, da contrasti chiaroscurali morbidi o maggiormente enfatizzati. Tutti i pezzi, comunque personalizzabili nelle scelte materiche e nelle dimensioni, sono risolti in superficie con poche studiate lavorazioni di finitura meccanica o manuale, che imbastiscono un sottile gioco di contaminazioni sensoriali e materiche; piani lisci e setosi, o puntinati e rigati, o più decisamente increspati da fitte scanalature ripetute, danno vita a pietre tessili o legnose, creando una scena minimale eppure intensamente stimolante, affinché il racconto dell’elemento liquido si sviluppi indisturbato e possa parlare i suoi molteplici linguaggi fatti di colori, riflessi, suoni e temperature sempre mutevoli. Così nei corpi degli Dei comunicativi e coinvolgenti che popolano la sfera visiva e tattile del tempio di Mateus, la materia lapidea, custode dell’energia ancestrale del mondo, trova un rinnovato connubio con l’acqua purificatrice e rigeneratrice, fonte primaria di vita e di riconciliazione fisica e spirituale. Gli eroi Al cospetto di questi nuovi Dei, nel silenzio e in un’atmosfera luminosa soffusa, sono ammessi gli eroi, i visitatori che sanno comprendere il rituale della pietra e che sono invitati ad entrare per vivere un rapporto privilegiato con le divinità, assumendone in parte le virtù. Nel regno litico e acquatico del bagno contemporaneo rappresentato nell’opera di Manuel Aires Mateus, i prodotti dedicati alla cura del corpo diventano le presenze rivelatrici di un nuovo organicismo, che supera le sole valenze igieniche per sconfinare in funzioni quasi terapeutiche fisiche e psichiche, basate sull’accoglimento dell’individuo e sull’attivazione, l’espansione e l’arricchimento di esperienze sensoriali ed emotive complesse; in questo modo i pezzi di design agiscono come media materici per l’esplorazione di nuovi orizzonti estetici e cognitivi. Il bagno diviene così il luogo dove pietra e acqua rinsaldano un legame intimo con il corpo umano e dove il soggetto, gli elementi tecnici e le pratiche di fruizione assumono connotazioni inedite e nuovi valori.

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Le superfici litiche ruvide o lisce, calde o fredde, secche o bagnate, a contatto con le mani, le membra e i piedi, stimolano l’individuo trasferendogli le temperature, i suoni e gli odori della pietra; dell’acqua il soggetto può incorporare l’energia del movimento scrosciante, o la quiete di un lento scorrimento, o ancora la dimensione riflessiva di uno specchio statico. In ultima analisi, l’elemento solido e il liquido, conducono l’uomo ad un piacere dato dall’unione con le cose del mondo e lo accompagnano all’apprezzamento di nuove atmosfere ibride e pastose, dove il primato della vista cede il passo alla compresenza paritetica con le sensazioni tattili, uditive e olfattive. Il bagno allora da ambito funzionale si tramuta veramente in luogo rituale privato, sensoriale ma anche formale e fortemente simbolico, in cui le opere di design litico sono disposte con attenzione a rappresentare inerzia, densità ed equilibrio, come segni distintivi di un approccio estetico nei confronti della realtà sotteso ad un ben preciso stile di vita. Si tratta di un modello esistenziale naturalistico, intimo e personale, in cui il corpo è collocato al centro della scena materica e, ricettivo ed attivo ad un tempo, si trova immerso in un arcipelago di elementi che si rivolgono ai suoi desideri più immediati o reconditi per soddisfarli in termini percettivi e introspettivi. In questo contesto la ricerca di un equilibrio contemporaneo tra uomo e natura si esplica rivalutando il quotidiano e l’importanza delle pratiche semplici, connesse ai concetti di intuitività ed esperienza. Per tale dimensione comportamentale e relazionale la pietra naturale, grazie al design di terzo millennio, modella un universo formale “morbido” e avvolgente che presuppone una percezione sottile e penetrante; la materia litica compone alla fine un mondo rilassante e appartato, fatto di oggetti invitanti che chiedono di essere avvicinati, esplorati con lo sguardo, ascoltati e odorati, vissuti con il contatto della pelle.

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Ciotola in ceramica cinese della dinastia Song, XI secolo d.C.

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Cavità litiche

Un progetto di total design per l’ambiente bagno Di frequente Manuel e Francisco Aires Mateus accompagnano le presentazioni dei loro progetti con fotografie di cave o paesaggi rocciosi, in cui si percepisce chiaramente l’alto valore assegnato dagli architetti non tanto alla massa in sé, vista nella sua interezza, quanto piuttosto alla forma solida erosa e scavata, e quindi al vuoto che in essa si apre1. Come sottolineano una volta di più anche queste immagini fortemente evocative, la cavità - o meglio la massa in negativo - è un tema di studio ricorrente nelle architetture dei fratelli portoghesi e di recente è stata declinata da Manuel alla scala del progetto di design, nella realizzazione di una collezione di elementi per il bagno in pietra naturale. La serie, ideata per il brand Pibamarmi, è caratterizzata da un design pragmatico, semplice e concettualmente immediato, che propone figure archetipiche di contenitori per l’acqua come il secchio, la tinozza, il catino. Si tratta di oggetti elementari, per certi versi rudimentali, che tuttavia sul bordo assumono la raffinatezza dei profili sottili e incurvati propri dei vasi e delle stoviglie di porcellana. Il progetto di design di Aires Mateus si è infatti concentrato sul contrasto tra essenzialità della massa e complessità del vuoto, sull’individuazione di volumi negativi svasati, disegnati secondo un profilo continuo e sinuoso, che smaterializzano monoliti troncoconici o parallelepipedi; in prossimità dei bordi le cavità così ottenute seguono un andamento flessuoso e affilato, ispirato alle forme di antiche porcellane orientali, sì arcaiche ma estremamente accurate ed eleganti nelle consistenze materiche e nei dettagli dei contorni. In questa sua prima esperienza di design Manuel Aires Mateus continua a rielaborare le figure care al suo mondo formale: esse prendono corpo come masse plastiche, o come volumi cavi, ottenuti attraverso un processo di asportazione di materia, nella fattispecie ancor più esplicito e ancor più enfatizzato poiché espresso in un contesto monomaterico unicamente dominato dalla presenza della pietra2.

1 Si rimanda in proposito a Juan Antonio Cortes, “Building the mould of space. Concept and experience of space in the architecture of Francisco and Manuel Aires Mateus”, El Croquis n. 154, 2011, p. 25 e p. 41. 2 Sul tema della massa monomaterica scavata si vedano anche le considerazioni dei Mateus riportate in Ricardo Carvalho, “On the permanence of ideas. A conversation with Manuel and Francisco Aires Mateus”, El Croquis n. 154, 2011, p.7 e p. 15.

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Le cavità degli elementi, per la loro particolare sezione, giocano con la luce in una gamma di penombre e ombre che si intensificano dal bordo, quasi piano, fino al fondo, teso e incurvato; anche alla scala oggettuale il progetto dell’architetto lusitano affronta la complessità dei caratteri sottesi al disegno del vuoto, alle sue diversificate morfologie e dimensioni, alle sue condizioni di illuminazione e, soprattutto, alle dinamiche con cui esso viene percepito ed esperito dal fruitore. Dalla serie di elementi tecnici allo spazio del bagno, per Aires Mateus il design di prodotto si integra poi organicamente con l’interior design, approdando ad un concetto di total design dell’ambiente dedicato all’igiene e alla cura del corpo: il valore complessivo dell’azione progettuale sta ancora una volta nella chiusura, nell’enucleazione spaziale, nell’individuazione di un ambito definito da superfici litiche in cui gli oggetti sono collocati in un rapporto di dialogo con il vuoto e con le pareti che lo circoscrivono. Più che mai i lavabi, le vasche e i piatti doccia non si configurano come protagonisti avulsi dal contesto, bensì come coprotagonisti addossati ai muri, o da essi parzialmente inglobati, o ancora incassati nei piani pavimentali; a tratti rivelati, a tratti occultati dall’involucro in pietra delle stanze. In questa idea di bagno coordinato, costituito da collezioni di oggetti e da superfici litiche è possi-

Manuel Aires Mateus, schizzi per una collezione di oggetti in pietra per l’ambiente bagno

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bile trovare ricorrenze di moduli dimensionali di 35, 45, 90, 110 centimetri, a caratterizzare i bacili, i piatti doccia che affondano nel massetto al di sotto della quota pavimentale, le lastre di rivestimento che si distendono in verticale. Tali modularità sono finalizzate a garantire la maggiore flessibilità possibile nel poter ricoprire in continuità vani di tipologie differenti. Come si addice alle forme scavate nella pietra, i bordi e le pareti delle vasche e dei lavabi sono pieni e netti ma non eccedono nello spessore, i volumi monolitici sono ben proporzionati, le finiture delle superfici lapidee sono levigate e setose, morbide al tatto. Ogni elemento tecnico, in forma autonoma o in composizione binata, può trovare una collocazione appropriata in un bagno esistente, ogni oggetto della collezione - di per sé rigoroso e laconico - ha una funzione precisa in un arcipelago di elementi tecnici che può essere distribuito con molteplici configurazioni in uno spazio che non necessita di un apposito dimensionamento. Al di fuori delle mode, gli oggetti di Manuel Aires Mateus non sono pensati per essere esibiti in un’ambientazione da catalogo, ma per costituire nuovi archetipi formali e funzionali, capaci di ricoprire un ruolo effettivo nel mondo reale, in una quotidianità possibile, innescando un’interazione autentica e diretta con l’utente e le sue più immediate esigenze.

