Annali MD Material Design Post-it Journal 2010, I

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Annali MD, 2010 [I]

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Annali MD Post-it 2010, vol. I gennaio 2014 Seriale collana ISSN 2533-0918 ISBN 9788890847530 Editore Alfonso Acocella, Media MD Curatore Veronica Dal Buono Redazione materialdesign@unife.it Lab MD Material Design Dipartimento di Architettura UniversitĂ di Ferrara www.materialdesign.it


Annali MD Material Design Post-it Journal MD Material Design Post-it Journal – specifica sezione di Materialdesign.it, canale comunicativo istituzionale del Laboratorio Material Design – è rivista digitale dotata di specifico codice ISSN, riconosciuta a livello nazionale come periodico scientifico in UGOV, Catalogo dei prodotti della ricerca. MD Post-it Journal nasce per diffondere tempestivamene in rete i risultati in progress delle ricerche effettuate da docenti e giovani ricercatori afferenti al team di Lab MD del Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara e risponde, attraverso l’organizzazione della sua struttura in categorie tematiche specifiche tra loro correlate, allo sviluppo delle attività di ricerca in architettura e design e delle competenze progettuali trandisciplinari che caratterizzano il Laboratorio. Attraverso la stratificazione di contenuti testuali e iconografici (statici e video-dinamici), la rivista digitale ha come obiettivo la trasformazione in comunicazione e narrazione dei vari percorsi di ricerca e dei progetti innovativi che Lab MD sviluppa entro l’Istituzione Universitaria e sul territorio dell’economia reale, assicurando la disseminazione e divulgazione dei contenuti attraverso la rete. Si pone, inoltre, come piattaforma tecnologica relazionale e di interazione tra i membri del team di Lab MD, il settore nazionale formativo del Design, le Istituzioni, le Associazioni, il Sistema produttivo che ne sostiene economicamente – di anno in anno – i programmi di ricerca. MD Post-it Journal, con puntualità di pubblicazione attraverso un flusso costante di articoli, rende disponibili al pubblico della rete – in forma del tutto gratuiti – contenuti originali inerenti variegati temi nonché tende ad affermarsi, progressivamente, come punto di riferimento culturale nel settore del design inteso nell’accezione generale e vasta di progetto contemporaneo (per la cultura, per l’architettura, per il prodotto industriale, per la comunicazione aziendale e per quella istituzionale). A distanza di quattro anni dalla fondazione di Materialdesign.it, la redazione avvia la pubblicazione degli Annali MD Post-it Journal che intendono porsi come collana di volumi digitali indirizzati a proporre, annualmente, una selezione dei contributi più significativi editati dalla rivista digitale. Gli Annali MD Post-it Journal, in forma di e-book, consentono la riunificazione e la fruizione dei contenuti pubblicati – con l’indicizzazione di ogni singolo articolo per autore, numeri di pagina, data di editazione – facilitata dallo sfoglio sequenziale o dal download del volume complessivo in formato pdf. In un racconto a più voci, negli Annali, si troveranno così raccolti i contenuti più interessanti pubblicati all’interno di MD Material Design Post-it Journal nel succedersi degli anni, conferendo ad essi una seconda vita e un valore di diffusività e fruibilità aggiuntiva.


Annali MD, 2010 [ I ]

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indice

Annali MD, 2010 [ I]

Intervista a Matteo Thun Nicoletta Geminiani

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Del comunicare attraverso gli eventi. L’iniziativa AEL Alfonso Acocella, Veronica Dal Buono

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Chi è esperto per definire i requisiti dell’UCD di un prodotto? Andreas Sicklinger

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Il design litico contemporaneo Alfonso Acocella

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CCCWall Casalgrande Padana. L’opera e il suo “doppio” Veronica Dal Buono

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Kengo Kuma. Conferenza presentazione “CCCWall” e Grand Prix Nicoletta Geminiani

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Think Tank. Tre progetti per il design contemporaneo Elisa Poli

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L’azienda per la ricerca Christina Conti

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CCCWall e le sue “specchiature” comunicative: fra opera proiettiva e operavideo Veronica Dal Buono

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Intervista a Italo Rota Nicoletta Geminiani

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“Diamante Magico” per Casalgrande Padana. Forma e luce per la ceramica d’architettura Veronica Dal Buono

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Evoluzione dei materiali e Smart Materials Valeria Zacchei

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Il design della ceramica in Italia 1850 - 2000 Chiara Testoni

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Casalgrande Ceramic Cloud. Verso l’opera architettonica. Interviste a Kengo Kuma, Alfonso Acocella, Luigi Alini Veronica Dal Buono

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Antonia Campi. Creatività, forma e funzione. Catalogo ragionato Chiara Testoni

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Imanuel Kant, la disabilità e il design multisensoriale Andreas Sicklinger

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Verde Verticale Chiara Testoni

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Intervista ad Alfonso Femìa 5+1AA Veronica Dal Buono

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Un tempio, gli dei, gli eroi Davide Turrini

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Digital materiality in architecture Chiara Testoni

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Voyeuristi da museo Elisa Poli

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CCCloud. Casalgrande Ceramic Cloud Luigi Alini

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Presentazione del volume Travertino di Siena Sienese Travertine Alfonso Acocella

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Sguardi a Oriente Elisa Poli

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CCCloud di Kengo Kuma, l›evento inaugurale. Chiara Testoni

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CCCloud Casalgrande Ceramic Cloud Luigi Alini

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Intervista a Kengo Kuma su CCCloud. Della collaborazione fra azienda, interpreti del design discourse, Istituzioni Veronica Dal Buono

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Smart Materials in Architecture, Interior Architecture and Design Valeria Zacchei

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Architettura>Energia>Laterizio. Architettura, efficienza energetica e prestazioni del laterizio Paola Boarin, Valentina Modugno

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La ricerca per il settore lapideo e le sue sinergie con altri settori di R&D Valeria Zacchei

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 7-11 - Nicoletta Geminiani edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

post-it journal Intervista a Matteo Thun

Nicoletta Gemignani: Il pensiero di Matteo Thun si muove lungo tre grandi linee progettuali: architettura, design degli interni, design del prodotto. Come interagiscono nel suo lavoro questi diversi livelli del progettare? Quanto si sostentano e si alimentano reciprocamente, e quanto invece si subordinano e dipendono gli uni dagli altri? Matteo Thun: Dagli anni ottanta cerco di percorrere un’altra via, una via capace di coniugare la piena contemporaneità a un attento ascolto del contesto. Una via che permetta di evitare l’urlo egocentrico della modernità a tutti i costi. Questa via si chiama Ecotecture - Ecology Economy Architecture. Nel concepire la sua architettura come dialogo tra opera e contesto ambientale, è stato appunto coniato il termine di Ecotecture. Il che significa estetica dell’economia: un lavoro di sottrazione e semplificazione, un progressivo avvicinamento all’essenza del problema e poi la riduzione del fabbisogno energetico con semplicità ed efficacia: è

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questa la prima responsabilità progettuale. Applicare le prescrizioni necessarie per un’architettura a basso consumo è un approccio in continuità con una tradizione da interpretare con i mezzi della modernità, dallo studio dell’involucro, all’esposizione solare, alla differenziazione delle facciate, all’impiantistica.

Edelweiss Residence, passo alpino di Katschberg (Austria). Credits Falkensteiner Hotels & Residences.

N.G.: Il rispetto per l’ambiente sembra una prerogativa essenziale del suo fare architettura. Quanto questo influisce nella progettazione di un’opera? Quali sono i primi parametri attraverso cui, assegnatole un progetto, questo inizia a prendere forma sotto la sua mano? M.T.: Come progettista ho sentito da sempre la necessità di lavorare con un atteggiamento rispettoso della natura del luogo, intesa come complesso di relazioni fra ambiente, aspetti socioculturali e simbolici. Lo scatto evolutivo che ci viene chiesto oggi è quello di tornare ad agire in modo consapevole nei confronti del consumo di energie. Credo che gli architetti abbiano la possibilità di giocare un ruolo fondamentale nella società civile, di agire come “lifecycle-engineer”.

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Klima Hotel, Bolzano.

N.G.: Che importanza hanno i materiali nella progettazione di un edificio? Da quali materiali l’architettura e il design contemporaneo non possono prescindere? M.T.: I miei principi di un buon “design” sono essere rispettosi nei confronti della natura e dell’ambiente. La semplicità del layout, la serenità dell’idea, la sensorialità del materiale e la durabilità tecnica, questi sono per me i principi fondamentali. N.G.: Lei stesso definisce i suoi prodotti come ZERO design: semplificazione con raffinatezza, per arrivare all’essenza dell’oggetto, alla sua forma ideale, iconica. Tale tensione al minimalismo non rischia però di portare alla scarnificazione della personalità del prodotto stesso? M.T.: Il mio motto parte da un lavoro di sottrazione e semplificazione, dove il semplice non è impoverimento semantico, ma raffinatezza; non è una scarnificazione della personalità del prodotto, anzi. Traduco l’anima del marchio e le esigenze relative in modo creativo, sempre alla ricerca della vera essenza di una “cosa”. N.G.: Due sue ultime creazioni nel campo del design del prodotto, il set da cucina Terra e la vasca da bagno Ofuro, si sono aggiudicate il Wallpaper Award 2010. Potrebbe definirne le caratteristiche vincenti? Possono dirsi rappresentative del suo operare nel settore? M.T.: In grande o piccola scala – in architettura e design – la qualità si trova nella semplicità e nell’immediatezza delle cose. Solo i prodotti genuini, affidabili, puri e distintivi influenzano positivamente la qualità della nostra vita, trasmettono fiducia e sono autoconvincenti.

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Terra, set di pentole da cucina.

N.G.: Incursione nel personale: quali sono gli spazi, aperti e chiusi, che sceglie per trascorrere piacevolmente il suo tempo libero? I suoi luoghi di vita privati soddisfano le esigenze che lei pone come base di ogni architettura? M.T.: Assolutamente, perché mi sono creato degli spazi molto diversi uno dall’altro – la mia casa in montagna e l’altra al mare, a Capri – che mi danno la possibilità di ritirarmi, di respirare, di godermi il tempo con la mia famiglia.

Vigilius Mountain Resort, Merano. Courtesy © VIGILIUS RESIDENCE. Foto Paul Dixon.

N.G.: Al giorno d’oggi gli spazi sono sempre più limitati, ma la domanda continua a crescere, ovunque. Quali sono le nuove frontiere dell’arte contemporanea? M.T.: Secondo me le risorse rinnovabili! Ormai da tanto tempo lavoro con il legno, la risorsa rinnovabile che è diventata indispensabile per il

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mio lavoro. Il legno rende possibile trovare soluzioni sostenibili, rispettose per le risorse per raggiungere misurabili risultati economici, pur sostenendo l’estetica e la bellezza.

Interno con piscina, Vigilius Mountain Resort, Merano. Courtesy © VIGILIUS RESIDENCE. Foto Paul Dixon.

N.G.: Un’anticipazione sui suoi prossimi progetti in lavorazione. M.T.: Stiamo lavorando a progetti diversi in questo momento, praticamente dalle Alpi fino al deserto! Poi abbiamo finito l’anno scorso il mixed-use building Tortona 37 accanto al Nhow-Hotel a Milano. Per quanto riguarda il design abbiamo tante novità per il Salone del Mobile, siamo anche coinvolti in due esposizioni diverse – è troppo presto ancora per dire di più, però spero che veniate in Aprile a vederle direttamente! Nicoletta Gemignani

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 12-14 Alfonso Acocella, Veronica Dal Buono edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

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Del comunicare attraverso gli eventi. L'iniziativa AEL

L'evoluzione recente della comunicazione mix punta ad una visione strategica delle iniziative e dei format che - senza abbandonare le forme e le modalità tradizionali del diffondere i contenuti e i messaggi attraverso i canali di stampa, tv, radio, web di prima generazione - è centrata maggiormente sullo sviluppo di interazioni e di relazioni per un coinvolgimento più diretto dei destinatari della comunicazione stessa. All'interno di questo quadro evolutivo l'evento ha assunto un ruolo sempre più rilevante in quanto dispositivo (format) capace contestualmente - di "spettacolarizzare", di rendere emozionale e memorabile l'esperienza e, allo stesso tempo, di instaurare un rapporto comunicativo diretto e immediato con il pubblico dei fruitori. L'evento (da "eventum", avvenimento straordinario posto a rompere l'ordinarietà e la routine della vita quotidiana) è normalmente contrassegnato da un luogo (spazio) fisico di svolgimento e da una serie di elementi concorrenti alla creazione di una sequenzialità temporalizzata di atti, azioni, accadimenti (dal valore festoso, culturale rituale ecc.).

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L'elezione di un luogo (location) e di un programma, la scelta dei protagonisti e delle loro performance, l'individuazione del pubblico in presenza fisica, danno vita al carattere e al tipo di interazione fra gli attori e i fruitori dell'evento stesso dove entra in gioco la polisensorialità legata al vedere, all'ascoltare, al parlare, all'agire, al gustare. Oltre al loro valore di dispositivi di spettacolarizzazione e di relazione diretta, gli eventi si pongono come medium indiretti nel momento in cui "su di essi" (o "a partire da essi") si costruisce un piano di comunicazione, una narrazione alimentata dalle fasi temporalizzate del "pre", del "durante" e del "post" evento. All'interno dell'atmosfera esperienziale che accompagna ogni evento dotato di distintività e impatto emozionale è possibile "aspirare" al coinvolgimento totale delle persone. Nel contesto fisico dell'evento e attraverso i dispositivi relazionali della comunicazione gestuale, visuale, testuale, orale - sono in genere veicolati i messaggi chiave affinché tutto sfoci in una esperienza memorabile, impasto di senzazioni, emozioni e/o di razionalità. Al raggiungimento di un siffatto ambizioso risultato abbiamo sottoposto il progetto condiviso con l'ANDIL (Associazione Nazionale Degli Industriali dei Laterizi). L’iniziativa ARCHITETTURA ENERGIA LATERIZIO ha visto una importante Associazione di categoria del Paese, qual è ANDIL, scegliere come interlocutore privilegiato il mondo istituzionale dell’Università e in particolare la Facoltà di Architettura di Ferrara attraverso i suoi Laboratori di ricerca md material design e ae architettura e energia. Parallelamente alla definizione scientifica del programma del Convegno e del Corso di formazione, il Laboratorio md material design si è impegnato in un Progetto di fund raising istituzionale e in un Piano comunicativo, quest'ultimo strumentale sia agli obiettivi dell'attività di raccolta fondi che al successo dell'iniziativa in termini di condivisione mediata dei contenuti e di sollecitazione alla partecipazione stessa in presenza alle iniziative AEL. L’idea di fondo che sta alla base del Piano di comunicazione è quella di ideare ed eseguire una comunicazione integrata e crossmediale, offrendo visualizzazione e diffusione verso i pubblicisignificativi di riferimento dei contenuti scientifici dell’iniziativa, unitamente ai valori strategici del progetto stesso. All'interno delle attività del Piano comunicativo sta operando un apposito Ufficio stampa indirizzato alla promozione dell’iniziativa, al fine di conseguire la maggiore visibilità e valorizzazione dell'evento. Selezionati i contenuti di partenza per la comunicazione, l’Ufficio stampa si è occupato della loro diffusione, nella fase pre-evento attraverso il canale "istantaneo" e pervasivo di internet. Attività specifica dell’Ufficio stampa è l’interazione con i media di rete capaci di trasferire velocemente il messaggio al più vasto pubblico di riferimento (architetti, ingegneri, geometri) e agli stakeholder più in generale. Il progetto AEL è stato veicolato sottolineando la volontà della Facoltà di Architettura di Ferrara di esternalizzare le sue competenze confrontandosi e collaborando - in questa iniziativa specifica - con uno dei settori produttvi fondamentali del costruire italiano rappresentato dell’ANDIL (Associazione Nazionale Degli Industriali dei Laterizi) ed evidenziando come l’Associazione sia sensibile e attenta alla nuova filosofia della responsabilità sociale dei soggetti economici del Paese nei confronti della ricerca e della formazione universitaria.

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L’Ufficio Stampa, dopo la preparazione e l'invio della cartella stampa ai media di settore e a quelli generalisti del panorama nazionale e internazionale, svolge la propria attività dialogando con le redazioni attraverso comunicati stampa in progress e sviluppando media relations con giornalisti e addetti stampa. In allegato, a scaricare, la Rassegna stampa che consegna all'ANDIL, agli altri Sostenitori e ai vari Partner i risultati conseguiti dall’attività di Ufficio Stampa nella fase di pre-evento. Alfonso Acocella e Veronica Dal Buono

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 15-16 - Andreas Sicklinger edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

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Chi è esperto per definire i requisiti dell’UCD di un prodotto?

La domanda posta come titolo, è ambigua, mi rendo conto. Ma nasce dall’osservazione, che in collaborazione con aziende produttrici di vari prodotti, questa domanda sorge implicitamente nel momento in cui viene espresso il desiderio di collaborare con un team di esperti, in primis “l’università”. Spesso viene individuato a priori un corpus di persone “esperte” in quanto lavorano in un determinato ambito. Voglio fare un esempio: per sviluppare innovazione sulla poltrona da dentista vengono chiamati i ricercatori della facoltà di medicina, in particolare coloro che lavorano nell’ambito della odontoiatria. L’appunto da fare sarebbe il seguente: se devo innovare un banco cassa e definire l’ergonomia di tale arredo, chiederò alla cassiera come vuole impostare il suo posto di lavoro. O ancora più “spinto”: al momento dell’acquisto della propria auto, il venditore vi chiede di indicare dove desidera avere lo sterzo e i comandi? Emerge che l’utilizzatore è sì esperto in quanto ha esperienza nel uso di determinate attrezzature e va di conseguenza coinvolto dal primo momento nello sviluppo di un nuovo prodotto. Ma non può essere l’unico,

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e soprattutto la sua opinione costituisce un punto di vista spesso parziale, che deve essere interpretato adeguatamente. La questione quindi di chi è esperto nella definizione dei requisiti di un prodotto, si va complicando. E di fatti, solo nella individuazione corretta dei bisogni dell’utente, la salute psico-fisiologica dell’utente, la facilità di uso, ma anche altri elementi come la definizione del posizionamento del prodotto sul mercato possono dare risposta a questa domanda. Chi è esperto dei requisiti UCD si può quindi solo rispondere con “la necessità di individuare la corretta configurazione di un team di persone” che rappresenta una moltitudine di conoscenze ed esperienze. E in molti casi, il product designer e product manager, dovrà prendere l’iniziativa a costituire e gestire una moltitudine di esperti come figura che lega il mondo di commercializzazione e il mondo scientifico che tutela il benessere dell’utente. Questa necessità è un’opportunità per collaborazioni con il mondo “Università”, nel vero senso di un corpus universitatis comprendente una moltitudine di conoscenze. In questo caso si è già avanti nell’esplicitare il metodo sulla ricerca e trovare innovazione del prodotto. Andreas Sicklinger

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 17-22 - Alfonso Acocella edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

post-it journal IL DESIGN LITICO CONTEMPORANEO*

Continuità Oggi il design litico, posto di fronte alle opportunità ampie di un mercato complesso e globalizzato, è tornato con una certa evidenza al centro dell’approfondimento del settore lapideo nazionale e della stessa attività di ricerca e di sperimentazione dei designer. Il design valutato quale leva competitiva in grado di creare valore aggiunto rispetto alla risorsa litica di partenza è da alcuni anni focus dell’appuntamento culturale promosso dall’Ente Fiere di Verona sotto il titolo “Marmomacc incontra il Design” dove un gruppo di designer collabora in stretto contatto con aziende del comparto lapideo per elaborare progetti e prototipi valorizzativi dei know how tecnologici propri delle realtà produttive coinvolte. “Leggerezza del marmo; “Pelle, Skin, Texture”; “Hibrid and Flexible” sono i temi di sperimentazione proposti negli anni 2007, 2008, 2009. Nella stessa direzione s’inscrivono i progetti promossi dalle aziende del Consorzio Marmisti di Chiampo – quali “Palladio e il design litico” (2008) e i “Marmi del Doge” (2009) – e ideati da Raffaello Galiotto. Nell’avviare la nostra riflessione sul design litico contemporaneo ci ha interessato, in particolare, l’idea di esplorare gli elementi di continuità, insieme a quelli di discontinuità (o quantomeno di differenziazione), che è dato riscontrare fra il recente passato e la situazione dell’oggi. Se lo spirito dei tempi esiste, qual è lo Zeitgeist attuale del design?

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Quale la condizione operandi nel processo di ideazione e produzione degli artefatti litici? Fra gli elementi atemporali (e quindi di continuità) fra il passato e il presente dei processi generativi del design litico (e del design in generale) riteniamo vi sia la ricerca ineliminabile di forme o, se si vuole, la necessità del conferimento di forma alla materia. «L’idea di fondo – per dirla con Vilém Flusser – è questa: il mondo dei fenomeni che percepiamo con i nostri sensi è un caos amorfo dietro il quale sono nascoste forme eterne, immutabili che possiamo percepire grazie alla prospettiva sovra sensoriale della teoria. Il caos amorfo dei fenomeni (il “mondo materiale”) è un’illusione e le forme nascoste dietro si essa (il “mondo formale”) costituiscono la realtà che può essere scoperta per mezzo della teoria. In questo modo è possibile riconoscere come i fenomeni amorfi sfocino nelle forme, le riempiano per poi defluire ancora una volta nell’amorfo (…) Il mondo materiale è ciò che viene introdotto nelle forme, è il riempitivo delle forme».1 L’immateriale (la forma) in altri termini è ciò che fa apparire in primo luogo la materia. Se, allora, la forma è l’opposto della materia, il design è l’attitudine e la strategia esclusiva del genere umano attraverso cui conferire forma a tutto ciò che ne è privo (la materia litica, nel nostro caso specifico). Il mondo delle forme disvelate, replicate, variate, inventate sta all’origine di ogni azione indirizzata a produrre design: forme naturali ed artificiali, forme immutabili e mutevoli, forme eterne e contingenti allo stesso tempo. Questo mondo formale, cresciuto sulle spalle del mondo materiale, rappresenta il substrato culturale a cui ogni designer (di ieri, come di oggi) non può sottrarsi. Un universo poliedrico di forme che sembra appartenere al “mondo materico” ma che, invece, è dote del mondo delle idee, della teoria, della cultura intesa come memoria, conoscenza o visionarietà proiettata verso il futuro. Il progetto “I Marmi del Doge” muove il tema della ricerca delle “sue” forme a partire dalle suggestioni dell’ordine architettonico di Palazzo Ducale di Venezia. Un ordine architettonico “invertito” quello del Palazzo Ducale che sembrerebbe essere “costruito contro le leggi sacrosante dell’architettura” – come Wolfang Wolters riporta in questo stesso volume citando dalle cronache dei commentatori dell’opera di Filippo Calendario – con le sue due logge tettonico-lineari (filtranti e leggere) nella fascia basamentale e la continuità muraria di natura tessile (“pesante”, avvolgente, fortemente decorativa) a contatto con il cielo. Da questo partito architettonico “inverso” Raffaello Galiotto – con metodo già sperimentato nel progetto “Palladio e il design litico” – seleziona, distilla, estrapola alcune linee, figure, geometrie combinatorie. Poi le trasferisce nello spazio del progetto digitale guidato dall’alchimia ideativa che astrattivamente e associativamente procede alla fusione delle forme di partenza e di quelle nuove che affluiscono dalle regioni insondabili della visionarietà di ogni mente creativa, dando vita al nuovo progettoconcept di design litico. Processi alchemici e magici quelli della creazione di cui il progetto “I Marmi del Doge” ci parla attraverso i suoi prototipi litici, calchi delle forme mentali (e digitali, come vedremo) del suo ideatore.

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Discontinuità I decenni centrali del secondo Novecento (ci riferiamo in particolare agli anni Sessanta, Settanta, Ottanta) hanno visto numerosi maestri del design italiano impegnati nell’ideazione e messa in produzione – insieme ad aziende del mondo dei marmi, delle pietre o dell’arredamento – di oggetti di design litico molti dei quali ancora oggi disponibili sul mercato: Angelo Mangiarotti, Carlo Scarpa, Achille Castiglioni (…) e poi più tardi – lungo la stagione del postmodernismo – Aldo Rossi, Paolo Portoghesi, Adolfo Natalini, Cristiano Toraldo Di Francia, Mario Bellini (…). Immaginiamo tali designer – molti dei quali architetti famosi sulla scena internazionale – all’interno dei loro atelier affollati e ingombrati da tavoli da disegno, intenti nel fissare su carta, attraverso schizzi fortemente autoriali, le loro idee iniziali di forma, passare poi ai collaboratori le indicazioni necessarie per trasferire l’idea su qualche tavola a disegno quotato tradizionalmente eseguita, avviare infine i contatti colloquiali e fiduciari con le realtà produttive preposte all’esecuzione dei pezzi con impiego di metodiche prevalentemente artigianali e lavorazioni manuali o parzialmente meccanizzate. Molto diverso lo scenario e le condizioni operandi che è dato riscontrare nella produzione del progetto di design in avvio di nuovo millennio. Innanzitutto è da evidenziare l’affiancarsi (e l’affermarsi) accanto alle figure “tradizionali” degli architetti-designer di quelle “nuove” dei designerdesigner cresciute sul progetto dell’oggetto o, se si vuole, sulla scala dell’architettura del piccolo. Si tratta di una sostanziale mutazione del quadro generale dei protagonisti del progetto di design a cui si lega, contestualmente, il ricambio generazionale con l’immissione di figure giovani (se non addirittura molto giovani) cresciute nell’era della rivoluzione digitale. Un secondo elemento di discontinuità – anch’esso molto significativo e sostanziale – attiene alla mutazione dello spazio fisico di lavoro insieme a quello concettuale ed operativo inerente ai modi di produzione del progetto di design. Gli atelier di progettazione hanno perso ogni atmosfera o aura autoriale, si sono svuotati dei tavoli di disegno ingombranti, liberati dei tecnigrafi, dei modelli eseguiti spesso da sapienti artigiani della materia e hanno accolto al loro posto ordinate e asettiche consolle informatiche dotate di grandi schermi interattivi che spalancano al nuovo mondo della realtà virtuale parallela a quella materiale. Nel volgere dell’ultimo quindicennio un sostenuto processo di innovazione dei concetti tradizionali di spazio, tempo, materia, forma, presenza è stato indotto – come sappiamo – dai progressi delle scienze elettroniche con influenze non irrilevanti nell’area del design di architettura e di prodotto. Il campo informatico, che ha fatto propri i risultati della ricerca scientifica più generale, ha reso disponibili per i progettisti potenti strumenti di calcolo, insieme a metodiche innovate di creazione, rappresentazione, simulazione degli artefatti. La possibilità di trasporre equazioni differenziali, funzioni e algoritmi – riguardabili come sculture matematiche o anche come “nuvole di punti” nello spazio – in ambienti virtuali di lavoro gestiti da avanzati software ha consentito ai progettisti di interagire con interfacce di prefigurazione e modellazione in cui sperimentare ogni tipo di forma attraverso atti di formazione (generazione), de-formazione, metamorfosi.