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Lavabi e vasche in pietra progettati da Manuel Aires Mateus per Pibamarmi

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Nient’altro che materia e spazio

Intervista a Manuel Aires Mateus Verona, 30 settembre 2010 Davide Turrini: In molte tue architetture hai rielaborato il tema del muro di pietra lavorando sulla geometria delle tessiture, sulla continuità della superficie del paramento, su di un calibrato bilanciamento tra pieni e vuoti. Penso in proposito al Rettorato dell’Università di Lisbona o al Centro Culturale di Sines. Perché la ricerca sulla muralità litica è al centro della tua opera? Manuel Aires Mateus: Credo che l’elemento fondamentale dell’architettura sia la materia. Abbiamo assoluta necessità della materialità degli edifici per poter distinguere le nostre opere dall’intorno e, allo stesso tempo, per far sì che l’architettura inneschi una qualche forma di rapporto con il contesto. Attraverso la nostra capacità di declinare la materia dal punto di vista costruttivo passa tutto il valore del nostro progettare. Per me il muro di pietra è una delle più alte espressioni architettoniche della materia, è ideale per definire e conchiudere lo spazio delle mie opere, che vedo come “contenitori di vita” destinati a durare. Voglio rapportarmi con la continuità della Storia e la pietra mi permette di farlo poiché resiste al trascorrere del tempo; stratificata nel dispositivo murario essa esprime un’idea di permanenza che mi sembra fondamentale per la realizzazione di edifici significativi, per dimensioni e destinazioni funzionali, in riferimento alla città. Non ho mai pensato fino ad ora di impiegare la pietra per costruire i muri di una piccola casa; ho sempre scelto la materia litica per opere consistenti, che dovevano dialogare con lo spazio urbano. È il caso del Centro Culturale di Sines, vicino all’antico castello, e del Rettorato di Lisbona, calato nell’ampio tessuto della nostra capitale, nei pressi di edifici dal forte valore simbolico. DT: Nelle tue opere oltre le pareti, aldilà dei muri, si aprono interni articolati e complessi. Quali sono i caratteri di questi spazi? MAM: Non prediligo una tipologia precisa di spazio, dico solo che la spazialità delle mie architetture deve essere chiara e progettata compiutamente dall’inizio alla fine; la conformazione di tutti

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gli spazi, anche di quelli più piccoli e secondari, deve essere studiata e non può essere lasciata al caso. Una volta che ho scelto lo spessore e l’articolazione della materia che definisce l’architettura, cerco di trovare tutte le condizioni che mi consentano di comporre liberamente gli spazi. Ad interessarmi insomma sono soltanto la materia e lo spazio, voglio poter lavorare in maniera aperta con questi due elementi per trarre da essi le massime possibilità espressive. DT: Nelle Azzorre, negli edifici Laguna Furnas, utilizzi ancora una volta la pietra. Puoi illustrarci i caratteri di quest’opera? MAM: Scegliere la pietra nelle Azzorre può sembrare ovvio, tutto l’arcipelago è infatti un insieme di rilievi rocciosi vulcanici che emergono dall’oceano Atlantico ricoperti, a tratti, da una folta vegetazione. In tale contesto i basalti e le trachiti abbondano, con i loro colori grigi o bruni caratterizzano l’ambiente insulare; abbiamo utilizzato queste pietre per comporre tessiture litiche omogenee, con cui rivestire i muri e le coperture degli edifici, in modo che l’architettura tendesse il più possibile a “perdersi” nel paesaggio. Gli edifici Laguna Furnas sono infatti un’opera molto particolare, si tratta di piccole costruzioni e di percorsi per la fruizione di una laguna termale collocata in un contesto naturale di straordinario valore. L’ambiente andava completamente preservato nella sua integra leggibilità e la pietra ha conferito agli edifici l’aspetto di presenze elementari e archetipiche, che sembrano essere nate con questi luoghi. Ancora una volta gli spazi interni sono stati disegnati in sostanziale autonomia, sono articolati nella morfologia e interamente foderati di un caldo legno naturale; credo che si rivelino al visitatore come episodi inaspettati e suggestivi. DT: Per il padiglione “Un tempio per gli dei di pietra”, realizzato per Pibamarmi alla 45° edizione di Marmomacc, hai disegnato ancora una volta spazi articolati e complessi definiti da muri litici. MAM: Sì, ho voluto portare nel contesto circoscritto e temporaneo di un allestimento fieristico il tema della muralità in pietra che, come ho detto, mi è molto caro; si è trattato di una vera e propria sfida, condotta insieme agli uomini di Pibamarmi che hanno ingegnerizzato e portato a compimento con straordinaria competenza la mia idea. È stata un’occasione per me molto importante per sperimentare le caratteristiche dei materiali lapidei e le tecnologie di lavorazione; abbiamo modellato la pietra frazionandola, alleggerendola e ricomponendola nei setti murari con sottostruttura metallica, tutto ciò per rispondere ai vincoli di peso e dimensione che gli spazi e la logistica dell’evento fieristico ci imponevano. La lezione che ne ho tratto è carica di valenze anche per l’architettura reale. Il risultato mi soddisfa molto poiché, nonostante il contesto particolare dell’allestimento, non ho dovuto rinunciare a nulla della mio modo di fare architettura: c’è la materia, omogenea ed estesa; c’è lo spazio, appunto, articolato e complesso. Con un lavoro duro e paziente abbiamo vinto la sfida e siamo riusciti a ricostruire il muro di pietra, idea eterna o comunque eternamente ricostruibile nei suoi caratteri essenziali, archetipo su cui tutta la contemporaneità dovrebbe riflettere.

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DT: La permanenza è uno dei valori principali della tua architettura. Come hai affrontato il tema oppositivo della temporaneità nel progetto del padiglione? MAM: Nel progettare le mie prime opere non avevo ancora una completa consapevolezza del valore imprescindibile del Tempo; oggi so l’architettura è certamente la disciplina della permanenza. Un padiglione espositivo non è un tema da rifiutare in quanto effimero, anzi, più di un edificio completo, dotato di fondazioni e coperture, può rappresentare un’occasione per esprimere idee architettoniche importanti, che si possono imprimere con forza nella memoria del visitatore. Questo è stato il mio pensiero quando ho ricevuto l’incarico per realizzare il padiglione Pibamarmi; mi sono detto che il “tempo del padiglione” era in effetti circoscritto a pochi giorni ma il “tempo dell’idea del padiglione” poteva essere lunghissimo. Ecco allora che ho disegnato un’opera sì temporanea ma fortemente architettonica; nella dimensione minima di questo allestimento la materia e lo spazio, i miei unici elementi di lavoro, si esprimono in modo estremamente intenso.

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Museo del Faro a Santa Marta, 2007

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Lo Spazio è il Tema Alfonso Acocella

“Siamo debitori di Roma dell’assunzione artistica dello spazio nell’architettura; la vera e propria architettura come linguaggio spaziale nasce a Roma. Oggi, dopo duemila anni di esperienza architettonica compiuta nella scia di Roma, ci riesce facile affermare che lo spazio è il mezzo di espressione specifico dell’architettura e soltanto di essa (...). Roma concepisce lo spazio non come termine di armoniosa contemplazione, ma come luogo della sua azione, della sua insaziabile esperienza e conquista: e perciò si circonda di spazio, e nei suoi edifici allarga, tende i vani interni, li volta in absidi, in cupole; infine li fa quasi esplodere in una dilatazione immensa: chi entri nel Pantheon, o tra i ruderi delle Terme o della basilica di Massenzio, si sente subito avvolto dal senso d’una straordinaria enormità di spazio. Uno spazio che sempre più si allarga, ma che sempre si riporta unitariamente al suo centro, come l’impero dei romani. L’architettura romana è dunque il primo linguaggio costruttivo propriamente spaziale. (...) Ma se vogliamo intendere l’architettura come arte, lo spazio va considerato, o meglio sentito, non come una realtà fisica, ma come una creazione fantastica: di carattere teorico, non pratico; esso non è più solo il luogo del nostro soggiorno o della nostra curiosità turistica, ma è la poesia dell’architetto, la forma in cui esprime se stesso.” Sergio Bettini, Lo spazio architettonico da Roma a Bisanzio, Bari, Dedalo, 1990 (ed. or. 1979).

Il vuoto. La “formalizzazione” dello spazio compreso entro i limiti murari di un edificio è da secoli il problema di fondo della sperimentazione dell’architettura occidentale. Le forme dell’architettura greco-ellenistica, plastiche e lineari, sono state povere di rapporti spaziali interni e di significatività dimensionale, a fronte di una concezione configurativa che ha esaltato il pathos degli esterni attraverso l’uso di ordini architettonici marmorei in chiave plastica. Sono gli architetti romani, per primi, a trasferire negli interni i valori dello spazio esaltandoli morfologicamente e dimensionalmente per consegnarli all’architettura tardo antica e poi, in qualche modo, a tutta la tradizione occidentale che giunge sino a noi. L’opera dei fratelli Mateus non è esente, come già ampiamente evidenziato nei saggi di questo volume, dalla fascinazione dello spazio architettonico al punto di rappresentarne in ultima istanza la cifra stilistica fondamentale. Manuel Mateus sulla scia dell’insegnamento di Gonçalo Byrne, Fernando Tavora, Alvaro Siza Siza - ma anche, ritengo, sull’influenza di altri Maestri ineguagliati del Novecento quali Rafael Moneo e Peter Zumthor guardati a distanza (ma anche vicini e contigui per Manuel, come per il maestro

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di Vals nella scuola di Mendriso che li ha avuti entrambi teacher da almeno un decennio) - sembra portare con sé, come dote naturale, nella sua architettura i sigilli di una spazialità contemporanea assoluta, silenziosa, neutra ed elegante. Una spazialità figlia di quella visione figurativa “riduzionista” e “monomaterica” del Novecento - alimentata, in avvio di secolo, dalle avanguardie del Movimento Moderno e, poi, riemergente attraverso continue “rinascenze” fino alla tendenza del minimalismo internazionale di fine millennio - materializzatasi attraverso i caratteri selettivi ed omogenei portati sulla materia, sulle superfici, sullo spazio dell’architettura. Se lo Spazio è il Tema dell’Architettura, sotto l’apporto originario e sublime di Roma, e della stessa opera di Mateus, ci chiediamo allora se sia possibile (e in che modo) parlare di questa ineffabile entità - inafferrabile al pari della sfuggente nozione di Tempo, che pure sembra “far capolino” nell’intervista di Manuel rilasciata a Davide Turrini all’interno del dedalico scrigno litico di Pibamarmi a Marmomacc 2010 - cercando di definirne la sua essenza, o quantomeno qualche carattere, qualche elemento di riflessione. Parmenide, fondatore della scuola filosofica di Elea, rappresenta il concetto di spazio attraverso la visione del “vuoto come negazione del pieno”, inscrivendo nella categoria ideale di “quel che non è” e, conseguentemente, escludendolo dall’ambito del reale. Ma valutando che di spazio ne parliamo, lo esperiamo e lo misuriamo quotidianamente con i nostri passi, per noi architetti lo spazio è “oggetto reale”, anche se non “oggetto fisico”. Oggetto reale come luogo vuoto, entità circostante a tutte le altre o vuoto fra entità altre; luogo illimitato e indefinito, a volte, in cui gli oggetti fisici vi si trovano collocati; luogo configurato, definito e formalizzato, altre, come in tutte le vere architetture. Un vuoto che gode di proprietà geometriche - da cui la qualifica di euclideo - ai confini del quale avviene la magia della fusione im_materiale, là dove il vuoto incontra il pieno entrando in contatto e contiguità con l’epidermide, ovvero l’ultimo strato della materia che comprime e visualizza lo spazio architettonico. Il pieno. Le tre dimensioni (x, y, z) non sono soltanto il luogo dello spazio euclideo, ne incarnano pure la materia che si affaccia su di esso con i suoi caratteri di pesantezza e di equilibrio. Il rapporto che unisce vuoto e materia in un’architettura non è mai indifferente, o fisso, e modella lo spazio secondo caratteri e assetti calcolati mai più modificabili sostanzialmente se non dal Tempo, la quarta dimensione latente dello spazio. L’architettura - più volte è stato detto da teorici e trattatisti - ha inizio nel momento in cui sulla superficie orizzontale del suolo l’uomo insedia dei muri che s’innalzano in verticale per ritagliare uno spazio propizio alla vita degli individui rispetto allo spazio naturale, vasto, incommensurabile, spesso inospitale. Il muro - destinato a racchiudere e modellare lo spazio - non è mai ricavabile “tutto d’un pezzo” dalla crosta terrestre. I materiali, gli elementi prelevati dalla terra vanno “assemblati” a formare dispositivi costruttivi, trame, ricoprimenti, superfici, infine architettura. Ma l’architettura - per dirla con Henri Focillon - «non è una collezione di superfici, ma un insieme di parti, le cui lunghezza,

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larghezza e profondità s’accordano tra loro in un certo modo e costituiscono un solido inedito, il quale comporta un volume interno [spazio] ed una massa esterna».1 Per isolare uno spazio architettonico dall’immensurabile superficie terrestre è necessario “piegare”, “curvare” il muro o quantomeno elevare una coppia parallela di pareti posizionate in modo tale che la loro topologia insediativa produca un vero “blocco” spaziale. In tutti questi casi, grazie al dispiegamento inclusivo di muri avvolgenti - così come si presenteranno dalle origini della civiltà architettonica i recinti sacri egiziani, le mura urbiche delle cittadelle micenee o quelle dei tèmenos dei santuari greci - si “materializza” un intervallo di superficie terrestre interclusa fra evidenti e fisiche pareti verticali: è questa l’archetipica ed eterna magia della creazione dello spazio architettonico. Sullo scenario orizzontale del suolo s’insedia la costruzione muraria volumetricamente incisiva che porta in sé - al pari di uno scrigno - la definizione dello spazio architettonico dotato di un carattere e di un valore molto particolare. A Verona Manuel Aires Mateus rinnova il rito della creazione spaziale. Il padiglione realizzato per Pibamarmi è scandito spazialmente da una serie di diaframmi visuali, costituiti da setti e muri litici - monomaterici, monocromatici, omogenei, complanari - dalla figuratività solida e corposa. L’esperienza fruitiva vissuta all’interno di questa struttura dal carattere labirintico viene pervasa dalla forza dimensionale dei massivi volumi litici che - ostruendo parzialmente la vista di colui che vi si addentra e, allo stesso tempo, “aprendola” verso inediti scorci - invitano a muoversi all’interno dello spazio dall’intensità dedalica restituendolo attraverso una molteplicità di punti di vista e sfondamenti prospettici. All’interno dello spazio - contratto e serrato - del padiglione, stretti passaggi si alternano a slarghi e varchi che fanno da contrappunto ad inaspettati vicoli ciechi: un gioco calibrato di pieni e di vuoti che sembra rievocare su scala ambientale, architettonica, la stessa morfologia che anima le vasche e i lavabi di pietra esposti all’interno di tale intrico di vie. Questi artefatti litici in-formano, di fatto, la materia proponendo anch’essi un calibrato gioco di masse e cavità. Alla spigolosità dei muri e dei pilastri si sostituisce però la sinuosità e la morbidezza delle curve, quasi a suggerire il corpo fluido dell’acqua che tali oggetti si apprestano ad accogliere al loro interno.

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Henry Focillon “Le forme nello spazio” p. 32, in Vita delle forme, Torino, Einaudi, 1990 (titolo originale Vie des Formes suivi de Éloge de la main, 1943, p. 134).