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Ne è derivato, conseguentemente, oggigiorno una mutazione dello spazio in cui si esercita la creatività da parte delle nuove generazioni di progettisti. La cultura del progetto sempre più si concentra e si alimenta in studiatelier attrezzati con potenti computer connessi in rete in forma di network, sostenuti dalle competenze di giovani operatori delle tecnologie informatiche, di esperti di modellazione virtuale e di produzione di immagini fotorealistiche in grado di gestire in team lo sviluppo di progetti oramai integralmente digitalizzati: dall’idea iniziale fino alla produzione degli artefatti stessi. Il computer non sta più a rappresentare un semplice strumento di lavoro ex post rispetto alla fase di ideazione vera e propria. Attraverso i suoi programmi, le capacità enormi di calcolo e di rappresentazione si pone, oramai, come elemento contestuale e co-generatore rispetto allo sviluppo di ogni idea, di ogni abbozzo iniziale di forma. Il nuovo mondo della prefigurazione ad interfaccia informatizzata ha, contestualmente, liberato energie nuove per una sperimentazione più libera sulle famiglie di forme (e loro articolazioni) dove è possibile saggiare una forma (o più forme) all’interno di azioni, retroazioni, visualizzazioni, varianti in tempo reale. Lo stesso spazio progettuale da spazio razionalizzato attraverso la terna di assi cartesiani evolve verso matrici geometriche più complesse e spazi con dimensioni di ordine superiore. In questi ambienti di simulazione pluridimensionale il progetto contemporaneo di design non si produce più in forma lineare e sequenziale (scandito cronologicamente fra concept autoriale, progetto esecutivo, prototipazione). Sempre più evidente è l’aumento della contestualità-complessita nella gestione del progetto, delle scelte e dei dati relativi alle diverse aree problematiche e alle diverse fasi del processo, non ultima quella produttiva. Le risorse informatizzate dischiudono il progetto di design verso territori ed orizzonti del tutto nuovi. Il primo è interno allo sviluppo digitalizzato del progetto con l’elevato livello di definizione tecnica conseguibile e la precisione della modellazione virtuale consentita sotto forma di plastici digitali tridimensionali (statici e dinamici) ad altissima definizione delle linee, delle curve, dei volumi e dei dati analitico-quantitativi connessi. Il secondo orizzonte dischiusosi attiene all’interconnessione di ambiti operativi sino a qualche lustro fa scarsamente correlati e dialoganti. Ci riferiamo all’integrazione diretta fra progetto di design e fase di produzione grazie alla possibilità di conversione dei dati e delle rappresentazioni tridimensionali (i “file progetto”) nel relativo linguaggio di comando delle macchine di lavorazione, oramai completamente robotizzate e gestite anch’esse da software. Riteniamo che non molto diverso da quanto prefigurato sia il contesto in cui è nato ed è stato sviluppato il progetto “I Marmi del Doge”. Verso la materia (in-formatizzata) Lo spirito attuale del tempo si coglie anche nelle aziende del settore lapideo dove, accanto a linee di produzione seriali segnate dal tempo e dal “logorante” lavoro sulla dura materia litica, si nota la presenza di imponenti e nuovi macchinari robotizzati di recentissima generazione. Si tratta di centri di lavoro capaci di assicurare modalità e processi

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operativi alimentati dalla trasmissione dei dati elettronici provenienti dalla fase del progetto digitale di design. Il concatenamento tra l’input dei dati immateriali portatori di forma e l’output di modellazione materico delle macchine robotizzate di fabbrica rappresenta uno degli elementi di maggiore innovazione (e, quindi, di discontinuità) dello scenario manifatturiero odierno del settore lapideo rispetto a quello di solo qualche lustro fa. Tali centri di lavoro sono macchine a controllo numerico con bracci snodabili guidati da software CAD/CAM (Computer Aided Design Computer Aided Manufacturing) capaci di imprimere la forma di qualsiasi modello tridimensionale ai litotipi attraverso l’aiuto di laser scanner ed altri dispositivi ad avanzata tecnologia integrati alle macchine stesse. Selezionando automaticamente specifici utensili diamantati questi macchinari robotizzati possono realizzare fresature, sbancature su monoliti tridimensionali, lavorazioni a tutto tondo, scavi in profondità della materia. Lo stesso spazio utile di lavoro è oramai significativo (600 cm di diametro, 300 cm di altezza) non ponendo più grossi limiti alla tipologia dimensionale di artefatti sottoponibili a tale tipo di sistema produttivo. La chiave di svolta di questi grandi robot – molti dei quali frutto dell’ancora insuperato primato italiano nella produzione di macchine manifatturiere – è nella tecnologie abilitanti (software avanzati, sensori, laser…) che li rendono “macchine intelligenti” con bracci servomovimentati in uno spazio multidimensionale di lavoro. Ciò che in un passato, anche molto recente, era possibile ottenere solo attraverso procedure discontinue, costose, ibride (con contestualità di lavoro manuale e meccanizzato) coordinate dall’abilità e dall’esperienza di esperti artigiani, oggigiorno è affidabile alla collaborazione fra l’immaterialità dei flussi di dati elettronici del progetto digitalizzato e la forza modellante dei bracci semoventi che conferiscono forma alla materia litica assicurando altissima precisione e continuità al processo produttivo, indirizzabile – quest’ultimo – verso la realizzazione di oggetti unici o multipli in funzione delle specifiche richieste mercato. Il conferimento di forma alla materia litica attraverso una realtà virtualmente parallela (generata dal progetto di design) apre a nuovi orizzonti e a morfologie complesse gli artefatti litici contemporanei ripristinando per il settore produttivo dei lapidei il livello dell’alto artigianato che ha contraddistinto la tradizione italiana degli elementi architettonici e dell’arredo marmoreo riguardabili come tipici apporti della civiltà abitativa delle nostre città storiche di cui lo stesso splendido Palazzo Ducale di Venezia ne è testimonianza. Senza questa rivoluzione dei mezzi di produzione e senza il progetto digitalizzato di design che si colloca a monte (e ne, in-forma a valle, la materia) non sarebbe stato possibile in così breve tempo e con tale apertura sperimentale e sistemica un progetto come quello de “I Marmi del Doge” ideato e coordinato da Raffaello Galiotto, figura rappresentativa ed emergente all’interno di quel nuovo panorama dei designer-designer a cui abbiamo fatto riferimento. Un progetto di concept design di nuovo millennio, prim’ancora che messa in produzione di singoli oggetti di design litico.

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Un’ultima riflessione che vorremmo avanzare, a proposito del progetto “I Marmi del Doge”, attiene al rapporto sinergico fra progetto di design e know how aziendale quale leva competitiva all’interno dell’economia postfordista. L’evoluzione delle transazioni economiche dall’ambito locale a quello globale non sta ad individuare oggi solo la dilatazione geografica del mercato e la crescita (esponenziale) dei potenziali acquirenticonsumatori di beni e servizi di massa. È anche indicatore della nascita di particolari aperture del mercato stesso legate alla richiesta di prodotti di alta gamma contrassegnati dai valori di qualità, unicità, durata nel tempo, assicurabili solo attraverso materiali di pregio ed elevate competenze manifatturiere delle imprese. Mi piace valutare il progetto “I Marmi del Doge” all’interno di tale orizzonte di competizione economica riguardandolo, nel suo insieme – dall’ideazione formale di prodotto, alla fase produttiva fino a quella importante di comunicazione e promozione dell’iniziativa stessa – come una proposta-concept fortemente innovativa sotto il profilo strategico nel tentativo di rendere esplicito e valorizzare, attraverso un progetto di design, il livello tecnologico avanzato delle aziende del Consorzio Marmisti Chiampo riunite in un sistema a rete e protese a intercettare le tendenze evolutive del mercato – sia pure di nicchia – verso beni durevoli, prim’ancora che di lusso come spesso superficialmente si tende ad identificare i prodotti litici di alta gamma e valore.

Alfonso Acocella Note *Il saggio è tratto da I marmi del Doge. Design e ospitalità, a cura di Raffaello Galiotto, Vicenza, Consorzio Marmisti Chiampo, 2009, pp. 122 1 Vilém Flusser, “Forma e materia” p.7 in Filosofia del design, Milano, Bruno Mondadori, 2003 (ed. or. 1993), pp. 153.

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 24-27 - Veronica Dal Buono edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

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CCCWall Casalgrande Padana. L'opera e il suo "doppio"

"CCCWall" nel Cortile de' Bagni della Ca' Granda. (ph. Peppe Maisto)

“Casalgrande Ceramic Cloud” in anteprima con un suggestiva anticipazione virtuale in occasione della settimana milanese del design. Un velo fluttuante di organza, trasparente e leggero è posto a dividere il Cortile più appartato e silenzioso fra gli spazi allestiti presso l’Università Statale di Milano, nel quadro degli eventi organizzati da Interni Think Tank. L’organza scelta per rappresentare il concetto di partizione dello spazio è, allo stesso tempo, anche materiale flessuoso, portatore di mutevolezza e di ambivalenza: ogni soffio gentile di vento è sufficiente a muoverla, ogni fascio di luce a penetrarla e farla risplendere. È con l’installazione CCCWall che l’azienda Casalgrande Padana e il maestro Kengo Kuma hanno affermato la loro presenza all’importante appuntamento milanese del Fuorisalone 2010.

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Se di giorno l’allestimento è visione diafana ed evanescente, posta a separare due giardini ideali - simili e dissimili, di bianche tessere in ceramica e ciottoli di marmo -, è al calar del sole che la magia prende forma, svelando agli spettatori il gioco luminisitico e geometrico delle tessere ceramiche che compongono la "Casalgrande Ceramic Cloud". Proiettato sul velo d'organza, semitrasparente e in continuo movimento, si afferma il racconto delle ore del giorno che trascorreranno sull'architettura reale; racconto illusivo condensato nell'opera video originale realizzata da Studio Visuale che sortisce un effetto scenografico incantevole. L'installazione - fatta di materie allusive e di segni luministici proiettati - è un’astrazione della prima opera architettonica realizzata in Italia da Kengo Kuma attualmente in fase di ultimazione presso la sede di Casalgrande Padana, dove un grande dispositivo filtrante di lastre ceramiche divide, al pari dell’allestimento milanese, lo spazio circolare di una grande rotonda stradale. Un’esperienza realizzativa complessa che ha visto l’Azienda non solo scegliere, con lungimiranza, il maestro Kengo Kuma e il suo staff come interlocutori principali, coadiuvati da Mario Nanni di Viabizzuno per il progetto di luce, ma anche coinvolgere l’Università, le Facoltà di Architettura di Ferrara e Siracusa nelle figure dei docenti Alfonso Acocella e Luigi Alini, avviando così un processo innovativo di interazione tra produzione d'azienda, cultura del progetto, ricerca e formazione universitaria. Lo spazio-corte dell’Università Statale di Milano è stato cornice ideale per annunciare la prima opera architettonica di Kengo Kuma in Italia; uno spazio silenzioso e raccolto dove sperimentare e tradurre in allestimento virtuale gli elementi fondamentali della cifra produttiva di Casalgrande Padana, in una promenade espositiva svoltasi tra il Cortile della Ca’ Granda del Filarete e la vetrina presso La Rinascente in Piazza Duomo. Qui, alla portata del grande pubblico internazionale, una video intervista al maestro Kuma accompagna la visione di una superficie verticale di lastre in grès magistralmente sospese a lasciar trasparire, tra le fughe della composizione, la planimetria dell'opera architettonica in grandi lastre ceramiche che a breve sarà inaugurata nei pressi della Casalgrande Padana. Veronica Dal Buono

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1 - 7 "CCCWall" nel Cortile de' Bagni della Ca' Granda.

1 - 6 "CCCWall" nel Cortile de' Bagni della Ca' Granda.

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1 "CCCWall" nel Cortile de' Bagni della Ca' Granda. 2 - 5 Visioni notturne. "CCCWall" nel Cortile de' Bagni della Ca' Granda.

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 28-31 - Nicoletta Geminiani edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

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Kengo Kuma. Conferenza presentazione “CCCWall” e Grand Prix

Kengo Kuma prenzia alla Conferenza Grand Prix 2010. ph. Davide Bonando

Nell’ambito del Salone del Mobile 2010 di Milano, all’interno della mostra “Interni Think Tank” Kengo Kuma ha realizzato “CCCWall”, l’allestimento ispirato alla sua prima opera italiana “Casalgrande Ceramic Cloud”. Nella conferenza tenuta per presentare l’opera, svoltasi il 14 aprile 2010 nell’Aula Magna dell’Università degli Studi di Milano, l’architetto giapponese ha coinvolto idealmente tutto il mondo universitario italiano che, attraverso le figure di Francesco dal Co – professore all’Università di Venezia e direttore della rivista “Casabella” –, Alfonso Acocella – professore all’Università di Ferrara – e Luigi Alini – professore all’Università di Siracusa –, è intervenuto per rendere omaggio al genio del maestro nipponico, alla sua arte e alla preziosa contaminazione tra questa e il nostro territorio, la nostra cultura. Sì, perché è grazie all’altra indiscussa protagonista dell’evento, l’azienda di ceramica Casalgrande Padana, che Kengo Kuma ha potuto portare per la prima volta in Italia il suo estro creativo, misurandosi con un ambiente e un materiale del tutto inscrivibile nel Made in Italy. «Creare un monumento pensando alla ceramica» è ciò che – come racconta il presidente dell’azienda Franco Manfredini aprendo la conferenza – Casalgrande ha chiesto a Kengo Kuma. Suggellano idealmente l’accordo le parole di Alfonso Acocella,

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spiegando come per un’azienda quale quella emiliana, inserita a pieno nel mercato odierno globalizzato, sempre più contaminato e in eterno divenire, siano fondamentali valori come la sperimentazione, la ricerca, il confronto e la comunicazione con l’esterno. E investire nel rapporto con l’Università di Ferrara ha in questo caso prodotto la fervente collaborazione tra l’azienda stessa e l’architetto Kuma. Pare quasi che benevolenza d’animo e onestà intellettuale si siano strette la mano, insieme per creare un’eccellenza nel nostro territorio, e un orgoglio per il brand italiano all’estero.

Kengo Kuma e l'installazione "CCCWaal". ph. Davide Bonando

Dal lontano Paese del Sol Levante, dunque, alla ridente provincia emiliana: Kengo Kuma rende partecipe il suo uditorio guidando il pubblico attraverso un percorso suggestivo tra le sue architetture. Con il supporto fotografico delle immagini che scorrono dietro di lui, l’architetto racconta la genesi e il divenire della sua opera, tra progetti e realizzazioni in Giappone e in America, fino ad arrivare all’Europa, e al work in progress in Italia: il “Casalgrande Ceramic Cloud”, il “CCCWall” appunto. Un landmark architettonico che si inserirà in loco – davanti al sito produttivo dell’azienda, a Casalgrande, provincia di Reggio Emilia –

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come scultura, monumento ma anche elemento strutturale caratterizzante il territorio; il “muro” di ceramica, come mostrano le fotografie proiettate, è già in fase di realizzazione: la fine dei lavori è prevista per il prossimo autunno. Mentre l’architetto spiega il processo di ideazione e realizzazione dell’opera, il suo sguardo tradisce fatica mista a soddisfazione, esplicitando al tempo stesso passione: un’impresa non poco ardua – dunque molto stimolante, quasi una sfida – simulare con la ceramica, materiale pieno, fisico e pesante, l’idea di eterea leggerezza, quasi di trasparenza, che secondo l’artista dovrebbe comunicare il monumento. Ed è per rappresentare tale apparente ossimoro che Kengo Kuma crea l’installazione omonima “CCCWall - Interni Think Tank”, esposta durante il Salone del Mobile nel Chiostro dei Bagni della Statale di Milano. Il principio è lo stesso del landmark emiliano, dichiara Kuma, solo che qui al “muro” di ceramica si sostituisce un leggero telo di organza, che ondeggia armonico a ogni alito di vento nello spazio aperto del chiostro, creando suggestioni ed emozioni libere, fluttuanti. Una sorta di “cloud feeling”, come lo definisce l’artista stesso. E guardando l’opera, sin dal momento in cui ci appare davanti, l’effetto è assicurato: si è colti da una sorta di “sindrome di Icaro”, viene voglia quasi di allargare le braccia, fare un bel respiro a pieni polmoni, librarsi in volo e vedere ciò che accade. Yin e Yang sono sotto di noi, il bene e il male, la luce e il buio. Una dicotomia che l’opera rappresenta attraverso la ceramica – naturalmente di marchio Casalgrande Padana –, che l’artista ha usato per il pavimento, e che la striscia di organza delimita in due spazi. Due opposti i cui confini non sono però definiti, anzi si confondono continuamente: il telo oscilla leggero, si muove e cambia forma. L’illuminazione e i video che animano l’installazione la sera – grazie all’opera video realizzata da Studio Visuale e al progetto di luce di Viabizzuno – creano ancora altre forme, innumerevoli interpretazioni. È così che l’opera di Kuma sublima in modo aereo, quasi magico e celeste, la fisicità di un materiale, rendendolo portatore di un messaggio universale e salvifico, ergendosi quasi a difesa delle nostre anime, al di là e al di sopra delle nostre idee.

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Da sinistra: Alfonso Acocella, Franco Manfredini, Kengo Kuma, Mauro Manfredini. ph. Davide Bonando

Dopo la conferenza il maestro giapponese ha presenziato alla cerimonia di premiazione del Grand Prix 2007-2009, e al lancio ufficiale del Grand Prix 2010-2012, ottava edizione del concorso internazionale di architettura promosso sin dal 1990 da Casalgrande Padana, che premia le migliori opere di architettura e arredi interni realizzate in tutto il mondo impiegando i suoi prodotti. La serata si è conclusa con un raffinato buffet nel suggestivo ambiente adiacente il Chiostro dei Bagni. Allietati dai piacevoli sapori del palato si possono finalmente raccogliere e sublimare i pensieri, gli stimoli e le idee che la straordinaria esperienza sensoriale e intellettuale del “CCCWallâ€? ha prodotto in ognuno di noi. Per quanto mi riguarda ho fatto il pieno di poesia. Nicoletta Gemignani

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 32-36 - Elisa Poli edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

post-it journal

Think Tank. Tre progetti per il design contemporaneo

“CCCWall” di Kengo Kuma. (ph. Peppe Maisto)

Casalgrande Ceramic Cloud Wall ad opera dell’architetto giapponese Kengo Kuma – di cui questo sito ha già editato una prima presentazione – è un’installazione minimale e poetica giocata sulla precisa collocazione di frammenti ceramici e pietre. Un layer di fibra di organza divide in diagonale uno dei quattro cortiletti del Filarete, quello chiamato “Bagni delle donne” che si raggiunge dopo una serie di passaggi intermedi rispetto alla Cortile d’Onore del complesso universitario. Un luogo silenzioso e raccolto al cui interno Kuma ha immaginato due nuovi spazi triangolari, dividendo il rettangolo delimitato dal quadriportico in due figure simmetriche, che si mantengono sempre in relazione con la pianta originale grazie alla leggerezza dell’organza che contemporaneamente vela e svela lo spazio. La cortina funge da parete semitrasparente durante le ore diurne, mentre si trasforma in un vero e proprio screen durante la notte sul quale vengono proiettati dei video. Di notte sulla tela, che scende come una cascata leggera a marcare i due setti materici, sono proiettati dei racconti per immagini che rivelano vuoti e pieni, giochi di luce e ombra alterando le reali dimensioni del layer. Attraverso un’accelerazione dei frame di immagini la proiezione mostra il passare del tempo nell’arco di una giornata. La cortina divide il cortile in due giardini in cui pezzi di ceramica e sassi silicei sottolineano similitudini e contrapposizioni, metafora del concetto orientale di Yin e Yang. Lungo la

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loggia è allestita una sequenza di installazioni in alcune delle stanze che si affacciano sul cortile e che collegano l’opera milanese site specific a quella emiliana presente presso la sede dell'azienda - che quest’anno celebra i suoi cinquant’ anni - attraverso una serie di video e di live-cam.

“House of Stone” di John Pawson. (ph. Sergio Anelli)

Dall’apologia della non-materia alla forza concreta ma minimalista della casa primigenia di John Pawson. In direzione diametralmente opposta rispetto ai cortili del Filerete si trova infatti il cortile Settecento al cui interno l’architetto e designer inglese ha realizzato per l’azienda toscana Salvatori un archetipo di abitazione interamente composto con una innovativa pietra: Lithoverde. “Il minimum – scriveva qualche anno fa Pawson in un suo famoso libro - può essere definito come la perfezione che un oggetto raggiunge quando non è più possibile migliorarlo per sottrazione. E questa idea è certamente alla base del padiglione House of Stone da lui concepito. L’architettura di John Pawson non ha bisogno di presentazioni. Il suo nome, ormai da anni legato ad un’estetica minimalista e sobria, è sempre rimasto estraneo alla cultura del jet-set preferendole una pratica professionale rigorosa e coerente. Ancora più prezioso appare dunque il coinvolgimento dell’architetto inglese all’interno di questa manifestazione che lo vede, per la prima volta, impegnato nella realizzazione di un padiglione temporaneo in Italia. L’idea alla base di questo intervento è di una efficace semplicità ma si basa al contempo su ricerche tecnologiche avanzate. Pawson ha disegnato una casa primigenia composta da lastre di pietra tagliate in modo da far penetrare la luce esterna come all’interno di un luogo sacro, in cui le gradazioni dello spazio siano la risultante del rapporto tra materia e illuminazione. L’effetto notturno, al contrario, mostra una sagoma elegante e scura dal cui interno fuoriescono raggi luminosi che rischiarano la corte circostante. Il materiale con cui il padiglione è stato realizzato è di nuovissima concezione. Lithoverde è composta per il

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99,9% da lastre di scarto – che abitualmente richiedono grande dispendio di energia e di costi per essere eliminate – e solo per uno 0,1% da una resina naturale che funge da collante per consentirne una maggiore solidità.

“House of Stone” di John Pawson. (ph. Sergio Anelli)

Con uno sguardo sofisticato ed esperto John Pawson ha tradotto in questa installazione alcuni temi cari all’arte contemporanea. Il rispettoso e quasi sacrale amore per la materia dello scultore spagnolo Eduardo Chillida così come i détournements applicati da Gordon Matta-Clark alle sue opere. I noti tagli che l’artista americano operò su molti edifici abbandonati vengono qui ripresi e sublimati attraverso la creazione di un edificio simbolico. La semplicità ed il rigore della forma racchiusa nello scrigno storico del Cortile Settecentesco entra in un suggestivo contrasto con le infinite variazioni della luce e con le preziose mutazioni cromatiche di una pietra che viene qui presentata in esclusiva.

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“The Wooden Beacons” di Matteo Thun. (ph. Sergio Anelli)

Presso il portico del Richini – il progettista della chiesa secentesca SS. Annunziata attigua al cortile d’Onore – Matteo Thun designer e architetto altoatesino impegnato ormai da anni nella progettazione sostenibile e Consuelo Castiglioni la raffinata fashion designer di Marni hanno ideato The Wooden Beacons (I fari di legno). L’installazione interroga lo spettatore - che è chiamato a compiere un percorso esperienziale all'interno delle diverse parti che compongono l'opera - riguardo il processo di gestione dell’intero ciclo di vita di un prodotto. Dal suo concepimento attraverso la formulazione formale e la produzione passando per l’assistenza da parte della catena commerciale fino allo smaltimento. L’installazione coniuga architettura e moda, che condividono, all'interno della ricerca per la sostenibilità, valori fondamentali come la salvaguardia dell’ambiente. In questo spirito l’installazione è realizzata principalmente in legno mentre le parti "attive" sono indicate attraverso l'uso di altri materiali come carta, tessuti, plastica, semi, corno, legno, crine e resine.

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L’installazione è formata da tre parti disgiunte che possono essere guardate, attraversate, toccate e annusate. Questa scelta nasce dal bisogno di esplicitare una interazione fra architettura, intesa come parte “hardware” della composizione ed elementi decorativi interni, percepiti come “software”. I tre grandi elementi “hardware” sono le gabbie composte in legno, chiamati “fari”. Realizzati in legno di quercia rossa americana (American red oak), una qualità che offre texture molto intense, è stato fornito dall’American Hardwood Export Council. Mentre gli elementi decorativi “software” interni ai fari sono stati realizzati da Marni, in tre tipi di materiali. Diversi elementi sono stati composti con gli stessi materiali usati per creare gioielli, tessuti per confezionare abiti e accessori e cartamodelli - le sagome di carta che i designer usano per tagliare gli articoli di abbigliamento: tutti provenienti dall’archivio della maison. Il primo “faro” si configura come una gabbia di legno per carta modelli su cui sono state appese, attraverso l'utilizzo di semplici fili metallici, diverse sagome in carta. Il secondo “faro” è una gabbia di legno che contiene balle di stoffa avvolte in pezze più grandi sistemate liberamente all’interno. Il terzo “faro”, più sofisticato, è una gabbia di legno che contiene gli elementi con cui vengono costituiti i bijoux. Una quarta installazione si trova invece nel cortile del negozio di Marni in via della Spiga: tavole di legno di noce americano (American walnut wood) disposte in verticale, in modo casuale creano un percorso onirico. In modo divertito e consapevole i due designer hanno portato l'attenzione dello spettatore su di un tema attuale e problematico: la storia degli oggetti. Non intesa, qui, come storia estetica o fattuale ma come vero e proprio percorso di vita. Non è un caso se questo stesso tema è stato l'oggetto della conferenza organizzata dal Sole Ventiquattr'ore proprio nella settimana del design. Ma, la descrizione di questo evento, sarà l'oggetto del prossimo post...

Elisa Poli

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 37-39 - Christina Conti edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

post-it journal L'azienda per la ricerca

Il Casone. Un azienda per per la ricecra. Video di studio visuale

La conoscenza dei materiali e dei processi produttivi è fondamento per una corretta composizione considerando che "le forme si sono sviluppate a partire dalla possibilità di applicazione e dal processo costruttivo propri di ogni singolo materiale, si sono sviluppate con il materiale e attraverso il materiale". Quando Adolf Loos formulò questo pensiero la forte spinta derivata dalla prima fase di industrializzazione dei processi edilizi invitava i progettisti ad una sperimentazione continua in giochi sapienti di invenzione e ridefinizione delle regole d'arte; allora si sperimentava sul linguaggio con particolari vincoli di una industrializzazione seriale che proprio perchè legata alle logiche dei grandi numeri contribuì all'evoluzione del comparto lapideo durante il secolo scorso senza stravolgerlo radicalmente bensì ponendo le basi necessarie all'innovazione successiva, concretizzatasi nel secolo attuale, conseguentemente all'informatizzazione dei processi di lavorazione. Oggi la pietra, alla pari degli altri materiali, può essere plasmata a piacimento; i vincoli di realizzazione derivano dall'essenza della materia e non più dalle possibilità di trasformazione e di applicazione che per secoli hanno condotto le esperienze costruttive "con il materiale ed attraverso il materiale".