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Making materials abstract, and space concrete The work of the Mateus brothers can be read as “the desire to transform space in something physical, the void becoming raw material for architecture”.1 Goncalo Byrne describes with these words Manuel and Francisco Aires Mateus, his students who have worked autonomously in their own associate studio since 1988. Having grown up in the milieu of the Portuguese contemporary architectural culture marked by significant figures, as Byrne, Siza, Tavora and Souto de Moura, didn’t prevent the two Lisboan architects to develop an extremely recognizable style since their beginnings, result of a continuous and rigorous research on space and materials. 2 Sculpture-like shapes that stand pure and enclosed in themselves, accessible only through few neat and subtle cuts, characterize the Mateus’ work. The concept generating these architectures is the surface continuity, a full homogeneity in the use of materials that develop flat surfaces or are bound to create solids clearly readable as highly three-dimensional volumes or as simple walls; the principal aim of these architectures is to convey an idea of duration. Very often their walls are made of stone in the form of pseudoisodomic coverings horizontally stratified, sometimes interrupted by highly shadowed openings that underline the geometric character of the stone texture, it being for the Mateus pure contemporary stylization of the ancient solid and massive wall stereotomy. “The stone wall is one of the most distinct architectural variation of materials, it’s perfect to define and delimit the space of my works, that I interpret as “life holders” destined to last for long time. I want to work in continuity with History and stone allows me to do that, since it is able to resist the flowing of time; stratified in the wall settings, it expresses an idea of duration that seems to me essential for the creation of buildings that are significant for their dimensions or functional aims in relation to the city environment.”. 3 In a recent interview, Manuel Aires Mateus gave with these words the preeminence to stone walls, a theme re-elaborated several times with his brother in complex constructions thought to find a relationship of contextualization, affirming their presence in a dialogue with the surrounding already-built or rather with a certain “material idea” of the city. It’s the case of the Lisboa University Head Office, immersed in the ample texture of the rationalistic capital town, or of the Sines Cultural Centre, near an ancient castle. Both these buildings demonstrate that for the Mateus the

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material is a core element in their work and, modulated from the point of view of construction, it’s fundamental in discerning the building from the urban environment or from the open territory, and at the same time in making architecture someway interact with the context. The University Head Office is a building of highly institutional value, immersed in a balance of historical and symbolical references in particular because of the Jesuit College and the Monsanto Park located nearby. In this scenario, the Mateus create two volumes set together in a 90° composition: a vertical parallelepiped unit, as high as the College, contains offices and services; a horizontal platform, configured as a passable starway/square, houses conference and meeting rooms. The work, completely covered in stone, is clear and ambivalent at the same time; according to the viewers’ perspective, its volumes can be seen as markedly three-dimensional masses or as subtle flat surfaces on which the dense stone physical presence is extended to reach pure chromatic and geometrical abstraction. In the Mateus’ architecture, the dominant continuity of the materials is made more easily readable with infrequent episodes of little suspensions, partial or definite interruptions; this caesura creates a chiaroscuro effect or a neat fissure that interrupts the material extension, making its quality and dimension clearer. This is confirmed in the Head Office where the homogeneity of the stone that covers the vertical volume is interrupted, on the side overlooking the square, by a series of openings obtained substituting the traits of the pseudo-isodomic covering with flush-mounted glass plates; in addiction there is a continuous cut on the base that gives the wall the aspect of a suspended and stratified texture, reaching the stylobate square in a plastic and compact way. The pierced palimpsest maintains continuous and full borders, the dark carvings don’t prevail over the dominant whiteness of the stone, the proportions of the prospect still appear distinctly vertical; in this way, the nature of the thick stone wall isn’t denied but, taken in its material, geometrical and proportional essentiality, is changed into a renovated two-dimensional and archetypical icon able to impose a new aesthetical code to the historical and contemporary city. In the University building the internal spatial dimension is made of concrete void spaces, almost materially palpable because rich in visual references and articulation points; their morphologies and the measures of the cavities are spectacularly shown in a refined balance between revelation and concealment; frequent double heights interrupt the articulation of the floors; the horizontal development of the entrance hall suddenly changes its direction to become upward, in relation to a highly vertically oriented connection space.

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In Sines the configuration of the building destined to cultural and artistic activities is modelled on the attitude of the historical districts of the city, while the neat and vertical volume of the stone-covered units is, in a sort of monumental scale, in relation to the fortress dominating the residential area. From the outside the architecture appears as a composition of compact and enclosed stone blocks, bridge-like suspended on the perimetric walls that allow the ground floor to be free from supports and perfectly permeable to the sight. Opposite to the compactness of the building envelope is the open and flexible interior spatial dimension, where a structured sequence of rooms is reunited by the de-materializing whiteness of the wall and by a polished and continuous flooring texture in marble. The Mateus’ will of shaping previously unseen contemporary archetypical constructions is demonstrated in the creation of new buildings and in some redevelopment actions as well: putting together volumes creating void/full rhythms, with geometrical textures and alternation of light and shades, they sometimes redevelop or reconfigure pre-existent architectural works, as in the case of the house in Alenquer (1998) or of the Faro de Santa Marìa Museum (2005); in other occasions they re-texturize the historical urban palimpsest, as for example in the Moura historical centre (2005) or in the project for a cultural area in Benevento (2006). Lisboa Head Office, Sines Cultural Centre and more recently the Laguna Furnas buildings in the Azores represent the most important result of this research on the plastic-volumetric value of the material, and, at the same time, on the configuration of the interior space seen as an independent entity able to summarize ambivalent but not necessarily contradictory qualities: at the centre of their architecture, the Aires Mateus open rooms that can be complex and articulate, horizontal or vertical, mono-directional or animated by various centripetal or centrifugal axes. Beyond this limit, behind the walls defining the building from the outside, a rich and fascinating spatial configuration is unveiled, delimited by floors and roofs on different heights, illuminated by different light sources. “It’s a “direct, obsessive, constant” research that focuses on the design of the void and on the possibility of making the interior space monumental, working on the invention of unexpected spaces and on the difficulty in perceiving its real dimensions.” 4 While the material becomes more and more abstract, space is made concrete and almost tangible, modelled and built with a wise design; the two architects link the two elements in a primary and complementary couple that is enough to allow the continuous projecting elaboration.

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The works by Manuel and Francisco don’t seem to privilege a particular space typology, but underline instead a persistent care for the clearness of the spaces, completely designed step by step; both the major aspect and the littlest details are studied in dimensions and morphology with total creative freedom, careless about the exterior conditions and the need to express the interior articulation of the work on the façade. Typical of this approach are the Laguna Furnas buildings, a series of little functional constructions and of equipped leisure paths for tourism activities in a thermal lagoon set in a high-value natural habitat, where the rock orography and the vegetation have an extraordinary impact. The local volcanic stone, used by the Mateus to compose the homogenous rectified textures that cover the walls and the roofs, gave to the architectures the aspect of primeval monoliths that very soon will seem to merge with the surrounding landscape thanks to the patina accumulated season after season. Looking for an essential and restrained building doesn’t mean taking a short cut in the technological projecting process: all the stone material was carefully designed, each constructive element – as, for instance, the corner parts, the roofing edges, the height variations, or the exterior floorings – was studied in the tiniest detail. 5 The interior spaces get once again a substantial independence, completely covered with natural wood and, opposite to the external aspect of the work, are authorial, tonal, perfectly distinguished. Once again an intense formal research rules the projecting action by Manuel and Francisco in the definition of dense and suggestive spatial dimension, dig in the most intimate part of elementary, static and monochromatic architectural volumes. Aires Mateus’ language is markedly and coherently expressed in each one of the their creations, through a few fundamental concepts of abstraction of the materials and concretization of the space; these architects’ syntax and lexicon are definite and powerful being the result of a rigorous improvement process, lasted long time and applied on different types of intervention. The dethatched houses, created since 1998, have been a florid laboratory for their experimentation about formal reduction and spatial articulation, soon become symbols of their own original poetics. The black and white spaces in the Almedina bookshops, projected between 1999 and 2007, are exercises of pure geometrical abstraction, led this time without considering the materiality of architecture; in them the construction is completely de-contextualized and coincides with the extrusion of primary shapes that can been as archetypes in a condensed form. The large institutional buildings have been projected in parallel to less extended constructions and are characterized by remarka-


ble relationships to the context, representing the benchmarks of the Mateus’ archetypical stylization, in which materials reach maximal affirmation through the strength of abstraction. The buildings located in open territory, without any preconceived architectural or urban reference, are eventually their most recent object of study; in these works materials and space are put together in essential compositions that once again become recognizable as signs of a style ruled by abstraction and geometry; in this way the specifications of a school complex, of a big accommodation structure or of a multi-functional tower adopt a sort of algebrical aspect: the programme becomes a projecting scheme in a process that is similar to an equation, where “abstraction of the rule becomes abstraction of the substance”6 aiming to create comtemporary archetypes that are absolute in shapes and dimensions as never before. Edifici Laguna Furnas, Isole Azzorre, 2010-2011

1 Gonçalo Sousa Byrne, “Un rudere ricostruito”, p. 30, in Manuel e Francisco Aires Mateus. Casa isolata ad Alenquer, Casabella n. 700, 2002, pp. 30-37. 2 About Mateus’ education and the relationship between their architectural poetics and the projecting experiences by Tavora, Siza, and Byrne, see Alberto Ferlenga, “Lievi masse”, pp. 82-83, in Alice Perugini, Aires Mateus. 3 progetti, Casabella n. 743, 2006, pp. 82-97. 3 Manuele Aires Mateus in Davide Turrini, “Nient’altro che materia e spazio. Intervista a Manuel Aires Mateus”, here, p. 59. 4 Carlo Palazzolo, “Monumentalità a sorpresa”, p. 15, in Manuel e Francisco Aires Mateus. Rettorato della Universidade Nova a Lisbona, Casabella n. 710, 2003, pp. 14-21. 5 To know more about some technological aspects of the Aires Mateus’ work see the following documents: “Studentenwohnheim in Coimbra”, Detail nn. 7-8, 2003, pp. 774-777; “Rektoratsgebäude der neuen Universität in Lissabon”, Detail n. 11, 2003, pp. 1284-1287; “Wohnhaus in Azeitão”, Detail n. 4, 2006, pp. 346-349. 6 Diogo Seixas Lopes, “Form, program, city. Public architecture by Aires Mateus”, Darco Magazine n. 7 (Aires Mateus monography), 2009, p. 36.

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Un tempio per gli Dei di pietra The temple The search for a continuous stone wall delimitating a complex system of rooms has been reasserted and re-elaborated by Manuel Aires Mateus in his recent project for “A Temple for the Stone Gods”, the exhibit pavilion by Pibamarmi created for the 45th edition of Marmomacc in Verona and now located in the showroom of the firm. The setting, delimited by solid walls, was configured as a compact and rectified stone block, cut by four openings that granted the access to the interior spaces thought as a complex system of concentric cavities separated by other walls. In this way a concatenation of reserved and hierarchical rooms took form, being divided by partition walls and conceived to contain the pieces from the bathroom furnishing collections designed for the brand by Hikaru Mori, Philippe Nigro, and VISTOaw. On the walls the smoothed and monochromatic stone material is stratified in devices that stylize the geometries of ancient masonry works; in the design elements, the same stone type is condensed in sculpture-like shapes, included in intimate, deep and unusual spaces, accessible only through the sight. In spite of the temporary function of the project theme, the pavilion appears as a further confirmation of the strong tension of the designer toward an architectural discipline signed by the value of duration: in his vision, together with the physical materials, constructive and spatial ideas – if fully and strongly expressed – can be destined to last for long time, at least in our memory. The following Manuel Aires Mateus’ words confirm this judgement: “An exhibit pavilion isn’t a theme to refuse because it’s ephemeral, it can rather be a more interesting occasion than a complete building with foundations and roofing, to express important architectural ideas that can powerfully be impressed in the mind of the visitor. This was my consideration when I got the assignment to create Pibamarmi’s pavilion; I told myself that the “time of the pavilion” was in fact limited to few days, but the “time of the pavilion idea” could last much longer. Then I designed a temporary but highly architectonic work; I believe that space and material, the only instruments of my style, intensely express their potentialities in the minimal dimension of the setting.”1 As usual for the Mateus, the pavilion architecture shows a precise and coherent formal elaboration: reductions and subtractions aim at making the built mass lighter; what the designer wants to obtain from the stone walls isn’t their aspects of heavy and dense three-dimensionality, but their rigorous geometric peculiarity and their planar continuity;2 aggregations and compositional ar-

ticulations are intended to obtain a forceful densification of the space, creating passages, rooms, ample cavities or minimal interstices, that together are highly well-suited for the exhibit space. The idea of a “sacred fence”, taken in its essential aspects of an enclosed and hierarchical space, is the inspiration for this project of exhibit design and is a reminder for the visitors of archaeological evocations; once entered, the pavilion with its minimal free walls standing in a circular shape without touching each other, seems like the partially disaggregated remains of a temple, because “as we visualize ruins in an abstract way, hardly referable to their original reasons, forgetting their past, the mass of Aires Mateus’ work lacks of heaviness thanks to some simple ideas (…). The conquest of lightness is obtained surrounding each solid space with a void, fragmenting the buildings and constantly confusing open and closed rooms.”3 The Gods The walls of the pavilion contain a central cellar and lateral spaces thought to protect and at the same time reveal the stone design pieces for the bathroom furnishing. These are the cult objects of the rituals linked to wellness and body care and they take form from stone in order to be contemplated and, above all, touched; they give suggestions and sensations of harmony and well being with their simple visual presence and, in particular, through a completely open relationship. In the panorama of contemporary bathrooms, based on immediate multi-sensorial stimulation or on the pleasure deriving from the long-lasting memory of objects and rooms, these elements quietly celebrate a simple and naked material beauty, characterized by subtle inclusions and veins, faded with irregular and soft porosity which doesn’t disappear with the flowing of time but finds in ageing an endless source of enrichment and regeneration. Here are the new Gods who take their robe of impalpable sacrality off to become empathic entities inviting to a global wellness experience made of sanitary, aesthetical and meditative cares. The sculpture-like baths, the plastic basins, and the expanded shower plates are accessible images that renovate in the domestic space the primeval relationship between men and natural forces represented by stone and water; indeed, the bathroom fittings are conceived and manufactured according to their privileged connection with the liquid element: it flows on their surfaces becoming integral part of their design. Covering the stone material, water is sometimes free to move, strong, transitory, sometimes controlled, quiet and unmovable; it turns from a simply functional entity to an emotional presence amplifying the per-

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ception of the stone and exalting colours and textures of it. The elements for the bathroom furnishing are the result of a completely contemporary conception of the design product, distant by now from the industrial standardization and instead peculiar of a 3rd-millenium renovated manufacturing production, in which automatic procedures coexist with the wise tradition of the handmade, where we can find hors-sèrie unique pieces and limited and customized collections. The bathroom fittings, indeed, are created digging out material from entire monoliths through progressive excavations by CNC machines. The perfection, continuity and fluidity of the cuts allow to obtain plastic shapes with pure profiles, characterized by superimposition of void and solid contrapositions, and by soft or more defined chiaroscuro contrasts. All the elements, customizable in materials and dimensions, have surfaces processed with few simple procedures of mechanical or manual finishing, composing a delicate game of sensorial and material contaminations; smoothed and silk-like planes, or others more porous and striped give life to stones that have the aspect of woods or fabrics, creating a minimal yet highly stimulating scene; in this way the liquid element freely develops its effect on the stone, expressing the multiple and changeable languages of colours, reflections, sounds and temperatures. So in these communicative and involving divine bodies that lives the visual and tactile environment of Mateus’ temple, the stone material – keeper of the ancestral world energy – finds a renovated union with the purifying and regenerating water, primary source of life and of spiritual and physical reconcilement. The heroes In front of these new Gods, in a silent and softly illuminated atmosphere, the visitors capable to understand the stone rituals are allowed to enter the temple and invited to live a privileged relationship with divinity, partially absorbing its virtues. In the water- and stone-made realm of the contemporary bathroom represented in Manuel Aires Mateus’ work, the products dedicated to the body care become revealing presences of a new organicism that exceeds the simple sanitary values to overlap on almost therapeutic physical and psychical functions; these functions are focused on welcoming the individual and on activating, expanding and enriching complex sensorial and emotional experiences; in this way the design pieces act as material instruments in order to explore new thematic and aesthetical horizons. The bathroom becomes the place where water and stone reaffirm their intimate relationship with the human body and where the subject, the technical elements and the fruition