Cave di pietra serena a Firenzuola di IL CASONE (foto: A. Acocella)

I paradigmi del progetto sono mutati verso nuovi linguaggi la cui correttezza deriva dalla sapiente capacità dei progettisti di coniugare la semantica tradizionale con quella attuale le cui regole stilistiche sono sempre di più condizionate dalle nuove tendenze internazionali. Con riferimento al contesto più ampio della produzione architettonica in generale si rileva come l'informatizzazione abbia comportato la revisione dei paradigmi stilistici in una logica di un linguaggio universale. Nel comparto lapideo ciò ha portato all'internazionalizzazione anche di quei litotipi tradizionalmente più vincolati al territorio come ad esempio le arenarie usate non più solo perchè facilmente reperibili in prossimità dei cantieri bensì per le loro peculiari caratteristiche particolarmente rispondenti ai codici architettonici attuali. Le arenarie si contraddistinguono per una naturale omogeneità che narra, a seconda dei componenti e delle tessiture, la storia dei diversi sedimenti; un fascino naturale che si riesce ad apprezzare conoscendo la genesi che forma pietre compatte originate da depositi di sabbie in ambienti diversi, caratterizzate da cromie naturali segnate dalla presenza di inclusioni di vario genere e da linee deposizionali più o meno marcate.

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In questo contesto si colloca il lavoro di ricerca promosso dalla azienda Il Casone sviluppato in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura dell'Università degli Studi di Udine indirizzato alla messa a punto di una guida che presenti le arenarie, pietre naturali, e fornisca in chiave contemporanea le indicazioni tecniche per la realizzazione di progetti ideati dando forma ad una materia divenuta particolarmente plasmabile in seguito ai nuovi sistemi di produzione. Con l'intento di far conoscere le arenarie nel processo attuale con riferimento al comparto nazionale rivolto ad una produzione internazionale l'obiettivo è di fornire uno strumento operativo per i progettisti, una sorta di "guida all'uso delle arenarie" nell'accezione attuale attribuita alla manualistica che, confrontandosi con la flessibilità delle produzioni, supera la logica delle "soluzioni conformi" proponendo la riorganizzazione delle informazioni funzionali alla messa a punto di elaborati esecutivi realizzati con prodotti ad hoc per specifici interventi. La ricerca sviluppata da Christina Conti, ricercatore di Tecnologia dell'architettura, con l'attento contributo dell'azienda Il Casone e la collaborazione degli architetti Giovanna Astolfo, Pietro Bernardis e Francesco Steccanella, dottorandi in Ingegneria Civile Ambientale Architettura dell'Università degli Studi di Udine, fa parte di un più grande e comune obiettivo di studio dell' "universo litico" promosso dal Prof. Alfonso Acocella dell'Università degli Studi di Ferrara, costante riferimento scientifico.

Cave di pietra serena a Firenzuola di IL CASONE (foto: A. Acocella)

Dalla ricerca sviluppata nell'ambito della convenzione di ricerca "Manuale multimediale per la progettazione di sistemi in pietra arenaria" dell'azienda Il Casone con il Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura dell'Università degli Studi di Udine (Christina Conti, ricercatore in Tecnologia dell'architettura dell'Università degli Studi di Udine, responsabile scientifico). Christina Conti

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 40-41 - Veronica Dal Buono edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

post-it journal CCCWall e le sue "specchiature" comunicative: fra opera proiettiva e operavideo

Il progetto dell'opera proiettiva da far vivere nelle ore notturne sull’installazione “CCCWall” ideata da Kengo Kuma in occasione del Salone del Mobile 2010 per Casalgrande Padana, ha rappresentato una sfida e un’esperienza di collaborazione complessa, sperimentale, innovativa, fra diversi interlocutori: Kengo Kuma e il suo staff per il progetto di allestimento, Studio Visuale per il progetto digitale, Mario Nanni per il progetto di luce. Il mix di creatività visiva e competenze tecnologiche all'avanguardia, si è confrontato con l’idea – molto suggestiva – di rappresentare attraverso una visualizzazione “immateriale”, vivida e dinamica, riprodotta su una superficie leggera e fluttuante di super-organza scelta da Kengo Kuma, la solidità del “muro-diaframma” in ceramica bianca dell’opera reale, la “Casalgrande Ceramic Cloud” in fase di completamento presso la sede di Casalgrande Padana a Reggio Emilia. Così l’opera architettonica ha incontrato, a Milano, la sua prima impalpabile trasposizione sul piano dell'immaterialità figurativa. Realizzato a monte da Studio Visuale il progetto proiettivo per l’installazione (partendo dalla struttura assemblata di lastre ceramiche per l’opera reale attraverso l’artificio tecnico del timelapse) nel lasso temporale concesso per allestire il cortile de’ Bagni della Statale di Milano, si è passati la sua esecutivizzazione tecnologica che ha comportato la sperimentazione di originali artifici tecnici e luministici confrontandosi con la mutevolezza del materiale di supporto (la superorganza adattata alla funzione di schermo), l’integrazione dell’opera proiettiva con le variabili del contesto dell’installazione, il controllo dell’effetto imprevedibile di immagini, colori, riflessi sulle superfici verticali calibrandoli ritmicamente con la dinamica dei giochi di luce sui ciottoli litici e sui frammenti ceramici disseminati nel cortile. Il risultato raggiunto è stato dei più imprevedibili e suggestivi.

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Rappresentazioni simulate organza e illuminazione. (Studio Visuale)

Il cortile de' Bagni, sereno e stabilizzato dalle teorie degli archivolti per i visitatori impegnati in passeggiate diurne, durante la notte si trasforma in un palcoscenico centrale, vivo e pulsante, per la rappresentazione magica, allusiva, dinamica, della “CCC” della Casalgrande Padana attraverso la sua trasposizione immateriale fatta di sola luce. Sin qui il valore innovativo dell'allestimento di Kengo Kuma e dell'opera luministico-proiettiva di Studio Visuale.

Rappresentazioni simulate organza e illuminazione. (Studio Visuale)

Ora il progetto comunicativo, ideato e coordinato dal Laboratorio di Material design, della CCCWall ceramica e della sua stessa trasposizione immateriale milanese prosegue e si diffonde in rete attraverso una nuovo artefatto qual è il video realizzato da Studio Visuale. Il video racconta, attraverso un format multimediale sintetico fatto di immagini dinamiche e di flussi sonori, l’esperienza intensa milanese (ma temporanea e localizzata) riverberando e diffondendo in rete l'immagine dell'opera architettonica insieme a quella dell'allestimento milanese, aspettando il materializzarsi dell'artefatto fisico della CCCWall ceramica in fase di completamento a Casalgrande Padana, porta d'ingresso simbolica al distretto ceramico di Sassuolo intesa come dono e impegno di responsabilità sociale dell'Azienda nei confronti del recupero della qualità del paesaggio contemporaneo italiano.

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 42-46 - Nicoletta Geminiani edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

post-it journal Intervista a Italo Rota

Nicoletta Gemignani: La storia professionale di Italo Rota fluttua all’interno del magma multiforme dell’architettura contemporanea: si sostanzia di grandi realizzazioni pubbliche, arredi urbani, ristrutturazioni e allestimenti museali, architetture private e design degli interni. Ma il fortunato esordio è negli anni ottanta, in Francia, con la sistemazione del Musée d’Orsay e il rinnovo del Centre Pompidou in collaborazione con Gae Aulenti. Quanto e come queste esperienze hanno formato il suo futuro percorso professionale? Italo Rota: Li definirei episodi legati alla casualità del momento, alla fortuna. Il Pompidou era un esordio anche per Gae. Sono stati grandi

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avventure, ma caratterizzati da una progettualità fuori dell’ordinario, quindi nella pratica non hanno avuto seguito, non hanno influito direttamente. N.G.: Da Parigi a Milano: il ritorno in Italia, nel 1996, segna una nuova stagione progettuale. I.R.: Direi che cambia più che altro lo scenario del territorio, il luogo in cui i progetti sono pensati e realizzati. Sono voluto tornare in Italia per capire se si poteva sciogliere quel nodo gordiano che in effetti è tuttora presente nell’architettura del nostro paese.

La grande svolta. Anni ’60, Palazzo della Ragione, Padova 2003. © fotografie Giovanni Chiaramonte

N.G.: E infine oggi: non solo Italia ed Europa ma anche New York, India e un progetto da poco concluso a Dubai. La sua architettura travalica confini spaziali e perfino culturali; quali caratteristiche, secondo lei, ne determinano la spiccata internazionalità? I.R.: Beh, mi piace affermare di vivere “in una valigia”: il viaggio è la mia condizione, la mia esistenza, la normalità. Sicuramente non mi sento italiano; piuttosto mi definirei un essere planetario, se pur non globalizzato. Amo viaggiare in posti nuovi e conoscere le persone che vi abitano. È ciò che mi interessa, più degli ambienti o dei luoghi. Le persone, sì, perché le architetture sono protesi delle loro menti. E capire la gente, entrarci in contatto è il presupposto per poi progettare, costruire. N.G.: Numerosi tra i suoi incarichi pubblici hanno interessato il ridisegno e l’arredo urbano dei centri cittadini: con l’esempio dell’isola verde realizzata a Nantes negli anni novanta la riqualificazione urbana è stata indubbia. Come è possibile, oggi, rinnovare i centri storici e integrarli con le nuove periferie, senza perdere l’identità propria di ogni città? I.R.: Può essere possibile creando delle “periferie non periferiche”. In

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Italia abbiamo un problema specifico, che non troviamo negli altri paesi. Qui da noi si fugge dalle città per stanziarsi nelle periferie; una tendenza inversa, contraria a quella delle altre aree urbane di tutto il mondo. Bisogna cercare di interpretare e comprendere tale fenomeno, per poi trasformarlo in trend architettonico. Si può dare identità ovunque ci sia vita. N.G.: Il progetto in corso della conversione dello spazio dell’Arengario in Museo del Novecento, a Milano, impone all’architetto un confronto difficile e multidirezionale: all’esterno è imprescindibile il contesto monumentale in cui si va a inserire – piazza Duomo –, all’interno è indubbio il rapporto con il contenuto, ovvero l’arte che vi si espone, e trasversalmente c’è il ruolo del fruitore. Pensa di riuscire nell’ardua impresa conciliatoria? I.R.: Il confronto che sento più vivo è con lo statuto del visitatore. Egli si dovrà trasformare in esploratore, e improvvisare un viaggio senza tappe obbligate, senza una tabella di marcia prefissata. Un cammino personale, libero, attraverso l’architettura e il suo contenuto, il contesto geografico e storico in cui ogni singola opera è inserita. Il vero esploratore dovrebbe viaggiare essendo sempre cosciente delle categorie spazio-temporali in cui si muove: Einstein l’aveva capito. “Il futuro mi interessa molto – affermava – perché è il luogo dove devo vivere la mia vita”. N.G.: Dagli allestimenti di mostre ed eventi, ai padiglioni espositivi e alle strutture temporanee: l’avventura progettuale di Italo Rota tende a produrre un forte coinvolgimento e un ruolo attivo del fruitore. Ma è veramente il visitatore che, aggirandosi in libertà tra spazi fluidi, labirintici e colorati, sceglie gli infiniti percorsi possibili, o il cammino è comunque predisposto e invisibilmente direzionato? I.R.: Gli spazi che immagino e creo sono spazi della mente, che poi si concretizzano e diventano immagini. Sono strutture non pedagogiche, ma emozionali; non unidirezionali, ma complesse. Le mostre per esempio sono luoghi in cui il singolo fruitore si presenta con il proprio corpo, con la propria fisicità, e ciò è diverso, è più di un’esperienza virtuale. E appunto diversamente da questa è un qualcosa di non direzionabile, comporta mutevolezza e complessità. È vero, per l’architetto sarebbe auspicabile poter definire un flusso, far prediligere un cammino. Ma la forza e la ricettività di un’installazione fisica sono proprio queste: la libertà assoluta dell’esperire e dell’esplorare, e la validità di ogni interpretazione. Come le macchie nella psicoanalisi di Roscharch: per quanto possano essere codificate, ogni singolo paziente le associa a figure differenti, individuandone le infinite possibilità di significazione.

In photogallery Museo D'Orsay, 1981-1985. Courtesy Studio Italo Rota & Partners Ciudades de Agua. Exhibition pavilion, Expo Zaragoza 2008. © fotografie Giovanni Chiaramonte Nantes, 1995. Fotografia V. Joncheray Arengario, 2002-2010. Render courtesy Studio Italo Rota & Partners More and More and More, Palazzo Pitti, Museo degli Argenti, Firenze 2002. © fotografie Stefano Pandini Good N.E.W.S Temi e percorsi dell’architettura, Triennale di Milano, Milano 2006. © fotografia Fabrizio

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Marchesi MAXXI Cantiere d’autore – Workscape. Cinesebox per il padiglione della Biennale di Venezia, 10° Esibizione Internazionale di Architettura, Giardini della Biennale, Venezia 2006. Illustrazione: Andrea Codolo

N.G.: Nel suo libro Installation Exhibit, da poco uscito per Electa, narrazioni coinvolgenti e fantastiche fanno viaggiare il lettore attraverso gli spazi caleidoscopici e onirici delle sue architetture, invitandolo a guardare il mondo con occhi nuovi, lasciandosi guidare dalle emozioni. In un ritratto che le dedica, quasi contemporaneamente, la rivista “Interni”, definisce l’architetto un prestigiatore e un alchimista, “a magician”. Quali gli ingredienti segreti delle sue pozioni magiche? I.R.: Beh, se sono segreti non chiedetemi di rivelarli! … E poi non sono sempre gli stessi, anzi variano sempre. Amo a questo proposito fare un parallelo con il cinema, con la regia di Stanley Kubrick, o Ridley Scott. Per questi registi è importante ogni volta confrontarsi con uno stile diverso: Lolita, Arancia meccanica, Full Metal Jacket…, sono film lontani tra loro per tematiche e generi di appartenenza, ma l’impronta è inconfondibile, il sostrato da cui nascono è il medesimo, e l’unica cosa che conta è la riuscita della narrazione. Così per me: il mio linguaggio, il mio approccio deve sempre cambiare, rinnovarsi di volta in volta, purché rimanga fissa la base, l’idea portante. N.G.: Il valore della complessità nell’architettura contemporanea. I.R.: Molti architetti di oggi pensano che il loro operare abbia una funzione morale, sanitaria, quasi taumaturgica. Io credo invece che per l’architettura odierna sia fondamentale scoprirne il dark side, rivelarne il lato scomodo, oscuro, perché solo così si potrà riscoprire la sua attinenza e pertinenza con la vita, con la realtà. Quello dell’architetto deve essere un “gioco sporco”, in cui lo sporco rappresenta la complessità.

Nicoletta Gemignani

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 47-49 - Veronica Dal Buono edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

post-it journal “Diamante Magico” per Casalgrande Padana. Forma e luce per la ceramica d’architettura.

Diamante Magico, installazione di 5+1AA per Casalgrande Padana. (ph. Giuseppe Maritati)

Con la mostra “Ceramic Tiles of Italy Playground” organizzata da Edi. Cer. e allestita presso la Triennale di Milano dal 14 al 19 aprile scorso, Confindustria Ceramica si è presentata all’appuntamento annuale del Fuorisalone milanese 2010. La collezione di originali realizzazioni, evocando l’evento “giocare con la ceramica di Bruno Munari”, troverà un’ulteriore presenza nell’ambito del Cersaie del prossimo autunno. Le installazioni, proposte da sette aziende associate e creazioni di altrettanti giovani progettisti, sviluppano attraverso originali allestimenti per lo spazio pubblico, il tema del vivere contemporaneo nella particolare declinazione di tempo libero e spazio per il gioco. Per Aldo Colonetti, curatore della mostra, il materiale ceramico è in grado di interpretare qualitativamente e da protagonista l’obiettivo estetico-prestazionale per la città contemporanea, non solo per le sue indiscutibili proprietà tecnicofisiche ma, soprattutto, per la versatilità plastica e varietas cromatica che il rivestimento modulare consente. L’allestimento degli spazi della Triennale, opera dello Studio Origoni e Steiner, grazie alle suggestive illustrazioni di Emanuele Luzzati, ne ha consentito una piacevole fruizione. Forme, colori e polisensorialità sono le qualità del prodotto ceramico che, in sintonia con il mondo dell’infanzia, hanno alimentato creativamente le diverse installazioni.

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Caso emblematico è il “Diamante Magico”, proposta ideata per Casalgrande Padana da 5+1 - Agenzia Architettura, dove tridimensionalità, lucentezza, flessibilità combinatoria, inverano i concetti mutuati dal gioco infantile - come “doni froebeliani” - alla base dell’esperienza progettuale. Lo studio 5+1 AA, fondato dagli architetti Alfonso Femìa e Gianluca Peluffo, con sede a Genova, Milano e Parigi, vanta una lunga serie di prestigiose e visionarie progettazioni di grande scala, come per esempio il Nuovo Palazzo del Cinema di Venezia, concorso internazionale vinto con Rudy Ricciotti, il Master Plan per l’Expo 2015 di Milano, le strutture direzionali per Sviluppo Sistema Fiera a Rho, concorso vinto con Pietri Architectes, l’area dei Frigoriferi Milanesi e la Nuova Agenzia Spaziale Italiana a Roma. Questa volta si misurano con un artefatto “a misura di bambino” ma portatore, come al pari delle grandi prefigurazioni architettoniche, della definizione di una nuova visione di prodotto ceramico. L’installazione in mostra alla Triennale, partendo da due semplici volumi ortogonali che compongono una piattaforma di gioco interattivo, scopre una ritrovata spazialità grazie alle forme del rivestimento e al gioco combinatorio dei volumi. Per l’occasione 5+1 AA ha sviluppato insieme a Casalgrande Padana lo studio di uno speciale elemento tridimensionale Diamante R20 BOA , in grès porcellanato smaltato, le cui tre versioni si distinguono per la diversa inclinazione del vertice del prisma che ne costituisce il rilievo. Un riferimento antico e senza tempo insieme, quello del diamante quale elemento aulico ed elitario dell’architettura, filtrato per la ceramica attraverso l’esperienza di Gio Ponti e da essa ricondotto alla contemporaneità.

Alla base dell’interattività dell'installazione Diamante Magico la possibilità di variare la composizione spostando a piacere i moduli della pedana, cui si aggiunge la variabilità offerta dagli effetti di luce. Il risultato, sulla parte orizzontale, è un gioco di volumi e accostamento di forme che evoca la creazione dello skyline di una città; la parete verticale, apparentemente un compatto monolite rivestito da elementi ceramici, riflette le angolazioni della luce creando un movimento e una diversità sempre nuova, accresciuta dalla potenzialità di alcuni elementi di scorrere attraverso lo spessore della parete, aggettando indifferentemente sui due lati, emergendo ed evidenziandosi se colpiti dalla luce. L’idea di fondo è una rinnovata superficie architettonica tridimensionale in ceramica, mutevole, trasformabile, fatta di vuoti e pieni da riplasmare, resa possibile dalle variegate combinazioni dei tre moduli della piastrella ceramica Diamante presto in produzione per Casalgrande Padana in una terna di cromie: Bronzo Oro e Argento. Veronica Dal Buono

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1 - 2 "Diamante magico", la ceramica torna alla tridimensionalitĂ . 3 "Diamante magico", istallazione per La Triennale di Milano.

1 "Diamante magico", render di progetto. 2 "Diamante magico", rappresentazione tridimensionale. 3 "Diamante magico", effetto visivo tridimensionale.

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 50-52 - Valeria Zacchei edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

post-it journal

EVOLUZIONE DEI MATERIALI E SMART MATERIALS

Sensitive fabric

“Vengono definiti intelligenti, in inglese smart, quei materiali in grado di reagire con l’ambiente e di rispondere ai cambiamenti che in esso avvengono modificando una o più delle loro proprietà (meccaniche, ottiche, elettriche, magnetiche, chimiche o termiche)”1. L’adattabilità dei materiali è innanzitutto misurata in ragione della loro capacità di sfruttare risorse naturali, o di reagire agli input ambientali in modo più o meno autonomo, riproducendo almeno in parte le strategie tipiche della natura animata, e quindi reagendo alle condizioni esterne in modo quasi-biologico. Per ottenere sistemi adattivi la ricerca si è in questi anni concentrata tanto su risorse progettuali quanto su aspetti più strettamente legati alla loro struttura chimico-fisica, sviluppando materiali complessi, dalle capacità innovative e dinamiche. Ripercorrendo a grandi linee l’evoluzione dei materiali nel tempo, la letteratura sostanzialmente concorda nell’individuare alcune grandi tappe: dopo una prima fase di materiali a “complessità subita” 2 , legata all’uso del materiale naturale con poche modificazioni, si è passati allo sviluppo di materiali a complessità “controllata”, in cui l’obiettivo era quello di materiali perfetti e privi di impurità e anisotropie,e da questa fase si è passati a materiali a

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complessità “gestita”3, nei quali impurità e anisotropie vengono appositamente progettate e realizzate per ottenere prestazioni molto precise e puntuali. Sono nati così nuovi materiali prodotti dall’uomo con l’aiuto della chimica, in grado di assumere differenti forme, aspetti, proprietà: materiali progettabili creati su misura per assolvere a precise funzioni. Si tratta dei materiali funzionalizzati, che riescono ad incorporare la capacità di reagire a specifiche sollecitazioni grazie all'apporto di sostanze capaci di modificare alcune delle loro caratteristiche fisico-chimiche, seppure ancora con risposte elementari e strettamente prevedibili, come le variazioni di trasparenza nei vetri fotocromatici o il recupero di una sagoma geometrica preordinata nelle leghe metalliche a memoria di forma. Accanto a questo tipo di tecniche di trasformazione, a partire dagli anni '50 del XX secolo, gli sviluppi della chimica e della fisica hanno potuto portare il livello di manipolazione dei materiali molto oltre la dimensione macroscopica, riuscendo ad operare alla scala del nanometro (pari ad 1 miliardesimo di metro, da cui il termine nanotecnologia). Cioè ad intervenire sulla materia ricombinandola e progettandola a partire dai singoli atomi e gruppi di atomi che la costituiscono, dando vita a "compositi microscopici" dotati di prestazioni su misura, completamente artificiali, ma efficienti, stabili, performanti e selettivi quasi quanto quelli presenti in natura.

“Possiamo far trasformare l'architettura in maniera intelligente in risposta al mutare delle situazioni climatiche o ambientali e possiamo anche farla mutare al mutare di scenari d'uso[...]. Non soltanto si possono modificare interattivamente una serie di meccanismi legati direttamente all'elettronica (dalle luci agli elettrodomestici, alle musiche, ai sistemi di controllo) ma anche i materiali stessi, che possono mutare con microfibre nei rivestimenti, nel vetro, addirittura nei nuovi marmi, e cambiare nella grana, nella porosità, nella capacità di assorbimento del suono o del colore. L'architettura, insomma, può reagire, ma può anche inter-reagire, e cioè adattarsi al mutare dei desideri degli utenti attraverso scenari percorribili come se fossero un ipertesto”4 Valeria Zacchei

I MATERIALI Sensitive fabric Tessuto a maglia sensibile alla pressione. Costituito da due facce di tessuto conduttivo separate da un dielettrico. Premendo il tessuto le due facce si toccano chiudendo un circuito elettrico. Active Protection Systems Tessuto che rimane morbid e flessibile fino a quando non riceve un forte impatto. L’elemento “intelligente” è un coating di silicone la cui viscosità

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aumenta con la velocità dell’impatto. Quando riceve un forte impatto, il materiale si irrigidisce istantaneamente, e appena passata la collisione, torna ad essere flessibile. Memoria di forma Materiali metallici in grado di recuperare una forma macroscopica reimpostata per effetto del cambiamento di temperatura o dello stato di sollecitazione applicato. Quando il materiale viene deformato da una forza esterna, invece di danneggiare la propria struttura costitutiva,esso si deforma gradualmente; nel momento in cui la sollecitazione cessa, esso recupera la forma iniziale. Sensacell Superficie punteggiata di sensori interattivi di diversa dimensione o forma, composta in moduli. Sensibile alla temperatura, al tatto, all’umidità, e programmabile da remoto, consente di creare superfici interattive.

Note 1 LANGELLA Carla, Nuovi paessaggi materici. Design e tecnologia dei materiali, Alinea, Firenze, 2003, pag.103. 2 MANZINI Ezio, La materia dell’invenzione, Arcadia, Milano, 1986, pag.24 3 MANZINI Ezio, op.cit., pag.30 4 BARZON Furio, La carta di Zurigo, Testo & Immagine, Torino, 2003, p.96

1 Active Protection Systems 2 Memoria di forma 3 Sensacell

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 53-58 - Chiara Testoni edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

post-it journal Il design della ceramica in Italia 1850 - 2000

“Il design della ceramica in Italia 1850 - 2000” Elena Dellapiana Electa architettura, Milano 2010 255 pagine, illustrazioni a colori, prezzo: 49,00 € testo in italiano Il denso testo di Elena Dellapiana, architetto e ricercatrice presso il Politecnico di Torino, è un esplicativo viaggio attraverso 150 di storia del design ceramico in Italia, esplorato con sguardo meticoloso attraverso gli scenari culturali, economici e produttivi che hanno determinato la nascita e la diffusione della tradizione “made in Italy”. La ceramica (maiolica, grès, porcellana, …) è da sempre un materiale

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per la produzione di oggetti semplici, domestici, funzionali e subordinati alla necessità di riproduzione seriale. Accompagnando le abitudini e gli usi del vivere quotidiano, il prodotto ceramico ne registra puntualmente gli storici cambiamenti del gusto e le revisioni culturali: partendo da questo presupposto, l’autrice si propone di andare oltre la catalogazione enciclopedica dei tipi e dei linguaggi e piuttosto di “catturare”, tramite le evoluzioni del design ceramico, le trasformazioni epocali della modernità nel nostro paese. Il testo si articola, oltre all’introduzione, in cinque grandi capitoli: “L’Ottocento”; “Fra Otto e Novecento”; “Il Novecento tra grandi numeri a autorialità, il dialogo tra designer e impresa”; “Anni cinquanta e sessanta, il design della ceramica e la ricerca”; “Il panorama contemporaneo tra episodio, moda e ricerca”. Nell’Ottocento, la produzione ceramica diviene oggetto di un grande fermento culturale inteso a promuovere, con le parole di Massimo D’Azeglio, il “fare degli italiani” alla luce di un necessario confronto tra riproducibilità seriale a vasta scala e qualità artistico - figurativa del prodotto, come imposto dall’epoca della meccanizzazione. Sono gli anni del dibattito sulle arti applicate, della grandi esposizioni (Londra, 1851), delle collezioni private (Filangieri e le manifatture di Capodimonte), dei primi musei ceramici (Regio Museo Industriale di Torino, Museo Artistico Municipale di Milano, delle scuole di formazione (Scuola di Disegno e Plastica per ceramisti di Faenza) e delle riviste specializzate (Arte Italiana Decorativa industriale diretta da Boito): è in questo contesto che si ritrova il fertile humus per le riflessioni degli anni a venire. Gli anni a cavallo tra Otto e Novecento determinano il consolidamento delle realtà produttive nazionali. La produzione ceramica diviene campo delle prime sperimentazioni formali, in alcuni casi ancora debitrici dell’Art Nouveau: la Ginori di Sesto Fiorentino, prima, con l’introduzione delle tecniche di decoro a calcomanie riproducibili a scala industriale e poi, dopo l’acquisizione da parte della lombarda Richard, la Richard - Ginori, con una consistente svolta verso un’imprenditorialità moderna; le maioliche di sapore “antiquario” di Deruta; le manifatture di Faenza in grés, nobilitate da una vocazione artistico - artigianale che rimarrà negli anni la cifra caratteristica e costante della produzione faentina; le esperienze “liberty” di Galileo Chini nell’ambito del laboratorio fiorentino “Arte della Ceramica”; il minimalismo grafico e decorativo della ceramiche prodotte dalla Appiani di Treviso, già concepite come prodotto modulare, interscambiabile e prettamente industriale.

Il Novecento promuove il settore ceramico a protagonista di un acceso dibattito sulle arti applicate (esposizione torinese del 1902, Mostra internazionale delle arti decorative di Monza, I-IV Biennale,…). Sono gli anni delle prime collaborazioni tra realtà produttive e talenti creativi, nonché di assidue ricerche per indagare le molteplici potenzialità tattili e figurative della ceramica ed interpretarne così le più disparate modalità espressive.

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In ambito toscano - lombardo, la Richard - Ginori coinvolge fino dagli anni ’20 uno dei più brillanti architetti del tempo. Gio Ponti, direttore artistico del marchio dal 1923, per quindici anni lavora sul tema della stretta interazione tra scala decorativa e architettura, sviluppando un disegno ceramico caratterizzato da scansioni rigorose degli sfondi, suggestioni classiche dei decori, semplificazioni cromatiche e formali che ritrovano assonanze con le sue future architetture; successivamente, Giovanni Gariboldi, anch’egli impegnato nella direzione artistica della Richard - Ginori, affianca le sperimentazioni sul fronte della terraglia smaltata, del grés inciso e smaltato, della ceramica graffita, a studi di forme più semplici, razionaliste e adattabili a una riproducibilità seriale. La Società Ceramica Italiana (SCI) di Laveno, con la consulenza artistica all’architetto Guido Andlovitz, recuperando le suggestioni della Wiener Werkstätte produce oggetti formalmente elaborati dalla scarna decorazione, alternati a forme semplici animate invece da molteplici figure umane e geometriche; a Pordenone, la manifattura Galvani lavora la ceramica e la terraglia avorio o decorata a calcomanie; in Piemonte, la Lenci conquista il mercato con le sue figurine e statuette; ad Albissola la MGA interpreta nelle ceramiche la poetica aggressiva e dinamica del futurismo; a Genova, D.I.A.N.A. predilige oggetti dai forti tratti geometrici e colori “colanti”, concepiti più come utensili che come opere d’arte; in Umbria, la Società Anonima Maioliche Deruta abbandona gli “storici” temi figurativi per adottare più astratte fusioni di colori e armonie cromatiche.

Gli anni cinquanta e sessanta conoscono la profonda ansia di ricostruzione e rinnovamento concreto che permea la cultura del dopoguerra, dall’urbanistica alle arti applicate. Il design, sempre più industriale e presente nella vita quotidiana, diventa sempre più commercializzabile e meno elitario in funzione delle necessità del mercato ma non meno attento alle pulsioni creative. Antonia Campi, per la SCI di Laveno, progetta oggetti seriali ispirati a forme organiche, oniriche e irriverenti; Franco Bucci a Pesaro, nell’ambito del gruppo Mastro 3, propone oggetti in grés robusti e funzionali, concepiti per una diffusione industriale ma di alto pregio progettuale; Ambrogio Pozzi, dell’omonima impresa, persegue l’equilibrio tra tradizione e modernità attraverso un linguaggio a cavallo tra organicismo e concinnitas; la milanese DEM (con Munari, Mangiarotti e Mari) esplora le possibilità plastiche e informali del materiale; Soleri propone un prodotto estraneo a qualsiasi concessione artistica e valorizzato, in veste “rituale”, come oggetto d’uso funzionale, semplice ed “ecologicamente corretto”.

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Gli anni contemporanei, a fianco della consacrazione dell’ Italian Style, vedono profilarsi varie correnti di pensiero, dalla nuova sensibilità ambientale alla consacrazione del fashion-system e del marketing, dal confronto tra industria e artigianato alla rinuncia a risolvere tale divario attraverso il “contro - pensiero” delle “post - avanguardie”. In questa congerie culturale, molte e diverse sono le voci creative. Ugo La Pietra, partendo da un’ispirazione ecologista, propone prodotti che rintracciano la memoria locale attraverso un approccio artigianale distante dai riflettori del design “ufficiale”; il gruppo Memphis, dai vasi “totem” del primo Sottsass, arriva ad assemblare forme pure in modo provocatorio, antirazionale e antifunzionalistico; Matteo Thun gioca con immagini zoomorfe e salti di scala tra oggetto di design e architettura; le design factories Alessi (con i contributi di Mendini, Nardi, Natalini, Dalisi, Stark, Fuksas,…) e Driade (Astori, Tusquets, Mari, Navone,…) fondano laboratori di idee che sono vere e proprie fucine progettuali; le grandi aziende (Richard - Ginori, Lavazza, Illy,…) promuovono entusiastiche collaborazioni con alcuni dei più grandi designers (Armando Testa e Zanuso per Lavazza, Thun per Illy,…) e artisti visuali (Schnabel, Pistoletto, Koons,…, per la Illy Art Collection) del nostro tempo.

M. Zanini, teiera “Colorado”, ceramica 1983, Memphis, Produzione ceramiche Flavia, Montelupo

L’esteso universo della produzione ceramica copre attualmente ogni fascia d’utenza. La ricerca, oggi più che mai attiva anche grazie al contributo di alcune realtà produttive culturalmente vivaci e propositive, si muove in direzioni inesplorate, per conquistare sempre più attivamente le richieste del mercato e sondare nuove possibilità espressive e di

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innovazione tecnologica di un materiale unico, versatile, antico ma al contempo profondamente contemporaneo, e ancora oggi fonte di inesauribile ispirazione in campo progettuale. Chiara Testoni

1 Piatto in porcellana eseguito nella manifattura Ginori di Doccia, Sesto Fiorentino, per l’esposizione di Torino del 1902 2 Manifattura Minardi, Faenza, 1908 3 G. Chini, manifattura fornaci S. Lorenzo, piastrella con uccellino, maiolica policroma a lustri, Firenze, 1906 – 1920 4 Piastrella Appiani in grés decorata a smalto, fine anni ’20 XX secolo, Treviso

1 G. Ponti, servizio “Ala”, porcellana bianca e oro inciso, 1925 - 30 ca., Museo Ginori della manifattura di Doccia, Sesto Fiorentino 2 G. Andlovitz, disegno per serie rossa, terraglia forte, dal 1930 al 1936 3 A. Simonetto, piatto decorativo, 1935 ca., Società Galvani, Pordenone 4 T. Mazzotti, vaso “Fiori dei miei giardini”, terracotta dipinta sotto vernice, 1929, Albissola Marina

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1 A. Campi, portaombrelli “Spaziale”, terraglia forte a cottura unica, formata a colaggio, 1949, manifattura SCI, Laveno 2 A. Pozzi, servizio per due “Cono”, terraglia smaltata bianco mat, 1969, Ceramiche Pozzi per Pier Cardin 3 A.Mangiarotti, vasi “Tremiti Square”, ceramica a colaggio, 1964, Produzione Danese, Milano 4 U. La Pietra, candelabro “Souvenir di Vietri sul Mare”, ceramica, 1999, Milano 5 M. Thun, tazzina Illy, ceramica 1987 6 M. Thun, vrsatore, terraglia con vernice, 1982, Memphis, Produzione Alessio sarri, Sesto fiorentino

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Casalgrande Ceramic Cloud. Verso l’opera architettonica Interviste a Kengo Kuma, Alfonso Acocella, Luigi Alini

È in costruzione a Casalgrande la prima opera architettonica in Italia del maestro Kengo Kuma, la “Casalgrande Ceramic Cloud”, nuova porta del distretto ceramico che l’azienda Casalgrande Padana ha scelto di donare alla collettività, partecipando alla valorizzazione del territorio attraverso il linguaggio dell’architettura contemporanea innovativa e di qualità. A Milano, in occasione della Settimana del Design 2010 dove l’architetto giapponese ha presentato una scenografica installazione anticipatrice dell’opera architettonica, è Kengo Kuma in persona a rilasciare una videointervista sul significato della “Casalgrande Ceramic Cloud”, soffermandosi sulla sua ideazione e sul suo carattere matericocostruttivo. La figura e la voce dell’architetto giapponese ci avvicinano concettualmente all’opera ceramica di prossima inaugurazione a Casalgrande, Reggio Emilia. All'interpretazione del progetto architettonico - dall’iter creativo alla sua esecutivizzazione - contribuiscono le ulteriori videointerviste di Alfonso Acocella e Luigi Alini, docenti presso la Facoltà di Architettura di Ferrara e di Siracusa. A loro si deve - attraverso il Laboratorio di Material Design - un importante lavoro di regia e interrelazione tra la committenza, Casalgrande Padana azienda leader nella produzione di grès porcellanato, il team di progetto architettonico e strutturale coordinato da Kengo Kuma e il mondo dell’Università. L’opera di architettura “CCC” può considerarsi il coronamento tangibile di relazioni avviate con Kengo Kuma dalla Facoltà di Architettura di Ferrara fin dal 2003, anno di celebrazione del suo Decennale di fondazione XFAF che vide il maestro giapponese tra i numerosi protagonisti internazionali presenti nella manifestazione culturale.

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Casalgrande Ceramic Cloud, scorcio tra le lastre (ph. Alfonso Acocella)

Oggi siamo di fronte all'avverarsi della singolare occasione di una mirabile costruzione architettonica, possibile grazie all’incontro tra il talento creativo del maestro nipponico e la lungimiranza della committenza che ha rappresentato, in questo caso, anche la realtà produttiva, capace di promuovere attraverso i propri prodotti d’avanguardia - espressione della qualità del Made in Italy - la fattibilità dell’opera di architettura. La “Nuvola Ceramica” di Kengo Kuma sperimenta, per la prima volta, il materiale ceramico in forma strutturale. Elementi di grandi dimensioni di Casalgrande Padana, sia pur di produzione standard, sono liberati del valore consueto di semplice rivestimento e trasformati in una tessitura spaziale tridimensionale imponente e insieme leggera, come una lunga e figura filtrante nel paesaggio, dove l’esperienza d’azienda si è fatta soluzione tecnologica innovativa per realizzare l’idea, aprendo al materiale ceramico una nuova stagione di applicazioni per l’architettura.

Veronica Dal Buono

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Antonia Campi. Creatività, forma e funzione. Catalogo ragionato

“Antonia Campi. Creatività, forma e funzione. Catalogo ragionato” Anty Pansera Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, Mi 2008 287 pagine, illustrazioni a colori, testi in italiano ed inglese Antonia Campi (Sondrio, 1921), detta Neto come suggerisce affettuosamente l’autrice Anty Pansera, sua profonda conoscitrice sia sotto il profilo umano che professionale, è una straordinaria figura di intellettuale che attraversa da indiscussa protagonista la storia di oltre mezzo secolo del design italiano e internazionale. Dai banchi dell’Accademia di Brera alle prime esperienze artistiche, prima nel suo piccolo atelier a Varese, poi a partire dagli anni ’40 presso la SCI di Laveno - con la quale da’ inizio in quegli stessi anni a uno storico sodalizio - la Campi persegue nel suo lavoro la volontà di coniugare estetica del prodotto con una spinta coscienza etica, di fare coesistere creatività e ricerca progettuale con processi produttivi industrializzati. La terra - la ceramica (terraglia, porcellana) - è da sempre il suo più “grande amore”: introducendo nella produzione ceramica il tema della plasticità ed estendendo la sua ricerca compositiva alla creazione di oggetti d’uso quotidiano, la Campi ha realizzato pezzi che ormai

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appartengono alla storia del design. Il solido testo ripercorre le principali tappe professionali dell’artista chiaramente di formazione “scultrice” - illustrandone per “macro fasi” le caratteristiche più significative: gli anni ‘40/’50, quando crea la corrente estetica dalle terraglie free form ispirate all’anatomia del corpo umano e alla natura, all’insegna del fitomorfismo (vasi, portaombrelli, candelabri, gadgets,…); la fine degli anni ’50, quando avvia una sempre più stretta collaborazione con importanti aziende del settore ceramico (SCI, Richard – Ginori, Pozzi – Ginori), arrivando nell’arco di un ventennio a progettarne tutta la produzione, dall’ ”ambiente bagno”, ai servizi da tavola, alle piastrelle; gli anni ’70, quando dirige il Centro Design Pozzi Ginori, continuando la sua ricerca sulle piastrelle e i sanitari; gli anni ’80 e ‘90 quando, “in pensione”, riprende a lavorare “per sé” nel suo atelier milanese, esplorando ulteriori percorsi espressivi nel campo del design, dai sanitari ai complementi, dalle “micro” porcellane ai “grandi” elementi in materiale refrattario (polivasi da giardino,…), dai divertissements in vetro (bicchieri di vodka), acciaio e plastica (“forchetta per spaghetti”) al ritorno alla ceramica con la produzione di gioielli e piatti in refrattario (still - leben) negli anni 2000. Antonia Campi è una personalità poliedrica non ascrivibile sotto un’unica definizione. Progettista, scultrice, disegnatrice, artista, art director: una congerie di stimoli e interessi culturali tra loro strettamente interconnessi a cui si deve una creatività sempre emozionante ed attuale e in cui convivono equilibratamente poesia e razionalità. Il testo è un efficace ed esaustivo compendio della sua opera, in cui a un apparato testuale chiaro e puntuale - con traduzione a lato in inglese - si affianca un altrettanto esplicativo contributo iconografico, corredato di ampie note descrittive, specifiche tecniche ed indicazioni esegetiche. Chiara Testoni

1 Ampolla, 1953-‘54 2 Portaombrelli, 1954 3 Ipsilon, serie di sanitari per SCI (Richard – Ginori), 1969-‘70 4 Polivaso da giardino, 1997

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 63-65 - Andreas Sicklinger edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

post-it journal

Imanuel Kant, la disabilità e il design multisensoriale

Se la mancanza di un senso (p.e. quello della vista) è innata: così il disabile possibilmente coltiva un altro senso, che sostituisca il vicariato di quello, e esercita l’immaginazione produttiva con grande perseveranza: nel modo in cui cerca di comprendere la forma di corpo esterno attraverso il tatto e – dove questo per via della grandezza (p.e. di una casa) non è sufficiente – gli ambienti attraverso un altro senso, come quello dell’udito con l’eco della propria voce in una stanza: alla fine però, se una fortunata operazione riporta l’organo alla sua sensibilità, deve innanzitutto imparare a vedere e sentire, cioè riportare la sua percezione sotto la capacità di questo di tipo di soggetto.1 Il titolo del libro di Imanuel Kant (1724-1804), Antropologia dal punto di vista pragmatico (1798), sottolinea lo scopo dell’opera: non la descrizione di come è fatto l’uomo («punto di vista fisiologico»), ma l’individuazione di ciò che l’uomo può e deve fare per plasmare se stesso. "La conoscenza fisiologica dell’uomo – scrive Kant – si propone di indagare ciò che la natura fa dell’uomo, la pragmatica ciò che l’uomo, in quanto essere libero, fa o può fare di se stesso"2

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Il citato iniziale, proprio evidenziando un passaggio significativo della esperienza umana nel momento in cui manca uno di quei sensi che permettono all’uomo a orientarsi e muoversi nel suo ambiente, mette in luce una capacità umana di adattamento che va oltre al semplice inserimento in un sistema “natura” o “società”. Alcuni casi particolari di bambini cresciuti lontani dalle influenze socio-culturali come Kaspar Hauser, avevano fatto nascere l’interesse a studiare e rivalutare gli antichi paradigmi sulla percezione. E così nasce lentamente una maggiore consapevolezza sulla reciproca influenza dei sensi, sui quali la vista aveva sempre avuto la supremazia: dalla antica “classificazione” di Aristotele, che aveva definito la vista il “senso pulito” in confronto agli altri. Un percorso lungo, nel quale il ruolo della filosofia è indiscusso, e le scoperte della medicina e fisiologia si fanno attendere, intrappolate in antichi preconcetti nati con Galena e solo dal XV secolo faticosamente messe in discussione e valutate da una serie di grandi maestri della scienza umana. E’ noto, che la relazione di una persona con l’ambiente circostante avviene per l’80% 3 attraverso la percezione visiva, divenendo così il “senso” predominante per la interazione e l’orientamento. Gli altri sensi, quali olfatto, tatto, udito e gusto si dividerebbero i restanti 20%, in arricchimento delle informazioni visive provenienti dall’ambiente. Un valore matematico, per di più sottoposto a notevoli differenze tra i singoli sensi per la loro stessa natura, inganna così totalmente la capacità umana nell’approccio con il mondo esterno. Un inganno purtroppo spesso supportato da una “facile” realizzazione di ambienti e prodotti, che si basano esclusivamente sulla relazione visiva, supponendo anche la possibilità di azioni correttive degli stessi utenti in corso “d’opera”. Vale a dire, che il design e l’architettura, basate sulla percezione visiva, non colgono le immense opportunità offerte dagli altri sensi di cui è dotato il corpo umano. Solo da poco, in campo espositivo e museale, se non cinematografico o retail, si tenta di integrare nuove forme di coinvolgimento sensoriale per aumentare l’interesse del visitatore, e la veicolazione all’interno di un percorso voluto. Tuttavia le correlazioni che esistono all’interno del sistema percettivo attraverso la ricezione degli stimoli esterni da parte dei singoli sensi, sono di una complessità tale, da non poter sottovalutare l’influenza tra i “restanti” 20% in confronto alla vista: l’evoluzione dell’uomo ha visto l’alternarsi di successi e fallimenti, e non tutto quello che ha portato al successo evolutivo dell’uomo è riconducibile alla sua capacità visiva… se vogliamo essere anche più preciso, probabilmente è responsabile solo per una piccola parte. Vale la pena insistere con lo studio delle percezioni sensoriali, e in modo particolare le loro relazioni e influenze reciproche. Il design non diventa innovativo a causa di un geniale intuito, ma attraverso una ricerca minuziosa delle capacità umane: solo capendo loro si può spingere a reinventare il design.

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Dall’introduzione “Design e (Ipo-)visione”, Andreas Sicklinger, Maggioli Editore. Andreas Sicklinger

Note 1 Imanuel Kant, Antropologie in pragmaticher Hinsicht, (Antropologia pragmatica) edizione Lipsia 1833, pag. 75, traduzione dal autore. 2 Imanuel Kant, Antropologie in pragmaticher Hinsicht, (Antropologia pragmatica) edizione Lipsia 1833, Vorrede ( Introduzione) pag. IV, traduzione dal autore. 3 Bandini Buti, Ergonomia Olistica, Franco Angeli 2008, pag 150. In R. Canalini, P. Ceccarini, E. Storani, S. von Prondzinski, Spazi incontro alla disabilità, Erickson 2005, pag. 21


MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 66-69 - Chiara Testoni edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

post-it journal Verde Verticale

“Verde Verticale - aspetti figurativi, ragioni funzionali e soluzioni tecniche nella realizzazione di living walls e green façades” Oscar Eugenio Bellini, Laura Daglio Maggioli, Sant’Arcangelo di Romagna (RN) 2009 343 pagine, illustrazioni a colori prezzo: 55,00 € testo in italiano Il contributo in termini di qualità percettiva offerto dalla presenza della vegetazione nel paesaggio naturale e antropizzato è un assioma da sempre riconosciuto nella memoria collettiva dell'umanità. Il rapporto tra opera costruita ed elemento vegetale come strumento progettuale parte dai mitici giardini pensili di Babilonia, per passare attraverso i pergolati verdi dipinti sulle pareti di ville pompeiane, ai berceau voltati dei giardini europei del XVI e XVIII secolo, all'arte topiaria, fino alle prime utilizzazioni in campo architettonico di strutture metalliche di supporto alla vegetazione rampicante come elemento di caratterizzazione figurativa dell'opera costruita (Hector Horeau). In epoca moderna, Le Corbusier tra "I cinque punti dell'architettura" annovera il verde come materiale di progetto; Frank Lloyd Wright esplora le vie

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dell'architettura organica; Alvar Aalto dà vita a forme immancabilmente debitrici di suggestioni tratte dal mondo naturale, e così via fino ad oggi, attraverso le diverse esperienze progettuali di Burle Marx, Lucio Costa e Oscar Niemeyer (colonne vegetali a S. Paolo in Brasile, 1982), Geoffrey Bawa, Emilio Ambasz, Hundertwasser, James Wines (Terrarium e Hialleah Showroom, 1978), Ungers (Melkerei Houses a Landsthul, 1979),…. Nel 1988 il botanico Patrick Blanc ha ideato il brevetto del mur vegetal (poi adottato con entusiasmo da varie archistars, tra cui Jean Nouvel), vera e propria tecnica di naturalizzazione verticale delle superfici architettoniche, concepita alla maniera di qualsiasi altro rivestimento e consistente in una stratigrafia vegetale di ridotto spessore strettamente integrata al supporto parietale: così, nell'ultimo ventennio del secolo scorso è esplosa una sorta di "etica verdolatrica", ovvero una vera e propria esaltazione del verde come materiale da costruzione, impiegato sia per risolvere problematiche di ordine figurativo, sia per riconquistare un rapporto con la natura sempre più distante nell' incontrollata edificazione del panorama metropolitano, sia per affrontare questioni di carattere tecnologico - ambientale legate al benessere microclimatico. E' indubbio che un atteggiamento un po’ acritico si celi dietro tanta panica esaltazione connessa all'impiego a volte irrazionale e immotivato di una tecnologia progettuale - soprattutto come quella del mur vegetal solo apparentemente semplice ma in realtà decisamente artificiosa, costosa e di difficile manutenzione e gestione. Come ogni trend, anche la passione per il verde verticale in architettura apre spesso la strada a improprie declinazioni di questo seppure accattivante linguaggio espressivo, come se in alcuni casi i progettisti rinunciassero a ben più difficoltosi studi dei fronti scegliendo invece di “cavalcare l'onda” indipendentemente dall'effettivo beneficio apportato allo spazio vissuto dall'utenza - di una moda di chiara e immediata lettura, in grado di suscitare in uno spettatore un po’ ingenuo una quasi scontata esclamazione di ammirazione. E' con chiara volontà critica e obiettività documentativa però che gli autori di questo esaustivo volume intendono configurare il multiforme scenario progettuale relativamente all'impiego del verde come componente progettuale. Per maggiore chiarezza espositiva, la narrazione è articolata in tre grandi sezioni ispirate alla triade vitruviana: in questo modo, si riesce a veicolare nel lettore in modo diretto - ma tutt’altro che semplicistico - una coscienza dei possibili modi d’uso del materiale, dall’aspetto più prettamente decorativo a quello in cui invece il risultato figurativo si integra con nuovi e innovativi contenuti in termini tecnologici, costruttivi e di sostenibilità ambientale.

Nella sezione “forma” vengono analizzate le molteplici potenzialità espressive del verde per intraprendere nuove sfide figurativo compositive: attraverso gli archetipi del disegno - il punto, la linea, la superfici, il volume, la texture - vengono illustrati numerosi esempi di opere costruite che veicolano spesso messaggi di valore più "allegorico -

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evocativo" che funzionale (Gaetano Pesce, Kengo Kuma, Claus Hermansen, Gas Design Group,…) Nella sezione dedicate alla "funzione" vengono messi in luce gli aspetti più direttamente legati al ruolo del verde come elemento fondamentale per la caratterizzazione dell'architettura e del suo rapporto con il contesto circostante. L'impiego di tecnologie vegetali in ambito progettuale può dare vita a interessanti soluzioni in termini di inserimento ambientale del manufatto nell'intorno, di mitigazione ambientale (soprattutto nell'ambito delle infrastrutture), di riqualificazione ambientale attraverso la stimolazione degli aspetti psicologici, simbolici e decorativi delle vegetazione, di benessere climatico e sostenibilità ambientale. Nella sezione denominata "tecnica", vengono puntualmente esaminati gli aspetti tecnologico - costruttivi dell'integrazione tra vegetazione e costruito, attraverso due sostanziali tipologie di riferimento: le "green façades" e i "living walls": le prime sono sistemi di supporto, in genere autonomi rispetto all'edificio, per la vegetazione rampicante prevalentemente ancorata a terra, particolarmente indicati per creare sistemi di schermatura tali da creare evocativi effetti estetici e soprattutto da garantire il controllo dell'irraggiamento, dell'umidità, del rumore, e dunque in generale finalizzati al benessere bioclimatico (Mario Cucinella architects,…). I secondi sono costituiti da pannelIi di produzione industriale, integrati da appositi sistemi di irrigazione che alloggiano e tengono in vita essenze di vario tipo, tra cui il sistema a tasche brevettato da Blank per colture idroponiche (Philip Mannaerts, Martijn de Geus,…), nonché l'evoluzione industrializzata di tale sistema che culmina in moduli prefabbricati caratterizzati da griglie metalliche in cui è costipato materiale assorbente (Mass Studies, M. Cho, K. Park,…). Le "green façades", dai costi realizzativi e dalle modalità manutentivo/gestionali sostanzialmente controllabili, danno spesso origine a soluzioni formalmente molto suggestive, in grado di influenzare potentemente la percezione dello spazio sia interno che esterno grazie alla vibrante mutevolezza di un materiale vivente come il verde, e di potenziare la qualità e il confort ambientale degli spazi da vivere e fruire. I "living walls", dalla tecnologia più complessa, danno adito a soluzioni figurative in cui il verde diventa elemento integrante della stratigrafia di facciata definendo nuove prospettive per il disegno della "facies" urbana, ma prefigurano maggiori problematiche in termini di costi di realizzazione, manutenzione e gestione del prodotto.