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practices obtain previously unseen connotations and new values. The surfaces - smooth or rough, hot or cold, dry or wet –, being touched by hands, foots or other parts of the body, stimulate the individual transmitting temperatures, sounds and smells of the stone; from the water, the subject can absorb the energy of a pouring movement, the calmness of a slow flowing, or the speculative dimension of the still liquid. We can eventually say that the solid element and the liquid one lead the man to a pleasure given by the union with the things in the world and to new hybrid atmospheres, where the prominence of the sight is substituted by the equal coexistence with tactile, auditive and olfactory perceptions. The bathroom, in other words, changes from functional space to private ritual place, sensorial but also formal and highly symbolic, where the stone design pieces are disposed with care in order to represent inertia, density and equilibrium, as distinctive signs of an aesthetical approach towards reality strictly linked to a precise lifestyle. It’s a intimate, individual and naturalistic lifestyle in which the body is at the centre of the material scene and, being receptive and active at the same time, is immersed in a series of elements that answer to its immediate needs in a perceptive and pensive way. In this context the search for a contemporary equilibrium between men and nature is possible re-evaluating our everyday life and the importance of simple practices connected with the concepts of intuition and experience. In such a behavioural and relational dimension, stone, thanks to the 3rd-millenium design, shapes a “soft” and wrapping formal universe which requires a subtle and penetrating perception; stone material composes at the end a relaxing and isolated environment, made of inviting objects that ask to be touched, explored, smelled, listened to, and lived with the direct contact of the skin.

1 Manuel Aires Mateus in Davide Turrini, “Nient’altro che materia e spazio. Intervista a Manuel Aires Mateus”, here, p. 63. 2 For an overall analysis on the wall theme in the Mateus’ work see the fundamental essay by Francesco Cacciatore, Abitare il limite: dodici case di Aires Mateus & Associados, Siracusa, Lettera Ventidue, 2009, pp. 141. Focusing his attention on the residences created by the architects, the author deals with the various declensions of the border, from simple limit on which the material becomes denser in order to stress the difference between exterior and interior spaces, to concrete spatial entity that can be seen as a veritable “lived-in wall”. 3 Alberto Ferlenga, “Lievi masse”, p. 83, in Alice Perugini, Aires Mateus. 3 progetti, Casabella n. 743, 2006, pp. 82-97.


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Stone cavities A total design project for the bathroom furnishing Very often Manuel and Francisco Aires Mateus enrich the presentation of their projects with photos of quarries or rock scenarios, and from that it can be easily understood the high value given by the architects not to the mass itself, in its entirety, but to the eroded and dug solid form and to the void the consequently is originated.1 As these strongly evocative photos underline once more, the cavity – or better, the mass at its negative – is a recurring study theme in the architectures by the Portuguese brothers and recently has been developed by Manuel on the scale of the project design in creating a collection of pieces for the bathroom furnishing made of natural stone. The collection, conceived for the Pibamarmi brand, is characterized by a simple, pragmatic, conceptually immediate design, including archetypical shapes of water holders as buckets, tubs, and bowls. They are elementary objects, rudimentary in some sense, but yet becoming refined as the subtle and curved lines of some porcelain vases or crockery. Aires Mateus’ project design is indeed concentrated on the contrast between essentiality of mass and complexity of void, on the identification of nonaligned negative volumes, designed according to a continuous and sinuous line, de-materializing monoliths in the shape of truncated cones or parallelepipeds; near the borders the so-obtained cavities follow a flexible and sharp movement, inspired by the shapes of the Oriental china, ancient yet extremely elegant and accurate in their material consistence and in the details of their borders. In this first experience as a designer, Manuel Aires Mateus keeps re-elaborating the cavities in his formal world: they take shape as plastic masses or as hollow volumes obtained through a process of removal of the material, in this case even more explicit because expressed in a mono-material context uniquely dominated by the presence of stone. 2 The cavities of the elements, thanks to their particular section, play with light in a series of penumbras and shades that become more and more intense, starting from the edge to the curved and tensed bottom; the Portuguese architect’s project faces the complexity of characteristics involved in designing the void, its diverse morphologies and dimensions, its lighting conditions and, above all, the dynamics through which the visitors experience it. From the series of technical elements for the bathroom, according to Aires Mateus, product design perfectly integrates with

Manuel Aires Mateus, schizzi per una collezione di oggetti in pietra per l’ambiente bagno

interior design, reaching a concept of total design of the body care environment: the overall value of the projecting action is once again in the enclosure, in the spatial enucleation, in the indication of a precise domain defined by wall surfaces in which the objects are collocated in interaction with the void and the walls delimitating it. More than ever basins, tubs and shower plates aren’t protagonists unrelated to the context, but are co-protagonists leant against the walls, or partially included in them, or even built into the floors, partially revealed, partially hidden by the stone casing of the room. In this idea of coordinated bathroom, constituted by collection of pieces and stone surfaces, it is possible to recurrently find dimensional modules of 35, 45, 90 and 110 centimetres, that characterize basins and plates dung into the floor screed, while the covering plates develop in vertical direction. These modules are aimed to guarantee maximal flexibility in order to cover with continuity surfaces of different typologies. As suitable for shapes excavated from stone, the borders and the walls of tubs and basins are full and precise but not too deep, the monolithic volumes are well proportioned, the finishings of the stone surfaces are smoothed and silk-like, soft at the touch. Every technical element, autonomously or in couple, can find the right collocation in an existing bathroom, every piece of the collection – rigorous and essential in itself – has a precise function in an archipelago of technical object that can be re-distributed in multiple configurations without need of expressly re-dimension the space. Careless of fashion trends, Manuel Aires Mateus’ objects aren’t thought to be showed in a catalogue-like environment, but to create new formal and functional archetypes, able to have a real role in the world, in a possible everyday life, engaging an authentic and direct interaction between the users and their most immediate needs.

1 See about this: Juan Antonio Cortes, “Building the mould of space. Concept and experience of space in the architecture of Francisco and Manuel Aires Mateus”, El Croquis n. 154, 2011, p. 25 and p. 41. 2 On the theme of mono-material mass see Mateus’ considerations quoted in Ricardo Carvalho, “On the permanence of ideas. A conversation with Manuel and Francisco Aires Mateus”, El Croquis n. 154, 2011, p.7 and p. 15.

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Nothing but materials and space

DT: In the Laguna Furnas buildings in the Azores, you used stone once again. Can you describe the aspects of this work?

Interview to Manuel Aires Mateus Verona, 30th September 2010

MAM: Choosing stone in the Azores could seem an obvious thing, for the whole archipelago is constituted by volcanic reliefs emerging from the Atlantic and covered in some parts by a florid vegetation. In this context basalts and trachytes are very frequent, with their grey or [bruno] nuances that characterize the environment of the islands; we used these stones to compose homogeneous textures to cover walls and roofs of the buildings, in order to make the architectures become one with the landscape. Laguna Furnas buildings are indeed a truly particular work, being tiny constructions and paths aimed to the fruition of the thermal lagoon, inserted in an extraordinary natural environment. We needed to preserve this environment in its integrity and the stone gave the buildings the aspect of primary and archetypical presences that seem to be born in those places. Once again the interns were designed autonomously, articulated in its morphology and covered with warm natural wood; I believe the visitors interpret these buildings as unexpected and suggestive episodes.

Davide Turrini: In many architectural works of yours you have reinvented the theme of the stone wall working on texture geometries, surface continuity and on a calibrated balance between full and void spaces. It’s the case, for instance, of the Lisboa University or of the Sines Cultural Centre. Why is the research on stone walls so crucial to you? Manuel Aires Mateus: I think the main element in architecture is the material. In our buildings we absolutely need materiality in order to distinguish our works from the surrounding space and, at the same time, to create an interaction between the architecture and its context. Our projecting skills are obtained through the ability of adjusting the materials to the point of view of the buildings. According to me the stone wall is one of the highest architectural expressions of materiality, it is exemplary to define and enclose the space of my works, that I interpret as “life holder” destined to last for long time. I want to connect to the continuity of History and stone allows me to do that because it resists the flowing of time; stratified in the wall dispositive, it expresses the idea of duration that is fundamental to me in order to create buildings significant in dimensions and functions and in relationship to the city environment. It’s the case of the Sines Cultural Centre, near the castle, and of the Lisboa University Head Office, inserted in the large texture of the capital town, near some greatly symbolic buildings. DT: Besides walls, in your works we can find complex and articulated interns. Which are the characteristics of these spaces? MAM: I have not a privileged space typology, I just believe that the spatial articulation of my architectures must be clear and projected carefully from the beginning to the end; the configuration of all the spaces, even the littlest and most secondary, must be studied and not left by chance. Once I have chosen the width and the articulation of the materials defining the architecture, I try to find all the conditions that allow me to freely compose the spaces. In other words I’m only interested in materials and space, I want to work in an open manner with these two elements obtaining their maximal expressive potentials.