Questo completo testo, con puntualità e chiarezza esplicativa ma senza velleità tassonomiche, oltre che particolarmente interessante per l'ampia panoramica offerta in ambito progettuale a scala internazionale, contribuisce a formare nel lettore una più consapevole coscienza critica di fronte a un linguaggio progettuale dall'ampia gamma sperimentale e innovativa, il cui cammino di ricerca è oggi ancora tutto "in divenire". Chiara Testoni


1 Gaetano Pesce, Ltd., Organic Building, Osaka, Giappone, 1993 2 Claus Hermansen Arkitekten, residenza, Dyngby, Danimarca, 1999 3 Kengo Kuma & Associates, Z - 58, Shangai, Cina, 2006

1 Mario Cucinella architects, uffici e negozi, Rimini, Italia 2005 2 Mass Studies, M. Cho, K. Park, negozio ristorante, Seul, Corea 2007 3 Studio Mma, Atelier d'Architecture, residenze, MontrĂŠal , Canada , progetto6

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 70-73 - Veronica Dal Buono edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it7

post-it journal Intervista ad Alfonso Femìa - 5+1AA

“Conformismo, prevaricazione formale e distacco dalla realtà sono le caratteristiche dell’architettura contemporanea, insieme al senso di colpa nei confronti della forma e della bellezza. La meraviglia, lo stupore sono gli elementi propri della poetica italiana ed europea. La creazione di meraviglia e stupore da parte dell’architettura non ha niente a che fare con la ricerca del consenso e di spettacolarità del contemporaneo. Più esattamente la creazione di meraviglia è lo strumento per raggiungere la conoscenza del reale. Ecco lo scopo. Ritornare a vedere la realtà. E, per quanto la realtà del territorio, delle città, degli uomini sia difficile e dolorosa, il dovere dell’architettura è di non rinunciare a immaginare un futuro. Migliore. Anche romanticamente. La negazione del reale, l’atteggiamento che da blasè diviene cinico, proprio dell’architettura contemporanea, dev’essere sconfitto. Questa battaglia, etica e culturale, sarà combattuta attraverso un’architettura che sia invenzione specifica, che nasca, con libertà, dal contesto e dalla storia. Il suo linguaggio è libero e contemporaneo. (…) Praticare la realtà è la sola modalità possibile per affrontare l’architettura. Proponendo dubbi: l’architettura è un enigma che si risolve col cuore. Riteniamo l’architettura non una questione esclusiva di forma e linguaggio. La nostra visione dell’architettura come trasformazione della realtà implica, nel suo massimo significato etico, poetico e professionale, un alto senso di responsabilità e il rifiuto del cinismo. (…) L’attenzione per il ruolo del pubblico e il sociale, per i linguaggi contemporanei e le relative contaminazioni, uniti al conforto della memoria, creano gli elementi di riferimento per un’architettura che esprime come un alternarsi di azioni e reazioni, verso una sperimentazione del reale e sul reale. La ricerca progettuale si svolge sulla sottile linea di confine che separa e unisce il pubblico con il privato, il territorio con la città. Un pragmatismo visionario, un realismo magico, un nuovo contestualismo.” Prolusione a 5+1AA di Alfonso Femia, Gianluca Peluffo

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Profilo di 5+1AA Agenzia di Architettura Alfonso Femia Gianluca Peluffo Alfonso Femia (1966) e Gianluca Peluffo (1966), soci fondatori dello studio 5+1 architetti associati di Genova dal 1995, fondano 5+1AA Agenzia di Architettura srl nel 2005, anno in cui vincono, con l’amico Rudy Ricciotti, il concorso internazionale per il Nuovo Palazzo del Cinema di Venezia oggi in costruzione. Tra il 1998 e il 2005 realizzano il Centro visite e Antiquarium del Foro di Aquileia (UD), il Campus Universitario nell'ex-caserma Bligny di Savona, le direzioni del Ministero degli Interni nell'ex-caserma Ferdinando di Savoia di Roma. Nel 2003, per l’attività di ricerca e progetto, ricevono il Titolo di Benemerito della Scuola della Cultura e dell’Arte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Dal 2006 Simonetta Cenci diventa partner di 5+1AA e, lo stesso anno, aprono un Atelier a Milano, dedicato allo studio e alla sperimentazione sulla città contemporanea e allo sviluppo di progetti urbani complessi. Dal 2007, con la collaborazione di Nicola Spinetto, aprono un'Agence anche a Parigi e sviluppano il Master Plan per l'Expo 2015 di Milano. 5+1 AA è attualmente impegnata nello sviluppo di importanti aree strategiche: in Italia a Torino, Firenze, Milano, Roma, Venezia, Savona, ma anche internazionalmente (programmi pubblici e privati in Francia, Belgio, Spagna, Cina). Nel 2008 vincono il concorso internazionale per le nuove strutture direzionali per Sviluppo Sistema Fiera a Milano (in fase conclusiva), e sono tra gli studi professionali invitati in molteplici concorsi a partecipazione ristretta in Francia tra cui a Parigi, con Moatti&Riviere, per intervenire nell’area Masséna Bruneseau. Vincono i concorsi per le riqualificazioni dei Docks di Marsiglia, delle Officine Grandi Riparazioni Ferroviarie di Torino, del castello degli Orsini di Rivalta di Torino. Nel 2010 ricevono una Menzione d’onore al concorso Internazionale per la progettazione del nuovo Miami Civic Center di Miami (Florida), sono vincitori dei concorsi per il nuovo Ospedale di Sestri Levante (Ge) e per la Piazza del Mercato e la Ludoteca di Andria (Ba). All’intervento di riqualificazione dei Frigoriferi Milanesi e del Palazzo del Ghiaccio di Milano (realizzazione 2002-2007) è dedicata l’opera “Cosa c’è in frigo?” (2009, edizioni AAM-Silvana Editoriale). Alla loro attività prefessionale è dedicato il primo numero della rivista “Monograph.it” (List Edizioni), la monografia “5+1AA” di Mario Pisani (Roma, Edilstampa, 2009). Sono pubblicati nelle principali riviste e tengono conferenze e partecipano a seminari sulla città contemporanea nelle principali capitali ed università europee. Alfonso Femia è Professore alla Kent State University di Firenze e Professore a Contratto di Progettazione Architettonica nella Facoltà di Architettura dell’Università di Ferrara. Gianluca Peluffo è Ricercatore presso la Facoltà di Architettura di Genova.

Veronica Dal Buono

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1 Palazzo del Cinema di Venezia (con Rudy Ricciotti). (courtesy of 5+1AA) 2 Palazzo del Cinema di Venezia (con Rudy Ricciotti). (courtesy of 5+1AA) 3 Sede per il Consiglio Generale dei Landes. Mont de Marsan, Francia. (courtesy of 5+1AA) 4 Centro Commerciale Assago. (ph. Paolo Riolzi) 5 Centro Commerciale Assago. (ph. Paolo Riolzi) 6 Docks di Marsiglia. (courtesy of 5+1AA) 7 Torre orizzontale a Milano. (courtesy of 5+1AA) 8 Bibiloteca Villa Sottanis, Genova. (courtesy of 5+1AA) 9 Bibiloteca Villa Sottanis, Genova. (courtesy of 5+1AA) 10 Frigoriferi Milanesi. (ph. Ernesta Caviola) 11 Ricostruzione a San Giuliano di Puglia. (courtesy of 5+1AA) 12 Diamante Magico, per Casalgrande Padana. (courtesy of 5+1AA) 13 Diamante Magico, per Casalgrande Padana. (courtesy of 5+1AA) 14 Diamante Magico, per Casalgrande Padana. (courtesy of 5+1AA) 15 Diamante Magico, per Casalgrande Padana. Modello bianco. 16 Diamante Magico, per Casalgrande Padana. Modello bronzo. 17 Diamante Magico, per Casalgrande Padana. Modello argento. 18 Diamante Magico, per Casalgrande Padana. Modello oro.

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 74-76 - Davide Turrini edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

post-it journal Un tempio, gli dei, gli eroi

Studio grafico di Manuel Aires Mateus per il nuovo padiglione Pibamarmi al Marmomacc 2010.

Un tempio in pietra per gli dei di pietra. L’idea di un recinto sacro, elevato a definire una concatenazione di spazi riservati e gerarchici, ispira il nuovo progetto di exhibit design firmato da Manuel Aires Mateus per Pibamarmi al Marmomacc 2010. L’allestimento è costituito da muri in cui la materia litica, levigata e monocromatica, si stratifica in dispositivi rettificati che reinterpretano stilizzandole le opere murarie delle architetture greco-ellenistiche; i setti racchiudono una cella centrale e individuano spazi laterali pensati per proteggere e rivelare al contempo monoliti raffinati e preziosi, che vivono un rapporto d’elezione con l’elemento liquido. Questi pezzi di design sono gli oggetti di culto del rituale contemporaneo legato alla cura del corpo e prendono forma dalla pietra naturale per essere contemplati e toccati, per infondere con la loro presenza suggestioni e sensazioni di armonia e benessere. Al cospetto di questi nuovi dei, nel silenzio e in un’atmosfera luminosa soffusa, sono ammessi gli eroi, i visitatori che sanno comprendere il rituale della pietra e che sono invitati ad entrare per vivere un rapporto privilegiato con la divinità assumendone in parte le virtù.

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Studi grafici di Manuel Aires Mateus per il nuovo padiglione Pibamarmi al Marmomacc 2010.

BIOGRAFIA MANUEL AIRES MATEUS Manuel Aires Mateus nasce a Lisbona nel 1963 dove si laurea alla Facultad de Arquitectura de la Universidade Tecnica nel 1986. Inizia la collaborazione con l’architetto Gonçalo Byrne dal 1983 e tale esperienza si rivela fondamentale per la sua formazione professionale. Nel 1988 fonda, con il fratello Francisco, lo studio Aires Mateus & Associados. La formazione nell’ambiente della cultura architettonica portoghese contemporanea, contrassegnata da maestri come Tavora, Siza, Souto de Moura e Byrne non ha impedito ai fratelli Aires Mateus di elaborare uno stile personale, caratterizzato fin dagli esordi da un’evidente riconoscibilità. L’architettura dei Mateus si basa infatti su una ricerca dello spazio e della materia che, pur riconoscendo nella massa la sua principale ragione d’essere, mira a superare la gravità per affermare una sostanziale smaterializzazione della costruzione architettonica. Tra le opere più significative realizzate dallo studio figurano numerose case private e importanti opere pubbliche quali la Residencia de estudiantes de la Universidade de Coimbra (1999), il Centro Cultural de Sines (2000), il Rectorado de la Universidade Nova a Lisbona (2001), le librerie Almedina (2000-2002), il Museo del Faro a Cascais (2003), il Museo de Arquitectura (2006) e gli Edifícios de Escritórios a Lisbona (2008).

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Dal 1997 Manuel Aires Mateus è professore cattedratico all’Università di Lisbona; tra il 2002 e il 2005 è stato inoltre Visiting Professor alla Graduate School of Design di Harvard. Dal 2001 è professore presso l’Accademia di Architettura di Mendrisio.

Davide Turrini

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 77-81 - Chiara Testoni edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

post-it journal DIGITAL MATERIALITY IN ARCHITECTURE

Digital Materiality in Architecture Gramazio & Kohler Lars Müller Publishers, Baden 2008 111 pagine, illustrazioni a colori testo in inglese Il lavoro di Fabio Gramazio e Matthias Kohler è efficacemente illustrato in questo agile testo, in chiara e fluida lingua inglese, specificamente finalizzato a restituire al lettore la chiave di lettura per l’interpretazione di una ricerca che, dalle cattedre dell’EHT, si estende all’intensa attività professionale che i due giovani architetti svolgono con passione nel loro studio di Zurigo “Gramazio & Kohler - Architecture and Urbanism”. Già recentemente ospite della Facoltà di Architettura di Ferrara, nell’ambito della conferenza “Digital Materiality in Architecture” Fabio Gramazio aveva brillantemente enunciato le finalità di un lavoro teso a indagare le intrinseche connessioni tra potenzialità tecnologiche dei materiali da costruzione e processi ideativi ed esecutivi interamente digitalizzati. Senza mai perdere di vista l’irriducibile distinzione che intercorre tra mente umana e intelligenza artificiale, e senza abbandonarsi ad esasperazioni tecnocratiche dell’universo computerizzato, lo studio svizzero fa del dispositivo digitale un indispensabile mezzo - e non un

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fine - di indagine e sperimentazione per definire una nuova materialità in termini figurativi e costruttivi: l’avvento dei processi informatizzati nella progettazione segna infatti un epocale trasformazione nel fare architettura, attraverso la definizione di nuove potenzialità espressive e prospettive concettuali, dagli embrioni ideativi all’esecuzione del prodotto finito. Si dischiudono così impensabili strade progettuali che gettano una insospettabile luce sulla profonda fascinazione sensoriale derivante dai sistemi di progettazione computerizzata ed esecuzione robotizzata. Quasi a consacrare finalmente, una volta per tutte, la coesione tra vocazione artistica e serialità produttiva tanto sospirata dal movimento Arts and Crafts del XIX secolo, e successivamente dalla Wiener Werkstätte, dal Deutscher Werkbund e dal Bauhaus, il lavoro degli architetti svizzeri dimostra concretamente che un prodotto di altissimo valore poetico può pienamente convivere con un processo produttivo fortemente ottimizzato in termini di tempi, costi e qualità esecutiva. Così, nascono i pannelli in elementi modulari rigidi di calcestruzzo, laterizio, legno, e anche le forme “liquide” derivanti dall’addensamento di schiuma di poliuretano, realizzati dal braccio meccanico KR150 L11, in grado di sollevare fino a 110 kg e di svolgere in modo assolutamente automatizzato operazioni di varia natura e complessità, dall’assemblaggio ripetitivo di elementi costruttivi alla elaborazione di forme uniche, variegate e dalla straordinaria laboriosità artigianale. Grazie alla disponibilità del produttore svizzero di laterizi Keller AG, KR150 L110 si trasforma poi nell’unità mobile “R-O-B”, organizzata per essere facilmente trasportabile direttamente nei siti di costruzione e lavorare in sicurezza anche in condizioni atmosferiche disagevoli, prefigurando quindi la massima possibilità applicativa del braccio robotizzato in contesti sempre differenti. Oltre che sull’“addizione” di elementi, che costituisce il principio fondativo del costruire, gli architetti svizzeri operano anche sul tema di come i materiali reagiscano da un punto di vista figurativo e strutturale alla “sottrazione” di materia: la possibilità di lavorare sui vuoti e sulle bucature dischiude molteplici potenzialità in termini espressivi grazie all’interazione tra costruito e luce naturale ma anche in termini tecnologici, attraverso il controllo del fattore di irraggiamento e dunque del confort microclimatico degli ambienti.

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Il testo propone, oltre a un chiaro apparato documentativo delle ricerche universitarie presso l’EHT, anche alcune delle principali realizzazioni dello studio in cui si coglie, insieme alla costante tensione a spingere i vari materiali verso le massime potenzialità evocative attraverso un processo di progettazione digitalizzata, anche una profonda sensibilità a garantire una effettiva vivibilità degli spazi. Sono così illustrati il progetto di concorso per i bagni pubblici a Locarno (2008), in cui il guscio di copertura rivela nelle forme le tensioni strutturali virtualmente elaborate per via informatica; il complesso Rubik di alloggi per studenti di Zurigo (progetto di concorso 2008), in cui le diversità degli spazi abitativi si rivela in facciata nei tagli differenti delle bucature, incorniciate da una “pelle” plasmata da forme geometriche variabili; la facciata della cantina Gantenbein (Fläsch, Svizzera, 2006), in cui il sistema costruttivo robotizzato viene chiamato ad evocare, attraverso l’aggregazione di laterizi diversamente angolati e orientati all’interno di pannelli incorniciati in cls, suggestive stimolazioni visive indotte dall’incidenza variabile della luce a seconda delle ore del giorno all’interno dei locali; lo sWISH* Pavilion all’Esposizione Svizzera Nazionale di Biel (2002), in cui un contenitore esternamente “muto”, caratterizzato da facciate continue in poliuretano, viene internamente vivacizzato dalla luce penetrante dalle superfici orizzontali perforate della copertura.

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L’opera di Gramazio e Kohler è solo agli inizi di un percorso davvero promettente, che potrebbe dare avvio a numerose altre forme di indagine inerenti ulteriori materiali da costruzione fino ad oggi inesplorati dallo studio, quali ad esempio la pietra o il vetro. Kant sosteneva - come ricorda Sean Keller - che il “sublime” sprigionato dalle piramidi egiziane non deriva dalla forma geometrica compiuta ma dall’impossibilità di cogliere il numero dei blocchi da cui il manufatto è costruito: per il massimo impatto, bisogna dunque situarsi in posizione né troppo vicina né troppo lontana, in quanto l’opera deve essere leggibile nella sua interezza ma anche attraverso ogni singola parte che la compone. Su questa base strettamente “quantitativa”, Kant fonda il concetto di sublime. Forse, è proprio sotto questa luce che si può interpretare l’opera di Gramazio e Kohler, che potremmo non del tutto a torto definire come gli interpreti di un nuovo “romanticismo digitale”. Chiara Testoni

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1 The sequential wall, 2008 2 Resolution wall, 2007 3 Istallation at 11th Venice Architecture Biennale, Swiss Pavilion, 2008 4 - 5 Istallation at 11th Venice Architecture Biennale, Swiss Pavilion, 2008 6 Swish*, exhibition pavilion at Expo 2020, Biel 7 Tanzhaus, Contemporary Dance House, Zurich, 2005-07 8 Bahnhofstrasse Christmas Lights, Zurich, 2003-05

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 82-88 - Elisa Poli edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

post-it journal Voyeuristi da museo

Si paga il biglietto, come se si dovesse entrare in un vero e proprio peep show, e ci si accomoda tra le grandi sale dell’ex centrale elettrica riprogettata dal duo svizzero Herzog&DeMeuron. Per vedere immagini rubate e seducenti, cronache dei paparazzi nella Roma felliniana, frame selezionati da qualche telecamera a circuito chiuso, fotografie in bianco e nero di prostitute della New York post bellica, interni di hotel passati al setaccio come in un archivio criminale, mappe satellitari di guerra, attrici hollywoodiane sorprese ed indifese all’uscita da un locale, scultoree modelle seminude, ebbene, per vedere tutto questo, basta entrare alla New Tate di Londra. Certo appare quasi come un paradosso l’istituzione che mette in mostra il non istituzionale per eccellenza, la violazione della privacy, il gioco sottile del non visto e dell’esposto, del sovra-esposto e dell’esibito, del tradito, dell’inganno tra vera finzione e falso pudore, della sorveglianza esplicitata e dell’interferenza pagata, del complotto tra recita e media, tra attori sulla scena e attori nella vita. Già, perché il museo è il luogo deputato al voyeurismo culturale, il posto in cui guardare le immagini pagando un biglietto è fatto pubblico, condiviso, accettato; fa anzi parte di un rituale del turismo, di una pratica sociale universale che vede languide signore rinfrescate da un ventaglio traforato e inamidato acquattate ad osservare scultorei bronzi poco abbigliati, affreschi muscolosi e assai svelti, così come attenti connaiseurs impettiti e silenti accigliati dinnanzi a pennellate trasparenti che compongono figure femminili denudate, gruppi orientali di turisti meccanicamente impegnati a registrare con fotocamere digitali ogni angolo annerito dell’Europa rinascimentale. Comportamenti quasi naturali, perché vedere è un atto fondamentale che l’arte eleva a piacere estetico quasi dimenticando o appositamente tralasciando un fatto fondamentale: vedere è un piacere sensuale che la nostra cultura ha manomesso fino a farlo divenire peccato originale. Exposed. Voyeurism, Surveillance and the Camera , la mostra che fino al 3 ottobre occupa il quarto piano della ex-centrale elettrica affacciata sul south bank londinese è una riflessione per immagini delle trasformazioni che la fotografia ha prodotto – e di cui è stata protagonista – nel complesso ambito della visione rubata, reale o semplicemente simulata, fino a opere recenti legate ai sistemi di sorveglianza, alle mappature militari ed all’archivio processulale di materiali spesso considerati poco influenti per l’arte. Questa mostra è, infatti, principalmente un ricco catalogo di exempla riferiti al mondo della fotografia tra XX e XXI secolo nonché un tentativo di riposizionamento di alcuni celebri autori presentati in questa rassegna di scatti rubati attraverso la lente intrigante ma spesso ambigua del voyeur. Forse il titolo si rivela un po’ troppo

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complesso rispetto alle reali possibilità di visione che la galleria d’immagini riesce a presentarci, forse in alcuni casi sono state compiute alcune forzature o semplificazioni per adattare il soggetto alle richieste dei curatori ma, a ben guardare, Exposed è una delle mostre più interessanti che la Tate abbia proposto negli ultimi anni.

Men's shoes with camera hidden in heel

© National Museum of American History Photographic History, gift of The New York News

Le 250 opere fotografiche esposte sono divise in diverse sezioni composte come in un’antologia del proibito in senso a volte cronologico a volte diacronico formando dei veri e propri file segreti tra cui lo spettatore può perdersi e ritrovarsi, fantasticare o sfuggire. The Unseen Photographer, la prima delle cinque sezioni è dedicata alle tecniche fotografiche che, dalla metà del XIX secolo ad oggi hanno permesso agli artisti di documentare momenti privati e inediti della vita delle persone. Dalla camera nascosta nel tacco delle scarpe, passando per la macchina fotografica-orologio fino alle più recenti immagini carpite attraverso le tecnologia digitale, qui trovano posto autori del calibro di Walker Evans, Philip-Lorca di Corcia, Paul Strand, Ben Shahn, Henri Cartier-Bresson ed Harry Callahan.

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Harry Callahan, Atlanta 1984 San Francisco Museum of Modern Art © Estate of Harry Callahan

Celebrity and the Public Gaze è, come il titolo lascia presagire, una panoramica tridimensionale sul mondo della carta patinata, dei gossip, dei paparazzi e del divismo. In questa parte della mostra i curatori cercano di dimostrare come l’idea stessa di celebrità sia inesorabilmente legata all’avvento della fotografia e come, il legame a volte crudele tra esibizione di sé e fama sia oggi condizione imprescindibile per lo star system. A raccontarci dell’evoluzione di questo particolare filone della fotografia firme celeberrime come Tazio Secchiaroli e Marcello Geppetti (da cui Fellini trasse ispirazione per il personaggio di Marcello Mastroianni ne La Dolce Vita) ma anche autori contemporanei come Alison Jackson.

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Weegee (Arthur Fellig), Marilyn Monroe c1950s © Weegee / International Center of Photography / Getty Images

Cuore della mostra è sicuramente la terza parte, Voyeurism and Destre, in cui viene proposto un immaginario erotico, legato alla fotografia, variegato e divertente – mai volgare – attraverso immagini sorprendenti e di altissima qualità. L’illecito si mescola qui ad un’idea d’intimità divisa tra falsificazione e verità: davvero, si chiede lo spettatore di fronte ad ogni immagine sapientemente costruita, questo scatto è stato fatto contro la volontà del soggetto immortalato? A rispondere, attraverso le loro opere, antiche memorie, come le modelle nude e pudiche di Louis-Camille D'Olivier, e sfrontate super-donne nelle fotografie di Guy Bourdin ed Helmut Newton. Ma anche le raffinate ed apparentemente semplici raffigurazioni di Miroslav Tichý o le ammiccanti gonne di Auguste Belloc per non parlare del divino Robert Mapplethorp di cui forse, le opere più sconvolgenti restano alcuni autoritratti non presenti in mostra. Qui la parte da leone la fanno anche le donne: Susan Meiselas, Merry Alpern e Cammie Toloui il cui autoritratto farà girare la testa a molti signori.

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Alcune stanze sono dedicate a lavori piĂš complessi, come nel caso di The Park, opera sublime del giapponese Kohei Yoshiyuki in cui il fotografo immortala scene di voyeurismo collettive in un gioco di sguardi per nulla ovvio. Queste immagini sono di una spontaneitĂ e di una lividezza rare e davvero ci si chiede se non sia tutto il set di un complesso film. Nello stesso modo si resta coinvolti di fronte al lungo ed intimo lavoro The Ballad of Sexual Dependency di Nan Golden che attraverso tre decadi ha catturato sguardi e scene del suo mondo familiare.

Weegee (Arthur Fellig), Audience in the Palace Theater c1943 Š Weegee / International Center of Photography / Getty Images

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Più cupa ma ugualmente coinvolgente la quarta parte della mostra, Witnessing Violence, in cui la fotografia ci costringe ad entrare nel duro mondo del crimine rendendoci spettatori involontari di dolorose scene. Una violenza sottile emerge da questi scatti che se da una parte ci permettono di essere presenti ad alcuni accadimenti del mondo, dall’altra ci obbligano ad una presa di coscienza repentina. L’immagine infatti non ha mediazione, appare con improvvisa brutalità a raccontarci cronache del mondo. Testimoni-artisti di scene cruente sono qui Weegee, Letizia Battaglia, Alexander Gardner, Felice Beato e John Reekie. Ma molto spesso le immagini non hanno autore com nel caso dei campi di concentramento in cui i carnefici immortalavano prima di ucciderle le loro vittime.

Abraham Zapruder, Assassination of John F Kennedy, November 22 1963 San Francisco Museum of Modern Art ©1967 (Renewed 1995) The Sixth Floor Museum at Dealey Plaza.

Surveillance, ultima parte di questo ricco repertorio è un inno al pensiero di Foucault e alle pratiche di controllo che sempre più popolano la nostra quotidianità. Pratiche di spionaggio e protocolli militari sono esposti come opere d’arte involontarie anche perché sempre più mescolate, nell’epoca dell’immagine, alle fotografie autoriali. Molto fotografi, in tempi recenti hanno usato le tecnologie di sorveglianza come soggetto del loro lavoro: Andreas Magdanz con l’esercito americano in una piccola città della Germania, Jonathan Olley con le innumerevoli foto alla torre d’osservatorio che l’esercito inglese ha piazzato in una zona a nord dell’Irlanda o Mark Ruwedel che ha monitorato il confine tra Messico e Stati Uniti. Più intimista il lavoro, ormai celebratissimo di Sophie Calle

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che, spacciandosi per cameriera d’hotel ha fotografato durante alcuni mesi gli oggetti presenti nelle camere d’albergo in cui lavorava. Simile il lavoro di Bruce Nauman con gli infrarossi grazie ai quali ha potuto documentare il suo studio nel New Mexico. La mostra si chiude con le immagini missilistiche riprese attraverso tecniche molto elaborate da Harun Farocki nella serie Eye/Machine.

Shizuka Yokomizo, Stranger No. 1 1998 San Francisco Museum of Modern Art © The artist

Uscendo dalla mostra lo spettatore si chiede, un po’ attonito, se il protagonista di molte immagini non sia forse proprio lui, l’uomo qualunque catturato mentre parla in boxer al telefono dalla stanza di un qualunque hotel. Il consiglio allora è di andare alla Tate per controllare, forse in qualche immagine potreste esserci anche voi…

Elisa Poli

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 89-97 - Luigi Alini edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it88

post-it journal CCCloud. Casalgrande Ceramic Cloud

Un grande sognatore obbedisce ai sogni intimi d’una sostanza magica; (…) ascolta con attenzione le confidenze mormorate dalla materia (Gaston Bachelard, Il diritto di sognare, Dedalo, Bari, 1975, p.51)

In coincidenza col cinquantenario di fondazione di Casalgrande Padana sarà inaugurata a breve, nel distretto ceramico di Sassuolo-Casalgrande, la prima opera italiana del maestro giapponese Kengo Kuma. Casalgrande Padana, in una visione d’impegno etico e sociale, donerà alla città un’opera di architettura il cui valore va ben oltre l’opera stessa. L’artefatto, un vero e proprio land mark territoriale e porta del distretto ceramico, è il frutto di un accordo di programma tra Casalgrande Padana, che ha sostenuto l’onere finanziario dell’iniziativa, e l’amministrazione comunale. Per la realizzazione di quest’opera l’Azienda accoglie la proposta dal prof. Alfonso Acocella e di chi scrive già impegnati in una più ampia ricerca sui materiali ceramici affidata da Casalgrande alla Facoltà di Architettura di Ferrara e di Siracusa – che sfocia nella collaborazione operativa tra Casalgrande ed il maestro Kengo Kuma. CCCloud è un’opera il cui valore non è circoscrivibile alle sue pur meritevoli qualità intrinseche, ma estendibile anche alle ricadute che essa ha avuto sul piano degli avanzamenti della ricerca, delle connessioni tra didattica del progetto e formazione professionale.

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Il ricorso ad un approccio multidisciplinare e la sua verifica operativa rispetto ad un caso 'reale' ha determinato uno spostamento dalla esclusiva soluzione dei problemi tecnico-costruttivi ad un sistema di relazioni più ampie, che investono il piano della ricerca sperimentale, i nuovi materiali e sistemi costruttivi, le innovate forme di didattica del progetto, le connessioni tra produzione e ricerca universitaria, il dialogo tra know-how aziendale e progetto. La ricerca “sulla materia” in quest’opera è stata sublimata dalla “visione” di uno dei più interessanti maestri dell’architettura contemporanea, la cui sensibilità per l’essere dei materiali e per l’ambiente ha consentito il compiersi di un prodigio: l’architettura si 'dissolve' come oggetto per 'vivere' nel dialogo empatico con l’ambiente. Nel tessere questa trama complessa di relazioni, Kengo Kuma 'costruisce' il suo personale dialogo con la ceramica a partire della tradizione giapponese: il dispositivo tecnico, le tracce impresse sulla materia dal processo di produzione, la natura intrinseca della materia, la sua natura arcaica è elevata a valore estetico.

La materia ceramica è “sostanza assoluta” e non complemento; ha una consistenza che non è solo fisica, in quanto vive nello spazio e nel tempo; possiede un pensiero, è pensante; agisce su di noi, è la sorgente di un universo poetico di cui Kuma n’è ascolta le confidenze. L’atto dell’immaginare, la capacità di vedere oltre la materia le sue potenzialità, per Kuma non è tuttavia un’azione arbitraria, quanto un’azione strutturata che impone la conoscenza assoluta del materiale, dei processi di produzione. La profondità di pensiero presuppone la capacità di 'dominare la materia'. Ed è anche in ossequio a questo principio che si è sostenuto l’efficacia del connubio tra una grande aziende di ceramiche e Kengo Kuma. Il materiale come generatore di forme, il geometrismo entro il naturismo, sono questi alcuni temi attraverso cui Kuma costruisce quel senso di spiazzamento, di sospensione temporale, di ambiguità percettiva, di

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dissolvenza della materia, che trasmette CCC_Wall. La relazione tra soggetto e anti-oggetto1 non è più univoca ma molteplice, Kuma 'inverte la direzione della visione', concepisce lo spazio architettonico come una macchina per 'inquadrare' porzioni di paesaggio, capovolge la nostra forma di percezione, rende manifesta quella totalità chiamata “luogo”. La massa si dissolve, si frammenta, la materia si carica di significati che entrano nella 'costruzione delle forme'. Kuma taglia, giunta, piega, replica all’infinito un principio che diventa elemento generatore dello spazio. L’unità è generata dalla ripetizione, tra la parte e il tutto vige un legame di necessità. L’atto costruttivo si fa narrazione, discorso che si compie per polarità, per 'coppie oppositive': luce/ombra, opaco/trasparente, massivo/leggero, continuo/discontinuo, ripetizione/variazione, alto/basso. Kuma “cancella l’architettura” come oggetto per comunicarcela come sostanza, una sostanza che tuttavia non riusciamo mai a possedere fino in fondo. La materia, nel mostrarsi, è essa stessa e contemporaneamente altro. In questo meccanismo di sospensione il significato dell’opera, per assonanza, per empatia, si riverbera in noi, si amplifica, espande l’ambiente che la accoglie. Il dispositivo tecnicocostruttivo è uno specchio che esalta le qualità del luogo, lo fa risuonare dentro di noi, genera risonanza. La ricerca di una “armonica connessione” col luogo è agita anche nel dialogo tra materia e luce, nella sua duplice connotazione di elemento naturale ed artificiale. Nel progetto di CCC_Wall la luce 'dialoga' con l’opera producendo un sistema di ombre dinamiche che amplificano i “virtuosismi costruttivi” che estremizzano la presenza del materiale ceramico. In quest’opera la ceramica raggiunge un sorprendente livello d’intensità espressiva, un risultato reso ancora più inaspettato dal ricorso ad elementi ceramici standard: lastre di gres porcellanato di 1200x600x14 mm. L’innovazione non è nel materiale o nei suoi consolidati livelli prestazionali, ma nella 'inusuale' logica d’impiego. Kuma re-inventa il materiale, gli dona una nuova vita, lo libera dalla “schiavitù” di rivestimento superficie, di ultimo strato in forma di pelle. Le lastre di gres porcellanato, l’una mutuamente sostenuta dall’altra, si mostrano in tutta la loro essenziale bellezza. Un ordine intellegibile, una geometria rigorosa che rende evidente il principio strutturale, che resta tuttavia inafferrabile nei suoi meccanismi intrinseci. Le parti ed il tutto dialogano in maniera serrata, hanno senso solo nella relazione reciproca. Quest’opera è stata una lunga sfida, una sfida complessa che premia gli sforzi e le molte energie profuse. Percorrere territori noti, consueti, rassicuranti, sarebbe stato comodo ma meno entusiasmante. Casalgrande ha accolto la sfida. Una sfida che ha visto l’Università assumere il ruolo di cerniera e di interprete tra progetto e produzione, libera dal retaggio di chi la vuole, pretestuosamente, rivolta solo verso ricerche autoreferenziali che raramente si confrontano con la concretezza del fare. Quest’opera è, invece, la dimostrazione vivida dell’efficacia di un ‘diverso’ modello operativo. Un modello che sul piano

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della didattica e della formazione ha consentito di estendere lo sguardo su una esperienza a contatto diretto con i problemi reali che la professionale pone: vincoli, budget, modalità e tempi di esecuzione dell’opera. All’interno di questo processo riteniamo di poter rivendicare, insieme ad Alfonso Acocella e al Presidente della Casalgrande Franco Manfredini, il merito di aver intravisto le potenzialità di una convergenza tra mondi (formazione, produzione, professione) che nel dialogo si sono arricchiti reciprocamente. Casalgrande ha il merito di aver svolto un ruolo socialmente ed eticamente encomiabile: la promozione aziendale, la promozione di un prodotto di eccellenza è stata assunta anche come occasione per contribuire a migliorare la qualità di luoghi in trasformazione donando alla città un’opera contemporanea di elevato valore, offrendo anche agli studenti la possibilità di avvicinarsi al progetto e alle tecnologie dell'architettura. Casalgrande ha reso possibile un sogno a molti studenti: essere partecipi, vedere, osservare, comprendere il processo generativo dell’architettura e gli strumenti che la governano. Abbiamo agito dall’interno per procedere verso l’esterno, abbiamo ribaltato il meccanismo che sovente viene utilizzato come strumento didattico: il progetto come esperienza ex-post. Nel progressivo divenire il progetto ed il cantiere hanno fornito le occasioni di approfondimento didattico, consentendo di osservare 'il fenomeno' da tutti i punti di vista: quello del committente, del progettista, dello strutturista, e così via, fino a chiarire le ragioni di quell’equilibrato compromesso, di quell’equilibrio e convergenza di razionalità diverse sempre agenti. Si è applicato il modello gestionale tipicamente anglossassone, nel quale la committenza non è soggetto passivo ma attore co-protagonista, adottando e facendo leva su strumenti cognitivi e gestionali complessi. Il ruolo di mediazione e di cerniera svolto dall’Università ha consentito di ordinare ed orientare il flusso degli atti e delle decisioni verso obiettivi condivisi. Obiettivi precisati in un documento di intenti, il brief più volte discusso in maniera collegiale alla presenza dello stesso Kuma. Quando ancora il progetto era in nuce ne abbiamo prefigurato le potenzialità, vagliate poi nella fase dello schematic design e soprattutto in quella di design development. Quest’ultima è stata la fase più emozionante. Fase che abbiamo dilatato temporalmente proprio per rendere possibile la sperimentazione di soluzioni innovative, respingendo la validazione di soluzioni precostituite, consolidate, ricorrenti. Gli input di Kuma lasciavano ci facevano intravedere ad ogni nuovo incontro possibilità stimolanti. Cosa che ha richiesto, da parte del team, ascolto, interpretazione, perizia, pazienza, cura, risorse. Diversi modelli in scala 1:1 si sono succeduti in Casalgrande Padana e così anche per le soluzioni nodali, il colore degli elementi, il sistema di illuminazione, ecc. È stata questa la strada che si è scelto: da un lato sofisticatissimi sistemi di verifica strumentale che hanno visto due gruppi di professionisti, italiani e giapponesi, dialogare costantemente a distanza; dall’altro il costante prefigurare da parte degli artigiani e degli esperti

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aziendali di Casalgrande nella realizzazione dei prototipi. In questo processo di scambio tutti hanno fornito contributi e acquisito nuove conoscenze. Il know-how industriale è stato fatto fluire nel progetto, ha agito attivamente alimentando le scelte. La sapienza artigiana è stata sublimata. I risultati confermano la bontà dell’intuizione e la capacità operativa di alcuni settori di ricerca accademica. La differenza, poi, l’hanno fatta gli uomini con il loro carattere e le loro competenze, il loro bagaglio di esperienze che ha contribuito anche ad evitare semplificazioni che inevitabilmente tendono a manifestarsi nei momenti di difficoltà. Dobbiamo a tutti coloro che con impegno e generosità hanno consentito di osare, di andare oltre e raggiungere questo traguardo, il dono di questo spazio di libertà.

Luigi Alini

Note 1 Quest’inversione di prospettiva è motivata dal convincimento che: «quando viene guardata dall’esterno l’architettura appare come un oggetto; la materia, separata dall’ambiente e osservata da una certa distanza, appare inevitabilmente come un oggetto (…). Quando si stabilisce un’inquadratura e si osserva una cosa, compare innegabilmente un oggetto, a prescindere da quanto sia caotica l’organizzazione o trasparente il materiale, e questo accade perché la cornice provoca una distanza tra il soggetto e l’oggetto e inoltre separa l’oggetto, selezionato e specificato dalla cornice, dal suo contesto» (Kengo Kuma, Giardinaggio, versus architettura, in Luigi Alini, Kengo Kuma. Opere e progetti, Electa, Milnao, 2005).

CREDIT Committente Casalgrande Padana S.p.a., Via Statale 467, n° 73 42013 Casalgrande (RE) – Italy http://www.casalgrandepadana.com

Luogo: Casalgrande, (Re) Italia Tipologia: Verde pubblico, Monumento Area: 2826 Mq

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Materiali: Gres porcellanato, pietra, acciaio Altezza max: 5,90 m Data ultimazione: Settembre 2010

DESIGN TEAM Architettura: Kengo Kuma & Associates: Kengo Kuma (principal charge); Javier Villar Rujz; Ryuya Umezawa 2-24-8 BY-CUBE 2F Minamiaoyama Tokyo www.kkaa.co.jp

Project Manager: Mauro Filippini, Casalgrande Padana S.p.a. Controllo Costi: Mauro Filippini, Casalgrande Padana S.p.a. Ingegneria: Ejiri Structural Engineers (Tokyo) Norihiro Ejiri and Pieter Ochelen, 3-20-11 #402, Takadanobaba, Shinjukuku, Tokyo 169-0075, Japan

Client Consultant Architettura: Prof. arch. Alfonso Acocella, UniversitĂ degli Studi di Ferrara; Prof. arch. Luigi Alini, UniversitĂ degli Studi di Catania Urban Planing: Arch. Angelo Silingardi (CCdP) Strutture: Ing. Enrico Rombi (CCdP); Ing.Alberto Zen (CCdP); Impianti: Arch. Cesare Brizzi e Ing. Luigi Massa, Casalgrande Padana S.p.a. Illuminazione: Mario Nanni (principal charge), Federica Soprani Comunicazione: Nadia Giullari, Elisa Grisendi, Sara Costi, Veronica Dal Buono

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Leggi anche: Casalgrande Ceramic Cloud p.110

1 Casalgrande Ceramic Cloud di Kengo Kuma (ph. marco Introini) 2 Marzo 2009. Primo client meeting. Visita del maestro Kengo Kuma agli impianti di produzione di Casalgrande Ceramica; sopralluogo all’area di progetto e presentazione di Mauro Filippini, PM di Casalgrande Padana, del brief di progetto . 3 Marzo 2009. Primo client meeting. Visita del maestro Kengo Kuma agli impianti di produzione di Casalgrande Ceramica; sopralluogo all’area di progetto e presentazione di Mauro Filippini, PM di Casalgrande Padana, del brief di progetto 4 Marzo 2009. Primo client meeting. Visita del maestro Kengo Kuma agli impianti di produzione di Casalgrande Ceramica; sopralluogo all’area di progetto e presentazione di Mauro Filippini, PM di Casalgrande Padana, del brief di progetto 5 Marzo 2009. Primo client meeting. Visita del maestro Kengo Kuma agli impianti di produzione di Casalgrande Ceramica; sopralluogo all’area di progetto e presentazione di Mauro Filippini, PM di Casalgrande Padana, del brief di progetto 6 Marzo 2009. Primo client meeting. Visita del maestro Kengo Kuma agli impianti di produzione di Casalgrande Ceramica; sopralluogo all’area di progetto e presentazione di Mauro Filippini, PM di Casalgrande Padana, del brief di progetto 7 Marzo 2009. Primo client meeting. Visita del maestro Kengo Kuma agli impianti di produzione di Casalgrande Ceramica; sopralluogo all’area di progetto e presentazione di Mauro Filippini, PM di Casalgrande Padana, del brief di progetto 8 Aprile 2009. Client Meeting. Presentazione della prima proposta di progetto al committente

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9 Aprile 2009. Client Meeting. Presentazione della prima proposta di progetto al committente 10 Aprile 2009. Client Meeting. Presentazione della prima proposta di progetto al committente 11 Maggio 2009. Client meeting. Presentazione al committente del progetto definitivo 12 Maggio 2009. Client meeting. Presentazione al committente del progetto definitivo 13 Maggio 2009. Client meeting. Presentazione al committente del progetto definitivo 14 Aprile 2009. Client Meeting. Presentazione della prima proposta di progetto al committente 15 Maggio 2009. Client meeting. Presentazione al committente del progetto definitivo 16 Giugno 2009. Client meeting. Lighting design con Mario Nanni.

1 - 9 Giugno 2009. Fasi di produzione degli elementi ceramici per la realizzazione del prototipo di studio. (ph. marco introini) 10 Giugno 2009. Client meeting. Verifiche e prove sul prototipo di studio.

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1- 10 Giugno 2009. Client meeting. Verifiche e prove sul prototipo di studio.

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 98-101 - Alfonso Acocella edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

post-it journal

Presentazione del volume TRAVERTINO DI SIENA - SIENESE TRAVERTINE

Presentazione del volume TRAVERTINO DI SIENA - SIENESE TRAVERTINE a cura di Alfonso Acocella e Davide Turrini, Alinea Editrice, 2010 30 settembre 2010, ore 11.30 Forum del Marmo 45° Marmomacc - International Exhibition of Stone Design and Technology Verona Fiere, Spazio Agorà, Stand 7B. Viale del Lavoro 8, 37135 Verona.

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Intervengono Alfonso Acocella, Paolo Di Nardo, Enzo Giganti, Vincenzo Pavan

Pietre dell'Identità Attraverso il volume TRAVERTINO DI SIENA si è voluto portare in evidenza il valore di una precisa identità territoriale, quella senese, posta in relazione e in esplicita difesa rispetto agli “erosivi” processi di una società sempre più “uniformizzata”. Da tale assunto è scaturito un percorso – prima di ricerca, poi narrativo – che ha inteso identificare, interpretare e comunicare tale identità attraverso le peculiarità della struttura paesaggistica, geologica, insediativa, produttiva, architettonica e artistica che deve molto all’essenza della materia del luogo, quel travertino ceruleo e poroso riguardabile anche come una delle Pietre d’Italia più conosciute al mondo. Finalità del lavoro è stato ricondurre il “paesaggio di pietra” e le sue permanenze ad un orizzonte di intelligibilità, di riconoscimento, di visione e, infine, di messa in valore soprattutto in chiave contemporanea per continuare ad alimentare ed arricchire il concetto di identità non come stato ma come processo evolutivo. Il nuovo terreno di competizione delle società avanzate, oramai, è legato allo “sprigionarsi” di energie abilitanti le unicità territoriali (patrimoni materiali ed immateriali allo stesso tempo) facendo leva sui dispositivi culturali tradizionali senza trascurare quelli che l’innovazione e la new tecnology rendono oggi possibile aggiornando le modalità di fruizione dei contenuti. Molti dei valori intangibili delle economie contemporanee occidentali hanno a che fare con il contesto, con le tracce fisiche e simboliche espresse dai luoghi attraverso i linguaggi delle città, dell’architettura, dell’arte, degli stili di vita, delle competenze e abilità sia artigianali che industriali accumulate nel tempo. Riguardato da questa prospettiva il territorio d’Italia non è secondo a nessuno quanto ad imponenza di testimonianze, quanto a qualità e saperi diffusi. Con il volume TRAVERTINO DI SIENA abbiamo tentato di rendere omaggio ad una delle più suggestive realtà paesaggistiche, ambientali, architettoniche d’Italia che nel suo cuore di charme contiene altresì forze produttive detentrici di elevate competenze come è il caso delle Aziende del Consorzio del Travertino di Rapolano che ringraziamo per averci dato la possibilità di proseguire la nostra ricerca su L’ARCHITETTURA DI PIETRA riverberata fra i dispositivi culturali tradizionali e i nuovi canali di diffusione della conoscenza. (tratto dall'introduzione a TRAVERTINO DI SIENA) Alfonso Acocella

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Travertino di Siena Alfonso Acocella e Davide Turrini (a cura di) Alinea Editrice, Firenze 2010 304 pagine testo bilingue (italiano e inglese), illustrazioni a colori formato 24x28 cm , copertina cartonata prezzo 48,00 â‚Ź

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 102-105 - Elisa Poli edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

post-it journal Sguardi a Oriente

Kazuyo Sejima (Direttrice XII Biennale d'Architettura)

Ha inaugurato il 28 agosto la XII Mostra Internazionale di Architettura presso la Biennale di Venezia. Per la prima volta diretta da una donna, Kazuyo Sejima, dello studio giapponese SANAA, riportiamo le prime impressioni dopo le assegnazioni dei premi e i commenti della critica. Per tutti coloro che da tempo lamentano una sovrabbondante presenza di opere tra le quasi infinite sale delle Corderie, troppo umide, troppo fredde, con troppi spifferi e senza neppure una sedia per il ripristino dei sensi, la Biennale curata da Sejima sarà un vero toccasana. La curatrice ha infatti proposto una selezione minima di opere e installazioni creando un percorso leggero che appare in alcuni punti poco fluido. In apertura della mostra presso le Corderie l’opera di Smilijan Radic + Marcella Correa che racconta di un Cile rinnovato, fatto di pietra e ottimismo. Il lavoro di questi architetti impegnati socialmente nel loro paese viene descritto in modo efficace dall’elemento scultoreo al centro della prima sala. Retorico e positivo il film di Wim Wenders, rigorosamente in 3D come vuole la nouvelle architecture, che descrive 24 ore nel e del Rolex Learning Center, ultima fatica dello studio SANAA con tanto di cammeo finale: Sejima e Nishizawa rapidi fruitori del loro stesso lavoro. L’omaggio a Wenders, uno dei cineasti più sensibili e vicini al mondo

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dell’architettura, è parso un atto doveroso che è molto piaciuto al pubblico della Biennale così come positivo è stato il giudizio sull’auto referenzialità della curatrice vera protagonista del cortometraggio. A differenza di precedenti curatori-critici, la Sejima ci racconta di un’architettura che si può fare, di un progetto recente già realizzato, di un futuro possibile per una professione autoriale schiacciata da figure di mediazione ormai divenute più importanti dell’architetto stesso. Stroboscopica l’installazione di Olafur Eliasson, molto appariscente e composta in realtà solo di acqua e tubi flessibili, porta l’acqua all’interno dell’Arsenale con un gioco di flash contro il tappeto scuro della sala che inghiotte lo spettatore. Mastodontica l’installazione di Anton Garcìa-Abril&Ensamble Studio; Balancing Act è letteralmente un gioco di equilibrio tra due linee strutturali poste in senso longitudinale nello spazio dell’Arsenale. Vale lo stesso per i modelli strutturali autosufficienti presentati da Christian Kerez o per il complesso gioco di spazi rivelato da 7 houses for 1 house di architecten de vylder vinck taillieu. Uno sforzo descrittivo che la curatrice sembra aver costruito intorno all’assiomatica affermazione “forms follow structures” declinato attraverso una serie di esperienze recenti, interrotte solo da alcune eccezioni.

L’installazione di Olafur Eliasson

L’attrazione principale della mostra è indiscutibilmente Cloudscape di Transsolar&Tetsuo Kondo Architects composta da aria satura di acqua, luce, cor-ten e silenzio. In perfetto accordo con le ultime tendenze del design, che hanno visto nelle nuvole il simbolo di un’architettura rinnovata e visionaria, i progettisti hanno immaginato una stanza in cui è possibile vivere l’esperienza dell’attraversamento di un grande nucleo di condensazione: una nuvola appunto. Indubbiamente debitori di Diller&Scofidio che con il loro Blur Building avevano emozionato nel

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2002 i visitatori dell’Expo svizzera, questi architetti atmosferici hanno saputo inscatolare un principio poetico di chiara efficacia. Meno spettacolare ma certamente più ricca la sontuosa installazione dello Studio Mumbai Architects, collocata quasi come uno spazio di lavoro tra le sottili riflessioni delle stanze attigue, sta a ricordarci il profumo dell’opera artigiana, le maestranze e gli strumenti di bottega. Carta bianca poi ad Hans Ulrich Obrist celebrato più che celebrante nel suo titanico sforzo di archiviare le parole del mondo (ha realizzato sinora quasi 2000 ore d’interviste) e qui presente sia con un progetto specifico per la Biennale – le interviste ai protagonisti – sia con un omaggio a Cedric Price (in attesa della famosa mostra sui progetti utopici). Prevedibile la presenza di Mark Pilmott e Tony Fretton, le cui architetture sono state spesso accostate dai critici alla sensibilità tettonica giapponese, hanno presentato un’installazione, Piazzasalone, in pieno “gusto Sejima” con tanto di vecchia Alfa Romeo piazzata con i fari accesi in mezzo alla sala. Da osservare con cura sono le immagini di Walter Niedermayr che svelano sotto voce le grandi contraddizioni e ambiguità del mondo arabo in bilico – come dimostra l’esempio iraniano da lui immortalato – fra tradizione locale e globalizzazione di matrice occidentale. La presenza umana scivola negli sfondi, scompare inghiottita da un’archittettura-città, esce ed entra in scena come farebbero i tecnici durante le prove in teatro. Chiude il percorso delle Corderie la cupola di Amateur Architecture Studio, una struttura leggera, composta da assi di legno usati negli imballaggi al porto di Venezia, ed assemblati secondo un disegno basato sui più semplici principi edilizi, facilmente leggibile anche dai non addetti ai lavori. In bilico tra l’auto-costruzione e lo studio delle forme tradizionali veneziane applicate ad una struttura tipica cinese questo progetto racconta le ricerche di un’architettura adatta alle esigenze dei paesi più poveri. Da vedere anche il lavoro di OFFICE – presente in mostra insieme a Bas Princen le cui fotografie sono valse allo studio belga-olandese un Leone d’Argento – così come le opere di Valerio Olgiati e le fotografie di Luisa Lambri in cui la luce assume una consistenza sacrale, assoluta. Il contrappunto a questo percorso si evince già dalle scelte curatoriali del Padiglione Italiano in cui Luca Molinari mette in scena un cacofonico percorso tra l’architettura passata, presente e futura. Salva l’insieme un evocativo allestimento ad opera di Francesco Librizzi e Salottobuono che ricorda le opere dei Superstudio e l’epoca dei Radicali attraverso un omaggio felicemente riuscito.

Tra le partecipazioni nazionali, premiato con il Leone d’Oro il Regno del Bahrein. La giuria è stata particolarmente colpita “dalla scelta di una lucida ed efficace autoanalisi della relazione del paese con il rapido cambiamento della sua linea costiera. In questo intervento forme di architettura transitoria sono presentate come dispositivi capaci di rivendicare il mare come spazio pubblico: una risposta eccezionalmente semplice, nonostante la sua impellenza, a People meet in architecture , il tema proposta dal direttore della Mostra Kazuyo Sejima”. Molto

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apprezzato anche il padiglione Olandese che rivela allo spettatore quante e quanto siano varie le proprietà immobiliari nel paese così come le possibili applicazioni che questi spazi offrono. Ole Bouman, propone un cielo in cornice composto da plastici azzurri e minimali di questi progetti temporanei. Svuotato del suo contenuto il padiglione si legge solo attraverso la scala che porta al tetto: un modo inconsueto per riassumere l’intento del progetto curatoriale. L’Inghilterra dedica a John Ruskin un anfiteatro in legno e un percorso emozionante attraverso il pensiero del grande teorico. Un’Australia in 3D scaraventa lo spettatore tra le visioni futuristiche dei migliori studi del paese e, almeno qui, il 2050 sembra davvero vicino. La Svizzera racconta i suoi ponti, sublimi e sconosciuti ai più, mentre Israele svela i segreti e le storie dei Kibbutz. In accordo con la sensibilità della direttrice della Mostra, molti paesi hanno aperto le porte delle proprie realtà più private, riecheggiando gli odori dell’Arsenale, in cui si ha l’impressione di essere davvero all’interno dello studio SANAA tra schizzi, plastici, mock up e video dei progetti. Una Biennale intima, in cui ogni stanza corrisponde ad un elemento: terra, aria, acqua, fuoco, legno, all’interno di un’atmosfera rarefatta, illuminata dal sole d’oriente.

Elisa Poli

1 Rem Koolaahs (Leone d'Oro alla Carriera) 2 Rem Koolhaas & Reinier De Graaf 3 Cibic & Partners 4 Wang Shu - Amateur Architecture Studio 5 Smiljan Radic / Marcela Correa

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post-it journal CCCloud di Kengo Kuma, l'evento inaugurale.

Il 2 ottobre scorso i riflettori della cultura architettonica internazionale erano puntati sul piccolo centro industriale di Casalgrande, in provincia di Reggio Emilia, sede dell’azienda ceramica “Casalgrande Padana”. L’intensa attività di ricerca nei campi dell’innovazione tecnologica e artistica fanno della Casalgrande Padana una realtà leader nel settore in ambito internazionale, nonché uno dei simboli produttivi più radicati nel distretto economico emiliano anche grazie allo “storico” impegno socioculturale espletato dall’azienda nel territorio comunale. Il 50° compleanno dell’azienda è stato celebrato come una festa collettiva, in cui la Casalgrande Padana ha condiviso la sua storia con la comunità e ha colto l’occasione per consegnare alla città la prima opera italiana del celebre architetto giapponese Kengo Kuma, “Casalgrande Ceramic Cloud”, vero e proprio “manifesto” urbano situato in una rotatoria di circa 30 metri di raggio all’ingresso della strada Pedemontana. Protagonisti indiscussi della giornata sono stati Kengo Kuma, progettista dell’opera, e Mario Nanni, mente e fondatore dell’azienda Viabizzuno, che si è occupato del progetto illuminotecnico, non ultimo Franco Manfredini, Presidente di Confindustria Ceramica e di Casalgrande Padana.