DT: You designed another complex of articulated spaces defined by stone walls for the Pibamarmi “A Temple for the Stone Gods” pavilion at 45th Marmomacc. MAM: Yes, I wanted to put the theme of the stone walls, to which I am very affectionate, in the limited and temporary context of an exhibit pavilion; it was an actual challenge, faced together with Pibamarmi people who created the enginery and fulfilled my idea with great competence. It was a very important occasion for me to experience the characteristics of stone materials and manufacturing technologies; we modelled stones dividing it, making it lighter and re-composing it in wall settings with a metallic under-structure, everything calculated within the limits of weight and dimension we were imposed by the logistics of the fair event. This experience taught me a lot about the values of practical architecture. The result was very satisfying to me because, in spite of the particular context of the setting, I hadn’t had to renounce to my designing method: both the homogeneous extended material and an articulated and complex space were there. With a hard and patient work we won the challenge and we were able to recompose a stone wall, eternal or eternally re-obtainable archetype to which contemporaneity should give more consideration.

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DT: Duration is one of the principal values in your architecture. How did you face this theme in the pavilion, in opposition to the one of temporaneity? MAM: In projecting my first works I had never had a fully awareness of the essential value of Time; nowadays I know architecture is undoubtedly the discipline of duration. An exhibit pavilion is not a theme to be refused just for its being temporary, it could rather be an occasion to express important architectural ideas that can remain strongly impressed in the visitors’ minds. This was my thought when I was asked to create the Pibamarmi pavilion: I thought that the “time of the pavilion” was actually limited to the few days of the exhibition but the “time of the pavilion idea” could be much longer. So I designed a temporary yet highly architectural work: in the minimal dimensions of this setting, materials and space, the only elements I work with, are expressed in an extremely intense way.

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Rettorato dell’Università di Lisbona, 1998-1999

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Space is the theme Alfonso Acocella “We owe Rome of the artistic assumption of the architectural space: the true architecture as a spatial language was born in Rome. Nowadays, after two thousands years of architectural experience led under the influence of Rome, it is easy for us to state that space is the specific expressive mean of architecture and only of it. (…) Rome conceived space not as a term of harmonic contemplation, but as place of its action, of its insatiable conquest and experience: that is the reason they surrounded themselves of space, and in their buildings they widened and extended rooms, turning them into apses or domes; eventually they created explosive dilatations: who enters the Pantheon, or the Thermal ruins or the basilica of Maxentius, immediately feels their spatial enormity, a space that gets vaster and vaster, but always leading back to its centre, as the Roman empire did. So Roman architecture is the first properly spatial building language. (…) But if we want to think architecture as art, space must be considered, or better felt, not as a physical reality, but as a creation of the fantasy: theoretical, not practical; it isn’t just the place of our living or of our touristic curiosity anymore, it is the architect’s poetry, the shape he expresses himself with.” Sergio Bettini, Lo spazio architettonico da Roma a Bisanzio, Bari, Dedalo, 1990 (ed. or. 1979).

The void. “Formalization” of the space delimitated by the walls of a building has been the main problem of Western architectural experimentation for ages. The shapes of Greek-Hellenic architecture, plastic and linear, were poor in internal spatial links and dimensional relevance, but their concept of configuration exalted the pathos of external spaces through the plastic use of architectural orders in marble. Roman architects were the first to transfer in the interior dimension the spatial values, exalting them in morphology and dimensions, and delivering them to the Late Antiquity architecture and someway to all the Western tradition till nowadays. As already underlined in the essays of this volume, Mateus brothers’ work can’t escape the fascination of the architectural space, it becoming their essential stylistic feature. On the wake of the teachings by Goncalo Byrne, Fernando Tavora, Alvaro Siza Siza – but, according to me, also of the influence of unrivalled 20 th-century masters as Rafael Moneo e Peter Zumthor (looked at from a certain distant, but also nearer as in the case of Manuel, who taught at Mendrisio school with the master of Valls for at least ten years) – Manuel Mateus seems to put into

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his architecture a natural attitude, sealing it with the signs of an absolute, quite, neuter and elegant contemporary spatiality. This spatiality is derived from the “reductionist” and “mono-material” figurative vision of the 20 th century – developed, at the start of the century, by the Modern Movement avant-gardes ad then resurfacing through continuous “repechages” till the international minimalistic tendency at the end of the millennium – and was later made concrete through the homogenous and selective characteristics applied to materials, surfaces and architectural space. If Space, after the original and splendid Roman influence, is the Theme of Architecture and of Mateus’ work itself, the question is whether (and how) it is possible to talk about his unspeakable entity – unspeakable as the notion of Time, as mentioned by the Manuel’s interview to Davide Turrini at the mazy stone case by Pibamarmi at 2010 Marmomacc –, trying to define its essence, or at least some characters, some ideas of it. Parmenides, founder of the Eleatic philosophical school, represents the concept of space as “the void opposite to the full”, defining it in the category of non-being and consequently excluding it from what is real. But analyzing space, we talk about it, experience and measure it every day with our steps: for us architects, space is a “real object”, even if not a “physical object”. Real object as “void space”, an entity surrounding other entities or void between different entities, that can be sometimes an unlimited and undefined place where objects are located, or other times can be limited, defined and formalized, as in every real architecture. A void with geometric properties – hence the Euclidean definition – at the limits of which the magic of im-material happens, where the void meets the full in contact with the epidermis, that is to say to the last level of the material that compacts and displays the architectural space. The full. The three dimensions (x, y, z) aren’t just the coordinates of the Euclidean space, but are also the incarnation of the materials that are in it, with their characteristics of heaviness and equilibrium. The relation linking void and material in an architecture is never fixed or without consequences, but every time shapes the space according to the characteristics and assets never deeply alterable if not through the fourth dimension of Time. The architecture – as often remarked by theorists and essayists – begins in the moment men put walls on a horizontal surface and develop them vertically in order to cut a space more suitable to the life of individuals than the open, vast, immeasurable and often inhospitable natural space.


Casa a Lisbona, 2008

The wall – destined to enclose and shape space – can’t be obtained in a single piece from the crust. Materials, the elements taken from the ground, must be “assembled” to create construction dispositives, textures, coverings, surfaces, and in the end architectures. But architecture – as Henri Focillon said – “isn’t a collection of surfaces, but an ensemble of parts whose height, length and depth come together and constitute a previously unseen solid, which comprehends an internal volume [space] and an exterior mass.”1 In order to isolate architectural space from the immeasurable terrestrial surface, it’s necessary to “bend” the wall or at least to create a couple of walls positioned so that their settlement produces a veritable spatial “block”. In all these cases, thanks to the inclusive use of wrapping walls – as the Egyptian sacred fences, the Mycenaean city walls, or the tèmenos in Greek temples – a gap between terrestrial surface and physical vertical walls appears: this is the archetypical and eternal magic of the creation of architectural space. On the horizontal scenario of the ground the wall construction is set in an incisively volumetric way, bringing along – as in a case – the definition of architectural space full of particular value and character. In Verona Manuel Aires Mateus renovated the ritual of spatial creation. The pavilion designed for Pibamarmi is articulated with a series of visual barriers, i.e. stonewalls – monochromatic, of the same origin, homogenous, coplanar, characterized by solid and consistent figural aspects. The fruition experience into this labyrinth-like structure is filled with the dimensional strength of the massive stone volumes that – partially hiding and partially revealing glimpses to the sight of the visitors – invites to move in the interior space characterized by daedalic intensity, multiplying viewpoints and perspective effects. Within the contracted and enclosed space of the pavilion, narrow passages alternate with widenings and openings, being the counterpoint to unexpected dead ends: it’s an equilibrated game of full and void spaces that seems evocating, on architectural scale, the same morphology animating the tubs and basins made of marble exhibited in the interior space. These stone creations actually give shape to the materials, offering a calibrated game of masses and cavities. The sharp corners of walls and pillars are here substituted with the sinuosity and softness of curves, as they suggested the fluid corporeity of the water these objects are supposed to be filled with.

1 Henry Focillon “Le forme nello spazio” p. 32, in Vita delle forme, Torino, Einaudi, 1990 (Vie des Formes suivi de Éloge de la main, 1943, p. 134).