Al mattino, al piano terra dell’ambiente dedicato a Museo della Casalgrande Padana, allestito secondo progetto di Kengo Kuma e ancora in corso di realizzazione, si è tenuto l’incontro con la stampa. Dapprima, l’architetto ha illustrato alcuni suoi interventi che, ispirati alla tradizionale casa da tè giapponese, hanno messo in luce la forte tensione sperimentale del suo lavoro finalizzato a sondare le varie potenzialità espressive e tecnologiche dei materiali. Così, tra i molti esempi illustrati, figurano i piccoli padiglioni temporanei caratterizzati ora da un involucro a membrana gonfiabile (Teehaus, Francoforte, 2007), ora dall’assemblaggio di ombrelli (Casa Umbrella, Milano, 2008), di taniche di plastica (Water Branch, New York, 2007), di lastre di pietra (Stone Castle, Verona 2007) o di alluminio (Alluminium Card, Toyama 2009). A seguire, il percorso progettuale approda all’architettura a più vasta scala, come viene mostrato nel negozio “Lucien Pellat – Finet” (Osaka, 2009), nel Granada Performing Art Centre (Granada, 2008, in costruzione) e, per finire, nell’opera “Casalgrande Ceramic Cloud”. Kuma descrive con chiarezza ed efficacia i principi ispiratori dell’opera emiliana. Attraverso l’assemblaggio di 1.052 lastre ceramiche di un

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bianco purissimo, di nove diverse tipologie dimensionali e strettamente collaboranti con la struttura interna in acciaio, il maestro giapponese ha voluto rivisitare la concezione convenzionale di ceramica come semplice rivestimento per conferire a questo straordinario materiale nuove potenzialità strutturali e figurative nello spazio tridimensionale. L’opera appare come una sorta di “architettura vivente”, sempre mutevole in funzione della posizione dell’osservatore: così, se da una visione laterale si presenta come una linea sottilissima e affilata, da una vista frontale si trasforma in una superficie continua di 45 metri di estensione, una quinta muraria permeabile alla luce e in stretta interazione con l’ambiente circostante. L’idea di un monumento non “fine a sé stesso” ma inteso come parte integrante del paesaggio è infatti alla base del concept ideativo dell’opera: il materiale è come una “tela bianca” che, captando la luce nel suo trasformarsi durante la giornata o nel corso delle stagioni, dà vita a formule percettive sempre differenziate. La scultura è concepita come sintesi tra elemento artificiale e naturale: se il vibrante muro in ceramica è simbolo dell’opera intellettuale e costruita, lo spazio circostante, allestito con specchi d’acqua e ciottoli, rimanda a suggestioni proprie del giardino “zen”, secondo una visione tipicamente giapponese in cui artificio e natura sono estremi - non conflittuali - di una dialettica sempre equilibrata e stimolante. Successivamente, Mario Nanni ha introdotto le linee guida di un pensiero che da oltre quarant’anni ispira la sua opera e che si traduce nella sua personale interpretazione della luce come un vero e proprio materiale da costruzione, strettamente funzionale alla qualificazione dell’architettura. Per “Casalgrande Ceramic Cloud”, Nanni ha concepito il progetto “La luce del vento”: attraverso l’applicazione delle otto “regole” consolidate del suo lavoro - tra cui l’importanza attribuita alla vocazione tridimensionale della luce nello spazio, ai valori dell’ombra e del movimento, al dualismo tra presenza e assenza della fonte luminosa Nanni ha voluto mettersi alla prova contribuendo con passione alla realizzazione di un intervento dal grande profilo culturale, frutto della profonda intesa tra una committenza illuminata e una eccezionale sensibilità progettuale. Alla domanda, rivolta al maestro Kuma, inerente l’eventuale previsione, in fase ideativa, di una possibile trasformazione cromatica dell’opera in funzione degli agenti atmosferici e dall’inquinamento, Kuma ha replicato rimarcando l’intrinseco valore simbolico del bianco, connesso al tema della purezza ed esemplificato dal nitore delle piastrelle che, per la natura resistente e lavabile del materiale, non saranno soggette – a differenze dei ciottoli, più suscettibili a eventuali alterazioni – ad alcun tipo di trasformazione formale.

Al pomeriggio si è tenuta l’inaugurazione ufficiale, in cui si sono avvicendati gli interventi delle autorità locali, della committenza e dei progettisti, sotto l’imponente tenso-struttura limitrofa all’opera di Kuma realizzata appositamente per accogliere il grande afflusso di pubblico. L’inaugurazione della “CCCloud” è stata occasione per la comunità reggiana per vedere in anteprima l’opera di Kuma inserita nella nuova

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arteria Pedemontana, infrastruttura di grande valore logistico e strategico per la zona, fortemente sostenuta da Casalgrande Padana, giunta allo stato finale di attuazione. Il Sindaco del Comune di Casalgrande Andrea Rossi ha annunciato proprio in quest’occorrenza il conferimento del titolo di cittadinanza onoraria e consegna delle chiavi della città a Franco Manfredini. In serata, a conclusione dell’intervento del Presidente della Casalgrande Padana, l’evento si è “trasferito” nella rotatoria dove è situata la CCCloud, per il magico momento di accensione delle luci da parte di Mario Nanni, con sottofondo musicale e il numeroso pubblico che avvolgeva silenzioso lo spazio circolare. A seguire, la compagnia di danza Aterballetto ha interpretato una performance coreografica in situ, su note classiche e contemporanee, a coronamento di una giornata densa e appassionante. Chiara Testoni

1 Casalgrande Ceramic Cloud, inaugurazione ed apertura al pubblico. (ph.marco introini) 2 Il Centro di Documentazione sui ceramici di Casalhgrande Padana

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3 Il Centro di Documentazione sui ceramici di Casalhgrande Padana 4 Kengo Kuma. Momenti della conferenza stampa. (ph. marco introini) 5 Momenti della conferenza stampa. (ph. marco introini) 6 Momenti della conferenza stampa. (ph. marco introini) 7 Kengo Kuma ed il collaboratore Javier Villar. (ph. marco introini) 8 Momenti della conferenza stampa. (ph. marco introini) 9 Momenti della conferenza stampa. (ph. marco introini) 10 Mario Nanni. Momenti della conferenza stampa. (ph. marco introini)

1 Franco Manfredini, Presidente Casalgrande Padana. Cerimonia d'inaugurazione. (ph. Bartolozzi) 2 Il Sindaco di Casalgrande. Cerimonia d'inaugurazione. (ph. marco introini) 3 Francesco Dal Co. Cerimonia d'inaugurazione. (ph. marco introini) (ph. marco introini) 4 Kegno Kuma. Cerimonia d'inaugurazione. (ph. marco introini) 5 - 6- 7 Kegno Kuma. Cerimonia d'inaugurazione. (ph. marco introini) 8 Cerimonia inaugurale. (ph. marco introini)

1 Casalgrande Ceramic Cloud. Notturno, luci. (ph. marco introini) 2 Casalgrande Ceramic Cloud. Notturno, luci. (ph. marco introini) 3 La performance di Ater Balletto sulla CCCloud. (ph. marco introini) 4 La performance di Ater Balletto sulla CCCloud. (ph. marco introini) 5 La performance di Ater Balletto sulla CCCloud. (ph. marco introini)

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post-it journal CCCloud Casalgrande Ceramic Cloud

CCCloud di Kengo Kuma. (ph. marco introini)

L’apertura di una nuova arteria stradale a valle del distretto ceramico di Sassuolo-Casalgrande ha indotto Casalgrande Padana a realizzare una nuova ‘porta’ di accesso all’azienda, ridefinendo nello stesso tempo un nuovo sistema di relazioni tra l’area industriale, il sito ed il nascente museo aziendale della ceramica. Kuma propone un ‘muro’ di ceramica di grandi dimensioni, un monumento che marca la topografia territoriale. Prendendo a prestito una metafora linguistica potremmo dire che l’opera di Kuma svolge un’azione pragmatica in rapporto all'uso: semantica in rapporto al valore simbolico; sintattica in rapporto al sistema di relazioni che stabilisce con l’ambiente 1. Kuma rifugge dalla retorica celebrativa del monumento, CCCloud è opera aperta al mondo, lo è simbolicamente e fisicamente con la sequenza di finestre aperte sul paesaggio; non è un monumento tradizionale da contemplare passivamente ma uno ‘spazio topologico’ che consente di vedere, di inquadrare porzioni di paesaggio, un medium tra la natura e il soggetto, una ‘macchina’ pensata per 2. «rendere manifesta quella totalità chiamata luogo» L’opera si sviluppa entro una rotonda stradale di 60 m di diametro, un’area di 2826 mq che si slarga nel paesaggio ‘dissolvendosi’ in esso. Kuma agisce sui concetti di vicinanza e lontananza, ricorre ad una metrica fondata sull’assonanza e sulla dissonanza. Com’è nelle sue corde opera per coppie oppositive di concetti. La ceramica nelle sue diverse declinazioni è la materia primordiale esclusiva con la quale delimita, unisce, apre. Tra CCCloud e il nascente museo oltre ad una relazione visiva diretta ne esiste anche una di tipo empatico generata dal ricorso a soluzioni assonanti, ad elementi materici e modalità costruttive che riverberano l’una nell’altra generando intersezioni, polarità, analogie. Analogie e riferimenti estesi anche ad altre discipline. Il meccanismo ‘narrativo’ al quale Kuma ricorre con CCCloud è analogo a quello utilizzato da Paul Klee in Ad Margine, opera del 1930. Kuma come Klee

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dissolvenza della materia, che trasmette CCC_Wall. La relazione tra soggetto e anti-oggetto1 non è più univoca ma molteplice, Kuma 'inverte la direzione della visione', concepisce lo spazio architettonico come una macchina per 'inquadrare' porzioni di paesaggio, capovolge la nostra forma di percezione, rende manifesta quella totalità chiamata “luogo”. La massa si dissolve, si frammenta, la materia si carica di significati che entrano nella 'costruzione delle forme'. Kuma taglia, giunta, piega, replica all’infinito un principio che diventa elemento generatore dello spazio. L’unità è generata dalla ripetizione, tra la parte e il tutto vige un legame di necessità. L’atto costruttivo si fa narrazione, discorso che si compie per polarità, per 'coppie oppositive': luce/ombra, opaco/trasparente, massivo/leggero, continuo/discontinuo, ripetizione/variazione, alto/basso. Kuma “cancella l’architettura” come oggetto per comunicarcela come sostanza, una sostanza che tuttavia non riusciamo mai a possedere fino in fondo. La materia, nel mostrarsi, è essa stessa e contemporaneamente altro. In questo meccanismo di sospensione il significato dell’opera, per assonanza, per empatia, si riverbera in noi, si amplifica, espande l’ambiente che la accoglie. Il dispositivo tecnicocostruttivo è uno specchio che esalta le qualità del luogo, lo fa risuonare dentro di noi, genera risonanza. La ricerca di una “armonica connessione” col luogo è agita anche nel dialogo tra materia e luce, nella sua duplice connotazione di elemento naturale ed artificiale. Nel progetto di CCC_Wall la luce 'dialoga' con l’opera producendo un sistema di ombre dinamiche che amplificano i “virtuosismi costruttivi” che estremizzano la presenza del materiale ceramico. In quest’opera la ceramica raggiunge un sorprendente livello d’intensità espressiva, un risultato reso ancora più inaspettato dal ricorso ad elementi ceramici standard: lastre di gres porcellanato di 1200x600x14 mm. L’innovazione non è nel materiale o nei suoi consolidati livelli prestazionali, ma nella 'inusuale' logica d’impiego. Kuma re-inventa il materiale, gli dona una nuova vita, lo libera dalla “schiavitù” di rivestimento superficie, di ultimo strato in forma di pelle. Le lastre di gres porcellanato, l’una mutuamente sostenuta dall’altra, si mostrano in tutta la loro essenziale bellezza. Un ordine intellegibile, una geometria rigorosa che rende evidente il principio strutturale, che resta tuttavia inafferrabile nei suoi meccanismi intrinseci. Le parti ed il tutto dialogano in maniera serrata, hanno senso solo nella relazione reciproca. Quest’opera è stata una lunga sfida, una sfida complessa che premia gli sforzi e le molte energie profuse. Percorrere territori noti, consueti, rassicuranti, sarebbe stato comodo ma meno entusiasmante. Casalgrande ha accolto la sfida. Una sfida che ha visto l’Università assumere il ruolo di cerniera e di interprete tra progetto e produzione, libera dal retaggio di chi la vuole, pretestuosamente, rivolta solo verso ricerche autoreferenziali che raramente si confrontano con la concretezza del fare. Quest’opera è, invece, la dimostrazione vivida dell’efficacia di un ‘diverso’ modello operativo. Un modello che sul piano

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una “lama” che fende il paesaggio. Kuma dà forma ad una ingannevole contraddizione strutturale: nel punto di massima densità azzera la sezione resistente del reticolo strutturale. Una ‘debolezza’ risolta con sei costole di acciaio inox spesse 2 cm. Le costole di acciaio, dello stesso colore delle lastre ceramiche, non sono delle ‘protesi’, quanto piuttosto un’evoluzione del sistema: tra le lastre di ceramica e le lastre di inox vige una relazione di reciprocità non solo strutturale ma anche semantica, sono omologhe. La lastra è l’elemento generatore di una ‘macchina dalle infinite pieghe’. Kuma avvolge e riavvolge, segue due direzioni: i ripiegamenti della materia - che forniscono al sistema rigidezza ‘per forma’ – e le pieghe dell’anima6. Si tratta di un ‘meccanismo compositivo’ che Kuma recupera dall’architettura barocca, dalla mirabile lettura proposta da Gille Deleuze 7 . In CCCloud le pieghe si susseguono e noi, con lo sguardo, le spieghiamo, distendiamo, allarghiamo, le dilatiamo progressivamente fino a comprenderne il significato, non solo quello oggettivo che regola il funzionamento del sistema. Le pieghe della materia ceramica ci rivelano anche una geografica arcaica: la ceramica è materiale primordiale, impasto archetipico di aria, terra, acqua e fuoco. Ripiegando la materia Kuma configura finestre, finestre aperte sul paesaggio, finestre che inquadrano porzioni di cielo, finestre che mettono in comunicazione quello che è di qua con quello che è oltre. La bianca materia ceramica travalica lo spazio fisico, sfonda in quello del sogno, “assorbe i colori dell’intorno”8. CCCloud come uno specchio ci mostra una realtà dai confini indefiniti, fluttuanti. Non a caso lo specchio d’acqua alla base di CCCloud è a + 0.80 m rispetto alla quota stradale, la stessa altezza degli occhi di chi viaggia seduto dentro un veicolo mentre percorre la statale. A quella quota CCCloud offre un’immagine doppia, l’unità fisica del monumento e la sua immagine riflessa formano una diade. Liscio, luminoso, cangiante, quello che è in alto, vibrante, ombroso quello che è in basso. L’unità fisica del muro offre una molteplicità di manifestazioni sensibili, ciascuna delle quali rivela un ordine nascosto, l’armonia di un mondo magico non dominato dal caos primordiale ma da rapporti armonici, da leggi della fisica. L’effetto è spiazzante. La visione di parti, elementi, giunti si sovrappone ad una alterità di ombre e riflessi in una dimensione onirica. Natura e artificio, sostanza e assenza coesistono. La connessione tra la dimensione razionale, intellettiva e quella del sogno rivela un senso trascendente, apre una finestra sul mondo dell’immaginale: l’atto tecnico ci rivela ‘l’intimo segreto della materia’ perché la materia possiede un pensiero, una sua rêverie9. L’illuminazione, nella sua declinazione di luce naturale ed artificiale esalta i ‘virtuosismi’ costruttivi del materiale ceramico. La materia ceramica si mostra non ‘definitiva’, cangiante, mutevole nell’arco della giornata. Le ombre, di giorno, dinamizzano il rigore geometrico degli elementi di CCCloud, che di notte come un faro si espande nell’intorno. Il sistema di illuminazione a led è stato posizionato appena sotto la superficie10. La luce proveniente dalla base, come in un complesso sistema di specchi, si riflette sulla superficie delle lastre, che agiscono come moltiplicatori d’intensità. Una intensità morbida, omogenea, avvolge il monumento rendendolo meno spigoloso. Il riverbero dalla luce si estende verso il giardino di ghiaia, dove un secondo sistema di

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Fasi costruttive della CCCloud di Kengo Kuma. (ph. marco introini)

illuminazione, a scomparsa, proietta una ‘lama’ di luce. CCCloud adotta un sistema reticolare spaziale caratterizzata da un solo asse di simmetria. Il muro è lungo 45,510 m; alto 5,90 m, con una sezione di larghezza variabile che in corrispondenza dell’asse di simmetria misura 1,699 m. In pianta ha uno sviluppo a gradoni sul lato sud-est, mentre quello nord-ovest offre un andamento lineare. Questa duplicità determina anche una diversa ‘reazione’ alla luce, con un sistema di ombre diversificato. Il piano d’imposta del muro è a quota + 0,80 m rispetto alla strada, per questa ragione l’altezza totale è 6,70 m, dimensione che accentua la snellezza della sagoma. Il sistema è costituito da pannelli monomaterici di gres porcellanato spessi 28 mm, ottenuti accoppiando lastre di 14 mm di spessore. Le lastre, del tipo tasso-polished, sono prodotte da Casalgrande Padana, misurano 1200x600x14 mm e sono state incollate sottovuoto con colla poliuretanica bicomponente del tipo UPX ad alta resistenza, impermeabile all’acqua, ad elevata plasticità. Il ricorso ad una colla con elevato grado di plasticità discende anche da necessità precauzionali contro la caduta di frammenti di lastra conseguenti a infrangimento accidentale delle stesse. Gli elementi ceramici dopo l’incollaggio sono stati sottoposti a rettifica dei bordi per ri-configurarli secondo le nove famiglie dimensionali utilizzate. Questa procedura oltre a garantire la perfetta corrispondenza sul piano dimensionale delle singole lastre consentiva anche una finitura a ‘taglio vivo’ dei bordi delle stesse, soluzione funzionale alla ‘linea’ d’ombra che ciascuna lastra proietta. La calibrazione dimensionale delle lastre risponde anche ad una necessità strettamente costruttiva. Errori, pur di qualche millimetro, estesi e distribuiti su un numero cospicuo di elementi avrebbe potuto determinare errori significativi nello sviluppo generale dell’opera con la conseguente

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ripercussione negativa sul comportamento strutturale. Un sistema – quello strutturale - che nella sua concezione si presenta come un ‘sistema chiuso’, un meccano le cui parti possono dar luogo ad una sola possibile configurazione. Gli allineamenti, le corrispondenze, la perfetta verticalità tra gli elementi ceramici costituiva quindi una priorità assoluta. Tutta l’organizzazione del cantiere e le modalità con le quali sono state prefigurate le diverse fasi costruttive sono discese da tale necessità. Disassamenti degli elementi oltre che avere una incidenza negativa sul piano figurativo avrebbero potuto infatti comportare delle pericolose eccentricità. Data la snellezza del sistema (elevata altezza in rapporto all’impronta in pianta) le instabilità locali costituivano elementi da non sottovalutare. I pannelli ceramici prodotti da Casalgrande Padana sono 626, hanno un peso unitario di circa 41 kg e sono distribuiti su 9 tipologie: 6 del tipo A (pannello a lastra singola), 3 del tipo B (pannello a lastra doppia). Analiticamente l’abaco delle lastre e composto da: n°60 pannelli a lastra singola di dim. 750x600x28 tipologia A1; n°12 pannelli a lastra singola di dim. 959,70x600x28 tipologia A2; n°12 pannelli a lastra singola di dim. 988,60x600x28 tipologia A3; n°12 pannelli a lastra singola di dim. 1041,4x600x28 tipologia A4; n°4 pannelli a lastra singola di dim. 1110,1x600x28 tipologia A5; n°150 pannelli a lastra singola di dim. 1200x600x28 tipologia A6; n°100 pannelli a lastra doppia di dim. 750x600x28 tipologia B1; n°8 pannelli a lastra doppia di dim. 1200x600x28 tipologia B2; n°30 pannelli a lastra doppia di dim. 750x600x28 tipologia B3. Il pannello ottenuto dall’incollaggio delle lastre dopo il taglio di rettifica dei bordi è sottoposto a fresature con macchine a controllo numerico, allo scopo di ricavare sui bordi dei lati corti quattro ‘tasche’, due per lato. La continuità tra gli elementi ceramici è garantita orizzontalmente da quattro “alette” di acciaio inox di dimensioni 100x100x3 mm, inghisate nei pannelli di ceramica11. In verticale la continuità tra le lastre è garantita da barre di acciaio inox ? 16, che attraversano un profilo di acciaio a sezione quadra cava (di dimensioni 30x30x580 mm) ottenuto da un elemento monolitico di acciaio mediante fresatura meccanica e successiva saldatura delle quattro alette di acciaio inox che si innestano nelle lastre ceramiche 12. I profili sono poi completati da zincatura a caldo e verniciatura a polvere di poliestere di colore analogo a quello delle lastre di gres. I connettori prodotti sono 526, 9 le tipologie (3 per le connessioni delle prime 8 file di lastre) 6 per la nona fila, quella di coronamento. I profili dell’ultima fila sono, infatti, più corti di 5 cm rispetto agli altri, al fine di poter inserire il doppio bullone di serraggio delle barre filettate che attraversano per tutta la lunghezza la struttura. I pannelli ceramici della tipologia B sono caratterizzati, invece, dall’impiego di un diverso connettore di acciaio (una variante di quello utilizzato per gli altri pannelli) ottenuto con due elementi accoppiati di dimensioni 30x30x285 mm, al fine di agevolare l’assemblaggio delle lastre in opera. Senza questo piccolo accorgimento sarebbe stato

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impossibile operare il progressivo montaggio dei pannelli ceramici “ad infilo”. Le operazioni di assemblaggio degli elementi ceramici si sono sviluppate dal basso verso l’alto stabilizzando progressivamente l’opera secondo una sequenza ritmica tripartita (A,B,C) che si ripete 3 volte. Complessivamente abbiamo nove file di lastre disposte su tre ordini: la prima è a quota + 0,50 m rispetto al livello della strada. Le lastre, corredate dei profili di acciaio inox sui due lati corti, precedentemente preassemblate, sono state sollevate con l’ausilio di una piccola gru e di un supporto rigido e fatte scorrere poi lungo le barre di acciaio inox che attraversano i profili di acciaio posti ai lati delle singole lastre. Ogni lastra è stata poi stabilizzata mediante bullone di serraggio. Questa sequenza ha consentito di stabilizzare il muro nel suo progressivo sviluppo verticale mediante post- compressione delle lastre ceramiche. Strutturalmente il muro si comporta come una trave reticolare spaziale formata da elementi ceramici post-compressi. In verticale la continuità tra le barre di acciaio è ottenuta mediante ‘manicotti’ filettati ad innesto, maschio-femmina, che si compenetrano per 100 mm. La parcellizzazione delle barre longitudinali in quattro tronconi, due barre longitudinali da 1,70 e due barre longitudinali da 1,30 m di lunghezza che si alternano fino al coronamento del muro, è stata necessaria per agevolare le operazioni di montaggio in cantiere. In considerazione del cospicuo flusso veicolare che attraversa la strada provinciale, traffico caratterizzato da automezzi di grandi dimensioni che producono uno ‘sciame’ di vibrazioni, le fondazioni di cemento armato sono state isolate mediante smorzatori (isolatori sismici) che limitando le accelerazioni trasmesse alla struttura riducono le forze inerziali trasferite alla struttura grazie al comportamento “isteretico” del materiale elastomerico. Per assolvere a tale funzione sono stati interposti tra la fondazione e la sovrastruttura pannelli di materiale sintetico (isolatori elastomerici armati), realizzando quello che comunemente viene definito “isolamento della base”. La trave di c.c.a. di fondazione (alta 1,00 m, larga 3,00 m, lunga 46,0 m) è stata realizzata con una sequenza di strati: 100 mm di magrone in c.c.a. del tipo Rbk 250; un materassino di 20 mm del tipo MEGMNAT ME 20/500; 100 mm di magrone in c.c.a. del tipo Rbk 250; 800 mm di c.c.a. realizzato in due fasi con getti di 400 mm. Messo in opera lo strato di magrone con interposto materassino isolante sono state posizionate le armature della trave di fondazione e un sistema di “puntelli”, a sezione circolare cava e di altezza regolabile, al di sopra dei quali e stata ancorata una struttura di acciaio formata da travi longitudinali del tipo HEA100, rese solidali ai puntoni mediante piastra di acciaio 200x200x6. Sopra le travi longitudinali è stato fissato un reticolo formato da profili di acciaio UPN 140, ai quali vanno ad ancorarsi le barre longitudinali di acciaio filettato della struttura di elevazione. Data la complessa geometria degli elementi ceramici, al fine di un loro corretto posizionamento in corrispondenza dell’ancoraggio alle fondazioni in c.c.a. è stata utilizzata una struttura prefabbricata a piè d’opera, in acciaio, con gli elementi di ancoraggio della ‘prima’ fila di

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lastre di gres. Una soluzione determinata dalla necessità di evitare qualsiasi possibile errore di posizionamento del ‘primo ordine di lastre’, inglobato per metà nella trave di fondazione. Posizionate le piastre prefabbricate di ancoraggio si è proceduto alla realizzazione del primo getto della trave di fondazione per una altezza di 400 mm. E, dopo aver montato la prima fila di piastrelle, ancorate ai profili di acciaio UPN, gli stessi cui si ancorano anche le barre longitudinali, è stato effettuato il secondo getto di calcestruzzo (del tipo RbK 250) a completamento della fondazione, per altri 400 mm di altezza. Con questa soluzione la prima barra di acciaio di ancoraggio delle lastre di gres è stata inghisata nella struttura di calcestruzzo della fondazione contribuendo così ad aumentarne il grado di vincolo alla stessa 13. La vasca di acqua posta alla base di CCCloud ha una superficie di circa 820 mq. La profondità massima dell’acqua, in corrispondenza della base del monumento, è di 30 cm e l’impianto di riciclo dell’acqua è “a sfioro”. Il giardino di pietre, circa 100 mc di ghiaia, con un altezza variabile tra i + 0.30 m e + 0.80 m è stato posizionato su un telo antivegetale. Lo strato di ghiaia utilizzato per configurare il landscape costituisce una ottimo sistema di drenaggio delle acque meteoriche, che vengono disperse per percolamento. Il giardino costituisce una evidente citazione degli antichi e tradizionali giardini Zen. Kuma ama infatti ripetere: «Per i monaci zen l’armonia del mondo che non lo si può raccontare con parole la si può cogliere osservando la perfezione di un giardino, il perfetto equilibrio tra gli elementi che lo compongono».14 Un equilibrio testimoniato in questo caso anche da una geometria rigorosa, essenziale, una complessità risolta anche nelle modalità di gestione del cantiere: un ‘sistema chiuso’ in cui le parti consentono un avanzamento progressivo delle operazioni di assemblaggio secondo una sequenza rigidamente preordinata e soggetta a verifica continua. Anche questa forma di autocontrollo endogeno oltre ad essere un meccanismo per escludere possibili errori in cantiere rientra in quella forma di astrazione del materiale con la quale Kuma percorre incessantemente la via dell’immaterialità. Una visione fenomenologica della materia, una poetica dello spazio che nasce da principi generativi: materia, luce, geometria. Ancora una volta, come i “tagli” di Lucio Fontana, la maternità di quest’opera evidenzia l’essenzialità del procedimento, la sua origine concettuale, consegnando alla luce rivelatrice il compito di mostrarcene la vera natura. Luigi Alini

Note 1 Mi riferisco non solo alle condizioni materiali del luogo. L’ambiente al quale mi riferisco non è solo quello fisico, quello tangibile che si rivela ai nostri sensi. L’ambiente è «tutto ciò che è intorno, (…) il complesso delle condizioni materiali e culturali del vivere. Nel mondo antico questo ‘intorno’ era ampio e la sua essenza proveniva da un altrove, una regione intermedia, senza un luogo, un dove, senza un confine, e induceva a viaggi, inviava messaggi, presentimenti, determinava iniziazioni e comportamenti» (Carlo Truppi, James Hillman. L’anima dei Luoghi, conversazione con Carlo Truppi, Rizzoli, Milano, 2004, p.107). 2 Dichiarazione resami da Kengo Kuma durante una conversazione a Casalgrande il 24.01.2009. Si tratta di un

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meccanismo compositivo che costituisce una costante del lavoro di Kuma. L’architettura non come oggetto ma anti-oggetto, strumento col quale agire sulle qualità intrinseche del luogo per rivelarne la sua natura, la sua essenza. Due delle opere più note dello stesso Kuma sono l’esplicitazione più alta di questo principio, mi riferisco in particolare al Kiro-san Observatory di Ehime e alla Water/Glass di Shizuoka. Cfr. Kengo Kuma, La relatività dei materiali , in Luigi Alini, “Kengo Kuma. Opere e progetti”, Electa, Milano, 2005 II Ed. e Kengo Kuma, Anti-object, Architectural Association London, London, 2008. 3 Klee amava ripetere «ciò che vediamo è una proposta, una possibilità, (…). La verità giace (…) nel fondo invisibile» (Dario del 1917). 4 Giulio Carlo Argan, L’arte moderna, 1770/1970, Sansoni, Firenze, 1985, p.724 5Architettura Kengo Kuma & Associates: Kengo Kuma (principal charge) ; Javier Villar Rujz; Ryuya Umezawa Project Manager Mauro Filippini, Casalgrande Padana S.p.a. Controllo Costi Mauro Filippini, Casalgrande Padana S.p.a. Ingegneria Ejiri Structural Engineers (Tokyo) Norihiro Ejiri and Pieter Ochelen, Client Consultant Architettura Prof. arch. Alfonso Acocella, Università degli Studi di Ferrara; Prof. arch. Luigi Alini, Università degli Studi di Catania Urban Planing Arch. Angelo Silingardi (CCdP) Strutture Ing. Enrico Rombi (CCdP); Ing.Alberto Zen (CCdP); Impianti Arch. Cesare Brizzi e Ing. Luigi Massa, Casalgrande Padana S.p.a. Illuminazione Mario Nanni (principal charge), Federica Soprani Comunicazione Nadia Giullari, Elisa Grisendi, Veronica Dal Buono 6 Sulle connessioni tra anima e luogo si rimanda a James Hillman e Carlo Truppi, Op. Cit., Rizzoli, Milano, 2004. 7La piega. Laibniz è il barocco, Einaudi, Torino, 2004. 8 Dichiarazione resami da Kuma durante una riunione di lavoro a Casalgrande. 9 Cfr. Gaston Bachelard, Il diritto di sognare, Dedalo, Roma, 1975 e Valeria Chiore, Il poeta, l’alchimista. il demone. La dottrina Tetravalente dei Temperamenti Poetici di Gaston Bachelard, Il Melangolo, Genova, 2004. 10 Il ‘progetto luci’ è stato sviluppato da Mario Nanni di Viabbizzuno, che ha fornito anche i corpi illuminanti. 11 Il taglio delle ‘alette’ è stato realizzato con tecnologia laser. Le alette sono forate allo scopo di aumentare il grado di adesione alle lastre di gres per il tramite della colla epossidica. 12 Le saldatura delle alette al profilo quadro sono state verificate mediante radiografia ed ultrasuoni allo scopo di verificare la bontà delle stesse, in corrispondenza di tali nodi si concentrano infatti le maggiori sollecitazioni che le lastre di gres devono trasferire alla struttura di acciaio. 13 Il grado di vincolo al piede è assimilabile ad un incastro imperfetto 14 Dichiarazione resami a Casalgrande il 2 ottobre 2010.

1 - 8 CCCloud di Kengo Kuma a Casalgrande. (ph. marco introini)

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1 - 6 Fasi costruttive della CCCloud di Kengo Kuma. (ph. marco introini) 7 Il montaggio delle lastre. (ph. marco introini) 8 Il montaggio delle lastre. (ph. marco introini)

1 - 6 Il montaggio delle lastre. (ph. marco introini)

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 119-121 - Veronica Dal Buono edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it1

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Intervista a Kengo Kuma su CCCloud. Della collaborazione fra azienda, interpreti del design discourse, Istituzioni

Siamo da qualche decennio, oramai, immersi in un'epoca di cambiamenti veloci e profondi. Sempre più le aziende industriali per restare competitive sono chiamate ad essere flessibili, a modificarsi, ad evolversi con ritmi che non hanno precedenti nella storia economica moderna. Si è di fronte ad un processo che impone azioni di rinnovamento accettando di rimettersi continuamente in gioco, ripensando ed evolvendo il management e il proprio rapporto con il contesto interno ed esterno d'impresa. La stessa creatività, quale attitudine individuale e visionaria, sembra oramai uscire dai confini ristretti e specifici delle professioni liberali per invadere ed espandersi - come un fluido in movimento - entro le mura delle organizzazioni di produzione, per diventare parte integrante delle stesse strategie di business dei marchi industriali. Il ripensamento del modo di fare impresa - non orientato più unicamente alla produzione serializzata e stabilizzata - attinge sempre più all'immaterialità, alle sorgenti del design discourse, ai suoi interpreti e mediatori. A imporre questa metamorfosi d'impresa è l'orizzonte contemporaneo materiale ed immateriale ad un tempo - sempre più caratterizzato da linguaggi fortemente mutanti ed espressivi degli oggetti, delle architetture, degli spazi e delle esperienze di vita. Il processo creativo e realizzativo di CCCloud - promossa da Casalgrande Padana con grande equilibrio fra obiettivi di affermazione di marca e istanze sociali verso il territorio, la società civile e le istituzioni coinvolte - sembra poter essere indicato come valido esempio del nuovo modello manageriale che punta al miglioramento del valore del marchio all'interno della competitività globale attraverso un collegamento e una collaborazione intercreativa fra azienda, interpreti del design discourse, istituzioni. Casalgrande Padana, Kengo Kuma, il team degli strutturisti, Mario Nanni e Viabizzuno, le Università di Ferrara e di Catania sono i protagonisti di un team interdisciplinare che grazie alla sensibilità e alla visionarietà di Kengo Kuma ha dischiuso la ceramica verso una affascinante, eterea e fluttuante esistenza.

Veronica Dal Buono

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Guarda il video CCCloud Vai a CCCloud. Casalgrande Ceramic Cloud (21 settembre) Vai a CCCloud. Casalgrande Ceramic Cloud (29 ottobre) Vai a Casalgrande Padana

Traduzione intervista:111

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«Sono molto soddisfatto dei risultati realizzativi del progetto; in particolare, ancora una volta, ho potuto ammirare le qualità dell’artigianato e della tecnologia italiani. Il sistema di questa struttura è unico e ha rappresentato una grande sfida, tuttavia la realizzazione è stata molto sofisticata e delicata. Credo che in Italia l’artigianato sia una parte fondamentale della cultura e lo stesso vale per il Giappone. Anche nel mio paese l’artigianato è un fondamento della società e della sua cultura. Il concetto di “monumento” classico è statico e sempre molto coerente in sé. Casalgrande Ceramic Cloud è certamente un’altra cosa rispetto all’idea di monumento. CCCloud si offre a seconda della situazione in modo diverso; dipende dal movimento della luce, dal movimento del sole, ed è come una nuvola in cielo; le nuvole in cielo si muovono costantemente, mostrano il lato dinamico della natura: ho voluto che Ceramic Cloud apparisse proprio come una nuvola artificiale. Quando ho incontrato il committente, Casalgrande Padana, sono rimasto veramente colpito dal loro amore per la produzione artigiana e al tempo stesso per la tecnologia all’avanguardia che adottano. Devo riconoscere l’aiuto ricevuto da Luigi Alini dell’Università di Catania e Alfonso Acocella dell’Università di Ferrara, che hanno dato un prezioso contributo alla definizione della cultura produttiva italiana e all’analisi della relazione tra la storia e la tecnologia moderna: da loro ho appreso moltissimo. La struttura leggerissima di CCCloud ha rappresentato la difficoltà realizzativa maggiore di tutto il progetto, perché solitamente la piastrella ceramica viene utilizzata per rivestire il cemento, un materiale molto pesante. Io volevo evitare la pesantezza del cemento per creare una struttura leggera e più flessibile possibile. L’Ingegner Ejigiri, a capo del progetto di ingegneria strutturale, ed io abbiamo lavorato insieme per creare questa leggerezza attraverso i materiali ceramici. La sfida più difficile per gli ingegneri e gli architetti è probabilmente quella di creare con le piastrelle ceramiche una vera e propria “struttura”.»

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 122-124 - Valeria Zacchei edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

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Smart Materials in Architecture, Interior Architecture and Design

Smart Materials in Architecture, Interior Architecture and Design RITTER Axel Birkhäuser, 2007, 191 p. ISBN: 978-3-7643-7327-6

Per guidarci nel panorama eterogeneo dei materiali intelligenti offre un buon aiuto il libro “smart materials”, che accompagna il lettore partendo da informazioni di base e procedendo man mano a livelli maggiori di complessità, legati agli aspetti multidisciplinari in gioco. L’impiego degli smart materials in Architettura è un tema dinamico e innovativo in cui si fondono ricerca, sperimentazione e uso: gli smart materials, con le loro caratteristiche di reversibilità, rispondono a stimoli quali la luce, la temperatura e il campo elettrico, cambiando forma, colore, viscosità e così via. Questi materiali rendono infatti possibile la realizzazione di elementi cinetici, o reattivi, come ad esempio carte da parati che cambiano colori e decorazioni a seconda della luce o della temperatura a cui sono esposte. Il testo presenta lo sviluppo di questi materiali e ne descrive anche l’impiego in architettura, nel design e nelle arti.

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L’opera dichiara apertamente tre obiettivi. Il primo è quello di fornire alcune informazioni di base sui materiali intelligenti, per far conoscere agli architetti e ai designer le caratteristiche fondamentali, le proprietà, i comportamenti e gli usi dei materiali intelligenti. In particolare, è importante sviluppare un vocabolario e un linguaggio descrittivo che consentano all’architetto di accostarsi al mondo degli scienziati dei materiali e degli ingegneri. Il secondo obiettivo è l'organizzazione di questi nuovi materiali e tecnologie secondo comportamenti o azioni e non semplicemente come prodotti. I materiali intelligenti vengono quindi descritti in relazione alle interazioni a cui sono sensibili: invece di classificare i materiali per la loro applicazione o per l'aspetto, essi verranno poi distinti in relazione al loro comportamento e allo stimolo energetico a cui rispondono. Il terzo obiettivo è infine lo sviluppo di un approccio metodologico per l'utilizzo di questi materiali e tecnologie. Con il procedere del testo, si affrontano sistemi e scenari, per dimostrare come le proprietà, i comportamenti, i materiali e le tecnologie possano essere combinati per creare nuove risposte. Nelle intenzioni dell’autore, procedendo lungo questi tre obiettivi il progettista sarà in grado di assumere un atteggiamento più attivo nel determinare i tipi di materiali e sistemi che dovrebbero essere sviluppati e applicati. Per tenere insieme questi obiettivi, l’organizzazione globale del testo segue un approccio graduale: innanzitutto vengono stabilite le categorie di comportamento del materiale e poi si affronta l’argomento progressivamente più complesso del componente e infine quello del sistema. La struttura del testo è articolata in tre parti principali: I) Tendenze e sviluppi II) Materiali e prodotti innovativi III) Gli smart materials Nella prima parte (trend and developments), l’autore introduce l’argomento, spaziando anche in settori che esulano dall’architettura. Il Capitolo 2 serve come introduzione agli argomenti legati alle proprietà dei materiali e ai loro comportamenti; Nella seconda parte si fa una panoramica degli attuali sviluppi nella ricerca sui materiali e sullo sviluppo di prodotti. nel capitolo 3 viene presentato lo schema attraverso il quale classificare materiali intelligenti. In questa fase si fa una chiara distinzione tra altri materiali non- o semismart e si introducono concetti specifici: si stabilisce una relazione di base tra le proprietà dei materiali, gli stati del materiale e l’energia che possiamo utilizzare per descrivere l’interazione di tutti i materiali con gli ambienti - termico, luminoso ed acustico - che circondano il corpo umano. La terza parte è invece la parte principale del libro e offre una panoramica sistematica degli smart materials ritenuti più promettenti. Si presentano venti gruppi di smart materials, suddivisi a seconda del comportamento, per i quali vengono approfondite le caratteristiche legate alle proprietà, alle tecnologie, ai prodotti disponibili, e infine ai progetti in cui vengono impiegati.

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Il nucleo concettuale centrale dell’opera si fonda sull’organizzazione degli smart materials sulla base della relazione che esiste tra le proprietà dei materiali, gli stati del materiale e l’energia che possiamo utilizzare per descrivere l’interazione dei materiali con l’ambiente. Questa relazione di base costituisce un concetto che consente di comprendere i meccanismi fondamentali dell’ 'intelligenza' dei materiali, fondamentale non solo per definirne le categorie, ma anche per ragionare di potenziali combinazioni e applicazioni. In breve, le proprietà di un materiale possono essere intrinseche o estrinseche. Le proprietà intrinseche dipendono dalla struttura interna e dalla composizione del materiale. Molte proprietà (chimiche, meccaniche, elettriche, magnetiche e termiche) di un materiale sono di solito intrinseche. Le proprietà estrinseche dipendono invece da altri fattori (il colore di un materiale, ad esempio, dipende dalla natura della luce esterna incidente e dalla microstruttura del materiale esposto alla stessa luce). L’intelligenza in un materiale o sistema è determinata dalla relazione tra proprietà, stato ed energia applicata direttamente ad un singolo materiale, e concettualmente a un sistema composto. Se tale relazione influenza l'energia interna del materiale alterandone sia la struttura molecolare che la microstruttura allora l’input avrà l’effetto di un cambiamento delle proprietà del materiale. Se il meccanismo modifica lo stato energetico del materiale, ma non altera il materiale in sé, allora le reazioni all’input consistono in uno scambio di energia da una forma all'altra. Un modo semplice distinguere i due meccanismi è che per il tipo di cambiamento di proprietà (Di seguito definita come di tipo I), il materiale assorbe l'energia in ingresso e subisce un cambiamento, mentre per l'energia tipo di cambio (tipo II), il materiale rimane lo stesso ma l'energia subisce un cambiamento. L’autore, che si occupa da anni dello sviluppo e dell’impiego di smart materials, affronta in modo chiaro e comprensibile i concetti-base della composizione dei materiali e del loro comportamento energetico, e l’opera può fornire agli architetti e ai designer un valido strumento per sviluppare le competenze minime necessarie ad innovare il modo di pensare il materiale e il suo rapporto con la tecnologia. Certo, una delle caratteristiche proprie dei materiali intelligenti è che sono continuamente aggiornati o sostituiti; tuttavia, se vengono comprese le classi di comportamenti in relazione alle proprietà e ai campi di energia, si potranno applicare tali conoscenze ad ogni nuovo materiale futuro. Valeria Zacchei

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 125-129 - Paola Boarin, Valentina Modugno edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

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ARCHITETTURA>ENERGIA>LATERIZIO. Architettura, efficienza energetica e prestazioni del laterizio

Sull'onda del crescente interesse e della rinnovata sensibilità che l’Italia sta manifestando per l’efficienza energetica, sempre più aperta a nuovi scenari e orientata verso il soddisfacimento di specifiche esigenze, ha preso il via il 17 settembre u.s., presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Ferrara, il Corso di formazione e aggiornamento per progettisti e certificatori energetici dal titolo " ARCHITETTURA>ENERGIA>LATERIZIO Architettura, efficienza energetica e prestazioni del laterizio ". Il Corso è ideato, promosso e svolto dalla Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Ferrara (Centri di Ricerca Material Design, diretto da Alfonso Acocella, e Architettura>Energia, diretto da Andrea Rinaldi) in partnership con SITdA (Società Italiana della Tecnologia dell’Architettura), con il sostegno di ANDIL (Associazione Nazionale Degli Industriali dei Laterizi) e la collaborazione della rivista di architettura e tecnologia Costruire in Laterizio edita da Il Sole 24 ORE Business Media. Il percorso formativo fornisce una risposta pragmatica e operativamente aggiornata all’approfondimento del rapporto esistente tra architettura e problematiche energetiche, con particolare attenzione alle implicazioni geolocalizzative degli edifici nelle diverse fasce climatiche,

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principalmente connesse all’ambito mediterraneo, in cui le tecnologie del laterizio ricoprono un ruolo strategico in relazione al problema del controllo del comportamento estivo e si pongono in modo dialettico con la tradizione costruttiva del nostro Paese, anche nelle espressioni architettoniche contemporanee. Il contenuto didattico si concentra principalmente sulle seguenti tematiche: progettazione dell’architettura ad alta efficienza energetica; progetto tecnologico, costruttivo e strutturale dell’architettura in laterizio; progettazione energetica dell’edificio in regime estivo e invernale; inquadramento normativo, procedure tecnico-amministrative per la realizzazione degli interventi e ruolo del soggetto certificatore; approfondimento dei criteri e dei metodi per il calcolo della prestazione energetica; valutazione della prestazione energetica degli edifici esistenti; approfondimento dell’analisi costi-benefici e valutazioni economiche degli investimenti nel settore dell’efficienza energetica. Tutte le lezioni sono tenute da docenti e tecnici afferenti ai centri di Ricerca del Dipartimento di Architettura di Ferrara, oltre che da docenti esterni di comprovata esperienza. Al fine di acquisire una conoscenza critica in linea con le attuali prescrizioni normative, i partecipanti hanno preso parte a due visite esterne di studio (rispettivamente all’industria di laterizi innovativi GRAL di Alfonsine – RA, al cantiere del quartiere di edilizia sociale Casanova – BZ, in classe energetica CasaClima A, al quartiere Firmian – BZ, in classe energetica CasaClima B, e alla cantina ipogea della Tenuta Manincor di Caldaro – BZ), complementari alle attività corsuali in aula e finalizzate all’approfondimento delle tecnologie in laterizio e del loro rapporto con le costruzioni ad elevata efficienza energetica. Il corso terminerà il prossimo 7 dicembre con l'espletamento della verifica finale di apprendimento necessaria al conseguimento del titolo di “ Certificatore Energetico per la Regione Emilia Romagna ” secondo l’Atto Deliberativo della Giunta della Regione Emilia Romagna n.1754 del 28/10/2008. La complessità delle professionalità e delle competenze acquisite, inoltre, permetterà ulteriori sbocchi professionali in qualità di “ Esperto di progettazione sostenibile e Tecnico consulente energetico”.

Paola Boarin e Valentina Modugno

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Il Comitato Scientifico Prof. Alfonso Acocella Prof. Andrea Rinaldi Prof. Pietromaria Davoli Prof. Giacomo Bizzarri

Info Web: www.unife.it/centro/architetturaenergia Tel./fax: 0532.293631 E-mail: ae@unife.it

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MD Material Design Post-it journal ISSN 2239-6063 Volume I (2010), 128-130 - Valeria Zacchei edited by Alfonso Acocella, redazione materialdesign@unife.it

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La ricerca per il settore lapideo e le sue sinergie con altri settori di R&D

Risale al 2006 la definizione delle linee strategiche di ricerca (Strategic Research Agenda) formulate dal settore delle Costruzioni, organizzato nella ECTP (European Construction Technology Platform), coinvolgendo in prima persona ed in modo diretto il mondo imprenditoriale e della ricerca nel tentativo di innescare dinamiche di tipo bottom up come strategia di innovazione. “La Strategic Research agenda presentata da ECTP a Parigi disegna uno scenario in cui l’evoluzione del settore delle costruzioni europeo è strettamente dipendente dalla capacità di migliorare il soddisfacimento delle esigenze dei clienti finali, di elevare decisamente il livello di sostenibilità, di aumentare la quantità di conoscenza incorporata in prodotti e processi, e di attuare azioni concrete per realizzare queste trasformazioni, rendendo disponibili i materiali, i servizi e le tecnologie necessari”.1 Per quanto riguarda lo sviluppo di materiali avanzati per il settore delle costruzioni, la prospettiva dell’innovazione nella filiera delle industrie dei materiali da costruzione è stata sinteticamente descritta con il motto più conoscenza, meno materiale: consapevoli della forte competitività dei mercati stranieri, e allo stesso tempo consapevoli del potenziale

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sviluppato dalle ricerche di istituti ed università, gli operatori coinvolti hanno riconosciuto da tempo il ruolo strategico della ricerca, in grado di offrire prodotti ad alto contenuto tecnologico. Nuove opportunità di cambiamento sono offerte dall’evoluzione rapida e costante di molti settori industriali, e ciò impone anche al settore delle costruzioni, e in particolare al comparto lapideo l’impegno di integrare i più recenti progressi tecnologici. Questa pressione può essere occasione di trasformare il settore in un’ industria fortemente basata sulla conoscenza, attraverso un maggior utilizzo di tecnologie di informazione e comunicazione a tutti i livelli, e anche, per quanto riguarda il caso specifico dei materiali, l’introduzione di nano e bio-tecnologie , per sviluppare nuovi materiali multifunzionali avanzati e per ri-ingegnerizzare i corrispondenti elementi edilizi. All’interno di questo scenario, il settore delle costruzioni si sta adattando, seppure con i tempi lunghi che lo caratterizzano, alla sfida di istanze e stimoli provenienti da alcuni settori particolarmente attivi e consolidati. Le ricerche più avanzate, dunque, vivono di relazioni, di scambi tra competenze diverse, di circolazione di informazione ed idee, e soprattutto, vivono dello sforzo congiunto di più istituti coordinati in rete. I materiali per la costruzione sono abitualmente considerati come risposte a funzionalità tradizionali, tuttavia la ricerca, a monte del processo produttivo, può offrire la risposta a nuove funzionalità con i suoi approcci diversi ed integrati (come le nanotecnologie, le tecnologie sensoristiche, ICT). La pietra naturale possiede già la capacità di essere impiegata ed esposta agli agenti ambientali senza particolari modifiche della sua superficie, grazie alle sue caratteristiche intrinseche di inerzia agli agenti aggressivi (chimici, fisici, biologici), durezza, lavorabilità superficiale. Tuttavia, è indubbio che i trattamenti superficiali protettivi presentino un contributo decisivo sia al risanamento strutturale che all’abbellimento estetico del materiale. Gli strati funzionalizzati, nelle loro diverse accezioni (film, pellicole o coating), rappresentano una tecnologia promettente per arricchire i materiali di supporto di nuove prestazioni o per riqualificarne l’aspetto. La funzionalizzazione delle superfici rappresenta oggi la tendenza emergente nei settori produttivi di diversi materiali (vetro, ceramica, metalli): un’innovazione resa ancor più efficace e promettente dalla disponibilità di materiali nano strutturati, che, applicati sulla superficie di alcuni prodotti, permettono di indurre comportamenti innovativi e performanti. Poichè il loro impiego nel settore lapideo è recente e ancora molto poco sviluppato, l’azienda Travertino Sant’Andrea e md_material design hanno intrapreso una sperimentazione mirata, appunto, al Travertino, e volta a sperimentare l'integrazione di trattamenti superficiali innovativi sulle lastre di travertino di cava, dal momento che tale integrazione ha un impatto sia estetico che di natura prestazionale e funzionale sul prodotto. Entra pertanto in gioco l'aspetto legato al principio di funzionamento del trattamento superficiale ed al legame fra opzioni tecnologiche disponibili e prestazioni. In particolare, si vuole effettuare una approfondita analisi delle possibilità espressive e funzionali dei trattamenti possibili. Verranno prese in considerazione possibili opzioni in termini di scelta dei materiali per i trattamenti superficiali, al fine di ottimizzare le prestazioni dal punto di vista della resistenza all’usura, dell’autopulibilità, e della variabilità cromatica nell'interazione con la radiazione luminosa.

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Questi aspetti implicano naturalmente sperimentazioni in fase di processo produttivo che potranno essere affrontate in modo coordinato grazie ad un approccio multidisciplinare reso possibile dall'esistenza di competenze specifiche fra loro complementari presso il laboratorio MD dell'Università di Ferrara e nell’azienda Sant’Andrea. Il tipo di innovazione che si intende perseguire è un’innovazione di prodotto determinata dal trasferimento tecnologico di materiali chimici innovativi nel settore delle pietre naturali. Si prenderà in esame la finitura superficiale del travertino naturale, per analizzare un set di possibili rivestimenti funzionalizzati, valutati secondo l’applicabilità, le prestazioni aggiunte, la resistenza all’uso e agli agenti. Allo stato attuale, sono molto poco diffuse le sperimentazioni di trattamenti superficiali avanzati per la pietra naturale: sono state condotte ricerche guidate da singole aziende e per singoli tipi di pietra, con risultati differenti e certo non omogenei. Si può affermare che non vi siano concorrenti diretti: non vi sono ricerche specifiche di questo tipo sul travertino. La ricerca, condotta con il fondamentale contributo dell'azienda Travertino Sant’Andrea, è sviluppata da Valeria Zacchei, dottore di ricerca in Tecnologia dell'architettura e membro del laboratorio md, e costituisce parte integrante delle azioni sviluppate dal laboratorio md_material design, collocandosi nel più ampio studio dell’innovazione nell’"universo litico” promosso dal Prof. Alfonso Acocella dell'Università degli Studi di Ferrara, autorevole riferimento scientifico del percorso di ricerca. Valeria Zacchei

Note 1 GROSSI Antonella, “Piattaforma di rilancio”, in Costruire n. 272, Gennaio 2006, pp. 24-27

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www.materialdesign.it


autori

Annali MD, 2010 [ I]

Alfonso Acocella Architetto, Professore ordinario di Tecnologia dell’architettura e di Design presso il Dipartimento di Architettura, Coordinatore del Corso di laurea in Design del prodotto industriale dell’Università di Ferrara, Italia. Luigi Alini Architetto, Dottore di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura, Professore Associato in Tecnologia dell’Architettura, Struttura Didattica Speciale di Architettura di Siracusa, Università di Catania, Italia. Paola Boarin Architetto, Dottore di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura, Assegnista di ricerca e docente a contratto presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara, Italia. Christina Conti Architetto, Dottore di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura, Ricercatore in Tecnologia dell’architettura presso il Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura dell’Università degli Studi di Udine, Italia. Veronica Dal Buono Architetto, Dottore di ricerca in Tecnologia dell’Architettura, Ricercatore in Disegno Industriale, Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara, Italia. Nicoletta Geminiani Laureata in Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea, è collaboratrice di Mondadori-Electa. Valentina Modugno Architetto, Dottore di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura, docente a contratto presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara, Italia. Elisa Poli Critica e storica dell’architettura, Dottore di ricerca in Storia dell’architettura presso l’Université de Paris 1 Pantheon-Sorbonne, docente a cotntratto presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara, Italia. Andreas Sicklinger Architetto, specializzato in ergonomia e design, è docente di Design di Prodotto presso Applied Sciences and Arts, German University Cairo, Egypt. Chiara Testoni Architetto, Dottoranda di ricerca in Tecnologia dell’Architettura, Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara, Italia. Davide Turrini Architetto, Dottore di ricerca in Tecnologia dell’Architettura, Ricercatore in Disegno Industriale, Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara, Italia. Valeria Zacchei Architetto, Dottore di ricerca in Tecnologia dell’Architettura, Assegnista di ricerca Centro Interdipartimentale per la Ricerca Industriale CIRI - Edilizia e Costruzioni, Bologna, Italia.


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