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Bibliografia_Bibliography

“Manuel e Francisco Aires Mateus. Casa isolata ad Alenquer”, Casabella n. 700, 2002, pp. 30-37; con un saggio di Gonçalo Sousa Byrne, Un rudere ricostruito, p. 30. “Manuel e Francisco Aires Mateus. Rettorato della Universidade Nova a Lisbona”, Casabella n. 710, 2003, pp. 14-21; con un saggio di Carlo Palazzolo, Monumentalità a sorpresa, p. 15. Francisco e Manuel Aires Mateus, Gonçalo Byrne, Valentino Capelo de Sousa, “An informal conversation”, 2G n. 28, 2004, pp. 129-143. João Belo Rodeia, “On traveling a distance”, 2G n. 28, 2004, pp. 4-17. Alberto Campo Baeza, “A handful of air”, 2G n. 28, 2004, pp. 46-47. Gabriele Lelli, “Rettorato della Universidade Nova, Lisbona”, pp. 454-457, in Alfonso Acocella, L’architettura di pietra. Antichi e nuovi magisteri costruttivi, Lucca-Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 623. Delfim Sardo, Diogo Seixas Lopes, Emílio Tuñon, Aires Mateus: arquitectura, catalogo della mostra, Lisbona, Almedina/Fundação Centro Cultural de Belém, 2005, s. pp. Alice Perugini, “Aires Mateus. 3 progetti”, Casabella n. 743, 2006, pp. 82-97; con un saggio di Alberto Ferlenga, Lievi masse, pp. 82-83. Carlotta Tonon, “Gita al faro. Francisco e Manuel Aires Mateus, Museo del Faro a Santa Marta”, Casabella n. 763, 2008, pp. 61-69. Laura Bossi, “Residential and retail building in Moura, Portugal”, Domus n. 926, 2009, pp. 100-104. Diogo Seixas Lopes, “Form, program, city. Public architecture by Aires Mateus”, Darco Magazine n. 7 (Aires Mateus Monografia), 2009, pp. 35-37. Francesco Cacciatore, Abitare il limite: dodici case di Aires Mateus & Associados, Siracusa, Lettera Ventidue, 2009, pp. 141. El Croquis n. 154 (Aires Mateus 2002-2011. Construir el molde del espacio), 2011, pp. 259.

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La collana LITHOS Da alcuni anni architetti e designer di rilievo internazionale hanno portato la materia litica da processo di formazione disciplinare al centro della loro poetica progettuale, sviluppando con originalità il tema dell’exhibit design in pietra, riattivando la ricerca all’interno di un particolare spazio dell’architettura legato alla tipologia allestitiva temporanea che nella tradizione moderna ha costituito un’emblematica rappresentazione delle linee di pensiero di maestri e protagonisti della ricerca architettonica; il riferimento al Padiglione di Barcellona di Mies van der Rohe è spontaneo e rappresentativo. Il processo di riattivazione di tali dinamiche sperimentali si è reso possibile in relazione alle occasioni progettuali della fiera internazionale Marmomacc di Verona e ha coinvolto la cultura architettonica contemporanea fertilizzando il mondo delle imprese del Made in Italy legate al settore lapideo. Durante le ultime edizioni dell’evento scaligero progettisti di fama internazionale quali Kengo Kuma, Claudio Silvestrin, Michele De Lucchi, Alberto Campo Baeza, Manuel Aires Mateus hanno progettato i padiglioni espositivi di importanti realtà produttive della pietra, approdando alla realizzazione di “opere-concept” litiche, sì temporanee, ma di elevatissimo valore innovativo. Il Laboratorio di ricerca MD_material design, da me diretto presso la Facoltà di Architettura di Ferrara, ha partecipato da protagonista al processo design driven e a quello produttivo dei padiglioni, promuovendo e mediando i rapporti tra architetti e aziende, ideando le fasi di sviluppo dei contenuti di conoscenza, coordinando i progetti di comunicazione innovativa crossmediale fra format a stampa e canali digitali istituzionali tematici (www.materialdesign.it, www.architetturadipietra.it). La collana LITHOS è parte integrante di questo processo dialogico e di mediazione fra interpreti del design discourse, università e mondo imprenditoriale, e si inscrive negli asset strategici dell’attuale economia della conoscenza. Il progetto editoriale, per i tipi di Libria, intende restituire tali esperienze - all’interno dello scenario economico competitivo globale - con una serie di volumi in italiano e in inglese, curati da ricercatori universitari e indirizzati principalmente al pubblico degli studiosi e dei progettisti. Giunta ormai al suo quarto volume, la collana si articola in contributi monografici, ognuno dei quali analizza i caratteri metaprogettuali e gli aspetti tecnico-costruttivi dei diversi padiglioni, proponendone una lettura critica che si svolge sullo sfondo dell’intera “poetica litica” degli architetti coinvolti. La collana intende progressivamente aprirsi all’orizzonte del Design litico - di prodotto e d’interior design affermatosi con forza negli ultimi anni. Su tale tema è stato avviato da anni un progetto di ricerca all’interno del web site tematico architetturadipietra.it (documentato nell’area Lithospedia_Interior Design); nel prossimo futuro il progetto sarà ri_portato sul format cartaceo di LITHOS, in forma più sistematica e scientificamente orientata aprendo una specifica sezione della collana.

Alfonso Acocella Direttore scientifico della collana LITHOS Scientific director, LITHOS line

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The LITHOS line For a few years, internationally recognised architects and designers have put the stone materials in a process of discipline education at the centre of their projecting poetics, recently developing with originality the theme of stone exhibit design and reactivating the research about a particular architectural space linked to the temporary exhibition typology which, in the modern tradition, has been a typical representation of the guidelines of masters and protagonists in the architectural research; the reference to Mies van der Rohe’s Pavilion in Barcelona is immediate and representative. The occasions offered at Marmomacc international fair in Verona made this process of re-activation of experimental dynamics possible, involving contemporary architectural culture and nourishing the world of Made in Italy firms linked to the stone domain. In the last editions of the event in Verona, internationally acclaimed designers as Kengo Kuma, Claudio Silvestrin, Michele de Lucchi, Alberto Campo Baeza, and Manuel Aires Mateus have projected the pavilions of relevant production realities in the Italian stone sector, creating stone-made concept works that are temporary yet extremely inventive. Research workshop MD_material design, directed by Alfonso Acocella at Ferrara Faculty of Architecture, has been a protagonist in this process - both for the driven design and the production of the pavilions, promoting and linking the relationships between architects and firms, planning the development of the knowledge contents, coordinating projects of innovative cross-media communication with printed formats and thematic digital channels (www.materialdesign.it, www.architetturadipietra.it). The editorial project, published by Libria, is aimed to communicate these experiences within the competitive global economical scenario, through a series of volumes edited by university researchers and directed to a target of designers and experts. Counting now four volumes, the line is articulated in monographic essays that analyze the meta-projecting characters and the technical aspects of the various pavilions, offering a critical analysis developed with the entire “stone poetics” of the involved architects on the background. Step by step, the LITHOS line wants to open the horizons of Stone Design - both product and interior design - that has been getting more and more successful in the past years. A project about stone design was already activated years ago with the thematic website architetturadipietra.it (documented in the ‘Lithospedia_Interior Design’ section); in the near future there are plans to transfer this project into the LITHOS printed format in a more synthetic and scientific form, inaugurating a dedicated section of the line.

Luigi Alini

KENGO KUMA Liticità contemporanee. Da Stone Museum a Stone Pavilion

Luigi Alini Kengo Kuma. Liticità contemporanee. Da Stone Museum a Stone Pavilion (Kengo Kuma. Contemporary stone lines. From Stone Museums to Stone Pavilions) with an essay by Alfonso Acocella 2008 supported by Il Casone

Alberto Ferraresi

CLAUDIO SILVESTRIN Liticità contemporanee. La verità ne La cava

Alberto Ferraresi Claudio Silvestrin. Liticità contemporanee. La verità ne La Cava (Claudio Silvestrin. Contemporary stone lines. The truth in La Cava) with an essay by Vincenzo Pavan 2009 supported by Il Casone

Davide Turrini

ALBERTO CAMPO BAEZA Pietra, Luce, Tempo

Davide Turrini Alberto Campo Baeza. Pietra, luce, tempo (Alberto Campo Baeza. Stone, light, time) with an essay by Antonio Pizza 2010 supported by Pibamarmi

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Via Fabbrica, 8 36072 Chiampo VI www.pibamarmi.it


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